Ricerca per Volume

QUARTA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume, il V-VI della quarta serie, raccoglie il materiale documentario relativo al periodo compreso tra 1'11 dicembre del 1909 e il 29 marzo 1911 e caratterizzato dai due Ministeri guidati da Sonnino e Luzzatti. Un intervallo di tempo tra due lunghi cicli nei quali la politica italiana fu guidata da Giolitti, un periodo storico maggiormente significativo per la politica interna del Regno d'Italia che non per lo sviluppo della sua politica internazionale, una fase di transizione marcata non solo dal temporaneo allontanamento del politico piemontese dalle responsabilità dirette del Governo, ma anche dalla necessità da questi rilevata di reimpostare i rapporti tra poteri politici e concentrazioni economiche lungo progetti di un più determinato riformismo. Un riformismo che avrebbe dovuto rendere possibile la conclusione delle riforme sociali iniziate nel quinquennio precedente da Giolitti, ma che non poteva ignorare quanto una più vigorosa politica estera fosse indispensabile per l'ammodernamento dello Stato e per lo sviluppo internazionale ed economico dello stesso. Un disegno politico ad ampio respiro, dunque, che mirava ad inserire l'Italia nella fase finale della spartizione del mondo seguita alla crisi economica mondiale del 1907 e che trovava comunque nelle limitazioni finanziarie del Paese il maggiore ostacolo.

È in questi anni infatti che veniva impostata quella vasta estensione delle competenze pubbliche che, nonostante la violenta opposizione del capitale finanziario italiano, segnava un deciso successo in questi anni e renderà possibile, con il ritorno di Giolitti al Governo, non solo di attuare il monopolio di Stato delle assicurazioni, ma grazie a quello di finanziare parallelamente una massiccia politica di riarmo e l'impresa libica.

Un periodo dunque apparentemente oscuro quello dei Governi Sonnino e Luzzatti, essenziale tuttavia per le successive realizzazioni delle quali interprete importante fu di San Giuliano, non a caso ministro degli esteri nel Governo Luzzatti come nel successivo guidato da Giolitti ed elemento di continuità della politica estera italiana negli anni prebellici. Ed è in questa chiave che occorre interpretare le scelte operate nella selezione della documentazione e delle questioni enucleate in base ad essa.

I rapporti con le due Potenze della Triplice Alleanza si trascinano piuttosto stancamente rarefacendosi quelli con la Germania e inacidendosi sempre più quelli con l'Austria-Ungheria, ormai pesantemente deteriorati dalla crisi bosniaca. Questi ultimi ruotavano infatti principalmente intorno all'irredentismo, certo un vecchio elemento di discordia tra i due Stati, alla richiesta di una università italiana nell'Impero austriaco e agli incidenti di frontiera, mentre il ministro degli esteri Guicciardini lasciava palesare le sue inquietudini di fronte all'eventualità di un riavvicinamento austro-russo che escludesse l'Italia dai Balcani. Inoltre pesava visibilmente sulle relazioni tra i due Stati la crescente emarginazione delle comunità italiane nell'Impero e la loro continua perdita di autonomia a favore di quelle slave. In realtà i colloqui di Guicciardini prima e, in seguito alla caduta del Ministero Sonnino, di di San Giuliano con Bethmann-Hollweg e Aehrenthal del 1910 sirivelavano niente altro che incontri di routine.

I tradizionali rapporti amichevoli con la Gran Bretagna erano confermati, mentre quelli con la Francia continuavano a svilupparsi lungo linee di cordialità alternate a reciproci sospetti e ambiguità che le problematiche africane contribuivano visibilmente ad alimentare.

I problemi balcanici cominciavano ad imporsi all'attenzione dei responsabili della Consulta non solo per quanto riguarda il Montenegro, terra di origine della regina Elena, ma anche per l'interesse destato dall'Albania e dai primi progetti di indipendenza sia pur vagamente delineati in questi anni, nonché dalle problematiche macedoni.

Infine Tripolitania e Cirenaica catturavano l'interesse del Ministero degli esteri da varie prospettive denunciando apertamente l'interesse italiano per quei territori, ma anche a riprova che la diplomazia italiana cominciava a considerare con non minore attenzione le correlazioni della politica estera con i problemi economici e finanziari.

Che la politica estera del periodo considerato da questo volume fosse in fase di transizione e di preparazione a più intense verifiche lo denuncia inoltre la maggiore concentrazione dell'attenzione diplomatica della Consulta su tematiche europee e africane attenuando notevolmente l'interesse per le altre aree.

2. I documenti pubblicati in questo volume sono tratti principalmente dall'Archivio storico-diplomatico del Ministero degli affari esteri, dai fondi e dalle serie seguenti: Ministero degli affari esteri: Gabinetto e Segretariato Generale, 1869-1922; Telegrammi in arrivo e partenza; Serie Politica P, 18911916; Ambasciata d'Italia a Berlino, Ambasciata d'Italia a Londra, Ambasciata d'Italia a Vienna; Carte Levi; Ministero dell'Africa italiana.

Alcuni documenti provengono dalle Carte Luzzatti conservate presso l'Archivio Centrale dello Stato; altri sono stati tratti dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e dall'Ufficio Storico del Ministero della Marina.

3. Le questioni trattate nel presente volume sono reperibili anche nelle seguenti raccolte di documenti cui si è fatto costantemente riferimento: British Documents on the Origins of the War, 1898-1914, Londra, His Majesty's Stationery Office, 1926-1938 (BD).

Documents Diplomatiques Français (1871-1914), Parigi, Imprimerie Nationale, 1929-1959 (DDF).

Papers relating to the Foreign Relations of the United States with the Annua! Message of the President, Washington, Government Printing Office, 1861-(FRUS).

Die Grosse Politik der Europiiischen Kabinette 1871-1914, Berlino, Deutsche Verlagsgesellschaft ftir Politik und Geschichte, 1922-1926 ( GP).

Nouveau Recueil général de traités et autres actes relatifs aux rapports de droit international, serie terza, Lipsia, Librairie Dieterich poi altri, 1909-1969 (MARTENS).

Osterreich-Ungarns Aussenpolitik von der bosnischen Krise 1908 bis zum Kriegsaubruch 1914, Diplomatischen Aktenstucke des Osterreichisch-Ungarischen Ministerium des Aussern, Vienna-Lipsia, Osterreichischer Bundesverlag fi.ir Unterricht, Wissenschaft un d Kunst, 1930 (OeVA).

A. F. PRIBRAM, Die politischen Geheimvertriige Osterreich-Ungarns 18791914 nach den Akten des Wiener Staatsarchivs, vol. l, Vienna-Lipsia, W. Braumi.iller, 1920 (PRIBRAM).

Alcuni documenti sono già stati pubblicati integralmente o in parte nel Libro Verde 106, Documenti Diplomatici presentati al Parlamento italiano dal ministro degli affari esteri (di San Giuliano), Creta, seduta del 5 giugno 1911, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1911 (LV 106).

4. Le dottoresse Maria Laura Piano Mortari e Rita Luisa De Palma hanno partecipato con notevole professionalità alle fasi di ricerca che hanno consentito la pubblicazione di questo volume redigendo infine tavola metodica, appendici e indici che lo rendono facilmente utilizzabile.

Ad esse, insieme a Fiorella Sanguedolce e alla dottoressa Marina Tornaselli che hanno corretto le bozze e ad Andreina Marcocci e Daniela Velia che hanno operato la trascrizione dei documenti, i miei più sentiti ringraziamenti.

EDOARDO DEL VECCHIO


DOCUMENTI
1

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. 3187. Roma, 12 dicembre 1909, ore 20, 15.

Nel Gabinetto costituitosi sotto la presidenza di S.E. il barone Sonnino assumo oggi portafoglio affari esteri. Mentre faccio pieno assegnamento sull'autorevole ed efficace cooperazione di V.E., la prego di assicurare codesto ministro degli affari esteri che il nuovo Gabinetto sarà costantemente animato dal fermo proposito di render sempre più fiduciose le nostre relazioni colle due Potenze alleatel.

2

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 3816/535. Pera, 15 dicembre 1909, ore 14,25 (per. ore 15,20).

Creta. Gran Visir mi disse ieri che questo Governo preparasi rispondere alla nota delle Potenze protettrici nell'intento meglio chiarirne alcuni punti. Sua Altezza ritiene che risposta turca non riuscirà sgradita Potenze. Ministro degli affari esteri mosse qualche lagnanza per tenore nota, e specialmente per rinnovata menzione "diritti supremi". Replicai parermi, in linea generale, risposta Potenze contenere ampie assicurazioni di natura tranquillizzare pienamente opinione pubblica turca.

Differenza tra linguaggio piuttosto ottimista del gran visir e rilievi fatti dal ministro degli affari esteri mi indurrebbe ritenere che quest'ultimo abbia mostrato maggiore riserva in attesa conoscere meglio impressione Parlamento.

l I Avarna e Pansa comunicarono con T. 3803/430 del 13 dicembre e con T. 3814/274 del 14 dicembre, non pubblicati, il compiacimento dei Governi austro-ungarico e tedesco per la costituzione del nuovo Gabinetto italiano e l'assicurazione di una fiduciosa collaborazione.

3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

D. S.N. Roma, 15 dicembre 1909.

Dopo di aver maturamente esaminato lo schema di dispaccio preparato dal mio predecessore, per constatare il nostro nuovo accordo coll'Austria-Ungheria, dopo di averne conferito con S.E. il presidente del Consiglio e ricevuto gli ordini di S.M. il Re, mi pregio far conoscere a V.E. che il nuovo Gabinetto conferma ed approva interamente le intese già intervenute a questo riguardo. Le trasmetto quindi, qui unito, un nuovo esemplare, da me firmato, del dispaccio che era annesso alla lettera del 28 novembre dell'ambasciatore Tittoni. V.E. vorrà rimetterne copia al conte Aehrenthal nello stesso tempo che il conte Liitzow rimetterà a me la copia del dispaccio già in sue mani. Nella supposizione che la presente comunicazione le giunga il 19 corrente, ho pensato che si potrebbe fissare quel giorno per la consegna simultanea dei due dispacci I.

Nel confermarle così telegramma n. 32052, da me direttole poc'anzi, ...

ALLEGATO

D. SEGRET03. Roma, . . . 1909.

Dans !es pourparlers que Vous avez eus4 ces derniers temps avec le Com te d' Aehrenthal5 en vue de préciser et de compléter l'article VII du Traité de la Triple Alliance, vous etes6 d'abord tombés d'accord que, l' Autriche-Hongrie ayant renoncé aux droits que le Traité de Berlin lui avait conférés par rapport au Sandjak de Novibazar, !es dispositions de l'article précité de la Triple Alliance s'appliquent au Sandjak aussi bien qu'aux autres parties de l'Empire ottoman. Si donc par suite de l'impossibilité du maintien du statu quo dans !es Balcans l'Autriche-Hongrie était amenée par la force des événements à procéder à une occupation temporaire ou permanente du Sandjak de Novibazar, cette occupation n'aura lieu qu'après un accord préalable avec l'Italie, basé sur le principe d'une compensation.

Fidèles à l'esprit qui a inspiré le Traité de la Triple Alliance et en vue de fixer d'une manière précise et d'un commun accord le procédé que !es deux Cabinets alliés comptent

3 t Cfr. 113.

2 Non pubblicato.

3 L'analogo dispaccio inviato da Aehrenthal a von Liitzow, il 30 novembre, è edito in OeUA, vol. Il, n. 1849; si vedano anche MARTENS, t. X, n. 36, PRIBRAM, n. 24 e GP, vol. XXVII/l, n. 9856.

4 Il testo edito in OeUA recaj'ai eu al posto di Vous avez eus.

5 lvi: Due Avarna al posto di Comte d'Aehrenthal.

6 lvi: nous sommes al posto di vous ètes.

adopter dans certaines éventualités, Vous ètes6 convenus, en outre, avec le Com te d'AehrenthaP de ce qui suit:

Chacun des deux Cabinets s' engage à ne pas contracter un accord quelconque avec une tierce Puissance concemant les questions balcaniques sans que l'autre Cabinet y participe sur un pied d'égalité absolue; de mème, les deux Cabinets s'engagent à se communiquer toute proposition qui serait faite à l'un ou à l'autre par une tierce Puissance, allant à l'encontre du principe de non-intervention et se rapportant à une modification du statu quo dans l es régions des Balcans ou des còtes et des Iles ottomanes dans l' Adriatique et de la Mer Egée.

Il va sans dire que l'artide VII du Traité de la Triple Alliance, que les dispositions qui précèdent ne font que préciser et compléter, reste intégralment en vigueur.

Quant à la durée de l'engagement que les deux Cabinets assument en vertu de ce qui précède, il est entendu qu'elle doit coincider avec celle du Traité de la Triple Alliance, de sorte que l'engagement mème serait implicitement renouvelé avec le renouvellement de la Triple Alliance.

Conformément aux dispositions analogues de ce Traité !es deux Cabinets se promettent mutuellement le secret sur l'engagement qu'ils viennent de prendre; seui le Cabinet de Berlin, à titre d'allié, en sera informé sans délai par !es deux Gouvemements.

Afin d'établir exactement ce qui a été convenu dans !es pourparlers qui j'ai eus avec le Cabinet lmpérial et Royal par Votre entremises, je Vous engage, Monsieur l' Ambassadeur, à communiquer cette dépèche à Monsieur le Ministre des Affaires Étrangères et à lui en laisser copie.

4

L'AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 1674/653. Londra. 15 dicembre 1909 (per. il 18).

L'attenzione e l'interesse di tutti in Inghilterra sono ora così esclusivamente concentrati sulla grave lotta politica interna, che, per quanto io abbia diligentemente compulsato tutti i principali giornali politici inglesi, non ho trovato che i tre uniti articoli sul discorso del cancelliere tedesco e le due unite corrispondenze sulla crisi ministeriale italiana.

Su quest'ultima credo di poter affermare che quanto è qui noto del carattere personale di V.E. e del presidente del Consiglio è di natura da produrre sugli inglesi una impressione particolarmente buona, cosicché i rapporti anglo-italiani non ne risentiranno alcuna modificazione.

Sul discorso del cancelliere tedesco i due giornali unionisti (Times e Daily Telegraph), pur prendendo atto con piacere delle sue dichiarazioni amichevoli, notano che la Germania non rallenta gli armamenti navali ed insistono sulla necessità di conservare a qualunque costo la superiorità marittima; essi esprimono, così scrivendo, il fermo volere della grande maggioranza della Nazione inglese, e lo riconosce implicitamente, per quanto a malincuore, il radicale Daily News, nell'inciso dell'unito articolo, in cui constata i sentimenti delle classi lavoratrici rispetto alla concorrenza germanica.

Le direttive attuali della politica estera sono intimamente connesse a tutti i fattori del grave momento storico, che l'Inghilterra traversa, e ne sono la necessaria conseguenza: perciò questo mio rapporto deve essere coordinato a quello del 5 novembre u.s. n. 572 e considerato come un complemento e quasi una parte integrante di esso.

Da Elisabetta in poi l'Inghilterra ha sempre voluto un certo equilibrio tra le Potenze, e si è sempre opposta all'eccessiva preponderanza di una sola. Questa politica tradizionale ebbe un periodo di singolare attività dall'avvento al trono di

S.M. il Re Edoardo VII sino all'esito della recente crisi balcanica.

Nel momento presente, il Governo britannico si rende perfettamente conto delle cause di debolezza della Francia e della Russia e della preponderanza militare, oggi irresistibile, del blocco austro-tedesco sul continente. Per queste ragioni, per la gravità della crisi politica interna, per le tendenze stesse degli elementi più avanzati del Ministero e del partito liberale, il suo motto, in fatto di politica estera, è, in questo momento, quieta non movere.

Il Governo britannico vorrebbe che, per un certo tempo, nulla accadesse in Europa e nel mondo, e che ogni quistione spinosa venisse ritardata; in ogni modo, poi, desidera, nei limiti consentiti dai grandi interessi imperiali, tenere una attitudine quanto più è possibile cauta e riservata.

Esso ha sempre avuto il desiderio di migliorare i propri rapporti con la Germania, e questo suo desiderio è reso oggi ancor più vivo dalle difficoltà politiche e finanziarie interne.

Il fatto, però, che la Germania, malgrado le reciproche dichiarazioni amichevoli, dà sempre più rapido sviluppo ai suoi armamenti navali, alimenta ed accresce la diffidenza dell'immensa maggioranza della Nazione inglese verso il formidabile vicino, e fa sì che il fervore delle lotte politiche interne in Inghilterra e l'eventuale prevalere d'elementi radicali, se anche potranno originare pericolosi ritardi nell'aumento delle spese navali, non potranno indefinitamente posporle.

Degli altri ostacoli al miglioramento effettivo dei rapporti anglo-germanici, uno, in questo momento, è per lo meno sospeso, se non rimosso; alludo alla questione del Marocco, nella quale il buon accordo attuale tra Francia e Germania è visto con grande compiacimento in questo Paese, purché non influisca oltre misura sulla politica della Francia in Oriente ed altrove.

Un altro ostacolo, cioè la quistione d'Oriente, è attenuato o sospeso soltanto in parte, perché, mentre pare che per ora anche l'Austria e la Germania vogliano sinceramente lo statu quo territoriale nella penisola balcanica, permane tuttavia la gara d'influenza a Costantinopoli tra Germania ed Inghilterra.

Finché l'Inghilterra conserverà la speranza di limitare l'influenza tedesca in Turchia e di conservare l'amicizia dei governanti effettivi dell'Impero ottomano, la sua politica sarà il più possibile turcofila in tutte le questioni, e particolarmente, nonostante i legami dinastici, in quella di Creta.

La Turchia, munita di un valoroso esercito, limitrofa del Canale di Suez e dell'Egitto, padrona del Bosforo, dei Dardanelli, delle città sante, delle più brevi vie terrestri per le Indie, sede del Califfato, sovrana di buona parte dell'Islam arabo, posta sulla via delle minacciose espansioni dello slavismo e del germanesimo, prospiciente sul Mediterraneo da una parte, sul Golfo Arabico e sul Golfo Persico dali' altra, provveduta in Mesopotamia ed altrove di grandi ricchezze intentate, è per l 'Inghilterra uno dei fattori precipui della sua situazione mondiale.

Che la Turchia le sia amica o no, che sia debole o forte, costituzionale o hamidiana, strumento del germanesimo o baluardo contro di esso, è per l 'Inghilterra un interesse così vitale che, nella questione cretese ed in altre consimili, deve necessariamente prevalere su molte altre considerazioni.

Certo, gioverebbe ai rapporti anglo-tedeschi che riescissero le trattative per la partecipazione del capitale inglese alla ferrovia di Bagdad, per le quali, ad iniziativa del gruppo tedesco, sir Ernest Casse! si è recato a Berlino.

Il Governo britannico si studia pure di migliorare i proprii rapporti con l'Austria e di conservare la cordialità di quelli esistenti con la Russia e con la Francia.

Esso tiene molto a che queste due Potenze serbino intatte le loro forze e la loro influenza per le eventuali complicazioni europee, e perciò desidera che non si impegnino in azioni militari serie ed in gravi difficoltà politiche, l 'una nel Marocco e l'altra in Persia, e lavora per l'accordo tra Russia e Giappone nell'Estremo Oriente.

Gli accordi fra gli Stati balcanici, e particolarmente tra Serbia, Bulgaria e Montenegro, sarebbero qui per se stessi ben visti, a condizione che non spiacciano alla Turchia, che non provochino l'Austria ad una politica balcanica più attiva e che non ne derivino pericolose complicazioni.

Nell'Estremo Oriente i fini della politica dell'Inghilterra non sono sempre facili a conciliare, dovendo mantenere l'amicizia con potenze economicamente e politicamente rivali sue e rivali tra di loro, ed al tempo stesso promuovere gli interessi britannici e tener conto delle preoccupazioni e dei sentimenti della Nuova Zelanda e soprattutto dell'Australia, dove il patriottismo imperiale deriva in grandissima parte dal timore del pericolo giallo.

Anche nella questione del Congo, collegato dalla ferrovia oggi al Capo e più tardi al Cairo, la politica del Governo centrale deve sempre più tener conto della volontà della giovane e promettente nazione bilingue che si è formata nell'Africa del Sud.

Questo quadro generale serve a dare la misura dell'importanza che per la politica inglese può avere oggi l'Italia.

Per determinare siffatta misura, evitando le opposte esagerazioni, bisogna tener conto, anzitutto e soprattutto, dell'interesse, ed, in seconda linea, anche del sentimento, che, entro certi confini, può essere in politica un coefficiente vivo e reale.

In Italia è assai diffuso un vero e profondo sentimento d'amicizia e di simpatia per la Gran Bretagna, e, quando i fatti dimostrano che la reciprocità non è completa, ne segue una delusione, che può anche condurre ad impressioni e giudizi esagerati.

La verità è che in Inghilterra, a cagione delle nostre glorie artistiche e letterarie, della bellezza del nostro Paese e del nostro clima, dei ricordi recenti del nostro Risorgimento, si ha per l'Italia una sincera simpatia, che però ben poco influisce sulla politica pratica e sul concetto, che qui si ha dell'Italia moderna come Grande Potenza europea e come uno dei fattori della situazione internazionale.

L'Italia, sotto questo aspetto, così dal Governo come dal Paese, è considerata come debole militarmente, incerta nei propositi politici, e non sempre capace e volenterosa di adattare i mezzi ai fini, reputati, sovente, sproporzionati alla nostra vera potenzialità.

Quando fervevano in tutto il loro vigore l'antagonismo franco-inglese e quello franco-italiano e le nostre forze navali e terrestri erano meno di oggi inferiori a quelle, così gigantescamente e rapidamente cresciute, d'altre Potenze, l'amicizia dell'Italia aveva per l'Inghilterra un valore maggiore di quello che le rimase dopo l'Entente Cordiale (8 aprile 1904) e dopo lo spostamento dell'equilibrio mondiale, prodotto dal rapido ed enorme sviluppo della potenza militare, specialmente marittima, della Germania, degli Stati Uniti e del Giappone.

Oggi l'impotenza della Russia, la compattezza e la potenza del blocco austro-tedesco, la rivalità, più o meno dissimulata, austro-italiana nell'Adriatico e nei Balcani, l'imminente sviluppo della marina militare austriaca, l'indebolimento di quella francese, accrescerebbero agli occhi dell'Inghilterra l'importanza dell'Italia, se l'Italia riescisse a produrre qui l'impressione d'essere un Paese politicamente, economicamente, militarmente e soprattutto moralmente, forte.

Oggi giorno, nello svolgimento della vita italiana, si producono fatti che tendono a farci stimare, come per esempio i nostri progressi industriali, e fatti, che tendono all'effetto opposto, come il disservizio ferroviario, la lenta e disordinata esecuzione dei provvedimenti dopo il terremoto, etc .... Tuttavia, presso l'opinione pubblica inglese, mercé un'attività propaganda, qualche risultato si è ottenuto.

Quanto al Governo britannico, in circa tre anni e mezzo di esperienza personale, ho notato che, quando gli si è chiesta qualche prova d'amicizia di una certa importanza, non ha quasi mai avuto lo slancio spontaneo di darla subito, ma in compenso ha poi quasi sempre finito per lasciarsi persuadere e contentarci in una misura abbastanza soddisfacente.

Nelle cose coloniali è ora un pò meno arrendevole di tre anni fa verso la Francia, spesso dissenziente da noi; nelle cose balcaniche, più o meno, abbiamo sempre finito per andare d'accordo; nelle cose di Tripolitania, dopo lunghi sforzi e contro influenze poderose, ho potuto ottenere da sir Edward Grey la nota verbale del 24 dicembre 1907, relativa ai confini tra l 'Egitto e la Cirenaica.

S.M. il Re Edoardo, il cui acuto buon senso è talora influenzato da sentimenti personali, e S.A.R. il Principe di Galles non amano che l 'Italia sia nella Triplice Alleanza; il Governo inglese, invece, al pari di quello francese, preferisce in questo momento che noi vi restiamo, come elemento di pace e di equilibrio, come anello di congiunzione tra i due aggruppamenti di Potenze, come mezzo, più o meno efficace, di differire il Drang nach Osten e di smussare o differire alcune difficoltà balcaniche.

A ciò si aggiunga il timore che la nostra uscita dalla Triplice irriti le altre due Potenze alleate e provochi complicazioni internazionali, che si vogliono ad ogni costo procrastinare.

Nella trattazione degli affari coloniali la condotta del Governo britannico verso di noi è influenzata da due opposte tendenze; il desiderio, da una parte, di cordiali ed amichevoli rapporti, e la persuasione, dall'altra, della nostra incapacità come potenza coloniale.

Lo spirito pratico inglese mal si adatta alla applicazione ai problemi coloniali dei metodi e dei criteri che la mentalità latina deduce, con logica esatta e pericolosa, da principii generali, che gli inglesi non apprezzano né capiscono.

Gli inglesi soprattutto credono che a noi manchino ancora le condizioni volute per avere legittime ed utili ambizioni coloniali; non trovano ragionevole e giusto che da parte nostra si vogliano escludere le iniziative economiche altrui, quando mancano le nostre; vedono che, in quasi un quarto di secolo, non abbiamo saputo mettere seriamente in valore né l'Eritrea, né il Benadir; non credono che, di fronte a pericoli, come quelli provenienti dal Mad Mullah, si possa fare così sicuro assegnamento sopra di noi da poter fare a meno di premunirsi per conto proprio. Perciò non sarebbe certo un bene per noi se gli affari coloniali venissero sempre esclusivamente decisi dalle autorità britanniche locali e dai funzionari permanenti del Colonia! Office e del Foreign Office; da ciò quel tanto di vero, che talora racchiudono le informazioni, che giungono a Roma dali'Africa ed attribuiscono a disegni complicati e riposti del Governo britannico l'azione dei suoi rappresentanti locali.

Fortunatamente, però, quando si può richiamare a tempo su questi fatti l'attenzione di sir Edward Grey, che è la rettitudine personificata, e che tiene conto delle esigenze della politica generale, si può quasi sempre contare sopra una soluzione abbastanza equa.

Quanto ho esposto sin qui significa che, a parer mio, esiste realmente un'amicizia sincera anglo-italiana, ma che sarebbe pericoloso per noi il farci troppe illusioni sulla sua portata pratica e lasciare indebolire le garanzie, che derivano ai nostri interessi dalla leale interpretazione ed applicazione del patto della Triplice Alleanza.

In diversi rapporti ho accennato ai varii mezzi, grandi e piccoli, per rendere ancora migliori i rapporti anglo-italiani, ma il mezzo più efficace è uno solo, che è facile enunciare, ma difficile conseguire: essere e parere forti.

3 7 lvi: Due Avarna et moi al posto di Comte d'Aehrenthal. 8 lvi: avee le Cabine/ Royal par /'entremise du Due Avarna al posto di avee le Cabine/ Imperia! et Royal par votre entremise.

5

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3212. Roma, 16 dicembre 1909, ore 11,30.

Accetto la procedura proposta da Aehrenthal e indicata da V.E. nel telegramma n. 421 per la comunicazione da farsi al Governo germanico. Lo stesso corriere che consegnerà a V.E. il mio dispaccio relativo all'accordo', porterà una copia del dispaccio medesimo al cavalier Pansa. Questi avrà istruzione di rimetterla al cancelliere dell'Impero, d'accordo col suo collega austro-ungarico e alla data che gli verrà ulteriormente partecipata, facendo in pari tempo la dichiarazione verbale riprodotta nel precitato suo telegramma.

6

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3211. Roma, 16 dicembre 1909, ore 12.

Risposta al telegramma di V.E. n. 275'. Il nuovo Gabinetto ha confermato ed approvato i punti già stabiliti dal Gabinetto precedente per il nostro nuovo accordo coli' Austria-Ungheria. Ella può informare subito il signor Bethmann-Hollweg. Allo stesso corriere, cui affido oggi il nuovo esemplare da me firmato del dispaccio diretto al duca Avarna2, consegnerò pure una copia del dispaccio medesimo diretto a V. E. In conformità dell'intesa intervenuta col Gabinetto di Vienna, ella dovrà poi, d'accordo col suo collega d'Austria-Ungheria e alla data che verrà ulteriormente fissata, rimettere personalmente quella copia al cancelliere dell'Impero, soggiungendo a voce che i due Governi credono dover dare comunicazione al

2 Cfr. n. 3.

Governo alleato dell'accordo segreto fra di loro pattuito per precisare e completare articolo 7 del Trattato della Triplice Alleanza; e lo pregano di prendeme atto3.

5 l Cfr. n. 3

6 l T. 3808 del 14 dicembre, non pubblicato.

7

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 3216. Roma, 16 dicembre 1909, ore 20,15.

Telegramma di V.E. n. 433'. Non ho alcuna obiezione a che Aehrenthal faccia pubblicare nel Fremdenblatt il comunicato ufficioso di cui le parlò: trovo anzi la pubblicazione opportuna. Osservo soltanto che io avevo diretto a Berlino lo stesso telegramma che a Vienna, e che Pansa mi rispose «essersene BethmannHollweg altamente compiaciuto ed averlo incaricato di inviarmi assicurazione piena fiducia colla quale egli corrisponde ai sentimenti da me manifestati». Sarebbe quindi bene, a mio avviso, che la pubblicazione facesse anche cenno dello scambio di assicurazioni avvenuto col Governo germanico: ciò mi sembrerebbe più semplice e più significativo che una pubblicazione dello stesso genere fatta pure a Berlino. Le dichiarazioni che il Governo farà dopo domani al Parlamento saranno, del resto, informate allo stesso ordine d'idee2.

8

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. PERSONALE 3837/435. Vienna, 16 dicembre 1909, ore 20,40 (per. ore 22,45).

Aehrenthal mi ha rimesso, con la preghiera di telegrafarlo a V.E., il testo del comunicato ufficioso di cui è cenno mio telegramma di jeri, n. 4331, che è sua intenzione di far pubblicare nel Fremdenblatt sabato o domenica prossima.

Aehrenthal ha aggiunto che gli sembrava che V.E., qualora lo credesse opportuno, avrebbe potuto fare pubblicare, dal canto suo, un comunicato ufficioso in termini su per giù identici. Testo del comunicato è del seguente tenore: «R.

2 Per la risposta cfr. n. 9.

ambasciatore d'Italia ha dato comunicazione al ministro degli affari esteri imperiale e reale, per incarico ricevutone dal conte Guicciardini, d eli'assunzione per parte di quest'ultimo del portafoglio degli affari esteri nel nuovo Gabinetto e della ferma intenzione di lui di continuare le fiduciose relazioni finora esistenti con la Monarchia austro-ungarica e di consolidarle con tutte le sue forze. Aehrenthal ha risposto al duca Avama di Gualtieri che prendeva atto con soddisfazione di tale comunicazione, che egli era animato dagli stessi sentimenti e dal desiderio di rendere sempre più intimi tali rapporti e che il conte Guicciardini poteva fare sicuro assegnamento sopra la sua premurosa cooperazione».

6 3 La comunicazione al Governo tedesco avvenne il 22: cfr. n. 17.

7 l T. 3821/433 del 15 dicembre, non pubblicato.

8 l T. 3821/433 del 15 dicembre, non pubblicato.

9

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 3847/439. Vienna, 17 dicembre 1909, ore 20,15 (per. ore 21,55).

Telegramma di V.E. n. 32161. Aehrenthal mi ha detto che avrebbe corrisposto con piacere desiderio di V.E. facendo cenno nel comunicato ufficioso da pubblicarsi nel Fremdenblatt, di cui mio telegramma 4352, dello scambio assicurazioni avvenute col Governo germanico. E, sotto i miei occhi, ha aggiunto in calce al testo di quel comunicato inciso seguente: «Da quanto noi apprendiamo, uno scambio di assicurazioni impresse ad identici sentimenti di fiducia ha avuto luogo altresì col Governo germanico».

10

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO 3227. Roma, 17 dicembre 1909, ore 21,30.

Telegramma di V.E. n. 4351. Circa il testo del comunicato da pubblicarsi nel Fremdenblatt avrei questa sola osservazione a fare, che invece della frase: «Aehrenthal prendeva atto con soddisfazione ecc.», mi parrebbe più dicevole impiegare quest'altra: «Aehrenthal era lietissimo ecc.». Circa il modo della pubblicazio

2 Cfr. n. 8. IO l Cfr. n. 8.

ne, mi riferisco al mio telegramma di jeri n. 32162, al quale attendo ricevere risposta prima di prendere una decisione3.

9 l Cfr. n. 7.

11

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE 3842/155. Addis Abeba, 17 dicembre 1909 (per. ore 14,35) 1.

Condizioni Menelik stazionarie: paralisi completa. Governo in mano imperatrice.

12

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 3240. Roma, 18 dicembre 1909, ore 21,35.

Telegramma di V.E. n. 5341. Voglia ringraziare il gran visir delle sue cortesi parole e ricambiargli l'espressione dei miei più cordiali sentimenti. Ella potrà pure ripetergli in mio nome le dichiarazioni già fattegli in suo nome personale e che approvo interamente. La politica estera del Governo del re rimane immutata, ed uno dei cardini di essa è il vivo desiderio di mantenere e rendere sempre più amichevoli le relazioni colla Turchia. Noi abbiamo molta simpatia per il nuovo regime ottomano e facciamo voti sinceri per il suo progressivo e pacifico consolidamento. E confidiamo fermamente di trovare da parte del Governo ottomano, nella trattazione delle questioni pendenti e di quelle che potranno successivamente presentarsi, il medesimo buon volere e il medesimo spirito conciliativo, immune da ogni preconcetto, che siamo disposti a portarvi noi stessi.

102 Cfr. n. 7.

3 La risposta era giunta poco prima: cfr. n. 9.

Il I Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore Il ,45.

121 Con T. 3815/534 del 15 dicembre, non pubblicato, Imperiali informava di aver rassicurato il gran visir sulla volontà del nuovo ministro degli esteri di mantenere e sviluppare buone relazioni tra i due Paesi.

13

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO PERSONALE 3866/441. Vienna, 19 dicembre 1909, ore 21,40 (per. ore 22,05).

In conformità delle istruzioni di V.E. ho dato oggi lettura al conte Aehrenthal del dispaccio da lei direttomi I e pervenutomi stamane per corriere relativo nuovo accordo itala-austro-ungarico circa questione balcanica e gli ho rimesso in pari tempo copia del dispaccio stesso.

Aehrenthal ha rilevato che i due Governi nello stipulare tale accordo avevano fatto opera utile di cui gli sembrava potevano essere soddisfatti.

14

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3868/444. Vienna, 19 dicembre 1909, ore 21,40 (per. ore 8,25 del 20).

Mi sono espresso oggi col conte Aehrenthal nel senso del telegramma di

V.E. riservatissimo n. 3 23 91. Il conte Aehrenthal mi ha detto che era bene inteso che nelle dichiarazioni che sarebbe per fare alle delegazioni circa i rapporti ed alla intesa italo-russa, egli avrebbe affermato che le cose dettegli risultavano non già da una dichiarazione formale del R. Governo, ma da quello scambio di comunicazioni che si suole normalmente produrre tra governi specialmente tra governi alleati.

15

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 2549/240. Bucarest, 20 dicembre 1909 (per. il 7 gennaio 191 0).

Secondo risulta qui, la visita del re di Bulgaria al re di Serbia e le voci di trattative per una unione balcanica slava preoccupano assai i circoli politici ottomani. In ogni caso il mio collega di Turchia se ne mostra impensierito. Avendo avuto occasione di conversare non ha guarì famigliarmente con questo signor

13 I Cfr. n. 3. Sull'analogo passo di von Liitzow presso Guicciardini cfr. OeUA, vol. II, n. 1911. 14 1 T. riservatissimo personale 3239 del 18 dicembre, non pubblicato.

presidente del Consiglio, e chiestogli il suo pensiero sull'argomento, egli risposemi di dividere lo scetticismo di re Carol relativamente alla possibilità d'una intesa politica tra Stati aspiranti ad ingrandirsi a spese d'un terzo -il quale però non pare oggidì tanto prossimo ad aprire la propria snccessione -ed alieni dal farsi reciproche concessioni per quanto concerne le loro pretese territoriali.

E sono invero di natura a confermare il signor Bratiano nel suo scetticismo certi articoli apparsi nella Vechterna Pochta di Sofia -che, non so con qual fondamento, ha fama d'organo ufficioso -poco dopo le interviste di re Ferdinando col principe ereditario di Serbia e con re Pietro, articoli nell'uno dei quali era detto netto e chiaro che, per rendere possibile una intesa tra i due Paesi, i serbi dovevano rinunziare ad ogni loro pretesa in Macedonia, mentre in altri si facevano rivelazioni circa un preteso complotto ordito anni fa in Serbia contro il principe Ferdinando. Questo signor presidente del Consiglio è d'altronde d'opinione che la realizzazione della unione in parola costituirebbe un pericolo, poiché avrebbe sicuramente per conseguenza di gittare la Turchia completamente in braccia dell'Austria. Sarebbe invece desiderabile nell'interesse del mantenimento della pace e dell'equilibrio attuale nella penisola una lega balcanica di cui facesse parte l'Impero ottomano. Ma come credere alla sincerità della rinunzia alle loro pretese degli aspiranti alla successione del turco, e come convincerne quest'ultimo che ha tanti fondati motivi di diffidenza! Allo stato attuale delle cose il signor Bratiano non crede dunque neppure alla possibilità d'una lega siffatta. I tentativi di riavvicinamento tra gli Stati slavi dei Balcani, se portano seco l'inconveniente di rendere più vive le diffidenze della Turchia -e mi meraviglierei assai che l'Austria non s'adoperasse all'uopo -giovano per contro a smussare gli angoli, a attutire i rancori tra quelli Stati, e non è del tutto escluso che possano forse anche condurli ad una intesa sul terreno commerciale.

16

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO ... 1 . Roma, 21 dicembre l 909. ore l 4.

Sono ripetutamente giunte notizie a questo Ministero di mutamenti nell'amministrazione del Somaliland britannico, di preparativi verso frontiera Harrar con materiale ferroviario e viveri, di arrivi di truppe che si muovono con obiettivo piuttosto verso Harrar che verso Mullah. Un nostro abile fido informatore ha raccolto la voce che l 'Egitto intenda rivendicare la sua antica provincia di Harrar.

16' Il telegramma reca il n. 3268 depennato e sostituito da 4242. Nel registro dei telegrammi in partenza risulta che il T. 3268 era stato inviato a Berlino (un T. riservatissimo, il cui testo è stato omesso); non si trova nessuna traccia, invece, del T. 4242. Presumibilmente il telegramma venne conservato agli atti del Ministero con il n. 4242 (così lo cita Guicciardini nel T. 3313 del 26 dicembre, non pubblicato) ed inviato col n. 3268 (è con tutta evidenza il testo di questo telegramma il 3268 cui risponde Londra).

Tutto ciò unito al linguaggio contraddittorio della stampa inglese sui movimenti delle truppe del Somaliland, lascia credere che, dopo missione Wingate, qualche cosa di nuovo si prepari verso Harrar. Potrebbe, forse, trattarsi di semplici provvedimenti di difesa per la temuta eventualità di una sollevazione di quella provincia musulmana dopo la morte di Menelich. L'accordo di Londra del 13 dicembre 1906 esclude in modo assoluto che si possa attentare alla integrità della Etiopia: in ogni caso, l'azione di una delle due Potenze dovrebbe essere previamente concordata con le altre due. Non potendo quindi dubitare della lealtà dei propositi del Governo inglese, non vogliamo manifestare ad esso sospetti che suonerebbero offesa. Desidero, però, che V.E. sia informata di quanto precede per il caso che possa aver modo di chiarire la situazione. Intanto ella potrebbe chiedere a sir E. Grey se e quali provvedimenti il Governo britannico intende prendere nel Somaliland in previsione di torbidi alla frontiera harrarina dopo la morte di Menelich. Questa domanda le darà modo di entrare in argomento per scandagliare la situazione2.

17

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO 3888/279. Berlino, 22 dicembre 1909, ore 17,19 (per. ore 18,55).

Di concerto con ambasciatore d'Austria-Ungheria abbiamo oggi rimesso qui copia dei dispacci scambiati fra V.E. ed Aehrenthal relativamente agli affari dei Balcani. Ho apposto a quello di V.E. la data del 15 dicembre.

Il ministro ci ha ringraziato della comunicazione fattagli prendendone atto con viva soddisfazione e mi ha incaricato di rinnovare a V.E. le sue sincere felicitazioni per il compimento di un atto destinato a stabilire rapporti di completa fiducia fra l'Italia e l'Austria-Ungheria ed a rendere sempre più saldi i vincoli della nostra comune alleanza colla Germania.

32

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 3904/541. Pera, 23 dicembre 1909, ore 17,05 (per. ore 19,55).

Telegramma di V. E. n. 3109. La questione del riconoscimento del Banco di Roma è stata risoluta nel modo più conforme ai nostri diritti e senza creare alcun

Martino mi ha risposto che anche secondo lui era evidente l'utilità di simile atto, e che senza dubbio il Ministero acconsentirebbe alla spesa, ma che, tuttavia, egli non voleva fare la proposta poiché le ultime istruzioni ricevute riguardo i Senussi e che rimontano a due anni fa erano di non occuparsene poiché il centro delle relazioni con costoro era stato trasferito a Bengasi. Però, ha soggiunto il commendatore, se gli verranno istruzioni in proposito egli sarà ben contento di riannodare le relazioni coi Senussia, anche per mezzo di Mohammed Alì Elui bey, benché anche a proposito di quest'ultimo egli avesse avuto istruzioni di non servirsene. In conclusione, credo che l'accordo completo col commendator De Martino è cosa ormai fatta purché, assieme all'annuncio della mia venuta, egli riceva anche istruzioni che lo invitino a riannodare le relazioni quasi abbandonate anche con tutti quei personaggi che facevano capo a Mohammed Alì Elui bey interprete alla nostra agenzia diplomatica. Naturalmente io potrò benissimo essere l'intermediario per evitare che l 'agenzia diplomatica possa essere eventualmente tenuta d'occhio per queste sue relazioni con quegli (sic) personaggi, relazioni invidiate e temute e quindi insidiate da tutte le altre agenzie diplomatiche.

La cosa più urgente quindi oltre le istruzioni di cui ho parlato sopra sarebbe l'assentimento alla compera degli oggetti da inviarsi al Gran Senussi e a suo fratello. E poiché si tratta di cosa urgentissima sarebbe forse opportuno che il Ministero telegrafasse in proposito al commendatore De Martino.

*****

Assieme ai doni ed oltre alle lettere che il Ministero credesse opportuno far inviare ai Senussi, io ho intenzione di scrivere formalmente ai Senussi per metterei d'accordo con loro a proposito della penetrazione commerciale all'interno. Credo opportuno riassumere brevemente il mio progetto.

*****

Bengasi (e per ora mi limiterei a Bengasi per fare un passo alla volta) è la città alla quale fan capo le linee carovaniere che vengono dali 'interno della Tripolitania e dai sultanati del centro specialmente dal Wadai. Si tratta di un commercio una volta floridissimo, ma ora caduto a 506 milioni di franchi, ma che si potrebbe far rivivere. Tutte le linee carovaniere e il commercio stesso sono in mano ai Senussia.

Se si potesse andare d'accordo coi capi Senussia sarebbe facilissimo monopolizzare il commercio, basterebbe per ciò creare ad es., come già avevo iniziato prima del mio ritorno in Italia, una marca speciale da applicarsi a tutte le merci da trasportare ali 'interno e fare in modo che i Senussia comperassero esclusivamente le merci che portano la nostra marca.

Naturalmente bisognerebbe che le nostre merci fossero buone e non troppo care, in modo da poter sostenere un po' la concorrenza, non solo, ma si dovrebbe interessare per un tanto per cento i capo senussia, trovando una formula per far loro accettare questa percentuale; in questo modo li legheremo a noi oltre che per mezzo dei doni e della simpatia anche per mezzo dell'interesse. Iniziato questo commercio non sarebbe difficile creare ad Abecher, capitale del Wadai un emporio di queste merci, in modo che gli abitanti dei sultanati circostanti (Parfur, Kanem, Borku, Cibesti ecc.) potessero fornirsi ad Abecher, che diventerebbe così più importante di Comboctù, senza dover attraversare tutto il Sohora per recarsi alla costa, o percorrere dei mesi a cammello per giungere o in Egitto o alle città dell'Atlantico. Il piano è semplice ed avrei già pronti anche degli appoggi finanziari, ma prima di ricorrervi, è necessario che il governo mi appoggi per preparare il terreno efficacemente.

Sono quindi sicuro che S.E. il Ministro vorrà favorire questa preparazione inviando sollecitamente le istruzioni chieste, al commendator De Martino.

*****

Jeri sera è giunto in Cairo Sidi Mohammed el Mauhub capo della zauia senussita di Wahat el Dakle, egli ha annunciato l'arrivo per domani o posdomani di Sidi Alì el Ebedie che è inviato dal Gran Senussi in missione in Arabia presso Saied Mohammed ben Alì el Idrissi chiamato il Mahdi del Yemen. La cosa è importantissima e speriamo che quando egli giungerà ci spieghi in che cosa consista questa sua missione.

*****

A proposito dell'Idrissi, da lettere giunte in questi giorni abbiamo rilevato che egli marcia con circa 100.000 uomini contro le tribù di Zaranik che abitano fra Sanaa e Hodeida, e che interrompono il commercio coi loro saccheggi e assassini.

Egli ha ottenuta per questa sua azione, l'approvazione del generalissimo turco, mentre il valì di Hodeida, che gli era contrario, è stato destituito. Credo però che i turchi giochino una carta pericolosa poiché gli arabi diventeranno forti e impareranno a far senza di loro e questi capi costituiranno uno stato entro lo stato. Ma a proposito della situazione dei giovani turchi scriverò a lungo in proposito poiché pare che la corrente avversa ai giovani turchi si accentui sempre più e ci riservi delle sorprese.

*****

Per cortesia del commendator De Martino mi servo della valigia diplomatica per farle pervenire questa mia e farò sempre così specialmente quando si tratterà di argomenti delicati e importanti come quello dei Senussia.

Le sarei grato se di tempo in tempo mi volesse comunicare le di lei impressioni personali.

Se, come spero, spariranno tutti i malintesi che finora hanno inceppata la mia azione io son sicuro di dimostrare fra non molto che il lavoro mio sarà ab·bastanza utile per quello che riguarda la nostra influenza nell'Oriente musulmano.

16 2 Per la risposta cfr. n. 24.

33

IL MINISTRO A BRUXELLES, BONIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 7/4. Bruxelles, 4 gennaio 1910 (per. il 7).

Mi riferisco al mio rapporto del 30 dicembre u.s. n. 1520/553'.

Quando si prorogò il 20 luglio 1908, dopo circa tre mesi di lavoro, la Conferenza per le armi, il nostro progetto d'Atto addizionale all'Atto generale di Bruxelles aveva dato luogo a riserve della Spagna, dell'Olanda, della Turchia, della Germania, della Francia. Quelle della Spagna erano di pura forma e furono tosto abbandonate, quelle dell'Olanda concernevano un punto secondario di scarso interesse per noi; quelle della Turchia e della Germania, comunque assai più importanti, sembravano poter venire eliminate mediante opportune concessioni; essenziali e difficilmente riducibili apparivano fin d'allora quelle della Francia. In tali condizioni un 'utile ripresa dei lavori era subordinata ali 'ipotesi che un fortunato negoziato diretto fra il nostro Governo e quello della Repubblica potesse condurre ad un accordo cui la Conferenza non avesse più che dar forma a conchiusioni definitive. Questo negoziato non avendo potuto aver luogo, la ripresa dei lavori non poteva a sua volta avere altro scopo che di constatare l'impossibilità dell'intesa e attribuirne a quel Governo cui spettasse la responsabilità. E tale intento appunto mi designavano le istruzioni del R. Governo.

Pur essendo da deplorare che il nostro lungo lavoro non potesse approdare che a quel risultato negativo, dobbiamo oggi constatare che esso è stato pienamente raggiunto. Occorreva perciò che la Francia, sola irremovibile avversaria delle nostre proposte, rimanesse del tutto isolata nella sua opposizione, e dall'ultimo protocollo della conferenza viene appunto constatato che mancò alla Francia l 'appoggio di qualsiasi altra Potenza. Ciò fu ottenuto grazie ali 'abile negoziato condotto dalla r. ambasciata a Berlino per cui furono eliminate le numerose riserve tedesche, grazie all'esclusione consentita dalla Turchia della Tripolitania dalla zona d'interdizione e grazie ad una opportuna concessione più formale che sostanziale fatta dall'Olanda all'art. 5. E così nel protocollo di chiusura si poté accertare che tutte le delegazioni erano disposte a firmare il progetto d'Atto addizionale e che soltanto l'opposizione della sola delegazione francese impedì alla conferenza di giungere alla stipulazione del nuovo accordo internazionale.

Tale soluzione non era quella desiderata dal Governo francese il quale, avendo dato alla sua delegazione istruzione di dichiararsi pronta a firmare anche subito un accordo che non comprendesse gli articoli da essa riservati, mostrò che avrebbe preferito che la conferenza venisse alla firma d 'un atto qualsiasi. Così la Francia senza crearsi in realtà nuovi obblighi avrebbe evitato che apparisse il suo

isolamento assoluto in una quistione che interessa l'avvenire della civiltà in Africa, isolamento che rimane invece ufficialmente constatato negli atti della conferenza.

Il risultato morale che unicamente vagheggiavamo alla ripresa dei lavori della conferenza può dirsi quindi conseguito. Resta or da esaminarsi se e quale risultato pratico può ancora derivarsi dalla presente situazione. È indubitato che la posizione da noi presa in seno alla conferenza, le ragioni da noi esposte, i pericoli da noi segnalati e le proposte da noi fatte che raccolsero i suffragi di tutte le Potenze meno una, ci mettano in buona posizione per applicare alla repressione del traffico delle armi ogni misura consentita dagli accordi in vigore e dal diritto delle genti per quanto essa possa dispiacere ad altri Stati. Potremo, quindi, con la maggiore severità, esercitare il nostro diritto di polizia marittima nelle acque territoriali e in alto mare e rendere intensa, quanto lo concedano le ragioni politiche e finanziarie, la sorveglianza del traf:. fico delle armi per le vie di terra. E a questo proposito rammenterò che il signor Lecomte, nelle sue conversazioni private, mi disse fino ali 'ultimo giorno che, a giudizio delle autorità francesi, l'insufficienza da noi segnalata delle disposizioni dell'Atto generale di Bruxelles era soprattutto da attribuirsi ali' inesistenza di posti permanenti sulla nostra costa tra il Guardafui e il Bender Casslm.

Siccome però l'azione isolata di una Potenza riuscirà sempre inefficace di fronte al progressivo diffondersi del male che lamentiamo, resta da esaminare se, riuscito vano il tentativo d'un vasto accordo internazionale, non possano per avventura stringersi, fra le Potenze più direttamente interessate, dei patti speciali che ci diano almeno in parte le desiderate guarentigie. Troveremo in ciò pronti appoggi da parte dell'Inghilterra la quale ci fu, in tutto il corso della conferenza, attiva alleata e che, se quanto mi lasciò intendere sir A. Hardinge corrisponde al vero, si proporrebbe di rafforzare sempre più la sua azione repressiva del contrabbando delle armi. Devo aggiungere che lo stesso signor Beau, nel manifestarmi in private conversazioni il suo rammarico che la conferenza non avesse potuto approdare al risultato da noi ambito, mi accennò vagamente alla possibilità che il suo Governo, mediante speciali accordi diretti, accettasse a titolo d'eccezione talune di quelle disposizioni che, a tutela di principi generali sempre sostenuti dalla Francia, esso dovette rifiutarsi ad inserire in un atto solenne recante la firma di tutte le Potenze e soggetto alla discussione parlamentare. Non so quanto questa suggestione del signor Beau corrisponda in fatto alle idee del Governo francese, e devo osservare altresì che il signor Lecomte, il quale assai più del mio collega rappresenta il pensiero dell'amministrazione coloniale francese, non mi disse nulla di simile. Ho creduto in ogni modo opportuno di segnalare all'E.V. quelle parole del signor Beau anche perché non riterrei del tutto inutile di salvare potendolo, con un accordo diretto e se vuolsi sotto la forma di un semplice scambio di note, alcune delle épaves della conferenza come per esempio le disposizioni degli art. 2, 3 e 4 già accettati dalla Francia.

Chi si mostrò invece pieno di zelo per la conclusione d'un accordo speciale per la repressione del traffico d'armi fra le quattro Potenze interessate nel Mar Rosso, fu il delegato turco Raghib bey che mi disse d'avere già invitato il suo Governo a porsi su quella via. Credetti opportuno di non togliergli ogni speranza pur riservando interamente l'opinione del Governo del Re. Se infatti mi spiego benissimo che il Governo turco cerchi ogni riparo ai pericoli che lo minacciano nell'Yemen parmi difficile che gli altri tre Governi possano indursi a stringere con la Sublime Porta degli accordi che dovrebbero comprendere l'autorizzazione reciproca della visita delle navi nelle acque territoriali. Ed è probabile che il mio collega ottomano mirasse ad indebolire con l'accordo che egli vagheggiava, non tanto la rivolta dell'Yemen, quanto è regime delle capitolazioni.

Nel chiudere questo mio ultimo rapporto sui lavori della conferenza è mio dovere di segnalare all'E.V. l'opera attiva, solerte ed abilissima dei due delegati tecnici commendator Fiore e comandante Cerrina, la collaborazione dei quali mi fu veramente preziosa così per la redazione del nostro progetto d'Atto addizionale come nel corso della discussione e nei rapporti con le varie delegazioni. Non posso infine non esprimere il rammarico che la bontà della cauéi, che noi sostenevamo non abbia condotto i nostri modesti ma assidui sforzi a migliore risultato: possiamo però constatare, in pari tempo, non senza soddisfazione, che le nostre proposte, non solo nella sostanza loro ma anche nella forma in cui erano state presentate, hanno riportato l'approvazione di tutti quegli Stati che erano venuti alla conferenza senza l'intenzione ben ferma di nulla aggiungere ai patti in vigore.

33 l Cfr. n. 29.

34

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, TOMMASINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 41/1. Vienna, 5 gennaio 1910, ore 17,15 (per. ore 18,40).

Aehrenthal mi ha detto di non avere ricevuto notizie da Costantinopoli dopo la caduta di Hilmi pascià. Egli si augura che Hakky bey continuerà la politica di Hilmi pascià e di Rifaat. Il giuramento del Governo cretese al re di Grecia ed il malumore dei bulgari per lo scioglimento delle associazioni nazionali in Macedonia potrebbero far nascere qualche difficoltà, ma esse saranno facilmente superate se le Grandi Potenze agiranno, come tutto lo fa sperare, di pieno accordo. Aehrenthal disse al re di Bulgaria, nel colloquio del 23 dicembre, che l'Austria-Ungheria desidera assolutamente il consolidamento del nuovo regime in Turchia, e non crede che la Bulgaria possa prendere ora un atteggiamento pericoloso.

35

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 49/2. Tunisi, 5 gennaio 1910, ore 19,30 (per. ore 13,55 del 6).

Agente consolare Gabes telegrafa che jeri arrivarono colà partendo subito per Dehibat, estrema frontiera tripolo-tunisina, considerevoli forze armate militari; attendonsene altre da parecchie parti della Reggenza. Parlasi di cosa grave; vi sarebbero morti e feriti francesi, fra cui qualche ufficiale; ufficio informazioni sarebbe stato devastato; credesi ad una avanzata generale ed estensione frontiera meridionale. Agente consolare chiede l'autorizzazione a qualche spesa per essere bene informato. Aggiungo che agente consolare Sfax telegrafa presso a poco stesse coset.

36

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, TOMMASINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 30/14. Vienna, 6 gennaio 1910 (per. l' 11).

Faccio seguito al mio rapporto n. 9 del 21 ed al mio telegramma n. l del 5 corrente2.

Nel colloquio che ebbi ieri col conte Aehrenthal, gli chiesi se avesse qualche ragione di temere che l'atteggiamento assunto dal Governo ottomano di fronte alle associazioni nazionali bulgare in Macedonia potessero provocare in Bulgaria una politica meno amichevole di fronte alla Turchia e se il re Ferdinando gli avesse detto qualche cosa in proposito nella visita che gli fece il 23 dicembre

u.s.

Il conte Aehrenthal mi rispose di aver parlato col re Ferdinando soltanto in termini generali. «Gli ho detto -soggiunse -che egli aveva fatto poco fa quelle visite, le quali, se non ispiravano preoccupazioni nei Governi bene informati, potevano però suscitare apprensioni nell'opinione pubblica turca ed indurre anche altri in inganno. Noi vogliamo che non si faccia nulla contro la Turchia. Noi, come tutte le altre Grandi Potenze, abbiamo bisogno che la Turchia divenga forte. Non credo che la Bulgaria possa assumere ora un'attitudine poco amichevole ver

36 l Cfr. n. 30. 2 Cfr. n. 34.

so la Turchia: un anno fa, essa avrebbe potuto profittare di un momento favorevole. Ora non più. Spero e credo che tutte le Grandi Potenze sarebbero concordi nell'agire per evitare qualsiasi perturbamento nella Penisola balcanica».

Le parole del conte Aehrenthal vengono a precisare la situazione (sic) che il Governo Imperiale e Reale ha preso di fronte alla possibilità della costituzione di una lega balcanica. Esso evidentemente l'avversa. Probabilmente, in fondo a tale avversione, c'è il timore che la lega possa, al momento dello sfacelo dell'Impero ottomano, ostacolare i movimenti della politica austro-ungarica. Ma per ora l'opposizione del Gabinetto di Vienna sembra diretta a rassicurare ed a cattivarsi la Turchia o ad impedire la ripresa delle agitazioni bulgare e serbe in Macedonia.

35 l Per il seguito della questione cfr. n. 37.

37

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 69/5. Tripoli di Barberia, 7 gennaio 1910, ore 15,15 (per. ore 18,45).

Fin da martedì, corre voce qui di un incidente, svoltosi con molti colpi di fucile, alcuni uccisi e parecchi feriti, tra spahis franco-tunisini e gendarmi turchi, rispettivamente sostenuti dalle proprie tribù per causa del pozzo Monteser tra Nalut e Gadames. Valì, cui ne chiesi subito, ha smentito lo scontro, togliendo ogni importanza al fatto e attribuiva invio battaglione truppa per prevenire incidenti tra le tribù di confine tripolo-tunisine.

38

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GALLINA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 88/6. Parigi, 8 gennaio 1910, ore 19,25 (per. ore 22,40).

Telegramma n. 491. Governo francese non potendo più riconoscere per parte sua il modus-vivendi concordato nel settembre del 1908 stante l 'importanza di certe cause che non è possibile definire all'amichevole ma richiedono un formale responso dei tribunali, ha chiesto al Governo cretese il ritorno allo statu quo esistente prima di quella data che porta come conseguenza la presenza dei drago

38 I Con T. 49 del 6 gennaio, non pubblicato, Guicciardini comunicava alle ambasciate a Londra, Parigi e Pietroburgo di essere disposto ad autorizzare il reggente il consolato a Canea di insistere per l'esecuzione del concordato modus vivendi.

manni consolari davanti ai tribunali; però, nella previsione di una risposta negati-va, ha studiato quale sanzione sarebbe possibile in tal caso alla sua domanda .. Console di Francia alla Canea, interrogato in proposito, ha proposto che i nego-· zianti dei vari Paesi si accordino per non più fare affari coi cretesi se non a contanti ciò che corrisponderebbe a non fame affatto stante le loro condizioni finan-· ziarie. Pur riconoscendo le difficoltà pratiche di una tale misura, il Governo fran-· cese è disposto a tentarla ed a proporla agli altri tre Gabinetti rifuggendo da misure coercitive che potrebbero peggiorare la situazione generale e rinfocolare pericolo del problema cretese. Ambasciata francese a Roma ha avuto istruzioni di intrattenere di ciò l'E.V.

39

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GALLINA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T 87/7. Parigi, 8 gennaio 1910, ore 19,25 (per. ore 22,40).

Telegrammi nn. 47 e 59'. Incidente turco-tunisino è stato provocato dall'incontro su territorio di incerta pertinenza di due drappelli appartenenti, l 'uno ad una guarnigione turca, l 'altro ad una guarnigione francese di due presidi vicini alla frontiera tripolo-tunisina. Incidente in se stesso non ha avuto grande importanza ed i due Governi lo considerano chiuso colle rispettive assicurazioni scambiatesi e cogli ordini inviati alle due guarnigioni. Però il Governo francese ha rinnovato le sue insistenze per una pronta delimitazione della frontiera che già vari avvenimenti hanno mostrato assolutamente necessaria. Il Governo ottomano ha risposto annuendo, ma è probabile che cercherà nuovi pretesti a dilazioni poiché con tale delimitazione esso verrebbe a riconoscere l'occupazione francese della Tunisia, ciò che non ha mai voluto fare.

40

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T 72. Roma, 8 gennaio 1910, ore 21.

Creta. Questo incaricato d'affari di Turchia mi ha rimesso ieri copia di un dispaccio col quale, prendendo occasione dal giuramento al re di Grecia prestato

dal nuovo Comitato esecutivo cretese, e dalla risoluzione della Camera cretese di mettere in vigore nell'isola le leggi elleniche, il suo Governo protesta contro questa nuova flagrante violazione dei diritti sovrani del sultano, che esso considera come una provocazione non solo verso il Governo imperiale stesso, ma anche verso le quattro Potenze protettrici. I fatti citati nel dispaccio non sono che la ripartizione di quanto era precedentemente avvenuto in simili circostanze, né possono quindi venir ravvisati come un mutamento dello statu quo. A parer mio però, sarebbe miglior partito lasciare senza risposta questa nuova comunicazione ottomana, la quale del resto non ne chiede.

(Per Londra, Parigi, Pietroburgo). Prego VE. di farmi conoscere il pensiero di codesto Governo in proposito'·

39 l T. 47 del 6 gennaio e T. 59 del 7 non pubblicati, con i quali Guicciardini chiedeva informazioni sull'incidente franco-ottomano alla frontiera tripolo-tunisina.

41

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 98/14. Pera, [9} gennaio 1910, ore 12,50 (per. ore 14,50).

Telegramma di V. E. n. 47'. Alla Sublime Porta si dichiara che incidente fu provocato da soldati tunisini che in numero di duecento penetrarono territorio ottomano. Non vi furono né morti né feriti. Ministro degli affari esteri ritiene incidente sarà risoluto presto senza difficoltà. Ambasciata di Francia, però, sembra voler profittare occasione per ottenere nomina commissione incaricata procedere definitivamente delimitazione frontiera.

42

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, GALLINA

T. 81. Roma, 9 gennaio 1910, ore 23,15.

Creta. Questa ambasciata di Francia mi ha infatti comunicato proposta del console francese alla Canea, cui si riferisce il telegramma di V.E. n. 6'. Secondo

essa, azione Potenze protettrici dovrebbe percorrere due stadi: nel primo, i consoli insisterebbero, anche per iscritto, presso il Comitato esecutivo, perché sia regolata la questione dei processi misti, aggiungendo che, in caso di rifiuto, le Potenze sarebbero obbligate di prendere altre misure; nel secondo, i consoli notificherebbero al Comitato esecutivo che le Potenze, viste le difficoltà che si oppongono ali'esercizio della giustizia in Creta, sono risolute ad invitare i loro nazionali rispettivi a non conchiudere più alcun affare di commercio coi cretesi, salvo che per contanti, e a render responsabile il Governo cretese dei danni derivanti ai loro nazionali dalla diniegata giustizia; tali dichiarazioni dovrebbero essere fatte dai rappresentanti di tutte e sei le Grandi Potenze.

La prima di queste proposte non differisce sensibilmente da quella cui alludevo nel mio telegramma n. 492, salvo lievi divergenze di forma, sulle quali sarebbe facile l'accordo. Avrei invece gravi obiezioni circa la seconda. Poiché, anche a prescindere dal fatto che non sembra guari dicevole per i Governi il farsi promotori di una specie di boicottaggio ufficiale, conviene pure por mente che, affinché il proposto provvedimento riesca realmente efficace, occorrerebbe assicurarsi il concorso non solo delle sei Grandi Potenze, ma anche di tutti quegli altri Stati che hanno relazioni commerciali con Creta, e ciò per evitare che vengano sviate le correnti del traffico. E, anche in questo caso, è da prevedersi che molti negozianti, per motivi di particolare interesse, infrangano il divieto, distruggendone l'effetto. Voglia esporre al Governo della Repubblica le considerazioni che precedono, e riferirmene la risposta.

40 l Per la risposta da Londra cfr. n. 46. Per il pensiero del Governo di Parigi cfr. n. 42 ed infine per la risposta da Pietroburgo, Melegari comunicava con T. 191 del 18 gennaio, non pubblicato, che il Governo russo condivideva l'opinione italiana di lasciare senza risposta la nota turca relativa al giuramento del Comitato esecutivo.

41 l Cfr. n. 39 nota l.

42 l Cfr. n. 38.

43

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 57/14. Washington, 9 gennaio 1910 (per. il 24).

Il Governo americano diramò, in data recente, alle Potenze che hanno interessi immediati e diretti nell'Estremo Oriente, Giappone, Russia, Inghilterra, Germania e Francia, una domanda circolare tendente ad internazionalizzare le ferro-· vie della Manciurial.

Cotale progetto, al quale il presidente Taft aveva fatto allusione sino dallo scorso novembre col mio collega di Germania, si prefigge tre scopi: assicurare l 'open door, mettere alla prova la veracità giapponese al riguardo, prevenire le nuove cause di conflitti che, da quella parte, potrebbero prodursi fra Giappone e Russia.

431 Al riguardo si veda FRUS, 1910, vol. LXXVI, pp. 234/236.

Questo rappresentante di Germania ha potuto rispondere, quando il progetto ebbe preso forma più concreta, che il Governo imperiale non avrebbe avuto difficoltà ad entrare in quell'ordine d'idee, purché fosse adottato dalle Potenze più interessate, cioè dal Giappone e dalla Russia. Ma nessuna risposta è sinora giunta da Pietroburgo né da Tokio, e si fa taccia al signor Knox di non avere previamente scandagliato l'animo dei due Governi.

Sebbene l 'Italia non sia stata considerata come avente interessi diretti ed immediati nell'Estremo Oriente (come non lo furono considerati i Paesi Bassi, nonostante le estese loro colonie asiatiche) qualcuno mi ha interrogato in proposito. Per mia norma eventuale di linguaggio, mi sono permesso di telegrafare a VE. domandando se l'ambasciatore degli Stati Uniti2, od altri, le avesse parlato del progetto americano ed in quale senso l 'E. V. avesse creduto di pronunciarsi3.

42 2 Cfr. n. 38 nota l.

44

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 38/4. Budapest, 9 gennaio 1910 (per. il 15).

Il nuovo Gabinetto italiano è stato da principio accolto in Ungheria con qualche segno di incertezza e di diffidenza. Questa opinione pubblica ed anche questi uomini di Stato sono poco ben istruiti nelle cose della politica estera; ed in essi era il vago ricordo che il presidente non meno che il ministro degli esteri del nuovo Gabinetto avevano votato contro la politica de li' onorevole Tittoni, come quella che essi avrebbero accusato di essere troppo ligia all'Austria.

Le opportune dichiarazioni che VE. non tardò a far fare a Vienna ed a Berlino, ed anche il tempestivo intervento del Pester Lloyd che riprodusse le esatte parole pronunziate da S.E. l'onorevole Sonnino e da VE. in quella memorabile occasione mi paiono aver ora rimesso le cose al posto, ed aver persuaso opinione pubblica ed uomini politici de li'Ungheria che chiunque arrivi al potere in Italia fra gli uomini che nelle attuali circostanze sono più e meglio indicati per giungervi, una cosa è per adesso sicura, che cioè la fedeltà alla Triplice Alleanza rimane la base fondamentale della politica estera italiana. Non so di Vienna, ma qui certo non è inopportuno di ripeter spesso e di far sentire quella verità, perché i miei colleghi francese e russo (seguendo in ciò l'esempio dei più autorevoli diplomatici dei loro Paesi) non cessano dali 'asserire a chi lo vuole intendere che l'adesione de li 'Italia alla Triplice Alleanza è cosa ormai formale, ma che i suoi interessi e la sua azione sono strettamente legati con quelli delle Potenze della così detta Triplice Intesa.

Nell'occasione della recente crisi ministeriale italiana, come pure nell'occasione del convegno di Racconigi (intorno al quale mi permetto di richiamare l'attenzione di V. E. sul mio rapporto n. 189 -9 novembre), la morale che io ho creduto di poter dedurre dai discorsi qui intesi e dall'attitudine generalmente da me osservata, si è la immensa importanza, forse superiore a quanto generalmente si creda in Italia, che si annette in questo Paese a che l'Italia non cambi di rotta politica. Esaminando i motivi di una tal premura, cui non va di tanto in tanto disgiunto qualche sospetto, mi sembra che non ultimo debba considerarsi fra di essi il così detto pericolo slavo, che agli occhi dei magiari va ingrandendo rapidamente. L'eventualità di un allontanamento del nostro Paese dalla unione coll'AustriaUngheria e colla Germania vien qui considerato come una probabile causa ed un probabile effetto, ad un tempo, di un aumento di influenza slava nel Regno di Ungheria e di un conseguente abbassamento di preponderanza magiara. Come causa, perché il riavvicinarsi efficace dell'Italia alla Russia sarebbe considerato dagli slavi del Regno come un accrescimento di forze pel quel nucleo politico dell'Europa cui essi so n pur costretti a guardare come al faro luminoso che può condurli un giorno al porto delle loro aspirazioni. Come effetto, perché se si realizzasse un giorno quel trialismo nella Monarchia o quella federazione cui gli slavi non cessano di aspirare, probabilmente tutta la politica estera della Monarchia ne subirebbe il contraccolpo e sarebbe obbligata a distaccarsi dalla intima unione coll'Impero germanico, la quale al momento presente i magiari considerano come la miglior garanzia della propria preminenza nel Regno, nonostante i loro dissidii talora più apparenti che sostanziali coli' elemento germanico d eli' Austria e della stessa Ungheria. Ed a questo proposito debbo notare che l'idea da me accennata nel mio rapporto n. 202, 22 novembre sulla scorta di conversazioni avute con un giovane uomo politico di crescente importanza, che cioè il regolamento ultimo e definitivo della questione della Bosnia Erzegovina non possa aver luogo che colla istituzione di quel trialismo tanto temuto dai magiari, si fa strada lentamente nella stampa europea, come lo prova ad esempio una corrispondenza da Budapest nel numero del 4 corrente del Temps, i cui termini offrono coincidenze così singolari con quanto nelle suaccennate conversazioni a me fu detto, da farmi ritenere che il corrispondente del Temps possa avere attinto la sua ispirazione dalla medesima persona che indicò a me questa, sebben lontana pure probabile e possibile, prospettiva nell'avvenire politico della Monarchia.

Che poi, come dicevo poc'anzi, di fronte al pericolo slavo i dissidii fra magiari e germani nella Monarchia possano talora attutirsi al punto da sembrar completamente svaniti è stato provato dai recenti processi di Agram e di Vienna. Non ho qui da entrare nelle particolarità ormai notorie di quei due celebri procedimenti che non hanno certo giovato ad accrescere la reputazione di indipendenza nella magistratura ungherese e nella austriaca, né di oculatezza nella diplomazia austro-ungarica. Ma ad ogni modo questo resta provato dali' attitudine evidentemente parziale in quelle due circostanze dei Governi ungherese ed austriaco che il pericolo di una stretta intesa fra i serbi ed i croati del sud dell'Ungheria è ugualmente temuto dal Ministero degli affari esteri di Vienna e dal Governo ungherese come tale. Dal primo come prodromo di una orientazione delle popolazioni serbo-croate della Ungheria verso il Regno di Serbia; e questo è, secondo i giudici più spassionati di qui, prova di miopia politica nel Ministero di Vienna. Dal secondo, con più fondato timore, come termine possibile di quelle lotte intestine fra gli slavi del Regno, le quali permettono ai magiari di dominarli senza pietà e senza controllo di Parlamento o di stampa libera, cose che non esistono più neppur di nome nella Slavonia e nella Croazia.

La sempre crescente pubblicità che viene data in Europa e specialmente in Inghilterra alla quistione slava in Ungheria preoccupa non poco gli uomini che sono oggi ancora al potere e quelli che forse vi giungeranno domani. A mo' d'esempio il conte Alberto Apponyi mi parlava recentemente con vivo risentimento e quasi con collera, dei libri del famoso Scotus viator (The racial problem in Hungary, Absolutisms in Kroatien etc.), asserendo che essi si basano sopra calunnie e menzogne spudorate, ed esprimendomi l'intenzione di confutarli il giorno in cui egli fosse finalmente libero dal ministero. Ed il conte Teleki, che probabilmente sarà il ministro in una della prossime combinazioni, mi parlava con non minor violenza della corrispondenza che manda al Times da Vienna lo Steed, ben noto anche a Roma per esservi stato lungo tempo corrispondente di quel giornale. Accludo a questo rapporto un estratto del n. 31 dicembre! come saggio di quella prova che fa uscir dai gangheri i magiari, gelosi della loro supremazia nel proprio Regno anche più che sospettosi della preponderanza austriaca negli affari comuni.

In sostanza, tornando ali' inizio da cui mossi, l'Italia fedele alla Triplice A 1leanza è per l'Ungheria elemento politico di tale inestimabile vantaggio che non vedo sacrifici cui essa (se libera di imporre il proprio special modo di vedere) non sottostarebbe volentieri per conservarlo. Di ciò, a mio credere, non dovranno mancar di tener conto quei negoziatori che, in un avvenire non troppo lontano, saranno chiamati a rinviare o a rivedere i patti interregionali base presente dello status diplomatico del!' Italia.

43 2 T. confidenziale l 06, pari data, non pubblicato. 3 Con T. 86 del l O gennaio, non pubblicato, di San Giuliano rispose che, se interpellato, avrebbe accettato la soluzione gradita alla maggior parte degli altri Governi.

45

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 109/3. Atene, [10] gennaio 1910, ore 2,35 (per. ore 14,10 del 10).

Il console britannico a Canea ha telegrafato in data di ieri al proprio Governo quanto segue:

«Par l'entremise de son secrétaire, M. Zai'mis nous fait savoir que S.M. le Roi de Grèce a manifesté l'intention de le nommer premier ministre si le Cabinet actuel donne sa démission. Cette intention pourrait bientòt se réaliser, mais, se trouvant lié par sa charge de Haut Commissaire, dont le terme n'expire qu'au mois de septembre 1911, M. Zai'mis ne se sent pas libre de prendre une décision, à moins que !es Puissances ne consentent à mettre fin à son mandat. Vu l 'urgence de la question, sollicite votre avis par le télégraphe».

Sir Edward Grey avendo comunicato quanto precede a questo ministro d'Inghilterra, quest'ultimo ha inviato al Foreign Office, in data di ieri, il seguente telegramma:

«Je ne pense pas qu'il y ait eu question de M. Zai'mis, comme premier ministre depuis la clòture de l'incident Lapatiotis. Mais la démission du Ministère ou son renversement par la ligue militaire peut arriver à tout moment et il serait regrettable si une difficulté technique concernant le Haut Commissaire empechait l'entrée au pouvoir de M. Zai'mis en qui tout le monde ici aurait confiance».

Per parte mia, mi limito ad osservare che richiamo del signor Zai'mis, senza sostituirlo, sarebbe infrazione allo statu quo assicurato dalle Potenze alla Turchia e che la nomina del nuovo alto commissario potrebbe creare altri imbarazzi in questo momento. Del resto, non ravviso il bisogno dell'intervento delle Potenze protettrici per por fine mandato del signor Zai'mis, questi avendo pur sempre facoltà di dimettersi senz'altro, come avrebbe già fatto un anno fa se i rappresentanti delle quattro Potenze non ne lo avessero dissuaso.

Mi associo, poi, pienamente agli apprezzamenti del mio collega inglese sul signor Zai'mis e sull'eventuale sua nomina a presidente del consiglio.

44 l Non si pubblica.

46

L'AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 114/3. Londra, 10 gennaio 1910, ore 6,52 (per. ore 21,20).

Creta. Rispondo suoi telegrammi nn. 491, 722, 80 e 823, e completo mio telegramma n. 24. Grey ancora assente. Hardinge mi disse adesso quanto segue.

46 I Cfr. n. 38 nota l.

2 Cfr. n. 40.

3 T. 80 e T. 82 del 9 gennaio, non pubblicati.

4 Con T. 73/2 del 7 gennaio, non pubblicato, di San Giuliano riferiva l'intenzione del Governo britannico di attendere la risposta del Governo russo prima di dichiarare il proprio punto di vista sul problema di Creta.

Primo Governo britannico ha chiesto opinione altre Potenze protettrici circa eventuale risposta circolare turca, menzionata nel telegramma 72. Quando conoscerà loro pensiero deciderà. Hardinge, personalmente, inclina non ritenere violato statu quo, essendo questa la terza volta che Governo cretese giura fedeltà al re di Grecia, e la seconda che introduce legislazione greca.

Secondo: Governo britannico si riserva esaminare se e che cosa possa farsi per impedire nomina Zalmis a presidente del Consiglio Grecia. Hardinge crede sia fatta apposta per sopprimere alto commissario. Crede, però, che ciò gioverebbe più ai fini della Turchia che a quelli della Grecia, perché le quattro Potenze dovrebbero concordare colla Turchia la scelta del successore.

Terzo: circa modus vivendi giudiziario, Hardinge dice che Governo russo divide opinione espressa da V.E. nel telegramma n. 49. La proposta francese relativa al secondo stadio dell'azione delle Potenze protettrici, quale è esposta nel telegramma di V.E., è diversa da quella telegrafata al Governo britannico dal suo ambasciatore a Parigi. Questi telegrafa che, nell'assenza di Pichon, Bapst gli ha detto che Governo francese non è favorevole alla continuazione del modus vivendi giudiziario, ma pensa che si debba ritornare allo stato di cose anteriore al settembre 1908.

Governo britannico si riserva di esaminare e decidere. Hardinge, personalmente, crede che, tanto quest'ultima proposta francese, quanto quella di invitare i rispettivi connazionali a non concludere affari con i cretesi, salvo che per contanti, non siano pratiche.

47

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE 29/18. Atene, l0 gennaio 1910.

In relazione al telegramma dell'E.V. del 6 corrente n. 48', ho l'onore d'inforrnarla che questo ministro di Turchia mi ha confidenzialmente comunicato un rapporto in data del 28 dicembre ultimo scorso, col quale l'ex ambasciatore di Turchia a Roma rese conto al proprio Governo delle dichiarazioni da lui fatte all'E.V. relativamente alle cose di Creta. S.A. Hakky bey riferisce in quel suo scritto che nel colloquio avuto con V.E. egli si espresse nei termini seguenti: «Nous avons le plus ferme désir d'ètre pour la Grèce si non un allié, ce qui n'est nécessaire d'aucune façon, un ami constant et sans vi

sée aucune. Nous avons assez prouvé nos sentiments bienveillants à l'égarcl de ce Pays, mème durant la crise actuelle; nous serions disposés -ai-je dit ·· à donner à notre amitié une forme plus concrète si la Grèce cessait ses bra-vades enfantines et ses visées sur una ìle qui nous appartient et que nous ne sommes pas disposés à lui ceder sans guerre. Et encore faudrait-il voir towt d'abord -ai-je ajouté en terminant -qui du Roi, du Ministère, du Parlemenlt ou de la ligue militaire est le réel Gouvernement de la Grèce et a le droit de parler en son nom».

Naby bey mi ha inoltre dato comunicazione di un telegramma di Hakky bey nel quale riferiva gli sfavorevoli apprezzamenti dell'E.V. circa il giuramento pre-stato in nome del re degli elleni dalla nuova commissione esecutiva cretese.

Nell 'intrattenermi di quanto precede il mio collega ottomano ha aggiunto che v'era luogo d'attendersi una politica molto energica rispetto agli affari d1i Creta da parte del nuovo Gabinetto di Costantinopoli, il quale confida d'avere in ciò l'appoggio delle Potenze protettrici.

47 l T. 48 del 6 gennaio, non pubblicato.

48

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 52/22. Berlino, Il gennaio 1910 (per. il 14).

I giornali hanno nuovamente parlato in questi ultimi tempi con insolita insistenza di un supposto progetto che si sarebbe posto in discussione fra la Germania e l'Inghilterra per una reciproca limitazione degli armamenti. Le cose che più di una volta ebbi ad esporre su codesto argomento mi dispenserebbero dal far caso di quella notizia, priva in effetto di qualsiasi fondamento, se non fosse interessante rilevare l'accoglienza ad essi fatta in Germania dalla stampa che per un momento vi ha creduto od ha mostrato di credervi. Quest'accoglienza, bisogna riconoscerlo, è stata poco incoraggiante, in quanto che il semplice annunzio di quei negoziati ebbe per primo effetto di accendere k diffidenze dei fogli nazionalisti e di fornire nuovo alimento ai loro attacchi contro il Governo ed in ispecie contro il segretario di Stato signor von Schoen, che ne è da qualche tempo preso di mira. Tutto ciò conferma che.. ali 'infuori delle difficoltà intrinseche di un accordo per la riduzione degli armamenti, per il quale sarebbe a parer mio impossibile concretare un termine di equivalenza, qualsiasi tentativo che ora si facesse per realizzarlo solleverebbe in Germania tali e tante opposizioni da compromettere irrimediabilmente lo scopo di pacificazione al quale esso tende. Vi è anzitutto da parte tedesca l'impressione generale che con un simile accordo l'Inghilterra intenderebbe ottenere un formale riconoscimento della propria superiorità navale, superiorità che esiste e che continuerà probabilmente ad esistere di fatto ma che non si vuole ammettere come una prescrizione di diritto. Oltre alle facili variazioni alle quali si presta questo tema dal punto di vista delle eccitabili suscettività dell'orgoglio nazionale, non è da trascurarsi l'elemento degl'interessi materiali che si connettono alla provvista di armi ed alle costruzioni militari e navali, delle quali vivono le più importanti classi industriali in Germania che non potrebbero volentieri veder diminuiti i propri guadagni. Dati i mezzi potenti dei quali dispongono questi industriali, non è far loro ingiuria l'attribuire almeno in parte alla loro azione gl'incitamenti della stampa, l'attività delle leghe navali e le altre manifestazioni tendenti a mantenere vivo nel pubblico il sentimento della necessità per la Germania di farsi sempre più forte per mare come per terra. Queste disposizioni ottengono del resto nel momento attuale un indiretto ausilio dai discorsi non sempre prudenti ai quali dà luogo in Inghilterra l'eccitamento della lotta elettorale. Trovandosi da me sere sono il cancelliere dell'Impero insieme al mio collega britannico, questo argomento delicato fu da essi toccato in mia presenza con una certa libertà, in forma di amichevole conversazione. Parlandosi accademicamente delle elezioni inglesi e della piattaforma scelta dai liberali sulla questione del home-rule mentre, come osservava sir E. Goschen, i conservatori si appoggiavano sulla tariff-reform, il signor von Bethmann-Hollweg osservò in tono semi-scherzoso che forse più ancora si parlava dagli uni e dagli altri della Germania e dei suoi supposti propositi ostili. Egli alludeva in ispecie al discorso di Mr. Balfour, il quale infatti produsse qui, per l'autorità della persona, una spiacevole impressione, più ancora che gli articoli anti-tedeschi del socialista Blatchford, pure oggetto di adirati commenti della stampa. A proposito di Mr. Balfour, avendo sir E. Goschen osservato che questi si era dichiarato incredulo delle intenzioni attribuite alla Germania, il cancelliere rilevava esser ciò vero in senso letterale, ma che il tuono generale delle parole dell'antico primo ministro non suonava veramente in quel senso. Egli stesso però riconosceva che a tutto quanto veniva detto in tempi di campagna elettorale era da applicarsi una ragionevole tara: bisognava lasciar passare questo periodo di artificiale agitazione per riprendere poi tranquillamente e con cautela l'azione pacificatrice alla quale tendono i due Governi e, in fondo, anche la grande maggioranza dei due popoli. Questo ambasciatore britannico è infatti ben convinto della sincerità delle intenzioni del nuovo cancelliere. Malgrado le circostanze ed i pregiudizi che vi contrastano, per opera principalmente delle odierne abitudini di gran parte della stampa, tutto indica a parer mio che un miglioramento sussiste e si mantiene nelle disposizioni generali della Germania verso la nazione rivale. I suoi effetti, come me lo osservava il cancelliere, saranno tanto più sicuri quanto meno se ne parlerà. E questa riserva credo debba applicarsi più particolarmente alla questione degli armamenti, la cui riduzione potrà divenire col tempo una pratica conseguenza delle cessate reciproche diffidenze ma che, se trattata ex professo, non riuscirà che a prolungarle.

49

L'AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 42/21. Londra, Il gennaio 1910 (per. il 15).

Scopo di questo rapporto è di riassumere, in alcuni argomenti speciali, per norma del mio successore, il frutto di oltre tre anni di esperienza in Inghilterra. Esso quindi completa quelli del 5 novembre n. 572 e del 15 dicembre n. 6531: tutti e tre dovrebbero essere letti dal marchese Imperiali.

Il rapporto numero 572 espone la situazione politica ed economica attuale dell'Inghilterra e la natura della presente crisi; il rapporto numero 653 espone i criteri attuali della politica estera e coloniale del Ministero liberale; in questo rapporto, poi, cercherei soprattutto di esporre alcune considerazioni sul carattere delle persone, colle quali il mio successore dovrà trattare.

Sua Maestà il Re Edoardo VII esercita una certa influenza, non sui fini, ' m sui modi nei quali si svolge la politica estera del suo Paese, e coopera ;;::iiicacemente nell'attuazione di essa. Sul continente si tende ad esagerare sif· fatta influenza, ed infatti a m~ pare che, nelle grandi linee, nei fini ultimi e nelle questioni principali, più che influenza, sia concordanza di vedute e di sentimenti colla Nazione e particolarmente cogli uomini di Stato dirigenti di entrambi i partiti. Egli personalmente forzò un poco la nota dando agli accor~'i con altre Potenze un carattere ed in parte un 'apparenza che irritò la Ger,nania, e che contribuì allo svolgimento ed all'esito dell'ultima crisi balcanica.

Ora si è imposto da qualche tempo maggiore riserva. Dotato di acuto buon senso, di fine tatto e di sempre attenta cortesia, ricco di svariata esperienza, si lascia in un certa misura influenzare dall'antipatia verso l'imperatore di Germania. Non è sempre facile avere con lui una conversazione seguita; io ne ho avuta più di una, su di cui ho riferito, a suo tempo, al Governo, ma, in generale, se un ambasciatore ha motivo di desiderare di dirgli qualche cosa concreta, che possibilmente gli resti impressa, farà bene a formularne la sostanza con molta chiarezza e nel più breve numero di parole possibili, senza esordii, né accessorii, né dettagli, cogliendo il primo momento favorevole, in società, a pranzo, dovunque gli capiti. Non consiglierei di chiedere udienze speciali senza un motivo di sufficiente importanza.

Sir Edward Grey è un uomo rettissimo, un perfetto gentleman, sincero, leale, semplice: detesta la retorica e le vane frasi; non fa complimenti e cerimonie e non ama che a lui se ne facciano. Per guadagnare la sua fiducia bisogna essere e parere franchi e sinceri, non ossequiosi, né cerimoniosi, non complicati, evitare le finesses e le nuances troppo delicate, che gli sfuggono,

ed evitare di parere troppo riservati, troppo formalisti, e soprattutto di parere astuti e sottili e disposti ad esagerare l'abilità. Con questo metodo molto semplice, io ho potuto, in breve tempo, acquistare la sua fiducia e simpatia e mettermi in grado di parlargli con molta franchezza, che sortì il suo effetto in questioni delicate ed interessanti per noi, come, per citare un solo esempio, quella dei confini della Cirenaica.

Non per fare la réclame a me stesso, ma, in prova che il metodo, da me suggerito, è il buono, traduco a V.E. un brano della sua lettera del 5 corrente in risposta alla mia in cui gli annunziavo il mio trasferimento: «Sono estremamente dolente (extremely sorry) di sentire la notizia contenuta nella vostra lettera. Io sento (l feel) che, dal punto di vista, tanto delle nostre relazioni personali, quanto delle relazioni tra i nostri due Paesi, la vostra partenza da Londra non può essere altro che una grande perdita per noi (a great loss to us)».

Vi ha nel carattere di sir Edward Grey un tratto che può facilmente indurre a falsi apprezzamenti o mettere l'ambasciatore e il suo Governo in una posizione difficile. Egli talora dice che farà in un dato modo e poi fa in modo del tutto diverso. Non fa ciò per ingannare, perché è la lealtà personificata, ma il suo spirito non è poliedrico e non vede subito tutte le ragioni pro e contro, oltre che gli ripugna un linguaggio ambiguo ed oscuro, cosicché a prima vista spesso non vede l'ostacolo, che vede poi più tardi. Dai miei rapporti risultano i suoi non rari mutamenti nelle questioni dei confini della Cirenaica, delle riforme in Macedonia ed altre.

Ciò richiede nell'ambasciatore molta circospezione nel fare assegnamento sm risultati di un colloquio e nei termini in cui ne informa il proprio Governo.

Persona, che sarebbe materialmente in grado di essere bene informata, mi ha detto più volte che sir Charles Hardinge non è amico dell'Italia e che devo diffidare di lui. Io, a dire il vero, credo questo giudizio per lo meno esagerato. Non ho mai avuto occasione di constatare in lui tali sentimenti, e la sua influenza, negli affari che abbiamo trattato, non mi è mai parso che sia stata esercitata in tal senso. Piuttosto inclinerei a credere che non attribuisca all'Italia un grande valore come fattore di politica internazionale, e che porti, in ogni affare, il solo calcolo dell'interesse britannico, senza quella dose, maggiore o minore, di sentimento, che, contrariamente all'opinione più diffusa sul continente, molti inglesi vi pongono. In ogni modo è molto necessario coltivare con lui buoni rapporti, ma è prudente aprire l'animo proprio con lui meno che con sir Edward Grey. È molto necessario anche con lui, come in genere con tutti gli inglesi, apparire sincero e franco, non apparire astuto, o poco amante della verità e non essere ossequioso e cerimonioso. È probabile che, come mi ha detto egli stesso, egli rimanga ancora circa tre anni al Foreign Office, dopo di che conta di succedere al Bertie a Parigi.

È molto utile contrarre presto buoni rapporti personali coi direttori dei principali giornali; più volte, io ho potuto, collo esporre loro il punto di vista italiano, indurii a modificare il loro linguaggio o a scrivere articoli di fondo nel senso da noi desiderato. Il signor Chirol del Times, il signor Ware della Morning Post, il signor Spender della Westminster Gazette, per non citare che questi tre, sono perfetti gentlemen, onesti, rispettabili e meritevoli di fiducia. Non è da temere da parte loro alcuna indiscrezione. Frequentano la migliore società, e si possono invitare, come pure Mrs Ware e Mrs Spender, insieme a chicchessia.

La parte mondana del compito dell'ambasciatore ha in Inghilterra una importanza notevole, sebbene la sua utilità politica sia alquanto minore mentre sono al potere i liberali.

Per avere una posizione mondana, quale si converrebbe al rappresentante di una grande potenza, bisognerebbe che l'ambasciatore d'Italia, come ho esposto in varii rapporti, avesse una indennità presso a poco eguale a quella dei suoi colleghi, o fosse personalmente molto ricco, come quello degli Stati Uniti. Questo è evidente a Londra, a Parigi, a Vienna, a Berlino e a Pietroburga.

Il ministro Tittoni aveva autorizzata la spesa per migliorare la stanza da pranzo ed il boudoir, ma, dacché mi è parso probabile il mio trasferimento, mi sono astenuto dal cominciare i lavori e dal prendere impegni con fornitori per lasciare che tali innovazioni vengano fatte secondo il gusto del mio successore, tanto più che egli ha l'ausilio prezioso di una eletta signora.

Sarebbe bene però che questi miglioramenti venissero eseguiti a tempo per la season, sebbene ormai ciò mi sembri difficile.

Mantenere vivo nella colonia italiana il sentimento patriottico e monarchico è parso a me sin dal primo momento uno dei doveri dell'ambasciatore. In questi tre anni ho avuto la soddisfazione di vedere sempre più rafforzarsi questo sentimento nel cuore degli italiani di Londra. Giova molto a questo scopo la frequente presenza dell'ambasciatore ai banchetti ed alle altre riunioni della colonia e giova molto che egli faccia calorosi e patriottici discorsi.

Tra le signore della colonia quella che meritatamente è circondata di maggior rispetto, è la signora Orte Ili, benemerita dell'ospedale e della scuola. Tra gli uomini, oltre i fratelli Allatini ed altri, potrà riuscir utile al mio successore il commendator Polenghi, presidente della Camera di Commercio italiana.

L'ospedale italiano si trova, per varie ragiom, m difficoltà finanziaria; l'opera dell'ambasciatrice, secondata dalla signora Ortelli, potrà giovare assai ad attenuarle.

Io mi sono sforzato, e credo che il marchese Imperiali dovrebbe continuare, di indurre i maggiorenti della colonia a dare maggiori ablazioni che in passato alla scuola. Sebbene i risultati didattici non siano grandi né duraturi, tuttavia il tempo passato alla nostra scuola lascia nell'animo dei ragazzi un sentimento d'affetto per l'Italia e la convinzione che è una grande nazione, e che essi, anche se ne dimenticheranno la lingua e se prenderanno la cittadinanza inglese, devono andar sempre orgogliosi della loro origine italiana.

49 l Cfr. n. 4.

50

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 73/5. Bucarest, 11 gennaio 1910 (per. il 18).

Mi pregio ringraziare l'E.V. del telegramma! e del dispaccio2 a margine segnati, coi quali ben volle comunicarmi quanto le riferì il r. ambasciatore a Costantinopoli relativamente al recente viaggio a Bucarest, Sofia e Belgrado del ministro ottomano delle finanze e del direttore del giornale Tanin.

I predetti signori giunsero qui il 22 dicembre e ne ripartirono il 24 per Sofia. In quei due giorni Djavid bey visitò il ministro degli affari esteri, signor Djuvara, quelli delle finanze e della guerra, e s'iscrisse nei registri del palazzo, ma non chiese udienza dal re. Non vide il presidente del Consiglio, giacente in letto in seguito all'attentato perpetrato contro di lui il giorno precedente. Questi, che vidi poco prima della sua partenza per l'Italia, dissemi non risultargli che Djavid abbia toccato l 'argomento della unione o lega balcanica, ma che tenne parola al ministro degli affari esteri della convenzione di commercio turco-rumena, la quale, come sa l'E.V., è tuttora in sospeso. Il signor Bratiano aggiunse però di considerare la quistione come esaurita, la Rumania non essendo affatto disposta ad acconsentire a modificazioni dei patti convenuti sotto l'antico regime turco, e di non sapere quale fosse in fondo il vero scopo della venuta qui di Djavid.

Quanto precede mi fu ripetuto non ha guari dal signor Djuvara, il quale propende a supporre che il ministro ottomano delle finanze sia venuto, sarebbe troppo il dire per scandagliare il terreno, ma per fiutare il vento, raccogliere delle impressioni circa le disposizioni esistenti in Rumania riguardo ad una unione o lega balcanica. Se è così, egli deve essere stato rassicurato, poiché avrà potuto accorgersi che qui si è assai scettici relativamente alla possibilità dell'attuazione d'un progetto della specie e che in ogni caso il Gabinetto di Bucarest è ben lungi dal volersene immischiare.

Col mio rapporto del 20 dicembre ultimo, ai nn. 2549/2403, ebbi l'onore d'informare l'E.V. del modo di vedere del signor Bratiano in proposito.

51

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 56/21. Il Cairo, 11 gennaio 1910 (per. il 20)

Nell'attesa delle notizie chieste al r. consolato generale in Alessandria, ho l'onore di qui appresso trascrivere quanto mi comunica il professore Schiaparelli

50 I T. 3342 del 31 dicembre 1909, non pubblicato.

2 D. l del 2 gennaio, non pubblicato.

3 Cfr. n. 15.

circa la trasformazione in Vicariato apostolico della Prefettura apostolica del Delta. Il professar Schiaparelli, che fu recentemente di passaggio per Cairo, raccolse queste notizie, su mia richiesta, da fonte attendibile.

«Per ora non è stato mutato altro che il titolo, rimanendo immutati i limiti e la natura della giurisdizione. Bisognerà però stare attenti a che rimanga lo statu quo presente. Ogni ulteriore ampliamento di giurisdizione potrebbe aprir la via a invadenze nel campo fin qui tenuto dai francescani di Terra Santa. La detta trasformazione non pare abbia avuto motivi politici: tratterebbesi solo di una soddisfazione morale data all'Opera della propagazione della Fede di Lione che è la principale colonna finanziaria delle missioni, e dalla quale dipendono le missioni così dette del Delta».

Riferendomi alle considerazioni contenute nel mio rapporto dell'8 dicembre scorso n. 556, che l'E.V. si compiacque approvare col dispaccio contro segnato!, mi permetto richiamare la sua attenzione su quanto scrive il professar Schiaparelli circa la necessità di vigilare affinché non avvengano usurpazioni a danno dei francescani di Terra Santa. Questi religiosi che costituiscono un ordine essenzialmente italiano, sono senza dubbio un veicolo efficace della propagazione della nostra lingua in Egitto ed in Palestina soprattutto. E della loro importanza e del loro valore fanno fede da un lato i francesi nel combatterli e dall'altro i tedeschi che con ogni mezzo cercano di attirarli e trasfonnarli in congregazione germanica (mio telegramma del 17 gennaio 1909 n. 5).

52

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDTNI

T. CONFIDENZIALE 154/19. Pera, 14 gennaio 1910, ore 14,15 (per ore 21,25).

Telegramma di VE. n. 1141. Daneff, che conoscevo da Sofia, è venuto a vedermi. Dal suo linguaggio mi è sembrato comprendere che, pur non avendo ricevuto una vera missione, egli non era meno venuto qui, d'accordo forse col re, per esaminare situazione da vicino e rendersi conto, in vista di un suo più o meno prossimo ritorno al potere, possibilità serio duraturo miglioramento relazioni bulgare. Su questo punto Daneff mi ha fatto dichiarazione molto esplicita che qui appresso riassumo: «Bulgaria ha dato ampia prova sue intenzioni col non sollevare questione macedone l'anno passato, profittando condizioni anormali Turchia.

Bulgaria desidera sinceramente dissipare sospetti, stabilire con Turchia relazioni cordiali improntate mutua fiducia. Occorre, però, che, apprezzando inevitabile necessità, Governo bulgaro tenere massimo conto disposizioni opinione pubblica Regno, Turchia gli faciliti compito conformando a criteri più imparziali sua politica in Macedonia. Tale politica, al momento presente, si traduce in una ostinata sistematica persecuzione elemento bulgaro, la quale deve assolutamente cessare. Se ciò non avvenisse, potrebbero verificarsi gravi avvenimenti, in presenza dei quali Bulgaria si troverebbe penosa necessità di ubbidire unicamente pressione sentimento nazionale e fare suo dovere senza lasciarsi arrestare da preoccupazioni per conseguenze suo eventuale contegno. Questione trattato di commercio ha per noi interesse solo secondario; l'essenziale è il miglioramento situazione bulgaromacedone dei quali ci importa vedere tutelati interessi. Per loro non domandiamo che il solo diritto comune in condizioni identiche altre nazionalità Impero». Daneff ha conferito con gran visir ministro affari esteri e ministro dell'interno e ministro finanze. Sui risultati colloqui non ho ancora particolari precisi. Ministro delle finanze mi disse ierisera Daneff aver qui prodotto favorevole impressione. Profittando mie cordiali relazioni col ministro credetti rappresentargli vantaggio sotto ogni aspetto presentato da consolidamento buone relazioni turco-bulgare ed in quel senso, a titolo di semplice amichevole consiglio, raccomandai una certa moderazione nell'applicazione nuova legge. Pur dichiarandosi convinto fautore intesa con Bulgaria, ministro mi disse condizione indispensabile di essa essere rinunzia assoluta Regno ad ogni ingerenza affari macedoni. Circa legge, osservò essere essa applicata con giustizia e dare già buoni risultati. In termini analoghi mi parlò pure ministro degli affari esteri. Divergenza fondamentale risultante dal linguaggio Daneff e ministri ottomani costituiscono, a mio avviso, positivo indizio difficoltà intesa. A giudicare dal linguaggio dell'ambasciatore di Russia, compiaciutissimo venuta Daneff, ma anche egli preoccupato notizie Macedonia, sarei indotto a sospettare visita Daneff, capo partito zankovista ligio Russia, possa essere stata provocata da influenze russe come quella ministro finanza a Sofia, dalla ambasciata russa contro volontà Hilmi pascià. Dal canto suo, Pallavicini mi ha detto avere rilevato da un recente fatto a2 di Berchtold che anche Pietroburgo situazione Macedonia inspira qualche apprensione. La quale a me sembra giustificata in base rapporti nostri consoli. Degne speciale attenzione mi sembrano recenti dichiarazioni fatte a Galanti da Nazim capo Comitato Salonicco. A proposito contegno ostile Germania di alcuni Giovani turchi e attualmente diminuita posizione preponderante Germania, Pallavicini mi ha detto recentemente: «Situazione Turchia è tale che nessuno può escludere il verificarsi di avvenimenti di natura a ristabilire qui influenza Germania col far intendere ai turchi di quanta utilità possa essere loro forza imponente rappresentata da Germania ed Austria-Ungheria così strettamente unite».

51 l D. 53 del 26 dicembre 1909, non pubblicato.

52 l Con T. 114 del 13 gennaio Guicciardini riferiva che: «Il r. ministro a Sofia telegrafa che colà si smentisce notizia, di fonte turca, di una missione segreta affidata all'ex presidente del Consiglio signor DanefT, che travasi attualmente a Costantinopoli».

52 2 Sic. Si tratta di un errore di decifrazione.

53

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GALLINA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 150/115. Parigi, 14 gennaio 1910, ore 17,14 (per. ore 20,40).

Anche questi giornali accennano a trasporti di truppa a Gabes collegandoli col recente incidente cui continuano a dare importanza. Questo ministro degli affari esteri parla però in termini assolutamente opposti e dichiara l'incidente chiuso soddisfacentemente fra il Governo francese e il Governo ottomano. Jeri stesso il signor Pichon mi disse che nel famoso combattimento alla frontiera tripolo-tunisina non vi fu di morto che un cavallo aggiungendo scherzosamente «e sono ben contento che fosse nostro, così nessuno reclamerà». In una simile circostanza è naturale si presenti il ricordo dei famosi krumiri di molti anni or sono e del linguaggio ugualmente rassicurante tenuto allora da questo Governo, ma non ho assolutamente alcun dato che mi lasci supporre ora in esso uguale disegno.

54

IL CONSOLE GENERALE A.TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 44117. Tripoli di Barberia, 14 gennaio 1910 (per. il 25).

Alle notizie allarmanti ed esagerate corse in città sugli incidenti alla frontiera tripolo-tunisina, di cui telegrafai all'E.V. in risposta ai suoi telegrammi1, è qui succeduta la maggior tranquillità; le autorità locali e la stampa indigena danno formale smentita a quelle fantasie.

Il valì stesso, come ne telegrafai all'E.V.2, mi disse di considerare l'incidente non solamente chiuso, ma anche non mai principiato, poiché il fatto che si era tanto gonfiato non ebbe alcun spiacevole séguito ed è di quelli che tra quelle tribù di confine spesso accadono durante il seminamento o il raccolto dei campi, perciò esageratissime e senza base furono le induzioni che reciprocamente se ne fecero dal pubblico in Tunisia ed in Tripolitania.

Le truppe che già si trovavano nei rispettivi reparti di confine e quelle che per precauzione si mandarono in rinforzo hanno per severa consegna di prevenire ogni incidente e di mantenere il buon ordine tra le tribù lungo quel confine; la

2 T. 141 del 13 gennaio, non pubblicato.

misura apprezzata in paese sarà certamente utilissima per rinfrancare le tribù tripoline che fino ad ora si erano sempre vedute abbandonate dal proprio governo.

Non meno energiche devono essere state le misure prese in territorio tunisino da quelle autorità militari francesi, ed il piroscafo postale francese qui arrivato ieri con ritardo di due giorni aveva trasportato da Sfax a Gabes 500 tirailleurs algériens, che appena sbarcati erano stati diretti alla frontiera tripolina, mentre da Sfax un reggimento di spahis era direttamente partito per quella stessa frontiera. Sono precauzioni che per qualche tempo ancora perdureranno per la naturale diffidenza che ha sempre esistito su quel confine non determinato e da anni contestato. La Turchia, non riconosce ancora il protettorato francese sulla Tunisia e non ammette in conseguenza trattative dirette con la Francia per quella delimitazione e per questa regione specialmente gli incidenti si rinnoveranno spesso su quella frontiera, più o meno provocati per indurre finalmente la Turchia a cedere.

PS. Qualche altro pezzo di artiglieria da montagna è partito per Nalut e mi si assicura che ora i dodici pezzi da montagna di questo Comando militare vi si trovano concentrati.

54 l T. 93 dell'8 gennaio, non pubblicato.

55

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 36/7. Pietroburgo, 16 gennaio 1910 (per il 20).

Dai primi colloqui che ebbi con questo ministro degli affari esteri, dopo il mio ritorno dal congedo, ho riportato l'impressione nulla essersi mutato nei poco benevoli sentimenti del signor Iswolsky riguardo ali' Austria-Ungheria. Sussiste, nell'animo di lui, lo stesso risentimento già tante volte addimostrato contro la politica del conte d'Aehrenthal e che si è ultimamente anche di più acuito in seguito alla indiscreta e per lui penosissima pubblicazione della Fortinightly Review su cui ebbe già a suo tempo a riferire in dettaglio il r. incaricato d'affari, marchese della Torretta. Ai rancori del passato si aggiungono poi nell'animo del ministro gravi e forse esagerate preoccupazioni circa le nuove insidie che preparano alla Russia in Oriente le arti subdole del conte d' Aehrental. Da più di un anno, ripetevami in questa occasione il signor Iswolsky, ogni contatto fra Pietroburgo e Vienna trovasi interrotto; cosicché il Gabinetto russo trovasi assolutamente all'oscuro sui piani della diplomazia austro-ungarica nella Penisola balcanica. Già sembrano, a detta del ministro, addensarsi colà nubi assai minacciose. La situazione in Macedonia non risulta affatto rassicurante ma più che altro il signor lswolsky pare temere gli spiriti avventurosi del re Ferdinando di Bulgaria, i di cui recenti conciliaboli con uomini di Stato austro-ungarici, potrebbero forse preludere la via ad un nuovo colpo di Stato bulgaro da cui l'Austria prenderebbe certamente appiglio pel raggiungimento dei propri disegni. Riguardo all'attuale situazione in Serbia il ministro russo però nulla sapeva che potesse dare occasione ad apprensioni.

Il perdurante marcato antagonismo fra l'Austria-Ungheria e la Russia costituisce indubbiamente il punto più oscuro sul presente orizzonte politico. Se sciaguratamente gravi complicazioni fossero per sorgere in Turchia, la pace d'Europa correrebbe un ben grave rischio. Non soltanto verrebbe meno la salutare azione concorde delle due Potenze più interessate, che dopo Miirzsteg assicurò all'Europa molti anni di tranquillità, ma è dubbio che lo stesso concerto europeo sarebbe in misura di esercitare una proficua azione. Farebbe quindi a mio giudizio opera sommamente meritoria chi riuscisse ad aprire fra le due Potenze rivali una via di conciliazione. Tenuto conto però degli insormontabili rancori del signor Iswolsky che trovano del resto presso l 'imperatore e l'opinione pubblica russa un'eco favorevole, e dall'altra parte delle scarse disposizioni del Gabinetto austro-ungarico a fare esso i primi passi, l'opera conciliatrice in parola, che, a mio giudizio, potrebbe meglio d'ogni altra potenza essere assunta dalla Francia, appare, ne convengo, alquanto difficile e delicata.

56

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 179/7. Vienna, 17 gennaio, ore 8,55 (per. ore 22,40).

Parlandomi della situazione presente in Turchia conte di Aehrenthal mi ha detto che, dalle informazioni pervenutegli da Pallavicini, essa era buona e non sembrava dar luogo, per ora, a preoccupazioni nonostante il lieve movimento che si avvertiva tra le popolazioni in Macedonia. Non credeva che la Bulgaria avesse intenzione assumere un contegno poco amichevole verso Sublime Porta. Ciò non sarebbe nel suo interesse. Gli risultava, del resto, che consigli di prudenza e moderazione erano stati diretti dal Governo russo al Gabinetto di Sofia. Identici consigli egli aveva dati al re Ferdinando nel suo recente passaggio da Vienna facendogli rilevare essere desiderio del Governo Imperiale e Reale che il nuovo regime si consolidi in Turchia contro cui non avrebbe permesso che fosse nulla intrapreso. Non dubitava quindi che Governo bulgaro avrebbe continuato nel contegno corretto tenuto fino ad ora verso Sublime Porta evitando sollevare complicazioni che avrebbero potuto ridondare a suo danno.

57

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE S.N. Vienna, 18 gennaio 1910.

Nel colloquio avuto ieri col conte Aehrenthal il discorso essendo caduto sulla recente visita della squadra francese nel porto d'Antivari, egli, dopo avermi detto che il Governo della Repubblica non aveva mancato d'informare preventivamente il Governo Imperiale e Reale, osservò che non aveva prestata alcuna fede alla notizia pubblicata da vari giornali esteri e viennesi che quella visita fosse stata stabilita dalla Francia d'accordo coli 'Italia e colla Russia.

Approfittai di tale osservazione per far conoscere al conte Aehrenthal che il

R. Governo non era stato affatto informato della visita di cui si tratta dal Governo francese, né in via ufficiale, né in via ufficiosa e che di essa non aveva avuto sentore che per mezzo dei giornali. Aggiunsi che V.E. mi aveva incaricato di renderlo, per ogni buon fine, di ciò consapevole confidenzialmente, ove mi si offrisse prop1z1a occasiOne.

Nel ringraziarmi per tale comunicazione il conte Aehrenthal mi disse che

V.E. avevalo fatto informare dal conte Liitzov dell'intenzione del Nostro Augusto Sovrano di recarsi nel prossimo agosto, in forma privata, a far visita a Sua Altezza il principe di Montenegro, in occasione del cinquantesimo anniversario del suo Regno e ch'egli erasi affrettato a farle esprimere la sua riconoscenza per quell'amichevole informazione, pregandola di volerlo prevenire, a suo tempo, della data precisa in cui avrebbe avuto luogo.

Il conte Aehrenthal rilevò quindi che, per parte sua, non poteva che essere lieto di tutto ciò che potesse contribuire a rialzare nel Montenegro la situazione del principe Nicola, che sembrava essere stata alquanto scossa in questi ultimi tempi, giacché premeva all'Austria-Ungheria ch'essa si consolidi nell'interesse, non solo della dinastia, ma anche in quello della pace in Europa.

58

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE S.N. Vienna, 18 gennaio 1910.

Approfittai della visita fatta ieri al conte d'Aehrenthal per fargli conoscere che V.E. nel parlarmi dei nostri reciproci rapporti e del suo vivo desiderio di renderli vieppiù intimi, aveva rilevato che se la questione del! 'istituzione d 'una facoltà italiana in Austria fosse stata definita, a seconda dei desideri delle popolazioni di lingua italiana della Monarchia, si sarebbe così tolto a coloro, che da noi erano contrari all'alleanza coll'Austria-Ungheria, ogni arma che avesse potuto far rivivere l'irredentismo, il quale ormai non esisteva più in Italia.

Sebbene V.E. non mi avesse incaricato di accennare a tale questione, io credeva riferirgli, di mia iniziativa, le cose da lei dettemi in proposito, non già per immischiarmi in una questione interna dell'Austria, quale era quella della facoltà italiana, ma per chiamare, in via privata ed amichevole, sapendo la cura che egli prendeva ai nostri rapporti, l'attenzione di lui sulla questione stessa, in vista specialmente della ripercussione che avrebbe potuto avere sulla nostra opinione pubblica, ove non fosse stata risolta in modo soddisfacente.

Il conte d' Aehrenthal rispose che l'istituzione di una facoltà italiana in Austria, siccome mi aveva fatto notare in altra occasione, era di competenza esclusiva del Governo Imperiale Reale, onde non gli sembrava che convenisse farne cenno neppure in via privata ed amichevole, giacché ciò avrebbe potuto autorizzarlo ad ingerirsi nelle questioni interne deli'Italia delle quali aveva sempre evitato di parlarmi.

Senza insistere sull'argomento feci osservare al conte d'Aehrenthal ch'io mi ero ristretto ad accennare alla questione dal punto di vista unicamente internazionale, nei riguardi cioè dei nostri rapporti, che era nell'interesse di entrambi i Governi di rendere più cordiali, evitando ogni cosa che potesse influire in modo sfavorevole su di essi e sulla nostra alleanza. E ciò egli stesso aveva riconosciuto come del tutto naturale essendosi intrattenuto con me della questione nei vari colloqui privati che aveva avuto con lui in precedenti circostanze.

La risposta datami dal conte d'Aehrenthal dimostra, siccome feci conoscere verbalmente ali 'E. V., che egli non desidera che tale questione sia da noi toccata, perché è di parere che meno ne parleremo e meno la nostra opinione pubblica si occuperà di essa, maggior libertà avrà il Governo Imperiale Reale per darvi una soluzione soddisfacente.

Mi risulta però in modo positivo che il conte d' Aehrenthal, il quale non ignora gli inconvenienti che da tale questione potrebbero derivare per i nostri rapporti, fece, prima e durante l'ultima crisi balcanica, i maggiori possibili sforzi per rimuovere le difficoltà che si opponevano a quella soluzione. Ma le sue pratiche non sortirono il desiderato effetto per l'avversione che la scelta di Trieste, quale sede della facoltà italiana, incontrava, in primo luogo, nell'arciduca ereditario, che teme possa dare maggiore incremento ali' irredentismo, ed, in secondo luogo, nel partito sloveno ed anche in quello czeco, i quali pretendevano, come corrispettivo, l'uno la creazione d'una propria facoltà in Lubiana e di scuole medie slovene in Trieste, l'altro una seconda università czeca in Moravia.

L'idea però dell'istituzione d'una facoltà italiana in Trieste aveva riuscito, neli'ultima sessione del Reichsrath (mie lettere particolari del 19 giugno e 6 luglio 1909) per raccogliere l 'adesione non solo della stampa liberale viennese, ma anche quella dei maggiori partiti parlamentari, che eransi convinti che in tal modo si sarebbe potuto dissipare ogni attrito coll'Italia e far riposare i reciproci rapporti sopra una base di schietta e leale amicizia.

Infatti i partiti tedesco-liberale, socialista, rumeno, ruteno e finanche quello cristiano-sociale, che, per l'innanzi si mostrava il più accanito avversario di una facoltà italiana in Trieste, eransi dichiarati disposti, nelle loro trattative col partito italiano, a modificare il relativo disegno di legge nel senso della sua istituzione in quella città.

Ma, in seguito all'ostruzionismo organizzato dalla unione slava, il Governo fu costretto di chiudere la sessione per cui il disegno di legge che era stato già approvato in prima e seconda lettura dalla Commissione del bilancio, non poté essere sottoposto all'esame della Camera.

Esso è stato ripresentato alla riapertura della nuova sessione, avvenuta il 20 ottobre scorso, e dovrà essere discusso alla ripresa dei lavori parlamentari, la cui data non venne ancora fissata. S'ignora, per il momento, se i partiti suddetti siano tuttora nelle disposizioni stesse che avevano manifestato in favore della scelta di Trieste. Ma, non appena i deputati italiani saranno qui di ritorno, mi riservo di assumere informazioni in proposito e di riferire all'E.V.

59

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE S.N. Vienna, 18 gennaio 1910.

Dopo aver rappresentato al conte d' Aehrenthal, nel colloquio avuto ieri con lui -circa il quale riferisco con altra lettera particolare di pari datal -quanto V.E. mi aveva ingiunto di fargli conoscere, in risposta alle comunicazioni che mi aveva pregato di farle al mio giungere in Roma, dissi al ministro imperiale e reale che ella erasi dimostrata meco molto soddisfatta della conclusione del nuovo accordo relativo alle questioni balcaniche, il quale era una nuova prova delle amichevoli disposizioni di cui entrambi i Governi erano animati a vicenda e del loro vivo desiderio di consolidare vieppiù i reciproci rapporti.

Ma sembrava all'E.V. che tale accordo non avrebbe potuto essere considerato come veramente completo che dopo che si fosse addivenuto alla determinazione del compenso contemplato nell'accordo stesso, ove si verificassero le eventualità ivi previste.

Tale determinazione non sarebbe stata del resto che una conseguenza diretta della conclusione di quel patto. Né essa avrebbe potuto far supporre che i due Governi avessero in animo di provvedere alla sostituzione dell'Impero ottomano, ciò che era del tutto contrario non solo alle reiterate recise loro dichiarazioni, ma

anche alla politica che seguivano nei Balcani, intesa a mantenere saldo lo statu quo e ad opporsi a qualsiasi cosa che avesse potuto violarlo.

Il conte d'Aehrenthal osservò che la questione non era presentemente all' ordine del giorno, per cui non credeva che fosse il caso di occuparsi per ora di essa. L'unico scopo, cui l'Austria-Ungheria e l'Italia dovevano mirare in questo momento, si era quello di unire i loro sforzi per cooperare al consolidamento del nuovo ordine di cose in Turchia, per porre il Governo ottomano in grado di far fronte ad ogni evento che potesse turbare lo statu quo esistente. Era infatti nel loro interesse che la Turchia diventasse uno Stato forte per rinnovare ogni causa di complicazione che possa mettere a cimento la pace in Europa.

Avendo il conte d'Aehrenthal evitato d'entrare nel merito della questione, io mi astenni dali 'insistere più oltre. Ma dal modo col quale si espresse meco, trassi l'impressione che egli non desideri di parlare di quella questione, né a noi conviene di trattarla direttamente, almeno per ora, col Gabinettò di Vienna, per le ragioni stesse che ebbi già l'onore di esporre verbalmente all'E.V. e sulle quali mi riservo di ritornare, con prossima lettera personale, per esaminare la questione stessa nei vari suoi particolari.

59 l Cfr. nn. 57, 58.

60

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 197/22. Pera, 19 gennaio 1910, ore 13,30 (per. ore 16,30).

Jeri venne trovarmi gran visir. Mi disse essere sua ferma intenzione nella politica interna consolidare autorità Governo di fronte Parlamento che, mancando ancora di precisa nozione sue attribuzioni, non ha fatto finora che intralciare azione del Governo con persistente ingerenza nel campo del potere esecutivo. Circa politica estera, mi disse nel suo programma accennerà, in linea generale intenzione Governo mantenere buone relazioni con tutte le Potenze senza menzionare in modo speciale nessuna delle questioni pendenti. Quanto alla Bulgaria Sua Altezza mi disse avere conferito Daneff ed avere riportata in massima dal colloquio favorevole impressione. Turchia, desiderosa mantenere cordiali relazioni col vicino Regno, è disposta a procedere con spirito di conciliazione nella trattazione varie questioni pendenti a cominciare quella trattato di commercio. Se vi sono altre misure da prendere per migliorare situazione in Macedonia, Turchia le prenderà di propria iniziativa e nel suo interesse. Turchia, però, non è assolutamente disposta a sopportare più a lungo intollerabile ingerenze Bulgaria in affari interni dell'Impero: «i bulgari si sbagliano molto se credono poterei spaventare assumendo di tanto in tanto, come fecero finora, contegno minaccioso. Io sono convinto che re Ferdinando non vuole guerra, ma, se trascinato dalla pressione popolare, ci gettasse il guanto, noi lo raccoglieremo senza esitare. Quanto a intese turco-balcaniche le considero ora come un sogno ed io non sono un sognatore».

Circa Creta mi disse Sua Altezza non avere Consiglio dei ministri preso ancora una decisione, essere, però, evidente che questione non può rimanere a lungo insoluta. Gran visir constatava con rincrescimento che, tranne Governo di Sua Maestà, nessuna delle tre altre Potenze protettrici è arrivata ancora affermare importanza capitale che soluzione definitiva problema cretese presenta per Turchia: «Anche con i greci noi intendiamo mantenere cordiali relazioni. Se, però, cretesi invieranno deputati Atene, se Governo ellenico non potrà o vorrà respingerli, se Potenze nulla faranno per impedire tanto insigne violazione diritti sovrani Turchia, andremo noi ad Atene e li cacceremo». Aderendo ad istante preghiera già da me rivoltagli, Sua Altezza mi ha assicurato avere rinnovati, ribaditi ordini già dal suo predecessore impartiti autorità Yemen per sollecita, esauriente inchiesta circa assassinio Benzoni e punizione colpevoli. Gran visir, constatata da ultimo con particolare compiacimento attuale intimità cordialità relazioni turco-italiane, si è compiaciuto esprimermi vivo rincrescimento suo e Governo per mia partenza, dichiarandomi che con mio contegno sempre leale, conciliante, risoluto verso nuovo regime e mia scrupolosa astensione qualsiasi ingerenza affari interni, era riuscito acquistarmi stima e fiducia generale. Analoghe cordiali dichiarazioni mi sono state fatte da tre gran visir: Kiamil, Ferid pascià, Hilmi pascià, venuti successivamente vedermi.

61

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 224/11. Addis Abeba, 19 gennaio 1910 (per. ore 21,50 del 20) 1.

Mi riferisco miei precedenti telegrammi per ferrovia Gibuti. Malgrado dichiarazione ufficiale fatta ultimamente dal Governo francese sulla definitiva sistemazione della ferrovia Gibuti-Addis-Abeba e sul mantenimento da parte del Governo etiopico di tutte le clausole dell'accordo ad esso inerenti, la questione è ben l ungi dall'essere risolta, anzi è scoppiato in questi giorni il dissidio che ho sempre preveduto in conseguenza del malinteso e della mala fede colla quale il Governo francese ha condotto tali trattative. Questa legazione di

Francia ha continuato a mantenere su di esse il più assoluto riserbo, ma il Governo etiopico me ne ha tenuto informato ricorrendo al consiglio di questa legazione. Già io aveva consigliato il Governo etiopico a mantenere ogni suo diritto per la costruzione e l'esercizio del tratto almeno del tronco ferroviario tra Addis-Abeba e l'Auasc e gli avevo altresì aperto gli occhi sulla importanza e sulle conseguenze dell'evidente e diretta ingerenza del Governo francese sulla ferrovia etiopica, malamente mascherata dalla nuova compagnia non ancora effettivamente costituita.

Difatti, mentre nel mese di agosto il rappresentante ad Adis-Abeba della compagnia francese dichiarava per lettera al Governo etiopico di essere legalmente autorizzato a portare agli statuti della ferrovia quelle modificazioni che non fossero in perfetto accordo colla Convenzione del 30 gennajo 1908 (articolo 9 della Convenzione), quest'oggi ministro di Francia a nome del suo Governo comunicava in risposta al Governo etiopico che gli articoli dello statuto concretato colla Compagnia ed approvato dal Parlamento erano chiari e precisi e non suscettibili di modificazioni.

Il Governo etiopico, seguendo il mio consiglio, aveva in questi giorni stabilito di comunicare alla legazione di Francia che allo stato attuale delle cose ed in seguito alla confusione generata dalle numerose note di questa legazione e col rappresentante della Compagnia, esso riteneva necessario, a tutela suo interesse e per prevenire difficoltà maggiori, di porre questione termini chiari e precisi che escludessero ogni ingerenza Governo francese e di appellarsi al Consiglio delle altre legazioni. La presentazione avvenuta jeri da parte di questa legazione di Francia di una nota del Governo francese diretta al Governo etiopico, nella quale esso lo ringrazia di avere definitivamente concluso trattative iniziate dal Klobukowski e lo informa che il Governo francese è disposto ad intervenire direttamente in aiuto della Compagnia fornendo ad essa i fondi necessari per la ferrovia etiopica, ha provocato un grave incidente fra ras Tesamma e questo console di Francia che era stato incaricato di presentare nota suddetta. Si è rifiutato di accettare nota Governo francese dichiarando che il Governo etiopico non riconosceva al Governo francese alcuna ingerenza nella ferrovia accordata ad una Compagnia privata ed, in seguito alle insistente del console di Francia, la lettera fu successivamente respinta tra l'uno e l'altro con frasi violente finchè rimase a terra agli stessi piedi di ras Tesamma che la rimandò alla legazione di Francia. L'imperatrice ha mandato da me il ministro degli affari esteri per informarmi e chiedermi consiglio ed io ho consigliato Governo etiopico mantenersi massima moderazione e correttezza nei rapporti colla legazione di Francia, ma di insistere fermamente nel pretendere dal Governo di Francia la più ampia e sicura garanzia sul carattere assolutamente privato della concessione e sulla esclusività del diritto di controllo ed intervento per parte del Governo etiopico e sulla sua facoltà di rivolgersi al consiglio ed al giudizio delle legazioni in Etiopia. Ho creduto opportuno informare confidenzialmente questo ministro inglese.

61 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara. pari data, ore 18.55.

62

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE 213/13. Addis Abeba, 19 gennaio 1910 (per. ore 23,35) 1.

Situazione generale continua ad essere identica a quella segnata nei rapporti del 10 dicembre. Il paese però continua a mantenersi tranquillo e sembrano migliorati i rapporti fra i capi del Governo. Influenza imperatrice è predominante. Movimenti fra i capi segnati nel mio telegramma 22 sono ancora sospesi né si possono ritenere prossimi. Deggiac Balcià è giunto Addis Abeba. Deggiac Abatè è ancora Makallè, ma suo richiamo è definitivamente stabilito. In questi ultimi giorni è stato notato leggiero miglioramento nella salute del negus che non può però dar luogo ad alcuna speranza. Siccome però i preti avevano profetizzato che, se il negus non fosse morto il giorno 15 del mese corrente, egli avrebbe vissuto ancora lungamente, l'imperatrice si è valsa di questa assicurazione per affermare la sua influenza che è destinata a non soccombere prima della morte dell 'imperatore.

63

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 115/54. Berlino, 19 gennaio 1910 (per. il 24).

Questo segretario di Stato per gli affari esteri mi disse ieri che l'ambasciatore di Turchia si era poco prima a lui rivolto chiedendo se il Governo germanico potesse fare qualche passo ad Atene allo scopo di prevenire atti imprudenti dei cretesi, tali da costringere la Sublime Porta ad una qualunque misura di repressione. L'ambasciatore aveva dichiarato non avere il suo Governo alcuna intenzione di attentare all'autonomia di Creta, ma dover insistere affinché almeno le cose non procedano oltre il punto ove erano giunte prima degli ultimi avvenimenti; ed egli aveva accennato in tal senso ai noti suoi reclami contro la intestazione delle sentenze dei tribunali cretesi, l 'uso di francobolli ellenici ecc.

Il signor von Schoen mi diceva essersi trovato alquanto imbarazzato nel rispondere all'ambasciatore, al quale egli aveva rappresentato tra l'altro che nelle attuali condizioni interne della Grecia nemmeno si saprebbe in questo momento a chi rivolgersi per una efficace azione diplomatica. Egli si era quindi limitato, mi

2 T. 76/2 del 5 gennaio (trasmesso da Asmara il 7), non pubblicato.

disse, a rinnovare a Osman Nizami pascià i consueti consigli di pazienza e moderazione, non senza fargli una discreta allusione alla voce nuovamente corsa in questi ultimi giorni della possibilità che la Turchia si inducesse forse ad accettare un compenso pecuniario per la rinuncia a Creta. Ma l'ambasciatore aveva assolutamente esclusa quest'idea, dichiarandola incompatibile colle esigenze presenti del Governo e dell'opinione pubblica in Turchia, tanto più (egli aveva aggiunto) che una simile soluzione adottata per la Creta darebbe altrui pretesto ad invocarla per esempio a Samos e forse altrove, con ulteriore jattura dei diritti e della dignità della Sublime Porta. La conversazione non aveva avuto altro ·seguito. Il signor von Schoen non mi nascondeva però una certa inquietudine per le conseguenze cui potrebbe condurre una eventuale mossa minacciosa cui s'inducesse la Turchia per esempio verso la Tessaglia: ciò sarebbe grave non soltanto di per sé ma ancora più per il contraccolpo che un simile incidente provocherebbe in tutta la penisola dei Balcani. Nemmeno colà, soggiungeva il segretario di Stato, l'ambiente è quello che si potrebbe desiderare; e per quanto la Bulgaria dichiari volersi tenere tranquilla, non è dubbio che ove un qualunque appiglio le si presentasse, essa non mancherebbe di approfittarne per correre a nuove avventure.

Il Governo germanico non intende evidentemente dipartirsi dal contegno di prudente riserva che la presa posizione gli permette di mantenere nella questione di Creta. Malgrado tutto però, esso non può non seguirne con attenzione lo sviluppo n eli' attuale momento pericoloso; e ciò non soltanto per gli interessi politici generali che vi si connettono, ma per riguardo altresì alla difficile situazione personale del principe ereditario di Grecia e della sua consorte, sorella di S.M. l'Imperatore. La principessa Sofia risiede ora a Francoforte e, per ragioni d'economia, in un albergo anziché nel castello che l'augusto fratello aveva posto a sua disposizione. Essa disse a persona che me lo riferì essere tutti i presenti guai derivanti dal non avere il Governo ellenico voluto o saputo risolutamente proclamare l'annessione di Creta all'indomani della rivoluzione turca, o almeno subito dopo l'incorporazione della Bosnia Erzegovina all'Austria-Ungheria. Ad ogni modo, l'imperatore ha consigliato alla principessa Sofia di rimanere in Germania fino a che non si rischiari l'orizzonte ad Atene. Ma si comprende come tutto ciò sia poco piacevole anche per Sua Maesta Imperiale e come si auguri qui una soluzione dell'affare di Creta che n'è la prima cagione.

62 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore 18,40.

64

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 247/27. Tunisi, 19 gennaio 1910 (per. il 22).

Attesa l 'importanza degli avvenimenti, che si stanno svolgendo alla frontiera tripolo-tunisina, credo opportuno aggiungere alle informazioni, ch'ebbi già

l'onore di trasmettere, quelle che stralcio dai giornali locali e che q m unisco in estratti I.

È opinione ormai qui generale che un così grosso contingente di truppe, con alla testa un generale e con tutto l'equipaggiamento per una campagna non breve, non si muoverebbe senza uno scopo importante prefisso; e questo si ritiene dai più essere l'occupazione di quella zona di terreno, che si stende per circa quaranta chilometri al di là dell'attuale frontiera tunisina verso la Tripolitania, e che in questa circostanza si scoperse negli antichi archivi del Governo tunisino essere la vera frontiera della Reggenza, mentre a torto e solo per errore, al momento dell'occupazione del 1881, ci si fermò per altrettanti chilometri al di qua.

Vi sono, poi, molti che credono che questa colonna possa spingersi sino a Gadames; cosa forse non necessaria, quando, occupata la zona surriferita, si sarebbe padroni del punto in cui le carovane possono dirigersi tanto verso Tripoli quanto verso Gabes, e quindi sarà ben facile alle autorità francesi, allora ivi residenti, di persuaderle a prendere quest'ultima via od altre conducenti a porti francesi.

65

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 209/13. Pietroburgo, 20 gennaio 1910, ore 1,17 (per. ore 8,25).

Nel comunicare ad Isvolsky il telegramma di V.E. n. 147, relativo alla missione Daneffl, ne presi occasione per esprimergli quanto sarebbe opportuno, onde mantenere sempre più vivo ed attivo accordo di Racconigi, che Governi di Roma e Pietroburgo continuassero a vicenda ad informarsi di quanto di rilevante rispetto ai Balcani giungesse rispettivamente a loro conoscenza, facendone poi all'occorrenza oggetto di un sincero scambio d'idee. Isvolsky accolse le mie parole con manifesto compiacimento e mi assicurò che, per parte sua, era sempre pronto ad agire in tal senso. Oso sperare che questa mia dichiarazione troverà consenso dell'E.V., giacché sono intimamente persuaso che, per conservare all'accordo con la Russia tutta la sua efficacia, occorre che il nostro contatto col Gabinetto di Pietroburgo si mantenga il più possibile intimo e frequente2.

2 Per la risposta cfr. n. 69.

64 l Non si pubblicano.

65 l T. 147 del 16 gennaio, non pubblicato, ma cfr. n. 52.

66

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 210/14. Pietroburgo, 20 gennaio 1910, ore 1,18 (per. ore 7,25).

Izwolsky mi ha detto confidenzialmente che questo ambasciatore d'AustriaUngheria gli aveva espresso recentemente tutto il suo rammarico per il penoso incidente originato dalla nota pubblicazione della Rivista inglese e gli aveva proposto di provocare da fonte ufficiale una rettifica che valesse a contentarlo!. Egli aveva risposto che era inutile tornare sul passato e che, per parte sua, non desiderava nessuna soddisfazione personale. Siccome, però, riconosceva che l'assoluta mancanza di contatto da tanto tempo esistente fra Vienna e Pietroburgo costituiva serio pericolo, specie nella presente situazione nei Balcani non del tutto rassicurante, egli riteneva che il Gabinetto austriaco non avrebbe potuto dare miglior prova delle sue migliori disposizioni verso di lui che riprendendo l'interrotto contatto, mediante qualche scambio di vedute, sulle varie questioni balcaniche all'ordine del giorno. A queste sue dichiarazioni, che l'ambasciatore d'Austria-Ungheria venne autorizzato a comunicare ad Aehrenthal, egli attende risposta. Izwolsky esclude che, nello stato in cui stanno le cose, ciò possa condurre alla stipulazione di nuovi accordi balcanici con l'Austria-Ungheria. Intanto egli tiene che di quanto precede sia informata V.E. che si propone pure di tenere al corrente del corso ulteriore di queste entrature.

67

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE CONFIDENZIALE S.N. Vienna, 22 gennaio 1910.

Nella visita da me fatta, dopo il mio ritorno in Vienna, al mio collega di Germania, egli mi parlò dell'intervista accordata dal conte d' Aehrenthal al signor Wesselitzky, corrispondente da Londra del Nowoje Wremia, circa la quale ho avuto l'onore di riferire all'E.V. con mio rapporto n. 61 in data di ieril.

671 Con R. 128/61, non pubblicato, Avarna riferiva tra l'altro che Aehrenthal aveva dichiarato «che l'Austria-Ungheria non pensa ad estendere la sua dominazione nella penisola balcanica né in un momento prossimo né in un momento remoto; che la Germania non ha nessuna influenza sulla politica della Monarchia; che se qualcuno potesse esercitare influenza sarebbe la Russia».

Il signor di Tschirschky si dimostrò m eco molto sorpreso che il conte d'Aehrenthal avesse creduto ricevere il signor Wesselitzky, che qualificò persona spregevole, colla quale egli non avrebbe voluto mai entrare in rapporti diretti per l'ostilità che aveva sempre manifestato contro la Germania e l'Austria-Ungheria e specialmente per i mezzi poco onesti, di cui si era servito per suscitare diffidenze tra le due Potenze ed aumentare la tensione esistente tra l'Austria-Ungheria e la Russia. Ed aggiunse, in via strettamente personale, che non divideva le idee del conte d' Aehrenthal, il quale sembrava credere «che ogni mezzo fosse buono in politica per raggiungere il fine».

Avendogli chiesto se, durante la mia assenza da Vienna, fosse avvenuto qualche cambiamento nei rapporti fra l'Austria-Ungheria e la Russia, il signor di Tschirschky mi rispose negativamente, dicendo che essi erano sempre sullo stesso piede di prima e che nulla era avvenuto nel frattempo che potesse far prevedere come possibile per ora un miglioramento in quei rapporti stessi. Questo però era desiderato da alcune persone in Russia e dallo stesso czar. Ma Sua Maestà trovavasi tuttora sotto l'influenza di re Edoardo, che mirava ad impedire un qualsiasi riavvicinamento coll'Austria-Ungheria, ed in ciò era coadiuvato dal signor Izvolsky.

A tale proposito il signor Tschirschky ricordò (mia lettera particolare del 16 maggio scorso) che questi aveva potuto conservare la fiducia dello czar per opera diretta di re Edoardo, il quale aveva scritto a Sua Maestà per fargli comprendere la convenienza di non allontanar il signor lzwolsky dal potere dopo l'annessione della Bosnia-Erzegovina, per non ripetere l'errore commesso dal Governo della Repubblica col far lasciare il Quai d'Orsay al signor Delcassé in seguito all'atteggiamento assunto dalla Germania nella questione del Marocco.

Accennando poi alla politica seguita dall'Inghilterra sul continente, osservò che essa aveva per scopo di alimentare le diffidenze esistenti tra le varie Potenze e specialmente tra la Russia e l'Austria-Ungheria e ch'essa aveva tentato altresì di intorbidare le relazioni di questa Potenza colla Germania per mantenere così la disunione in Europa, per i fini di quella politica stessa.

Ma il signor di Tschirschky non dubitava che se la situazione in Turchia avesse preso una piega poco favorevole e facesse prevedere una qualsiasi catastrofe, la Russia avrebbe finito per riavvicinarsi all'Austria-Ungheria, ciò che era richiesto dagli interessi vitali che l'Impero aveva da tutelare nei Balcani.

Gli risultava d'altra parte che tale riavvicinamento era ricercato pure dal conte d'Aehrenthal, che non ignorava come l'imperatore Francesco Giuseppe e l'arciduca ereditario, i quali erano stati per l'addietro fautori d'un alleanza colla Russia, avessero visto con rammarico la rottura avvenuta con quella Potenza e desiderassero, anche dal punto di vista monarchi co, il ristabilimento dell'antica amicizia fra i due Imperi.

Il conte d' Aehrenthal quindi senza venir meno alla dovuta riserva, che gli era imposta dalla situazione in cui trovavansi al presente i rapporti fra i due Governi, ricercava ogni mezzo indiretto che potesse fargli raggiungere tale scopo e corrispondere, in pari tempo, al desiderio del suo sovrano e dell'erede al trono.

Il signor di Tschirschky aggiunse che la situazione del conte d'Aehrenthal, quantunque il processo Friedjung avesse prodotto sull'opinione pubblica un'impressione poco favorevole a suo riguardo, era solida e che egli sembrava godere tuttora della fiducia dell'imperatore.

Se si esaminano gli interessi che l'Austria-Ungheria e la Russia hanno da tutelare nella penisola balcanica si dovrà riconoscere che questi impongono ad entrambe le Potenze di seguire una politica intesa ad impedire che quella regione sia riservata ali 'azione esclusiva d'una di esse. Un tale stato di cose, ove si avverasse, non potrebbe essere tollerato né dalla Russia né dall'AustriaUngheria, e specialmente da quest'ultima, perché implicherebbe l'abdicazione dalla sua situazione di grande potenza ed, in un lontano avvenire, la rovina della Monarchia.

D'altra parte le due Potenze comprendono che il nodo delle questioni che fossero per sorgere nei Balcani non potrebbe essere da loro tagliato colla spada per non esporre i loro popoli ad una lotta interminabile, di cui non sarebbero in grado di calcolare le gravi conseguenze.

Per cui esse hanno procurato sempre, dacché fu firmato il Trattato di Berlino, di non valersi della forza per stabilire la rispettiva loro influenza in Oriente, ma di ricorrere ai mezzi pacifici, e non hanno risparmiato né tempo né fatica per conseguire l 'intento.

Tale politica che fu inaugurata in Austria-Ungheria dal conte Andrassy, dopo che la Monarchia poté prendere colla occupazione della Bosnia-Erzegovina un posto importante nella penisola balcanica, venne seguita sempre dai suoi successori al Ballplatz ed essa ebbe il suo epilogo n eli 'intesa del 1897, concretata poi nel 1903 col programma di Miirzsteg.

Se gli avvenimenti che precedettero e seguirono l'annessione della Bosnia-Erzegovina hanno interrotto il filo di quella politica col far cadere del tutto il programma suddetto, non hanno però annullato l 'intesa del 1897, che è soltanto assopita, siccome il signor Tcharikoff affermava nell'inverno 1909 al r. ambasciatore in Pietroburgo. E tale intesa è destinata a risorgere a nuova vita il giorno in cui ulteriori commozioni dovessero mettere a cimento le basi dell'Impero ottomano.

In tal giorno i due Imperi saranno fatalmente condotti dalla necessità di tutelare i loro interessi a riannodare gli antichi buoni rapporti per regolare la rispettiva situazione nei Balcani.

Onde il riavvicinamento fra la Russia e l'Austria-Ungheria, siccome rappresentai a più riprese al predecessore dell'E.V. nella mia corrispondenza privata ed ufficiale, è un evento a cui noi dobbiamo aspettarci in un'epoca più o meno remota e deve essere tenuto da noi presente per valutare la linea di condotta che ci conviene tenere.

Si fu in previsione di ciò e delle conseguenze che quell'eventualità avrebbe potuto trarre seco per i nostri interessi nei Balcani, che io mi permisi di proporre al senatore Tittoni di non tardare a stipulare coli' Austria-Ungheria il nuovo accordo che venne ora concluso.

66 l Cfr. n. 55.

68

IL MINISTRO A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 265/7. Sofia, 23 gennaio 1910, ore 3,30 (per. ore 21,35).

Ringrazio l'E.V dei telegrammi nn. 180 e 1891. In base a tutte le notizie raccolte, posso confermare a VE. che tanto il re Ferdinando quanto il suo Governo, pienamente consci interessi del Paese ed apprezzando consigli delle Potenze, soprattutto della Russia, la quale non cessa di raccomandare calma e moderazione, hanno la migliore buona volontà mantenere buone relazioni colla Turchia.

Vari addetti militari mi assicurano non esistere disposizioni militari le quali possano giustificare sospetto che la Bulgaria voglia assumere contegno minaccioso verso la Turchia. Anche viaggio a Costantinopoli e in Macedonia del signor Daneff, convinto fautore politica saggia e prudente, dato che quest'uomo politico abbia avuto segreta missione dal suo sovrano, sarebbe una novella prova intenzioni pacifiche del re Ferdinando. Ma, come lo dimostra anche il passo stato fatto dal signor Rizoff presso VE., il re Ferdinando è sempre preoccupato dall'attitudine della Turchia; egli teme che il Governo ottomano pensi ad infliggere una umiliazione alla Bulgaria. Anche nel Paese, come mi disse oggi un deputato influente, si fa strada l'idea che la Turchia, sentendosi ora militarmente più forte della Bulgaria, voglia far scontare al giovane Regno i successi conseguiti. I giornali continuano ad occuparsi della situazione in Macedonia e dei comizi promossi dai macedoni residenti nel Regno, ma, in genere, essi non usano un linguaggio minaccioso, anzi non nascondono il timore che incute l'Impero. La Vetcherna Posta dice che quella guerra, che la Bulgaria ha voluto evitare a qualunque costo, sarà fra breve imposta dalla Turchia.

A mio avviso, nel momento attuale, i pericoli di complicazione possono sorgere non già a Sofia ma a Costantinopoli e tale è pure l'opinione di vari miei colleghi.

69

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 214. Roma, 23 gennaio 1910, ore 21,55.

Approvo interamente iniziativa presa da VE. e comunicatami con telegramma n. 131. Ella vorrà ringraziare Izwolsky delle informazioni confidenziali da lui

69 l Cfr. n. 65.

datele, e riprodotte nel successivo suo telegramma n. 142 . Gli dica che noi le consideriamo come un naturale corollario degli scambi di idee avvenuti a Racconigi, ai quali non mancheremo di conformarci con pari franchezza e lealtà ogni volta che l'occasione se ne presenti. Frattanto, gli indizi risultanti da quelle informazioni, e confermati da recenti manifestazioni viennesi, pongono in rilievo l'interesse per noi grandissimo di vigilare attentamente tutto quanto può modificare la natura delle attuali relazioni austro-russe. E faccio assegnamento a questo scopo sulla oculata diligenza di lei.

68 l T. ISO del 20 gennaio e T. 189 del 21 gennaio, non pubblicati.

70

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE 69/50. Atene, 23 gennaio 1910 (per. il 31).

La Sublime Porta ha riunito in riassunto le comunicazioni verbali fatte ai suoi ambasciatori dalle quattro Potenze protettrici di Creta in risposta alla sua protesta del 6 corrente ed ha poi inviato quel riassunto al suo ministro in Atene, dal quale ho potuto attenerne comunicazione in via confidenziale.

Per opportuno raffronto delle informazioni che saranno pervenute in proposito all'E.V., le accludo copia di quel riassunto!, dal quale risulta che le quattro Potenze hanno unanimamente disapprovato in maggiore o minore misura l'attitudine assunta dai cretesi nelle note recenti circostanze.

Credo opportuno di ripetere in quest'occasione che difficilmente potranno attendersi aperti moniti ai cretesi da parte di questo o di qualsiasi altro Governo ellenico e che le Potenze non potranno fare assegnamento, ali'evenienza, che sui mezzi di persuasione o di coercizione di cui esse crederanno doversi valere nell'isola per trattenere quella popolazione da atti pericolosi compromettenti la sicurezza della Grecia.

È evidente che nell'eventuale alternativa di esercitare una pressione su Creta

o sulla Grecia, sarebbe più equo e più opportuno l'arrestare nella prima fase le complicazioni, anziché attendere la seconda.

Ad ogni modo non conviene farsi illusioni circa l'ulteriore svolgimento della questione, che è tra quelle che si possono interrompere, ma non troncare. Non è in gioco soltanto l 'indomabile aspirazione nazionale dei cretesi; esistono interessi sociali ed economici che li spingono ad una pertinace affermazione della loro volontà annessionista. Creta è troppo ristretto campo alle ambizioni dei suoi uomini politici e la minoranza musulmana, che emigrerebbe in buona parte nel caso d'annessione aperta o larvata, vi possiede tuttora ampie proprietà nella campagna e la predominanza industriale in alcune città.

70 t Non pubblicato.

Simili incentivi aggiunti all'idea nazionale non possono eliminarsi ed, ove si ponga mente che l'esempio dato dalla Bulgaria e dall'Austria-Ungheria non è punto dimenticato in Creta, come non lo sono le quasi-promesse fatte l'anno scorso dalle Potenze protettrici, non si potrà supporre che un atto d'energia compiuto da queste ultime sia per por fine alla vertenza. Nella migliore ipotesi si tratterà di una tregua del tutto effimera e l'agitazione compressa tornerà a sollevarsi per potrarsi indefinitamente con pregiudizio generale, non esclusane la stessa Turchia, che senza alcun vantaggio dal presente, senz'alcuna speranza di recupero, continuerà a trascinare al piede la pesante catena inceppante la sua opera di pacificazione e di rafforzamento, cui potrebbe invece contribuire il volenteroso concorso dell'elemento greco nell'Impero.

Comunque sia di ciò, poiché in politica convien parare ai pericoli più vicini e poiché l'accordo fra le quattro Potenze è una necessità primordiale che non ammette discussioni, ogni miglior argomento per una definitiva soluzione della questione cretese deve cedere il passo alle considerazioni d'opportunità del momento e tutti gli sforzi devono concentrarsi nell'impedire la possibilità di un conflitto fra la Turchia e la Grecia arrestandone comunque le cause nel luogo d'origine.

69 2 Cfr. n. 66.

71

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 285/19. Vienna, 25 gennaio 1910, ore 8,55 (per. ore 7,50 del 26).

Telegramma di V.E. riservatissimo n. 2131. Mio collega di Germania, che è venuto oggi a vedermi, mi ha detto, in via strettamente personale, avergli Aehrenthal fatto conoscere in questi giorni che gli era pervenuto da Pietroburgo un telegramma in cui conte di Berchtold l 'informava che Isvolsky, discorrendo con lui in via amichevole, aveva espresso desiderio che due Governi riprendessero l'interrotto contatto, mediante qualche scambio di vedute sulla situazione generale in Europa. Aehrenthal aveva aggiunto che aspettava ricevere dal conte di Berchtold un rapporto in proposito prima di rispondere tale entratura, che credeva fosse dovuta, non già all'iniziativa del signor Isvolsky, bensì a quella dello czar stesso, noto partigiano d'un riavvicinamento tra i due Imperi, e motivato dallo stato di cose poco rassicurante nei Balcani. Von Tschirschky avrebbe impegnato vivamente Aehrenthal a non lasciarsi sfuggire quella occasione e ad accettare mano offertagli da Isvolsky, dimostrandogli necessità, non solo nell'interesse due Imperi, ma

anche dell'Europa, riprendere filo relazioni d 'una volta per cercare di attenuare, ove fosse possibile, tensione esistente presentemente. Aehrenthal, pur mostrando una certa esitazione, erasi dichiarato disposto accogliere proposta lsvolsky, però colle dovute cautele. A parere di von Tschirschky, contatto che due Governi saranno per riprendere, se potrà col tempo modificare alquanto natura loro relazioni, non potrà certo far scomparire del tutto diffidenza profonda esistente tra loro, per cui non sarebbe il caso parlare per il momento di accordo. Come l'E.V. vede, cose dette dal conte di Aehrenthal a von Tschirschky non concordano interamente con quelle comunicate da Isvolsky al r. ambasciatore in Pietroburgo.

71 l Non rinvenuto.

72

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 290/4. Belgrado, 26 gennaio 1910, ore 16,30 (per. ore 19,40).

Mi riferisco suoi telegrammi nn. 180 e 220l. In seguito informazioni consolari provenienti dalla Macedonia (vedi mio rapporto n. 293) Governo serbo ha inviato da qualche tempo una circolare ai suoi rappresentanti presso le Potenze amiche impartendo istruzioni di attirare su questi fatti attenzione dei Governi presso i quali sono accreditati e scegliendo per tale comunicazione il momento che credono opportuno. Ministro di Serbia a Parigi ha fatto da qualche tempo comunicazione di cui è questione al Governo della Repubblica. Coincidenza del passo fatto presso VE. dai ministri di Serbia e di Bulgaria non è stata qui, né voluta, né desiderata, soprattutto nel momento attuale e si crede dovuta ad iniziativa del rappresentante bulgaro, iniziativa, nel caso, deplorata da questo Governo. Governo serbo al quale in seguito al passo fatto dal signor Vuié sono pervenute domande di spiegazioni principalmente da parte dei Governi britannico e russo, desidera precisare portata delle istruzioni date ai suoi rappresentanti all'estero. Governo serbo non chiede si intervenga presso la Sublime Porta, ma ha creduto dovere semplicemente attirare l'attenzione delle Potenze sulla applicazione della legge repressiva delle bande, la quale, portando effetti contrari a quelli desiderati, potrebbe essere causa in Macedonia di gravi torbidi, i quali Governo di Belgrado ha tutto interesse che siano evitati, essendo suo precipuo desiderio che per parecchio tempo non sia turbato stato attuale delle cose in Turchia. Ambasciatore di Francia a Vienna avendo chiesto al ministro di Serbia se comunicazione fatta a Parigi era stata anche fatta al Governo Imperiale e Reale, Governo serbo ha dato istruzioni ultimamente al signor Simié di fare stesso passo presso Aehrenthal, quantunque tema che questi se ne possa servire per suscitare le ingiustificate diffidenze della Sublime Porta.

72 l T. lRO del 20 gennaio e T. 220 del 24 gennaio, non pubblicati.

73

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 81/58. Atene, 26 gennaio 1910 (per. il 1° febbraio).

Nonostante le tranquillizzanti informazioni che il mio collega d'Inghilterra ed io abbiamo ripetutamente fomite al ministro di Turchia circa il soggiorno del signor Venizelos in Atene, Naby bey continua a mostrarsene piuttosto allarmato. Un telegramma da lui spedito a Costantinopoli a tale riguardo dà come cosa certa che Venizelos, chiamato qui dalla Lega Militare, si adopera l) per concretare il modo di procedere alle simultanee elezioni politiche generali in Grecia e in Creta, 2) per un'attiva continuazione dei preparativi militari, 3) per stabilire a ottobre la data delle elezioni.

Che il signor Venizelos abbia potuto formulare consigli in tal senso non sarebbe da escludersi, ma mentre non si hanno dati per constatare ch'egli abbia spiegato una speciale azione in merito alle elezioni, sembra amara ironia il parlare di continuazione d'armamenti in Grecia allorquando ne mancano i mezzi e in momenti di generale confusione, nei quali l'attenzione governativa si concentra sulla situazione interna e l'attività pubblica si fiacca in lotte intestine.

Comunque sia di ciò il mio collega d'Inghilterra mi informa che, giusta un telegramma di sir Gerard Lowther, le sfere ufficiali di Costantinopoli si dimostrano inquiete per la presenza del signor Venizelos in Atene, alla quale attribuiscono appunto gli scopi sovrindicati.

Circa l'azione spiegata dall'uomo politico cretese in questa capitale non ho del resto altro da aggiungere per ora a quanto già ebbi l'onore di riferire all'E.V. con i miei recenti rapporti.

74

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 317/34. Tunisi, 26 gennaio 1910 (per. il 29).

Facendo seguito alle precedenti mie comunicazioni sull'argomento citato accantoi, ho l'onore di trasmettere oggi due nuovi rapporti del r. agente consolare a Gabes, non che un estratto dalla Dépéche Tunisienne2, intorno alle origini del noto incidente alla frontiera (nella versione francese, s'intende) e la diserzione dell'ufficiale turco che, dicesi, comandò il fuoco contro i francesi.

2 Non pubblicato.

ALLEGATO

L'AGENTE CONSOLARE A GABES, LUMBROSO, AL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI

R. RISERVATO 17/7. Gabes, 20 gennaio 1910.

Facendo seguito ai miei precedenti rapporti sull'argomento, ho l'onore di confermare alla S.V. il mio telegramma del 16 corrente, col quale mi sono fatto premura di ottemperare alle istruzioni da lei datemi col suo del 15.

Dali' insieme delle informazioni che dai giornali si vanno pubblicando sugli incidenti di frontiera e sulle divergenze sorte fra la Francia e la Turchia, due questioni -che del resto si compenetrano e sono suscitate e sostenute dal Governo della Repubblica -emergono oggi nettamente, cioè: la delimitazione definitiva della frontiera stessa ed il riconoscimento del protettorato sulla Tunisia.

La domanda della Francia, così impostata, sembrerebbe semplice e legittima; ella sarà invece nel fondo molto complessa poiché, da quanto io sono giunto a sapere in via indiretta, ma da fonte sicura, anzi sicurissima, che non mi è lecito, però, di indicare per lettera, almeno per ora, oltre i limiti della questione proclamati quasi ufficialmente dalla Francia stessa i termini si allargheranno quando, come si prevede, la Turchia, per fas o per nefas, volente o nolente, sarà indotta a modificare il proprio contegno e ammettere, contro il principio direttivo suo prevalso finora in tali questioni, la legittimità di negoziati ufficiali colla Francia presa nella sua qualità di protettrice della Tunisia.

Vi sarebbe per noi allora da temere che quest'ultima, togliendo a pretesto gli ultimi fatti o qualche altro consimile conflitto anteriore sorto fra tribù vicine od anche il rimborso delle spese incontrate per la concentrazione delle truppe a Dehibat, non si contenti della linea di frontiera attuale e pretenda spostarla siffattamente a sud che le ne sia permesso, se non di rendere addirittura tunisina Gadames, di prendere, almeno a cavallo della via di Tripoli, una posizione così vantaggiosa che le acquisti diritto e facoltà di tunisifìcarla -per servirmi di un termine nuovo assai significante -volgendo a suo piacimento la corrente commerciale di quell'oasi che è, come si sa, la chiave di vastissime regioni sudaniche.

Compirebbe essa per tal modo un notevole passo in avanti nell'attuazione dell'antico suo programma coloniale nord-africano, di intercettare, cioè, tutte le comunicazioni del villaietto ottomano coll'interno, tagliarlo fuori dallo hinterland suo naturale e !asciarlo quindi -mi si perdoni l'espressione -morir d'inedia. Ed è tanto più presumibile questo concetto direttivo francese che sembra assodato per escursioni, e studi e ricerche recenti di ingegneri francesi -e l'opinione pubblica lo accerta addirittura -che le regioni tripoline finitime colla Tunisia sono ricche di belle miniere cui lo sfruttamento metodico e razionale sarebbe di non poca importanza per un rapido incremento industriale, commerciale e finanziario della Reggenza.

Non sarebbe, dunque, affatto improbabile che la Francia, cogliendo il destro offertole, venga fuori con pretese che, dove dali 'altra parte siano accettate, sarebbero, nel volgere di pochi anni, ineluttabile cagione di completa decadenza per la Tripolitania propriamente detta.

Saremmo per ciò al caso, a mio modesto parere, di sorvegliare strettamente tanto lo svolgersi dei negoziati a Parigi o a Costantinopoli, quanto il succedersi degli avvenimenti, per quanto lievi siano, a Tunisi, a Gabes o sul confine dove dalle autorità militari si prendono quelle misure che alla metropoli od ai suoi agenti superiori sembrano più efficaci a raggiungere uno scopo che non si riesce ormai a dissimulare sì bene, che non traluca dal complesso dei fatti da essi compiuti.

Con tali considerazioni io forse oltrepasso il compito che le mie modeste funzioni mi assegnano e ne chiedo venia alla S.V., la quale resta sempre solo giudice dell'opportunità di comunicare il mio rapporto alla Consulta ed il R. Governo, in caso, è ben s'intende, libero di accordargli o meno qualche peso.

Occorre però che io aggiunga che da due o tre giorni pare sia intervenuta una certa calma poiché le truppe sul confine sono inattive e i due squadroni di spahis giuntici da Sfax e da Susa hanno ricevuto ordine di soffermarsi a Gabes e di attendervi ulteriori istruzioni che non sono ancora giunte.

Potrebbe essere anche non del tutto inutile che io faccia noto alla S.V. come questi ultimi incidenti di frontiera, questi apparecchi di guerra e la insolita resistenza addimostrata dal Governo turco abbiano suscitato ne Il' elemento indigeno musulmano un fermento sordo, ma nettamente antifrancese. La mancanza d'armi di combattimento e di munizioni è la sola causa per la quale esso non insorga come un sol uomo contro lo straniero. E di questo posso render sicurissima la S.V. dacché, come ella ben sa, con noi stranieri neutrali, con noi italiani specialmente provati amici della Turchia e già notoriamente opposti all' egemonia francese nella Reggenza, gli indigeni sono aperti e franchi, né simulano né dissimulano sentimenti di simpatia o di odio.

Sappia pure la S.V. che questa mobilizzazione di truppe alquanto affrettata, e per quanto poco importante per se stessa, ha messo a nudo molti difetti di organizzazione intema ed ha dato luogo a molto disordine e a competizioni di comando e di direzione che furono da pochi risapute perché tenute gelosamente celate. Io so però di certa scienza che alqmi ufficiali hanno emesso un severo giudizio sui fatti con queste semplici parole: «Malheur à nous si cela nous arrivait en une guerre européenne! Gare aux journaux de France si on venait à la savoir!».

Altri sono andati anche piu in là affermando, esageratamente forse: «<l nous arrivé en petit ce qu'il nous est arrivé en grand en soixantedix!». Riferisco parole testuali come mi sono state ripetute.

ALLEGATO Il

L'AGENTE CONSOLARE A GABES, LUMBROSO, AL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINJ

R. RISERVATO 20/8. Gabes, 21 gennaio 19] O.

Sono riuscito ad avere questa mattina un colloquio con Salikh ben Mohamed sottotenente turco che ha testè disertato dal contingente militare sulla frontiera.

Dalle informazioni che ho potuto avere da lui, risulterebbe che egli fu quello che ordinò ad un'orda di arabi tripolini di tirare sopra altri arabi tunisini che avevano sconfinato

. . . .

e mmacctavano 1 suot. Nel conflitto una palla andò a colpire il cavallo del comandante Donau o di uno della sua scorta e fu così che l'incidente si aggravò.

Parlando egli male il francese e nessun'altra lingua oltre il turco, non ho potuto, mancando d'interprete, ottenere da lui categoriche risposte alle mie domande. Risulta però dall'insieme del suo dire che furono primi i francesi a sconfinare e a provocare tutto il dissidio.

Il quale prendendo insolite proporzioni sino ad interessare seriamente, in ultima sede, i due Governi, gli furono mosse dai superiori suoi aspre rampogne e minacce e in ultimo atroci insulti a tale che egli perdendo la calma e la nozione delle regole disciplinari, s'indusse a sfoderare la sciabola in atto di colpire gli altri che si allontanarono da lui e gli lanciarono contro delle pietre.

La tema poi delle gravi conseguenze dell'atto suo inconsulto lo spinsero a disertare. Egli parte oggi coll' "Adria" per costì ed è sua intenzione recarsi a Marsiglia e quindi in Marocco per prendere servizio nell'esercito di quel paese. È naturalmente guardato a vista dalle autorità locali e non lo si lascia parlare a lungo con chicchessia.

74 l «Azione militare francese alla frontiera».

75

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 307/4. Il Cairo, 27 gennaio 1910, ore 20,30 (per. ore 6,30 del 28) 1.

Ha fatto inaspettatamente ritorno in Egitto dottor Enrico Insabato agente Ministero dell'interno noto ai commendatori Bollati e Agnesa. Riferendomi mio rapporto 8 febbraio 1908 s.n., dispaccio 24 ottobre 1907 n. 271 U.C., dispaccio 14 aprile 1908 n. 139 U.C., dispaccio 1909 n. 79 U.C. ed in ultimo dispaccio di V.E. del 21 dicembre scorso n. 52 Div. 3a2, prego V.E. volermi far conoscere, per norma indispensabile mia condotta, se debbo ritenere modificate direttive R. Governo circa azione politica nei riguardi elemento indigeno locale. Pronto eseguire nuove istruzioni di VE., prego farmi conoscere se Insabato deve prendere ordini da me o se autorizzato esercitare azione indipendente da questo r. ufficio, pur associandosi a Mohamed Alì dragomanno onorario avente veste semi ufficiale. Arrivo Insabato mi viene segnalato da questo Governo. Per eventuale norma di linguaggio, prego informarmi se alcuna nuova comunicazione fu fatta a codesta ambasciata britannica in relazione pratiche avvenute costà nel settembre 19073.

75 I Il registro dei telegrammi reca erroneamente il 28 gennaio; la data corretta è stata ricavata dal n. 159.

2 Non rinvenuto.

3 La richiesta di istruzioni fu rinnovata nel R. confidenziale urgente 166/65 dell'S febbraio, non pubblicato. Cfr. anche nn. 159, 166, 214.

76

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 83/27. Pietroburgo, 27 gennaio 1910 (per. il 2 febbraio).

La risposta negativa data dal Governo di Pietroburgo relativa alla neutralizzazione della ferrovia della Manciuria, ha incontrato, tanto per la sua forma come per la sostanza, l 'unanime consenso della stampa russa, e ciò costituisce indubbiamente un successo per il signor Iswolsky, che a tale unanimità di approvazione non era da gran tempo più avvezzo. Mentre per la prima parte della proposta americana la risposta russa fu nettamente declinatoria, per la seconda parte invece riguardante la costruzione della linea Kintchou -Aigun il Governo imperiale ha cercato di eludere un rifiuto categorico sotto la vaga promessa di voler sottoporre la questione a più maturi studi. È da sperarsi però che a Washington non si facciano troppe illusioni sui risultati di questi studi.

Ed invero appare evidente, che anche nel caso in cui il Governo imperiale fosse stato animato dalle migliori disposizioni riguardo all'iniziativa americana, la sua risposta non poteva suonare diversamente. Come dicevami ancora recentemente il signor Iswolsky, il sottoscrivere alle proposte americane equivaleva per la Russia ad una totale definitiva liquidazione di tutte le sue intraprese nell 'Estremo Oriente che così enormi sagrifizi hanno costato di uomini e di denaro ma ciò che più è, significava pure di compromettere seriamente l'avvenire politico dei domini russi nella Siberia orientale, giacché lo spossessarsi ora della linea manciuriana, prima ancora che sia compiuta la ferrovia dell'Amour, equivale militarmente a lasciare le terre del litorale del Pacifico in balia del loro primo aggressore. Ciò che non diceva poi il signor Iswolsky, ma che risulta chiaramente dall'attuale situazione di cose, si è che il fare in questa questione causa comune coll'America avrebbe avuto per conseguenza l'attirarsi ineluttabilmente l'animosità del Giappone il quale rappresenta adesso e per molti anni ancora il solo temibile avversario della Russia nell'Estremo Oriente.

Relativamente appunto alle relazioni russo-nipponiche il signor lswolsky, ritornando ancora recentemente meco sull'argomento, ripeté le sue più categoriche smentite alle voci allarmanti corse recentemente in Europa e di cui si valsero pure in Russia i suoi avversari politici per minargli il terreno sotto i piedi, di gravi tensioni e di stenti fra il Governo imperiale e quello di Tokio. Avendo io chiesto al mio interlocutore quale fosse stata in realtà l'origine di quelle voci, egli mi rispose che erano in gran parte da attribuirsi a colpa dei comandanti delle forze militari russe in Siberia, i quali per appoggiare le loro domande di rinforzi avevano esageratamente riferito circa i pericolosi preparativi del Giappone. Il signor Iswolsky appare invece assolutamente convinto che il Giappone non ha presentemente nessun proposito aggressivo né contro la Russia né contro qualsiasi altra Potenza; se continua ad armare ciò è solo perché vuol portare a compimento il suo programma militare, già da anni elaborato e di cui ha bisogno per poter garantire contro ogni eventualità i frutti delle sue vittorie. Ho saputo poi da questo ambasciatore di Germania avergli il signor Iswolsky recentemente dichiarato non temere affatto una nuova aggressione del Giappone contro la Russia, ma che d'altra parte era da aspettarsi che il Giappone tendesse a consolidare ed accrescere la sua posizione sul continente asiatico.

77

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 84/28. Pietroburgo, 27 gennaio 1910 (per. il 2 febbraio).

La piega più favorevole che, a giudicarne da vari recenti indizi, pare stiano prendendo le relazioni austro-russe, non può essere che salutata con gioia da tutti coloro che, consapevoli delle esigenze della presente situazione internazionale, sono in misura di rendersi un conto esatto dei seri pericoli che potrebbero da un momento all'altro scaturire tanto dal punto di vista della tranquillità nei Balcani come della pace del mondo, dalla continuazione del palese antagonismo che separa attualmente le due Potenze che hanno in Oriente i maggiori interessi. Ed il signor Iswolsky renderebbe certamente all'Europa un segnalato servizio se, dimenticando ogni animosità personale, calcasse risolutamente come pare ne abbia il proposito, la via della conciliazione e dal canto suo il conte d'Aehrenthal farebbe egli pure opera meritoria, assecondando lealmente l'iniziativa del suo collega russo. Tratterebbesi invero più che di una vera e propria riconciliazione, di una specie di sospensione delle ostilità che potrebbe anche condurre alla ripresa di relazioni presso che normali, ma non credo che i desideri del signor lswolsky vadano, almeno per ora, molto al di là di quest'ultimo obiettivo. La politica del conte d'Aehrenthal durante l'ultima crisi balcanica ha lasciato dietro di sé tracce profonde ed introdotto nei rapporti internazionali un tal sentimento di malessere da non poter così facilmente venir dissipato, come non potrà neppure essere facilmente colmato il profondo abisso scavato da quella politica fra la Russia e l'Austria-Ungheria.

Ciò che nel promuovere la ripresa di migliori relazioni coll'Austria-Ungheria deve anzitutto avere in vista il signor Iswolsky, non è certamente di riannodare co !l'Austria-Ungheria gli accordi che condussero alla politica di Miirzsteg. Edotto dall'esperienza come egli recentemente dicevami con quanta facilità e disinvoltura il conte d'Aehrenthal sappia liberarsi da incomodi impegni, il Governo imperiale non può ormai nutrire gran desiderio di tentare da quel lato un nuovo esperimento. Ciò che vuole invece il signor Iswolsky si è che la mancanza di ogni contatto fra le due Potenze maggiormente interessate nei Balcani e di cui ebbe già certamente occasione di constatare tutti gli inconvenienti, non abbia a risolversi, nell'eventualità specialmente di un aggravamento della situazione della penisola, in una sorda lotta di insidie e di intrighi in cui egli, assai meno scaltro del suo avversario, finirebbe per avere la peggio. Ma ciò che egli vuole anzitutto,

a mio giudizio, è che possa a momento dato riapparire sulla scena politica e far sentire a pro della pace i suoi benefici effetti quel concerto europeo al di cui funzionamento la presente funzione di rapporti fra Austria e Russia recherebbe indubbiamente molte difficoltà.

Risulta da varie manifestazioni del signor Iswolsky che la ricostituzione su salde basi del concerto europeo sia stato, dopo l'abbandono dell'accordo di Miirzsteg, il precipuo obiettivo del Gabinetto di Pietroburgo.

Considerando la questione da un punto di vista prettamente italiano, ritengo che il divisato riavvicinamento austro-russo sia del pari interamente conforme ai nostri interessi. Contribuendo ad allontanare la nube più minacciosa che oscurava l'orizzonte nei Balcani, esso viene a recare un nuovo efficace sostegno a quel programma che fu in ogni tempo base della nostra politica: mantenimento dello statu quo e conservazione della pace in Oriente. Esclusa ogni probabilità che da questo riavvicinamento possa scaturire fra le due Potenze accordi positivi riguardo ad una comune azione nei Balcani, rimane per noi eliminato il pericolo che possa da ciò derivare una situazione uguale a quella che tenne dietro ai patti di Miirzsteg ed in cui l 'Italia resterebbe isolata, eventualità questa del resto che in ogni caso difficilmente potrebbe verificarsi nelle attuali condizioni di cose.

Finalmente un riavvicinamento austro-russo viene a togliere di mezzo la difficile e delicata situazione in cui alla lunga continuando l'attuale antagonismo, finirebbe per trovarsi l'Italia obbligata di rimanere amica dell'una ed alleata dell'altra potenza rivale.

78

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE S.N. Bucarest, 2 7 gennaio 1910.

Ringrazio sentitamente l'E.V. del suo telegramma n. 243, in data del 25 corrente!, col quale ben volle informarmi della conformità di vedute che, nei suoi colloqui col signor Bratiano, ella constatò esistere tra il R. Governo e quello rumeno nelle quistioni orientali più importanti.

Dacché il signor Bratiano è a capo del Governo ho potuto in varie occasioni convincermi non solo di siffatta conformità di vedute, ma egli mi ha anche dato prova d 'un tatto finissimo nella politica estera. E persuaso dell'utilità che egli fosse personalmente conosciuto in Italia, sovra tutto da chi dirige la nostra politica estera, da tempo era mio vivo desiderio che egli si recasse a tale scopo costà. Per cui, approfittando delle nostre amichevoli relazioni, più volte gli manifestai questo mio desiderio, e quando egli mi annunziò la sua decisione di fare in Italia

78 I T. riservatissimo personale 243, non pubblicato.

un viaggio di convalescenza e di spingersi sino a Roma onde ossequiare il Nostro Augusto Sovrano e conoscere l'E.V., me ne compiacqui cordialmente seco lui.

Prima di chiudere la presente mi permetta, signor conte, d'esprimere tutta la mia gratitudine d'aver avuto la bontà di farmi conoscere in quali termini, veramente troppo benevoli, il signor Bratiano le parlò di me. Ciò mi incoraggerà a proseguire per quanto sta in me nel compito prefissomi di rendere sempre più intime ed improntate a reciproca fiducia le relazioni tra noi e la Rumania e di far sì che questa informi la sua linea di condotta in politica estera principalmente a quella dell'Italia. Così vedo con piacere che, come lo posi in rilievo in parecchi miei rapporti a codesto Ministero, il signor Bratiano, seguendo in ciò l'esempio del Gabinetto di Roma e pur rimanendo fedele ai principii direttivi oramai tradizionali della politica estera rumena, si sforza d'eliminare ogni causa d'attrito colla Russia e di stabilire relazioni più cordiali con essa.

Ella può anche star certa che non trascurerò nulla per tenerla informata di quanto possa interessarla, e se riuscirò a guadagnarmi la sua approvazione e fiducia, sarà per me la maggiore delle soddisfazioni. In generale non scrivo molto e, per non correr rischio di tediare e forse di non essere nemmeno letto, mi limito a farlo su ciò che giudico veramente meritevole di essere segnalato. M'astengo quindi dal riferire voci e pettegolezzi politici che, come in tutto l'Oriente, nascono e muoiono qui come i funghi, e prima di riportare una notizia cerco sempre di controllarla a fonti autorevoli e degne di fede.

Nella prossima primavera desidererei, consentendolo il r. servizio, di fare una breve scappata costì onde presentarmi all'E.V. A suo tempo gliene domanderò l'autorizzazione.

P.S. Non fidandomi affatto delle poste austro-ungheresi, quando avrò da riferire ali 'E. V. cose alquanto delicate ma non urgenti, a costo anche di qualche ritardo invierò i miei pieghi colla cassetta di sicurezza alla r. ambasciata a Vienna, perché li faccia proseguire mediante il corriere di Gabinetto. In caso d'urgenza invece telegraferò o scriverò in cifra.

79

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 313/32. Pera, [28] gennaio 1910, ore 2,55 (per. ore 17,30).

Telegramma di V.E. n. 2381. Insieme dichiarazioni fattemi dal gran vizir e da membri più autorevoli Governo, contegno manifestamente conciliante Su

blime Porta questioni trattato di commercio sono indizi escludenti disposizioni aggressive contro la Bulgaria. E, del resto, ovvio che, tempo militando contro la Bulgaria e in favore Turchia, quest'ultima non abbia al momento presente alcun interesse precipitare avvenimenti e imbarcarsi non provocata in gravi avventure guerresche prima di avere ultimato suoi preparativi di guerra. Ciò stante, se i bulgari sono sinceri nelle loro pacifiche dichiarazioni, non vi sarebbe alcun serio motivo paventare pericoli da quella parte. Tale è avviso unanime dei miei colleghi, tutti più o meno edotti momentanee apprensioni del Governo bulgaro.

Pericolo invece e grave esiste di complicazioni con Grecia. Come sostengo invariabilmente da un anno, questione cretese, oltre rivestire carattere supremo interesse nazionale, è divenuta questione di vita o di morte per nuovo regime che, già tanto malsicuro all'interno, non potrebbe resistere allo scoppio di indignazione generale quando tollerasse pacificamente ulteriore attenuazione diritti sovrani Turchia. Recente dichiarazione gran vizir, ministri, linguaggio stampa, misure militari prese ed in preparazione non lasciano alcun dubbio su decisioni questo Governo andare eventualmente fino in fondo. Ministro della guerra ha dichiarato al collega inglese che, non soltanto invio deputati cretesi, ma anche semplice decisione inviarli sarebbe considerato come casus belli. A mio avviso, è più che tempo Potenze protettrici si decidano intendersi ed agiscano energicamente onde non essere poi sorprese da gravi avvenimenti di cui giungerebbe tardivo ogni tentativo per arrestare fatale andare. Dal momento che il Governo ottomano sembra considerare rinvio truppe internazionali Creta quale provvedimento soddisfacente, mi domando se non sia il caso di accontentarlo e procurargli questo successo diplomatico imponendo, però, come condizioni:

l) che Sublime Porta si impegni rimettersene interamente decisione Potenze protettrici circa momento più opportuno per esame soluzione definitiva problema cretese;

2) che, salvo eventualità non provocata aggressione da parte greca, Turchia si impegni non aprire in alcun caso ostilità contro Grecia per questione cretese prima di avere invocato amichevole intervento Potenze protettrici per pacifica soluzione.

In pari tempo, Potenze protettrici dichiarerebbero ad Atene che, qualora Governo ellenico si adoperasse in modo qualsiasi favorire ulteriori attentati contro diritti sovrani Turchia su Creta, Potenze lascerebbero mano libera alla Turchia.

Sottopongo rispettosamente a V.E. queste mie personali vedute, sembrandomi che, in tal senso, eventuali proposte opportunamente concretate ed eventualmente migliorate potrebbero forse presentare base di un'intesa di natura scongiurare pericoli che ripeto possono, prolungandosi attuale situazione, divenire proprio imminenti.

79 l T. 238 del 24 gennaio. non pubblicato, col quale si comunicava il T. 265 da Sofia (cfr. n. 68).

80

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 262. Roma, 28 gennaio 1910, ore 21,50.

Col presidente del Consiglio di Romania, che fu per parecchi giorni a Roma, ebbi ripetuti colloqui improntati alla migliore cordialità, e nei quali abbiamo potuto constatare con soddisfazione la conformità di vedute dei due Governi, miranti entrambi a mantenere la pace mediante la conservazione dello statu-quo in Oriente e, in prima linea, il consolidamento dell'attuale regime nell'Impero ottomano. Nel discorrere insieme della situazione del momento, e dei pericoli che presentano le relazioni fra la Turchia ed i suoi vicini, specialmente di fronte alle voci corse di una progettata lega balcanica, il signor Bratiano mi comunicò confidenzialmente come a lui risultasse che sia prossimo a conchiudersi un accordo fra la Bulgaria e la Serbia sulle basi seguenti: l) disinteressamento reciproco in Macedonia, mediante la concessione a questa di una larga autonomia; 2) conseguimento di un compenso territoriale per ciascuno dei due Stati, fuori dalla Macedonia. Ove tale accordo si realizzasse, il signor Bratiano soggiungeva che la Romania, per mantenere l'equilibrio e tutelare la sua posizione di Potenza balcanica, non potrebbe a meno di reclamare anche per sé un adeguato compenso territoriale. Di quanto precede V.E. potrà tener parola, in via strettamente riservata, al conte Aehrenthal, dicendogli che con tale comunicazione noi intendiamo, come siamo certi egli farebbe in simile occasione, conformarci ali' impegno preso di parteciparci reciprocamente tutto ciò che può interessare i due Governi nelle questioni balcaniche. Il signor Bratiano si trova ora a Vienna, dove si proponeva di visitare il conte Aehrenthal e di essere ricevuto da S.M. l'Imperatore, e dove suppongo che non mancherà di mettersi in relazione anche con V.E. A lui stesso è però preferibile che ella non faccia cenno di questo mio telegramma!.

81

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 156/73. Berlino, 28 gennaio 1910 (per. il 1°.febbraio).

I giornali di ieri hanno pubblicato un comunicato dell'ambasciata di Turchia nei seguenti termini:

«La notizia diffusa in alcuni giornali, che il gran visir Hakki pascià in Roma avrebbe trattato personalmente col ministro di Grecia e che sarebbe possibile una intesa nella questione cretese a base d'indennizzo pecuniario, manca di ogni fondamento. Come risulta dalle dichiarazioni che il nuovo Gabinetto ha fatto nel suo programma, è escluso un mutamento del punto di vista del Governo ottomano in questa questione».

Avendo avuto occasione di vedere questo mio collega di Turchia, gli domandai se cotesta dichiarazione fosse stata da lui fatta dietro istruzione del proprio Governo. Egli mi rispose affermativamente, aggiungendo che Hakki pascià gliene aveva dato l'ordine per tagliar corto alle notizie sparse probabilmente ad arte dai suoi avversari a Costantinopoli, i quali cercavano di menomarlo agli occhi del pubblico coll'accusa di aver «venduto Creta».

Sull'attitudine del Governo germanico rispetto a codesta questione, non posso che riferirmi a quanto già ebbi a comunicare di recente a V.E., nel senso cioè che al Dipartimento degli esteri si continua a manifestare una piuttosto viva preoccupazione. Essa è aggravata dal non vedersi una uscita per la penosa situazione della Grecia alla quale, non foss'altro per riguardo alla dinastia, non si può qui non portare interesse, e la situazione non meno difficile del Governo ottomano che per molte ragioni non si vuole scontentare. Il generale von der Goltz, in questi giorni appunto arrivato da Costantinopoli, deve aver confermato le notizie date anche dal barone Marschall sui fermi propositi della Sublime Porta nell'affare di Creta, e merita di essere notata la persistenza colla quale sia il signor von Schoen sia gli altri funzionari del suo Dicastero manifestano il dubbio di una eventuale mossa dei turchi verso la Tessaglia che, essi dicono non senza ragione, avrebbe la più pericolosa ripercussione in Bulgaria ed in Macedonia. Quest'ultimo pericolo infatti si pone qui in più diretta connessione con una simile eventualità che non coi rapporti propri della Bulgaria verso la Sublime Porta i quali, pel momento almeno, si considerano come piuttosto tranquillanti: ma, dice il segretario di Stato, se i turchi muovessero contro la Tessaglia, tutto sarebbe da aspettarsi dalla Bulgaria.

Il generale von der Goltz, che vidi stamane, si mostra del resto più ottimista che non lo sia il pubblico circa le condizioni generali della nuova Turchia. Pur ammettendo per esempio la penuria finanziaria, egli non la ritiene più grave che non fosse in altri tempi ed anzi mi osserva che, in riguardo almeno dei bisogni militari, l'attuale Governo riusciva a trovare risorse quali non si avevano sotto l'antico regime. Varie ordinazioni si stanno ora facendo in Germania, non ultimo mezzo del quale si valgono i turchi per mantenere vivo l'interesse di questo Paese a loro favore. Per mezzo del direttore della Orient Bank seppi che in questi giorni fu concluso fra il Governo ottomano ed il cantiere Schickau un contratto per la costruzione di alcune piccole navi da guerra. Dal Ministero della marina di Costantinopoli si sarebbe pure voluto acquistare, a quanto egli mi riferì, uno dei dreadnoughts qui attualmente in costruzione, ma il Governo imperiale non avrebbe consentito a fame cessione.

Per connessione di materia mi occorre pure riferire la possibile prossima soluzione della nota questione relativa al deposito di 12 milioni di marchi giacente presso questa Deutsche Bank a nome del cessato sultano e reclamato dali' erario ottomano. Il difetto di certe formalità nell'atto di autorizzazione strappato ad Abdul Hamid per la liberazione di quel deposito (la mancanza cioè della sigla per causa dell'allegato smarrimento del sigillo) non aveva permesso alla Banca di consegnare quel denaro senza esporsi al pericolo di eventuali reclami di Abdul Hamid stesso o dei suoi eredi se mai un giorno questi si ritrovassero in grado di farli valere. L'ambasciata di Turchia, d'accordo, pare colla Banca, si rivolse quindi ai Tribunali per farla condannare a rimettergli i 12 milioni in questione; e la Banca, se legalmente garantita da una tale condanna, li verserà tanto più volentieri sapendo che sono destinati a rimanere in Germania.

Il noto Enver Bey, ora addetto militare presso questa ambasciata ottomana, mi disse aver ricevuto dal proprio Governo l'offerta del posto di valì del Yemen. Egli declinò l'invito, dicendosi non sufficientemente preparato a quello scabroso incarico e desideroso di continuare il proprio servizio nella carriera militare.

80 l Per la risposta cfr. n. 87.

82

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 85/29. Pietroburgo, 28 gennaio 1910 (per. il 2 febbraio).

Al mio ritorno da congedo ho tenuto ad assicurarmi quale impressione abbia prodotto nelle sfere dirigenti russe l'intervista di Racconigi e quale specialmente il loro modo di vedere circa l 'influenza che detto avvenimento è chiamato ad esercitare sulle relazioni politiche fra l'Italia e la Russia.

In questi circoli governativi e di corte ho trovato da per tutto parole di vivo compiacimento per l'avvenuto incontro dei due sovrani e per i notevoli risultati politici che indubbiamente è chiamato ad avere. Più tiepida mi sembrò invece l'accoglienza fatta da quelle classi conservatrici che, pur lontane dagli affari, sono però per la loro posizione sociale ed economica e per le loro potenti attinenze, sempre chiamate ad esercitare una sensibile influenza sull'andamento della pubblica cosa. Queste classi che fin da principio poco favorirono l'idea di un viaggio dello czar in Italia, e ciò forse più che per ragioni politiche, per i timori esagerati che nutrivano riguardo la salvezza personale del sovrano, si mostrano ora abbastanza preoccupate delle sue conseguenze, allegando che mentre un riavvicinamento col nostro paese non avrà mai per la Russia che un valore politico assai scarso, questo nuovo tentativo di debaucher l 'Jtalie ha invece avuto per effetto di suscitare contro l 'Impero i malumori ed i rancori de li'Austria-Ungheria e della Germania.

Apprezzamenti più accentuati ancora in senso ostile manifestano naturalmente i partiti militanti di estrema destra, avversari risoluti di ogni riavvicinamento coll'Italia o con altri Stati liberali dell'occidente e che ravvedono la sola salvezza per la Russia (o per meglio dire delle sue istituzioni autocratiche) in un'intima unione coi due Imperi centrali.

Ho scritto già altre volte, e giova qui ripeterlo che il russo, all'infuori dello slavismo, è di sua natura ripugnante ad ogni sentimentalismo in questioni di politica estera. Quando riguardo ad essa egli vien chiamato a manifestare un'opinione non si ispira mai a criteri obiettivi, ma non ha altra guida che i suoi interessi e passioni partigiane. Così vedemmo in ogni tempo il conservatore russo, per lavorare al consolidamento del principio autocratico, patteggiare a favore di un'intima unione coll'Austria e la Germania, mentre al contrario il liberale favoriva apertamente il riavvicinamento cogli stati democratici dell'Europa latina e coll'Inghilterra, nella speranza di trovarvi in essi un'assistenza alla causa del liberalismo russo. In generale ritengo che l'avvenire del nostro accordo colla Russia sia intimamente collegato con quello dell'intesa anglo-russa (senza che possa dirsi però che il nostro riavvicinamento con questo Impero sia stato in qualunque modo favorito da Governo britannico). Ambedue son destinati a consolidarsi quando continuassero qui a prevalere le tendenze del Gabinetto Stolypine, mentre al contrario un nuovo marcato ritorno alla reazione sarebbe molto probabilmente destinato a recar loro un colpo sensibile.

In tale stato di cose è mestieri riconoscere che l'avvenire delle nostre relazioni colla Russia, che non hanno ancora potuto prendere molto calde radici in Paese, continuerà a qui dipendere in gran parte dalle personali disposizioni degli uomini chiamati a dirigere la politica estera della Russia.

Se in altri campi molti addebiti furono mossi all'opera dell'attuale ministro, signor Iswolsky, noialtri italiani non possiamo nutrire per lui che sentimenti di gratitudine perché si dimostrò sempre un nostro caldo e sincero amico. A lui risale indubbiamente la paternità del riavvicinamento italo-russo ed è pure a lui che dobbiamo anzitutto se, in mezzo alle difficoltà sollevate dalle titubanze dell'imperatore e dalla resistenza di taluni suoi consiglieri, l'incontro di Racconigi abbia potuto effettuarsi. Fintanto che egli continuerà a dirigere questo Ministero degli affari esteri i buoni rapporti fra i due Paesi non subiranno certamente alcun sfavorevole mutamento, ma purtroppo non è da escludersi che presto o tardi egli volontariamente abbandoni le sue presenti funzioni per qualche ambasciata all'estero. Il suo ideale continua ad essere tuttora il posto di Roma, ove egli potrà continuare a rendere utilissimi servizi alla causa del riavvicinamento dei due Paesi. Ma questi servizi perderebbero indubbiamente molto della loro efficacia se in vece sua venisse qui chiamato un qualche vecchio conservatore sullo stampo del signor Goremykine, che desse alla politica estera di quest'Impero un indirizzo totalmente diverso. Tale pericolo apparrebbe per ora escluso, giacché ad eventuale successore del signor Iswolsky viene già generalmente designato l'attuale suo aggiunto signor Sazonoff il quale, sebbene di tendenze e di idee un po' conservatrici, continuerà certamente, almeno nelle sue grandi linee, la politica del suo predecessore specialmente poi in quanto riguarda l'Italia di cui egli, per la lunga dimora che vi fece, è al pari del signor lswolsky un amico molto caldo e sincero.

Avvi quindi ogni motivo di sperare che la durata degli accordi che uniscono l'Italia alla Russia sia garantita per una lunga serie di anni. Il tempo si incaricherà poi di dimostrare al popolo russo quale perfetta concordanza di interessi e fini politici unisce i due Paesi contribuendo così a dare agli accordi stessi una base sempre più solida e duratura. Ciò che occorre anzitutto per adesso è di mantenere l'intesa italo-russa, quale essa scaturì dalla visita di Racconigi, sempre rigogliosa ed attiva, il che non si potrà meglio ottenere che studiandosi di mantenere fra i due Governi un vivo e continuo scambio di informazioni e di vedute su tutte le questioni di politica orientale che mano mano si imporranno alla attenzione dei Gabinetti delle Grandi Potenze. Di tale parere il signor lswolsky si è addimostrato caldo fautore, e sono stato ben lieto di constatare da un recente di lei telegramma che esso è pure dall'E.V. interamente condiviso.

83

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 79/22. Belgrado, 28 gennaio 1910 (per. il 10 febbraio).

Il principe Alessandro è ritornato oggi da Sofia, riportando la migliore impressione per le accoglienze stategli fatte dal re Ferdinando. Mi consta, però, in modo positivo, che tali accoglienze hanno oltrepassato il segno desiderato dal Governo serbo, il quale avrebbe voluto che la visita del principe ereditario conservasse un carattere strettamente privato e non avesse dato occasione a dimostrazioni, che non avrebbero potuto mancare di suscitare nuovi sospetti presso la Sublime Porta. Non è stato qui visto di buon occhio il fatto, che ad un pranzo dato alla corte bulgara in onore del principe Alessandro, sia stato escluso dagli inviti, insieme a qualche altro rappresentante estero, anche il ministro di Turchia. Il signor Pachitch cercò di rimediare alla cosa telegrafando al rappresentante di Serbia d'invitare il ministro ottomano ad una colazione che doveva aver luogo alla legazione coli 'intervento del re e del principe, il giorno seguente al pranzo di Corte: ma l'incaricato d'affari di Serbia rispose che il suo collega di Russia, da lui interpellato, lo aveva sconsigliato di eseguire il consiglio del suo Governo, mancando il tempo necessario a che l'invito potesse essere fatto in modo corretto.

Il signor Milovanovitch, prima di partire per Berlino, ha telegrafato al ministro di Serbia a Costantinopoli dandogli istruzioni di chiarire al gran visir la portata della visita del principe Alessandro a Sofia, insistendo sull'attitudine corretta e sulle intenzioni leali del Governo serbo a riguardo della Turchia. Secondo la risposta pervenuta a questo Ministero degli affari esteri, Hakki pascià si sarebbe mostrato soddisfatto del passo fatto dal signor Milovanovitch e delle spiegazioni dategli in suo nome. Il signor Nenadovitch ha poi preso occasione da ciò per informare il gran vizir del proposito del ministro serbo degli affari esteri di recarsi a Costantinopoli per visitarlo, quando ritornerà da Berlino; Hakki pascià avrebbe risposto che gli sarebbe stato assai gradito di potersi incontrare col signor Milovanovitch.

In sostanza, le tendenze generali delle Potenze, che nel consolidamento della Turchia vedono una garanzia della pace, ed i consigli di moderazione pervenuti a Belgrado, sembrano aver influito sul Governo serbo per persuaderlo a mettersi sulla via della saggezza e della prudenza. lo non so, e dirò anzi non credo, che molta sincerità d'intenzioni possa esservi nei propositi amichevoli della Serbia verso la Turchia, sta però in fatto che l'interesse, basato sulla situazione generale e sulla impreparazione del Paese, fanno, per il presente, desiderare al Governo serbo un periodo di tranquillità e di raccoglimento. Ad ogni modo l'attitudine della Bulgaria ha suscitato a Belgrado molte diffidenze, temendosi che essa non voglia servirsi della Serbia nel momento che giudicherà più opportuno per aprire la quistione macedone, e qui non si crede che tale momento sia per ora venuto. Questa sembra essere l'opinione del Pachitch che ha idee chiare e precise e che è il solo uomo che abbia autorità di mandarle ad effetto. Dal segretario generale al Ministero degli affari esteri, che rimpiazza si può dire il Milovanovitch durante le sue assenze e che è persona ligia al signor Pachitch e ne divide completamente il modo di vedere, mi venne affermato che la Serbia continuerà nel suo programma di migliorare e stringere sempre più cordiali relazioni col Regno vicino, ma che eviterà di concludere un accordo, che potrebbe precipitare il Paese in un'avventura per la quale non si sente, al presente, preparato. Del resto nulla di importante può essere stato trattato a Sofia fra il re Ferdinando e il giovane principe, non accompagnato da alcun funzionario responsabile. Si teme piuttosto che in una non lontana e probabile visita del re dei bulgari a Belgrado, egli non abbia ad intavolare la quistione in modo categorico ed il Pachitch, mi disse il mio interlocutore, saprà certamente fare in modo che la Serbia non si lasci ingannare.

84

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, GUASCO DI BISIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 47/21. Monaco di Baviera, 28 gennaio 1910 (per. il 31).

Non sono certamente senza importanza gli sforzi che la Germania fa per conseguire il fine di metter pace ed accordo fra l'Austria-Ungheria e la Russia, quest'ultima crucciata per l'annessione della Bosnia-Erzegovina. È certo, a quanto qui si assicura, che nei circoli competenti di Berlino si è decisi a non desistere dai tentativi intrapresi per venirne a capo. La Germania fedele alleata, e conservandole in ogni occasione il suo appoggio, ha sempre cercato di mantenere buone relazioni ufficiali colla Russia, e desidera lealmente che gli ultimi resti di una freddezza oggettiva o personale tra i due Gabinetti di Vienna e di Pietroburgo scompaiano, e che si addivenga, specialmente per ciò che riguarda i Balcani, nuovamente ad un accordo tra di essi. E così si farebbe rinascere quella preminenza, interrotta per qualche tempo, che l'Austria-Ungheria e la Russia avevano sugli Stati dei Balcani, coll'esclusione, non confessata ma di fatto, delle altre Potenze, come esse egualmente interessate colà. A volere ostacolare il riappacificamento voluto dalla Germania, qui si sospetta la Francia, ed il sospetto è rinfocolato dal tenore della stampa francese specialmente da quella che passa per ufficiosa.

Circa il buono o cattivo risultato dei tentativi germanici di positivo nulla si conosce in questi circoli ufficiali (o se noti si tacciono), tranne i frequenti e lunghi colloqui dell'ambasciatore conte Berchtold con Iswolsky. Però se si avvererà l'andata a Pietroburgo del conte di Aehrenthal, come accennò alla sfuggita il mio collega d'Austria-Ungheria intrattenendomi della visita che fra quattro settimane il conte Aehrenthal restituirà al barone Podewils in questa città, bisognerà confessare che anche in questa occasione la politica tedesca ha ottenuto un grande successo.

Le notizie sballate su dissidii tra l'ambasciatore germanico a Vienna ed il ministro degli affari esteri imperiale e reale, come pure sugli intrighi dello stesso ambasciatore contro il ministro degli affari esteri tedesco si addebitano alla fantasia d'un corrispondente russo stabilito a Vienna che si vendica per non esser stato ricevuto dal conte Aehrenthal.

85

L'AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 129/52. Londra, 29 gennaio 1910 (per. il 4 febbraio).

Ieri sera, al banchetto della colonia tedesca, l'ambasciatore di Germania ha profferito il discorso, che, qui unito, mi pregio trasmetterlel.

Più volte egli ha pronunziato discorsi tendenti a dimostrare che non vi ha ragione di antagonismo politico tra la Germania e l'Inghilterra; il discorso di ieri non è meno abile e meno elevato dei precedenti, ma non avrà maggiori effetti pratici, non attenuerà la diffidenza della grande maggioranza degli inglesi verso la Germania.

Anche quelli, che credono alla sincerità delle intenzioni pacifiche dell'imperatore e del popolo tedesco, temono che la forza delle cose provochi presto o tardi un conflitto tra la Germania e l'Inghilterra.

85 I Non si pubblica.

È vero che nessuna delle colonie inglesi potrebbe, anche se conquistata dalla Germania, venire da essa conservata ed utilmente sfruttata, ma il crescente bisogno d'espansione economica della Germania può, in avvenire, in altra forma, per altri territori, per altre questioni, provocare il conflitto. L'ambasciatore ha notato che alla Germania non occorrono più, come si credeva in passato, colonie di popolamento, perché la sua emigrazione si è arrestata per effetto dello sviluppo economico del paese. Egli non ha pensato che tale arresto sarà temporaneo, se continua l'aumento della popolazione nella proporzione attuale di quasi un milione all'anno. Egli ha notato pure che alla Germania basta potere esportare i propri prodotti, ma ha dimenticato i progressi che ha fatto la causa protezionista in Inghilterra e le conseguenze, nei mercati contesi, del protezionismo altrui.

La flotta, ha detto, serve alla protezione del commercio tedesco e non a scopi aggressivi, ma gli inglesi vedono che le grandi navi da guerra tedesche non hanno i requisiti voluti per i grandi viaggi lontani, ma li hanno in altissimo grado per combattere grandi battaglie nel Mare del Nord.

In compenso è, a mio parere, giustissima un'altra osservazione del conte Wolff Mettemich, anzi è sempre stata mia convinzione che nel fatto, da lui messo in evidenza, stia una delle maggiori, e forse la maggiore garanzia di pace tra la Germania e l'Inghilterra. Il commercio· tra i due Paesi ha preso un così grande sviluppo, esso rappresenta per entrambi un interesse così grande e vitale, che ognuna delle due Nazioni ha interesse, sebbene non tutti lo vedano, alla prosperità dell'altra. Il danno, che la concorrenza tedesca ed inglese reciprocamente si fanno, sui mercati neutrali, è minore dell'entità dei vantaggi, per ognuna delle due Nazioni, rappresentati dal commercio reciproco: il vantaggio, che, sui mercati neutrali, l'uno dei due concorrenti ritrarrebbe da un indebolimento sensibile dell'altro, è minore, almeno per ora, del danno che risentirebbe dall'impoverimento di un così importante cliente.

Non bisogna dimenticare che, se, nei mercati neutrali, scomparisse la concorrenza tedesca, non tutto il terreno, che essa perderebbe, verrebbe guadagnato dal commercio inglese poiché anche le altre Nazioni, che un tempo erano soltanto consumatrici di prodotti industriali, sono oggi produttrici ed esportatrici.

Unisco pure il commento del Times al discorso dell'ambasciatore tedesco. È un commento di cifre eloquenti sulla spesa delle due Nazioni per le rispettive flotte!.

86

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 338/24. Vienna, 30 gennaio 1910, ore 0,40 (per. ore 6,45).

A richiesta di Aehrenthal, mi sono oggi recato Ballplatz. Egli mi ha detto che mi aveva pregato venirlo vedere perché desiderava farmi conoscere, onde lo riferissi a V.E., in qual modo era avvenuta ripresa contatto tra i Gabinetti di Vienna e Pietroburgo, di cui erasi occupata in questi ultimi giorni stampa europea. Aehrenthal mi ha informato, quindi, che Izwolsky nutriva da qualche tempo certo rancore personale verso cancelliere, perché credeva che articolo, firmato Vox alterae partis, comparso rivista inglese del novembre scorso, fosse stato da lui inspirato, essendo stato pubblicato da persona che egli aveva ospitato nel suo castello di Buclau. Le reiterate spiegazioni dategli dal conte Berchtold avevano finito per fare dissipare tale rancore ed, in una conversazione avuta con lui vari giorni fa, Izwolsky avevagli parlato della convenienza che due Gabinetti riprendessero contatto interrotto per procedere scambio di vedute sulle varie questioni balcaniche ali' ordine del giorno.

A tale entratura egli aveva risposto oggi incaricando conte Berchtold fare conoscere Izwolsky che, dal suo lato, era disposto a procedere tale scambio di vedute. Aehrenthal ha aggiunto che le conversazioni che sarebbero avvenute in seguito tra i due Gabinetti avrebbero potuto attenuare tensione esistente presentemente tra essi e produrre conseguentemente salutare influenza sugli Stati balcanici e sulla situazione generale in Turchia.

Avendogli chiesto se ripresa contatto avrebbe avuto per risultato rimettere in vigore accordo 1897, egli mi ha risposto che non aveva fatto ad Izwolsky alcuna proposta, ma che aspettava esaminare quelle che avesse creduto fargli ed ha soggiunto che principio cui quell'accordo si informava del mantenimento statu quo e del disinteressamento dei due Governi nei Balcani costituiva base fondamentale della politica dell'Austria-Ungheria.

Dietro mia domanda, Aehrenthal mi ha detto poi che supponeva che decisione Izwolsky riprendere contatto con lui fosse stata motivata dalla situazione presente nei Balcani e nell'Estremo Oriente.

Infine Aehrenthal mi ha pregato fare conoscere a V.E. che, se conversazione, che avrebbe avuto luogo fra i due Gabinetti, avesse condotto a qualche cosa di concreto, non avrebbe mancato di rendernela informato.

87

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 339/25. Vienna, 30 gennaio 1910, ore 0,40 (per. ore 6, 45).

Ho comunicato in via strettamente riservata Aehrenthal telegramma di

V.E. riservatissimo n. 2621. Aehrenthal mi ha pregato di ringraziare V.E. per

tale comunicazione e di farle conoscere, in via pure riservata, che presidente del Consiglio di Rumania, dopo avergli parlato con riconoscenza dell'accoglienza benevola fattagli in Roma da S.M. il Re e dei colloquii avuti con lei, avevalo intrattenuto confidenzialmente della prossima conclusione di un accordo tra Bulgaria e Serbia sulle basi indicate telegramma suddetto. Egli aveva fatto rilevare al signor Bratiano che Bulgaria e Serbia non avrebbero potuto disporre a loro volontà della penisola balcanica, e che, anche (?)2 nel caso in cui esse rimanessero vittoriose in una guerra contro Turchia, sarebbe spettato non già a loro bensì all'Europa decidere delle sorti della penisola stessa. Non credeva conveniente parlare d'un eventuale disfacimento dell'Impero ottomano, ma egli non poteva non consigliare alla Rumania di continuare nella politica savia tenuta finora e tenersi unita alle Potenze della Triplice Alleanza, sulle quali avrebbe potuto fare in ogni evenienza maggiore assegnamento. Se, per eventi imprevisti, dovessero aver luogo cambiamenti nei Balcani, che non erano desiderabili, Governo Imperiale e Reale essendo interessato al pari altri Governi mantenere statu quo e opporsi fermamente a tutto ciò che potesse turbarlo, la Rumania avrebbe potuto sempre contare sull'appoggio morale dell'Austria-Ungheria. Aehrenthal mi ha pregato infine assicurare V.E. che, dal canto suo, non avrebbe tralasciato parteciparle tutto ciò che può interessare nostri due Governi nelle questioni balcaniche.

87 l Cfr. n. 80.

88

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 223/104. Vienna, 30 gennaio 1910 (per l'11 febbraio).

Ho l'onore d'informare l'E.V. che il signor Bratiano, presidente del Consiglio rumeno è giunto jeri l 'altro a Vienna, proveniente da Roma, ed è stato poche ore dopo il suo arrivo, ricevuto in udienza particolare da S.M. l'Imperatore Francesco Giuseppe. Lo stesso giorno il presidente del Consiglio rumeno si recò a far visita al conte d'Aehrenthal ch'ebbe occasione di vedere nuovamente ieri ad una colazione che il ministro degli affari esteri offrì al Ballp latz in suo onore.

Il signor Bratiano venne il giorno stesso del suo arrivo all'ambasciata per farmi visita; non avendomi trovato, mi lasciò la sua carta di visita. Io gli feci

esprimere Jen mattina il desiderio di recarmi da lui, ma, con gentile pensiero, il signor Bratiano volle invece tornare egli stesso da me.

Durante il lungo colloquio ch'io ebbi col presidente del Consiglio rumeno, egli mi pregò innanzi tutto di esprimere a V.E. la sua riconoscenza per l'accoglienza simpatica che ella aveva voluto fargli in Roma e mi disse inoltre di essere particolarmente grato a Sua Maestà il Re per la benevolenza che aveva degnato dimostrargli, aggiungendo che era stato vivamente impressionato per la mente sagace e seria e la profonda cultura del Nostro Augusto Sovrano.

Il signor Bratiano mi fece quindi conoscere che aveva trovato V.E. piuttosto preoccupata per la situazione in Oriente; ma soggiunse che aveva potuto constatare con viva soddisfazione come vi fosse assoluta identità di vedute fra le direttive politiche dell'Italia e della Rumania, rivolte entrambe al mantenimento dello statu quo nei Balcani. Ciò era del resto tanto più naturale inquantoché anche le relazioni tra la Rumania e l'Italia erano basate sopra un piede di piena fiducia e di fraterna amicizia, giacché i due Paesi erano legati da vincoli di sangue ed il popolo rumeno considerava come fratello il popolo italiano. Grazie a questi sentimenti gli affari di cui egli aveva occasione di parlare a Bucarest col marchese Beccaria d'Incisa, erano trattati non come si usa fra il presidente del Consiglio di uno Stato ed il rappresentante diplomatico di un altro, bensì, come si usa fra due colleghi.

Il signor Bratiano mi disse poscia che era rimasto pure soddisfatto dei colloqui avuti col conte d'Aehrental, il quale gli aveva fatto cenno della ripresa di contatto tra i due Gabinetti di Vienna e Pietroburgo, aggiungendo ch'essa avrebbe avuto per conseguenza di far dissipare col tempo la tensione esistente fra loro e di eliminare così ogni sorta di intrighi che si ordivano nei Balcani. A suo parere però il riavvicinamento colla Russia non avrebbe potuto, per ora, dar luogo alla stipulazione di nuovi accordi tra i due Stati. Egli aveva trovato il conte d'Aehrenthal più preoccupato di quanto fosse nell'estate scorsa della situazione nei Balcani. Il presidente del Consiglio rumeno riteneva del resto, dal suo lato, che questa fosse realmente tale da preoccupare seriamente. Ma le sue apprensioni erano però diminuite dal fermo proposito manifestato da tutte le Potenze di voler mantenere lo statu quo nel vicino Oriente e di opporsi a tutto quanto potesse turbarlo.

Il signor Bratiano mi parlò pure del viaggio fatto dal re Ferdinando di Bulgaria in Serbia, ed accennò pure alle cose dette confidenzialmente a V.E. e da lei riferitemi col suo telegramma riservatissimo n. 262 del 28 gennaio scorsoi. Aggiunse che aveva pure tenuto parola delle cose stesse al conte d' Aehrenthal, il quale si era con lui espresso nei termini da me riferiti a V. E. col mio telegramma riservatissimo del 30 gennaio scorso n. 252.

2 Cfr. n. 87.

Il presidente del Consiglio rumeno lasciò 1en stesso questa capitale, recandosi direttamente in Rumania.

87 2 Il punto interrogativo è del decifratore.

88 l Cfr. n. 80.

89

IL REGGENTE IL GOVERNO DELLA SOMALIA, MACCHIORO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. GAB. 522. Mogadiscio, 30 gennaio 1910 (per. il 25 febbraio).

Riferendomi alle informazioni contenute sotto i numeri 33 e 39 del Notiziario politico da me trasmesso a codesto Ministero con foglio di trasmissione

n. 383 del 21 corrente ho l'onore d'inviare a V. E. copia dell'unito rapporto trasmessomi dalla Residenza di Lugh nel quale si contengono importanti notizie sul conto di Atò Hussein, rappresentante del Daditarrè, ed alcune osservazioni sulla delimitazione della frontiera italo-etiopica.

Risulta da tale rapporto che Atò Hussein ha una missione pacificatrice fra gli ogaden ed intende di adoperarsi affinché questi restituiscano il bestiame da loro razziato agli adama ed ai luvai. Infatti un telegramma in data del 27 corrente mi comunica che Atò Hussein ha consegnato alla Residenza 114 capi di bestiame che gli ogaden avevano razziati ai uakdere, gobuin, gasar gudda ed ha restituito anche una parte della merce che era stata rubata a certi negozianti di Dolo.

Anche le dichiarazioni fatte da Atò Hussein alla missione inviatagli dalla Residenza sono soddisfacenti, avendo egli riconosciuto di non poter entrare nel nostro territorio, compreso la necessità che la consegna reciproca dei ribelli avvenisse in seguito ad un'intesa fra i due Governi, ammesso che gli adama e i luvai sono alla dipendenza dell'Italia ed infine promesso di adoperarsi perché Ferin Afloo con la sua gente rimanesse in territorio abissino. Atò Hussein riconosce di aver fatto una diversa dichiarazione quanto alla dipendenza degli adama e dei luvai, ma unicamente per ottenere dagli ogaden la restituzione del bestiame razziato. Il residente è un po' scettico -e forse non a torto -sulla sincerità di questa spiegazione e ritiene piuttosto che si trattasse di riscuotere tributi dagli adama e dai luvai per conto del Daditarré.

Nella seconda parte del suo rapporto il residente tratta una questione ben nota a codesto Ministero: quella delle difficoltà a cui ha dato luogo l'interpretazione dell'articolo l 0 della convenzione 16 maggio 1908, dove esso stabilisce che la linea di frontiera si dirige verso est per le sorgenti del Maidaba. Il capitano Garelli ritiene opportuno che la r. legazione in Etiopia approfitti della presenza del Daditarré in Addis Abeba per fargli impartire ordini chiari e tassativi circa la questione della frontiera. Quanto alle istruzioni che il residente

di Lugh chiede nella questione dei digodia, io gliele ho già fatte pervenire con mia lettera del 4 gennaio trasmessa in copia a codesto Ministero col rapporto n. 38 di pari datai.

ALLEGATO

IL RESIDENTE A LUGH, GARELLI, AL REGGENTE IL GOVERNO DELLA SOMALIA ITALIANA, MACCHIORO

R. 590. Lugh, 28 dicembre 1909.

Come ebbi l'onore di rappresentare a VS. con telegramma n. 551 del 4 corrente, sarebbe stata mia intenzione, prima di iniziare qualsiasi genere di trattative con l'Ato Ussen, di approfondirne la conoscenza e di vedere i primi frutti dell'opera che egli ebbe incarico dal Dadi Tarrè di svolgere fra gli ogaden; ma il rapido avvicendarsi degli avvenimenti non mi ha consentito neppure di iniziare Io studio progettato ed alla prima lettera de II' Ato Ussen fu necessario prevenire le sue rivendicazioni sulla dipendenza degli afgab per evitare che egli attribuisse al suo intervento le decisioni che, in riguardo al Ferin Afloo ed ai suoi dipendenti, erano già state prese da codesto ufficio di Governo.

La lettera deli'Ato Ussen (vedi allegato n. l al foglio n. 583 del 20 dicembre), nella quale egli chiede (secondo quanto mi fu possibile di interpretare) l'arresto del Ferin Afloo, giungeva difatti a Lugh quando io già gli avevo comunicato (vedi telegramma n. 571) che richiamasse più a nord il capo afgab con le sue genti per riunirle al Dabar Gira. Ma la lettera stessa, anche perché non fu qui possibile di interpretarla nel suo significato integrale, aveva bisogno di essere chiarita, ciò che richiese l'invio presso I'Ato Ussen di una missione speciale la quale fu composta come indicai nel mio foglio n. 583 del 20 corrente.

Essa ebbe l'incarico di spiegare come l'inviato amhara, dopo aver mandata la prima sua lettera al residente, avesse indirizzate le successive allo Stefano Robba, ed al cadi Scek Abdi Nur; doveva accertare i limiti del mandato affidato dal Dadi Tarrè al suo rappresentante, fargli intendere che non si inoltrasse in territorio italiano ma che si adoprasse invece a richiamare tutti gli afgab in quello abissino; doveva accennare che la consegna reciproca di ribelli avrebbe potuto effettuarsi in seguito ad accordo fra i Governi italiano ed etiopico, e rettificare il concetto che dalla già citata lettera deii'Ato Ussen pare che il Dadi Tarrè siasi formato -erroneamente o ad arte circa la dipendenza etiopica degli adama e dei luvai. La missione aveva infine il compito di adoprarsi fra i capi ogaden per gettar le basi di una riconciliazione fra le tribù afgab e quelle rahanuin. La variante di indirizzo alle lettere de li'Ato U ssen, secondo quanto egli dichiarò allo Stefano Robba, fu causata dall'avere egli dimenticato il mio nome che aveva udito pronunciare una sola volta a Dimtu; e per tale dimenti

89 I Non pubblicato. Macchioro rispondeva negativamente all'ipotesi di far ritornare i digodia sulla riva sinistra del Giuba, ritenendo preferibile che nella zona si stanziassero tribù sulle quali l'Etiopia non vantasse dei diritti.

canza il delegato ahmara ha fatto le debite scuse colla lettera che mi onoro di trasmettere qui unita a V.S. (allegato n. 1)2. Le altre questioni furono successivamente rappresentate dal nostro interprete al rappresentante del Dadi Tarré.

L'Ato U ssen rispose che il fitaurari nel!' inviar! o a compiere la sua missione pacificatrice tra gli ogaden lo aveva munito della copia di una lettera inviata dal negus al Dadi Tarrè perché gli ogaden restituissero il bestiame rubato agli adama ed ai luvai; che egli si accingeva a compiere tale incarico ed aveva perciò chiamato dintorno a sé tutti i capi ogaden; che in seguito doveva rappacificare ogaden e di godia, richiamare i primi verso nord nei territori che già occuparono in passato ed i secondi dalla piana d'Oddo alla sinistra del Giuba negli antichi luoghi di loro stanza di dove gli afgab li avevano obbligati ad allontanarsi.

Aggiunse che per ottenere la restituzione del bestiame da parte degli ogaden avrebbe dovuto far credere che anche i brasile (adama e luvai) sono alla dipendenza abissina ma che in effetti egli sa che i rahanuin sono tutti sudditi italiani.

Disse che non sarebbe sceso nel nostro territorio, ma che se eventualmente gli fosse accaduto nel rincorrere qualche capo poco ubbidiente, se ne sarebbe però subito allontanato.

Dimostrò d'intendere come sia necessaria un'intesa fra i due Governi per addivenire alla reciproca consegna di ribelli; assicurò lo Stefano Robba che egli avrebbe fatto ogni sforzo per trattenere in territorio abissino il Ferin Afloo con le sue genti ma disse anche che non si dissimulava le difficoltà di riuscire nell'intento; e dichiarò infine che si sarebbe adoperato per indurre i capi afgab alla riconciliazione con i rahanuin.

La copia di lettera di cui è munito Ato Ussen, a quanto mi disse il cadi, non porta bolli di sorta ed è evidentemente una versione libera della lettera di Menelik (se pure questa esiste realmente) fatta dal dadi Tarrè per ottenere obbedienza dai riluttanti suoi dipendenti e per comunicare loro in pari tempo che l'Ato Ussen è il suo naib. Questi aveva con sé una seconda lettera del Dadi Tarrè della quale non fece parola agli inviati della Residenza ma che il cadi riuscì a copiare quando ottenne di trascrivere l'altra attribuita al negus. Gli allegati nn. 2 e 3 alla presente sono appunto le copie delle lettere ora citate2 .

Nella seconda il Dadi Tarrè invita gli afgab e gli eden herr (altra tribù ogaden) al pagamento del tributo senza accennare alle popolazioni adama, né a quelle luvai.

Si può quindi supporre che l'espediente di fare credere agli ogaden che gli adama ed i luvai (tribù brasile) sono alla dipendenza etiopica, sia stato escogitato non tanto per ottenere la restituzione del bestiame quanto, e più ancora, perché il Dadi Tarrè o lo stesso Ato Ussen per proprio conto intendano imporre a quelle popolazioni il pagamento di qualche tributo.

Dirigerò pertanto una mia lettera allo scek Abdallah Ussen Bario degli adama perché si confermi nella persuasione che egli ha di essere suddito italiano, infonda tale sua persuasione nell'animo degli altri capi dei brasile e si adoperi per indurii a compiere un viaggio fino a Lugh e a presentarsi alla Residenza dove le cose potranno essere chiarite.

Nel complesso le dichiarazioni dello Ato Ussen pare che si accordino, come già segnalai a VE. con mio telegramma n. 573 del 13 corrente, colla convenzione del 1908 e che le intenzioni dell'Ussen a nostro riguardo siano -almeno per ragioni di opportunità amichevoli.

Debbo però far presente alla S.V. che, durante le conversazioni svoltesi fra l'Ato Ussen e lo Stefano Robba, questi richiamò più volte l'attenzione del suo interlocutore sulla questione del confine per fargli notare che egli aveva oltrepassato, per quanto di pochi chilometri, la località di Ballei (El Dana), luogo d'acqua situato ad oriente di Dolo sulla linea dove, secondo la interpretazione data da noi alla convenzione del 1908, dovrà presumibilmente passare la linea di confine.

L' Ato Ussen rispose che si sarebbe ritirato più a nord ma che però il Dadi Tarrè gli ha chiaramente designato come confine una linea che partendo da Dolo scende per la strada che accompagna la sinistra del Giuba fino ad Af Modò di dove si dirige alle sorgenti del Baidoba che è un torrentello il quale svolge il suo corso di pochi chilometri, ad oriente e poco lontano dal paese di Revai.

Può darsi che nel testo amarico della convenzione, l'articolo l o si presti ad essere interpretato in tal senso come del resto vi si presterebbe anche il testo italiano se la linea di confine deve dirigersi da Dolo alle sorgenti del Baidoba e se torrente di tal nome non ve n'è, come sembra, che uno solo (vedi foglio n. 223 dell'8 giugno 1909 diretto da questa Residenza a codesto ufficio di Governo).

L'interpretazione data dal Dadi Tarrè alla convenzione 1908 giustificherebbe pertanto il richiamo dei di godia sulla sinistra del Giuba a valle di Dolo. Più a nord, già dallo scorso anno, secondo mi risulta dai rapporti n. 169 del l O maggio e n. 222 dell '8 giugno corrente anno diretti a V.S. da questa Residenza, alcuni rer di quella tribù si sarebbero trasferiti ad est del Ganana mentre altri si preparavano a seguirli.

Potrà darsi perciò che le tribù di godia rassicurate dalla presenza dell' Ato Ussen fra gli ogaden e invitate da lui a rioccupare i territori altravolta abbandonati, facciano tutti o in gran parte ritorno sulla sinistra del Giuba nelle regioni sulle quali vantano diritti e che si estendono anche a sud di Dolo fino a valle di Lugh.

Tale rioccupazione verrebbe ad interporre fra ogaden e rahanuin una tribù che con questi ultimi fu sempre in buoni rapporti e sotto il punto di vista economico non potrebbe che dare incremento a questo mercato.

La lettera n. 4583 del 24 dicembre 1908 di codesto ufficio di Governo dà infatti istruzioni speciali sul modo di regolarsi del residente verso i di godia ed io dovrei ritenere, anche per le altre ragioni già fatte presenti a V.S. con mio foglio n. 483 del 24 novembre, che tanto il governo centrale quanto quello della Colonia avessero di mira, quando si stipulò la convenzione del maggio 908, di veder occupate dai di godia le regioni sulla sinistra del Giuba fra Dolo e Lugh. Sta di fatto che la tribù in parola nell'anno 1908 dimorava già da tempo oltre confine e che il suo ritorno nei territori prima abbandonati li porterebbe ad occupare le regioni fra Dolo e Lugh che -secondo la interpretazione italiana della convenzione -dovrebbero rimanere ali' Italia e di godi a vi figurerebbero in parte come sudditi stranieri in territorio italiano. Io non conosco quali siano al riguardo gl'intendimenti di V. S. ma poiché l 'articolo l 0 della più volte citata convenzione viene diversamente interpretato dalle due parti contraenti, è ovvio che persistendo tale divergenza qualunque nostra intesa col capo abissino di confine diviene impossibile.

Sarebbe perciò necessario approfittare della attuale presenza del Dadi Tarrè ad Addis Abeba perché il nostro ministro gli faccia impartire dal Governo etiopico ordini chiari e tassativi relativamente al confine e dia in pari tempo notizia a V.S. degli accordi stipulati fra i due Governi per una più netta e sicura interpretazione della convenzione.

Rimango frattanto in attesa delle istruzioni che V.S. si compiacerà di impartirmi sia in riguardo alla interpretazione da darsi alla convenzione pel confine sia per regolarrni nel trattare con l'Ato Ussen, ed eventualmente con i capi di godia, la questione del trasferimento di questa tribù in territorio italiano.

89 2 Annesso non allegato alla presente copia.

90

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINit

T. 351136. Pera, 31 gennaio 1910, ore 17,50 (per. ore 19,40).

Ministro degli affari esteri mi ha detto testé risultargli da telegramma ricevuto da Atene che la convocazione dell'assemblea nazionale è cosa decisa. Sembrando assai probabile che all'assemblea intendano partecipare i deputati cretesi, Sublime Porta chiede alle Potenze protettrici che cosa intenderebbero fare per impedire eventualmente tanto flagrante violazione di diritto di sovranità, violazione che la Turchia non vuole né può tollerare. Ministro degli affari esteri ha aggiunto che, qualora la risposta delle Potenze protettrici fosse nuovamente dilatoria o evasiva, la Turchia potrebbe, da un momento all'altro, trovarsi nella necessità di provvedere energicamente con i proprii mezzi alla tutela dei suoi diritti. Analoga comunicazione ministro degli affari esteri mi ha detto avrebbe fatta agli altri ambasciatori. Gran vizir mi ha parlato nei medesimi termini, insistendo nuovamente su vantaggi che presenterebbe il rinvio a Creta delle truppe internazionali ed osservando che tale provvedimento permetterebbe al Governo di calmare l'opinione pubblica, ed indurla ad attendere con pazienza momento in cui, d'accordo con le Potenze, si potessero esaminare le modalità di una soluzione definitiva.

91

L'AMBASCIATORE A LONDRA, DI SANGIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 358/23. Londra, 3 l gennaio 1910, ore 19,14 (per. ore 6,35 del 1° febbraio).

Creta. Rispondo ai suoi telegrammi nn. 2731, 2802 e 2833. Hardinge mi ha detto adesso che:

2 T. 280 del 30 gennaio, non pubblicato.

3 Con T. 283 del 30 gennaio, non pubblicato, Guicciardini pregava di essere avvisato dell'intenzione del Governo russo in merito alla questione Zaimis.

l) Lowther non gli ha comunicato la dichiarazione del ministro della guerra ottomano che sola decisione invio deputato cretesi ad Atene basterebbe come casus belli.

2) Gli risulta che realmente Turchia ha preso misure per invadere Tessaglia, ma solamente qualora Camera greca accetti deputati cretesi e ciò è conosciuto dal Governo ellenico.

3) Governo britannico crede doversi possibilmente evitare di mandare truppe internazionali in Creta.

4) Governo britannico ha telegrafato al suo console alla Canea che Potenze protettrici si oppongono a che Zaimis cessi di essere alto commissario, perché sarebbe cambiamento dello statu quo che ecciterebbe suscettibilità Turchia e lo ha autorizzato ad associarsi ai colleghi per un passo m questo senso.

5) Governo britannico non crede però necessario far pratiche per questo scopo ad Atene, perché il nuovo presidente del Consiglio è già stato nominato ed è Dragoumis, cosicché pare esclusa per ora la probabilità che si nomini Zaimis.

6) La frase minacciosa della nota dei consoli è già stata accettata dal Governo britannico.

90 l Ed., con molte varianti, in LV 106, p. 138.

91 l T. del 29 gennaio, non pubblicato, ma cfr. n. 79.

92

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 355/12. Berlino, 31 gennaio 1910, ore 21 (per. ore 23,20).

Rispondo al suo telegramma n. 2731.

Persistono qui piuttosto vive apprensioni per le temute complicazioni nell'affare di Creta. Anche imperatore, che jeri me ne manifestò le sue inquietudini, deplorava, fra l'altro, che il re Giorgio non fosse riuscito ad acquistare ed esercitare maggiore autorità nel proprio Paese. Ambasciatore di Turchia mi ha parlato stamane in termini analoghi a quelli riferiti da Imperiali. Egli nega che siano stati fatti preparativi per un qualunque movimento verso la Tessaglia, affermando trattarsi soltanto di già previste esercitazioni di alcune categorie di redifs. Ma egli non nascose le gravi conseguenze cui potrebbe condurre l'invio di delegati cretesi

92 I Cfr. n. 91, nota l.

all'assemblea nazionale. È da notarsi, a questo riguardo, che, a norma della costituzione, anche i sudditi greci dimoranti fuori dal Regno sarebbero chiamati a partecipare a quelle elezioni, il che darà occasione a prevedibili imprudenti dimostrazioni da parte dei cretesi.

Ambasciatore di Turchia mi accennò pure al progettato acquisto in Italia di un incrociatore armato tipo «Pisa», significando che, allo stato delle cose, quell'atto del Governo ellenico non potrebbe essere considerato che come una provocazione diretta contro la Turchia, la quale avrebbe diritto di domandarne spiegazioni ad Atene. Osservai al mio collega che non potendosi disconoscere ad un qualunque Stato indipendente diritto di provvedere ai suoi armamenti di difesa, una tale domanda di spiegazioni non riuscirebbe giustificata e gli rappresentai che questa non legittimata minaccia di aggressione contro la Grecia potrebbe avere per effetto di invertire le parti agli occhi dell'Europa e far perdere alla nuova Turchia le simpatie che l'hanno finora appoggiata. Nizami pascià espresse parere che la migliore soluzione consisterebbe nel rinvio delle forze europee prematuramente ritirate dalla Canea.

93

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 356/13. Berlino, 31 gennaio 1910, ore 21 (per. ore 23,55).

Telegrammi di V.E. nn. 279 e 2811. Secondo informazioni raccolte, continua qui l'impressione già da me riferita che non sia per il momento a temersi un serio guasto nei rapporti della Turchia con la Bulgaria e con la Serbia.

Ministro degli affari esteri di Serbia Milovanovié, qui di passaggio, conferma che quei rapporti sono attualmente corretti ed egli confida che anche la questione legge bande non avrà pericolose conseguenze, essendovi già indizi della disposizione della Sublime Porta ad attenuarne gli effetti. Quanto alla Bulgaria, Milovanovié mi disse non avere re Ferdinando fatta alcuna proposta concreta in vista di una eventuale intesa ed essere proposito del Governo serbo di limitarsi a migliorare le reciproche disposizioni dei due Paesi mediante uno scambio di buoni servizi e cortesie, affinché, nel caso di qualche imprevisto accidente nei Balcani, le

sue conseguenze non si trovino aggravate da dissapori fra i due Governi; ma egli riterrebbe prematuro il tentare adesso un accordo di forma, non rispondente ad una comunanza di vedute che ancora non esiste di fatto. Egli anzi osservò che la recente coalizione verificatasi a U skub fra i capi bulgari e serbi non fu preparata né a Belgrado, né a Sofia, trattandosi di una semplice intesa locale alla quale le due parti si trovarono indotte per istinto di conservazione e di difesa contro le rinnovate intollerabili vessazioni dei ...2. Milovanovié aggiunse che, dopo il suo prossimo ritorno a Belgrado, egli si propone recarsi fra una ventina di giorni a Costantinopoli per intrattenersi col gran visir e dissipare le diffidenze recentemente colà manifestatesi. Avendo egli comunicato questa sua intenzione a Enver bey che s'incontrò con lui in casa mia, questi espresse il compiacimento per un tale passo che egli disse riuscirebbe opportuno e gradito.

93 l TT. del 30 gennaio, non pubblicati.

94

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BOLLATI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI, VACCAJ

PROMEMORIA. Roma, ... gennaio 1910.

Influenza politica ed economica dell'Italia in Cina. Studii e proposte.

Con dispaccio del 7 luglio 1909 questo Ministero (Divisione III, Sezione II l) si rivolgeva alle rr. rappresentanze diplomatiche in Tokio, Pietroburgo, Berlino, Londra, Parigi, Bruxelles per avere ragguagli in ordine all'azione economica esplicata dal Giappone, dalla Russia, dalla Germania, dali 'Inghilterra, dalla Francia e dal Belgio in Cina, nonché suggerimenti in ordine ali 'analoga azione che eventualmente vi potrebbe oggi esperire l 'Italia.

In tale occasione questo Ministero faceva rilevare come il capitale italiano, secondo le più recenti statistiche, avesse concorso in imprese cinesi soltanto in una misura trascurabile; il che può avere conseguenze politiche, inquantoché l'Italia viene, così, a trovarsi di fronte alle altre Potenze, in una posizione d'inferiorità.

E di ciò si ebbe anche una recente prova nella questione -essenzialmente politica -della neutralizzazione della ferrovia in Manciuria; nella quale questione gli Stati Uniti, mentre interpellarono, oltre le Potenze direttamente interessate (la

Russia ed il Giappone), anche la Francia, l'Inghilterra, la Germania ecc., dimenticarono completamente l'Italia. L'iniziativa degli Stati Uniti per la predetta neutralizzazione fu, come è noto, abbandonata in seguito all'opposizione della Russia e del Giappone; senza scoraggiarsi, gli Stati Uniti proposero tosto la costruzione di una ferrovia che da Pechino, traversando la Manciuria, verrebbe ad allacciarsi alla Transiberiana. Neppure di tale proposta -recentissima -fu data comunicazione all'Italia, quantunque trattisi di una ferrovia di grande interesse internazionale. Giunge ora, per mezzo della stampa, la notizia che il Governo giapponese avrebbe notificato al Wai-wu-pu ed alla legazione degli Stati Uniti a Pechino che esso ritira le sue obiezioni contro la ferrovia Chin-Thou-Fu-Aigun, alla condizione che la costruzione e l'organizzazione finanziaria di detta ferrovia abbia luogo colla partecipazione del Giappone in misura da concordarsi colle altre Potenze interessate. L'Italia non può più rimanere del tutto estranea a tali imprese di carattere internazionale, senza arrecare danno ai propri interessi economici e politici nell'Estremo Oriente.

Le predette rr. rappresentanze diplomatiche risposero al dispaccio ministeriale del 7 luglio 1909 retroindicato coi rapporti qui uniti' .

Dai medesimi, ed in ispecie dal rapporto della r. legazione in Pechino, in data del 15 settembre 1909, n. l 73, si rileva che al capitale, alla mano d'opera ed al commercio italiano può essere ancora oggi aperto in Cina all'Italia un sicuro, ampio e vantaggioso campo d'azione.

Ciò è, anche, confermato da un recente lavoro dell'ex r. console in Mongtzé e da un rapporto del suo successore in quel r. consolato, nonché da numerosi recenti studi e pubblicazioni sulla materia.

Tra i provvedimenti che si consigliano per accrescere la nostra influenza politica in Cina, promuovendo un serio avviamento del capitale e del commercio italiano in quella regione, possono ad esempio, annoverarsi i seguenti.

I) Pubblicità nella stampa italiana.

Converrebbe seguire l'esempio della Germania e del Belgio, che si valsero, con ottimi risultati, fin dall'inizio della loro azione economica e politica in Cina, della propria stampa ufficiosa ed ufficiale per incoraggiare l'avviamento del loro capitale e del loro commercio in Cina.

II) Pubblicità in Cina.

Secondo già fecero altri Stati europei si potrebbe, previa intesa col R. Ministero del commercio, e mercé l'intervento della r. legazione in Pechino e dei rr. consolati dipendenti, nonché delle missioni religiose colà residenti sotto il nostro protettorato, organizzare un'opportuna ed abile pubblicità, anche con inserzioni in giornali locali esteri od indigeni, specie per quei prodotti italiani che potrebbero trovare colà un facile e lucroso sbocco. Gioverà anche far conoscere, mediante la

traduzione in lingua cinese (come fecero gli inglesi ed i tedeschi) i manuali italiani, relativi all'ingegneria, all'elettricità, e in genere, alla scienza applicata all'industria.

III) Addetto commerciale.

Occorrerebbe nominare presso la r. legazione in Pechino, o presso qualcuno dei più importanti consolati in Cina (Shanghai e Canton), un r. addetto, o delegato commerciale. Dovrebbe scegliersi, ali 'uopo, persona che avesse piena conoscenza del commercio e delle industrie cinesi, e pieno possesso della lingua locale. L'addetto commerciale dovrebbe essere autorizzato a trasferirsi anche nei principali centri commerciali ed industriali dell'Impero Celeste.

IV) Linee di navigazione.

Altro fattore importante dello sviluppo commerciale e politico sono le linee di navigazione. Gli inglesi, i tedeschi, i francesi, i giapponesi e gli americani gareggiano nel migliorare i propri servizi concernenti le linee di navigazione verso la Cina.

Invece la navigazione commerciale italiana in Cina è pressoché nulla. Nel 1906 due sole navi mercantili italiane toccavano porti cinesi. Nel 1907 neppure una nave di commercio con bandiera italiana giunse nelle acque cinesi.

Al riguardo il consolato in Mongtzé così si esprimeva nel suo rapporto dell'Il febbraio 1908, n. 19: «L'Italia è il punto strategico fra l'Europa e l'Estremo Oriente e non bisogna farsi sfuggire l'occasione; la Germania ha, da molto tempo, capito ciò ed infatti ha preso Genova e Napoli come porti principali del suo commercio per l'Estremo Oriente ed è veramente incomprensibile come da noi italiani non siasi mai pensato che questi punti strategici devono restare a noi e non agli stranieri. Una linea di navigazione è come il punto morto da vincere. Deve nascere prima il commercio o la linea di navigazione? I tedeschi rispondono, colla prova, che, dove è giunto un bastimento tedesco, è prosperato il commercio tedesco». Il Governo potrebbe concedt:re alle istituende linee agevolazioni e premi, qualora, per l'esportazione in Cina dei principali prodotti nostri e per l'importazione nel Regno dei principali prodotti cinesi, non fosse sufficiente il contributo di nolo, contemplato dal progetto Bettolo, presentato testè al Parlamento.

V) Studenti, consoli e segretari interpreti.

Così si esprime, in proposito, la r. legazione in Pechino, con rapporto del 15 settembre 1909: «Trattandosi di un Paese tanto differente dagli altri, l'Inghilterra, la Francia, la Germania, la Russia e gli Stati Uniti hanno cominciato col porre a fianco del loro personale diplomatico e consolare un personale speciale: quello degli studenti, dei consoli e segretarii interpreti, il quale, oltre la perfetta conoscenza della lingua, acquista, nella lunga permanenza in Cina, anche la perfetta conoscenza dell'ambiente. Fra studenti, consoli e segretarii interpreti alcune di quelle Potenze ne hanno fino ad una dozzina, nelle loro legazioni a Pechino, mentre altri numerosi vengono inviati a far pratica nei varii consolati. I vantaggi di questo sistema non hanno bisogno di essere enumerati: basti il dire che l'attuale ministro inglese, sir J. Jordan, proviene dalla carriera degli interpreti, come pure ne provenivano l'ex ministro di Germania, barone Ketteler, l'ex ministro di Russia Pokotilov, l'ex ministro d'America Rockhill».

Sarebbe perciò consigliabile di presentare, all'uopo, un disegno di legge, inspirandosi alle legislazioni degli altri Stati, previi gli opportuni concerti coi rr. ministeri competenti.

VI) Partecipazione dell'Italia ad esposizioni internazionali in Cina.

Secondo riferisce la Camera italiana di commercio in Londra, in una sua relazione dell'agosto 1909, la Cina comincia a prendere l'iniziativa di esposizioni, ammettendo, anche prodotti esteri. L'Inghilterra, ad esempio, è testé riuscita a far ammettere le proprie ditte in una prossima esposizione cinese in Nanking. L'Italia potrebbe seguirne l'esempio in altre analoghe occasioni.

VII) Partecipazione della Cina ad esposizioni internazionali italiane.

Questa partecipazione gioverebbe, indirettamente, a far meglio conoscere ed apprezzare l'Italia ed i suoi prodotti ed a promuovere gli opportuni scambi commerciali, dando notizia esatta agli italiani dei prodotti cinesi.

VIII) Creazione di Camere di commercio nei principali centri industriali e commerciali della Cina. Ciò è consigliato anche dagli stessi commercianti cinesi (vedi rapporto da Pietroburgo qui unito).

IX) Invio di missioni commerciali in Cina.

Gli inglesi, i tedeschi ed i francesi usano inviare in Cina frequenti missioni, composte di due o tre persone per visitare i principali centri industriali e commerciali. Tali missioni sono munite anche dei pieni poteri, da parte di Case importanti, per conchiudere operazioni commerciali (non soltanto per far conoscere alla Cina i propri campioni di merci). Chi fa parte di queste missioni deve conoscere un po' la lingua cinese ed in ogni modo assai bene quella inglese.

X) Rappresentanze «fisse» in Cina di Case commerciali ed industriali italiane: uso di commessi viaggiatori pratici della lingua e degli usi locali.

Alcune grandi Case tedesche tengono in permanenza in Cina alcuni loro rappresentanti. L'esempio, secondo riferisce la r. legazione in Pechino, sta per essere seguito da Case di altri Stati europei. Detti rappresentanti, non solo avvisano le rispettive Case degli affari in corso, ma suggeriscono al Governo cinese nuove grandiose imprese da compiere, presentando, all'uopo, minuziosi progetti, ecc.; e, poiché il Governo cinese non dispone dei necessari capitali, essi promuovono, in tal modo, anche la richiesta di prestiti stranieri, dando notizia, in tempo debito, di tale richiesta di capitali alla madre patria, la quale può, così, prevenire altre Potenze nel collocamento vantaggioso di capitali in Cina. Detti rappresentanti, specie nei piccoli centri commerciali ed industriali della Cina, possono anche essere degli indigeni, purché essi siano, opportunamente, interessati agli affari, mercé congrue percentuali.

XI) Istituti di credito italiani, o internazionali, per affari cinesi, con sede o con filiali in Italia e in Cina.

Seguendo l'esempio di altri Paesi, converrebbe promuovere, in Italia -previa intesa coi ministeri competenti -la costituzione di una banca italiana per affari in Cina. Data la necessità, in cui oggi si trova la Cina di ricorrere al credito (anche per le sue progettate costruzioni navali), il danaro italiano potrebbe trovare colà un impiego ad un tasso assai superiore a quello del 5% (cinque per cento).

E' opportuno, però, come è pratica costante nel Belgio (vedi rapporto da Bruxelles dell' 11 luglio 1909 n. 315) di non tentare mai imprese in Cina con capitali esclusivamente nazionali, ma di associarsi, benché in piccole proporzioni, sempre capitalisti o banche di altri grandi Stati, allo scopo di assicurarsi, occorrendo, l'assistenza diplomatica delle altre Grandi Potenze.

Gioverebbe, anche, che alle istituende banche italiane il R. Governo concedesse qualche garanzia indiretta e qualche speciale agevolazione fiscale ecc.; ciò per incoraggiare i capitalisti.

Se non fosse possibile costituire, all'uopo, una banca italiana, come sopra, dovrebbe, almeno, promuoversi una banca internazionale, con sede, o con filiale, nel Regno. La r. legazione in Pechino, nel rapporto del 15 settembre 1909 n. 173, osserva quanto segue in proposito: «Quando il commercio italiano avesse assunto sufficiente importanza, sarebbe assai giovevole di creare in Cina un forte istituto bancario italiano. Persino il piccolo Belgio ha la sua Banque sino-beige e ne trae vantaggi non indifferenti». L'istituzione di una banca italiana, seriamente organizzata, e controllata da persone oneste e competenti, sarebbe il mezzo più efficace e pratico di studiare (in conformità di quanto fecero le banche inglesi, belghe, germaniche e francesi), il problema ferroviario cinese, e di prender parte alle concessioni di vario genere ed alle costruzioni della rete di comunicazione che lentamente si sviluppa colà. Nel suo progresso attuale l'Impero cinese deve necessariamente assorbire energie e capitali immensi, ai quali soltanto i paesi stranieri possono far fronte. Un 'intensa associazione del capitale italiano, colla manodopera, merita un esperimento in Cina, che offre un campo larghissimo alle iniziative.

XII) Riforma nella legge sulla giurisdizione, per il caso in cui una delle parti sia cmese.

L'ex r. vice console in Mongtzé, conte Grimani, suggerisce di imitare, in proposito, l'esempio delle altre principali Potenze che hanno istituito una Corte d'appello in Cina, in Paesi prossimi alla Cina. L'Italia dovrebbe, anziché investire delle competenze in grado d'appello la Corte d'Ancona, creare in Shanghai e in Tientsin un organo giudiziario speciale che eserciterebbe le funzioni di magistrato di 2° grado.

Col sistema ora vigente, l'Italia non inspira ai cinesi alcuna fiducia, perché in caso di contestazioni tra commercianti cinesi ed italiani, il giudizio definitivo, deve aver luogo nel Regno, e, perciò, è pronunziato con tale ritardo, da risolversi, spesso, quasi in una denegata giustizia.

Delle predette proposte la I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, XII, possono dar luogo ad iniziative del R. Governo; nelle altre l'azione del Governo non può essere che indiretta, sia mercé le pubblicità ufficiosa, sia mercé il suo appoggio.

La Direzione generale degli affari politici (Div. III, Sez. III) segnala quanto precede alla Direzione generale degli affari commerciali, insistendo sulla necessità che l'influenza politica dell'Italia nell'Estremo Oriente non abbia a trovarsi, in conseguenza della sua scarsa partecipazione alla vita economica della Cina, in una condizione d'inferiorità, rispetto alle altre Potenze europee.

La Direzione generale degli affari commerciali giudicherà quale sia il seguito da darsi alle varie proposte sopra elencate, dopo aver preso gli opportuni concerti coi ministeri competenti e coll'associazione generale dei missionarii.

Potrebbe, forse, costituirsi, all'uopo, una speciale commissione per lo studio dei provvedimenti da adottarsi, allo scopo di accrescere l'influenza politica ed economica dell'Italia in Cina.

Per ora converrà incaricare la r. legazione in Pechino di sostenere l'applicabilità all'Italia delle pattuizioni contenute nel Trattato stipulato nel 1868 fra la Cina e gli Stati Uniti, in ordine al personale tecnico da adibirsi a quelle linee ferroviarie. L'ex console di S.M. in Mongtzé, conte Grimani, nel suo studio retrocitato ritiene che l'Italia possa, per la clausola della Nazione più favorita, invocare tali pattuizioni e aspirare, in conseguenza, a fornire alla Cina il personale tecnico, necessario per le costituende ferrovie. Per conseguire i nostri intenti gioverà invocare il principio della porta aperta.

93 2 Gruppo indecifrato.

94 l Non risultano allegati.

95

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 375/21. Pietroburgo, [1°] febbraio 1910, ore 18,40 (per. ore 19,25).

Suo telegramma n. 2831. lzwolsky mi ha detto che, dopo la nomina di Dragoumis a presidente del Consiglio ellenico, la soluzione della questione Zaimis perde molto della sua urgenza. Il Gabinetto imperiale, pur sempre disposto ad associarsi in fine alla decisione che in proposito raccogliesse unanimità Potenze protettrici, crede però dover insistere sulla validità delle considerazioni già da esso comunicate a Roma, Parigi e Londra, che gli farebbero ritenere ammissibile richiesta Zaimis, considerazione su cui Izwolsky gradirebbe molto conoscere parere Gabinetto di Roma.

95 I Cfr. n. 91 nota 3.

96

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, A PARIGI, GALLINA, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 304. Roma, 1° febbraio 1910, ore 24.

Creta. L'incaricato d'affari di Turchia mi ha posato oggi, a nome del suo Governo, le due questioni seguenti: l) quale impressione abbiano destato nel Governo del re gli avvenimenti che si vanno svolgendo in Grecia, con partecipazione di un suddito ottomano, il signor Venizelos; 2) quali misure efficaci si propongano di prendere le Potenze protettrici per impedire la nuova violazione dello statu quo e degli impegni interna--:ionali, che si produrrebbe qualora deputati di Creta fossero ricevuti all'assemblea costituente ellenica.

Risposi alla prima questione che tutto ciò che avviene in Grecia riguardava esclusivamente la politica interna di quel Paese, e che quindi il R. Governo non aveva veste o ragione non solo per intervenire, ma nemmeno per esprimere un'opinione in proposito. Risposi alla seconda che, prima di prendere una risoluzione circa quella eventualità, che stimavo io pure necessario di evitare, il Governo doveva intendersi colle tre altre Potenze protettrici, colle quali un perfetto accordo era sempre stato e doveva essere mantenuto in tutte le fasi della questione cretese.

Ad una mia ulteriore domanda, in qual senso il Governo ottomano avrebbe desiderato vedersi esplicare l'azione impeditiva delle Potenze protettrici, l'incaricato d'affari replicò che ciò avrebbe potuto accadere mediante una rioccupazione dell'isola da parte delle truppe internazionali. Quest'idea, che già era stata più volte accennata al r. ambasciatore a Costantinopoli, gli è stata ieri categoricamente ripetuta dal gran vizir, il quale soggiungeva che il provvedimento permetterebbe al Governo ottomano di calmare opinione pubblica fino al momento in cui, d'accordo con le Potenze, si potessero esaminare le modalità di una soluzione definitiva. Contro di essa, però, io non potrei a meno di sollevare gravi obiezioni.

A quanto mi riferisce (per Londra): V.E. col suo telegramma n. 231 (per Parigi e Pietroburgo ): il r. ambasciatore a Londra, anche il Governo britannico non sarebbe favorevole al progettato provvedimento, al quale io sarei disposto ad acconciarmi solo in ultima ipotesi e quando fosse voluto unanimemente dagli altri tre Gabinetti. In ogni modo, considero essere oramai indispensabile per le Potenze protettrici di mettersi d'accordo per un'azione diplomatica rapida e positiva allo scopo di provvedere alle esigenze della situazione che si presenta gravida di pericoli. Da un lato, è pur troppo assai difficile che l 'assemblea costituente ellenica si astenga da qualche atto imprudente relativo ali' annessione di Creta. Dal

961 Cfr. n. 91.

l 'altro, la Turchia si dice risoluta a trarre le estreme conseguenze da qualsiasi atto nel quale ravvisi una violazione della sua sovranità o una provocazione da parte della Grecia; e per quanto si debbano porre in relazione con tali sue minacce le inevitabili complicazioni da parte degli altri Stati balcanici, pure, data la situazione interna dell'Impero, non è da escludersi la eventualità di un pericolo immediato per la pace.

Sembra dunque, per prima cosa, della massima urgenza che le Potenze protettrici dichiarino recisamente, con un passo collettivo dei loro rappresentanti ad Atene e alla Canea, che esse non possono ammettere l'invio di deputati cretesi all'assemblea ellenica né il loro ricevimento da parte di questa, e che dovrebbero lasciare ai due Governi la responsabilità delle conseguenze di una loro azione in opposizione ai voleri delle Potenze.

(Per Parigi, Pietroburgo): prego V.E. di voler esporre a codesto ministro degli affari esteri, le considerazioni che precedono e di riferirmi sollecitamente la sua risposta l.

(Per Londra): con questo ambasciatore d'Inghilterra, che mi disse avere il suo Governo ricevuto una identica comunicazione da parte del rappresentante ottomano a Londra, ebbi oggi un lungo colloquio, nel quale ci siamo trovati sostanzialmente d'accordo nelle idee sovra esposte. Prego V.E. di intrattenerne sir Edward Grey, e di riferirmi sollecitamente il suo avviso3.

97

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 86/26. Belgrado, 1° febbraio 1910 (per. il 5).

Le voci relative ad un'intesa austro-russa, delle quali si occupano con insistenza i giornali, e principalmente quelli di Vienna, hanno fortemente preoccupato questo Governo. Tali preoccupazioni vennero accresciute da un rapporto del ministro di Serbia a Pietroburgo, il quale, riportando una conversazione da lui avuta col ministro russo degli affari esteri, a proposito dell'intervista di un redattore della Novoje Vremija col conte d'Aehrenthal, riferì che il signor Izwolsky gli aveva detto di sapere che in Austria-Ungheria si desiderava un riavvicinamento colla Russia e che in questo caso egli, benché si sentisse ancora offeso dal modo

962 Gallina rispondeva con T. 392/29 del 3 febbraio, non pubblicato, ma per l'opinione del Governo francese cfr n. 101. Per la risposta da Pietroburgo Melegari comunicava con T 402/23 del 3 febbraio, non pubblicato l'intenzione di Izvolskij di propendere in linea di massima per la proposta britannica e si riprometteva di esaminare ponderatamente la proposta italiana.

3 Per la risposta cfr. n. 103.

col quale era stato trattato nello scorso anno dal Governo di Vienna, avrebbe potuto passare sopra tale ricordo, accogliendo forse le aperture che gli venissero fatte.

Il signor Spalajkovitch, segretario generale presso questo ministero degli affari esteri, parlandomi dell'argomento mi disse che il Pachitch si mostrava assai impressionato della cosa e mi chiese se io avessi qualche informazione circa la verità di tali notizie. Risposi che non avevo conoscenza di queste voci, per altro vaghe ed incerte, se non da quanto leggevo nei giornali e che, d'altra parte, dal punto di vista generale le spiegazioni, scambiate fra due Potenze, allo scopo di dissipare malintesi e di allontanare gli attriti, che avessero potuto fra di esse manifestarsi, non mi sembrava che fosse da considerarsi come causa di gravi preoccupazioni.

98

IL CONSOLE GENERALE A SALONICCO, LEVI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. RISERVATA. Salonicco, 1° febbraio 1910 (per. il 7).

Sono dolente che una indisposizione provocata dal mal tempo e dal disagio del viaggio incomodissimo mi abbia impedito di rispondere prima alla di lei cortese lettera del 23 u.s.I. Ora non mi sono ancora rifatto, ma non voglio tardare oltre a scriverle su quanto è più urgente, riserbandomi di riprendere al più presto la penna pel resto.

Anzitutto, nelle brevi ore di sosta a Budapest, mi recai a visitare il conte Bosdari; il quale, appena ritornato da Vienna, era fresco d'impressioni sulla corte.

Secondo lui, dunque, non solo l'imperatore è più che mai vegeto e robusto, ma non intende abdicare affatto a parte alcuna delle sue autorità, a beneficio dell'arciduca ereditario, l'influenza del quale sull'indirizzo della cosa pubblica sarebbe perciò minore di quanto generalmente si dice e si crede. Ignoro quanto questo apprezzamento risponda alla realtà; ritengo invece che il conte Bosdari sia interamente nel vero pensando che in Ungheria si tenga moltissimo alla permanenza dell'Italia nella Triplice, e che a Vienna in fondo, non vi si tenga meno; sicché ci convenga tenere verso lo Stato alleato piuttosto il tono maggiore che il tono minore. Senza dire, invero che chi mostra di presumere poco di sé invita implicitamente gli altri a presumere meno ancora, è certo che ragioni interne non meno che internazionali inducono l'Austria-Ungheria a desiderare la durata di una combinazione internazionale il cui valore per essa non verrebbe menomato neppure

dali 'allora annunciato riavvicinamento colla Russia, intorno al quale ella saprà che cosa pensare.

Ciò non deve impedirci di completare possibilmente, o almeno di far meglio procedere le nostre difese alla frontiera, perché parlino per noi il giorno in cui ella inizierà col signor Merey le discussioni più importanti, con quell'animo e quella dignità che la distinguono.

A Belgrado, non trovai il signor Milovanowich, il quale si era recato a Berlino per ragioni di salute. Egli è infatti malato piuttosto gravemente; ma la sua salute politica non vale ora più della sua salute fisica. Egli si è molto discreditato in questi ultimi tempi, e sembra molto prossimo il giorno in cui il signor Pasié lo sostituirà al Ministero degli esteri.

Il signor Pasié è russofilo, ed ancora più bulgarofilo; ma in complesso, negli attuali amori serbo-bulgari la parte attiva è piuttosto rappresentata dai bulgari, e specialmente dal re Ferdinando; il quale io persisto a credere che vada civettando qua e là anzitutto al fine di mettersi in posizione più forte nelle sue future trattative coll'Austria, e con la più lontana prospettiva di una unione personale in favor suo o di suo figlio, il giorno in cui la dinastia Karageorgevich dovrà lasciare nuovamente il trono; giorno forse non lontano.

L'Austria cerca intanto di fronteggiare questo giorno, mostrando verso la Serbia migliori disposizioni. Pel momento il suo è il contegno di chi vuoi stringere rapporti amichevoli. Quanto all'assorbimento ufficiale della Serbia, questo è cosa dell'avvenire, sia per la politica austriaca, sia per quei politicanti serbi che, non credendo all'avvenire del proprio Paese come Stato indipendente, vorrebbero pure che il proprio elemento etnografico avesse modo di dire la sua parola, e lo troverebbero nell'unione di tutti quanti i serbi sotto lo scettro degli Asburgo. A noi non converrebbe dunque per ora mostrare pei primi di credere a questa possibilità, che potremmo contemplare come un eventuale argomento di discussione solo quando la diplomazia austriaca anche lontanamente vi accennasse. Cosa che non farà per ora, anche perché l'annessione della Serbi a sotto una forma o sotto l'altra, costituirebbe per essa un problema interno non meno arduo del problema internazionale che implicherebbe.

Comunque, il momento è, se non decisivo, certo molto interessante, specialmente per quanto si riferisce alla Bulgaria ed ai suoi rapporti colla Turchia. È perciò, che mentre mi permetto rinnovarle la preghiera di voler provvedere alla sostituzione del Cucchi con un elemento che almeno sia al corrente delle cose orientali, io cerco di metterrni presto e bene a giorno della situazione qui, che ho trovata notevolmente peggiorata dalla fine di novembre.

Su questa, riferirò con rapporto che invierò domani e ch'ella vedrà se debba tenersi nell'archivio riservato, o, come credo, passare all'Ufficio diplomatico. E mentre la prego di farmi dare ricevuta della presente per mia tranquillità

PS. Le sono molto grato per la risposta Bettolo, il cui tenore, da me comunicato a questi giornali, ha prodotto ottima impressione nella Colonia.

98 l Non rinvenuta nel fascicolo relativo.

99

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 388. Pera, 2 febbraio 1910, ore 13 (per. ore 13,35).

Gran visir mi disse iersera avere ricevuto informazioni sicure di alcuni preparativi di guerra che Bulgaria starebbe segretamente disponendo verso frontiera Adrianopoli. Senza mostrare soverchia preoccupazione, Sua Altezza non dissimulava suo profondo stupore per morbosa agitazione attualmente prevalente vicino Regno, la quale sembra a lui tanto meno spiegabile in presenza tangibili dimostrazioni intendimenti sinceramente amichevoli Turchia. Sua Altezza manifestava, però, piena fiducia senno, prudenza re Ferdinando, il quale a quanto riferiva ministro ottomano Sofia, fa quanto può per combattere mene partito desideroso guerra. Gran visir concludeva che attuale fase acuta questione cretese da un lato e nervosità bulgara [dali'altro] creano una situazione che impone questo Governo massima vigilanza. Nello stesso senso, presso a poco, mi parlò ministro della guerra ripetendomi con enfasi che Turchia non ha né motivo, né interesse, né intenzione di partire in guerra contro Bulgaria. Turchia, però, non può assolutamente trascurare precauzioni indispensabili onde poter parare eventuali mosse bulgare in caso conflitto armato turco-ellenico. Da fonte sicura, ho saputo, in via riservata, che [in seguito] altre notizie venute da Sofia, gran visir ha raccomandato ministro della guerra accelerare preparativi di guerra. Ministro ha assicurato che primo, secondo, terzo corpi esercito saranno in grado di preparare concentramento frontiera tra una quindicina di giorni. Notizie giunte Sublime Porta non coincidono con linguaggio accentuatamente pacifico questo ministro di Bulgaria, il quale iersera ancora mi esprimeva suo compiacimento per intenzione questo Governo di graziare, se non tutti, buona parte dei noti condannati Corte marziale Salonicco. Ministro constatava anche egli disposizioni veramente pacifiche Governo ottomano e buon volere dimostrato di mantenere cordiali relazioni con Bulgaria. Questo corrispondente Times, mettendo in correlazione attuale contegno Bulgaria con recente colloquio di re Ferdinando con Aehrenthal, veniva alla conclusione non essere possibile (sic)I esistenza segreti accordi fra Sofia e Vienna. Lascio, ben inteso, intera responsabilità circa verosimiglianza tale impressione.

100

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 382/39. Pera, 2 febbraio 1910, ore 14,15 (per. ore 15,20).

Ambasciatore di Russia mi ha dato testé lettura telegramma in cui Izwolsky si mostra alquanto allarmato per notizia giuntagli da Sofia, secondo la quale re

Ferdinando avrebbe detto aspettare da un momento all'altro ultimatum Turchia. Ambasciatore di Russia, invitato riferire circa attendibilità tale notizia, condivide pienamente mio avviso e di altri colleghi, cioè che dichiarazioni gran visir e ministri, linguaggio stampa, e, in generale, contegno accentuatamente conciliante Turchia verso Bulgaria, non solo non danno motivo ritenere che qui si nutrano intenzioni aggressive, ma costituiscono, invece, manifesto indizio desiderio dei turchi migliorare relazioni con bulgari. In conclusione, ripeto, impressione colleghi e mia è che, se conflitto armato turco-bulgaro dovesse oggi come oggi scoppiare, responsabilità non potrebbe farsene risalire Turchia.

99 l Annotazione presente nel documento.

101

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLA LEGAZIONE AD ATENE

T.317. Roma, 3 febbraio 1910, ore 13,15.

Creta. Ambasciatore di Francia mi ha jeri esposto le idee del signor Pichon che sono, in sostanza, conformi a quelle da me enunciate nel telegramma n. 3041 (per Londra, Parigi, Pietroburgo), n. 3052 (per gli altri). Egli pensa si debba categoricamente dichiarare che l'invio dei deputati cretesi all'assemblea costituente ellenica non deve aver luogo, e che le Potenze protettrici sono decise ad impedirlo. Tale dichiarazione dovrebbe essere fatta collettivamente dai rappresentanti delle quattro Potenze ad Atene e alla Canea, e comunicata simultaneamente a Costantinopoli. Quanto ai mezzi per impedire, il signor Pichon stima che potrebbero soltanto consistere in una rioccupazione dell'isola da parte delle truppe internazionali, per la quale eventualità occorrerebbe far subito i preparativi necessari. Ho risposto al signor Barrère che accettavo senz'altro la prima parte della proposta francese, e che, non appena mi fosse stata sottoposta la formola della dichiarazione, ero pronto a dare istruzioni relative ai rr. rappresentanti a Canea, Atene e Costantinopoli. Per la seconda parte, non potevo astenermi dall'esprimere serie obiezioni; avrei tuttavia finito col consentire alla rioccupazione, quando si constatasse essere unico mezzo per provvedere alla situazione, e quando vi si fossero risoluti altri tre Governi. Chiesi però se la rioccupazione doveva estendersi a tutta l'isola, come precedentemente, oppure limitarsi alle tre città, come a me ed anche al signor Barrère sembrava sufficiente. Egli mi promise di riferime al suo Governo e di rispondermi. Secondo le più recenti informazioni le elezioni all'assemblea

1011 Cfr. n. 96. 2 Ritrasmissione del n. 96.

ellenica non avrebbero luogo prima dell'autunno inoltrato. Ciò malgrado, io sono d'avviso che l'azione delle Potenze protettrici dovrebbe ugualmente esplicarsi senza ritardo.

102

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 411/40. Pera, 3 febbraio 1910, ore 13,50 (per. ore 15,55).

Notizia riavvicinamento austro-russo ha prodotto qui una certa impressione di cui si sono vedute tracce nella stampa. Ministro degli affari esteri mi diceva lunedì non possedere ancora informazioni chieste Vienna, Pietroburgo. Linguaggio ministro mi sembrò tradire qualche preoccupazione. Marschall mi dice che, per quanto ne sa lui, si tratterebbe pel momento di semplice allusione fatta, in tesi generale, da Izwolsky a conte Berchtold circa opportunità migliorare relazioni fra i due Imperi. Secondo Marschall, Aehrenthal ha avuto torto mettere troppo presto pubblico al corrente con pericolo di guastare ogni cosa. Marschall ha pure deplorato intervista Aehrenthal corrispondente Novoie Vremia, noto per suoi sentimenti anti-tedeschi. Ricorderò qui, ad ogni buon fine, che Marschall non fu mai ammiratore politica Aehrenthal. Pallavicini, pur dichiarandosi privo informazioni concrete, trova, in massima, riavvicinamento naturalissimo, non potendo relazioni fra i due Paesi vicini, desiderosi entrambi vivere in pace, rimanere a lungo condizioni attuali di freddezza precludenti ogni possibilità amichevole discussione su questioni importantissime altamente interessanti entrambi Governi. Ad una vera e propria intesa sul tipo accordo precedente, Pallavicini dubita si possa, pel momento almeno, facilmente giungere. Egli sarebbe lieto i due Governi riuscissero riprendere amichevole, normale contatto. Dato pure che ad una intesa si arrivasse, essa, secondo Pallavicini, non potrebbe avere altro scopo che quello limitato a semplice mantenimento dello statu quo, collega essendo fermamente convinto che l'Austria-Ungheria e la Russia non potrebbero mai intendersi per azione comune positiva per il caso di gravi turbamenti statu quo. Pallavicini ha avuto impressione che, nel fondo, tentato riavvicinamento sia giunto poco gradito Marschall e forse anche Berlino, ad onta dichiarazioni ufficiose di compiacimento. Ricordando precedenti nostri colloquii, ho ripetuto al collega mia inveterata convinzione personale che una eventuale intesa dell'Austria-Ungheria e della stessa Italia con Russia, per politica eminentemente conservatrice nei Balcani e con intendimenti sinceramente amichevoli verso la Turchia, mi sembra, oggi come sempre, desiderabile, come quella che, col favorire consolidamento nuovo regime ottomano, presenterebbe miglior garanzia per mantenimento tranquillità penisola balcanica.

In tale ordine d'idee, Pallavicini ha pienamente consentito, rilevando che, più passa il tempo, più egli riconosce che errore fondamentale politico di Calice e Goluchwski nell'azione riformatrice in Macedonia fu quello di avere proceduto soli con Russia. Pallavicini ha impressione che la Turchia, non trovando tornaconto attuale sua politica isolamento, si vedrà col tempo costretta avvicinarsi alla Triplice Alleanza, sola combinazione rispondente ai suoi veri interessi. Circa opportunità, desiderabilità ripresa di contatto fra l'Austria-Ungheria e la Russia, questo ambasciatore di Russia, nel rilevare che l'iniziativa è partita da Vienna, mi ha manifestato vedute in complesso conformi a quelle di Pallavicini. Ha soltanto osservato che, dopo rottura precedente accordo austro-russo, si è verificato un fatto nuovo di molta grande importanza politica, ossia intervista Racconigi. Per conseguenza, a parer suo, siffatta eventuale intesa austro-russa non potrebbe essere se non estensione accordo italo-russo, basi fondamentali del quale sono amicizia con la Turchia e mantenimento dello statu quo. Apprezzamenti manifestatimi da colleghi, specie da Marschall e da Pallavicini, hanno avuto carattere di confidenza strettamente personali, giustificate da intimità loro relazioni amicizia meco.

103

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 418/31. Londra, 3 febbraio 1910, ore 20,51 (per. ore 6,30 del 4).

Creta. Rispondo suo telegramma n. 3041. Ho veduto oggi Hardinge il quale mi ha detto aver risposto alle due questioni poste dall'ambasciatore di Turchia in modo analogo a VE. Hardinge mi ha detto essere d'accordo con VE. circa urgenza fare qualche cosa per impedire che in Creta si eleggano deputati da mandare ad Atene visto che la Turchia ha dichiarato che considererebbe casus belli anche le elezioni stesse senza aspettare arrivo deputati Atene.

Cambon ha detto ad Hardinge che console generale di Francia alla Canea aveva già istruzioni generiche mettere in guardia quel Governo pericoli cui andava incontro. Avendogli Hardinge detto che Governo britannico sarebbe favorevole ad un passo collettivo in questo senso dei rappresentanti Potenze protettrici presso il Governo cretese, Cambon gli ha risposto che ne avrebbe riferito a Parigi e che probabilmente Governo francese avrebbe proposto una formola per questa comunicazione a Canea. Hardinge ritiene che, nelle condizioni attuali Grecia, non sia opportuno passo collettivo delle Potenze Atene che probabilmente non avrebbe effetto pratico e non farebbe che esacerbare animi.

Governo russo ha chiesto in questi giorni modo di vedere del Governo britannico circa opportunità prendere in considerazione questione occupazione militare Creta. Governo britannico ha risposto domandando a sua volta se non sarebbe forse meglio prendere in considerazione idea dell'occupazione delle dogane cretesi per mezzo equipaggi. Questa occupazione, mentre sarebbe egualmente sufficiente impedire elezioni, sarebbe più facile attuare e assumerebbe una forma transitoria e quindi meno urgente per il sentimento pubblico tanto colà quanto resto Europa. Se avrà da Izwolsky risposta favorevole, Governo britannico farà probabilmente una proposta concreta perché si prenda in considerazione questa misura pel caso in cui passo collettivo Canea non produca effetto.

l03 l Cfr. n. 96.

104

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, DI SAN GIULIANO

T. 323. Roma, 3 febbraio 1910, ore 22,50.

Creta. Nel mio telegramma n. 317', ho riferito la comunicazione fattami ieri da questo ambasciatore di Francia, secondo la quale la dichiarazione delle Potenze protettrici contro l 'invio dei deputati cretesi doveva essere fatta tanto a Canea quanto ad Atene. A lei il signor Pichon avrebbe detto invece non essere d'avviso per il momento che si faccia una comunicazione comminatoria ad Atene, in seguito alle dichiarazioni rassicuranti fattegli dall'incaricato d'affari di Grecia. A parer mio, se si vuole ottenere un risultato positivo, il fermo proposito delle Potenze protettrici di non ammettere, in qualsiasi forma e in qualsiasi momento, la partecipazione dei cretesi all'Assemblea ateniese, dovrebbe essere reso noto fin d'ora tanto al Governo dell'isola quanto al Governo greco.

105

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO PERSONALE S.N. Bucarest, 1°-3 febbraio 1910.

Fo seguito alla mia lettera particolare del 27 gennaio ultimo scorso, che ebbi l'onore di spedir! e per corriere'·

1041 Cfr. n. 101. l 05 l Cfr. n. 78.

Rientrato qui la vigilia a sera, il signor Bratiano venne a vedermi ieri. Egli è veramente incantato dell'accoglienza fattagli costì, del modo tanto affabile e benevolo in cui S.M. il Re degnò riceverlo, e particolarmente delle squisite cortesie e gentilezze usategli da V.E., presso la quale egli mi incaricò di rendermi interprete della sua viva e profonda gratitudine, con preghiera di volerne anche rassegnare l'espressione al Nostro Augusto Sovrano.

Dopo avermi parlato con molto compiacimento della conformità di vedute dei due Governi nelle quistioni orientali più importanti che egli ebbe occasione di constatare nei suoi colloqui coll'E. V., questo signor presidente del Consiglio mi disse d'essere rimasto inteso con lei di comunicarle, per mezzo mio, il pensiero del conte d' Aehrenthal, che egli contava di vedere al suo passaggio a Vienna, circa i tentativi che starebbe facendo la Bulgaria per arrivare ad una intesa colla Serbia per il caso in cui lo status quo territoriale della Turchia non venisse mantenuto.

Il signor Bratiano -il quale s'astenne dal far conoscere al ministro austroungarico degli affari esteri che la quistione aveva formato oggetto di conversazione tra lui e l'E.V. -mi riferì il conte d' Aehrenthal avergli affermato di non sapere nulla in proposito. Il conte ammise però la possibilità che la Bulgaria stia facendo tentativi della specie, relativamente alla riuscita dei quali egli è tuttavia scettico, ed espresse l'opinione che essi trovino forse un incoraggiamento nella conoscenza delle relazioni finora esistenti tra la Russia e l'Austria-Ungheria. Ma egli pensa che l'accordo delle Grandi Potenze per il mantenimento dello sta tu quo territoriale eserciterà una influenza salutare a Sofia sovratutto ora che le relazioni tra Vienna e Pietroburgo vanno migliorando.

Il signor Bratiano risposegli che la Rumania, la quale desidera soltanto il mantenimento della pace e dello statu quo nella penisola balcanica, si felicita sinceramente di tutto ciò che può giovare a scoraggiare gli intrighi e le fermentazioni e vedrà, per conseguenza con soddisfazione il ristabilimento di cordiali relazioni tra i due grandi Imperi suoi vicini. Nell'udienza concessagli, l'imperatore avendo pur accennato al suo desiderio di riavvicinamento alla Russia, il signor Bratiano gli ricordò come lo stesso imperatore, dopo il Trattato di Berlino, avesse consigliato a suo padre Giovanni Bratiano, che si trovava allora a capo di questo Governo, di tenersi in buone relazioni colla Russia.

Il signor Bratiano mi chiese di pregare l'E.V. di considerare quanto precede come strettamente confidenziale.

PS. 3 febbraio 191 O.

Il signor Bratiano, venuto poco fa di nuovo a trovarmi e cui diedi lettura della presente, mi narrò d'aver fatto ieri visita al mio collega di Russia ed espostogli francamente il modo di vedere del Gabinetto di Bucarest relativamente ad una eventuale unione o lega balcanica, che potrebbe incontrare qui simpatia soltanto se di natura a non svegliare le diffidenze di terzi. Poiché altrimenti, se la Turchia la considerasse come un pericolo per sé, costituirebbe per ciò stesso una minaccia pel mantenimento della pace e della tranquillità nei Balcani. Locché equivale a dire che la Turchia dovrebbe far parte d'una unione o lega siffatta. Ora, come già riferii nel mio rapporto n. 240 del 20 dicembre scorso2, Bratiano non lo crede guarì possibile, ben sapendo la Turchia che la Bulgaria non rinunzierà mai sinceramente alle sue mire d'ingrandimento a sue spese.

Il signor de Giers disse a Bratiano di dividere pienamente questo modo di vedere. Egli s'espresse d'altronde meco più volte nel medesimo senso.

106

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, DI SAN GIULIANO, E A PIETROBURGO, MELEGARI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN

T. 328. Roma, 4 febbraio 1910, ore 15,30.

Creta. Ho gia dichiarato (miei telegrammi nn. 3041, 3172) che qualora le tre altre Potenze protettrici fossero concordi nel volere la rioccupazione dell'isola, l'Italia non se ne sarebbe separata, e avrebbe pure mandato il suo contingente in Creta. Sciogliendo ora le riserve fatte, reputo dover meglio precisare la natura delle obiezioni cui accennavo circa quella proposta. Oltre che la rioccupazione sarebbe certo interpretata come un riconoscimento d eli' errore commesso precedentemente con un ritiro prematuro delle truppe internazionali, è non meno evidente che essa, presso una parte cospicua dell'opinione pubblica, specie in un paese liberale quale il nostro, farebbe l 'impressione di una violazione del principio di nazionalità e del rispetto dovuto alla volontà popolare. È quindi un provvedimento che si dovrebbe affrontare soltanto in caso di estrema necessità, quando non fosse più possibile ritardarlo, e quando si potesse giustificarlo di fronte anche ali' opinione pubblica come l 'unico mezzo atto ad evitare un turbamento della pace.

Quanto all'occupazione dogane cretesi, che sembra desiderata dal Governo britannico, non mi parrebbe giustificata né in sé stessa, perché non abbiamo pendenze finanziarie da far valere contro Creta, né in rapporto colla pubblica opinione, che sarebbe maggiormente urtata dal carattere finanziario del provvedimento. Qualora occupazione apparisse proprio necessaria, dovrebbe avere carattere strettamente militare e limitarsi ai principali porti.

1052 Cfr. n. 15. l06 I Cfr. n. 96. 2 Cfr. n. l 01.

Faccia altresì notare che, qualora fosse vero, come fanno ritenere le odierne notizie, che le elezioni fossero rinviate alla fine dell'anno, le misure militari non sarebbero più urgenti.

Voglia esporre a codesto ministro degli affari esteri le considerazioni che precedono e riferirmene la risposta3.

107

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E PIETROBURGO E ALLA LEGAZIONE AD ATENE

T. 333. Roma, 4 febbraio 1910, ore 22,30.

Incaricato d'affari di Grecia mi ha testé comunicato che la convocazione dell'assemblea costituente è un atto di pacificazione inquantoché mentre le elezioni pel Parlamento avrebbero dovuto aver luogo a marzo quelle per la costituente avranno luogo solo autunno inoltrato e fors'anche a dicembre. Prendendo atto di questa comunicazione ho notato che la decisione presa ritardava ma non toglieva la causa della crisi poiché l'intervento dei deputati cretesi ad Atene in qualunque tempo fosse avvenuto, non avrebbe potuto essere ammesso dalle Potenze senza venir meno al loro dovere di tutelare la pace e altresì di salvare la Grecia dalle conseguenze dei suoi errori essendo ormai cosa certa che la Turchia non tollererebbe una nuova violazione dello statu quo. Successivamente ambasciatore d'Inghilterra mi ha comunicato l'idea del suo Governo circa una eventuale occupazione delle dogane cretesi, al che ho risposto confermando le mie obiezioni di cui nel mio telegramma n. 3281• Infine ambasciatore di Francia mi ha comunicato progetto di una dichiarazione collettiva da farsi al Governo cretese nel senso di «notificare al Comitato esecutivo che le quattro Potenze non ammettono la partecipazione della popolazione dell'isola alle elezioni che si tratta di fare in Grecia. Se malgrado la notificazione dell'opposizione formale delle quattro Potenze questa partecipazione sembrasse prodursi esse prenderebbero misure effettive per impedirne l'attuazione». Secondo la proposta francese, di questa dichiarazione fatta alla Canea sarebbe data comunicazione simultanea e individuale a Atene e Costantinopoli dai rappresentanti delle quattro Potenze.

Ho risposto Barrère che per parte mia approvavo testo e procedura ove fossero approvati dalle altre due Potenze.

1063 Cfr. n. 109. 1071 Cfr. n. 106.

108

IL DIRETTORE DELLA SUCCURSALE DEL BANCO DI ROMA A TRIPOLI, BRESCIANI, AL DIRETTORE GENERALE DEL BANCO DI ROMA, JACOMONI 1

L. Tripoli di Barberia, 4 febbraio 1910.

Contrariamente alle assicurazioni date da S.E. Hakky pacha, ora gran vizir, che le volture dei terreni di Bengasi sarebbero state permesse al nome del signor Pacelli, il console di Bengasi, cavalier Bernabei, mi avverte oggi per lettera che nessun ordine è pervenuto da Costantinopoli in proposito, alle autorità ottomane di Bengasi e che è tuttora in vigore la vecchia circolare della Direzione Generale deli'Archivio di Costantinopoli provocata dal Consiglio di Stato che vieta le ipoteche e la compera dei (terreni) beni immobiliari in Cirenaica a nome di Società e, per estensione, a nome del signor Pacelli, cavalier Bresciani e padre Girolamo.

O S.E. Hakky pacha se n'è scordato, ovvero si continua il solito sistema di promettere per non mantenere.

Sono lieto però di poter assicurare che ad eccezione del mutessarif, al quale non è pervenuto nessun ordine a noi favorevole, tutte le autorità di Bengasi hanno per noi dei riguardi mai avuti pel passato.

Anche a Tripoli esiste un ordine da Costantinopoli da circa sei mesi col quale si vieta di concedere imprese agli italiani. Questo ordine non è mai stato revocato, checché ne dicano le autorità ottomane, di Costantinopoli o per meglio dire checché vogliono far credere le autorità ottomane alle nostre autorità.

Noi continuiamo il nostro lavoro sul piede di pace e fidenti sempre che si arrivi presto a quell'intesa leale che per ora non è tale da parte della Turchia.

PS. Crederei opportuno che questa mia venisse comunicata al Ministero degli esteri.

109

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 444/32. Londra, 5 febbraio 1910, ore 6,17 (per. ore 6,30 del 6).

Creta. Essendo assente Grey, ho esposto ad Hardinge le condizioni di cui telegramma di V.E. n. 3281.

108 I Lettera comunicata il 12 febbraio al Ministero degli esteri dal consigliere d'amministrazione del Banco di Roma, Theodoli.

1091 Cfr. n. 106.

Hardinge mi ha confermato che Governo britannico è pure riluttante a occupazione militare. Per questo ha avanzato idea dell'occupazione dogane, la quale, togliendo Governo cretese principale cespite entrata, avrebbe materialmente le stesse conseguenze dell'occupazione militare. Naturalmente sequestro sarebbe temporaneo, ed, al cessare, le somme incassate sarebbero versate al Governo cretese. Potenze protettrici farebbero al momento presa di possesso una esplicita dichiarazione in questo senso, spiegando soltanto scopo essere quello di mettere cretesi nell'impossibilità compiere atti imprudenti. Hardinge persiste credere che questa misura sarebbe migliore della occupazione militare anche ridotta ai soli porti.

Si può fare facilmente sbarcando solo piccoli contingenti degli equipaggi e avrebbe così, fin dali 'inizio, un aspetto transitorio che la renderebbe più facilmente accettata all'opinione pubblica paesi liberali.

Governo russo non ha ancora risposto, ma ad Hardinge risulta che sarebbe piuttosto favorevole occupazione dogane. Governo francese pare propenso, invece, occupazione militare.

Ad ogni modo, miglioramento situazione allontana per ora necessità misure coercitive. Governo britannico ha aderito proposta francese per dichiarazione collettiva di cui telegramma di V.E. n. 3332.

110

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALLE AMBASCIATE A COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI E PIETROBURGO E ALLA LEGAZIONE AD ATENE

T. 345. Roma, 5 febbraio 1910, ore 21,15.

Creta. Questo incaricato d'affari di Grecia mi ha comunicato stamane che il suo Governo è stato informato delle diverse proposte che sarebbero state messe innanzi per impedire invio deputati cretesi all'assemblea ellenica, quali rioccupazione militare dell'isola, sequestro delle dogane, blocco. Il Governo ellenico espresse la sua fiducia che, di fronte alle dichiarazioni eminentemente pacifiche fatte a loro e alla Turchia, le Potenze protettrici vorranno astenersi da simili provvedimenti, che farebbero certo penosa impressione sull'opinione pubblica ellenica e potrebbero suscitare complicazioni. Gli ho risposto che la necessità di quei provvedimenti si produrrebbe soltanto quando la Creta mostrasse di non voler seguire i voleri delle Potenze protettrici.

1092 Cfr. n. 107.

111

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO PARTICOLARE S.N. Vienna, 6 febbraio 1910.

Nella visita fattami ieri dal signor Milovanovitch, circa la quale riferisco a

V.E. col mio rapporto in data d'oggi, n. 1161, egli mi parlò di alcuni argomenti confidenziali che credo doverle far conoscere in via particolare.

Il signor Milovanovitch mi disse che, nei colloqui avuti da re Pietro e da lui stesso col re dei bulgari, durante la dimora di Sua Maestà in Belgrado, erasi constatato la convenienza di non stipulare per ora alcun accordo fra i due Stati, giacché, ove ciò si fosse risaputo, non avrebbe mancato di urtare le suscettibilità della Turchia e le diffidenze dell'Austria-Ungheria ed era miglior partito evitare l 'una cosa e l'altra. Simili accordi avrebbero potuto essere stipulati solo quando la necessità di essi si fosse presentata, oppure quando gli avvenimenti avessero precipitato in Turchia. Erasi per contro stabilito che i due Governi avrebbero seguito nei Balcani una linea di condotta identica, intesa a rispettare i diritti e gli interessi rispettivi e a non fare cosa che potesse intralciare l'azione di propaganda esercitata dall'uno degli Stati in quelle località dove l'altro accampava le sue pretese. Tra Serbia e Bulgaria erasi già dato seguito in parte a tale principio: la Serbia erasi ritirata dal vilayet di Salonicco, sopprimendovi le sue scuole e lasciando libero campo alla Bulgaria. E quest'ultima erasi ritirata da quello di Uskub, ch'essa finora contestava alla Serbia, e vi aveva soppresso le sue scuole a Tetowo e Gussinje, mentre la Serbia le manteneva ancora, per il momento, nel vilayet di Monastir riservandosi di meglio determinare in seguito, e d'accordo colla Bulgaria, l'azione delle rispettive propagande in quella regione. La Serbi a poi sperava che la Bulgaria avrebbe finito per annuire a cederle il posto nel distretto di Kropulii (Velèze ).

La base quindi su cui i due Governi avevano convenuto, si era quella di una specie di divisione di sfere di influenza nella Macedonia, alla quale la Bulgaria erasi opposta recisamente per l'innanzi.

Questa divisione avrebbe potuto, in un determinato momento, qualora le circostanze, in cui fosse per trovarsi l'Impero ottomano, lo permettessero, dare origine ad un eventuale accordo tra i due Paesi.

Parlandomi poscia dei rapporti tra la Serbia e la Monarchia austro-ungarica, il signor Milovanovitch mi disse che alla Serbia conveniva cercare di mantenerli sopra un piede amichevole. Aggiunse di aver saputo che il conte d'Aehrenthal avrebbe avuto, tempo fa, l 'intenzione di richiamare da Belgrado il conte Forgach, essendo egli compromesso nel processo Friedjung. I documenti infatti presentati

III l R. 248/116, non pubblicato.

in quel processo, a sua difesa, dal signor Friedjung sarebbero stati fomiti, in parte, dall'addetto militare d'Austria-Ungheria in Belgrado, in parte direttamente dal conte Forgach. Siccome V.E. l'avrà rilevato dalla corrispondenza ufficiale di questa r. ambasciata, i documenti stessi furono riscontrati per la maggior parte falsi. Venuto a conoscenza di tale intenzione del ministro imperiale e reale degli affari esteri, il signor Milovanovitch aveva però pregato il conte d'Aehrenthal di non darvi seguito, giacché preferiva, a quanto egli mi disse, di avere a che fare con il conte Forgach, che ormai conosceva bene, che non con un uomo nuovo. D'altra parte il conte F orgach sapeva benissimo eh'egli erasi adoperato affinché rimanesse a Belgrado ed eragli grato di ciò che aveva fatto. Contro il rappresentante imperiale e reale erasi però sollevata una parte della stampa serba, ma egli aveva fatto valere la sua autorità per ottenere che questa cessasse dai suoi attacchi ed era riuscito nell'intento.

Nell'accennare quindi al riavvicinamento austro-russo, il signor Milovanovitch mi disse che non sapeva finora quale delle due Potenze avesse mosso il primo passo verso l 'altra, ma non credeva che questo fosse stato fatto dal signor Iswolsky, giacché, dopo quanto era avvenuto in occasione della crisi per l'annessione della Bosnia-Ersegovina, non sarebbe toccato a lui di farlo. D'altra parte non riteneva che le trattative intavolate fra Vienna e Pietroburgo avrebbero potuto sortire un esito favorevole a cagione della difficoltà di intendersi, poiché la politica russa nei Balcani seguiva una direttiva diversa da quella austro-ungarica. Inoltre egli era scettico su questo punto, giacché dai colloqui che aveva avuto con uomini influenti delle sfere ufficiali russe e, di recente, col signor di Hartwig, ministro russo a Belgrado, gli risultava che in Russia non si voleva trattare col conte d'Aehrenthal e si desiderava vedergli lasciare il potere non avendosi alcuna fiducia in lui. Secondo il signor Milovanovitch soltanto quando il conte d'Aehrenthal avrebbe lasciato il Ballplatz sarebbe giunto il momento per un riavvicinamento fra la Russia e l'Austria-Ungheria.

Quanto all'azione di questi ambasciatori d'Inghilterra e di Francia nell'intento di riavvicinare l'Austria-Ungheria alla Russia per svincolarla dalla Germania (mia lettera particolare del 3 corrente)2, il signor Milovanovitch mi disse che eragli già nota e che essa rispondeva alle idee del signor Clémenceau. L'antico presidente del Consiglio francese aveva discusso con lui della cosa l'estate scorsa a Carlsbad. Il signor Milovanovitch gli aveva in quell'occasione dimostrato che una simile azione avrebbe, secondo il suo parere, sortito un risultato opposto a quanto ci si riprometteva e non avrebbe fatto altro che stringere vieppiù i legami che univano l'Austria-Ungheria e la Germania. Al che il signor Clémenceau gli aveva risposto che anche il re Eduardo, col quale aveva parlato di quell'idea, aveva consentito in essa, ma sapeva che il signor Delcassé erasi pronunziato recisamente contrario a tale azione per le ragioni stesse da lui esposte al signor Clémenceau.

III 2 Non rinvenuta.

112

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO l 07/32. Belgrado, 7 febbraio 1910 (per. il 16).

Mi riferisco al mio rapporto del l o corrente n. 86/26'.

Questo Governo, impressionato dell'insistenza delle voci relative ad un'intesa austro-russa, ha cercato di avere da Pietroburgo informazioni rassicuranti circa la quistione. Da quanto mi risulta, il mio collega di Russia avrebbe fatto conoscere al signor Pachitch che nessuna intesa si stava negoziando fra i Governi dei due Imperi, e che si trattava piuttosto di una tendenza diretta al miglioramento delle relazioni, che, nello stato attuale delle cose, non si poteva dire fossero normali. D'altronde qualunque passo fatto in questa direzione non avrebbe mai potuto avere alcuna intenzione ostile verso la Serbia, né essere nocivo agli interessi del serbismo.

Il signor Milovanovitch, ritornato ora dal suo breve viaggio a Berlino ed a Vienna, parlandomi spontaneamente della quistione, mi disse di non dividere l'inquietudine de' suoi colleghi di Gabinetto, trattandosi, a suo avviso, non di un'entente ma di una détente. Ad ogni modo, mi soggiunse, che nulla la Serbia aveva a temere dopo lo scambio d'idee passatosi a Racconigi, del quale, egli afferma avere conoscenza. Egli mi replicò poi quanto ebbi già a riferire all'E.V. che, cioè, null'altro il Governo chiedeva che il mantenimento dello statu quo nei Balcani, e che, qualora, in causa di qualche avvenimento, esso venisse ad essere turbato, si evitasse qualsiasi intervento inteso ad impedire la libertà d'azione degli Stati balcanici.

113

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 478/43. Vienna, 9 febbraio 1910, ore 20,30 (per. ore 22,10).

Aehrenthal mi ha detto che situazione nei Balcani erasi ora un poco migliorata in seguito diminuzione tensione prodottasi nei rapporti tra Grecia e Turchia e fra queste Potenze e Bulgaria. Questione cretese, che aveva minacciato turbare pace europea, aveva perso per il momento suo carattere acuto e dichiarazioni Governo ellenico come disposizioni energiche manifestate dalle quattro Potenze sembravano avere rassicurato Sublime Porta. D'altra parte, questa si disponeva intavolare colla Bulgaria negoziati per il nuovo trattato di commercio. Però con

112 I Cfr. n. 97.

dizione di cose in Grecia era tuttora precaria e nessuno poteva affermare se dichiarazioni del signor Dragoumis sarebbero state confermate dal suo successore. Ignorava se quattro Potenze avessero già dato seguito presso il Governo cretese e presso Gabinetti di Atene e di Costantinopoli alla proposta del Governo francese, la quale non avrebbe potuto che essere accolta con soddisfazione dalla Turchia perché attestante fermo loro proposito di tutelare suoi diritti sovrani isola.

114

L'AMBASCIATORE A PARIGI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 484/35. Parigi, 10 febbraio 1910, ore 13 (per. ore 15,05).

Creta. Risposta al telegramma di V.E. n. 360'. Fino a jeri sera Pichon non aveva ricevuto la risposta definitiva della Russia relativa al testo della notificazione da farsi a Creta. Appena la riceverà, darà al console francese alla Canea istruzioni conformi a quelle impartite ai consoli d'Inghilterra e d'Italia. Izwolsky ha suggerito di domandare ai quattro consoli quale sarebbe la data più conveniente per la consegna di questa notificazione.

Pichon aderisce. Egli accetta pure molto volentieri idea di dare comunicazione, a titolo d'informazione di questo passo collettivo ai Gabinetti di Berlino e di Vienna.

115

L'ADDETTO NAVALE A PARIGI, ALOISI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, BETTOLOI

R. 39/29. Parigi, 10 febbraio 1910.

Per non mancare alle abitudini stabilite dai suoi predecessori, anche l'attuale ministro ha compilato un programma navale che tra poco dovrebbe essere presentato alla Camera. Annunziato parecchie volte, esso è apparso soltanto ora, ciò che va a credere che le idee dell'ammiraglio Boué de Lapeyrère abbiano incontrato delle difficoltà in seno al Gabinetto dei Ministri. Questo ritardo diminuisce la probabilità della sua adozione perché la Camera terminerà le sue sedute tra due

mesi ed il periodo elettorale è già virtualmente aperto: il bilancio non è ancora votato e chissà se il Parlamento troverà il tempo di adottare un progetto di legge speciale di costruzioni nuove prima della sua separazione.

Sarebbe difficile di esaminare se il programma risponde a quello che si aspettava, giacché all'ora attuale, dato il desiderio manifesto della Camera, affermato d'altra parte da testo legale che interdice al ministro di mettere in cantiere una nave di più di l 000 tonnellate di dislocamento senza il voto di un progetto di legge speciale, si guarda meno ciò che contiene il programma per considerare soltanto il fatto della sua presentazione davanti al Parlamento.

Tuttavia il programma d'oggi è ridotto al «minimum», è lontano da quello adottato dal Consiglio superiore di marina un anno circa fa ( 45 corazzate, 12 esploratori, 66 cacciatorpediniere a squadra etc.); ancora più lontano da quello del 1905 (34 corazzate, 36 incrociatori corazzati, 6 esploratori, 40 cacciatorpediniere squadre, l 09 cacciatorpediniere a divisioni, 131 sottomarini e 170 torpediniere etc.) che diede 6 Danton non ancora ultimati. Le idee di ripresa dell'aureo rango della marina francese tra le Potenze marittime vengono definitivamente abbandonate: il programma del 191 O rassomiglia a quello fatto dal Lanessan l O anni fa diminuiti però degli incrociatori corazzati e torpediniere, ma aumentati di un certo numero di sottomarini. Ecco le linee essenziali del programma attuale.

8 febbraio 191 O.

LE PROGRAMME NAVAL

Le conseil a définitivement approuvé le programme de reconstitution de la flotte présenté par le ministre de la marine, après consultation du conseil supérieur. Pour la partie financière, l'amiral Boué de Lapeyrère s'est mis d'accord avec son collègue M. Cochery.

Voici les dispositions essentielles du projet:

a) Composition de la flotte

l) Flotte de com ba t:

28 cuirassés d'escadre formant 4 escadres de 6 cuirassés et 4 cuirassés de remplacement;

l O éclaireurs d'escadre à raison de 2 éclaireurs par escadre et 2 éclaireurs de remplacement; 52 bàtiments torpilleurs de haute mer à raison de 12 par escadre et 4 de remplacement. 2) Flotte des division navales lointaines: l O bàtiments. (En plus avisos et canonnières suivant les besoins). 3) Flotte des défenses sous-marines: 94 bàtiments sous-marins; 4 bàtiments porteurs et mouilleurs de mines. (Dragueurs de mines suivant les besoins). 4) Bàtiments des services spéciaux: 3 bàtiments hydrograhes; 3 trasports de còte; Suivant les besoins: bàtiments-écoles et bàtiments garde-pèche.

b) Durée maximum d'existence des bàtiments pour le service de guerre

Les bases sur lesquelles est déterminé le remplacement des unités de combat sont les suivantes:

25 ans pour !es cuirassés et batiments de divisions navales lointaines mis en chantier antérieurement à l'année 1909.

20 ans pour !es batiments mis en chantier postérieurement à l'année 1909.

20 ans pour !es éclaireurs.

17 ans pour !es torpilleurs et sous-marins.

Ces duréers comptent de la date de mise en chantier.

c) Position d'armement des batiments

Le programme des armements est ainsi établi:

l) Flotte de combat.

Les cuirassés sont répartis en deux armées navales comprenant chacune deux escadres dont l'une à effectifs complets et l'autre à effectifs réduits. Les éclaireurs du servi ce actif sont à effectifs complets. Deux flottilles de 12 torpilleurs seront à effectifs complets. 2) Flotte des divisions navales lointaines. A effectifs complets lorsqu'elles sont en service actif. 3) Flotte des défenses sous-marines. La moitié des batiments torpilleurs à effectifs complets, l'autre moitié à effectifs réduits. Les batiments sous-marins sont tous à effectifs complets.

d) Munitions et approvisionnements

Munitions -Le projet fixe la composition du stock de munitions à terre et laisse au ministre le soin de déterminer pour chaque type de batiments le stock de munitions de guerre à embarquer.

Approvisionnements -Ils comprennent les approvisionnements du temps de guerre et les approvisionnements du service courant.

Les approvisionnements de guerre sont constitués d'après la composition des forces navales et calculés en se basant sur un nombre de mois d'hostilités et un nombre de jours de mer par mois fixés par le ministre.

Les approvisionnements du service courant peuvent varier entre un maximum et un minimum fixés parla loi.

e) Outillage des ports

Un article de la loi indiqué !es travaux d'amélioration d'outillage des ports à entreprendrc commc conséquence du programme de composition de la flotte.

Da ciò si vede che il programma attuale che comprende 194 navi, di cui 28 corazzate, è inferiore a quello del signor de Lanessan di 274 navi di cui 52 corazzate; ed aggiungendo che, la potenza di una flotta è relativa, il paragone con le flotte estere che si poteva fare l O anni fa, allorché la Francia era la seconda Potenza marittima, ha un gran svantaggio oggi in seguito agli sforzi fatti dagli Stati Uniti, Germania e Giappone.

Il programma attuale significa quasi una rinunzia della marina francese al posto che occupava tra le marine di prim'ordine. Tra le cause che possono aver determinato questa decisione va notata in prima linea l'impossibilità, con le riforme sociali in corso, di trovare la soluzione finanziaria per poter costruire una forza capace di controbilanciare la potenza marittima della Germania. E l'attuale programma navale, come del resto quelli che lo hanno preceduto, è l'esponente della situazione interna del Paese più che di una preoccupazione di politica estera: si sente infatti che il Governo non crede di essere minacciato dalla parte del

mare fidandosi evidentemente sull'appoggio promesso dall'Inghilterra. Del resto di fronte alle prossime elezioni il Governo non poteva rendersi garante di domandare un sacrificio par la sua marina; talché tra le previsioni che si fanno v'è quella che la Camera non voterà l'intero programma ma accorderà solamente di mettere in cantiere due delle grandi navi -lasciando alla nuova rappresentanza del Paese la cura di decidere per il resto.

Però se il programma dell'ammiraglio Boué de Lapeyrère è modesto, segna la fine di un indirizzo che è stato infausto per la marina francese: voglio parlare cioè della cosidetta «Routière navale» che costa cara ed è di un'efficacia più che aleatoria. Non vi sono più torpediniere, le cacciatorpediniere in soprannumero delle navi torpediniere d'alto mare funzioneranno coi sottomarini nelle flottiglie delle coste, e tutto fa credere che non se ne costruiranno più.

I mezzi d'esecuzione del programma non sono conosciuti, come pure le date di realizzazione. Si decida per il 1919 ed allora i crediti dovrebbero ripartirsi su lO anni. Le spese previste sarebbero quattrocento milioni (140 ali' anno) comprese munizioni, porti etc. La spesa annuale sarebbe quindi appena più forte di quella degli ultimi anni e lo sforzo finanziario sarebbe così ridotto al minimo. Pare che si utilizzeranno gli attuali incrociatori corazzati fino al 1917 data alla quale verranno messi in cantiere gli esploratori previsti dal programma; perciò dato il loro spostamento questo costituirebbe un eccesso di spesa ali' effetto risultante.

La Camera dovrebbe tra breve pronunciarsi sul presunto programma navale.

114 l T. 360 del 6 febbraio, non pubblicato, con il quale Guicciardini dava istruzioni agli ambasciatori a Londra, Parigi e Pietroburgo di chiedere a quei Governi se non ritenessero opportuno informare Berlino e Vienna dei loro passi in merito alla questione di Creta.

115 l Da Ufficio Storico della Marina Militare.

116

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

D. RISERVATO PERSONALE S.N.I. Roma, 11 febbraio 1910.

Il 30 ottobre 1909, il mio predecessore poneva a V.E. il seguente quesito: poiché la Russia dichiara di non aspirare ad alcuna espansione territoriale in Oriente, e di volervi soltanto il mantenimento dello statu-quo, e lo sviluppo normale degli Stati balcanici-poiché l'Austria-Ungheria protesta di essere animata dagli stessi sentimenti e di tenersi paga della situazione che le fu creata dagli ultimi avvenimenti poiché l'Italia, infine, ravvisa pure quel mantenimento e quello sviluppo come i mezzi migliori per raggiungere gli scopi della sua politica orientale, che ad altro non mira se non a consolidare ed accrescere la legittima influenza sua civile ed economica in quelle regioni-perché una siffatta concordanza di propositi e d'intenti non potreb

be venir tradotta in un accordo formale fra le tre Potenze, che, togliendo di mezzo uno dei maggiori ostacoli alla sicurezza delle loro relazioni, recherebbe un beneficio inestimabile alla causa della pace del mondo?

V.E. rispondeva, il 16 novembre successivo, al senatore Tittoni: che già precedentemente ella aveva accennato col conte Aehrenthal all'idea di ripigliare i negoziati per quell'accordo a tre, che era stato proposto, e poi abbandonato, al momento dell'annessione della Bosnia-Erzegovina. Ma che il conte Aehrenthal aveva replicato, osservando che lo stato dei rapporti austro-russi a quella data non permetteva nemmeno di prevedere quando un riavvicinamento fra le due Potenze potrebbe effettuarsi; che, in ogni modo, «ciò non potrebbe avvenire che ove la Russia ne esprimesse il desiderio e si mostrasse disposta ad entrare in comunicazioni dirette coll'Austria-Ungheria, all'infuori dell'intervento di una terza Potenza. Questa condizione era, secondo lui, necessaria».

La cosa non ebbe allora altro seguito. Ma oggi, le condizioni sono completamente mutate; oggi, quel riavvicinamento fra Austria e Russia, che il conte Aehrenthal non poteva nemmeno prevedere, sta per prodursi, a quanto ci assicurano le comunicazioni, in questo punto concordi, dei due Gabinetti; e sta per prodursi appunto -a quanto si afferma a Vienna -in seguito ad un 'iniziativa partita da Pietroburgo. Le premesse, che allora mancavano, si sono ormai avverate, o stanno per avverarsi. Ond'io, riprendendo il concetto che già era stato espresso dal mio predecessore, credo giunto il momento di metter di nuovo sul tappeto la proposta di un accordo per gli affari balcanici fra le tre Potenze che vi sono più direttamente interessate, accordo che imprima una positiva sanzione ai propositi da ciascuna di esse manifestati, e che costituirebbe una sicura garanzia di pace. E siffatta proposta, come è doveroso e naturale, io presento in primo luogo all' Austria-Ungheria, cui l'Italia è legata dal duplice vincolo del Trattato d'alleanza e di quegli accordi più recenti, che dovrebbero appunto servire di punto di partenza per il nuovo patto internazionale da noi vagheggiato. Non la presenterò alla Russia, se non quando sia certo dell'accettazione dell'Austria-Ungheria.

Sopra quanto precede, io prego dunque VE. di voler chiamare l'attenzione di codesto ministro degli affari esteri, e di riferirmi poi quanto le avrà risposto.

116 l Il documento reca la seguente annotazione: «Sospesa in seguito a ulteriori notizie». Dovrebbe essere stato, comunque, spedito perché regolarmente protocollato. Non risulta, infatti, nessuna annotazione contraria nel registro di protocollo.

117

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 414. Roma, 13 febbraio 1910, ore 16.

Questo ambasciatore di Russia mi ha jeri l'altro comunicato che, nel corso degli scambi d'idee aperti fra la Russia e l'Austria-Ungheria allo scopo di ristabilire normali relazioni diplomatiche, il signor Izwolsky aveva rimesso il 9 febbraio al conte Berchtold un memorandum, nel quale vien detto che eventuali accordi coli' Austria-Ungheria non potrebbero più essere fatti collo stesso sistema di quelli del 1897, ma bensì in modo che vi si possano associare tutte le Potenze interessate; e ciò a causa della mutata situazione internazionale e del nuovo regime in Turchia. Siffatti accordi dovrebbero avere per base i tre punti seguenti che combinano con quelli già concordati a Racconigi:

l) mantenimento dello sta tu quo;

2) consolidamento dell'attuale regime ottomano in quanto che ha assicurato

eguaglianza di trattamento per tutte le nazionalità dell'Impero; 3) consolidazione e sviluppo dei piccoli Stati balcanici. Tale comunicazione l'ambasciatore mi faceva a nome del suo Governo a ti

tolo strettamente confidenziale, e per mantenere l 'impegno preso di tenerci al corrente dell'andamento dei negoziati con Vienna. Ho pregato l'ambasciatore di porgere i miei ringraziamenti al suo ministro per tale comunicazione, che non poteva che riuscirmi gradita. I tre punti messi innanzi dal Gabinetto di Pietroburgo rispondevano perfettamente agli obiettivi, ripetutamente manifestati, della politica italiana in Oriente. Un accordo generale fra tutte le Grandi Potenze, su quelle basi, avrebbe quindi la nostra approvazione incondizionata. Di questa mia risposta prego V.E. di dare conoscenza al signor Izwolsky, dal quale gradirei avere la conferma che tali sono realmente gli intendimenti del Governo russo. Per sua informazione poi e per sua norma di linguaggio nel caso solo che il signor Izwolsky le manifestasse diversi intendimenti, osservo quanto segue: l'Italia ha, in Oriente, interessi generali comuni a tutte le Potenze, quali la protezione dei cristiani, il principio della porta aperta, il mantenimento della pace soprattutto; ma vi ha anche interessi speciali, derivantile dalla sua posizione di Potenza rivierasca dell'Adriatico di fronte alla Turchia, interessi diversi ma non di minore importanza di quelli della Russia e dell'Austria. Un accordo particolare, quindi, fra queste due Potenze, sia pure su basi accettabili e comunicato a tutte le altre, costituirebbe loro una posizione privilegiata, come nel 1897, e come a Mtirzsteg, e non sarebbe conforme a ciò che desideriamo!.

118

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 517/45. Vienna, 13 febbraio 1910, ore 17,40 (per. ore 19,40).

Tschirschky, venuto oggi vedermi, mi ha informato, a titolo strettamente personale, che al suo ritorno da Berlino, avvenuto ieri l'altro, Aehrenthal avevagli

117 I Per la risposta cfr. n. 125.

dato lettura confidenzialmente testo memorandum consegnato 9 corrente da Izwolskij a Berchtold, di cui telegramma di V.E. n. 4091.

Aehrenthal aveva detto al signor Tschirschky che non era affatto sua intenzione addivenire ad accordi qualsiasi con Izwolskij ed a questo proposito si sarebbe espresso all'indirizzo di questo in modo tale da dimostrare come viva tuttora fosse in lui animosità e diffidenza da cui era animato verso ministro imperiale. Aehrenthal aveva aggiunto che ciò che ad esso premeva più di ogni altra cosa si era che i due Governi riprendessero contatto, giacché questo avrebbe potuto permetter loro scambio proprio idee circa varie questioni. Altro egli non ricercava per ora. Accennando poi al punto secondo del memorandum, Aehrenthal aveva osservato che in esso si parlava della consolidazione dell'attuale regime ottomano non in modo assoluto, ma soltanto in quanto che assicurava uguaglianza trattamento tutte nazionalità Impero. Questa condizione faceva supporre che, ove essa non si fosse verificata in avvenire, Russia non si sarebbe più considerata come obbligata ad adoperarsi in favore di quella consolidazione. Ciò che egli non poteva ammettere. Aehrenthal erasi riservato d'intrattenersi di nuovo con Tschirschky circa memorandum, prima di rispondere ad Izwolskij. Non mancherò di fare domani, in via riservata, comunicazione ingiuntami da V.E. col suo telegramma suddetto2.

119

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 545/47. Vienna, 15 febbraio 1910, ore 20,45 (per. ore 22,45).

Aehrenthal, essendo stato impedito di ricevermi ieri, non ho potuto fargli che oggi appena comunicazione di cui telegramma di V.E. n. 4091. Aehrenthal mi ha detto che Izwolskij, nel fargli, per mezzo conte Berchtold, proposta riprendere contatto interrotto, aveva accennato soltanto alla convenienza per due Governi procedere scambio di vedute sulle varie questioni a !l'ordine del giorno, ma non aveva parlato in alcun modo della stipulazione d'accordi fra loro. In risposta, egli aveva incaricato conte Berchtold informare Izwolskij che era disposto accettare proposta di lui. Nel memorandum però rimesso ora al conte Berchtold, Izwolskij parlava di accordi eventuali tra Russia e Austria-Ungheria e formulava principii su cui dovrebbero essere basati.

n. 117 perché ne desse notizia ad Aehrenthal.

2 Cfr. n. 119. 119 l Cfr. n. 118 nota l.

Egli non aveva alcuna obiezione in massima contro tali principii. Ma non era affatto sua intenzione addivenire con l'Izwolskij ad accordo qualsiasi di cui egli non aveva fatto cenno al ministro imperiale nella sua risposta alla proposta suddetta. Non scorgeva, del resto, che vi fosse pel momento la possibilità, come la necessità, di stipularli.

Riconosceva, per contro, necessario che due Governi riprendessero contatto interrotto per avere essi agio scambiarsi, al pari altri Governi, loro vedute sulle varie questioni all'ordine del giorno. Altro non ricercava per ora. D'altra parte, egli non aveva mai modificato principii che aveva sempre propugnati e che avevano formato oggetto accordo 1897, cioè del mantenimento sta tu quo, del disinteressamento reciproco e del non intervento nei Balcani. Tali principii, che erano noti a tutte le Potenze e che erano per ciò nel tempo stesso condivisi dalla Russia, costituivano tuttora base politica orientale della monarchia. Aehrenthal si propone rispondere, presso a poco, in tal senso a Izwolskij domani o dopo domani.

Aehrenthal mi ha dato quindi lettura di un telegramma pervenutogli dal conte Uitzow in cui questi, nel fargli conoscere avergli V.E. parlato delle conversazioni in corso fra Pietroburgo e Vienna per riprendere contatto interrotto, aggiungeva che ella aveva accennato in modo alquanto vago alla probabilità che l'accordo che interverrebbe fra i due Gabinetti sarebbe stato comunicato Potenze coll'invito parteciparvi.

Aehrenthal si riserva far riferire a V.E., per mezzo conte Ltitzow, risposta che darà a memorandum russo. Ma intanto mi ha pregato far conoscere a V.E. che Izwolskij aveva informato conte Berchtold che accordo che era sua intenzione stipulare, sulla base principii in discorso, tra Russia e Austria-Ungheria avrebbe dovuto essere notificato Potenze, perché vi dessero loro adesione.

Aehrenthal mi ha detto infine che sarebbe partito 20 corrente per Berlino e avrebbe fatto ritorno qui 27.

118 l Con il T. 409 del 12 febbraio, non pubblicato, Guicciardini aveva comunicato ad Avama il

120

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 190/75. Il Cairo, 15 febbraio 1910 (per. il 24).

Nel corso della mia recente udienza presso il khedive (della quale feci già cenno in altro rapporto) chiesi a Sua Altezza cosa vi fosse di vero nelle notizie circolanti di una avanzata del Senussi a sud di Kufra. Il khedive, che, come è noto, è molto bene informato di quanto avviene in quella regione, mi disse che, al contrario, a lui risulterebbe che il Gran Senussi progetta di muoversi verso nord e precisamente di trasferire la sua sede da Kufra a Giarbud. Sidi Mohammed Abed, fratello del Gran Senussi, si sarebbe anzi in questi ultimi tempi recato

a Giarbub allo scopo di preparare questo trasferimento di sede. Il khedive aggiunse che i Senussi costituiscono una setta fanatica e per natura sua anti-governativa colla quale è assai difficile vivere in buoni termini. Osservai a Sua Altezza, che in occasione dei recenti fatti di Siwa (mio rapporto del 26 gennaio u.s. n. 116/40)1 il Senussi aveva dato istruzioni ai suoi adepti di quella oasi di mostrarsi deferenti alle autorità egiziane. A ciò il khedive replicò che realmente ordini in quel senso erano stati dati dal Gran Senussi, e che anzi questi aveva fatto pervenire al khedive stesso messaggi di deferenza, ma Sua Altezza non credeva fosse da prestar fede alla sincerità di quell'attitudine e di quelle dichiarazioni, ispirate unicamente alla preoccupazione di toglier di mezzo le diffidenze che il trasferimento di sede a Giarbub potrebbe far sorgere.

Quindi il khedive, seguitando la conversazione improntata a carattere esclusivamente personale, fece cenno della setta religiosa dei Madania, rivale dei Senussi, molto sparsa in Tripolitania, con diramazioni a Siwa, in Egitto e anche in Arabia. I Madania, diceva Sua Altezza, sono, a differenza dei Senussi, suscettibili di comprendere i benefici del progresso e quindi meno intransigenti ed ostili per principio riguardo le nazioni civili. E il khedive, riferendosi a quanto mi aveva detto poco prima intorno la progettata ferrovia in Tripolitania (oggetto del mio rapporto odierno num. 76)2, mi faceva osservare che sarebbe di buona tattica se il R. Governo entrasse in relazione coi Madania, in quanto si potrà aver bisogno del loro appoggio quando si tratterà di dare esecuzione a quel disegno, contro il quale senza dubbio sorgeranno tante ostilità locali. Avendomi allora Sua Altezza domandato se non abbiamo persone in Tripolitania che lavorino a nostro vantaggio fuori dall'ambiente ufficiale, risposi che ignoravo in qual modo si esercitasse l'azione dei consoli in Tripolitania, ma che potevo assicurare essere ferma intenzione del R. Governo di mantenere un'attitudine di piena lealtà verso il Governo ottomano; aggiunsi che nostro scopo naturale e legittimo è di intensificare i nostri traffici colla vicina costa tripolina d'accordo colla Turchia, cui appartiene quella provincia, ma che non avremmo tollerato lo stabilirsi in quella regione di influenze politiche di altri Stati.

È bene, di tanto in tanto, riaffermare il nostro punto di vista col khedive, la cui attività si esplica, come ho riferito in varii rapporti precedenti, per tutto il mondo arabo-islamico.

Quindi, sempre a proposito della ferrovia, il khedive tornò sull'argomento dei Madania, e disse che poteva darmi un buon suggerimento: a Costantinopoli si trova il capo di quella setta, sceic Safer, il quale dal sultano Abdul Hamid, che se ne serviva, era lautamente pagato. Ma il nuovo Governo ottomano pare abbia del tutto abbandonato quel capo religioso, per cui Sua Altezza supponeva non sarebbe difficile a noi di acquistarlo agli interessi italiani. Sua Altezza soggiunse che non sapeva se costui avrebbe accettato somme di danaro, ma che si poteva trovare il modo di beneficarlo, ad esempio mettendolo

2 Non rinvenuto.

in grado di acquistarsi un terreno in Tripolitania e fabbricarsi colà un'abitazione, ciò che gli permetterebbe di venir via da Costantinopoli dove non è soddisfatto.

I nostri consolati in Tripolitania saranno meglio di me in grado di manifestare un giudizio circa l'utilità e la possibilità di entrare praticamente in relazione colla setta dei Madania. Ma certamente, qualora il suggerimento del khedive fosse ritenuto vantaggioso all'affermazione dell'influenza italiana in Tripolitania, sarebbe necessario di non frapporre indugio a profittare della presente circostanza nella quale si trova a Costantinopoli lo sceic Safer.

Il khedive mi raccomandava così vivamente di badare acché non fosse fatto il suo nome a proposito degli argomenti che formarono oggetto del colloquio, che mi permetto pregare V.E. di voler evitare, nella corrispondenza cui eventualmente desse luogo questo rapporto, di indicare la sorgente delle notizie che ho avuto l'onore di riferire.

120 l Non pubblicato.

121

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 560/50. Vienna, 16 febbraio 1910, ore 18,20 (per. ore 19,35).

Per essere in grado di esaminare se ed in qual modo convenisse dar seguito istruzioni che V.E. ha dato con telegramma riservatissimo n. 3941 , ho creduto opportuno assumere fonte autorevole informazioni confidenziali circa visita squadra austro-ungarica porto di Antivari. Risulta da tali informazioni che squadra farà quest'anno, al pari anni scorsi, nella prossima primavera, sua consueta crociera acque Levante. Siccome nell'intraprendere crociera, squadra, che è ancorata Pola, dovrà passare in vista costa Montenegro, si è giudicato non potersi fare a meno senza mancare dovuti riguardi principe Nicola, specialmente dopo recente visita ad Antivari della squadra francese, di approfittare passaggio stesso per fare visita quel porto. Per cui partenza squadra austroungarica da P o la non è stata decisa nell'intento precipuo fare quella visita, ma essa non sarebbe che una conseguenza della crociera squadra Levante. In tal modo visita è spiegata nei circoli governativi. Si è quindi per questa circostanza che Governo Imperiale e Reale non ha creduto doverla comunicare preventivamente R. Governo. Ma mi risulta Governo Imperiale e Reale che è stato riconoscente all'E.V. per comunicazione confidenziale relativa viaggio

Nostro Augusto Sovrano a Cettigne nel prossimo agosto e che è riuscita specialmente gradita all'imperatore, non avrebbe mancato far conoscere previamente al R. Governo visita in discorso se avesse dovuto aver luogo sotto altra condizione.

Mi è stato affermato inoltre che visita non avrebbe scopo politico, ma sarebbe atto cortesia. Naturalmente comandante squadra domanderà udienza principe Nicola. Egli, però, non sarebbe incaricato dal Governo Imperiale e Reale, di una missione qualsiasi né sarebbe latore lettera imperatore per Sua Altezza Reale.

Comunico queste informazioni a V.E. che giudicherà se debba dar seguito sue istruzioni. È da prevedere che, se io parlassi al conte di Aehrenthal m conformità alle medesime, egli mi risponderebbe nel senso sopra indicato2.

121 l T. 394 de li' Il febbraio, non pubblicato.

122

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 585/16. Addis A be ba, 16 febbraio 1910 (per. ore 17,30 del 18) 1.

Ieri è stata nuovamente discussa tra Governo etiopico e ministro di Francia questione ferrovia Gibuti. Governo Etiopia ha dichiarato che esso non intende né togliere né aggiungere una parola al contratto con Klobucowsky e con Vitalien e che perciò non riconosce alcun intervento del Governo francese nella ferrovia, né alcun contratto tra Governo francese e la nuova compagnia concessionaria. Avendo il ministro francese osservato in qual modo si sarebbe potuto escludere intervento Governo francese dal momento che esso era costretto garantire il denaro occorrente per la costruzione della ferrovia, Governo Etiopia ha fatto a sua volta osservare che secondo il contratto Klobukowski l 'intervento finanziario del Governo francese era solo compatibile nel caso che i proventi della ferrovia stessa non fossero sufficienti per condurre a termine i lavori ma che il capitale occorrente per l'inizio dei lavori stessi doveva essere fornito dalla compagnia, escluso ogni intervento del Governo. Governo etiopico ha altresì proposto al ministro di Francia di appellarsi al giudizio delle altre legazioni in caso di controversie. Ministro di Francia si è riservato di riferire al suo Governo quanto sopra. Mia condotta è strettamente improntata ordini di V.E.2

1221 Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 18, ore 9,30.

2 Sull'argomento si veda anche il n. 738.

121 2 Per la risposta cfr. n. 124.

123

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE CONFIDENZIALE S.N. Vienna, 16 febbraio 1910.

Due giorni dopo il suo ritorno in Vienna il signor de Tschirschky venne a vedermi e mi disse che, durante la sua dimora a Berlino, erasi intrattenuto a più riprese col cancelliere dell'Impero circa quanto era qui avvenuto in questi ultimi tempi, su cui ebbi l'onore di riferire all'E.V. colle mie lettere personali del 3, 4 e 5 corrente!. Egli mi fece quindi intendere che, sebbene il contegno tenuto in tale occasione dal conte d' Aehrenthal non fosse stato visto di molto buon occhio a Berlino ed avesse sollevato in certo modo qualche dubbio sul suo conto, ciò non aveva offuscato menomamente le relazioni di lui colle persone dirigenti la politica estera della Germania, le quali continuavano ad essere sempre impresse a quella cordialità che caratterizzava i rapporti dei due sovrani e dei loro Governi.

Nell'udienza poi accordatagli dall'imperatore nella quale l'argomento suddetto era stato pure toccato, Sua Maestà, accennando al lavorio esercitato da questi ambasciatori di Francia e d'Inghilterra, aveva rilevato come il signor Cambon tenesse in Berlino una linea di condotta differente da quella seguita dal suo collega di Vienna col cercare di cattivarsi le simpatie del Governo germanico e migliorare per quanto possibile i reciproci rapporti. E a questo proposito Sua Maestà aveva osservato che egli non era dupe del doppio gioco che si faceva dal Governo della Repubblica, perché non ignorava lo scopo cui questo mirava.

Sua Maestà avevalo informato inoltre della tendenza ad un certo miglioramento che constatavasi ora nelle relazioni tra la Germania e l'Inghilterra, nonché della lettera direttagli di recente al riguardo da re Eduardo. Nel darmi tale informazione il signor de Tschirschky mi pregò di non fare di essa cenno all' E.V. trattandosi di una confidenza fattagli dal suo sovrano.

Il signor de Tschirschky mi fece quindi conoscere che la visita del conte d' Aehrenthal avrebbe fatto tra giorni al signor di Bethmann-Hollweg sarebbe stata molto opportuna in questo momento, perché avrebbegli dato agio di accertarsi delle vere disposizioni del Governo germanico e del giudizio che si portava sugli eventi trascorsi, ciò che l 'avrebbe certamente indotto a non prestare più ascolto in avvenire a certi maneggi.

Nel riferirmi poi le cose dettegli dal conte d' Aehrenthal circa il memorandum, rimesso il 9 corrente dal signor Izwolskij al conte Berchtold, da me

comunicato all'E.V. con telegramma n. 452, il signor de Tschirschky mi disse che sapeva che il ministro imperiale e reale, pur desiderando di riprendere contatto col Gabinetto di Pietroburgo per poter così scambiare con esso le sue vedute nelle varie quistioni all'ordine del giorno, non aveva affatto l'intenzione di addivenire ad un reale riavvicinamento colla Russia finché il signor Izwolskij fosse rimasto al potere, non volendo più trattare direttamente con lui dopo ciò che era avvenuto in occasione dell'annessione della BosniaErzegovina.

Date tali disposizioni, che sarebbero identiche a quelle che il signor Izwolskij nutre verso il conte d' Aehrenthal, non è da pensare, siccome lo faceva presentire colla mia lettera personale del 4 corrente, che le conversazioni in corso tra Pietroburgo e Vienna possano avere per risultato di modificare radicalmente la natura delle relazioni presenti tra i due Gabinetti.

Ciò potrebbe avvenire forse se entrambi i sovrani di fronte all'aggravarsi delle condizioni nell'Impero ottomano, decidessero di comune consenso a separarsi dagli attuali loro consiglieri per fare cessare lo stato anormale di queste relazioni stesse e rendere così possibile quell'azione comune, che è riconosciuta tanto a Vienna quanto a Pietroburgo siccome necessaria per tutelare, nell'eventualità suddetta, gli interessi dei rispettivi loro paesi. Ma una tale decisione sembra poco probabile almeno per ora.

Aggiungo che il cancelliere dell'Impero si sarebbe dimostrato col signor de Tschirschky pienamente soddisfatto dei rapporti esistenti tra l'Italia e la Germania che, a quanto avevagli detto, erano ora informati alla maggiore fiducia.

123 l Non rinvenute nel fascicolo.

124

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 455. Roma, 17 febbraio 1910, ore 20.

Spiegazioni date nel telegramma di V.E. n. 501 circa visita Antivari squadra austro-ungarica erano prevedibili. Esse non tolgono che, dati i precedenti, codesto Governo avrebbe potuto e dovuto prevenircene. Per non dare però alle nostre osservazioni carattere di una platonica recriminazione V.E. può astenersi dal tenerne parola al conte Aehrenthal.

124 l Cfr. n. 121.

123 2 Cfr. n. 118.

125

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 584/31. Pietroburgo, 18 febbraio 1910, ore 6,40 (per. ore 20).

Telegramma di V.E. n. 4141. Ho avuto col signor Iswolsky una conversazione, nella quale, attenendomi alle istruzioni avute, ho provocato da parte sua la conferma desiderata dall'E.V. Iswolsky mi confermò in modo esplicito i tre punti noti all'E.V. che formano oggetto dei negoziati in corso tra Pietroburgo e Vienna e che all' eventuale accordo dovranno associarsi tutte le Potenze.

Mi disse poi che non aveva ancora ricevuto risposta al suo memorandum e mi rinnovò la promessa di tenermi al corrente di tutto. Aggiunse che aveva l'impressione che l'Austria-Ungheria accetterà i tre punti posti come base dell'accordo, ma che cercherà di arrivare ad una intesa a due, ma che egli non cederà mai su questo punto.

Senza che avessimo fatto accenno alla seconda parte del telegramma di V.E. sopra indicato, Iswolsky mi disse di avere avuto conoscenza di una certa inquietudine manifestatasi nel Gabinetto di Roma per l'eventualità che si giungesse ad un accordo fatto solamente fra Russia ed Austria-Ungheria. Egli mi diede su ciò spontaneamente le più formali assicurazioni, aggiungendo che aveva sempre considerato come funesto agli interessi russi l'accordo del 1897 e profondo errore del Gabinetto di Pietroburga avere escluso l'Italia, la cui partecipazione agli accordi balcanici egli considera come garanzia per la Russia. Iswolsky soggiunse che mai sarebbe per ciò ricaduto nel lamentato errore e che, nelle presenti trattative, escludeva assolutamente la possibilità di un accordo a due, Russia ed Austria-Ungheria, come un accordo a tre, Italia -Russia-Austria-Ungheria, ma che voleva giungere sulle note basi ad un accordo al quale tutte le Potenze si potessero associare. lswolsky aggiunse che, essendo noti questi suoi intendimenti, non sembravagli giustificata quella certa inquietudine del Gabinetto italiano. Ringraziai il ministro degli affari esteri delle sue spontanee, esaurienti spiegazioni, aggiungendo che le avrei comunicate a V.E. che certamente le avrebbe ricevute con compiacimento, al che Iswolsky replicò di tenere a che io lo facessi, desiderando che nessun dubbio restasse in proposito.

126

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 181/116. Atene, 18 febbraio 1910 (per. il 25).

I miei colleghi di Francia, d'Inghilterra, di Russia ed io abbiamo ieri separatamente ed in forma confidenziale dato notizia a questo signor ministro degli af

1251 Cfr. n. 117.

fari esteri della comunicazione fatta dai consoli delle Potenze protettrici al comitato esecutivo cretese intesa a far conoscere le loro disposizioni relativamente all'invio ad Atene di deputati dell'isola in occasione delle elezioni che trattasi d'indire in Grecia.

Il signor Calerghis, gia previamente edotto e del testo di quella comunicazione e del passo cui eravamo incaricati di procedere, non se ne dimostrò sorpreso e si limitò unicamente ad osservare che il Governo ellenico si lusingava che gli fosse risparmiato simile monito, per quanto indiretto, dopo che nessuna cura, nessuno sforzo erano stati trascurati dalla Grecia per allontanare le temute complicazioni internazionali e per dar agio alle Potenze protettrici di regolare nel frattempo la questione cretese.

La stampa ateniese che aveva pubblicato il testo della comunicazione gia fatta a Canea, non vi ha fatto commenti rilevando soltanto che l'indugiata sua presentazione colà era dovuta al desiderio della Russia di modificarla in un senso più blando; nel che questi giornali erano assai male informati.

Posteriormente fu riprodotto dalla stampa ateniese un articolo del Chirics nel quale il signor Venizelos constatando il successo diplomatico della Turchia, ne attribuiva la causa all'errore commesso dal signor Mavromicalis di non aver tosto illuminato l'opinione pubblica e i Gabinetti europei sull'epoca dell'assemblea nazionale, ciò che produsse l'allarme e la repentina decisione delle Potenze protettrici di procedere alla nota comunicazione. Il Chirics suggeriva di rispondere a quest'ultima con un atto di sottomissione al volere delle Potenze ma contemporaneamente con l'espressione della fiducia che le loro promesse di benevola considerazione verso le aspirazioni dell'isola non sarebbero venute meno.

127

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 592. Budapest, 19 febbraio 1910, ore 14,50 (per. ore 16,40).

Pester Lloyd di iersera reca telegramma da Costantinopoli in questi termini: «Discorso Guicciardini intorno province turche dell'Africa orientale ha prodotto in questi circoli politici impressione visibilmente durevole ed evidentemente favorevole. Si deduce da quella dichiarazione la definitiva rinunzia dell'Italia a Tripoli».

Mi si assicura, da fonte autorevole, che tanto questo telegramma, quanto l'articolo di commento, che sarà pubblicato nello stesso P ester Lloyd domani o dopodomani e che invierò per posta, sono stati fabbricati al Ministero degli affari esteri a Vienna.

128

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL MINISTRO A TANGERI, NERAZZINI

T. 476. Roma, 19 febbraio 1910, ore 24.

Ambasciatore di Francia è venuto stasera comunicarmi che il suo Governo ha deciso sospendere relazioni diplomatiche col Marocco e richiamare da Fez la sua missione. S.E. aggiungeva esservi ragione temere movimento xenofobo all'interno e d'incarico del Governo della Repubblica me ne preveniva perché Governo del re potesse dare le opportune disposizioni tutela regi sudditi Marocco. VS. vorrà immediatamente appena sia necessario richiamare da Fez i nostri connazionali. Per la tutela di tutti i regi sudditi residenti alle coste o all'interno ella si concerterà coi suoi colleghi e occorrendo mi riferirà telegraficamente.

129

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 245/92. Londra, 19 febbraio 1910 (per. il 23).

Non avendo avuto istruzioni in proposito non ho creduto opportuno di far sorgere l'occasione di parlare al Foreign Office dello scambio di idee attualmente in corso tra Vienna e Pietroburgo per un riavvicinamento austro-russo; mi risulta però che sir Charles Hardinge avrebbe detto ali' ambasciatore di Turchia, che gliene parlava, che il Governo britannico poco sapeva intorno a queste trattative ma che le avrebbe viste con viva soddisfazione riuscire a dissipare il malumore esistente tra i Governi di quei due Paesi. Sir Charles avrebbe poi aggiunto che il Governo britannico non avrebbe però potuto ammettere una promessa in favore degli Stati balcanici o una qualunque altra intesa che potesse minacciare gli interessi ottomani.

Tewfik pacha avrebbe replicato che a Costantinopoli si consideravano queste trattative con qualche apprensione ricordando gli accordi di Miirzsteg, e non sembrando probabile che l'attuale cambio di idee si limiti semplicemente a togliere i malumori personali tra i due ministri. L'opinione pubblica ottomana sarebbe specialmente malcontenta nel constatare che, nonostante gli avvenimenti degli ultimi due anni, i Gabinetti di Vienna e di Pietroburgo possono ancora considerare gli affari balcanici come oggetto di negoziati confidenziali e segreti tra loro, e sarebbe specialmente diffidente per il fatto che l' esperienza dolorosa del passato le consiglia di accogliere con qualche riserva le dichiarazioni ed assicurazioni tanto del barone d' Aehrenthal quanto del signor Izwolskij.

Ho creduto utile riferire a titolo di informazione confidenziale queste notizie che ho avuto in via amichevole da fonte sicura.

130

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 606/25. Berlino, 20 febbraio 1910, ore 13,40 (per. ore 15,35).

Parlando degli affari di Grecia, Schon mi disse jeri sera che, malgrado la smentita dei giornali, sta di fatto che i principi figli del re furono da questo chiamati ad Atene per un consiglio di famiglia, dal quale sono da attendersi gravi risoluzioni. Pare si tratti di una abdicazione a favore del principe Giorgio, figlio del principe ereditario, di venti anni, ora qui in servizio presso il primo reggimento della guardia (il che implicherebbe praticamente la sua dipendenza da una specie di reggenza).

Promotore d eli' agitazione ostile al re Giorgio sarebbe Venizelos, ora padrone della situazione in Grecia, ed al quale si attribuisce il proposito di provocare ad ogni costo un qualche sconvolgimento. Schon mi confermò, a questo riguardo, che la Sublime Porta è assai inquieta per l 'acquisto fatto in Italia dal Governo ellenico di un incrociatore tipo «Pisa», il cui possesso procurerebbe alla Grecia una decisa superiorità navale sulla Turchia e la metterebbe eventualmente in grado di arrischiare un attacco contro qualche isola ottomana (vedere mio telegramma n. 12)1.

Pur senza farmi alcuna diretta domanda, Schon mi accennò in forma di conversazione che il Governo italiano potrebbe rendere un segnalato servigio al mantenimento della tranquillità in Oriente, trovando possibilmente maniera di ritardare la consegna all'incrociatore alla Grecia. Ad una mia osservazione nel senso che questa si guarderà verosimilmente da una imprudenza, il cui immediato effetto sarebbe l'invasione dei turchi in Tessaglia, SchOn rispose che ad Atene forse si fa calcolo per un tale caso, sul!' entrata in campo della Bulgaria, nell'idea che, allo stato attuale delle cose, la Grecia abbia poco da perdere e molto da sperare da una catastrofe che obbligherebbe Europa ad intervenire.

130 I Cfr. n. 92.

131

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 480. Roma, 20 febbraio 1910, ore 14,35.

I giornali ricominciano a parlare del viaggio a Roma del signor BethmannHollweg che, secondo le notizie precedentemente diffuse, doveva aver luogo durante le vacanze di Pasqua. Non ho bisogno di insistere sugli argomenti già addotti dal mio predecessore circa la convenienza che il cancelliere deli'Impero venga senza troppo ritardo anche a Roma, dopo che è stato a Vienna. Sarò grato a VE. di volermi riferire in proposito!.

132

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 198/127. Atene, 20 febbraio 1910 (per. il 28).

Tutti i giornali ateniesi hanno commentato il discorso pronunciato dall'E.V. alla Camera in risposta ali'interrogazione dell'on. Galli. Il punto sul quale si è particolarmente concentrata l'attenzione di questa stampa è il passaggio nel quale l'E.V. ha formulato il voto che la Turchia e la Grecia addivengano ad un'intesa pel maggior bene dei due Paesi e della pace in Oriente. Questo voto si accoglie di buon grado in quanto proviene dall'Italia, di cui si conoscono e la disinteressata politica e le amichevoli disposizioni verso la Grecia, ma se ne pone in dubbio il compimento fino a che rimanga sospesa la soluzione del problema cretese. La rinuncia da parte della Grecia e di Creta alle loro aspirazioni nazionali -si afferma -non potrebbe mai formar la base dell'invocato accordo, che pur è nel comune interesse di stabilire. La Grecia dispera ormai di poter convincere la Turchia dei vantaggi morali e superiori che la cooperazione degli elementi greci nell'Impero e la tranquillità del Regno le potrebbero arrecare. La Grecia non può quindi che riporre tutte le sue speranze nell'equità e nel desiderio di pace delle Potenze, pronta sempre del resto ad un sincero ravvicinamento alla Turchia, anche a costo di sacrifici, quando l'unica causa del dissidio sia tolta di mezzo. Si teme però che simile buona volontà non esista presso il Governo ottomano, il quale in luogo di attutire il movimento anti-ellenico sembrò talora incoraggiarlo nell'intenzione forse di creare un diversivo alle interne difficoltà.

I commenti della stampa ateniese sono generalmente inspirati da sincera fiducia nelle disposizioni dell'Italia e in essi si riconoscono le circostanze per le quali la sua azione non può spiegarsi che in una certa misura, nei limiti cioè che le sono imposti dalla necessità di conservare l'accordo fra le Potenze. Qualche giornale pone anzi in rilievo come si debba attribuire all'Italia la forma meno grave adottata dalle Potenze protettrici per l 'ultimo loro passo in Creta, che, secondo la primitiva proposta della Francia, si sarebbe tradotto in rigorose misure.

La stampa ateniese dimentica però di considerare la situazione dal punto di vista della realtà anziché delle speranze e non tiene conto del segnalato servigio reso dali' azione delle Potenze sia coli' arrestare un disastroso conflitto col finitimo Impero, sia coll'agevolare al Governo ellenico lo svolgimento del suo programma interno da cui attende il ritorno della legalità e della pacificazione. Ma di tale dimenticanza non si può fare molto carico all'opinione pubblica greca, alla quale, sotto l'influenza delle aspirazioni nazionali, sfugge la pratica e chiara comprensione delle circostanze presenti.

131 l Sui colloqui a Roma con Bethmann-Hollwegg cfr. nn. 185 e 190.

133

IL MINISTRO A BRUXELLES, BONIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 208/87. Bruxelles, 20 febbraio 1910 (per. il 24).

Mi si è presentata ieri occasione di chiedere al mio collega britannico, che è stato di recente in Inghilterra per le elezioni, se colà si credesse possibile una ripresa dei lavori della Conferenza per le armi. Sir A. Hardinge mi rispose senza esitare in senso negativo: egli ammetteva la possibilità di negoziati diretti fra le Potenze interessate, ma escludeva quella d 'una nuova riunione delle Potenze firmatarie dell'Atto generale di Bruxelles per una modifica del medesimo. Egli mi disse poi che i commercianti d'armi di Mascate incominciavano ad essere seriamente preoccupati delle rigorose misure di sorveglianza di quel traffico che per proprio conto sta prendendo il Governo inglese e meditavano anzi di trasferire il centro delle loro operazioni da Mascate a Koweit. Quanto al sultano di Mascate egli è animato dalle migliori disposizioni: solo chiede di essere coperto contro i reclami eventuali della Francia. Sir A. Hardinge mi disse anche che circa Gibuti il Foreign Office, sembra dietro suggerimento dei suoi consulenti legali, sta esaminando la possibilità d'una proposta d'arbitrato. Si tratterebbe di chiedere anzitutto alla Francia se essa è disposta ad accettare la tesi del barone di Lambermont, vedi l 'undicesimo protocollo della Conferenza del 1908, pag. 114, che, se ammessa, risolverebbe la difficoltà. In caso di risposta negativa si proporrebbe alla Francia di deferire la controversia ad un arbitrato. E credo anch'io che questo sarebbe un modo assai ingegnoso di riaprire la discussione con il Governo francese, attesoché non si può negar valore ali' interpretazione che della disposizione de li' Atto generale di Bruxelles diede ufficialmente l 'autorevolissimo presidente della conferenza che stipulò l'atto stesso.

Non ho bisogno di far notare all'E.V. che la mia conversazione con sir A. Hardinge che qui riferisco ebbe carattere del tutto confidenziale.

134

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 203/82. Il Cairo, 20 febbraio 1910 (per. il 2 marzo).

Facendo seguito al mio rapporto del 5 corrente n. 144/53 1 ho l'onore d'informare V.E. che i giornali locali seguitano ad affermare che il Governo del Sudan si prepara a prendere misure militari sulla frontiera abissina in vista dei torbidi cui potrebbe dar luogo la morte di Menelic. Ora il giornale Les Pyramides pubblica l'articolo che mi onoro d'accludere, nel quale riporta una intervista avuta con Ismail Sirry pacha, ministro dei lavori pubblici e della guerra, confermante la necessità di adottare misure preventive nel senso sopradetto. Il ministro soggiunge però che, nelle attuali condizioni d eli' esercito egiziano, manca la possibilità di rinforzare i posti militari sulla frontiera abissina. L'intervista è in sostanza ispirata al desiderio di addimostrare la necessità di accrescere l'effettivo deli'esercito egiziano.

Ho interrogato in proposito sir Reginald Wingate, governatore generale del Sudan, il quale, per ragioni di salute, a quanto si afferma, ha anticipato la sua partenza dal Sudan, disponendosi a fare un soggiorno più prolungato del solito in Cairo. Il sirdar, le cui condizioni di salute mi sono parse realmente poco floride, mi ha detto che si può ritenere per certo che alla morte di Menelic qualche torbido avrà pur luogo in Abissinia. E' prevedibile che in tal caso avverrebbero sconfinamenti nel territorio sudanese, specialmente per parte di gente perseguitata, ciò che darebbe poi luogo a incursioni e razzie, e contro-attacchi da parte degli abitanti. Il sirdar ritiene pertanto che sarebbe opportuno di accrescere le forze militari, a semplice misura precauzionale lungo la frontiera abissina, ma pur troppo non è in grado di farlo mancandogli la truppa occorrente. Egli vorrebbe accrescere la forza disponibile mediante provvedimenti di leva, ma, a quanto pare, ostacoli d'indole finanziaria vi si oppongono. In queste condizioni di cose l'unica misura adottata fu quella di inviare a Ghedaref le truppe di Kassala, perché Ghedaref è punto più centrale e strategico, per quanto non sia sulla frontiera. In caso di

disordini in Abissinia le forze sudanesi manterranno un'attitudine strettamente difensiva, e -concluse il mio interlocutore -non occorre assicurare che le autorità militari del Sudan si concerteranno con quelle della Colonia Eritrea ogni volta le circostanze lo richiedessero.

È mia impressione che sir Reginald Wingate cerchi di profittare della circostanza, anche mediante pubblicazioni dei giornali, per far pressione sul Governo allo scopo di ottenere i mezzi necessari ad accrescere gli effettivi dell'esercito egiziano2.

134 l Non pubblicato.

135

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A MADRID, SILVESTRELLI, E A PARIGI, DI SAN GIULIANO, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN

T. 497. Roma, 21 febbraio 1910, ore 20,30.

Marocco. Alla comunicazione francese!, Schon, riservandosi di riferirne al cancelliere ed all'imperatore, rispose frattanto che dava istruzioni al ministro di Germania a Tangeri di concertarsi coi colleghi per prescrivere una linea di condotta uniforme ai consoli a Fez. SchOn riconosceva la necessità per la Francia di parlare con fermezza al sultano per vincerne la resistenza: quando diventasse necessario invio di navi a Tangeri, egli opinava che convenisse intendersi fra tutti i Gabinetti circa numero navi e istruzioni ai comandanti.

136

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

D. RISERVATO 7. Roma, 21 febbraio 1910.

Col rapporto n. 74/19 del 15 gennaio u.s.l l'E.V. mi trasmetteva una nota verbale della Sublime Porta in data del 12 del mese stesso, relativa al riconoscimento del Banco di Roma.

1342 Per il seguito cfr. n. 227. 135 l Cfr. n. 128. 136 l Non pubblicato.

Il Governo imperiale s'impegnava, mediante tale documento, a dar gli ordini necessari perché il Banco di Roma fosse riconosciuto dalle autorità ottomane allo stesso titolo e nello stesso modo degli altri istituti analoghi che da anni funzionano in Turchia. Com'ella rileverà dal rapporto n. 128/54 in data 9 corrente del r. console generale in Tripolil, qui unito in copia, tali istruzioni non sono ancora pervenute a quel valì ed io prego, quindi, l'E.V. di voleme tener parola con S.A. Hakky pascià, che tanta parte ebbe nei relativi negoziati, affinché senza ulteriori indugi ed in conformità degli impegni presi, venga posto riparo a tale omissione.

Le sarò grato se mi vorrà far conoscere d'urgenza la risposta che le avrà dato il gran vizir ...2.

137

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

D. RISERVATO 8. Roma, 21 febbraio 1910.

La diffidenza con cui le autorità ottomane di Tripoli vedono le iniziative italiane in quella regione, ha formato oggetto di una voluminosa corrispondenza tra questo ministero e codesta r. ambasciata e di attive pratiche così dell'ambasciata stessa presso la Sublime Porta come del Governo del re presso questa missione ottomana. Era, però, lecito sperare che, salito al potere Hakky pascià, il quale di persona aveva avuto modo di constatare la lealtà e correttezza dell'azione nostra in Tripolitania, questa diffidenza sarebbe andata attenuandosi, ed istruzioni formali sarebbero state date alle autorità tripoline perché non ostacolassero le nostre imprese economiche in quelle regioni.

In questo senso aveva, infatti, Hakky pascià, prima di lasciar Roma, dato assicurazioni a me personalmente.

Invece, come l'E.V. rileverà dal rapporto n. 126/53 in data 9 corrente del r. console generale in Tripoli', qui unito in copia, le autorità ottomane persistono nella loro latente opposizione contro ogni partecipazione italiana ad imprese locali.

Io mi auguro che questo contegno sia da loro tenuto ad insaputa del Governo centrale e prego, quindi, l'E.V. di voler cogliere la prima opportuna occasione per intrattenere nuovamente della cosa S.A. il Gran Vizir, esprimendogli la ferma nostra fiducia che alle ripetute promesse seguiranno effettive istruzioni alle autorità tripoline, favorevoli al libero svolgimento del! 'attività economica italiana nella Reggenza.

137 l Non pubblicato.

In tal modo il Governo ottomano, oltre a ricambiare gli amichevoli sentimenti del Governo del re, dei quali sono prova anche le recenti mie dichiarazioni alla Camera dei deputati, assicurerà il progresso economico di quelle regioni. Rimango in attesa di conoscere l'esito dei passi che ella avrà creduto di fare a tal uopo.. .2.

136 2 Per la risposta cfr. n. 161.

138

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA

D. RISERVATO 11. Roma, 21 febbraio 1910.

In risposta al rapporto n. 126/53 del 9 corrente!, mi pregio di informare la

S.V. che ho richiamato la particolare attenzione della r. ambasciata in Costantinopoli sulla latente opposizione di codeste autorità alla partecipazione italiana ad imprese industriali in Tripolitania.

Pur non nascondendosi che difficile cosa sarà l'ottenere che, nel loro intimo, le autorità ottomane veggano di buon occhio la nostra penetrazione, sia pure semplicemente economica, in codeste regioni, il R. Governo si adopererà in ogni caso perché vi sia assicurata la libera esplicazione della nostra attività commerciale ed industriale in conformità dei vigenti trattati.

Nel riservarmi di farle conoscere a suo tempo la risposta della r. ambasciata in Costantinopoli, ...

139

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. PERSONALE. Berlino, 22 febbraio 1910.

Rispondo subito alla sua lettera del 181 giuntami or ora, relativa ad una mia recente conversazione con Cambon2. Mi ero proposto di riferirla in un

2 Sulle voci relative ad un accordo segreto tra Italia ed Austria, nonché fra Italia e Russia, a seguito del colloquio tra Pansa e Cambon si vedano anche DDF, vol. XII, nn. 433, 458; BD, vol. IX, nn. 112, 114, 116, 117, 131 e OeUA, vol. Il, nn. 2014,2016,2021,2051,2054.

rapporto, ma poi considerando che si trattava di cose non abbastanza concrete, mi riservavo di parlarlene genericamente alla mia prossima venuta in Roma.

Quel colloquio avvenne a proposito del voto manifestatomi da Cambon di veder riuscire il riavvicinamento che si sta tentando fra Vienna e Pietroburgo e del suo timore che esso venga ostacolato dalle persistenti reciproche diffidenze e sospetti di disegni aggressivi nei Balcani. Gli dissi che anche dalla Germania malgrado certe voci discordanti -quel riavvicinamento sarebbe veduto volentieri e così pure da noi, per il bisogno da tutti ora sentito di conservare la pace. Rilevai come tutto dimostrasse che per diverse ragioni tanto l'Austria, come la Russia, erano, almeno attualmente, sincere nella loro intenzione di rispettare lo statu quo; non era possibile adesso un nuovo patto di Mtirzsteg; ma non vedevo motivo perché, rotto una volta il ghiaccio fra i due Gabinetti, questi non si ripetessero fra loro direttamente le assicurazioni di astensione date a noi separatamente, prima e dopo il convegno di Racconigi; ne sarebbe risultato una specie di sistema rigido triangolare, che, assicurando delle reciproche intenzioni delle tre Potenze più davvicino interessate nei Balcani, avrebbe costituito la migliore guarentigia contro eventuali sorprese, anche nel caso di qualche accidente che fosse per prodursi in Oriente. La stessa osservazione mi era stata fatta il giorno prima da Schon. Ricordo benissimo che a un certo punto Cambon mi domandò se si fosse da noi conchiuso in proposito alcun accordo speciale. Gli risposi che non alludevo ad alcun simile accordo, ma ai semplici scambi d'idee avvenuti in quell'occasione, i quali avevano servito di base alle dichiarazioni fatte da Tittoni in Parlamento3.

Aggiunsi soltanto che allo scopo di prevenire i sospetti ed i malintesi cui troppo spesso danno luogo i mezzi segreti, si era da noi data leale comunicazione a Vienna dei risultati di quello scambio d'idee, -il che, conchiusi, dovrebbe anche facilitare lo scambio diretto di analoghe dichiarazioni fra Vienna e Pietroburgo, nel senso dello statu quo. -E questo fu tutto quanto si disse nel nostro colloquio, che ben rammento perché, coll'idea di farne oggetto di un rapporto, ne avevo anche preso nota.

Non posso quindi credere che Cambon si sia espresso con Pichon nei termini riferiti. È possibile che egli, dubitando, malgrado tutto, che qualcosa di scritto esista, ne abbia fatto cenno a Pichon in connessione colla conversazione avuta con me e che questi abbia cercato di edificarsi parlando come fece a San Giuliano. Cambon deve tornare domani da Parigi e la presenza qui di d' Aehrenthal, giunto stamane, gli fornirà certamente occasione di riparlarmi di quell'affare. Mi asterrò naturalmente da qualsiasi allusione all'incidente Pichon. Ma troverò ma

niera incidentalmente di rettificare quella qualunque erronea impressione ch'egli avesse forse riportata da quanto gli dissi, -sebbene certamente nessuna mia parola abbia potuto prestarvisi.

D'Aehrenthal verrà a ve dermi domani e sentirò s'egli avrà a dirmi alcuna cosa che meriti di essere a lei riferita4.

137 2 Per la risposta cfr. n. 162.

138 l Non pubblicato.

139 1 Non rinvenuta.

139 3 Da «Ricordo ... » fino a «Tittoni» il brano reca una sottolineatura a lapis terminante con un punto interrogativo.

140

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

Berlino, 22 febbraio 1910.

P.S. Approfitto di questa lettera per aggiungervi un'informazione che preferisco darle in questa forma non ufficiale. Ieri sera il primo segretario di questa ambasciata di Francia si fece a parlarmi -senza che nulla vi conducesse -dei negoziati ora iniziati fra il suo Governo e la Sublime Porta per la delimitazione tripolo-tunisina. Era per domandarmi se fossimo in possesso ed eventualmente disposti a comunicare una qualche carta od altro documento atto a mettere in chiaro le questioni di frontiera che stanno per essere discusse dalla commissione francoturca incaricata di quel lavoro, il che, egli disse, avrebbe potuto giovare alla sua più pronta riuscita. Risposi come di ragione che nulla ne sapevo, ma dubitavo che da noi si tenesse alcun simile documento concernente confini estranei al nostro territorio.

Ma il segretario insistette dicendo che qualche anno fa alcuni agenti italiani avevano dovuto aggirarsi per quelle regioni raccogliendovi dati geografici ecc., e che anzi n eli' occasione di certi studi i intrapresi in Francia in vista delle attuali trattative, si era utilizzata una mappa italiana contenente indicazioni inedite di qualche pregio. Non so se egli intendesse con ciò accennare al desiderio di ottenere visione dei documenti che avevano servito alla preparazione di quella mappa; ma non lo domandai, preferendo di lasciar cadere, come feci, il discorso.

Ora io non so quale importanza sia da annettersi a questa richiesta ed a dir vero non comprendo perché le si sia fatto fare il giro dell'ambasciata di Berlino invece di dirigerla semplicemente a Roma.

Ad ogni modo credo doverla informare di quanto precede, anche per metterla in grado di darmi le sue istruzioni per il caso che di quell'affare mi fosse parlato dall'ambasciatore, per quanto ciò mi sembri improbabile.

140 I Il post scriptum è stato archiviato distintamente rispetto alla lettera che, con tutta probabilità, corrisponde al n. 139.

139 4 Per il seguito si vedano i nn. 148, 170.

141

IL PRESIDENTE DEL BANCO DI ROMA, PACELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. Roma, 24 febbraio 1910 (per. il 26).

È noto alla E.V. anche per i molti rapporti fatti a cotesto Onorevole Ministero dalle autorità consolari della Tripolitania, che il Banco di Roma, fin da quando iniziò i suoi tentativi per lo svolgimento del programma concordato col Ministero per una pacifica penetrazione italiana in quel territorio africano, ebbe a sostenere aspre e continue lotte con tutte le autorità ottomane.

Parve tanto a cotesto Ministero quanto all'amministrazione del Banco che tutti i contrasti dovessero essere terminati dopo lo scambio di note, che ebbe luogo a Costantinopoli nella seconda quindicina dello scorso dicembre fra la nostra ambasciata ed il Governo ottomano, quando furono inviati colà i signori avvocato Ciamarra, per incarico di cotesto Onorevole Ministero, e cavaliere Bresciani, per incarico del Banco di Roma. Infatti a tenore di quelle note veniva ammesso il riconoscimento giuridico del Banco di Roma, il quale per conseguenza avrebbe potuto, secondo quelle note, far valere tutti i suoi diritti presso le autorità ottomane della Tripolitania per i vari suoi atti commerciali e di banca.

Risulta invece da recenti comunicazioni della nostra succursale di Tripoli che nulla è stato fatto dal Governo centrale ottomano e che nessuna disposizione ufficiale è stata data ai governatori della Tripolitania e della Cirenaica, continuandosi così nel sistema sempre seguito dal Governo turco nei suoi rapporti cogli italiani di promettere tutto col proponimento di nulla mantenere.

Ed è singolare che questo atteggiamento verso il nostro paese sia mantenuto ora che nell'esercizio delle alte funzioni di gran visir travasi S.E. Hakky pascià, il quale, in un colloquio che ebbe in Roma col nostro rappresentante cavalier Bresciani alla presenza di S.E. il Ministro Tittoni, riconobbe esplicitamente la ragionevolezza delle nostre domande e promise di avvalorarle col suo autorevole appoggio presso il Governo centrale.

Dolenti di vedere così male corrisposte le pazienti cure, con le quali abbiamo cercato di secondare gl'intenti raccomandati da cotesto Onorevole Ministero, preghiamo l'E.V. di volersi interessare, affinché col mantenimento delle promesse formalmente fatte dal Governo ottomano, sia messo questo Banco in condizione di svolgere liberamente la sua azione in Tripolitania, in modo da poter tutelare efficacemente gli interessi italiani impegnati in quella regioneI.

141 l Sul seguito della questione cfr. nn. !58 e 161.

142

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 5431. Roma, 27 febbraio 1910, ore 22,10.

La comunicazione confidenziale fattami da questo ambasciatore d'AustriaUngheria circa la risposta del suo Governo al memorandum russo era del tenore seguente: «Il Governo Imperiale e Reale non aveva neppure esso l'intenzione di riprendere gli accordi del 1897 soltanto rispondendo all'invito di Pietroburgo ha voluto dire che siccome i suoi principi sulla politica orientale erano sempre gli stessi che nel 1897 ciò gli permetteva di porsi di nuovo in relazione col Governo russo. Il signor Izwolskij aveva proposto di fissare la formula intesa a salvaguardare lo statu quo in tre punti che avrebbero dovuto essere fin d'ora constatati e comunicati a tutte le Potenze. Invece secondo il Governo Imperiale e Reale lo statu quo non potrebbe essere turbato se non da conflitti fra gli Stati balcanici o da avvenimenti riferentisi alla loro situazione interna il che per conseguenza soltanto quando una simile eventualità si producesse sarebbe il caso di entrare fra i due Gabinetti in uno scambio di idee e di consegnarne i risultati in una formula alla quale potessero associarsi tutte le Potenze. Per il momento il Governo Imperiale e Reale è dunque di avviso che i due Gabinetti potrebbero limitarsi a rendere pubblico un comunicato dichiarante: che gli scambi di idee fra loro intervenuti hanno dato risultati soddisfacenti e che i due Gabinetti essendosi reciprocamente comunicati i principi della loro politica orientale hanno riconosciuto che questi principi permettevano loro di mettersi direttamente in rapporto non appena la situazione dei Balcani lo esigesse».

A tale comunicazione il Governo russo ha dato la seguente risposta: «È stato constatato che i principi che governano la politica della Russia e dell'Austria in Oriente sono identici e che per conseguenza nulla si oppone alla ripresa delle relazioni normali fra i due Gabinetti. La semplice pubblicazione di un comunicato dichiarante ciò non sembra sufficiente al Gabinetto di Pietroburgo. Esso crede che allo scopo di assicurare la pace nel caso di eventualità che potessero modificare lo statu quo in Oriente sarebbe utile che i principi su cui le due Potenze sono d'accordo fossero fin d'ora consegnati in una formula alla quale tutte le Potenze potessero associarsi». Nel parteciparmi quanto precede il principe Dolgoruky mi espresse a nome del suo Governo il desiderio che io facessi valere a Vienna le considerazioni meglio atte ad ottenere l'accettazione da parte del Governo austro-ungarico delle proposte contenute nel precedente memorandum russo. Gli ho risposto che mi riservavo di fargli conoscere la mia decisione in proposito. Fin d'ora però nell'intrattenermi di questo argomento col conte d'Aeh

142 I Comunicato con T. 544, pari data, aJle ambasciate a Berlino e Pietroburgo.

renthal V.E. potrà dirgli che la pubblicazione del comunicato da lui caldeggiato ci era sembrata fino dal principio poter destare generalmente l'impressione che un accordo fra le due Potenze non si era potuto né voluto raggiungere ed essere quindi interpretato in un senso meno favorevole alla causa della pace2.

143

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL REGGENTE IL CONSOLATO A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI

T. 554. Roma, 28febbraio 1910, ore 22,15.

Governo inglese ha richiamato la mia attenzione sulla eventualità già accennata dalla S.V. nei rapporti dell'Ili e del 162 febbrajo che popolazione musulmana deli' isola invii suoi rappresentanti a codesta assemblea legislativa e che assemblea voglia imporre ad essi obbligo prestare giuramento al re di Grecia. Potendo tale pretesa generare complicazioni Governo inglese propone che Potenze protettrici insistano presso comitato esecutivo affinché tutti i deputato dell' assemblea prestino giuramento secondo formola indicata dall'articolo 58 della costituzione cretese, il quale consente che formola stessa varii secondo la religione dei singoli deputati. Prego V.S. dirmi suo parere circa opportunità e probabile esito di tale passo3.

144

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 691/62. Pera, l o marzo 1910, ore 15,20 (per. ore 18,50).

Ministro degli affari esteri mi disse ieri che recente incidente frontiera, malgrado artifici cavillosi autorità militari bulgare, è in buona via verso soluzione. Ministro degli affari esteri non annetteva importanza speciale dimostrazioni organizzate domenica scorsa dai macedoni a Sofia; osservava soltanto che tutti questi diversi fatti non sono di natura inspirare qui fiducia nella sin

143 I R. 129/19 dell'Il febbraio, non pubblicato.

2 R. 143/23 del 16 febbraio, non pubblicato.

3 Per la risposta cfr. n. 145.

cerità della Bulgaria, e, pertanto, facilitare consolidamento buone relazioni tra i due Paesi. Governo imperiale, però, non si dipartirà dalla linea di condotta amichevole e conciliante finora seguita. Ministro non mi nascose poi sgradita impressione qui prodotta, non tanto per le «esuberanti» manifestazioni di benevolenza prodigate alla Bulgaria dal Governo russo in occasione recente viaggio re Ferdinando a Pietroburgo, quanto per dichiarazioni Papricoff, e, soprattutto, per linguaggio stampa russa; linguaggio che non può certo dirsi inspirato da sentimenti di sincera amicizia verso la Turchia e non rispondente dichiarazioni ripetute di questo ambasciatore. Aggiunse ministro avere, però, re Ferdinando, in colloquio con Turkhan pascià, manifestato con enfasi suoi intendimenti assolutamente pacifici. Della spiacevole impressione del Governo, si può constatare traccia in articoli poco teneri per Russia, comparsi in alcuni giornali più autorevoli locali, i quali pongono in raffronto dimostrazioni bulgarofile di Pietroburgo con dichiarazioni sinceramente filo-turche contenute nel comunicato ufficioso relativo intervista con cancelliere tedesco. Impressione mia è che ambasciatore di Russia deve aver dato qui spiegazioni rassicuranti. Dopo aver rilevato ieri meco che brindisi imperatore nulla conteneva di natura preoccupare Turchia, collega qualificò dichiarazioni fatte da Papricoff alla Gazzetta della Borsa sconvenienti e poco riguardose verso la Russia.

142 2 Per la risposta cfr. n. 146.

145

IL REGGENTE IL CONSOLATO A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 692/27. Canea, 1° marzo 1910. ore 17,30 (per. ore 20).

Rispondo al telegramma di V.E. n. 5541. Proposta inglese non mi sembra accettabile perché: inconveniente giuramento non risiede nella sua forma estrinseca, essendo incontestato diritto ogni deputato giurare secondo proprio culto, bensì nella sua sostanza, trattandosi giurare a nome re di Grecia; giuramento sancito costituzione cretese, cioè a nome alto commissario, altererebbe statu quo coinvolgendo problema soluzione definitiva questione cretese; qualunque Governo si troverebbe nell'impossibilità attuarlo. Appare più pratico sistema escogitato dal signor Venizelos e basato su precedente, secondo il quale verrebbero esonerati indistintamente tutti i delegati assemblea dal giuramento. Si potrebbe forse più vantaggiosamente influire in questo senso presso i principali capi-partito.

145 l Cfr. n. 143.

146

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 698/55. Vienna, 1° marzo 1910, ore 20,25 (per. ore 22).

Aehrenthal non avendo potuto ricevermi ieri a cagione sue conferenze con ministri ungheresi, l 'ho intrattenuto oggi argomento telegramma di V. E. n. 5431, esprimendomi con lui senso sue istruzioni. Aehrenthal mi ha detto che memorandum, fattogli rimettere da Izwolskij, in risposta sua ultima comunicazione, avevagli fatto constatare che principii che governavano politica austro-ungarica in Oriente, rimasti sempre gli stessi che nel 1897, erano identici a quelli della Russia. Questo era un punto ormai acquisito ed egli ne era soddisfatto, perché avrebbe attenuato tensione esistente e permesso due Gabinetti procedere scambio vedute tra loro sulle varie questioni all'ordine del giorno. Non credeva tuttavia poter consentire nel modo di vedere lzwolskij, che principii su cui Austria-Ungheria e Russia erano d'accordo fossero consegnati in una formula alla quale tutte le Potenze potessero associarsi. Si trattava infatti di una questione che riguardava Gabinetto austriaco e Gabinetto di Pietroburgo, nella quale altre Potenze non avevano ad ingerirsi. Egli, però, aveva avuto cura di tenere Gabinetti alleati al corrente del modo come procedevano conversazioni tra lui e Izwolskij ed avrebbe continuato farlo anche in seguito. Aehrenthal ha aggiunto che, per parte sua, persisteva nel punto di vista già enunciato di non addivenire, cioè, con lzwolskij alla stipulazione alcun accordo, di cui non scorgeva la necessità. Egli forse non avrebbe insistito nella proposta fatta di pubblicare un comunicato del tenore di quello indicato nella sua risposta al primo memorandum russo, ma si riservava esaminare meglio la cosa e non avrebbe mancato far conoscere a V.E. risposta che avrebbe data in proposito ad Izwolskij.

147

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 694/57. Vienna, 1° marzo 1910, ore 20,25 (per. ore 22,20).

Aehrenthal mi ha detto risultargli che visita re di Serbia alla Corte imperiale russa, ove salute Sua Maestà l'avesse permesso, avrebbe avuto luogo verso la fine del mese corrente.

146 l Cfr. n. 142.

148

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. PERSONALE CONFIDENZIALE. Vienna, 1° marzo 1910.

Nella visita fatta al conte d' Aehrenthal, dopo il suo ritorno in Vienna, egli mi disse che, durante la sua dimora in Berlino, il ministro di Rumenia, signor Beldiman, col quale erasi legato d'amicizia mentre rappresentava il Governo imperiale e reale in Bucarest, era venuto a vederlo ed avevagli parlato del nuovo accordo segreto stipulato di recente tra l 'Italia e l'Austria-Ungheria circa le quistioni balcaniche.

Il signor Beldiman erasi espresso in modo da fargli comprendere di essere pienamente al corrente dei vari particolari dell'accordo ed aveva insistito a più riprese presso di lui per conoscere se quanto eragli stato riferito in proposito fosse esatto.

Il conte d' Aehrenthal aveva negato recisamente l'esistenza di un simile accordo e procurato convincere il signor Beldiman che le informazioni che eragli state comunicate non avrebbero alcun fondamento.

Prima della sua partenza da Berlino egli aveva creduto di rendere di ciò consapevoli il cancelliere dell'Impero ed il signor di Sch6n, i quali ignoravano come il ministro di Rumenia avesse potuto aver notizia delle stipulazioni di quell'accordo.

Dalle informazioni però pervenutegli in segreto da Parigi, sembrava che tale indiscrezione fosse da attribuirsi al r. ambasciatore in Berlino, il quale avrebbe lasciato intendere al suo collega di Francia, sui colloqui avuti con lui', che un simile accordo era stato concluso tra l'Italia e l'Austria-Ungheria.

Credetti far rilevare al conte d'Aehrenthal che io doveva escludere nel modo più assoluto che ciò fosse esatto, giacché il commendator Pansa, che conoscevo personalmente da parecchi anni, era un diplomatico troppo provetto ed esperimentato per lasciarsi sfuggire cosa qualsiasi che avesse potuto far supporre l'esistenza di quell'accordo segreto. Non dubitava quindi che l'informazione trasmessagli da Parigi riposasse sopra un mero errore.

Ma il conte d' Aehrenthal, nel dimostrarsi dolente che si fosse già divulgata la notizia della stipulazione di un accordo, che i due Governi avevano dichiarato a vicenda dover rimanere segreto, mi pregò di riferire all'E.V. le cose da lui dettemi con lettera personale.

Avendo chiesto al conte d' Aehrenthal se io avessi dovuto comunicare all'E.V. l'informazione pervenutagli da Parigi circa il commendator Pansa, egli mi rispose ch'era necessario ch'ella fosse edotta anche di essa.

Sono stato poi informato dal signor di Tschirschky che il conte d'Aehrenthal erasi espresso con lui nel senso istesso ed avevalo pregato di comunicare pure ciò, dal suo lato, al signor di Schon2.

148 l Cfr. n. 139.

149

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 711/58. Vienna, 2 marzo 1910, ore 20,10 (per. ore 22,45).

Telegramma riservatissimo di V.E. n. 566'.

V.E. -avrà già appreso dal mio telegramma riservatissimo per lei solo di jeri, n. -552, come Aehrenthal non sia disposto a consentire formula proposta da Izwolskij, né che a questa si associno altre Potenze. Egli persiste specialmente nel proposito non addivenire con Izwolskij ad accordo qualsiasi. Aehrenthal è, però, soddisfatto per ripresa contatto tra i due Gabinetti. Altro non chiede né desidera pel momento. Non è, quindi, da prevedere, siccome feci presente mia corrispondenza personale, che Aehrenthal, a cagione diffidenze ed animosità che nutre tuttora verso Izwolskij, si induca a fare, almeno per ora, un passo di più sulla via da questo indicata. Aehrenthal comprende che, nell'interesse situazione generale europea, ed in quella particolare vicino Oriente, convenga che tensione esistente tra Austria-Ungheria e Russia sia attenuata, perché ciò permette due Gabinetti scambiarsi, al pari altri Gabinetti, loro idee sulle varie questioni all'ordine del giorno e potrebbe dar loro adito in seguito, ove condizioni Turchia, coli'aggravare lo stesso errore, esigessero di essere in conversazione più seguita e concludente. Ma, siccome tale eventualità non esiste per ora, Aehrenthal non scorge necessità e neanche possibilità, a quanto egli mi affermò, di venire ad accordi con Izwolskij. Date presenti disposizioni Aehrenthal, che risultano pure in parte da ciò che Schon disse al r. ambasciatore a Berlino, non sembrerebbe certo opportuno fare presso ministro imperiale e reale passo desiderato da Izwolskij. Tale passo non potrebbe che indisporlo e far nascere forse in lui diffidenze a nostro riguardo. Aggiungo che, prima di ricevere telegramma riservatissimo n. 5433, questo incaricato d'affari di Russia mi fece chiedere se avessi ricevuto istruzioni che gli risultava da Pietroburgo dovermi essere impartite da V.E. per appoggiare passo, di cui non indicò la natura, che era stato incaricato di fare presso Aehrenthal. Avendogli 2 Cfr. n. 146. 3 Cfr. n. 142.

fatto rispondere che non erami ancora pervenuta da V.E. alcuna istruzione, signor Sverbeew fece conoscere che eragli stato [ordinato] fare quel passo oggi. Suppongo si tratti del passo cui riferivasi comunicazione fatta a V.E. dal principe Dolgorouky, di cui telegramma riservatissimo n. 543. Mi riservo telegrafare a

V.E. se esso fu realmente fatto, se al medesimo si sono associati miei colleghi Francia ed Inghilterra, nonché risposta che sarà data da Aehrenthal.

148 2 Per il seguito si veda il n. 170.

149 l T. 566, del l o marzo, non pubblicato.

150

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE E CONFIDENZIALE S.N. Vienna, 2 marzo 1910.

Colla mia lettera personale del 3 novembre ultimo dopo aver esposto al predecessore dell'E. V. alcune considerazioni circa la politica balcanica dell'AustriaUngheria, io gli esprimeva di nuovo la mia convinzione che la Monarchia, in caso di dissolvimento dell'Impero ottomano, sarebbe stata costretta ad occupare il Sangiaccato di Novi Bazar per impedire che cadesse nelle mani della Serbia. Nel fargli rilevare a tale proposito che l'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza ed il nuovo accordo -che avevogli proposto di stipulare, nel decembre 1908, durante la mia dimora in Roma -non davano modo all'Italia di opporsi a quell'occupazione, io rappresentava la necessità di completare l'accordo stesso con un'intesa relativa al compenso che nell'eventualità suddetta dovesse esserci attribuito.

Con altra lettera personale del 30 novembre ultimo ritornando col senatore Tittoni sulla quistione del compenso, che mi riservava di trattare con successiva lettera particolare, io faceva notare la convenienza di presentire in proposito le disposizioni del Gabinetto di Vienna anche perché il R. Governo ne fosse pienamente informato al momento in cui si dovesse procedere al rinnovamento della Triplice Alleanza.

L'accordo di cui si tratta essendo divenuto ora perfetto in seguito allo scambio simultaneo dei dispacci, che ne contengono il testo, avvenuto il 19 decembre scorso!, in Roma tra V.E. ed il conte Ltitzow ed in Vienna tra me ed il conte di Aehrenthal, credo sia venuto il momento di esaminare la questione del compenso nei vari suoi particolari.

Il Trattato della Triplice Alleanza stabilisce allo articolo VII che «se in seguito agli eventi il mantenimento dello statu quo nella regione dei Balcani o delle coste ed isole ottomane nell'Adriatico e nel Mar Egeo divenisse impossibile e

che, sia in conseguenza dell'azione di una terza Potenza, sia altrimenti, l'Italia e l'Austria-Ungheria si vedessero nella necessità di modificar! o con una occupazione temporanea e permanente da parte loro, questa occupazione non avrà luogo che dopo un previo accordo tra le due Potenze basato sul principio di un compenso reciproco per ogni vantaggio territoriale o altro che ciascuna di esse ottenesse in sus dello status quo attuale e dando soddisfazione agli interessi ed alle pretese ben fondate delle due Potenze».

In alcuno degli articoli seguenti non si determina la natura di questo compenso, né dove esso dovrebbe essere attribuito ali 'una delle Potenze contraenti nel caso di acquisti territoriali per parte dell'altra.

Del pari nel nuovo accordo mentre si parla di una eventuale occupazione per parte dell'Austria-Ungheria del Sangiaccato di Novi Bazar e del compenso che sarebbe da accordarsi all'Italia, non si specifica neppure di quale natura esso dovrebbe essere, quantunque nel pensiero di entrambe le Potenze l'accordo stesso sia destinato a precisare e completare il significato dell'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza.

È bensì vero che, in forza di quell'articolo come del nuovo accordo, l'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar per parte dell'Austria-Ungheria è subordinato ad una previa intesa coll'Italia. Ma a noi non converrebbe di aspettare che quell'occupazione fosse resa inevitabile per discorrere dell'argomento col Gabinetto di Vienna, ma di prevenire gli eventi coll'intenderei possibilmente fin d'ora con esso sulla natura del compenso da attribuirci o ve si verificasse l'eventualità ivi contemplata. E ciò sembra esser richiesto dalle ragioni seguenti.

In primo luogo non è da presumere, siccome riferii colla mia lettera personale del 18 novembre 1909, che l'Austria-Ungheria sia disposta a dare all'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza ed al nuovo accordo l'interpretazione stessa che noi intendiamo darvi, di considerare, cioè, l'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar come un'ultima ipotesi da avverarsi soltanto quando sarebbero esauriti tutti i mezzi che potessero pacificamente essere adoperati per impedirne l'attuazione e fosse inoltre constatata l 'impossibilità di dare seguito al principio dello sviluppo degli Stati balcanici sulla base nazionale, giacché il Governo Imperiale e Reale non potrebbe mai ammettere che quella regione sia occupata dalla Serbia in forza del principio suddetto, ciò che sarebbe contrario agli interessi della Monarchia.

In secondo luogo è più che probabile che, al momento in cui l'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar dovesse avere luogo, noi non avremmo tempo sufficiente per intavolare una discussione coli' Austria-Ungheria circa la natura del compenso che ci compete e potrebbe anche darsi che, coll'incalzare degli eventi, questa si credesse autorizzata ad intraprenderla prima che noi potessimo convenire con essa in proposito.

Le nostre domande sarebbero più difficilmente accolte quando l'occupazione fosse un fatto compiuto e dovremmo in tal caso accontentarci delle offerte che ci fossero fatte se non volessimo accingerci ad un conflitto armato coli' Austria-Ungheria.

D'altra parte se, all'annunzio dell'imminente occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar per parte di questa Potenza, l'opinione pubblica italiana, la quale vi è in massima opposta perché in un ingrandimento territoriale qualsiasi dell'AustriaUngheria nella Turchia europea ravvisa con ragione una rottura dell'equilibrio di forze tra i due Stati ed una diminuzione del nostro prestigio, venisse ad apprendere che allora soltanto noi ci fossimo decisi a stabilire la natura del compenso da attribuirci, essa non potrebbe non accusare di imprevidenza il Governo, che avesse creduto di consentire a quell'occupazione mediante un apposito e previo accordo senza aver determinato in pari tempo il compenso stesso e si rifiuterebbe quindi a ratificare tale accordo.

Basta accennare a questi inconvenienti per dimostrare la necessità di non tardare ad entrare in conversazione coll'Austria-Ungheria circa la questione di cui si tratta, che è per noi della massima importanza e che, per l'indole sua delicata, non può essere trattata per così dire su due piedi, ma richiede per essere definita tempo non breve a causa della difficoltà che potrebbe presentare.

Coll'articolo IX del Trattato della Triplice Alleanza relativo al mantenimento dello status quo territoriale nelle regioni del nord africano nel Mediterrano «la Germania si è obbligata dopo un previo accordo formale ad appoggiare l'Italia in ogni azione sotto forma di occupazione di presa di possesso di garanzia che quest'ultima dovesse intraprendere in quelle stesse regioni in vista d'un interesse d'equilibrio e di legittimo compenso».

Questa è l 'unica stipulazione del Trattato della Triplice Alleanza in cui si determina in modo preciso la natura del compenso da attribuirsi all'Italia, ma tale compenso riguarda soltanto le eventualità che fossero per prodursi nelle regioni ottomane del nord africano nel Mediterraneo ove lo statu quo divenisse colà impossibile.

Nella stipulazione suddetta non si fa cenno dell'Austria-Ungheria, il cui disinteressamento soltanto, per ciò che riflette quelle regioni, è assicurato all'Italia nel pro-memoria annesso al Trattato, onde per quella Potenza non risulterebbe alcun impegno per il compenso che ci compete nell'eventualità ivi prevista.

N o n è da escludere però che l'Austria-Ungheria prendendo occasione da questa stessa stipulazione pretenda che il compenso che debba esserci attribuito in seguito ad un'occupazione per parte sua del Sangiaccato di Novi Bazar sia da ricercarsi pure nelle regioni ottomane del nord africano nel Mediterraneo.

Che tale supposizione non sia destituita del tutto di fondamento lo proverebbe in certo modo l'accenno indiretto fatto dal conte d'Aehrenthal, durante i negoziati del nuovo accordo, al compenso che sarebbe da accordarsi all'Italia in quella circostanza. Egli osservò a tale proposito che l'Italia avrebbe potuto compensarsi col procedere dal suo lato ali' occupazione di altro territorio in altra parte de li' Impero ottomano.

Il conte d' Aehrenthal non mi fece conoscere quale avrebbe potuto essere a suo parere questa parte dell'Impero ottomano, ma egli voleva alludere certamente alla Tripolitania. lo non credetti rilevare tale sua osservazione e lasciai cadere il discorso.

Quantunque l'occupazione della Tripolitania per parte dell'Italia costituisca un ingrandimento del Regno, è da dubitare che a questo ingrandimento si attribuisca da noi l'importanza istessa di quello che conseguirebbe l'Austria-Ungheria coll'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar. Se si esaminano gli utili che da tali occupazioni potrebbero risultare rispettivamente ali 'Italia e ali' Austria-Ungheria, si constata che per quest'ultima l'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar sarebbe un prolungamento del proprio territorio meridionale, che le aprirebbe la via ad ulteriori occupazioni ove gli eventi la costringessero in avvenire a varcare i confini di quella regione, mentre l'occupazione della Tripolitania impegnerebbe l'Italia in una nuova impresa coloniale non meno ardua di quella di Massaua obbligandola a sottostare ad ingenti spese ed a tutte quelle difficoltà a cui noi dovemmo far fronte per insediarci definitivamente colà. Per cui tale occupazione non potrebbe essere ritenuta da noi né come un adeguato compenso agli acquisti territoriali che l'Austria-Ungheria sarebbe per fare nella Turchia europea, né come atta quindi a ristabilire tra i due Stati l'equilibrio di forze, il quale verrebbe spostato a vantaggio esclusivo di questa.

In forza al principio di nazionalità, che è una delle gloriose tradizioni della politica italiana e sul quale si è fondata la nostra unità nazionale, noi non potremmo pensare ad un'espansione territoriale nell'Oriente europeo. Per contro noi dovremmo adoperarci a promuovere sulla base del principio stesso lo sviluppo degli Stati balcanici. Su tale principio del resto è basata l'intesa per l'Albania che noi stipulammo coli' Austria-Ungheria.

Solo nel caso in cui si riconoscesse l'assoluta impossibilità di dar seguito al principio suddetto, noi potremmo forse contemplare, come ultima ipotesi, una nostra espansione nei Balcani, ma è da domandare se sarebbe nel nostro interesse di procedere alla medesima, giacché questa obbligherebbe l'Italia a distrarre le proprie forze verso quella regione con grave pregiudizio delle sue condizioni economiche e senza speranza di ritrame vantaggi politici o commerciali tali da poter compensare i sacrifici che saremmo per fare.

L'unico acquisto territoriale, che, nonostante gli inconvenienti sopra accennati, ci converrebbe d'effettuare nella Turchia europea, ove non fosse possibile di attuare l'intesa, sarebbe quello dell'Albania. Ma non è da supporre che l'AustriaUngheria sarebbe disposta a consentirvi, o a spartire con noi quella regione procedendo ali'annessione della parte settentrionale di essa e !asciandoci occupare quella meridionale col porto di Valona, giacché con ciò noi avremmo in mano la chiave dell'Adriatico che ci renderebbe padroni assoluti di quel mare.

Ma se per le ragioni sopra esposte noi non potremmo procurarci, salvo in via eccezionale, il compenso che ci compete in alcuna delle regioni dell'Impero ottomano in quale altra regione questo compenso dovrebbe essere ricercato?

Il solo compenso che sarebbe da noi considerato come adeguato ad una occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar per parte dell'Austria-Ungheria consisterebbe in una rettifica del confine orientale del Regno, che riunisse alla patria una parte dei territori della Monarchia abitati da popolazioni di lingua italiana.

Al dire delle persone competenti, il Governo Imperiale e Reale, qualora gli eventi lo costringessero a varcare i suoi confini meridionali, non potrebbe procedere all'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar per la via di Uvacz, poiché in tal caso l'esercito austro-ungarico dovrebbe inoltrarsi per una valle ed esporsi al pericolo di essere attaccato simultaneamente, nelle montagne che la fiancheggiano dalle due parti, dalle truppe della Serbia e del Montenegro, che entrerebbero indubbiamente in campo per opporsi all'occupazione stessa. L'esercito austro-ungarico sarebbe costretto quindi a scegliere la via di Nisch e Pirot, ciò che lo metterebbe nella necessità di soggiogare la Serbia prima di occupare il Sangiaccato di Novi Bazar.

Né è da supporre che l'Austria-Ungheria, una volta occupato il Sangiaccato, possa rimanere entro i confini di esso, giacché per assicurarsene il possesso sarebbe fatalmente condotta a spingersi più oltre occupando pure gli altri cazà del vilayet di Kossovo e sottomettendo così al suo dominio tutte le regioni abitate da popolazioni serbe. La Monarchia, la quale ha in Ungheria, in Croazia, in Slovenia, in Dalmazia, in Bosnia ed in Erzegovina parecchi milioni di popolazioni serbo-croate, comprende ora che la dominazione sopra di queste non sarà mai sicura e definitiva finché esista, all'infuori dei suoi confini, uno Stato nazionale serbo che possa essere il nucleo di uno stato indipendente. Qui si è già detto e ripetuto da alcuni che la costituzione dell'unità serba è una delle eventualità possibili e che alla Monarchia non converrebbe di vederla compiuta per opera d'altri e contro di sé. Certamente l'Austria-Ungheria non pensa per ora a prendere nessuna iniziativa che possa precipitare o accelerare gli eventi: ma, se, suo malgrado, si producesse una crisi nei Balcani, essa tenterebbe di opporsi a tutto ciò che potesse più tardi intralciare l'opera sua.

Siccome il compenso che ci competerebbe in caso di espansione dell' Austria-Ungheria nella penisola balcanica dovrebbe essere commisurato sugli acquisti territoriali che questa Potenza fosse per fare, esso potrebbe, secondo i casi, comprendere o una rettifica della frontiera orientale (cioè i territori che formano la Contea principesca di Gradisca e Gorizia) o la cessione del Trentino od anche le due cose insieme.

È però poco probabile che il Governo Imperiale e Reale si lasci indurre ad una cessione in nostro favore d'una parte qualsiasi del suo territorio salvo in seguito ad una guerra combattuta contro di noi nella quale fosse rimasto soccombente.

Senza accennare al rifiuto opposto dall'Austria-Ungheria alla domanda da noi formulata in occasione della stipulazione del trattato di pace del 1866, relativa ad una rettifica in nostro favore del confine orientale della Monarchia, giova ricordare che, in occasione della agitazione che provocarono in Italia le aspirazioni verso Trento e Trieste di cui si chiedeva l 'annessione al Regno, il conte Andrassy faceva conoscere in una lettera particolare e confidenziale, diretta il 24 maggio 1874 al conte Wimpffen, allora ministro imperiale e reale a Roma, e da questo comunicata al R. Governo2, che i buoni rapporti fra i due Paesi non avrebbero potuto essere mantenuti se non a condizione che a quella agitazione fosse posto fine, non potendosi parlare affatto di una annessione di quelle provincie all'Italia, ciò che sarebbe stato in opposizione alla politica seguita dall'Austria-Ungheria e intesa al mantenimento dello statu quo in Europa.

Inoltre mentre si discuteva al Congresso di Berlino se convenisse o meno di consentire all'Austria-Ungheria l'occupazione della Bosnia-Erzegovina, il conte

1502 Cfr. serie II, vol. V, n. 413.

de Launay, in un colloquio privato col conte Andrassy, avrebbegli fatto intendere in via amichevole che, ove tale occupazione avesse avuto luogo, l'Italia avrebbe avuto diritto di chiedere di essere compensata mediante una rettifica in suo favore del confine della Monarchia. Ma a tali entrature il conte Andrassy si sarebbe limitato a ringraziare il conte de Launay della franchezza colla quale egli aveva parlato.

Dai dati poi che sono a mia disposizione risulta che la questione del compenso sarebbe stata discussa ali'epoca della prima rinnovazione del Trattato di Alleanza tra il conte di Robilant ministro degli affari esteri, ed il conte Nigra. Il primo sarebbe stato di parere che il compenso fosse da ricercarsi in una rettifica del nostro confine, l'altro nella penisola balcanica. Ma si decise di non sollevare allora la questione pel timore che essa inducesse l'Austria-Ungheria a non rinnovare il trattato.

Del resto nell'interesse della propria conservazione, l'Austria-Ungheria non potrebbe non essere opposta a qualsiasi cessione ali' Italia di territori abitati da popolazioni italiane, poiché, visto che la Monarchia è una agglomerazione di provincie abitate da popoli di nazionalità diverse, ogni cessione verrebbe a costituire un precedente, che potrebbe venir invocato da altri Stati, i quali si trovino di fronte ad una nazionalità dell'Austria-Ungheria, in condizione analoga alla nostra.

Ciò premesso, non sarebbe certo opportuno di toccare l'argomento direttamente col Gabinetto di Vi enna, giacché nelle presenti condizioni dell'Europa ed a parecchi anni di distanza dalla scadenza del Trattato d'alleanza, una discussione in proposito potrebbe non essere scevra di pericoli se dovesse far constatare un dissidio inconciliabile fra i due Governi.

D'altra parte è da prevedere che, o ve noi manifestassimo l 'intenzione di trattare tale questione, il Governo Imperiale e Reale potrebbe obiettare che bisogna evitare si sappia che si è già provveduto alla sostituzione dell'Impero ottomano, al cui mantenimento sono ora rivolti i suoi sforzi come quelli di tutte le Potenze, giacché ciò potrebbe suscitare le diffidenze della Sublime Porta ed incoraggiare in pari tempo le aspirazioni nazionali degli Stati balcanici, che tendono ad espandersi a danno dell'Impero stesso.

Circa tale argomento il conte Goluchowsky si rifiutò costantemente di entrare in discorso coll'illustre mio predecessore -siccome egli riferiva a codesto R. Ministero con rapporto in [data] del 2 maggio 1903 (Documenti Diplomatici serie CVII, n. 658)3 dichiarando che credeva non solo poco conveniente, ma anche pericoloso per la tranquillità europea il contemplare senza necessità impellente lo sfasciamento più o meno parziale dell'Impero ottomano.

E nello stesso senso esprimevasi pure col senatore Tittoni il conte d' Aehrenthal nell'esporgli, durante il Convegno di Desio, la politica che l'Austria-Ungheria intendeva seguire nei Balcani.

!50 3 Cfr. serie III, vol. VII, n. 471.

Ma se il R. Governo, nonostante i fatti finora esposti, credesse di doversi accertare in modo positivo se le disposizioni del Governo Imperiale e Reale in proposito siano realmente tali, non resterebbe altro mezzo che di scandagliare il terreno in via indiretta. Un'occasione propizia potrebbe esserci offerta dalla prossima venuta in Roma del cancelliere germanico, al quale si potrebbe fare intendere nei colloqui che avrà coll'E.V., l'ineluttabile necessità in cui il R. Governo si troverebbe, di fronte all'esigenza della opinione pubblica italiana, di chiedere all' Austria-Ungheria una rettifica del proprio confine quale compenso per una eventuale occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar per parte di quest'ultima.

Se dal modo poi in cui il signor di Bethman-Hollweg si esprimesse, si constatasse che le nostre domande non avrebbero probabilità di essere accolte, sarebbe compito del R. Governo di esaminare, al momento della scadenza del Trattato della Triplice Alleanza, se la situazione in cui si troverà allora l'Europa sia per consigliare all'Italia di rinnovare il trattato stesso, oppure di avvicinarsi alle Potenze della Intesa Cordiale, oppure di seguire una politica affatto indipendente.

L'esempio datoci dall'Inghilterra, la quale ha riconosciuto la necessità di abbandonare la sua politica tradizionale dello splendid isolation per avvicinarsi alla Francia ed alla Russia, dovrebbe indurci a non rimanere estranei a qualsiasi intesa, perché, per la nostra situazione geografica e per l 'inferiorità delle nostre forze militari, noi saremmo meno di essa in grado di difendere da soli i nostri interessi e la nostra indipendenza, ove fossero minacciati.

Circa ad un nostro avvicinamento alle Potenze della Intesa Cordiale, se si considera la politica vacillante da esse seguita durante l 'ultima crisi balcanica e le disparate loro tendenze che rendono meno salda l'intesa stessa, si riconoscerà che esso non potrebbe offrirei vantaggi e garanzie sufficienti per indurci a separarci dagli Imperi centrali.

Le condizioni interne della Russia non danno infatti a sperare che essa possa risorgere entro i quattro anni che ci separano dalla scadenza del Trattato, all'antica potenza e riprendere quindi la politica attiva che faceva prima della sfortunata guerra col Giappone. Ond'essa non potrebbe prestarci all'evenienza quell'appoggio morale, a cui la nostra accessione all'Intesa Cordiale ci darebbe diritto. E non devesi dimenticare che se i tentativi, che si fanno ora tra i Gabinetti di Vienna e di Pietroburgo, per riprendere il contatto interrotto non sembrano poter condurre per il momento ad un vero e definitivo riavvicinamento tra l'Austria-Ungheria e la Russia, questo non potrà a meno di divenire completo qualora gli eventi precipitassero nell'Oriente europeo, specialmente se le persone che dirigono al presente la politica estera dei due Stati dovessero per circostanze impreviste abbandonare il potere.

Per ciò che riguarda la Francia, la quale non desidera, come è noto, il nostro distacco dalla Triplice Alleanza per le conseguenze che potrebbero derivarne per l'equilibrio in Europa, l'evoluzione, che si va man mano operando nella sua politica estera, rivela in essa la tendenza a migliorare sempre più i suoi rapporti coll'Austria-Ungheria e a raggiungere possibilmente un riavvicinamento colla Germania per trovare così un terreno propizio ad una condotta analoga nell'interesse comune del mantenimento della pace. Ed alla politica seguita dal Governo Imperiale e Reale sembrerebbe associarsi pure il Gabinetto di Londra, il quale preferisce, al pari di quello di Parigi, che noi restiamo, come elemento di pace e di equilibrio, a fare parte della Triplice Alleanza. Gli sforzi infatti di questo ambasciatore britannico, che si è adoperato, fin dal suo giungere a Vienna, a dissipare gli attriti ed i malintesi sorti fra l 'Inghilterra e l'Austria-Ungheria in seguito all'annessione della Bosnia-Erzegovina, sono rivolti ora a rendere sempre più intimi i reciproci rapporti, siccome già riferii al predecessore dell'E.V. colla anteriore mia corrispondenza particolare.

Se tali fossero le condizioni dell'Europa alla scadenza del trattato della Triplice Alleanza, è da dubitare che a noi convenga di avvicinarci alle Potenze dell'Intesa Cordiale e a non rinnovare il trattato stesso.

Il nostro distacco dali' alleanza, o ve si verificasse sia il riavvicinamento della Russia all'Austria-Ungheria, sia quello della Francia alla Germania, auspice l'Austria-Ungheria, potrebbe metterei in una situazione oltremodo critica e condurci, presto o tardi, data l'animosità che esiste in una parte dell'opinione pubblica italiana contro la Monarchia, ad un conflitto armato, specialmente se si venisse a conoscere nel Regno il rifiuto opposto dal Governo Imperiale e Reale alle nostre giuste domande. Ma ad un tale conflitto noi non potremmo accingerci con probabilità di successo, giacché, a quanto si afferma dalle nostre stesse autorità militari, non saremmo preparati a farvi fronte alla scadenza del trattato.

Quanto al rinnovamento dell'alleanza, esso non potrebbe essere effettuato che nel caso in cui l'Austria-Ungheria consentisse ad assicurarci il compenso che noi desideriamo qualora fosse costretta dagli eventi ad espandersi nei Balcani. Senza questa condizione non si troverebbe certo fra gli attuali ed i futuri governanti d'Italia chi potesse ammettere quella espansione, la quale darebbe alla Monarchia una situazione talmente preponderante nell'oriente d'Europa da rompere in modo assoluto l'equilibrio fra i due Stati.

Nonostante le difficoltà che presenta la trattazione diretta coll'Austria-Ungheria della delicata questione dei compensi, noi non potremmo esimerci dal toccarla al momento della scadenza dei trattato; anzi noi dovremmo fin da ora preparare il terreno pel caso in cui l'eventualità prevista nel trattato stesso e nel nuovo accordo avessero a verificarsi prima di quel momento.

Però, le diffidenze latenti, che si incontrano in Austria-Ungheria contro la nostra politica nei Balcani, e la sfiducia, che esiste da noi contro quella della Monarchia, rendono poco agevole la trattazione della questione. Conviene quindi dissipare innanzi tutto tali diffidenze reciproche con una politica franca e leale tale da dimostrare al Gabinetto di Vienna la nostra ferma intenzione di non attraversare, ma di secondare per contro i suoi disegni nei Balcani. Noi dovremmo inoltre profittare di ogni occasione per affermare recisamente che la nostra politica mira soltanto al mantenimento dello statu quo e non desidera affatto di veder prodursi le eventualità, previste dal trattato d'alleanza e dal nuovo accordo. Però, siccome tali eventualità potrebbero, malgrado nostro, verificarsi, noi stimeremmo opportuno di far conoscere al Governo Imperiale e Reale che siamo bensì disposti ad assumere l'impegno formale di prestargli, oltre l'appoggio morale, che gli dobbiamo in virtù del trattato della Triplice Alleanza e del nuovo accordo, anche quello materiale, mettendo a sua disposizione le nostre forze militari e navali per una azione d'espansione nella penisola balcanica, ma a condizione:

l) eh' essa ci dia un congruo compenso colla cessione di regioni dell'Austria abitate da popolazioni di lingua italiana;

2) che essa addivenga con noi ad un più preciso accordo riguardo l'Albania, che ne determini la neutralizzazione, onde questa venga per sempre sottratta a qualsiasi supremazia od occupazione ulteriore austro-ungarica.

In tal modo se la Monarchia potrebbe trovare il suo vantaggio ad assicurarsi la completa nostra cooperazione ad un'eventuale espansione nei Balcani, questa non sarebbe per noi svantaggiosa perché avremmo provveduto alla tutela dei nostri interessi mediante i compensi suddetti. E tali compensi non sarebbero che la conseguenza naturale dei nuovi acquisti territoriali, che l'Austria-Ungheria conseguirebbe in seguito a quella espansione, la quale collo spostare le basi attuali della Monarchia verrebbe a trasformare radicalmente la sua costituzione interna.

Se l'inorientamento dell'Austria-Ungheria avvenisse sotto tali condizioni, esso non ridonderebbe certo a danno nostro. Anzi l 'Italia sarebbe interessata ad agevolarlo più della Germania, che spinge la Monarchia su quella via, nell'intento di aumentare i suoi sbocchi commerciali.

Infatti mercé tale inorientamento soltanto noi potremmo sperare che l' Austria-Ungheria s'induca alla cessione in nostro favore delle provincie occidentali discoste della Monarchia, di lingua italiana, ciò che ci permetterebbe di realizzare le nostre aspirazioni nazionali.

Né la cooperazione che saremmo per prestar! e nel suo movimento verso l'oriente europeo potrebbe essere considerata come contraria al principio di nazionalità, che abbiamo dichiarato doversi applicare in favore dello sviluppo ulteriore degli Stati balcanici, giacché noi non verremmo meno a quel principio se preferissimo, qualora esso non potesse essere attuato, lo sviluppo della nostra patria sulla base del principio stesso.

150 l Cfr. n. 13.

151

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATISSIMO 258/102. Il Cairo, 2 marzo 1910 (per. il 9).

Il cavalier Rossetti mi ha inviato copia del rapporto diretto a V.E. in data 3 gennaio u.s. n. 4/21, dal quale si può desumere che sir Reginald Wingate non sarebbe alieno dal riprendere le trattative per la istituzione di un consolato italiano

!51 l Ci si riferisce con tutta probabilità al R. 4/3 (cfr. n. 31 ).

a Cartum, sempre beninteso sotto la condizione del nostro riconoscimento della Convenzione anglo-egiziana del 1899. Né sir Eldon Gorst, né sir Reginald Wingate, che ebbi più volte occasione di incontrare dopo il suo ritorno dal Sudan, mi fecero alcuna allusione in quel senso.

Cioè mi lascerebbe supporre -qualora la conversazione tenuta dal funzionario sudanese col cavalier Rossetti sia indizio effettivo delle intenzioni del sirdar che le trattative possano riprendersi costà per mezzo dell'ambasciata britannica, ovvero a Londra.

La questione rientrando così nel campo della politica generale, mi astengo dal manifestare un parere in proposito. Ma riferendomi a quanto scrive il cavalier Rossetti, mi permetto rammentare che le trattative furono sospese perché in seguito alle molteplici premure già fatte da questa r. agenzia e soprattutto in seguito alla destinazione del cavalier Rossetti a Khartoum, il Governo britannico era entrato nella persuasione che il Governo italiano fosse mosso da fretta grande e da vivissimo desiderio di istituire a Khartoum un proprio consolato. E fu questa persuasione -erronea -che determinò sir Eldon Gorst a mostrarsi restìo ad accordare quei compensi che da noi si richiedevano in cambio dell'atto certo molto vantaggioso agli interessi britannici. Dopo che io ebbi messo le cose a posto con sir Eldon Gorst, codesto Ministero prese la saggia decisione di lasciare che la situazione maturasse da sé, affinché il Governo britannico, per forza di cose, si trovasse obbligato a cambiare la posizione che aveva assunta.

Ora, se realmente la notizia riferita dal cavalier Rossetti, è indizio di una prossima ripresa di trattative, codesto Ministero giudicherà dei compensi da chiedere in cambio. A questo proposito, è mio dovere di far presente una circostanza di cui non trovo traccia nella corrispondenza del commendator Malmusi, e che io nel 1908, per essere allora giunto in Egitto, non avevo valutato in tutta la sua importanza. Voglio dire l'impressione disastrosa e ostilissima che produrrebbe generalmente in Egitto la notizia di un riconoscimento dell'Italia della convenzione del 1899. Lasciando pur da parte il partito nazionalista propriamente detto, pel quale la questione del Sudan è segnacolo di battaglia, sta in fatto -e la mia frequente corrispondenza ufficiale sulla situazione politica interna di questo paese ne fornisce la dimostrazione -che l'opinione pubblica egiziana, di quella parte cioè della popolazione che si occupa degli interessi pubblici, guarda con nervosa preoccupazione ed ansietà alla situazione politica del Sudan. E gli stessi organi di questa agenzia britannica hanno più d'una volta sentito il bisogno di fare dichiarazioni tranquillanti nel senso che non si mette in dubbio essere il Sudan parte integrante dell'Egitto. Ora un riconoscimento della convenzione del 1899 sarebbe inevitabilmente interpretato quale acquiescenza dell'Italia alle vedute inglesi, più

o meno prossime e lontane, di maggiormente staccare a proprio vantaggio il Sudan dall'Egitto. Tenendo conto che nel momento attuale, sia per forza di cose, sia per effetto della politica liberale inaugurata qui dopo la partenza di lord Cromer, l'opinione pubblica indigena, la stampa locale, l'Assemblea generale ed il Consiglio legislativo, il Ministero egiziano ed il khedive sono diventati fattori reali della vita politica di questo paese, si può sicuramente prevedere che il nostro riconoscimento della convenzione del 1899 produrrebbe una impressione tanto ostile da non poco danneggiare, per qualche tempo almeno, la nostra posizione morale ed i nostri interessi d'influenza in questo paese. Come segni immediati e tangibili avremmo subito da riscontrare, oltre ad una violenta campagna giornalistica, manifestazioni di malcontento nei corpi legislativi, nonché da parte delle colonie italiane; il khedive, i principi khediviani (principe Fouad) ed i nuovi ministri egiziani, pur non manifestando il loro sentimento, certo guarderanno da allora con occhio meno benevolo gli interessi italiani. Ed appunto sotto l'aspetto dei grandi interessi che abbiamo in questo paese, e delle numerose e prospere nostre colonie, e dell'azione felicemente iniziata per riconquistare almeno in parte l'antica posizione della diffusione della nostra lingua in Egitto, e sotto l'aspetto in genere della necessità di sempre lottare nella concorrenza vivace degli Stati più importanti per l'incremento della rispettiva influenza morale, l'Italia si trova in condizione tutta speciale, non paragonabile ad esempio con quella degli Stati Uniti, che si diceva fossero già favorevoli al riconoscimento della Convenzione del 1899.

Come ho detto sopra, le eventuali trattative pel riconoscimento della Convenzione del 1899, prossime o lontane, rientrano nel campo della politica generale e sfuggono al mio apprezzamento. Ma era mio dovere di far presenti i suesposti elementi di giudizio e di valutazione, tutti speciali all'Egitto. Tenendo conto di essi, si potrebbe pure affermare che i compensi già proposti in passato non sarebbero per nulla corrispondenti al danno che avremmo qui da sopportare.

Se l'opinione personale che ho avuto qui l'onore di esporre a V. E. col presente rapporto venisse ad essere conosciuta, ne soffrirebbero gli eccellenti rapporti personali che da molto tempo mantengo con sir Eldon Gorst2.

152

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE 727/27. Addis Abeba, 3 marzo 1910 (per. ore 16 del 4) 1.

Situazione interna si complica e si aggrava e malumore contro imperatrice che abusa in tutti i modi del suo potere e contro ras Tesamma che è incapace di porvi freno, aumenta in modo inquietante. Si teme che prossimo arrivo allo Scioa di degiac Abatè possa aggravare situazione e che egli voglia riunire intorno a sé malcontenti e farsi esponente del loro malumore. Anche atteggiamento di ras Uolde Ghiorghis è [voce]2 che egli abbia riuniti Caffa più di quarantamila uomini

152 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 3 marzo, ore 20,30. 2 Integrazione del decifratore.

comincia a destare inquietudine, come pure comincia a preoccupare evidente tendenza imperatrice infeudare sua famiglia provincie settentrionali Etiopia e non è infondato sospetto che, alla morte di Menelik, essa voglia proclamare indipendenza su dette provincie dello Scioa sotto il suo dominio personale. Anche fra i capi scioani si fa strada malumore per designazione lig Jasu quale erede del trono e si vorrebbe che al suo posto fosse stato designato fitautari Taju, figlio di fitautari Taclhadmanot Gululati, figlio a sua volta del quartogenito di Sahla-Sellasiè, ramo escluso dalla successione per aver fitautari Taclhadmanot attentato alla vita di Menelik stesso.

151 2 Per la risposta cfr. n. 203.

153

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE 728/29. Addis Abeba, 3 marzo 1910 (per. ore 16 del 4) 1.

Deggiac Tafari figlio di ras Makonnen è stato nominato capo della provincia di Harrar. Tale nomina è una evidente soddisfazione data al partito scioano e l'imperatrice vi è forse stata spinta dal malcontento al quale ho accennato nei miei precedenti telegrammi.

154

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 723/63. Pera, 4 marzo 1910, ore 13,50 (per. ore 15,10).

L'ambasciatore di Russia mi disse martedì averlo Iswolsky avvertito, per norma suo contegno verso collega d'Austria-Ungheria che relazioni normali fra i due Paesi sono ormai ristabilite. Aggiunse non ritenere che, pel momento, si sia giunti concludere alcun accordo speciale, il quale, ripetette, non potrebbe in ogni caso altro essere se non estensione e completamento di quello di Racconigi. Pallavicini, avvertito anch'egli delle ristabilite relazioni normali, mi ha detto jeri, annuendo Marschall pure presente colloquio, in via confidenziale, ristabilimento essere pel momento unico risultato pratico negoziati sui quali si è fatto troppo chiasso. Marschall attirò mia attenzione su telegramma agenzia Costantinopoli, ri

producente lettera comparsa nella National Zeitung circa il convegno cancelliere Aehrenthal. A questa pubblicazione, che ha prodotto qui grandissima impressione, Marschall annetteva importanza, considerandola come opportuno monito rivolto non solo alla Bulgaria, ma anche alla Russia. Impressione mia, condivisa da colleghi autorevoli, è che, in fondo, viaggio del re di Bulgaria a Pietroburgo, cordialità, dopo tutto, naturale, accoglienza fattagli e linguaggio non nuovo della stampa russa, avrebbero prodotto qui sensazione molto minore, se questo insieme di fatti non avesse presentato un contrasto troppo accentuato con contegno di ambasciatore di Russia. Il quale, come ho più volte rilevato, ha, fin dal suo arrivo a Costantinopoli, forzando alquanto nota, voluto troppo precipitosamente radicare qui convinzione essere la Russia divenuta d'un tratto la migliore più fida amica della Turchia. Ad ogni modo, Marschall non dubita che a Pietroburgo siano stati dati al re di Bulgaria consigli in senso pacifico.

153 l 11 telegramma fu trasmesso da Asmara il 4 marzo, ore 11,1 O.

155

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL REGGENTE IL CONSOLATO A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINII

T. 595. Roma, 6 marzo 1910, ore 13.

Suo telegramma n. 272. Il Governo del re e il Governo francese sono disposti aderire al sistema proposto da Venizelos per la soppressione del giuramento da parte di tutti i delegati all'assemblea cretese. Anche il Governo russo vi è favorevole ed ha soggiunto che i rappresentanti delle quattro Potenze alla Canea dovrebbero essere autorizzati a continuare i loro scambi d'idee con Venizelos a questo scopo. Il Governo britannico ha autorizzato il suo console a ciò fare, quando gli altri abbiano ricevuto la medesima istruzione e quando il momento sembri loro opportuno. V.S. potrà procedere nello stesso modo.

156

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 38 III 74. Berlino, 6 marzo 1910 (per. il 10 marzo).

Nella seduta d'ieri del Reichstag, discutendosi il bilancio della Marina, il conte Oppersdorf appartenente al partito del centro colse l'occasione per manife

1551 Ed., con varianti in LV 106. p. 145. 2 Cfr. n. 145.

stare il pensiero suo favorevole alla limitazione degli armamenti navali sulla base d'una intesa internazionale. Egli non disse con quale nazione questa intesa avrebbe dovuto esser conclusa, ma evidentemente egli intendeva alludere ali' Inghilterra. Il deputato socialista dottor Stidekum colse del canto suo l'opportunità per attaccare la cosiddetta «Flottenpolitik», che ha per conseguenza di gettare il sospetto nei rapporti fra la Germania e la Gran Bretagna.

Questa discussione acquistò tosto speciale importanza pel fatto che, essendo durante il discorso del deputato Stidekum entrato nella sala il cancelliere deli'Impero, questi domandò senz'altro la parola per esporre in modo chiaro e preciso il suo pensiero sulla questione. Il signor von Bethmann Hollweg disse: «l nostri rapporti coll'Inghilterra sono chiari e manifesti agli occhi d'ognuno. Tante volte è già stato detto che noi non costruiamo le nostre navi a scopi aggressivi ma semplicemente perché convinti della necessità d'una efficiente forza navale per la difesa delle nostre coste e del nostro commercio, ... che io non voglio di nuovo ripetere quanto è ormai stabilito definitivamente. Così pure è noto a tutti in qual misura ed in quale periodo di tempo le navi verranno da noi costruite. Nulla si fa in ciò di segreto o in forma ostile o minacciosa verso altre Potenze o tale da ridestare in loro legittimi sospetti. Ed è infine del pari evidente il nostro desiderio di coltivare lealmente relazioni d'amicizia con l'Inghilterra ... La nostra politica estera non solo verso di questa ma verso tutte le Potenze è diretta soltanto a promuovere liberamente le forze economiche ed intellettuali della Germania. Tali direttive non sono inventate artificialmente ma risultano di per sé dalla natura stessa di codeste forze. Io non vedo perché ciò dovrebbe turbare le relazioni amichevoli con un paese che è a noi legato economicamente ed intellettualmente in modo così intimo come l'Inghilterra. Nessuna Potenza può escludere le altre dalla concorrenza mondiale od opprimerle. Noi siamo tutti d'accordo di condurci in questa concorrenza mondiale secondo i principi d eli' onesto commerciante. Io sono convinto che su questa base le fiduciose relazioni da noi mantenute col Governo britannico si svilupperanno favorevolmente e serviranno ad esercitare analoga benefica influenza anche suli'opinione pubblica».

È certo un segno di notevole modificazione nelle disposizioni reciproche dei due Paesi il fatto che, da quello stesso banco dei ministri ove poco tempo fa si parlava di relazioni corrette con l 'Inghilterra, queste oggi si definiscano come fiduciose. Il tono franco di queste parole non potrà a meno di produrre al di là della Manica una buona impressione; in ogni caso esso risponde ai sentimenti attuali della grande maggioranza del!' opinione pubblica in Germania. Certi violenti discorsi pronunciati durante la lotta elettorale inglese, nei quali a scopo di propaganda di partito lo spettro di un'invasione germanica veniva con discutibile opportunità agitato dinanzi agli occhi della massa, non hanno destato qui l'eco che avrebbero avuta in altri tempi. I giornali si sono per lo più astenuti dal commentarli, quasi obbedendo ad una parola d'ordine.

Che il riavvicinamento fra i due popoli proceda di pari passo con quello delle due famiglie regnanti è provato dal modo come si è svolto il recente soggiorno del principe Enrico di Prussia in Inghilterra. Recatosi colà in seguito ad invito del principe del Battenberg, il fratello dell'imperatore vi si è trattenuto per un tempo assai più lungo del previsto e ne è ripartito assai soddisfatto dell'accoglienza ricevuta. Questo viaggio ha vieppiù aumentato il desiderio che anima questo principe ereditario di recarsi in Inghilterra, Paese per il quale egli non nasconde (anche a costo di qualche critica) la sua viva personale simpatia. Sua Altezza Imperiale mi accennava sere sono che, subordinatamente all'assenso dell'imperatore, egli desidererebbe recarvisi in incognito per qualche tempo nella prossima estate, insieme con la principessa sua consorte. Ma non è certo che ciò gli sia per ora concesso, mentre prevale qui prudentemente l'idea di non troppo correre con simili dimostrazioni.

157

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 382/175. Berlino, 6 marzo 1910 (per. il 12).

Fra gli eventi di questi giorni sono notevoli le impressioni ed i commenti di una parte della stampa tedesca sulle recenti manifestazioni russe che accennerebbero ad un risveglio dell'azione panslavista e che qui si discutono dal punto di vista del loro effetto sul non ancora compiuto riavvicinamento fra i due Gabinetti di Vienna e Pietroburgo. Dopo l'adunanza promossa dagli slavi di Boemia, è avvenuta la visita del re di Bulgaria allo czar ed ora si annuncia quella del re di Serbia: né di più occorreva per destare il sospetto che il signor lswolsky stia cercando una rivincita ai suoi disinganni deli'anno scorso nella ripresa di una politica attiva verso i Balcani, favorendovi una lega di quegli Stati sotto l'egida della Russia. Di questi sospetti si è fatto eco in ispecie un articolo assai notato della National Zeitung di tre giorni or sono,

o ve era detto in sostanza che sorgono nuove nubi sull'orizzonte dei Balcani, e che i negoziati austro-russi sono resi difficili dal duplice fatto che la Russia esige da un lato certe guarentigie da Vienna e dall'altro lato va eccitando gli slavi alla riscossa. Un altro articolo del Berliner Neueste Nachrichten di ieri osservava, che qualora l'Impero russo volesse spingere più oltre il progetto di una unione slava, esso non solo verrebbe con ciò a distruggere ogni intesa con l'Austria-Ungheria, ma allo stato attuale delle cose arrischierebbero un giuoco assai pericoloso.

A questo dipartimento esteri però non si mostra di partecipare a siffatti sospetti e timori. Contrariamente alle fattene supposizioni, mi fu assicurato che quegli articoli non furono in verun modo ispirati dalla cancelleria imperiale ove si continua a considerare la presente situazione, se non con assoluta fiducia, con sufficiente tranquillità.

Sui risultati della recente visita del conte di Aehrenthal a Berlino non posso per ora che confermare quanto ebbi generalmente a rassegnare a VE. coi miei telegrammi nn. 301 e 3 J2. Nei tre giorni qui passati dal ministro austro-ungarico, a quanto mi dichiarò il signor von Schoen e come pure mi risulta da altre fonti, poco si è parlato di affari, e se delle conversazioni avvenute è emersa la conferma della piena intimità di relazioni e della comunanza di propositi esistente fra i due Governi, nulla vi è in ciò di nuovo per nessuno. Il conte di Aehrenthal non vide qui il conte di Osten-Sacken né, fuori di me, alcun altro ambasciatore delle grandi Potenze (del che anzi si è dimostrato un po' piccato per conto suo il collega d'Inghilterra). Nella visita a me fatta egli si mantenne piuttosto reticente sull'argomento delle trattative in corso col signor Iswolski, affettando quasi a quel riguardo, come l'ho riferito, una certa indifferenza. A questa sua attitudine si attribuisce qui la lentezza colla quale procedono quei pourparlers che, a quanto mi fu detto ancora ieri, continuano tuttavia ma pigramente e finora senza palpabile risultato. Si trova abbastanza naturale che il signor Iswolski cerchi di ottenere una qualche soddisfazione mediante una qualsiasi dichiarazione del Gabinetto di Vienna della propria astensione da nuove ingerenze nei Balcani: ma, pur augurando un progresso dell'iniziata pacificazione, non si desidera qui ingerirsene in modo attivo, conservandosi poco gradita memoria degli imbarazzi e malintesi cui diede luogo l'iniziativa presa l'anno scorso a Pietroburgo per bocca del conte Pourtalès. Non si annette del resto in queste sfere ufficiali un'importanza eccessiva agli effetti immediati da attendersi dagli atti di benevolenza coi quali il Governo russo cerca ora di ristabilire il proprio prestigio presso i piccoli Stati balcanici. Si professa una certa fiducia nella prudenza del re di Bulgaria e soprattutto si confida che, almeno per un certo periodo di tempo, una guarentigia di pace è data dalla capacità di difendersi di cui si fa credito alla Turchia. Il generale von der Goltz afferma che le misure militari adottate per suo consiglio dalla Sublime Porta si limitano ali' esercitazione delle classi di redifs già prevista dalla legge ma che finora si era trascurata; si lavora, egli aggiunge, alle fortificazioni di Adrianopoli che richiederebbero oltre un anno per essere compiute; ma se sarà permesso alla Turchia di attendersi in pace per altri sei mesi, esse si troveranno nel prossimo autunno progredite abbastanza per assicurare se non altro il territorio de li 'Impero contro qualsiasi sorpresa.

2 T. 688/31 del l o marzo, non pubblicato.

157 1 T. 677/30 del 27 febbraio, non pubblicato.

158

IL CONSOLE A BENGASI, BERNABEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 756/9. Bengasi, 7 marzo 1910, ore 14 (per. ore 18,15).

Mi riferisco al dispaccio (?) n. 8'. Sublime Porta ha telegrafato jeri a questo mutessarif ordine di riconoscere ufficialmente locale agenzia del Banco di Roma. Mutessarif ha partecipato ordine agli uffici dipendenti. Telegrafo quanto precede

r. ambasciatore a Costantinopoli2.

159

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 301/115. Il Cairo, 8 marzo 1910 (per. il 16).

Ho l'onore di confermare il mio telegramma del 3 corrente n. 16', e trasmetto qui unito a V.E. la lettera direttami lo stesso giorno dal dottor Insabato2, inviato in missione dal R. Governo in questo paese.

Non ho esitato ad appoggiare la richiesta dell'inviato governativo per le seguenti ragioni: l) agli occhi degli emissari del Senussi la partecipazione di Mohammed Alì Elui dragomanno onorario della r. agenzia dà una impronta quasi ufficiale alle trattative; 2) la proposta di doni fu già fatta conoscere agli inviati senussiti; 3) parte dei doni furono già acquistati a proprie spese dal signor Insabato.

Il dottor Insabato mi aveva fatto cenno delle trattative coi Senussiti, ma io gli feci osservare che a meno di ricevere dirette nuove istruzioni del R. Ministero, non prendevo né ingerenza né responsabilità nel negoziato.

Non ho avuto visione (né ho cercato di averla) dei rapporti diretti dal dottor lnsabato al R. Ministero dell'interno, alcuni dei quali egli rimise in busta chiusa a questa cancelleria per la trasmissione a mezzo della valigia diplomatica.

Il cavalier Crolla, r. interprete di questo ufficio, è rimasto completamente estraneo alle trattative di cui è questione, e sulle quali non ebbe ad esercitare controllo alcuno.

!58 l Il punto interrogativo è del decifratore. Non rinvenuto nel fascicolo relativo. 2 Il contenuto di questo telegramma venne comunicato al presidente del Banco di Roma, Ernesto Pacelli, con lettera riservata urgente 47, dell'Il marzo, non pubblicata. !59 l Non pubblicato. 2 Non pubblicata.

Invoco insistentemente il pronto invio delle istruzioni generali chieste con telegramma del 27 gennaio u.s. n. 43, e con rapporto confidenziale urgente de li' 8 febbraio scorso n. 166/654.

160

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

D. RISERVATO 14. Roma, 9 marzo 1910.

Mi pregio di accusare ricevuta ali'E.V. e ringraziarla del telegramma n. 687 in data del 28 febbraio u.s. 1 , con cui ella mi ha riferito le assicurazioni datele da

S.A. il Gran Vizir circa le istruzioni che sarebbero impartite alle autorità tripoline perché non sollevassero ulteriori ostacoli ai trasferimenti di beni appartenenti ad italiani in Tripolitania. Confido che queste promesse avranno già avuto attuazione e desidero esserne assicurato dali'E.V.

Confido pure che a ciò non si limiterà codesto Governo, ma provvederà anche a revocare gli ordini contrari ad ogni impresa italiana nella Reggenza, di cui il r. console generale in Tripoli ebbe indiretta conferma dallo stesso valì, come risulta dal rapporto del commissario Pestalozza n. 199/80 posizione 2 del 26 febbraio u.s.', inviato in copia anche all'E.V.

Il R. Governo non potrebbe, infatti, tollerare che venisse mantenuto più a lungo in Tripolitania un ambiente di diffidenza contro qualsiasi impresa italiana, ambiente altrettanto pregiudizievole agli interessi locali quanto a quelli italiani.

161

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 435/149. Costantinopoli, 11 marzo 1910. (per. il 17).

Ho ricevuto il dispaccio n. 7 (Segretariato Generale) da VE. direttomi il 21 febbraio u.s. circa il riconoscimento delle succursali del Banco di Roma in Tripolitania e Cirenaica l.

1593 Cfr. n. 75.

4 Cfr. n. 75 nota 2. Per il seguito cfr. n. 166.

1611 Cfr. n. 136.

Il mio rapporto n. 11 O del 22 dello stesso mese2, incrocia tosi con quel dispaccio, ha già messo VE. al corrente del risultato delle pratiche che feci presso la Sublime Porta, tosto che ebbi ricevuto dal commendator Pestalozza un rapporto identico a quello che egli ha diretto il 9 febbraio a V.E.Z.

Il telegramma che a V.E. deve esser giunto dal r. console in Bengasi per annunziarle che quel mutessarif ha ricevuto da Costantinopoli gli ordini pel riconoscimento della locale agenzia del Banco di Roma, ci fornisce una prova che sono state da questo Governo diramate alle autorità locali competenti delle istruzioni in corrispondenza agli accordi presi nel dicembre-gennaio scorsi tra la r. ambasciata e la Sublime Porta.

160 l Non pubblicato.

162

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 438/151. Costantinopoli, 11 marzo 1910 (per. il 16).

Ho l'onore di rispondere al dispaccio n. 8 (Segretariato Generale) del 21 febbraio u.s.I.

Oltre al rapporto n. 532 di cui già avevo ricevuto copia, ho ricevuto in questi giorni, dal r. console generale in Tripoli, copia di altro rapporto n. 80, che egli ha diretto a V.E. il 26 febbraio u.s.3, anch'esso per segnalarle la continuazione di un atteggiamento di diffidenza e di ostilità delle autorità tripoline verso l 'esplicazione di attività economiche italiane in quel vilayet.

Ora, signor ministro, io non mi sono mai fatto illusioni che in Tripolitania e Cirenaica, presso le popolazioni locali e presso molte delle autorità ottomane, siena svanite le diffidenze e le ostilità che nutrivansi a nostro riguardo. Gli attriti del passato furono troppo vivaci e sono troppo recenti; lo spirito di nazionalismo risvegliatosi col nuovo regime costituzionale e tenuto desto nelle provincie dalle locali rappresentanze del Comitato Unione e Progresso, troppo si è sparso tra le popolazioni musulmane dell'Impero, perché io possa illudermi che queste diffidenze abbiano d'un tratto a scomparire e far posto alla franca fiducia. Né è a illudersi che «ordini scritti e perentori» (ripeto le parole del commendator Pestalozza) possano avere un tale effetto. È il tempo, è l 'atteggiamento prudente e paziente dei nostri connazionali e delle nostre autorità, da usarsi senza rinunziare ad alcun progetto di attività economica, ma solo scegliendone la forma di svolgimento più opportuna: che, combinati con le

162 I Cfr. n. 137.

2 R. 126/53 del 9 febbraio, non pubblicato .

.l R. 199/80, non pubblicato.

istruzioni e con l'atteggiamento delle autorità centrali ottomane, potranno farci raggiungere la meta cui vogliamo arrivare.

E che l'atteggiamento e le istruzioni che la Sublime Porta impartisce ai suoi funzionari nel vilayet, e la condotta di S.A. Hakki pascià sieno tali da cooperare a togliere le antiche diffidenze e distruggere gli antichi ordini, e dimostrino sincerità di azione da parte del gran vizir e dei suoi collaboratori, a me non par lecito dubitare dopo le recenti prove avute, e che qui voglio ricordare.

Furono segnalati ritardi per il riconoscimento delle succursali del Banco di Roma in Tripolitania e Cirenaica, in conformità degli accordi intervenuti. Ne parlai al gran vizir ed a Rifaat pascià: ebbi le spiegazioni, certamente plausibili, che a V. E. comunicai col rapporto n. 11 O del 22 febbraio scorso4. Ed oggi abbiamo la prova, nei telegrammi del r. console in Bengasi, che le istruzioni per l'applicazione di quell'accordo sono state impartite ed applicate.

Il r. console in Bengasi segnalò nello scorso febbraio (rapporto n. 95/12)5 nuove difficoltà sorte per le trasferte dei terreni acquistati in Cirenaica da rr. sudditi. Intervenni tosto presso S.A. Hakki pascià. Egli avrebbe potuto limitarsi a telegrafare istruzioni al mutessarif di Bengasi. Invece, per dare solennità maggiore ed assoluta alle decisioni del Governo, in modo da infondere nelle autorità locali il convincimento che l'atteggiamento del Governo centrale, verso le imprese economiche italiane in Tripolitania e Cirenaica è del tutto mutato, ed a spingerle a cambiare esse pure l 'azione loro, considerando come aboliti gli antichi ordini, S.A. volle che il principio della legalità della trasferta dei terreni regolarmente acquistati da nostri connazionali, ed in generale del rispetto di tutti i diritti assicurati agli italiani in base alle leggi ed ai trattati vigenti, avesse la sanzione del Consiglio di Stato, del Consiglio dei ministri, di S.M. il Sultano. E della deliberazione del Consiglio dei Ministri ha potuto prendere visione il commendator Cangià.

Questi sono i «nuovi ordini scritti e perentorii» che devono distruggere quelli antichi. Ed il gran vizir nel ripetermi recentemente le assicurazioni già datemi dal ministro degli affari esteri, manifestava la ferma convinzione che non avrebbe avuto più occasione di ricevere lamenti d eli' ambasciata a proposito degli antichi iradé i quali, al momento presente, destano in lui un sentimento di «semplice ilarità».

Dopo tutto ciò, dopo quanto ho qui ed in altri miei precedenti rapporti esposto a V.E. per spiegare il mutamento di disposizioni avvenuto in questo Governo in riguardo dello svolgimento della nostra attività economica in Tripolitania e Cirenaica, a me pare che S.A. Hakki pascià ed il Governo ottomano tengano l'atteggiamento imparziale di cui ci hanno dato promessa. Per dubitarne occorrono prove positive che solo tra qualche tempo si potrebbero avere. In me si rafforza invece sempre più il convincimento che è localmente che tuttora, per le ragioni sopracitate, qualche diffidenza sussiste; e che è localmente, dalla nostra autorità consolari, dai nostri connazionali, col tatto e con la prudenza, che questo stato di cose può essere mutato.

5 Non rinvenuto nel fascicolo relativo all'affare.

161 2 Non pubblicato.

162 4 Non pubblicato.

163

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 222/69. Pietroburgo, 11 marzo 1910 (per. il 16).

Fin da quando il signor Iswolsky mi parlò per la prima volta dei passi iniziati per una ripresa di contatto col Gabinetto di Vienna, dal modo acrimonioso ed ostile in cui egli in quell'occasione continuò ad esprimersi riguardo alla politica balcanica del conte d' Aehrenthal, non ebbi a trarre molti lieti pronostici circa la riescita finale di tali negoziati. Ebbi già allora l 'impressione che i propositi di pace e di conciliazione che il signor Iswolsky asseriva essere stato l'unico movente delle sue entrature al conte Berchtold fossero più apparenti che reali, che il ministro russo degli affari esteri non avesse in nessun modo rinunziato alle sue animosità personali contro il suo rivale della Ballplatz, e che agli occhi di lui lo scopo principale delle trattative non fosse tanto di giungere sopra basi solide e durature ad un'intesa col Gabinetto di Vienna, quanto quello di dare un mezzo alla diplomazia russa di prendere nella politica balcanica una qualche rivincita. Più quindi che ad un vero tentativo di riavvicinamento, ci trovavamo di fronte ad una nuova fase di quel duello diplomatico Iswolsky-d' Aehrenthal, che da quasi due anni tiene in sospeso l'Europa. Di fronte a queste latenti disposizioni del ministro russo degli affari esteri, che la scaltrezza del conte d'Aehrenthal è riescito facilmente a smascherare, e che fu pronto a corrispondere, come di consueto, con sentimenti di eguale inimicizia, assai prematuro si presentava il raggiungimento di intesa fra i due Gabinetti.

Ed è dovere riconoscere che all'atto pratico il signor Iswolsky nulla fece per facilitare la via al compimento dell'impresa, alla quale si era accinto, potrebbe anzi asserirsi, a giudicare almeno dai fatti esteriori, che egli tutto mise in opera per ostacolarne il favorevole svolgimento. Mai come al tempo in cui correvano più attive in proposito le trattative fra Vienna e Pietroburgo, il linguaggio dei giornali russi, non esclusi quelli che hanno maggiore attinenza col Governo, si addimostrò più acrimonioso ed ostile verso l'Austria-Ungheria, e come già dissi più sopra, nelle conversazioni avute con me in quell'occasione (e, come seppi di poi, pure con altri esteri rappresentanti) il signor Iswolsky continuò ad apertamente dimostrare verso la politica del conte d'Aehrenthal sentimenti improntati a tutt'altro che benevolenza e fiducia. L'aver poi fatto coincidere i negoziati in discorso colla venuta a Pietroburgo dei sovrani balcanici, specialmente del serbo, non è certo atto suscettibile a preparare il terreno favorevole alla ripresa dei buoni rapporti col Governo austro-ungarico.

Non credo che la politica del signor Iswolsky avrà motivo di andare molto orgogliosa dei risultati ottenuti. Come soluzione delle presenti trattative potranno forse i due Governi ufficialmente annunziare la ripresa tra loro di regolari relazioni diplomatiche, ciò non toglie che questi negoziati avranno virtualmente dimostrato all'Europa come nella politica balcanica nei due Gabinetti esistano profonde divergenze, che ad un momento dato potrebbero anche tramutarsi in pericolosi antagonismi, e che quindi da esse la situazione internazionale esce tutt'altro che migliorata.

Fra queste divergenze la maggiore è costituita, a mio credere, dal modo diverso in cui i due Gabinetti considerano presentemente la politica da seguirsi di fronte ai piccoli Stati balcanici. Nel corso dei presenti negoziati il conte d'Aehrenthal ebbe a dichiarare al Gabinetto di Pietroburgo di tenere fede ai principi i sanzionati dali 'accordo austro-russo del 1897, ciò significava, fra l'altro, che egli intendeva nulla mutare a quella politica di disinteressamento verso gli Stati balcanici, contemplata dall'accordo predetto, mentre invece, attualmente, il Gabinetto di Pietroburgo reclama l'interessamento di tutte le Potenze alla indipendenza ed al libero sviluppo degli Stati balcanici stessi. Tale postulato, già proclamato a Racconigi, trovò pure suo posto nella nota formula recentemente presentata dal signor Iswolsky alla approvazione del Gabinetto di Vienna. Sebbene, nella risposta da lui inviata a Pietroburgo il conte d' Aehrenthal nulla vi abbia obiettato, non è men vero però che tale proposta russa assai poco favore incontrò a Vienna, come appare del resto dal comunicato pubblicato a Berlino in occasione della recente visita colà del ministro austro-ungarico, ove questo terzo punto della formula russa venne totalmente omesso, mentre i due altri (mantenimento dello statu quo e benevolo appoggio del nuovo regime in Turchia) ricevettero la sanzione ufficiale dei Gabinetti di Vienna e di Berlino. È d'altronde evidente non essere negli interessi della politica balcanica del conte d'Aehrenthal di fare, con la sua adesione ad un tale principio, il gioco della diplomazia russa, né tampoco di facilitare in qualsiasi modo il compimento di quella unione balcanica, a cui si crede a Vienna stia presentemente lavorando con ogni alacrità il Gabinetto di Pietroburgo.

Parlandomi recentemente di ciò il signor Iswolsky ebbe a dichiararmi nel modo più perentorio che non aveva mai pensato un solo istante di patrocinare una siffatta confederazione, avente scopo di aggressione contro chicchessia, e che egli solo aveva in vista di promuovere, nell'interesse del mantenimento della tranquillità nei Balcani, una pacifica convivenza degli Stati slavi nella penisola.

Queste assicurazioni possono essere conformi al vero; non è da meravigliarsi però, a questo riguardo, che l'azione della diplomazia russa susciti non pochi malumori e diffidenze a Vienna e Costantinopoli, tanto più dopo la chiamata a raccolta che si sta attualmente effettuando a Pietroburgo dei vari sovrani balcanici. Oltre la già avvenuta visita della coppia reale bulgara e quella imminente del re Pietro di Serbia, annunziasi pure prossimo l'arrivo nella capitale russa del principe di Montenegro e dell'erede del trono di Rumania.

Tutte queste visite furono evidentemente ideate dal signor Iswolsky allo scopo di assicurarsi un facile successo personale, e senza troppo riflettere alle conseguenze politiche che ne potranno derivare in seguito.

Le tristi lezioni del passato nulla hanno giovato al ministro russo, ed ad un anno appena di distanza, egli ricade negli stessi errori, che tanto riuscirono funesti alla sua politica. Le chiassose manifestazioni slavofile con cui sarà certamente qui accolta la visita del re di Serbia, non mancheranno di destare a Belgrado le stesse illusioni cui già dette luogo, sul finire del 1908, la visita del principe Giorgio. E nel caso di un risveglio dell'agitazione serba, basterà nuovamente un scmplice cenno minaccioso proveniente da Vienna e da Berlino per costringere la Russia, come un anno fa, alle stesse rinunzie e capitolazioni.

164

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A PIETROBURGO, MELEGARI, E A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 650. Roma, 14 marzo 1910, ore 22.

Il conte Liitzow mi ha dato oggi lettura di una comunicazione del suo Governo contenente la risposta all'ultimo memorandum del Governo russo. Riassumo il documento: «Il Governo Imperiale e Reale è molto lieto esso pure di constatare la conformità dei principi politici dei due Gabinetti sul terreno dei Balcani; è egualmente soddisfatto di dichiarare che, ciò essendo, nulla si oppone più alla ripresa delle relazioni diplomatiche normali fra di loro, e ha già dato istruzioni in questo senso al suo ambasciatore a Pietroburgo. Quanto alla proposta contenuta nel primo memorandum russo e rinnovata nel secondo, il Governo Imperiale e Reale crede che le obiezioni da esso già sollevate non abbiano perduto del loro valore. Una comunicazione ufficiale diretta dall'Austria-Ungheria e dalla Russia alle altre Potenze, invitandole ad associarsi ai principi politici delle due prime, potrebbe supporre che un accordo esiste fra questi; mentre, come fu constatato, un accordo non entra nelle vedute dei due Gabinetti. D'altra parte, quei principi politici non avendo variato, e nessun fatto nuovo essendo sopravvenuto, sembra inutile di provocare una manifestazione solenne delle Potenze, le quali tutte, del resto, hanno già ripetutamente espresso il proposito di mantenere lo statu quo nei Balcani. Riassumendo: le relazioni diplomatiche normali sono riprese fra l'Austria-Ungheria e la Russia: è stata constatata fra di esse una perfetta conformità di idee nelle questioni balcaniche: il Governo Imperiale e Reale quindi, senza insistere più oltre nella proposta pubblicazione di un comunicato, si riserva di illuminare, nella forma che gli parrà migliore, l'opinione pubblica della Monarchia, circa l'esito di questi negoziati».

165

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 321/211. Atene, 14 marzo 1910 (per. il 18).

Questo ministro ottomano mi ha detto che in seguito alle voci ripetute in questi ultimi tempi d'una partecipazione della Turchia ad una lega balcanica, il suo Governo lo ha autorizzato ad approfittare di ogni propizia occasione per ren

der nota anche presso i suoi colleghi la vera portata della recente visita del signor Milovanovié a Costantinopoli.

In quella visita, dovuta all'iniziativa del ministro degli affari esteri serbo, sono state scambiate vedute dalle quali risultò confermata la mutua volontà dei due Stati di mantenere inalterato lo status quo; furono considerate con benevolenza da parte della Sublime Porta le proposte di miglioramento delle relazioni economiche fra i due Paesi, ma non fu tenuta parola di nuove combinazioni politiche. Avendo il signor Milovanovié accennato al desiderio del suo sovrano di recarsi a Costantinopoli, quel desiderio fu accolto dalla Sublime Porta con compiacimento. Ogni altro significato attribuito alle conversazioni del signor Milovanovié con gli uomini di Stato ottomani è da scartarsi come presunzione priva di fondamento.

Queste in sostanza le dichiarazioni autorizzate fattemi da Naby bey, il quale mi ha aggiunto che anche la prossima visita del re di Bulgaria era parimenti dovuta all'iniziativa di quel sovrano, auspice il Governo di Pietroburgo.

Naby bey mi ha lasciato chiaramente comprendere che al suo Governo premeva innanzi tutto d'allontanare i sospetti che quelle visite avrebbero potuto sollevare a Vienna e a Berlino, mentre la politica ottomana ha interesse sommo a conservare intatte le sue ottime relazioni con tutte le Grandi Potenze. Del resto, secondo l'avviso del mio interlocutore, quelle visite avevano per la Turchia non comune valore in quanto erano destinate a far dileguare, per quest'anno almeno, il pericolo di complicazioni nei Balcani, ciò che, anche nei riguardi della questione cretese e dei rapporti con la Grecia rappresentava una garanzia di pace.

166

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. CONFIDENZIALE 321/123. Il Cairo, 14 marzo 1910.

Ho l'onore di accludere una lettera direttami il 9 corrente dal signor Insabato e la traduzione di tre lettere di Senussiti a Mohammed Alì E lui I. Accludo pure una relazione del r. interprete cavalier Crolla sulla quale attiro l'attenzione di codesto Ministero. In sostanza, Mohammed Alì, pel tramite di Insabato, rivolge un ultimatum al

R. Governo, con minacce pel caso non si accolgano le sue proposte.

Sta al R. Governo decidere se sia nella sua dignità di sottomettersi. Per quanto mi riguarda personalmente, ho detto al signor Insabato che le minacce mi producono effetto contrario a quello sperato.

A titolo di notizia rammenterò che quando nel giugno 1908 Mohammed Alì ci fece pervenire un ultimatum analogo a proposito della Scuola Tahdirieh, S.E. Tittoni mi telegrafò che il R. Governo non subisce imposizioni (telegramma 12 giugno 1908).

Dal promemoria del cavalier Crolla, di cui è ben nota la competenza e l'esperienza, risulta tutta la vanità delle minacce assurde di Mohammed Alì. L'unico punto dubbio sta nell'influenza che Mohammed Alì esercita sullo scec Abdel Rahman Fleisce, il quale potrebbe danneggiare il noto progetto della istituzione del Ruak Somalo eritreo. Ma Lusena bey, presidente del Comitato della Dante Alighieri, mi ha assicurato che egli si fa forte di tenere il detto scec anche se Mohammed Alì ci si volta contro o se lo si destituisse. Ed a Lusena bey, che parla correntemente l'arabo ed ha tanta pratica di questo paese, possiamo prestar fede.

Dalle lettere dei senussi risulta che solamente al dono di armi e munizioni essi annettono valore. Dalla lettera di Insabato trasmessa col mio rapporto dell'8 corrente n. 1152, risulta che solo in cambio di due o tremila fucili il Senussi è disposto a entrare in serie trattative. Ma aperture in questo senso furono già fatte al R. Governo per mezzo del r. console a Bengazi, cavalier Bernabei, lo scorso autunno. Ora, se il R. Governo intendesse entrare in questa via, sarà così ingenuo di servirsi del tramite di Mohammed Alì, con la certezza che la cosa sarà risaputa a Costantinopoli, dagli inglesi e poi dai francesi? E, per contro, rammento che il cavalier Bernabei suggeriva un modo pratico di attuare il piano senza troppo pericolo di comprometterci.

Io mi domando inoltre come si possa seriamente affacciare il progetto di valerci del dragomanno, per quanto onorario, di un r. ufficio diplomatico per una bisogna cotanto delicata e compromettente, qual' è quella di inviare, o solamente promettere armi al Senussi in guerra contro la Francia.

Se il R. Governo (Regi Ministeri degli esteri e dell'interno) decidesse di attuare nei modi proposti, qui in Cairo, un negoziato di quel genere, è mio debito di coscienza rispettosamente far presente a V.E. che io non mi ritengo di essere il funzionario adatto ad eseguire un tale mandato. Oramai per la precedente mia attitudine, conforme le istruzioni di S.E. Tittoni, è difficile che l'opera mia possa essere considerata senza diffidenza dal Mohammed Alì e dai suoi amici -senza contare che temerei di compromettere irrimediabilmente la mia riputazione professionale.

Mi permetta quindi l'E.V. di insistere sulla domanda fatta col telegramma 27 gennaio scorso n. 43 e col rapporto 8 febbraio scorso n. 654, di ricevere istruzioni

1662 Cfr. n. 159.

3 Cfr. n. 75.

4 Cfr. n. 75 nota 2.

generali, dirette a questo ufficio, circa l'azione politica da esercitare nei riguardi dell'elemento indigeno. L'aver messo il dottor Insabato alla mia dipendenza non chiarisce la situazione, ma implica, per contro la mia responsabilità nell'azione esercitata da Insabato e da Mohammed Alì. Mi conceda l 'E. V. di rispettosamente declinare questa responsabilità5.

166 l Non pubblicate.

167

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA E PARIGI E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

D.I. Roma, 15 marzo 1910.

A complemento delle informazioni trasmesse alla E.V./S.V. relativamente ai viaggi a Pietroburgo dei sovrani di Bulgaria e di Serbia ed alla impressione manifestatasi nei Gabinetti interessati più direttamente nella questione balcanica, mi pregio di qui riassumere, per sua notizia, altri ragguagli che, sullo stesso argomento, mi pervennero in questi giorni dalle rr. ambasciate in Costantinopoli, Pietroburgo e Vienna e dalla r. legazione in Sofia.

Anzitutto, fino dal 9 corrente, il generale Paprikoff dichiarava al r. ministro in Sofia, che il re Ferdinando ed il Governo bulgaro erano completamente soddisfatti del viaggio della Maestà Sua a Pietroburgo2; e, quanto ai risultati della visita, si riferiva al comunicato ufficiale apparso a mezzo de li 'agenzia Vestnic, al quale egli non trovava di poter altro aggiungere.

Colla stessa occasione, il generale Paprikoff informava confidenzialmente il cavalier Cucchi che re Ferdinando aveva intenzione di recarsi prossimamente a Costantinopoli.

Il signor lswolsky, per parte sua, nello intrattenere il cavalier Melegari della sfavorevole impressione suscitata a Costantinopoli dalla visita a Pietroburgo di re Ferdinando, esprimeva l'avviso che tale malumore fosse esagerato, giacché, eccettuate forse le note dichiarazioni a giornalisti attribuite a Paprikoff, delle quali questi contestava del resto l'esattezza, nelle manifestazioni ufficiali avvenute durante quella visita, che tutte miravano al mantenimento dello statu quo della pace interna dei Balcani, nulla era suscettibile di destare le diffidenze del Governo ottomano. Dopo quanto aveva fatto la Russia per la Bulgaria, era naturale che la prima visita del nuovo re fosse a Pietroburgo, e che nei discorsi scambiati fra i

due sovrani si ritrovasse un'eco dei sentimenti tradizionali di simpatia che uniscono i due Paesi. Iswolsky si rendeva pure conto del fatto che la visita a Pietroburga di re Ferdinando, e tanto più poi quella del re di Serbia, poco dovessero garbare al Gabinetto austriaco e non escludeva che ciò potesse anche influire sulle disposizioni di quest'ultimo rispetto alle trattative in corso per il riavvicinamento austro-russo3.

Di ciò Iswolsky dimostrava essere tanto più spiacente in quanto che egli giudicava poco rassicurante la presente fase politica. Per parte sua egli, come si era studiato di dimostrarlo nel suo comunicato ufficioso, durante la presenza degli ospiti bulgari aveva diretta la propria azione allo scopo esclusivo del mantenimento della pace. Alle apprensioni che gli erano state espresse dai ministri bulgari riguardo alla instabilità del nuovo regime turco ed alla politica di vessazioni seguita in Macedonia dal Governo ottomano, egli aveva risposto dimostrando di ritenere tali apprensioni esagerate e rinnovando i suoi consigli di prudenza e di moderazione.

In via confidenziale, egli aggiungeva, però, che il pessimismo dei bulgari era, in gran parte, da lui diviso; ed esprimeva il timore che, se la Sublime Porta non si deciderà ad attuare sinceramente il promesso programma basato su principio di tolleranza verso tutte le nazionalità, nuove complicazioni in Macedonia siano da attendersi in un non lontano avvenire.

In ordine al comunicato ufficiale di Iswolsky, il conte d'Aehrenthal dichiarava, il l O corrente, al r. ambasciatore in Vienna4 che le dichiarazioni in esso contenute, circa lo scopo cui la Russia mirava nei Balcani, erano state da lui accolte con soddisfazione. Non dubitava che il signor Iswolsky avesse dato consigli di prudenza e di moderazione al re Ferdinando, impegnandolo a non sollevare complicazioni in Turchia. Ed era, infatti, nell'interesse della Russia, come delle altre Potenze, che la pace non fosse turbata.

Non potevasi, però, negare che il momento scelto per la visita del re Ferdinando e per quella successiva del re di Serbia non fosse molto opportuno. D'altra parte, tali visite, date le velleità di espansioni degli Stati balcanici, non avrebbero potuto che fornire nuovo alimento a quelle velleità. Malgrado ciò e malgrado le interviste date da Paprikoff a Pietroburgo ed il linguaggio della stampa russa, egli considerava il procedersi di quelle visite sovrane con molta calma.

Anche S.A. il Gran Vizir, in un colloquio col r. ambasciatore in Costantinopoli\ si dimostrava compiaciuto del comunicato russo circa la visita di re Ferdinando; non senza rilevare, però, in via incidentale, poter essere esso conseguenza dell'altro comunicato di Berlino che ha prodotto in Turchia profonda impressione.

Quanto alle dichiarazioni attribuite a Paprikoff, il gran vizir disse di avere preso atto delle spiegazioni date dal ministro di Bulgaria intese a smentirle; ed aggiunse che a quelle dichiarazioni egli non aveva dato troppo peso, come non

4 T. 790/69 del l O marzo, non pubblicato.

5 T. 762/64 dell'S marzo, non pubblicato.

ne dava ad altro recente discorso poco amichevole verso la Turchia, pronunciato dal ministro dell'interno bulgaro. Sua Altezza osservava essere egli ormai abituato a queste postume smentite e rettificazioni di dichiarazioni realmente fatte dai ministri bulgari; i quali sarebbe tempo cominciassero a pesare più e meglio le parole dette in pubblico e ad avere un concetto più adeguato loro responsabilità. Sarebbe pure tempo che i governanti bulgari si persuadessero che, con assumere, di tanto in tanto, un linguaggio minaccioso e provocante, essi possono, ad un momento dato, stancare la pazienza della Turchia e porre a serio pericolo le relazioni fra i due Paesi. Il gran vizir non dubitava delle intenzioni pacifiche di re Ferdinando, ma temeva che egli potesse, in certe date circostanze, essere, per motivi interni, trascinato da correnti più bellicose.

Relativamente al discorso del ministro dell'interno bulgaro, cui il gran vizir aveva accennato nel suo colloquio, il r. ambasciatore avverte aver saputo, poi, dal ministro di Bulgaria, che questi aveva dimostrato al ministro degli affari esteri ottomano come quel discorso non fosse stato, in fatto, pronunziato, e non figurasse nel processo verbale delle sedute del Sobranie.

Continuando a riferire circa l'atteggiamento del Governo imperiale verso la Bulgaria, il r. ambasciatore mi informa che, secondo gli risultava da buona fonte, il ministro ottomano a Sofia ha ricevuto istruzione di tenere contegno amichevole verso i ministri bulgari al loro ritorno da Pietroburgo. Qualora, però, essi, nei colloqui con lui, assumessero tono altezzoso, il ministro dovrà replicare con massima energia, tenendo presente che il Governo imperiale è ormai preparato a qualsiasi eventualità.

Il r. ambasciatore aggiunge che da tali informazioni, come dall'insieme del linguaggio che gli è stato tenuto dalla Sublime Porta, egli ha tratta la impressione che la Turchia, profittando anche delle intemperanze di linguaggio dei ministri bulgari, cerchi di creare imbarazzi allo attuale Gabinetto di Sofia, ed abbia la intenzione di provocare, assumendo un contegno minaccioso, la caduta del Gabinetto stesso.

Per quanto riguarda, finalmente, il soggiorno fatto a Costantinopoli dal ministro degli affari esteri di Serbia, ecco quanto mi telegrafava in data l O corrente il

r. ambasciatore in Vienna6:

«Aehrenthal mi ha detto che, a quanto eragli stato riferito da Pallavicini, sembrava che, tanto Rifaat pascià, quanto Milovanovié, fossero stati soddisfatti dei colloqui avuti tra di loro.

Milovanovié avrebbe assicurato Rifaat pascià del fermo proposito del Governo serbo mantenere più cordiali relazioni colla Turchia. Rifaat pascià l 'avrebbe allora consigliato adoperarsi mantenere pure cordiali relazioni coll'Austria-Ungheria. Al che Milovanovié avrebbe replicato che i suoi sforzi tendevano infatti a tale scopo.

1676 T. 788/67. Il telegramma fu trascritto con l'omissione dell'ultimo periodo («Avendo chiesto ad Aehrenthal se fosse esatto che il re Ferdinando si sarebbe pure recato a Costantinopoli per far visita al sultano, egli ha risposto non risultargli che questa dovesse avere luogo per ora»).

Nei detti colloquii, si sarebbe pure parlato dei negoziati pel trattato serboturco ed il Milovanovié avrebbe annunziato la prossima visita del re di Serbia al sultano».

Questa ultima informazione è conforme a quanto mi era stato partecipato dal

r. ambasciatore in Costantinopoli?, al quale il signor Milovanovié, nel partire da quella capitale, aveva infatti confidato di avere preso tutti gli accordi per una prossima visita al sultano del re di Serbia, che partendo da Pietroburgo si sarebbe recato a Costantinopoli, via Odessa.

166 5 Per la risposta cfr. n. 214. 167 l Tale dispaccio fu inviato alle ambasciate a Berlino, Londra e Parigi e alla legazione a Belgrado con i rispettivi numeri 114, 137, 152 e 23. 2 T. 777/22 del 9 marzo, non pubblicato.

167 3 T. 732/33 del 4 marzo, non pubblicato.

168

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 838/73. Vienna, l 6 marzo 1910, ore 20,l5 (per. ore 23,10).

Nell'accennare tendenza che constatavasi negli Stati balcanici unirsi fra loro, Aehrenthal ha rilevato che tale tendenza, che sembrava doversi attribuire consigli di Izwolskij, non era vista molto di buon occhio dalla Turchia. Egli avrebbe compreso costituzione di una lega fra vari Stati balcanici, qualora fosse stata formata sotto direzione Turchia ed alla condizione che quegli Stati avessero dichiarato formalmente rinunziare loro aspirazioni nazionali. Ma tale lega era da lui considerata quale un 'utopia e come non realizzabile.

169

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 401/150. Londra, 16 marzo 1910 (per. il 23).

Non essendovi qui ricevimenti settimanali al Foreign Office e non avendo avuto occasione ultimamente di incontrare sir Charles Hardinge né di andarlo a vedere per qualche determinato affare, mi recai ieri a fare una visita a Mr. Tyrrell, che è il capo di Gabinetto di sir Edward Grey.

Nel corso della nostra amichevole conversazione parlammo del riavvicinamento austro-russo. Egli mi disse che, per quanto risultava al Foreign Office, questo si sarebbe limitato finora alla constatazione che le relazioni normali fra i due Paesi erano ristabilite e si era continuato con uno scambio di vedute sulla si

tuazione generale e più particolarmente sugli affari balcanici, naturale tra due Gabinetti che, pur avendo tanti punti di comune interesse, erano rimasti per più di un anno senza discorrerne. Il Governo britannico considerava favorevolmente questo riavvicinamento come atto a facilitare il mantenimento della pace europea nel caso che fossero nati incidenti e complicazioni nei Balcani: un riavvicinamento tra i due Imperi era stato anzi sempre nel desiderio del Governo britannico (come anche aveva accennato il marchese di San Giuliano nel suo rapporto del 30 dicembre ultimo scorso numero 675)1.

Mr. Tyrrell poi aggiunse che egli non credeva che i due Gabinetti avrebbero finito per mettere in iscritto le loro conclusioni che riteneva ad ogni modo non potrebbero essere che uno sviluppo della nota formula di Racconigi.

Queste informazioni coincidono con quelle contenute nel telegramma del marchese Imperiali n. 63 del 4 marzo2, comunicatomi da V.E. Il punto di vista del Governo britannico quale me lo ha esposto Mr. Tyrrell coincide pure con quanto riferivo nel mio rapporto dell' 11 febbraio ultimo scorso n. 923.

Discorrendo col consigliere di questa ambasciata di Russia ne ebbi informazioni sostanzialmente analoghe: egli mi disse però che non sapeva se le trattative continuavano e se vi era ora l'intenzione di mettere le conclusioni per iscritto.

Questo ministro di Francia e questo consigliere di Turchia, premesso che erano incompletamente informati, mi hanno invece detto che, secondo quanto avevano creduto capire il Governo russo avrebbe desiderato firmare una dichiarazione che constatasse l'accordo dei due Paesi sulla nota formula, mentre il conte d'Aehrenthall'avrebbe considerata inutile ed avrebbe replicato richiamandosi piuttosto ai principii informatori dell'accordo di Miirzsteg: sarebbe così nata una nuova causa di frizione tra Izwolskij ed Aehrenthal per cui queste trattative non avrebbero in fondo affatto assopito le diffidenze e le antipatie personali tra i due uomini di Stato.

Quanto precede ho creduto opportuno riferire a V.E. come eventuale contributo alle notizie che le saranno pervenute da fonti meglio al corrente dello stato reale della questione.

167 7 T. 774/67 del 9 marzo, non pubblicato.

170

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. CONFIDENZIALE. Berlino, 18 marzo 1910.

Avrò il piacere di salutarla fra pochi giorni in Roma: ma stimo nonostante opportuno di scriverle circa il seguito dell'incidente Pichon. Giacché il suo principio fu messo in carta, val meglio che su carta ne risulti pure la fine.

2 Cfr. n. 154.

3 In realtà si tratta del rapporto del 19 febbraio (cfr. n. 129).

Come le dissi, rimanevo in qualche dubbio circa l'opportunità di una domanda di spiegazioni a Cambon, che desideravo per mio conto personale, ma che temevo potesse forse dare nuovo alimento all'equivoco avvenuto. Nel frattempo però seppi da Szogyeny che una interrogazione analoga a quella di Pichon a San Giuliano era pure stata fatta da Crozier a Aehrenthal in Vienna. Ciò mi decise a mettere in chiaro le cose: e quindi, dopo di essermi consigliato con lo stesso Szogyeny, mi recai da Cambon. Ricordatogli il tenore del nostro colloquio del mese scorso, e ciò nei termini precisi riprodotti nella mia lettera a lei', gli chiesi come mai il signor Pichon avesse potuto scorgervi la rilevazione di un supposto accordo specifico la cui esistenza io avevo anzi negata. Cambon subito riconobbe lealmente quelle e non altre essere state le mie parole, e mi assicurò averle in quel senso generalmente riferite a Pichon. Egli aggiunse aver ciò fatto per riguardo in ispecie alla mia osservazione, che gli era parsa degna di nota, nel senso cioè che uno scambio diretto di dichiarazioni fra Vienna e Pietroburgo pel mantenimento dello status quo nei Balcani avrebbe utilmente completato quelle a noi fatte al medesimo scopo. Egli stesso ricordava però perfettamente che io mi ero riferito soltanto ai discorsi tenuti in proposito da Tittoni al nostro Parlamento e dal ministro Bienerth al Reichsrath. Quanto al passo di Pichon, egli non poteva dire se questi avesse frainteso o se fosse stato un suo espediente per tirer !es vers du nez al suo interlocutore. Alla mia osservazione essere stato quello in ogni caso un modo di procedere poco prudente, Cambon si strinse nelle spalle, rilevando che il suo ministro, malgrado molti meriti, non sapeva spogliarsi delle vecchie abitudini del giornalista. Egli mi pregava, disse, di accettare le sue scuse, per sé e per M. Pichon: e conchiuse: «Ceci me servira de règle pour une autre fois». Mi disse pure che scriverà per rimettere le cose a posto.

Per sua completa edificazione, ho riprodotto così letteralmente le parole di Cambon, da rimanere beninteso fra noi in quanto concernono gli apprezzamenti sul suo ministro. Può darsi che, come egli lo suppose, questi abbia agito a uso reporter, ma non è da escludersi che vi sia stato un semplice malinteso. Ne sono avvenuti di più singolari, come per esempio nei colloqui di Aehrenthal che nel settembre 1908 riteneva aver detto le stesse cose circa la Bosnia a Iswolsky, a Schoen ed a Tittoni, mentre ciascuno di questi intese cose diverse.

Di quanto precede ho ad ogni modo informato Szogyeny che mi ha pienamente soddisfatto. Ed oggi poi avendo veduto SchOn ed il cancelliere che sapevo essere edotti dei precedenti del caso, ho stimato utile di darne anche a loro la spiegazione. Entrambi se ne mostrarono persuasi ed anzi Bethmann-Hollweg mi dichiarò non avervi mai dato importanza -giacché quand'anche penetrasse vagamente nel pubblico l 'idea che il mantenimento dello statu quo in Oriente è assicurato da accordi più o meno positivi tra le Potenze interessate, l'effetto non potrebbe esserne che tranquillante. L'osservazione è giusta; ma rilevai che mi premeva ad ogni buon fine di stabilire che, se indiscrezione vi fu, questa non proveniva da parte nostra.

1701 Cfr. n. 139.

169 l Non rinvenuto.

171

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RUSPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE 680/79. Parigi, 20 marzo 1910, ore 19,50 (per. ore 21,40).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 661' ed al mio telegramma n. 762. Questo ministro degli affari esteri col quale ebbi occasione tornare su argomento commercio armi in Abissinia, mi disse condividere interamente vedute di V.E. ed essere convinto necessità che tre Potenze firmatarie accordo Londra trovino modo adoperarsi nel senso indicato da V.E. Per sua parte prometteva fare tutto il possibile ed avrebbe inviato [istruzionip ministro della Repubblica ad Addis Abeba ed avrebbe cercato agire anche qui presso case fornitrici.

172

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. PERSONALE 896/791. Vienna, 21 marzo 1910, ore 8,30 (per. ore 22,05).

Aehrenthal mi ha detto che aveva stimato far conoscere preventivamente testo comunicato, pubblicato oggi Fremdenblatt, circa ripresa relazioni normali tra Austria-Ungheria e Russia, ad lzwolskij, il quale avevalo fatto informare della sua intenzione pubblicare pure, in proposito, comunicato, di cui, però, non avevagli fatto conoscere tenore. Aehrenthal ha aggiunto che non credeva pronunziarsi circa tale procedere del signor Izwolskij. Accennando, poi, comunicazione fatta dal signor Izwolskij alle Potenze dei telegrammi da lui diretti a questo incaricato d'affari russo e dei pro-memoria scambiati tra Pietroburgo e Vienna, Aehrenthal ha osservato che egli non avrebbe seguito ministro imperiale su quella via per ragioni già esposte nel proprio comunicato, le quali costituivano punto di vista da lui sempre sostenuto fin dal primo momento in cui erano state iniziate sue conversazioni con Izwolskij.

D'altra parte, non sarebbe stato opportuno, a suo avviso, che due Gabinetti avessero pubblicato un identico comunicato perché ciò avrebbe potuto far supporre che Austria-Ungheria volesse assumere un role speciale nei Balcani. Doveva

2 T. 852/76 del 18 marzo, non pubblicato.

3 Integrazione del decifratore.

però rettificare primo alinea pro-memoria diretto dal signor Izwolskij alle Potenze, in cui si parlava dell'articolo Rivista inglese. Conte Berchtold non aveva chiesto affatto al signor Izwolskij indicargli forma che Gabinetto di Vienna avrebbe potuto dare ad una rettifica di quell'articolo. Ma aveva domandato che due Gabinetti illuminassero opinione pubblica, nel modo che credessero più opportuno, per far constatare che pubblicazione tale articolo, come quella dell'articolo comparso precedentemente nella stessa Rivista, non aveva alcun carattere di autenticità, che a quella pubblicazione erano del tutto estranei due Gabinetti.

Aehrenthal mi ha detto che si riservava ritornare su tale argomento.

171 l T. del 16 marzo, non pubblicato.

172 l Comunicato con T. 709 del 22 marzo all'ambasciata a Pietroburgo.

173

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 887/39. Pietroburgo, 21 marzo 1910, ore 17,40 (per. ore 20,30).

Izwolskij, parlandomi jeri del comunicato che, circa le trattative austro-russe stava per pubblicare, non si nascondeva che esso poco avrebbe garbato a Vienna, ma aggiunse che era il solo mezzo di far cadere le voci calunniose, tendenziosamente propalate circa i propositi della politica russa in Oriente. Del resto, Aehrenthal non aveva il diritto di adontarsi per la pubblicazione di documenti diplomatici, avendo egli, per il primo, ricorso ad un tale espediente.

174

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE RISERVATISSIMO 898/41. Addis Abeba, 21 marzo 1910 (per. ore 13,15 del 22)1.

Oggi tutti i capi Scioa, presenti Addis-Abeba, previo accordo si sono presentati abuna Mathios chiedendo essere prosciolti giuramento solenne, prestato nell'ottobre scorso, di fedeltà ed obbedienza alle ultime volontà di Menelik, che nominava suo successore ligg Jasu ed a tutore e reggente ras Tesamma. Capi Scioa dichiararono non voler oltre sottostare governo dispotico imperatrice ed incaricarono abuna chiedere ad essa ragione dei suoi ultimi atti di governo diretti a to

gliere ogni autorità e prestigio ai capi Scioa nominati da Menelik, dichiarandosi decisi agire a tutela loro diritti. Capi Scioa invitarono ras Tesamma pronunciarsi in loro favore ed in favore imperatrice ed in quest'ultimo caso decisero abbandonare Addis-Abeba coi loro soldati e costituire altro governo. Ras Tesamma, benché ancora titubante, si deciderà in favore capi Scioa. Fitaurari Apte Ghiorghis profittando malattia, che intenzionata (?)2 lo tiene da qualche tempo apparentemente estraneo affari, non si è ancora pronunciato. Ras Micael e ras Uold Ghiorghis sono certamente favorevoli capi Scioa. Movimento è diretto contro persona imperatrice e non contro erede trono che capi rivoltosi anzi guardano a vista per prevenire qualsiasi tentativo imperatrice a suo riguardo. Tra i capi Scioa è stato discusso atteggiamento da prendere verso le Potenze europee qui rappresentate e sembra abbiano deciso assicurare ufficialmente ministri che il loro atteggiamento è assolutamente deferente ed amichevole verso le Potenze suddette. È stato parimenti discusso atteggiamento che le Potenze europee direttamente interessate in Etiopia assumeranno di fronte a presente conflitto tra i capi Scioia e imperatrice. Per quanto ci riguarda, mi risulta che degiac Garasellassi si è portato garante che nessun atto ostilità o partigianeria potrà venire dall'Italia. lo credo che conflitto avrà ancora questa volta soluzione pacifica.

174 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore Il,l O.

175

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 908/44. Addis Abeba, 22 marzo 1910 (per. ore 12,35 del 23) 1·

Faccio seguito al mio telegramma 422. In una nuova, solenne riunione tenuta oggi, capi Scioa hanno deciso di togliere imperatrice ogni ingerenza negli affari di Stato, ma di impedire sua partenza, come essa desidererebbe, costringendola invece rimanere nel «Ghebi» imperiale sotto sorveglianza del Governo. Essi hanno fatto prestare giuramento, nelle mani dell'abuna, a ras Tesamma, a fitaurari Apte Ghiorghis ed agli altri componenti attuale Governo di agire conformemente alle ultime volontà del negus e di escludere assolutamente consiglio ed ingerenza imperatrice da qualsiasi atto di governo. Hanno altresì deciso che tutte le sostituzioni di comando avvenute in questo periodo di tempo nelle provincie per opera

2 T. 906/42, pari data, non pubblicato, col quale Colli riferiva a proposito della richiesta di protezione avanzatagli dall'imperatrice. Aggiungeva di aver, in seguito a ciò, rassicurato ras Tesamma della estraneità italiana alle questioni interne dell'Etiopia.

dell'imperatrice siano annullate e gli antichi capi reintegrati nel loro comando a seconda loro diritto. Tali decisioni saranno comunicate all'imperatrice.

Questa mattina imperatrice mi ha scritto personalmente protestando contro pronunciamento capi Scioa e notificandomi che essa si conforma rassegnata alla loro volontà ed ha rinunziato ad ogni ingerenza negli affari di Stato, ma domanda di essere autorizzata ritirarsi nel suo paese coi suoi averi ed implora appoggio della mia influenza e del mio consiglio per indurre capi Scioa ed esaudirla. Ho risposto imperatrice che essa poteva contare sull'appoggio morale e sulla simpatia del mio Governo per quanto concerne sua persona, all'infuori di ogni intervento

o ingerenza negli affari politici interni dell'Etiopia, e, nello stesso tempo, ho comunicato ras Tesamma mio desiderio conferire con lui sulla situazione. Credo che la crisi può ritenersi, per il momento, risolta, colla esclusione di ogni ingerenza dell'imperatrice negli affari di Stato, e non credo neppure possano, per il momento, nascere complicazioni o conflitti gravi fra aderenti imperatrice e capi Scioani. Degiac Abatè è stato autorizzato venire immediatamente Addis Abeba.

174 2 Il punto interrogativo è del decifratore. Presumibilmente sta per intenzionalmente.

175 1 Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore 22, l O.

176

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 181/44. Cettigne, 22 marzo 1910 (per. il 1° aprile).

Dalle informazioni assunte, dopo il mio ritorno dal congedo, presso le persone che sono a giorno delle cose del Paese, non ho potuto rilevare che siano occorsi qui ultimamente fatti di qualche importanza, che non siano già noti all'E.V. Ciò mi risulta, del resto, anche dai colloqui avuti col principe Nicola.

Le relazioni con la Serbia sono divenute corrette, ma non cordiali, come alcuno sperava, dopo la parziale soddisfazione data dal Gabinetto di Belgrado al Governo principesco con la espulsione di otto compromessi politici montenegrini dal territorio serbo. Le radici dell'antipatia e della diffidenza fra i due Stati sono più profonde e tenaci. Esse non potevano essere recise col semplice provvedimento della espulsione, se anche fosse stato più largo, come non lo sarebbero neppure se l 'inviso ed incriminato signor Pasié venisse allontanato dal potere. Ma, per ora, il Montenegro non vuole spingere troppo oltre la questione degli emigrati politici in Serbia, né dare al più grave ed essenziale dissidio con quello Stato un carattere troppo acuto. Molte cose, fra cui queste, passano nel momento attuale in seconda linea e sono subordinate al desiderio di festeggiare fra la calma, la serenità degli animi, la concordia, e gli affetti di famiglia l'anno giubilare del principe Nicola.

Ciò che turba al presente il pensiero di Sua Altezza Reale è la esclusione sua dal movimento dei sovrani balcanici slavi, bulgaro e serbo, i quali pacificatisi, riavvicinatisi e intesi fra di loro, auspice la Russia, si sono recati, l 'uno dopo l'altro, a Pietroburgo ed a Costantinopoli. Il Montenegro non fu invitato a fare alcuna mossa nel medesimo senso, e ciò è interpretato come una mancanza di considerazione che si ha per esso, che pur si crede uno dei fattori importanti della politica balcanica.

Per questo è nato qui un certo malumore verso la Russia, che si è in questi ultimi giorni accentuato pel rifiuto opposto da essa di accordare al Principato un aumento del sussidio annuo finora pagato pel mantenimento dell'esercito, aumento necessario ad attuare la nuova legge militare.

Non vi è ancora verun indizio che autorizzi a supporlo, ma non avrebbe da recare meraviglia se il Governo principesco in un prossimo avvenire tendesse l'orecchio alle lusinghe austriache, e rendesse più cordiali i suoi rapporti con la vicina monarchia. Ma, secondo il mio modesto avviso, un siffatto eventuale mutamento non sarebbe radicale, e non allontanerebbe seriamente il Montenegro dalla Russia. Se il giorno venisse del vero pericolo e dell'azione, il piccolo Principato entrerebbe senza fallo nell'orbita del suo secolare amico e protettore.

177

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 911/26. Gerba, 23 marzo 1910, ore 11 (per. ore 17,10).

Fosfati. Bresciani partito jeri lunedì per Cairo con notabili arabi-tripolini per concretare, a seconda desiderio di questo valì, società ottomana anonima francoitalo-egiziana in unione al gruppo arabo-ottomano-tripolino costituitosi domenica sera davanti valì, per opera signor Gutovsky, comune amico mio e di Bresciani; quel signore mi ha assicurato che valì ha telegrafato jeri al gran vizir annunziando costituzione Sindacato arabo-ottomano per lavori miniere, porto, ferrovia con partecipazione tecnico-finanziaria francese, italiana, egiziana, pregando insistentemente che nessuna concessione venga data per Tripolitania, poiché questo forte sindacato si incaricherebbe di tutto, appena definitivamente costituito. Notabili arabi, partiti con Bresciani, mi hanno confermato tali assicurazioni. In relazione al post scriptum del mio rapporto del 18 n. l 051, che io confermo con le presenti aggiunte, V.E. giudicherà in qual senso più opportuno informarne agenzia diplomatica Cairo e r. ambasciatore Costantinopoli, previo concerto con codesto Banco di Roma. Bresciani sarà sabato Alessandria. Stamane valì mi ha spontaneamente confermato quanto precede.

177 I R. 260/105, non pubblicato, col quale Pestalozza comunicava la proposta del valì relativa alla società anonima ottomana, oggetto del presente telegramma. Si riferiva, inoltre, il desiderio di Hussein Husni pascià che l'ambasciata od il consolato non figurassero nelle trattative.

178

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 392/36. Budapest, 23 marzo 1910 (per. il 28).

Per quell'interesse geloso che l'Ungheria porta a ciò che l'Italia resti strettamente fedele alla Triplice Alleanza, e che io mi sono sforzato a descrivere nel mio carteggio e soprattutto nel mio rapporto del 9 gennaio n. 38/41, il viaggio del cancelliere germanico a Roma fu accolto qui con viva simpatia2. Si fece rilevare che la crisi attuale del Gabinetto italiano non nuoce per nulla all'importanza ed ali'efficacia di quel viaggio, perché la permanenza del sentimento favorevole alla Triplice Alleanza sfida ormai in Italia ogni mutamento di uomini e di Governi; e fu appreso con plauso il conferimento del Collare de li'Annunziata al Bethmann-Hollweg, ravvisandosi in ciò una manifestazione di speciale cortesia accordata alla Germania dal nostro sovrano e dal suo Governo.

È opportuno, io credo, collegare, nei suoi effetti sull'opinione pubblica ungherese, questo recentissimo fatto della politica internazionale con altri ormai più antichi, ma sui quali, nella mia corrispondenza, non ho avuto occasione di fare se non fuggitivi accenni. Poiché, a mo' d'esempio, l'importanza non soverchia che qui mi sembra essersi data al così detto riavvicinamento fra l'Austria-Ungheria e la Russia, deriva dal fatto che qui si tiene a che la base della politica estera della Monarchia continui ad essere l'alleanza colla Germania e coll'Italia, e che i buoni rapporti colla Russia non ne siano che una condizione accessoria. Nessuna predominanza, nessun trionfo dello slavismo: ciò è parola d'ordine e formula imprescindibile delle aspirazioni magiare nella politica estera. Ben venga quindi la cessazione di una tensione di rapporti, penosa e nociva, con Pietroburgo, ma non si rinnovino le intese positive, e separate dal resto del concerto europeo, che fecero di Miirzsteg un nome ed un ricordo ben poco gradito per questa opinione pubblica.

Quanto alla stretta unione della Serbia colla Bulgaria, essa sarebbe senza dubbio temuta come quella che creando alla frontiera ungherese un rispettabile nucleo militare, potrebbe in certe evenienze creare un aumento di difficoltà e di preoccupazioni all'azione dell'esercito austro-ungarico, e costringerebbe la Monarchia a ricorrere forse ali 'appoggio di quella Rumania che i magiari per loro conto, anziché associarla alla propria azione, vedrebbero volentieri cancellata dal novero delle Nazioni. Ma qui si conoscono troppo bene i serbi ed i bulgari, la loro inconsistenza politica ed i loro ingannabili dissidii per credere a questa eventualità, ventilata da alcuni organi della stampa europea e da alcuni diplomati

2 Cfr. n. 185.

ci di buona o di mala fede. Quindi si trascorre volentieri su di ciò, come su pericolosa ipotesi cui non è da prestar fede.

All'avvenire della Turchia ed al suo consolidamento come Stato moderno e costituzionale qui si crede invece volentieri, e si spera che essa potrà essere un giorno un campo propizio per l'espansione commerciale ed industriale dell'Ungheria. Si confida poi che la politica di Vienna e dell'Europa intera non permetterà ai bulgari atti inconsulti che possano impedire o ritardare l'opera di consolidamento e di sviluppo delle forze politiche ed economiche della Turchia rinnovata.

In sostanza, il modo di considerare che qui vedo comunemente adottato, sia gli aggruppamenti dei grandi Stati europei sia le questioni del prossimo Oriente, è improntato ad un grande ottimismo ed alla persuasione che ormai per molto tempo la pace non sarà turbata né lo statu quo dell'Oriente per nessuna guisa alterati.

178 l Cfr. n. 44.

179

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 7291. Roma, 24 marzo 1910, ore 12,30.

Ricevuto 412, 423, 444 e 465. Per la situazione che va delineandosi in Etiopia confermo istruzioni attenersi lealmente stipulazione accordo di Londra. Sue relazioni con imperatrice debbono mantenersi con grande cautela in limiti strettamente personali senza carattere di ingerenza negli affari interni Etiopia e tenendo informati ras Tesamma e rappresentanti di Francia e Inghilterra.

180

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI E PIETROBURGO

T. 735. Roma, 24 marzo 1910, ore 13,45.

Questo incaricato d'affari d'Austria-Ungheria mi ha detto jeri che il conte Aehrenthal attirava specialmente la mia attenzione su quel punto deli'ultimo co

179 I Il telegramma fu trasmesso via Asmara.

2 Cfr. n. 174.

3 Cfr. n. 175, nota 2.

4 Cfr. n. 175.

5 T. 913/46 del 23 marzo, non pubblicato.

municato del Fremdenblatt, relativo ai negoziati austro-russi, concernente le ragioni per le quali il Gabinetto di Vienna non ha accettato la proposta di fare una comunicazione alle Potenze circa i suoi principi nella politica orientale. Tali ragioni sono: l) che quei principi sono rimasti gli stessi che nel 1897, e che nessun fatto nuovo è sopravvenuto a mutare la situazione in Oriente in questi ultimi tempi; 2) che una simile entratura presso le altre Potenze fatta collettivamente dall'Austria-Ungheria e dalla Russia, avrebbe fatto supporre o che esistesse fra di loro un accordo speciale, o che esse reclamassero una speciale situazione di fronte alle questioni balcaniche. Il che non è assolutamente il caso per l'Austria-Ungheria, non volendo essa una ripetizione di Murzsteg.

181

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATO 736. Roma, 24 marzo 1910, ore 14.

Suo rapporto n. 152 1• Bresciani recasi Cairo per costituire coi gruppi francese, egiziano e tripolino società anonima ottomana per lavori porto, miniere, ferrovia. Valì di Tripoli avrebbe telegrafato al gran visir, pregandolo sospendere qualsiasi concessione per Tripolitania, in vista prossima costituzione di questa società, che assumerebbe essa tutti i lavori. VE. giudicherà dell'opportunità di appoggiare indirettamente, senza che appaja intervento r. ambasciatore questa iniziativa2.

182

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO 919/80. Pera, [24] marzo 1910, ore 14,30 (per. ore 22,25).

Re di Bulgaria jeri l'altro ricevette separatamente ambasciatori. Nel corso della breve udienza, Sua Maestà mi mostrò accentuata benevolenza, ma, salvo al

1811 R. 439/152 del 12 marzo, col quale Imperiali comunicava che «nessuna domanda di concessione a riguardo di detti giacimenti [sci/. fosfati] è finora stata rivolta al Ministero ottomano competente, né da un gruppo egiziano, né da altri ... » ed aggiungeva che «ordini segreti, proibitivi, dati dal Ministero delle miniere alle autorità tripoline riguardano qualsiasi domanda, da chiunque sia fatta, non solo di concessione di sfruttamento, ma anche di soli permessi di ricerca per fosfati».

2 Per la risposta cfr n.l89.

cune domande su nostra crisi ministeriale ed alcune osservazioni sui mutamenti in Turchia e sul sultano Abdul Hamid, non mi parlò di politica. Invece, nel circolo, dopo il pranzo di gala, Sua Maestà rimase meco più di venti minuti: sovrano mi chiese impressione mia circa situazione, alludendo evidentemente alle relazioni turco-bulgare: e gli dichiarai, con solita rispettosa franchezza, sembrarmi richiedere essa grande prudenza. «Prudenza sì», replicò Sua Maestà, «ma non disgiunta da una certa fermezza». Risposi: «Prudenza soprattutto, perché, con lo spirito di esaltato nazionalismo qui prevalente, vi è luogo di prevedere che qui non si indietreggerebbe dinanzi alcun estremo». Di tale disposizione osservò Sua Maestà avere egli sovente occasione rendersi conto durante la presente sua visita. Passando alla situazione generale, mi disse il re ricordandomi antico colloquio Sofia richiedere essa speciale vigilanza da parte nostra. Era questa una diretta allusione ali'Austria-Ungheria ed io mi astenni dal rilevarla. Aggiunse poscia Sua Maestà: «Da che non ci siamo veduti, ha avuto luogo un avvenimento politico molto importante: convegno di Racconigi. L'imperatore di Russia me ne ha parlato a lungo, esprimendomi sua vivissima soddisfazione per accoglienza affettuosa fattagli e per risultato politico conseguito. Non vi ha dubbio che all'accoglienza calorosa ha molto contribuito itinerario viaggio imperiale». Anche a questa nuova allusione all'Austria-Ungheria non feci alcuna replica. Re Ferdinando espresse, infine, speranza che non abbia più a verificarsi in futuro nuova intesa, tipo quella di Mtirzsteg, contro la quale ricordò profonda avversione provata fin da principio. Finito colloquio meco, Sua Maestà si avvicinò ambasciatore di Russia, col quale discorse molto a lungo, ritirandosi poscia senza avere parlato agli altri ambasciatori, fatto questo che è stato notato e commentato, specialmente dai colleghi di Germania ed Austria-Ungheria i quali mi hanno confidato non avere il re, nell'udienza loro concessa il pomeriggio, nemmeno chiesto notizie dei rispettivi sovrani. Circa pratico risultato visita, non credo ora modificare impressione già manifestata con telegramma n. 741.

Mahmoud Scevket parlando al mio collega di Inghilterra, gli ha detto sorridendo che visita bulgara assicura mantenimento pace per un anno almeno.

183

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO 918/52. Londra, 24 marzo 1910, ore 17,30 (per. ore 21,40).

Accertatomi che lo stesso passo era stato già fatto da questi ambasciatori di Germania e di Austria-Ungheria, sono andato stamane a porre ad Hardinge quesi

1821 Con T. 845/74 del 17 marzo, non pubblicato, Imperiali riferiva tra l'altro: «Visita va sempre considerata con soddisfazione, come quella che, per un certo tempo almeno, assicurerà mantenimento pace».

to di cui tratta il telegramma di V.E. n. 7251. Hardinge mi interruppe subito con vivace impazienza assai dissimile dall'abituale sua fredda cortesia, dicendo: «Ecco una cosa curiosa: incaricato degli affari italiani che viene, dopo gli ambasciatori di Germania e di Austria-Ungheria, a pormi lo stesso quesito basato su notizie false di sana pianta. Sarei curioso di sapere da dove vi vengono». Mi affrettai rispondere che origine era in telegramma del r. ministro a Teheran. Hardinge, continuando dimostrare una certa incredulità, mi ripeté allora che le notizie delle condizioni poste al prestito erano false.

Dietro mia insistenza, mi disse però che vi era qualche cosa circa concessione ferrovie. Mentre, cioè, Russia ed Inghilterra ritengono, che, pel momento, non potrebbero utilmente costruirsi ferrovie in Persia, esse non potrebbero ammettere che, a loro insaputa, fosse accordata ad altra Potenza la concessione di una ferrovia, la quale, sboccando sui loro confini, potesse compromettere loro interessi politici e strategici. Avevano quindi esse chiesto alla Persia di non concedere alcuna ferrovia senza avvertirle, conservando loro diritto di preferenza. Ferrovie persiane non avrebbero potuto costruirsi che con capitale persiano: altrimenti dovevano essere sottoposte alla stessa riserva di preferenza anglo-russa. Governo britannico considerava che ciò non è affatto in opposizione con politica della porta aperta. Dal tono di Hardinge, da quanto egli ha detto all'ambasciatore d'Austria-Ungheria e da altre notizie confidenziali avute, risulta che questo passo dei rappresentanti della Triplice è riuscito qui sgraditissimo e si ritiene originato dal Governo germanico, al quale si attribuisce intenzione creare imbarazzi alla politica anglorussa in Persia e di riservare suo interesse riguardo possibile ferrovia connessa quella di Bagdad.

184

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 921/40. Pietroburgo, 24 marzo 1910, ore 22,42 (per. ore 6,30 del 25).

Suo telegramma n. 7251. Non è da oggi che Izwolskij, a torto od a ragione, teme che la Germania e con essa l'Austria-Ungheria cercano di creare alla Russia in Persia un secondo Marocco. Temo quindi che la simultaneità della domanda che V.E. mi ingiunge di fare al signor Izwolskij con quella che gli sarà indirizzata dall'ambasciatore d'Austria-Ungheria, ed eventualmente da quello di Germania,

possa fargli credere che l'Italia sia disposta associarsi ad una tale politica, suscitando così inutilmente contro noi le diffidenze della Russia.

Se è vera la condizione di cui è cenno nel telegramma giunto a V.E. da Vienna, essa costituirebbe indubbiamente una violazione del principio della porta aperta contro cui indistintamente tutte le Potenze interessate avrebbero diritto di reclamare. Notero però che Nicolson, nella conversazione avuta recentemente con me e da me riferita nel rapporto n. 762, non me ne fece il ben che minimo accenno. Ad ogni modo, ritengo che non ci mancano i mezzi di accertarci per altre vie dell'esattezza della surriferita notizia e mi proporrei, prima di dar seguito alle istruzioni che V.E. mi ha date, attingere in proposito da Nicolson precise e dettagliate informazioni che spero essere in grado di telegrafare quanto prima all'E.V.

183 l T. del 25 marzo, non pubblicato, col quale di San Giuliano chiedeva di accertare la notizia relativa alle condizioni poste da Inghilterra e Russia alla Persia per la concessione di un prestito.

184 l Cfr. n. 183 nota l.

185

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, CON IL CANCELLIERE TEDESCO, BETHMANN-HOLLWEG

APPUNTO. Roma, 24 marzo 1910.

Ho avuto col cancelliere due colloqui; uno alla Consulta il 22 marzo, e l 'altro ali' ambasciata di Germania il giorno successivo 231. In ambedue i colloqui la conversazione si è mantenuta in termini generali, assumendo carattere più preciso solamente sui due punti seguenti.

Nel primo dei due colloqui, avendo il cancelliere portato la conversazione suli'accordo segreto italo-austriaco del 19 dicembre 1909, credei doveroso, secondo le intese avvenute con Sua Maestà il Re e col presidente del Consiglio, di accennare alla questione dei compensi contemplati nel trattato della Triplice, esprimendomi presso a poco nel modo seguente:

«L'accordo segreto itala-austriaco del dicembre p.p. è senza dubbio un completamento del trattato molto utile e vantaggioso per ambedue le parti; ma a rendere il trattato veramente completo mi parrebbe opportuna, e forse anche necessaria, un'altra aggiunta. E poiché la conversazione me ne offre l'occasione permetta che, profittando della fiducia che ella mi ispira e della libertà di cui gode un ministro dimissionario, le apra su questo argomento interamente l'animo mio. Ella ricorda che l'articolo 7 del trattato fa l'ipotesi di occupazioni per parte di una delle due Potenze nelle regioni balcaniche e stabilisce che non possano avvenire senza preventivo accordo sulla base di compensi territoriali. Ora io osservo che alla vigilia delle occupazioni, quando gli avvenimenti premono, i negoziati non

185 I Sui colloqui intercorsi tra Bethmann-Hollweg e Guicciardini prima, di San Giuliano poi, si vedano GP, vol. XXVII/l, n. 9859 e OeUA, vol. II, nn. 2095, 2107.

sarebbero facili e molto probabilmente gli avvenimenti camminerebbero più rapidamente dei negoziati e le occupazioni avverrebbero senza che i compensi si fossero stabiliti. Allora sorgerebbe una situazione che sarebbe in contraddizione coi patti del trattato e che non sarebbe scevra di pericoli per le buone relazioni fra gli alleati e forse anche per la conservazione della pace. Da queste previsioni, che non sono fuori della realtà perché l'ipotesi di occupazioni è contenuta nel trattato, ne deduco -e qui volevo arrivare -che sarebbe assai desiderabile che i compensi fossero fissati nei tempi tranquilli per evitare che si dovessero discutere sotto la pressione degli avvenimenti e perciò con maggiore difficoltà per giungere all'accordo. Cosa dice di questa opinione? Le pare ingiustificata?»

Il cancelliere, che aveva ascoltato con molta attenzione le mie parole, dopo una breve pausa, come si suole quando si deve rispondere a una questione che giunga improvvisa, rispose presso a poco così:

-«Comprendo l'importanza di quanto ella mi dice; ma osservo che la fissazione di compensi nell'ipotesi degli avvenimenti considerati nel trattato non è cosa facile. Bisognerebbe prevedere quali sarebbero le occupazioni per fissare oggi i compensi; ora non è cosa facile prevedere a quali occupazioni potrebbero condurre gli avvenimenti».

Il cancelliere non aggiunse altro e poiché vedevo, come del resto mi attendevo, che la conversazione su questo argomento non proseguiva, pago di avere posta una questione che dovrà essere considerata avanti il rinnovamento del trattato, chiusi l'episodio con le seguenti parole:

-«Comprendo anch'io le difficoltà che si oppongono a fissare i compensi, ma non le credo insuperabili. Ad ogni modo il tempo di riflettere non mancherà. Intanto dobbiamo essere lieti che nessuna questione esista che possa rendere urgente il considerare questo argomento».

La conversazione poi proseguì col carattere della maggiore cordialità su argomenti d'ordine generale.

Nel secondo dei due colloqui la materia della conversazione fu il testo del comunicato. Erami stato questo presentato il giorno avanti dall'ambasciatore von Jagow; io avevo proposto due modificazioni. La prima concerneva l'esordio del comunicato che, nella proposta germanica, suonava così: «La visita del cancelliere ha per iscopo di manifestare i vincoli che uniscono la Germania all'Italia». A me sembrava che questa formula, oltre ad essere troppo unilaterale, potesse facilmente far supporre che quei legami avessero bisogno di essere manifestati in seguito a circostanze che li avessero posti in dubbio; mentre, secondo me, l'esistenza loro doveva essere considerata come fuori di questione. Il cancelliere riconobbe subito la validità di questi argomenti e consentì alla formula quale venne inserita nel comunicato.

L'altra modificazione da me richiesta consisteva in ciò che alla citazione sullo «sviluppo costituzionale de !l 'Impero ottomano» venisse aggiunta quella sul «progresso pacifico degli Stati balcanici». Qui il cancelliere osservava che questa aggiunta avrebbe potuto dispiacere alla Turchia: al che io replicavo che la sua omissione avrebbe cagionato supposizioni e giudizi lontani da !l'animo nostro, poiché anche noi consideravamo che quegli Stati erano parte integrante dello statu-quo che si voleva conservare. Il cancelliere osservava allora che la parola «progresso» aveva l'inconveniente di poter apparire come un incoraggiamento ad una politica nazionalista: al che io replicava che, se quella parola poteva dar luogo ad equivoci, non avevo difficoltà a sostituirla con un'altra più propria. E, avendo il cancelliere proposto la parola «prosperità» ed io avendola consentita, il comunicato rimase combinato nel testo seguente, che fu contemporaneamente pubblicato dalle agenzie telegrafiche di Roma e di Berlino:

«La visita fatta a Roma dal cancelliere dell'Impero germanico ha fornito una nuova prova dei legami improntati a cordiale reciproca fiducia che uniscono la Germania e l'Italia. Nelle conversazioni che hanno avuto luogo a Roma in questa occasione si è stati lieti di constatare che la politica basata sulla Triplice, politica che ha formato da sì lungo una garanzia di pace generale, ha posto sì salde radici da essere ormai al sicuro dai cambiamenti personali che potessero avere luogo nei due Paesi. I Gabinetti di Roma e di Berlino, d'accordo con quello di Vienna, mirano in modo particolare al mantenimento dello statu-quo in Oriente. Essi accompagnano con le loro simpatie lo sviluppo costituzionale dell'Impero ottomano e la prosperità degli Stati balcanici, associandosi agli sforzi fatti da tutte le Potenze per assicurare ai popoli i benefici della pace».

184 2 R. 230/76 del 14 marzo, non pubblicato.

186

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATISSIMO 455/170. Londra, 24 marzo 1910 (per. il 28).

Facendo seguito al mio telegramma odierno numero 511 ho l'onore di riferire a V.E. che, essendo oggi andato a vedere sir Charles Hardinge, gli chiesi se aveva ricevuto il testo del comunicato russo e se riteneva che il Governo britannico avrebbe risposto a tale comunicazione: egli mi rispose che quel testo non gli era ancora pervenuto, ma che non credeva che fosse attesa dal Governo russo una risposta.

Incamminata così la conversazione accennai che dalla lettura dei comunicati quali erano stati pubblicati dai giornali non si derivava l'impressione che un vero accordo sulle questioni balcaniche fosse stato raggiunto tra i due Paesi, e sir Charles subito, non solo annuì, ma mi disse che egli riteneva che l 'accordo non fosse stato affatto raggiunto perché il Gabinetto di Vienna si era limitato in fondo a dire che non aveva obbiezioni da sollevare al modo di vedere russo (che sareb

1861 T. 917/51. pari data, non pubblicato.

be poi l'adozione della cosiddetta formula di Racconigi) ma non risultava che vi avesse aderito; esso rimandava la discussione a quando fosse sorta qualche questione balcanica; strano modo di conchiudere uno scambio di vedute che avrebbe dovuto in fondo precisamente servire a prevenire questa eventualità. Di più l'aver invocato, per quanto con riserve, l'accordo del 1897 e l'avere rifiutato di fare una comunicazione alle altre Potenze dimostravano che il Gabinetto di Vienna aveva differenti vedute.

Quanto poi al ristabilimento delle normali relazioni diplomatiche, di cui molti si felicitavano, anche su questo si potevano fare delle riserve; dopo le dimostrazioni di reciproco desiderio di riavvicinamento e così lungo scambio di idee, il tuono dei comunicati, il fatto che quello russo era stato pubblicato quasi all'insaputa e senza l'approvazione del Gabinetto austriaco, certo contro il desiderio di questo, sembravano provare che se queste relazioni erano formalmente ristabilite esse erano tutt'altro che cordiali. Sir Charles anzi conchiudeva: «Per parte mia credo che se non le relazioni tra i due Paesi certo quelle tra i due uomini di Stato ne escono nel fondo quasi peggiorate, certo aigries e se ne avranno probabilmente presto le prove».

Questo il modo di vedere di sir Charles Hardinge e del Governo britannico ed anche di questi circoli diplomatici in genere.

Quanto alla stampa essa ha commentato poco i due comunicati: alcuni giornali si sono limitati a riprodurre con qualche parola di apprezzamento gli articoli dei principali giornali esteri e così fu oggetto di qualche ironia la frase «la formalità costituzionale dell'annessione» usata dalla Neue Freie Presse. Il Times per la prima volta stamane, tanto nella sua corrispondenza da Vienna quanto nell'articolo di fondo (accludo entrambi)2, mette in rilievo che manca assolutamente ogni anche minimo accenno a sentimenti di cordialità tra le due parti. Nell'articolo di fondo esso trova strano ed inopportuno che i comunicati abbiano questo tuono di diffidenza e che l'articolo del Fremden Blatt sembra voler togliere ogni importanza al riavvicinamento. Ma la corrispondenza da Vienna è più esplicita e dice che in fondo tutto il riavvicinamento si compendia nel bene negativo di non essere terminato in un disaccordo positivo e termina dubitando che le conversazioni tra Izwolskij ed Aehrenthal, rese ora possibili, possano mai avere per risultato degli accordi, ed accennando ali' eventualità che le relazioni tra i due Paesi possano un giorno farsi per altri tramiti.

Di questo si è anche parlato, in questi ultimi tempi, qui a Londra e mi risulta che questo Governo considererebbe con qualche inquietudine l'eventualità del ritiro di Izwolskij (al quale si diceva verrebbe data un'ambasciata) temendo che egli possa essere rimpiazzato da un ministro degli esteri germanofilo, essendo pare il partito germanofilo della corte russa quello che si mostrerebbe più ostile ad Izwolskij.

1862Non si pubblicano.

Forse in fondo per le Potenze dell'Europa occidentale non sarebbe il maggiore dei mali se i due dirigenti della politica estera austriaca e russa rimanessero in termini di fredda correttezza che, mentre basterebbe ad impedire il sorgere di pericolose tensioni, non faciliterebbe tra i due Imperi che hanno già tanto piede nei Balcani un troppo intimo e completo accordo di fronte al quale l'Europa occidentale si troverebbe costretta alla massima diffidenza se non addirittura ridotta ali' impotenza3.

187

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE S.N. Vienna, 25 marzo 1910.

Con una lettera particolare in data del 21 corrente S.E. il duca A varna l ha informato l'E.V. dell'arrivo in Vienna del signor Wesselitzky il quale era stato incaricato dal signor Izwolskij di recare un messaggio verbale al conte d'Aehrenthal.

Dalla stessa fonte degna di fede da cui S.E. l'ambasciatore aveva avuto tale notizia, ho saputo oggi che il conte d'Aehrenthal non credette ricevere il signor Wesselitzky. Il ministro imperiale e reale non avrebbe risposto personalmente alla lettera direttagli dal giornalista russo, ma gli avrebbe fatto dire martedì scorso, per mezzo di un funzionario del ministero, che lo ringraziava della sua comunicazione ed era spiacente di non poterlo ricevere partendo il giorno stesso per Abbazia ove trovasi la sua famiglia.

Il signor Wesselitzky è già partito da Vienna.

188

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 942/84. Pera, 26 marzo 1910, ore 16 (per. ore 18).

Telegramma di V.E. n. 7351. Ha qui prodotto sgradita impressione punto secondo pro-memoria Izwolskij 9 febbraio. Nell'enunciato proposito di sostenere nuovo regime turco perché disposto mantenere uguaglianza fra razze, qui si è

ravvisato una specie di riserva per eventuale novella ingerenza affari interni Turchia. Ministro degli affari esteri non ha dissimulato tale impressione al barone Marschall che ne ha subito avvertito Pallavicini. Quest'ultimo si è affrettato a dichiarare che unico scopo ed unico risultato negoziato austro-russo fu, nel pensiero del Governo austro-ungarico, quello di ristabilire normali relazioni fra i due Imperi. Per tutto ciò che era scritto nei documenti fatti pubblicare da Izwolskij, conveniva lasciare a lui solo responsabilità, nessuna intesa essendo intervenuta fra i due Gabinetti su alcun punto determinato. Nell'informarmi delle dichiarazioni fatte al ministro degli affari esteri, Pallavicini mi ha confidato che a Vienna si è furiosi per pubblicazione documento avvenuta [senza] previo consenso Aehrenthal e per erronea impressione che Izwolskij ha tentato di accreditare su natura, portata e conseguenze dei negoziati. Tutto ciò, a parere di Pallavicini, non è di natura a migliorare seriamente relazioni austro-russe.

A me Rifaat pascià, parlando del riavvicinamento, ha detto avvenuta [pubblicazione] russa avergli fatto effetto di una constatazione ufficiale di persistente disaccordo.

186 3 Annotazione poscritta da Martin Franklin: «L'ambasciatore d'Austria parlando degli articoli del Times acclusi, li qualificava "ces méchants articles du Times ..."».

187 l Non rinvenuta.

188 l Cfr. n. 180.

189

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 943/85. Pera, 26 marzo 1910, ore 16,05 (ore 17,15).

Fernandez, che è in corrispondenza col Banco di Roma circa progetto di cui telegramma di VE. n. 7361, riterrebbe sotto ogni rispetto dannoso qualsiasi passo diretto o indiretto ambasciata. Questa già nota convinzione di Fernandez è stata confermata anche da suo recente colloquio col gran visir, il quale gli ha detto apertamente che il Governo ottomano non intende trattare affari economici con sudditi stranieri che si fanno appoggiare dai rispettivi rappresentanti.

190

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 510/236. Berlino, 28 marzo 1910 (per. il 1° aprile).

Conformemente alle sue abitudini il signor von Bethmann-Hollweg aveva preparato il suo viaggio a Roma senza attirare su di esso artificiosamente l 'atten

1891 Cfr. n. 181.

zione del pubblico. Se non fossero state le parole e gli auguri con i quali il conte Kanitz vi fece accenno nel Reichstag la notizia della partenza del cancelliere per l'Italia sarebbe giunta al pubblico quando S.E. già trovavasi al di là delle Alpi.

Parve poi che le vicende parlamentari da noi cospirassero a rendere ancor minore l 'interesse del pubblico tedesco per quel viaggio. Se non che le notizie man mano qua telegrafate sull'accoglienza fatta al signor von Bethmann-Hollweg dal nostro sovrano, dai più eminenti nostri uomini politici e dalla stampa italiana in genere hanno prodotto nell'opinione pubblica germanica una reazione contro quel primo momento d'indifferenza. A richiamare l'attenzione sul viaggio del cancelliere ha poi molto contribuito l 'inatteso conferimento al signor von Bethmann-Hollweg dell'Ordine della Santissima Annunziata, nel quale atto qui si è veduto, non solo un attestato di speciale benevolenza di Sua Maestà verso la persona del cancelliere, ma altresì un'espressiva manifestazione politica a favore del capo del Governo d'un paese, al quale l'Italia è legata oltrecché da un patto d'alleanza, da vincoli di cultura secolare e da comunanza d'interessi economici.

Chiunque abbia in seguito tenuto dietro alle manifestazioni della stampa tedesca avrà notato come il linguaggio di questi giornali nella presente circostanza abbia differito di molto da quello tenuto dai medesimi fogli in simili passate occasioni, sia che l 'imperatore incontrasse il nostro sovrano a Venezia od a Bari, sia che il principe di Btilow avesse dei colloqui col ministro degli affari esteri d'Italia a Rapallo od a Roma. Questa volta anche i fogli pangermanisti, di solito così poco ben disposti verso noi e le cose nostre, o hanno taciuto o si sono uniti agli organi degli altri partiti politici nel commentare favorevolmente la visita del cancelliere a Roma e l'accoglienza colà trovata.

Questo notevole mutamento nelle manifestazioni della stampa tedesca a nostro riguardo risponde del resto ad un evidente miglioramento delle disposizioni dell'opinione pubblica tedesca verso di noi. E questa a sua volta è una conseguenza dell'effettiva diminuzione di quella nervosità che negli anni addietro, dopo la prima fase degli affari marocchini coincidente con i primi anni di regno di Edoardo VII, aveva invaso l'anima tedesca in modo da renderla sospettosa contro tutto e tutti e tenerla in continua agitazione. Anche a questo riguardo può dirsi che la successione del signor von Bethmann-Hollweg al principe di Biilow abbia avuto un benefico effetto. La serietà ed obiettività dei suoi propositi, la maniera sua di fare decisa ed al tempo stessa conciliante stanno esercitando un'influenza moderatrice sull'opinione pubblica tedesca e tendono a liberar la da quelle vaghe aspirazioni pangermanistiche le quali, coltivate qualche volta per scopi di politica interna dagli stessi governanti, furono in passato causa prima di agitazione e sospetto verso le altre nazioni. Degne poi di speciale menzione sono le parole con le quali l 'ufficiosa Nord deutsche Al/gemei ne Zeitung nella sua odierna rivista settimanale di politica estera commenta la visita del cancelliere al nostro sovrano: «Il signor von Bethmann-Hollweg nella sua permanenza a Roma ha ricevuto impressioni le quali di nuovo confermano il fatto che il pensiero informativo della Triplice Alleanza ha posto nella maggioranza degli italiani radici altrettanto profonde e sicure quanto in Germania ed in Austria-Ungheria. Questo fatto constatato anche dai più eminenti organi della stampa italiana si è affermato da decenni in importanti epoche dello sviluppo politico dell'Europa ed è divenuto specialmente manifesto quando cercarono di farsi strada transitorie correnti contrarie, che dovettero poi cedere di fronte ad un più profondo esame da parte del popolo italiano. Quelle stesse vedute che hanno il consenso della grande maggioranza del paese dirigono la politica ufficiale del Governo italiano, la quale, come viene messo in evidenza dalla stampa del Regno, rimane indipendente nelle sue linee principali (specie in riguardo al mantenimento della Triplice) dagli eventuali cambiamenti delle persone. Anche da noi in Germania si è abituati da molto tempo a considerare i principi direttivi della politica estera come base di quelli che reggono i destini dell'Impero. La visita a Roma ha offerto gradita occasione di parlare delle questioni di politica estera ali' ordine del giorno. Tali conversazioni hanno di nuovo posto in evidenza il completo accordo dei Gabinetti di Berlino e di Roma con quello di Vienna, specialmente nel fine comune di adoperarsi al mantenimento dello statu quo in Oriente. Le Potenze della Triplice accompagnano con la loro simpatia lo sviluppo della Turchia in conformità al suo regime costituzionale come pure il progredire degli Stati balcanici, ed appoggiano gli unanimi sforzi di tutte le Potenze rivolti al mantenimento della pace. Tanto dal punto di vista politico che da quello suo personale il signor von Bethmann-Hollweg col pensiero ritorna con sincera soddisfazione sul corso del suo recente soggiorno a Roma. Noi adempiamo un gradito dovere manifestando in questo giornale i nostri sentimenti di gratitudine per l'ospitalità concessa in modo così cordiale dagli italiani al cancelliere dell'Impero e per l'accoglienza amichevole fattagli in Vaticano».

191

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO S.N. Il Cairo, 28 marzo 1910 (per. il 5 aprile).

Grazie alle cordiali relazioni esistenti tra il nostro r. agente diplomatico e sir Reginald Wingate, ho potuto avere alcuni colloqui col sirdar, il quale, com'è noto all'E.V., ebbe dal suo Governo missione speciale nel Somaliland inglese, e non è da escludere che dalle cose da lui studiate e proposte sia derivato il nuovo indirizzo del Governo britannico in quella sua colonia e l'attitudine presa verso il Mullah. Non credo perciò privo di interesse riferirne all'E.V.

Sir Regina! Wingate mi disse che il Mullah, per l'astuzia e rapidità dei movimenti e il numero dei seguaci, ai quali mal si contrappongono forze ordinate, non si doveva ritenere una quantità negligeab!e: esser stato perciò suo consiglio restringere la difesa alla costa in luoghi fortificati e di facile accesso, cercando invece di mettere le tribù amiche in condizione di fronteggiarlo, sia col fornir loro armi, sia con lo stimulare i loro particolari interessi; non nascondersi che questo ritiro alla costa produrrà, nel Mullah e nei suoi seguaci, nuovo ardimento, ascrivendo essi a merito e vanto proprio, ciò che è prudenza di governo; poterne anche provenire per le tribù a noi amiche e pei nostri stessi possedimenti, pericolo e minaccia.

Sir R. Wingate, uomo d'intelligenza aperta e di molta conoscenza degli uomini e delle cose, mi parlava con amicizia per l'Italia e con molta schiettezza.

A lui feci notare che anche da parte nostra, nella Somalia del nord, non si aveva intenzione alcuna di muovere ad imprese di guerra o a conquiste; essere la nostra politica difensiva come quella dell'Inghilterra, e solo studiarci, appunto come si faceva dall'Inghilterra, di stabilire sulla costa alcune residenze con luoghi fortificati, dai quali, con facilità di soccorsi per la via del mare, si potesse, mediante opportuni accordi con le tribù protette, andar formando una rete di interessi a noi favorevoli e contrari al Mullah.

Ma qui sorge il vero punto che merita la più particolare attenzione.

Sir R. Wingate è di opinione che la politica conforme da seguire dall'Inghilterra e dall'Italia, mettendo le tribù dell'interno in libero contatto con le forze del Mullah, produrrà inevitabilmente, per le razzie e le rapine dei seguaci di quest'ultimo, l 'urto con le popolazioni soggette ali' Abissinia. «E credetemi», soggiungeva egli, «questa è l'unica via da seguire: mettere gli abissini contro il Mullah, poiché essi soltanto potranno avere ragione e finiranno per liberarne, voi e noi. Noi abbiamo fatto rimostranze ad Adis-Abeba, ed occorrerà, di accordo voi e noi, insistere, mettendo ben in chiaro che la rivolta del Mullah ed il danno conseguente, proviene appunto da ciò, che gli abissini hanno negletto di occupare effettivamente la regione somala che è posta sotto la loro sovranità». E sorridendo, risposi: «Anche con quel mezzo che già non fu discaro al negus, il danaro?».

Ed ora dirò all'E.V. brevemente il mio pensiero.

La politica dell'Inghilterra, dopo aver messo in casa nostra il Mullah, è, come di consueto, inspirata senz'altra cura, al proprio interesse diretto; ma noi non possiamo che prendere la situazione come ci si presenta di fatto. Ritirati e fortificati gl'inglesi alla costa, così come noi medesimi alla costa dovremo rimanere, ma fortificandoci, una politica concorde e comune si dovrebbe poter svolgere, sia spiegando ad Adis-Abeba, nei modi che l'opportunità potrà suggerire, una azione oculata ed energica, sia isolando, per quanto sarà possibile, il Mullah, ed intercettando l 'introduzione delle armi. Rimane per noi, è vero, una incognita, non già per il protettorato della Somalia del Nord, ma per il nostro stesso diretto possedimento, e cioè quale svolgimento potranno avere le incursioni nemiche o direttamente del Mullah o delle tribù de li'interno, sciolte, per crisi interne dell'Abissinia, dai vincoli che attualmente le trattengono. Certo questa è incognita che non si può trascurare; ma io non vorrò su questo punto dire all'E.V. il mio pensiero che quando, con conoscenza e studio fatto sui luoghi, mi sarò potuto fare un concetto preciso delle necessità della difesa e dei mezzi dei quali il Governo della Colonia può disporre.

Intanto, pei colloqui avuti con V.E. sembrandomi fuori d'ogni dubbio la opportunità ed utilità di una intesa con l 'Inghilterra, sia per le necessità del momento, sia per quelle che il tempo potrà additare nell'avvenire, credo, e in questo senso ho telegrafato all'E.V., che il mio incontro con il generale Manning a Berbera, si mostri sempre più opportuno. Ed il sirdar è non solo di questa opinione, ma vivamente mi consigliava di fare in modo che l'incontro avvenisse.

192

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 968/49. Berlino, 29 marzo 1910, ore 19,35 (per. ore 20,30).

Schon mi ha detto che cancelliere dell'Impero ha qui scritto di voler prolungare di qualche giorno sua permanenza in Italia, nella speranza (se la crisi troppo non si prolunga) di poter fare conoscenza e parlare con la persona che nel nuovo Gabinetto sarà chiamato dirigere politica estera Regno Italia.

193

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 794. Roma, l o aprile 1910, ore 19.

Prego telegrafarmi giudizi stampa sul nuovo Gabinettol.

194

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1006/56. Berlino, 2 aprile 1910, ore 12,40 (per. ore 16).

Telegramma di V.E. n. 7941. Stampa tedesca in generale si mostra, per ora, riservata giudicare nuovo Gabinetto nel suo insieme, pur avendo parole ammira

193 I Cfr. nn. 194 e 195. Le risposte da Parigi (T. l O l 0/92 del 2 aprile), da Pietroburgo (T. l 024/43 del 3 aprile) e da Vienna (T. l 04/94 del 2 aprile), non pubblicate, esprimevano giudizi favorevoli sul nuovo Gabinetto italiano.

1941 Cfr. n. 193.

zione per il presidente del Consiglio. Certe manifestazioni, però, stampa francese con le quali venne salutata soluzione crisi italiana, qui telegrafate, hanno svegliato nei fogli nazionalisti dubbi e apprensioni sul corso ulteriore della nostra politica estera. A porre argine al dilagare di queste apprensioni, è giunto in buon punto l'annunzio dell'incontro di V.E. con il cancelliere dell'Impero, annuncio che ha prodotto qui ottima impressione.

195

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1009/53. Londra, 2 aprile 1910, ore 17,23 (per. ore 20).

Rispondo suo telegramma n. 7941. Fino ad ora solo ... (manca) la corrispondenza da Roma che dice nuovo Gabinetto costituisce forte combinazione parlamentare e che politica estera non sarà mutata. Nessun articolo di fondo. Principali giornali si limitano pubblicare annunzio formazione Gabinetto.

196

L'INVIATO STRAORDINARIO E MINISTRO PLENIPOTENZIARIO A MONACO DI BAVIERA, GUASCO DI BISIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 194/59. Monaco di Baviera, 2 aprile 1910 (per. il 6).

Il cambiamento di Ministero in Italia non ha fatto impressione, almeno palese, in questi circoli ufficiali che mostrano ognora di non curarsi delle cose che si passano all'estero nel campo politico. Il ministro degli affari esteri è ancora assente, né posso per conseguenza conoscerne in proposito il giudizio che per necessità di ragione non formerà che una stessa cosa con quello del suo collega di Berlino, quindi colà e non qui si dovrà ricercare se nel mondo ufficiale germanico fossero più accetti i precedenti che non se sia il presente Governo italiano, o se pure la dimostrazione di gradimento data a quelli uguale sia accordata a questo. Quindi non mi rimane che di analizzare il primo giudizio che se ne forma la stampa locale. La liberale accoglie favorevolmente codesto ministero di coesione e di concentrazione; la radicale lo loda perché (così essa afferma) ha per pro

gramma: libere chiese e scuole laiche, e ne dà sicurtà la scelta dell'onorevole Credaro a ministro dell'istruzione. La stampa del centro è quasi muta. Per quanto nel tutto insieme la stampa sia buona per il nuovo Ministero, tuttavia una qualche puntata qua e là non gliela risparmia. Trasvolo sulla incongruenza, sconveniente a persona grave, di aggiungere Jude von Geburt al nome rispettabile e celebre di Luzzatti, come pure di aggiungere Freienmaurer a quello di Credaro, che figurerebbero per certa stampa bavarese come i due cardini su cui poggia il Ministero, e segnacoli di guerra alla religione cattolica, e m'onoro invece di richiamare l'attenzione dell'E.V. principalmente sull'osservazione dello Milnchner Neuste Nachrichter, giornale prussiano che si pubblica in questa città, d'essere stato

S.E. il presidente del Consiglio il primo ad agire energicamente per stabilire accordi economici ma naturalmente anche politici colla Francia. Che egli dopo tutto stia attaccato alla Triplice Alleanza, è sempre lo stesso giornale che parla, si capisce da sé, ed alla buon'ora venne l'intelligente captatio del cancelliere dell'Impero col suo rapido felicitamento.

Questa stampa liberale contrasta l'opinione della stampa radicale e di quella clericale che cioè in Italia col nuovo Ministero si inizi un'era anticlericale, dalla prima veduta con piacere e dalla seconda con dispiacere, ed assicura esservi per il presente Governo molte questioni, su altro terreno, più importanti e più urgenti da discutere: e trattando della politica estera sostiene che il cambiamento del ministero non avrà alcuna influenza su di essi; i ministri Luzzatti e San Giuliano seguiranno la linea tracciata da Giolitti e da Tittoni.

I giornali stampano eziandio un telegramma da Roma che informa il pubblico della visita di V.E. al cancelliere tedesco in Firenze, visita accolta con simpatia. Ad essa si annette importanza perché soprattutto ha spuntato le armi di quei giornali avversi alla Triplice Alleanza, e che tentarono di togliere ogni significazione alla venuta di Bethmann-Hollweg a Roma in seguito alla crisi ministeriale, e che per tale circostanza volevano dare ad intendere che il valore dell'amicizia italo-tedesca era diminuito.

195 l Cfr. n. 193.

197

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 800. Roma, 3 aprile 1910, ore 12,30.

Il mio colloquio di ieri col cancelliere germanicol è stato cordiale e credo sia riuscito utile a stabilire tra di noi rapporti di mutua fiducia e simpatia. Prego

V.E. di volermi far conoscere a suo tempo, confidenzialmente e francamente, se questa mia impressione sia giusta.

Il cancelliere ed io ci trovammo concordi nel riconoscere che la politica delle tre Potenze alleate mira alla conservazione dello statu quo. Io gli ripetei più volte che la nostra azione diplomatica continuerà ad avere per iscopo il mantenimento dell'integrità e indipendenza non solo della Turchia ma anche degli altri Stati balcanici. Poiché lo statu quo balcanico sembra assicurato per molto tempo e l'irredentismo ha molto perduto della propria importanza fummo concordi nel riconoscere che si ha motivo di credere che i rapporti austro-italiani miglioreranno sempre più; questo miglioramento continuerà essere uno dei fini della politica italiana.

Bethmann promise di cooperare eventualmente a facilitarne il conseguimento. Nel corso della conversazione lo assicurai che la Triplice Alleanza oggi in Italia è ancora più popolare che in passato perché tutti ne han riconosciuto i fini ed effetti pacifici tanto che anche i socialisti che prima la combattevano vi sono praticamente favorevoli.

Egli apprese con vivo piacere la mia intenzione di fare una visita a Berlino e si riservò di concordarne la data con V.E.

Egli propose una bozza di comunicato che mi parve accentuasse troppo la necessità di nuove assicurazioni di fedeltà alla Triplice. Ma poiché le sue rette ed amichevoli intenzioni erano evidenti egli non vi insisté ed accettò subito il contro-progetto da me sul momento redatto il quale salvo un inciso è quello stesso pubblicato.

Ho redatto del colloquio un sunto che invierò per corriere a V.E.2.

197 l Cfr. n. 185 nota l.

198

IL CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, CAMICIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. URGENTE l 030/6. Alessandria d'Egitto, 4 aprile 1910, ore 18,25 (per. ore 20,15).

Prego comunicare Banco di Roma da parte Bresciani quanto segue: «Dopo due colloquii con rappresentanti gruppo egiziano Zervudachi e principi kediviali, presenti capi gruppo arabo-tripolino espressamente mandato valì, sarebbe accettata costituzione sindacato per ricerche minerarie Tripolitania e lavori ferroviari, portuari, miniere nella forma voluta Governo ottomano, che, in seguito a questo accordo, dichiarò non farà più nessuna difficoltà per le ricerche. Forma sarebbe seguente: Sindacato formato da quattro gruppi: arabo-tripolino, egiziano, italiano,

francese. Gruppo arabo chiederà concessione nell'interesse tutto il sindacato. Capitale per ricerche franchi centomila versati parti eguali fra gruppi egiziano, italiano, francese; missione tecnica ricerche mista egiziani, francesi, italiani; utili sindacato divisi parti eguali. Ai tre gruppi egiziano, francese, italiano, riservato diritto di costituirsi società sfruttamento secondo risultato ricerche, però quarto azioni dovrà preferibilmente essere venduto Tripolitania fino a concorrenza possibile. Bresciani osservava primo: che questo accordo, gradito Turchia, togliendo qualsiasi sospetto politico, favorirà impresa; secondo: concessione accordata esclusivamente gruppo arabo tripolino, è condizione a noi favorevole, impedendo qualsiasi concessione altri stranieri. Qualunque sia avvenire politico Tripolitania, preferibili imprese locali concesse indigeni, anziché stranieri o turchi; terzo: qualsiasi titubanza sul presente accordo potrebbe cagionare danni gravissimi per tutti, perché anche americani, inglesi corteggiano gruppo arabo-tripolino, offrendo capitali. Console Pestalozza informò Ministero affari esteri. Presente soluzione è vittoria nostra, merito Banco di Roma. Occorre gruppo francese aderisca col gruppo italiano, non facendo questioni suscettibilità, non illudendosi poter agire altrimenti; inoltre Bresciani osserva che, avendo assolutamente a noi gruppo arabo-tripolino, gruppo franco-italiano in questo affare avrà preponderanza assoluta. Principi khediviali domandano subito firma compromesso per sospendere trattative Costantinopoli, usando loro influenza in favore nuovo sindacato. Occorre Bresciani approvazione, autorizzazione firma per gruppi italiano, francese. Per altri affari, di cui principi khediviali parlarono Bresciani, questi riferirà, dopo di aver visto khedivè, ministro De Martino».

197 2 D. s.n. del 4 aprile, non pubblicato.

199

IL CONSOLE GENERALE A GIANNINA, STRANIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 239/45. Giannina, 5 aprile 1910 (per. 1'8).

Ho l'onore di informare l'E.V. che il 14 maggio p.v. sarà qui inaugurata una filiale della Banca di Atene sotto la direzione del greco Spiridione Rossolinos.

Mi duole che una tale iniziativa non sia stata assunta dalla finanza italiana, che in un Paese ancora vergine d'istituzioni bancarie avrebbe trovato terreno favorevolissimo per riuscire sommamente profittevole ai nostri interessi economici e politici in Epiro e nella bassa Albania.

La colpa non è né di questo r. ufficio, che a varie riprese ebbe a richiamare l'attenzione del R. Ministero sull'argomento, né del R. Ministero stesso, che ripetutamente intervenne presso i nostri istituti bancari più importanti per deciderli alla proficua iniziativa: essa deve ricercarsi solo nella riluttanza, non ancora superata, del capitale e della finanza italiani a studiare e ad insinuarsi in Paesi, che pur offrirebbero le condizioni più favorevoli per una nostra pacifica disciplinata penetrazione commerciale.

La Banca di Atene, dopo quella Nazionale, è l'istituto bancario greco più importante. In Turchia, compresa l'isola di Creta, essa ha già filiali a Salonicco, Serres, Cavalla, Xanthi, Samsun, Trebisonda, La Canea, Candia, Retimo, alle quali viene ora ad aggiungersi la succursale di Janina. Non mancherò di tenere al corrente l'E.V. dello sviluppo degli affari e del favore e del credito che il nuovo istituto bancario incontrerà presso questa cittadinanza.

Copia del presente rapporto trasmetto a S.E. il r. ambasciatore in Costantinopoli 1•

200

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1070/45. Pietroburgo, 7 aprile 1910, ore 18,20 (per. ore 20,45 ).

Izwolskij, che ho veduto oggi poco prima della sua partenza per l'estero in breve congedo, parlandomi della costituzione del nuovo Gabinetto italiano si espresse in termini assai lusinghieri riguardo l'E.V. che aveva avuto occasione di vedere a Londra e di cui già conosceva di fama le egregie qualità di uomo di Stato e di diplomatico.

Aggiunse sapere pure che l'E.V. era un convinto fautore della Triplice Alleanza, ma di ciò egli era ]ungi dal dolersene, giacché, come non lo si ignorava a Roma, egli vedeva la Triplice Alleanza tutt'altro che di mal'occhio. Quello che egli desiderava soltanto era di vedere l'Italia mantenersi fedele ai principi di Racconigi.

201

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1071/46. Pietroburgo, 7 aprile 1910, ore 18,20 (per. ore 21,50).

Izwolskij mi ha detto oggi che il Gabinetto di Berlino, in risposta alle dichiarazioni da lui fatte a questo ambasciatore di Germania e di cui mio telegramma n. 41', gli aveva fatto sapere che, per quanto alieno di creare alla Russia difficoltà in Persia, esso non poteva ammettere che al principio della porta aperta potesse essere recata limitazione. A ciò egli aveva replicato che altre considerazioni di ordine politico e

20 l l T. 950/41 del 27 marzo, non pubblicato.

strategico non permettevano alla Russia di mutare attitudine e che non avrebbe quindi potuto permettere alla Persia di accordare concessioni per talune ferrovie ad impresari forestieri. Izwolskij aggiunse che le proteste della Germania erano più che altro platoniche, giacché, prima del compimento della linea di Bagdad, gli impresari tedeschi non sarebbero stati in grado di costruire ferrovie in Persia, stante impossibilità di procacciarsi il materiale occorrente. Le stesse cose mi furono dette jeri da questo ambasciatore di Germania, il quale aggiunse che la protesta della Germania aveva la sua base nelle formali assicurazioni date tempo fa a Berlino dai Gabinetti di Londra e di Pietroburgo che il principio della porta aperta avrebbe avuto in Persia la sua integrale applicazione.

199 l Per il seguito cfr. nn. 291 e 350.

202

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1073/98. Vienna, 7 aprile 1910, ore 20,30 (per. ore 22,40).

Nel compiacersi meco per accoglienze fatte in Roma cancelliere dell'Impero, Aehrenthal mi ha detto che il comunicato ufficioso pubblicato in proposito aveva prodotto su di lui favorevole impressione.

Accennando poi risposta fatta da V.E. Bethmann Hollweg, Aehrenthal ha rilevato che ella aveva colto col molta perspicacia occasione presenza cancelliere Impero in Firenze per abboccarsi con esso.

Egli aveva salutato con simpatia tale sua visita specialmente nell'interesse dei rapporti amichevoli e di piena fiducia tra le Potenze della Triplice Alleanza.

Aehrenthal mi ha detto inoltre essere stato informato che questo ambasciatore di Germania, che non era ancora venuto a vederlo, aveva avuto incarico dal cancelliere dell'Impero comunicargli colloquio con V.E.I.

203

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO

D. RISERVATISSIMO 25. Roma, 7 aprile 1910.

Ebbi, a suo tempo, il rapporto della S.V. in data 2 marzo 1910 n. 2581102' che, secondo il giusto desiderio da lei manifestato, è stato e sarà tenuto strettamente riservato.

202 I A proposito di tale comunicazione si veda GP, vol. XXVIII!, n. 9860. 203 l Cfr. n. !51.

Entrando nel merito della questione sono anch'io d'avviso che il nostro riconoscimento della convenzione anglo-egiziana del 1899 sarebbe in questo momento di nocumento agli interessi materiali e morali dell'Italia ed in specie degli italiani residenti in Egitto. E poiché l'istituzione di un r. consolato in Khartoum è subordinata a questo riconoscimento, nel trattare eventualmente di essa si deve tener presente da un lato che il riconoscimento della convenzione da parte dell'Italia ha ben altro valore di quello degli Stati Uniti o della Grecia che sono indicati come favorevoli e dall'altro che il danno che l'Italia ne risentirebbe non sarebbe controbilanciato da quei compensi che ci furono altre volte proposti.

Per queste ed altre ragioni conviene all'Italia di attendere che la questione dell'istituzione di un consolato italiano nel Sudan sia riaperta eventualmente a cura dell'Inghilterra, ed io prego la S.V. di volere in questo senso regolare la sua linea di condotta.

204

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, MONTAGLIARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 623/250. Washington, 7 aprile 1910 (per. il 21).

La stampa americana si è estesamente occupata della visita del signor Roosevelt a Roma. Tutti i giornali indistintamente commentano, nel modo più favorevole e con espressioni cortesi verso la nostra Corte, l'accoglienza fatta da S.M. il Re all'ex-presidente. Tale accoglienza ha fatto qui ottima impressione, la cortesia ed i modi semplici e cordiali del nostro Augusto Sovrano venendo unanimamente lodati.

Meno unanimi sono i commenti sulla mancata visita al Vaticano. L'incidente è stato giudicato in vario modo dalla stampa. Naturalmente gli organi protestanti hanno esultato. Quelli cattolici lo deplorano, ma mantengono un linguaggio molto sobrio e moderato e si sforzano in generale a togliere importanza a questo avvenimento evitando di biasimare il signor Roosevelt, il quale durante la sua presidenza ha sempre cercato di attirarsi le simpatie dei cattolici, ed i loro voti. Tanto il cardinale Gibbons che monsignor Falconio (delegato apostolico) e monsignor Ireland si sono astenuti dal fare dei commenti sull'incidente e si sono limitati a dire che se i l Vaticano ha agito di suo pieno diritto nel porre certe condizioni, il signor Roosevelt era non meno libero di accettarle o no.

L'impressione più generale è che questo è uno dei soliti metodi del signor Roosevelt per crearsi della reclame e per fare parlare di sé, e molti periodici non ispirati ad idee di partiti religiosi od altri se ne burlano attribuendo poca importanza alla cosa. E da quanto mi sono potuto rendere conto sembra che questo incidente, dallo stesso Roosevelt abilmente presentato e dato alla pubblicità, gli ha effettivamente giovato; egli si è acquistato la simpatia dei protestanti e degli israeliti, i quali ultimi sono qui una vera potenza elettorale e che votano sempre compatti quando trattasi di questioni che in qualche modo possono toccare la loro religione; d'altra parte non sembra che egli abbia perduto la simpatia dei cattolici, pochi bigotti esclusi, i quali continueranno ad essergli favorevoli non volendosi opporre alla corrente di popolarità che lo circonda. Devesi anche prendere in considerazione che, sebbene ferventemente attaccato alla fede, l'elemento cattolico americano è fortemente nazionale ed in un certo qual modo non disapprova l'attitudine di spavalderia di Roosevelt così confacentesi al carattere americano. Ha anche fatto buona impressione fra i cattolici l'avere Roosevelt, forse temendo di avere oltrepassato la misura, apertamente biasimato l'interpretazione che i metodisti volevano dare all'incidente cercando di attribuirsene ogni vanto.

Ad ogni modo non si può negare, ed i giornali qui sono quasi unanimi nel riconoscerlo, che i negoziati relativi alla visita al pontefice furono condotti colla massima inabilità e con mancanza di tatto.

205

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 697/60. Bucarest, 7 aprile 1910 (per. il 22).

A quanto appresi confidenzialmente da un autorevole personaggio godente di tutta la fiducia di re Carlo, la Maestà Sua avrebbe avuto personalmente l'assicurazione che il riavvicinamento austro-russo si è fatto sulla base del mantenimento dello statu quo attuale nella penisola balcanica, che tanto sta a cuore alla Rumania, e che gli interessi di essa non avranno quindi a scapitarne. Il personaggio di cui sopra non seppe però dirmi per quale via sia pervenuta quella assicurazione e questo ministro degli affari esteri sembra pure ignorarlo. L'imperatore Francesco Giuseppe essendo in corrispondenza diretta col re Carlo, è possibile che gliel'abbia data egli stesso.

Aggiungerò che qui tanto il sovrano quanto il suo Governo vedono motivo di felicitarsi d'un riavvicinamento operato sulla base anzidetta, come anche delle visite a Costantinopoli dei re di Bulgaria e di Serbia all'istigazione della Russia, le quali, se non costituiscono una garanzia di pace assoluta, potranno tuttavia giovare al miglioramento delle relazioni tra i due Stati predetti e la Turchia e facilitare la soluzione delle questioni pendenti tra quest'ultima e la Bulgaria.

206

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE S.N. Vienna, 8 aprile 1910.

Discorrendo ieri col signor de Tschirschky, nella visita fattagli dopo il mio ritorno in Vienna, dei rapporti attualmente esistenti tra i due Gabinetti di Vienna e di Pietroburgo, egli mi disse che, sebbene relazioni diplomatiche più regolari si fossero ora stabilite tra di essi, il modo come eransi svolti i relativi negoziati aveva avuto per risultato di inasprire vieppiù i rapporti personali del conte d'Aehrenthal col signor Izwolskij.

Il conte d' Aehrenthal erasi dimostrato oltremodo irritato del procedere adottato dal signor Izwolskij nel rendere di pubblica ragione, senza previo suo consenso, col promemoria diretto alle Potenze, il testo dei documenti confidenziali scambiati a Pietroburgo ed erasi espresso con lui sul conto del ministro imperiale in termini piuttosto aspri.

Ma un nuovo fatto era venuto a peggiorare la situazione.

A questo proposito il signor de Tschirschky mi fece conoscere, in via personale, che il signor Tcharikoff, prendendo occasione dell'affermazione contenuta nei documenti suddetti circa la intera uniformità di principi che esisteva tra l'Austria-Ungheria e la Russia per ciò che riguardava i Balcani, aveva dichiarato alla Sublime Porta che il conte d' Aehrenthal aveva dato la sua adesione ai tre punti della formula proposta dal signor Izwolskij.

VE. ricorderà che il secondo punto di tale formula relativo al consolidamento del nuovo regime in Turchia a condizione che esso garantisse a tutte le nazionalità una perfetta uguaglianza di diritti, oltre al sollevare viva opposizione da parte della Sublime Porta, non era stato ammesso dal conte d'Aehrenthal (mio telegramma riservatissimo n. 14, del 15 febbraio scorso) I perché temeva che la Russia, ove tale condizione non si fosse verificata, non si sarebbe più considerata come obbligata ad adoperarsi in pro di quel consolidamento.

La dichiarazione del signor Tcharikoff aveva prodotto sulla Sublime Porta una certa sorpresa e fatto nascere sospetti contro l'Austria-Ungheria.

Il marchese Pallavicini interpellato in proposito da Rifaat pascià era stato incaricato dal conte d' Aehrenthal di smentire nel modo più categorico quella dichiarazione facendo conoscere che il Gabinetto di Vienna non aveva affatto acconsentito ai punti in questione, che alcun accordo non era intervenuto col Governo russo e che i negoziati intavolati a Pietroburgo non avevano altro scopo che di ristabilire sopra un piede normale le reciproche relazioni.

Dietro ordine espresso del proprio Governo il barone di Marschall aveva, dal suo lato, intrattenuto dell'argomento Rifaat pascià confermandogli pienamente le assicurazioni date dal marchese Pallavicini.

I ripetuti passi fatti presso la Sublime Porta dai rappresentanti delle due Potenze avevano finito per dissipare i dubbi ed i sospetti che erano sorti in essa contro l'Austria-Ungheria.

Accennando poi alla politica attiva che il signor Izwolskij sembrava voler ora riprendere verso gli Stati balcanici per rialzare il proprio prestigio e promuovere tra di essi una lega sotto l'egidia della Russia, il signor de Tschirschy osservò che tale politica non poteva certo essere vista di buon occhio dall'AustriaUngheria, la quale non si illudeva circa le mire cui tendeva il ministro imperiale.

Questo insieme di fatti, sebbene rendesse la situazione alquanto incerta, non dava luogo nel Gabinetto di Berlino a preoccupazioni di sorta, a quanto mi disse il signor de Tschirschky, giacché si considerava che la pace era ora garantita dall'impossibilità in cui si trovava la Russia di entrare in campo, cioè che non poteva che consigliare la Bulgaria a non accingersi ad atti inconsulti, e dalla capacità che si riconosceva nella Turchia di difendersi, il suo esercito essendo, al dire delle persone competenti, abbastanza forte per far fronte a qualsiasi sorpresa da parte degli Stati balcanici.

206 l In realtà si tratta del telegramma del 13 febbraio (cfr. n. 118).

207

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 708/63. Bucarest, 8 aprile 1910 (per. il 22).

Dal mio carteggio con cotesto Ministero risulta come più volte, dacché ho l'onore di trovarmi a capo di questa legazione, la Turchia abbia scandagliato qui direttamente od indirettamente il terreno per sapere se la Rumania sarebbe stata disposta ad entrare in negoziati con essa per la conclusione d'un trattato d'alleanza, e come abbia sempre avuto in risposta delle fìns de non recevoir.

Apprendo ora che nuove aperture per la conclusione d'una alleanza difensiva furono fatte recentemente al re Carlo, il quale rispose che, onde evitare le false interpretazioni cui potrebbe dar luogo la conoscenza d'un patto della specie, sarebbe anzi tutto necessaria la garanzia del segreto più assoluto circa il medesimo: garanzia che non è possibile avere a Costantinopoli. La situazione attuale nei Balcani non richiedere d'altronde patti a lunga scadenza. Se mai scoppiasse colà la guerra, ci sarebbe tempo d'intendersi. Intanto poter egli soltanto consigliare alla Turchia di riattaccarsi alla politica pacifica della Triplice Alleanza, la quale ha di mira l'integrità dell'Impero ottomano ed il mantenimento dello statu quo nella penisola.

208

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 214/55. Cettigne, 9 aprile 1910 (per. il 18).

Mi riferisco al telegramma che ebbi l'onore di indirizzarle sotto la data del 6 corrente, n. 331.

Il principe Nicola mi parlò quel giorno per la prima volta delle voci che correvano sulla sua intenzione di assumere il titolo di re durante i prossimi festeggiamenti, con cui sarà solennemente celebrato il cinquantesimo anniversano del suo Regno, ed insieme il cinquantesimo del suo matrimonio.

Mi disse che già da tempo aveva rilevato dai giornali l'annunzio di codesta intenzione, ma che non ci aveva fatto caso, trattandosi di notizia del tutto fantastica. Ma ora le ombre vanno prendendo consistenza nel sentimento popolare che si diffonde tacitamente fra tutte le classi del Principato, e che con segni non dubbi comincia a manifestare la volontà di investire il sovrano della dignità reale, in occasione del giubileo di quest'anno.

«lo, proseguì il principe, esito ancora a dare il mio consentimento ad un siffatto cambiamento. Siamo troppo piccoli, e troppo poveri per pagarci il lusso di una corona reale. Tuttavia, nel dubbio di quello che potrebbe accadere, vi prego di cercare di conoscere, con tutta riservatezza, quale accoglienza sarebbe per fare il Governo italiano alla mia assunzione del titolo di re, ed al conseguente innalzamento del principato a Regno».

Avendo chiesto a Sua Altezza Reale se avesse gia tenuto discorso di tale eventualità con qualcuno dei rappresentanti esteri residenti a Cettigne, mi rispose di no, confidandomi, in pari tempo, che quello stesso giorno il principe Danilo vi avrebbe fatto allusione, intrattenendosi col ministro d'Austria-Ungheria, barone Giesl.

Difatti, quest'ultimo, invitato a pranzo dal principe Danilo, fu interrogato incidentalmente, quando la conversazione cadde sulle feste del giubileo, se avesse inteso parlare di una proclamazione del Regno, e ciò che egli rispose mi fu riferito ieri dal principe Nicola, che mi fece l'onore di chiamarmi a sé per questo. Ma io ne ero stato già informato dal Giesl medesimo, che era venuto da me ad informarmi del colloquio, cui punto non era preparato.

Egli disse che personalmente la cosa gli sembrava legittima e naturale, e che non poteva vedere da quale parte e per quali motivi il Montenegro avrebbe incontrato ostacoli e difficoltà all'esaudimento dei suoi voti. Il lungo e glorioso Regno del sovrano regnante, il quale ha raddoppiato il territorio

del suo Stato, ha acquistato il mare, che ha poscia visto libero dalle servitù dell'articolo 29 del Trattato di Berlino, ha introdotto tanti nuovi elementi di civiltà e di benessere nel Paese, dopo avere condotto il suo esercito costantemente alla vittoria, questo lungo e glorioso Regno giustificherebbe appieno l'esaltazione del principe a re. D'altra parte, tutti gli Stati balcanici, essendo oramai regni, si comprende benissimo il desiderio del Montenegro di non rimanere solo fra essi in grado inferiore.

Era, però, bene inteso come codesta fosse l'espressione di un suo personale apprezzamento. Per conoscere il pensiero del Governo Imperiale e Reale sull'argomento ne avrebbe riferito a Vienna.

Così il barone Giesl, sia pure parlando per suo conto e non per istruzioni ricevute, si è fatto, con molta meraviglia dei due principi, paladino dell'idea, e patrocinatore dalla causa che sta a cuore ad entrambi, ma particolarmente al principe ereditario.

Discorrendo meco, egli manifestò la persuasione che certamente né la Russia, né l'Italia farebbero obiezioni alla erezione del nuovo Regno.

Mi consta, per quanto concerne la Russia, che il principe Nicola ha fatto tastare il terreno direttamente a Pietroburgo, donde attende risposta. Qui ha creduto far parlare all'incaricato d'affari della legazione imperiale dal ministro degli affari esteri, signor Tomanovié, astenendosi di parlarne egli stesso.

Nessun altro rappresentante è stato messo a giorno dell'intenzione del mutamento politico, di cui si tratta, eccettuato l'agente diplomatico di Bulgaria, cui fu dato dal principe Nicola l 'incarico di recarsi personalmente a Sofia a spiegare al re Ferdinando le ragioni che militano a favore di tale mutamento.

A Sua Altezza Reale non è sfuggito che dalla Bulgaria e più ancora dalla Serbia potrebbero essere sollevate difficoltà alla proclamazione di un regno del Montenegro. La Bulgaria cerca di convincere con argomenti, e spera di riuscirvi. La Serbia, se gli altri Stati fossero d'accordo, non avrebbe forza sufficiente per impedire l'avvenimento.

In questo primo stadio delle trattative il mio contegno è stato quello della più stretta riserva. Tanto col principe Nicola, quanto col ministro Tomanovié, che volle toccare con me l'argomento, e coi colleghi d'Austria-Ungheria e di Russia, ho creduto di dover tenere un linguaggio riservato, niente affatto conforme a quello tenuto, ne ignoro il motivo, dal barone Giesl, il quale destò sospetti col suo parlare, e non fu bene accolta perciò la sua apparente cordialità.

Non è già che i medesimi sospetti sarebbero potuti sorgere per me. Invece, mie dichiarazioni esplicite favorevoli, anche fatte in via rigorosamente personale, sarebbero state egualmente ritenute come effetto di istruzioni ricevute. Venuto questo a mia conoscenza, il riserbo si imponeva.

Del resto, il principe Nicola l'ha ben capito. Me l'ha detto egli stesso ieri sera in una familiarissima conversazione.

208 l Con T. riservato l 066/33 del 6 aprile, non pubblicato.

209

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. PERSONALE l 098/105. Vienna, 10 aprile 1910, ore 2,10 (per. ore 16,20).

Aehrenthal mi ha rimesso oggi testo comunicato ufficioso che sarebbe sua intenzione pubblicare e di cui è cenno mio telegramma personale n. 1001. Testo è del seguente tenore: «Siccome avvenne già ripetutamente in circostanze analoghe, ebbe luogo, anche in occasione della nomina del marchese di San Giuliano a ministro reale degli affari esteri italiano, un cordiale scambio d'idee fra lui ed il conte Aehrenthal. Il marchese di San Giuliano ha manifestato, nella sua lettera, il proposito di dirigere la politica del suo Paese, ai cui principi fondamentali egli vuole, naturalmente, attenersi, nel senso dei suoi predecessori e di sviluppare le relazioni amichevoli esistenti fra l'Italia e la Monarchia. Il ministro imperiale e reale ha salutato, nella sua risposta, queste aperture con particolare soddisfazione ed ha rilevato in proposito che presterà, siccome fece finora, la sua piena cooperazione a tutti gli sforzi intesi sviluppare i reciproci rapporti di amichevole alleanza e si adopererà a renderli più intimi». Prego

V.E. -volermi telegrafare se crede dare sua approvazione testo comunicato. Prevengo V. -E. che Aehrenthal desidererebbe pubblicarlo possibilmente martedì prossimo2.
210

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

T. PERSONALE 852. Roma, 10 aprile 1910, ore 12.

Suo telegramma n. 331. Autorizzo V. S. ad assicurare il principe del Montenegro del consenso del Governo italiano alla assunzione da parte di Sua altezza Reale del titolo di re, in occasione del suo giubileo.

211

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATOREA VIENNA,AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 865. Roma, 13 aprile 1910, ore 11,10.

Giunto adesso trovo i suoi telegrammi personali n. l051 e l 072. Anzitutto pregola ringraziare Aehrenthal della sua disposizione ad aderire alla mia opinione che non

2091 T. 1079/100 del 7 aprile, non pubblicato.

2 Per la risposta cfr. n. 211.

21 Ol Cfr. n. 208, nota l.

2111 Cfr. n. 209.

2 T. Ili 0/107 del l O aprile, non pubblicato.

sarebbe favorevole alla pubblicazione del comunicato, soltanto perché mi pare che debba considerarsi come cosa sottintesa e naturale che i mutamenti di persona non possano modificare un indirizzo politico fondato sui trattati e sui permanenti interessi reciproci dei due Paesi. Siccome però tengo molto a fargli cosa gradita, così aderisco al suo desiderio della pubblicazione di un comunicato. Debbo però dirle, con quella franchezza, che è solida base della cordialità dei reciproci rapporti, che la forma proposta da Aehrenthal potrebbe dar luogo ad interpretazioni ed impressioni che sono ben lontane dalle intenzioni sue e mie. Propongo perciò di modificare il comunicato nei termini seguenti, i quali nel primo capoverso sono identici a quelli proposti da lui, e nel capoverso successivo riproducono quelli adoperati nel comunicato del 3 novembre 1906, concordati fra Aehrenthal e Tittoni. Ecco i termini nei quali io lo propongo: «Siccome avvenne già ripetutamente in circostanze analoghe, ebbe luogo, anche in occasione della nomina del ministro di San Giuliano a ministro degli affari esteri d'Italia, un cordiale scambio di idee fra lui e il conte Aehrenthal. Da questo scambio d'idee è risultato il comune e futuro proposito dei due ministri di procedere in pieno accordo e di adoperarsi a rendere sempre più cordiali ed intimi gli eccellenti rapporti che uniscono i due Governi». Si potrebbe inoltre, nell'ultimo capoverso, aggiungere dopo la parola «rapporti» le parole «di amicizia e di alleanza»3.

212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 866. Roma, 13 aprile 1910, ore 11,30.

Pregola telegrafarmi subito se la comunicazione di cui nel suo telegramma n. 331 è stata poi realmente fatta anche a codesti rappresentanti d'Austria-Ungheria e di Russia2.

213

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 875. Roma, 13 aprile 1910, ore 24.

Rispondo al suo telegramma n. 1101. Il comunicato dovrebbe, a mio giudizio, limitarsi alle sole parole seguenti: «Siccome avvenne già ripetutamente

2113 Cfr. n. 213. 212 l Cfr. n. 208 nota l. 2 Con T. 1126 del 13 aprile ore 18,30 Squittì tranquillizava di San Giuliano di aver eseguito le sue istruzioni. 2131 T. 1127110 del 13 aprile, non pubblicato.

in circostanze analoghe, ebbe luogo anche in occasione della nomina del marchese di San Giuliano a ministro degli affari esteri d'Italia un cordiale scambio d'idee fra lui ed il conte Aehrenthal. Da questo scambio d'idee è risultato il comune e fermo proposito dei due ministri di procedere in pieno accordo e di adoperarsi a rendere sempre più cordiali ed intimi gli eccellenti rapporti di amicizia e di alleanza che uniscono i due Governi». Credo che si debba sopprimere tutto il resto del comunicato proposto dal conte Aehrenthal e riprodotto nel telegramma personale di V.E. n. 1052.

Aggiungo, per norma di V.E., che non accetterò ad alcun patto i periodi secondo e terzo del predetto suo telegramma n. l 05 che cominciano colle parole: «Il marchese di San Giuliano ha manifestato»3.

214

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO

T. RISERVATO 881. Roma, 14 aprile 1910, ore 16,15.

Tenendo conto delle considerazioni da lei esposte nei rapporti nn. 123', 1632 e precedenti, sono disposto ad insistere presso il Ministero dell'interno per ottenere il richiamo immediato Insabato dall'Egitto, ed autorizzarla ad esonerare Mohammed Elui dalla qualità di dragomanno onorario. Sarebbe però desiderabile evitare una brusca rottura coi due individui, le cui rivelazioni, vere o false, potrebbero crearci qualche imbarazzo. Converrebbe quindi motivare i provvedimenti con un apprezzamento generale da parte del R. Governo, il quale non considera né il luogo né il momento opportuni per qualsiasi ulteriore azione presso i Senussi. D'altro canto, converrebbe che dal R. Ministero dell'interno fosse assegnata all'Insabato un'altra destinazione che ella potrebbe forse indicarmi, prendendo in considerazione, se possibile, le preferenze sue. Quanto al Mohammed Elui la prego farmi conoscere con quale somma si potrebbero tacitare i suoi prevedibili reclami. Attendo una sollecita risposta in proposito3.

2132 Cfr. n. 209.

3 Per la risposta cfr. n. 215.

2141 Cfr. n. 166.

2 Non rinvenuto.

l Per il seguito della questione cfr. n. 418.

215

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1135/112. Vienna, 14 aprile 1910, ore 19 (per. ore 20,30).

Mi sono espresso oggi con Aehrentha1 nel senso telegramma di V.E. riservatissimo n. 8751 e gli ho fatto conoscere modificazioni da lei proposte al comunicato, i cui termini sono indicati nell'altro suo telegramma riservatissimo n. 8652. Aehrenthal ha ricordato di nuovo che aveva proposto pubblicazione comunicato allo scopo soltanto conformarsi precedenti ed evitare che, ove essa non fosse avvenuta, ciò avesse potuto essere rilevato dalla stampa e dar luogo forse a svariati commenti. Egli trovava, però, comunicato proposto da V.E. eccellente sotto ogni rapporto, perché riproduceva interamente suo pensiero ed aveva di più vantaggio essere corto, onde ne accettava termini. Aehrenthal ha aggiunto che era conveniente che comunicato fosse pubblicato contemporaneamente da entrambi i Governi, tanto più avendo egli aderito modificazioni proposte da V.E. e mi ha chiesto di pregarla voler fissare data in cui tale pubblicazione debba essere fatta e telegrafarmi in proposito3.

216

IL CONSOLE GENERALE A ZANZIBAR, CORSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 2381. Zanzibar, 14 aprile 1910.

Si è sparsa ad un tratto la voce che il sultano, dopo nemmeno tre mesi dal suo ritorno, si preparava a partire di nuovo per l'Europa. Sembrava che la partenza dovesse avvenire immediatamente col piroscafo germanico che ha lasciato l 'isola il 3 corrente, ma per mancanza di posti era stata rimessa a quello successivo che parte di qui il 23 di questo mese. Se non che da ultimo, anticipando sol di pochi giorni la partenza, il sultano si è deciso a prendere imbarco sul Koening,

2151 Cfr. n. 213.

2 Cfr. n. 211.

3 Con T. 883 del 15 aprile, non pubblicato, di San Giuliano rispose che la pubblicazione si sarebbe potuta fare il giorno dopo.

che parte oggi, piroscafo della stessa compagnia ma di second'ordine e destinato specialmente al servizio commerciale. Intanto nella notte dell'S egli ha lasciato il Palazzo, su uno dei vapori di questo Sultanato, dal quale trasborderà direttamente, a Tanga o a Mombasa, sul Koenig.

Questa improvvisa, precipitosa ed anche un po' misteriosa partenza ha destato qui una certa sorpresa. Dalle persone ufficiali è generalmente spiegata con motivi di salute, di cui peraltro non si aveva avuto sinora alcun sentore, avendo il sultano continuato a menare lo stesso tenore di vita, invero non troppo igienico, che ha bensì già molto logorato la sua salute, senza però che questa sembri richiedere cure così urgenti, né possa certo avvantaggiarsi dalla vita che il giovine sovrano orientale ama trascorrere nei suoi viaggi per l'Europa.

E vi è appunto chi spiega questo suo impaziente ritorno con le maggiori attrattive che esercita su di lui la vita nelle capitali europee che nella propria: se non vi facesse ostacolo il fatto che le finanze del prodigo principe, ancora esauste e dissestate per la sua ultima lunga dimora in Europa, non potrebbero a così breve distanza consentirgli un nuovo e costoso viaggio di piacere.

Vi è anche chi sussurra che all'improvvisa determinazione non siano estranei gli attriti del sultano con l'agente britannico: ma in tal caso, poiché tali attriti non riescono di così grave impaccio a quest'ultimo da fargli fare le spese per allontanare l'altro, solo temporaneamente, dalla faccia dei luoghi, sarebbe piuttosto da supporre che il sultano intenda di portare personalmente a Londra i propri piani, o almeno di togliersi da una situazione incresciosa, stretto com'è da un lato dai propri sudditi, che lo trovano fin troppo remissivo e incurioso, dall'altro dai suoi padroni, che divengono ogni dì più esigenti.

E infine mi vien fatto, per mio conto, di pensare, se l'attuale venuta in Europa, così affrettata ed ansiosa, quale, se non per un appuntamento galante, potrebbe, nel sultano, spiegarsi solo per un appuntamento d'affari, non possa forse anche mettersi in relazione con la notizia già da me comunicata col telegramma del 6 dicembre u.s. n. 605.

Accenno al prestito di un milione che il sultano stava trattando col Governo inglese, dietro cessione oltreché al suo residuo patrimonio, anche, probabilmente, dei suoi diritti, ormai affatto nulli, di sovranità sulla costa, spogliati come sono anche dal canone tuttora pagato dal British East Africa Protectorate, ma già devoluti per intero al bilancio di Zanzibar. Una tale soluzione potrebbe essere vivamente desiderata dal Governo inglese, oltre che per ragioni d'indole politica, anche per esigenze di carattere amministrativo; poiché l'attuale sovranità del sultano e il regime fondiario ad essa connesso ostacolano il Governo del Protettorato a rilasciare nella zona costiera larghe concessioni di terreni, per la coltivazione del cotone, come ne vengono insistentemente richieste anche da assai potenti società.

Dopo la prima notizia -che per singolari circostanze, troppo lungo a spiegare, mi fu dato di cogliere, da persona per la sua carica e le sue aderenze personali assai addentro nelle cose -non mi fu possibile avere altre informazioni sull'argomento; tanto che dubitai, se non della fondatezza della notizia, almeno della sua effettuazione.

L'attuale partenza del sultano mi fa pensare, o che l'affare sia stato nel frattempo concluso, in modo che egli, rimpannucciatosi coi brandelli della sua bandiera, possa ora permettersi il lusso di un nuovo viaggio di distrazioni in Europa,

o che, premuto dal Governo inglese o dalle proprie strettezze, egli si rechi appunto colà per definire la cosa rimasta in sospeso.

Comunque, le misere condizioni a cui il sultano è ridotto per le sue prodigalità -tanto da fargli commettere nell'ultimo viaggio anche qualche indelicatezza che rasenta persino la truffa, e per cui sono giunti qui reclami a taluno dei miei colleghi -possono lasciarlo indurre, ora che del suo patrimonio non restano più che le briciole, a cedere per un piatto più sostanzioso il fumo della sua evaporante sovranità: da prima, più facilmente, sui territori della costa ormai a lui già affatto estranei; più tardi, e certo dopo maggiore ritegno, anche sul suo paese natale. Se la cosa non è già, in qualche parte, avvenuta, e tenuta in caldo dal Governo inglese per sfornarla al momento opportuno, o se non sta ancora per compiersi, non è men certo che essa va fatalmente apparecchiandosi. E le persone poste a fianco del sultano, e che l'accompagnano anche nei suoi viaggi in Europa, non son certo tali da trattenerlo sulla china pericolosa.

La questione merita d'essere attentamente seguita, perché non v'ha dubbio che un mutamento, sia pure nominale e celato, del regime di questo Paese sospingerebbe più vivamente il Governo britannico a modificare la situazione goduta ancora qui dagli altri Stati, in forza dei trattati; sia incitandolo a passare più risolutamente oltre a questi, come già tenderebbe di fare, sia, quando gli venga opposta un'oculata resistenza, obbligandolo a venire a patti per la revisione di quegli accordi, che gli oppongono anche un ostacolo mal tollerato, a dare al paese un più conveniente assetto amministrativo e finanziario.

216 1 Si tratta di una copia dell'originale che non è stato rinvenuto né nelle posizioni Zanzibar dell'ASMA! né in quelle analoghe della serie P. Al documento è allegato il seguente appunto: «Tener copia e passare all'ufficio politico».

217

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 1146/69. Addis Abeba, 15 aprile 1910 (per. ore 21,35) 1.

Jeri degiacc Abatè ha fatto ingresso solenne Addis Abeba accompagnato dalle sue truppe. Funzione, presieduta da ligg Jasu colle insegne negus ed alla quale intervennero ufficialmente rappresentanti esteri, ebbe carattere di grande solennità ed importanza politica quale sanzione ufficiale nuovo regime. La più grande tranquillità regna in tutto l 'Impero, ad eccezione delle province settentrionali nelle quali situazione si mantiene allarmante avendo tutti i capi chiamato chitet. Finora

nessun dissidio o conflitto è avvenuto fra i fautori del nuovo regime e quelli che sono invece legati per interessi personali al regime antico; ma non è da escludere che si possano verificare da un momento all'altro complicazioni specialmente tra ras Olié eras Micael.

217 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore 18,05.

218

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 392/157. Tripoli di Barberia, 15 aprile 1910 (per. il 21).

A titolo di semplice cronaca che da altre fonti sarà più precisamente stata riportata all'E.V. mi faccio un dovere di riferire che mi vien detto avere il Daily Mai/ riportato di recente la voce di iniziative del Governo turco per la delimitazione della frontiera orientale cirenaica-egiziana iniziativa che non avrebbe avuto seguito per lo intervento dell'Italia la quale dichiarava che solamente all'Egitto competeva interessarsi della questione.

Accennando ieri a Rascid bey della prima parte di quella voce corsa, egli riconobbe che la voce poteva avere apparenza di verità, ma che non credeva il momento opportuno per delimitazioni di confine anche da quella parte, quando la Turchia ha già in pendenza tante di quelle questioni di confine da tutti i lati.

219

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1173/48. Pietroburgo, 17 aprile 1910, ore 16,50 (per. ore 18,45).

Sazonow, a cui ho parlato nel senso del telegramma di V.E. n. 8841, mi ha detto aver comunicato allo czar proposito del principe del Montenegro di assumere il titolo di re in occasione del suo giubileo. Governo imperiale non aveva ben inteso nessun motivo di muovere obiezione a questo progetto, sebbene l'innalzamento a Regno di così piccolo Stato potesse a molti sembrare esagerato.

219 l T. 884 del 15 aprile, non pubblicato.

220

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

T. 903. Roma, 17 aprile 1910, ore 19,30.

Pregola comunicarmi d'urgenza elenco irregolarità e mancanze gravi imputate dal principe Nicola alla Compagnia d'Antivari secondo suo rapporto n. 45 del 24 marzo u.s.I.

221

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. UFF. COLONIALE 9101. Roma, 18 aprile 1910, ore 14,45.

In una mia conversazione con Pichon si convenne dare istruzioni rispettivi ministri costà ispirarsi il più possibile amicizia reciproca esistente per Potenze firmatarie accordo Londra. Nel conferirle tali istruzioni pregola farmi sapere se collega francese ricevette istruzioni analoghe e se vi si conformi2.

222

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1178/119. Vienna, 18 aprile 1910, ore 20,35 (per. ore 21,50).

Aehrenthal, essendosi scusato meco di non potermi ricevere ieri l'altro e ieri, a cagione dei festeggiamenti dati qui in onore ex-presidente Roosevelt, non ho potuto informarlo che oggi appena, in via riservata, contenuto telegramma di VE. riservatissimo n. 884'.

Aehrenthal mi ha pregato ringraziare V.E. per tale informazione e mi ha detto che ministro d'Austria-Ungheria Cettigne avevagli riferito voce che correva colà circa eventuale assunzione, da parte del principe Nicola, titolo re, ma che, finora, non era stato da lui informato che una comunicazione in proposito gli fosse stata fatta da S.A.R.

Supponeva che questa gli sarebbe stata, forse, trasmessa dal generale Giesl con il corriere che aspettava domani da Cettigne.

Qualora egli fosse stato presentito circa argomento, non avrebbe mancato far assicurare principe Nicola, per mezzo ministro imperiale e reale, che Governo austro-ungarico avrebbe conservato atteggiamento simpatico al riguardo.

Aehrenthal si riserva, quindi, in tal caso, di mettersi in rapporto con V.E. e con gli altri Gabinetti per procedere scambio d'idee sulla questione, siccome era avvenuto per assunzione titolo re da parte dei sovrani Serbia e Rumania ed, in ultimo, da parte di quello di Bulgaria, e non dubita che Gabinetti stessi non avrebbero avuto difficoltà dare loro consenso proclamazione regno Montenegro.

220 l Non pubblicato. Per la risposta cfr. n. 224. 221 l Il telegramma fu trasmesso via Asmara. 2 Con T. 1216/74 del 20 aprile, non pubblicato, Colli rispondeva di non aver appreso nulla in tal senso dal collega francese. 222 l Non pubblicato, ma cfr. n. 219.

223

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI INCARICATI D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, E A PARIGI, RUSPOLI

Roma, 19 aprile 1910.

Durante le conversazioni da me avute recentemente col signor Pichon a Parigi si convenne di dare istruzioni ai rispettivi ministri in Addis Abeba perché s'inspirino il più possibile nello svolgimento dell'opera loro all'amicizia esistente fra le tre Potenze firmatarie dell'accordo 1906.

Questo richiamo sembra molto opportuno essendo necessaria nella attuale situazione in Etiopia la cooperazione dei tre rappresentanti.

Per Parigi soltanto. Ho inviato pertanto al conte Colli un telegramma dandogli istruzione in questo senso2, e prego la S.V. di dame notizia al signor Pichon, riferendosi alla nostra recente conversazione.

Per Londra soltanto. Ho telegrafato al conte Colli, dando istruzioni nel senso convenuto.

Prego ora la S.V. di voler informare di ciò sir Edward Grey, facendogli presente l'opportunità ch'egli dia al ministro britannico in Addis Abeba istruzioni analoghe3.

2 Cfr. n. 221.

l Per le risposte cfr. nn. 242 e 245.

223 l Inviato a Londra con il n. 50 e a Parigi con il 18.

224

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R 229/60. Cettigne, 19 aprile 1910 (per il 25).

Rispondendo al telegramma di V. E. in data del 17 corrente n. 903', arrivatomi ieri, mi reco ad onore d'informarla che S. A. R. il principe Nicola non ha ancora pronto l'elenco delle irregolarità, delle mancanze e delle colpe, onde accusa la Compagnia di Antivari, ed in base al quale egli intenderebbe di rivolgersi, più tardi, al magistrato competente, cioè all'arbitrato previsto dalla convenzione costitutiva della Società. Né il summentovato elenco sarà completato fra breve, poiché ora il principe non vuoi sentire parlar d'altro e d'altro non si occupa che del suo giubileo.

Tuttavia io non ho mancato di insistere presso Sua Altezza Reale sulla necessità di specificare gli addebiti principali che si fanno alla Compagnia, essendo persuaso che dessa è animata dal desiderio di dissipare gli equivoci che fossero nati e correggere gli errori nei quali si fosse incorso e per questo ha bisogno di sapere punto per punto ciò che le si rimprovera, anche per essere in grado di giustificarsi, dove credesse.

Debbo però, riferire all'E.V., con grande rincrescimento, che non dal principe solo partono le lagnanze contro la Compagnia: sono tutti i montenegrini, dal capo del Governo fino ali 'ultimo gregario, che ne parlano con malo animo, ne criticano ogni atto, ne vilipendono il personale, ne deplorano l'esistenza.

Io non mi sono arrestato a tener discorso delle nostre imprese al Montenegro soltanto col principe Nicola. Ho parlato col principe Danilo, con tutti i ministri, cominciando dal presidente del Consiglio, dottor Tomanovié, con persone preminenti ed influenti alla Corte ed al Governo, come l'ex presidente del Consiglio signor Miushkovié, il presidente della Camera e del Consiglio di Stato, signor Giukanovié e con altri: tutti, ali 'infuori del principe Danilo; furono più o meno concordi nel dare addosso alla Compagnia di Antivari. E' stato un coro generale di invettive, più violente in alcuni, meno in altri. Non si tratta, quindi, del malcontento personale del principe Nicola, ma di quello d'ogni classe di persone. Fra queste fu, discorrendo meco l'altro giorno, particolarmente energico e deciso nella espressione del suo pensiero il ministro della guerra, generale Martinovié, che è l'anima dell'attuale Ministero, e ne dispone a suo talento.

Ero andato da lui per interessarlo a concorrere meco alla soluzione del disgraziatissimo incidente Pasié, che l'E.V. ben conosce, ed egli mi promise che farebbe il possibile per venire incontro alle mie premure, ma non per ri

guardo alla Compagnia di Antivari, bensì per deferenza personale verso di me. «La Compagnia -disse -non merita nessun riguardo. Tutto va a rotoli in quella amministrazione. La nostra pazienza e la nostra tolleranza sono esaurite. Se il Governo italiano, che ora largamente sussidia l'azienda, non la farà passare in altre mani, noi dovremo provvedere ai casi nostri, malgrado le simpatie e gli interessi che ci legano ali 'Italia».

Naturalmente non lasciai questo discorso senza risposta, la quale, a dir vero, non mi fu troppo difficile. Ma non la ripeterò qui, a tedio deii'E.V.

Dirò piuttosto di una mia impressione sulla natura di questo generale malumore, delle critiche, delle avversioni andate crescendo contro la società. A me sembra che esse non siano effetto di un giudizio riflesso e profondo per un verso, spassionato e disinteressato per un altro. Dipendono in gran parte da un'osservazione superficiale di deficienze facili a rilevarsi, particolarmente a causa del personale (fatte le debite eccezioni), nei pubblici servizi, dove l'azienda italiana è impegnata. Codeste deficienze, talvolta giustificate dalle circostanze, si riferiscono assai spesso ad inezie e piccolezze di amministrazione, che non dovrebbe essere difficile di emendare, ma, agli occhi dei montenegrini, esse assumono gravissima importanza, e si trasformano in colpe imperdonabili, magnificate dalla inesperienza, dalla diffidenza e dal carattere ombroso e permaloso della gente di qui.

Se ciò è vero, come io credo, non è da confondersi o da disperare del rimedio ai lamentati inconvenienti: rimuovere, nella misura del possibile, le cause di questi, e la causa delle cause, se mi è lecito esprimermi così, sta nella deficienza del personale. Un riordinamento del personale, sotto l'alta direzione di un capo residente sul luogo, munito di estesissimi poteri, e godente una indiscussa autorità, è ora più che mai di una assoluta ed urgente necessità.

Ritengo che egli potrà, con saggi ed, occorrendo, radicali provvedimenti, far cambiare la corrente ostile che oggi domina verso la Compagnia, e ristabilire le buone relazioni tra Compagnia e Governo, senza di cui non sarebbe possibile l'esistenza medesima della Compagnia in Montenegro.

Quanto a fini reconditi e inconfessabili che furono attribuiti al Governo principesco, e che spiegherebbero le animosità contro l'azienda, nonché il clamore generale contro i suoi mancamenti, io non oso pronunciarmi, ma, a giudicare da quanto mi circonda, dovrei venire alla conclusione che quei fini non sono attualmente in animo di alcuno.

La direzione della Compagnia vedrà certamente che questo è il momento di agire qui con mezzi efficaci per far rinascere la fiducia, e ritornare a condizioni normali.

Per ciò che sta in me, V.E. può esser certa che mi adopererò in questo senso con tutte le mie forze2.

224 l Cfr. n. 220.

224 2 Per la risposta cfr. n. 248.

225

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 925. Roma, 20 aprile 1910, ore 13,20.

La risposta ai passi da me fatti presso i Governi di Russia ed Austria danno motivo credere che essi aderiranno desiderio principe assumere titolo regio. Sarebbe però bene che Sua Altezza Reale non tardasse parlarne rispettivi ministri senza mostrarsi inteso di questi miei passi e di questo mio consiglio ch'ella vorrà comunicare.

226

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, TITTONI, E A PIETROBURGO, MELEGARI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN

T. 933. Roma, 20 aprile 1910, ore 18,40.

Questo ambasciatore di Turchia mi ha detto oggi che il suo Governo non tollererà giuramento fedeltà assemblea cretese al re di Grecia e prenderà gravi misure. Ho telegrafato Mayor per cercare di sapere fino a qual punto tali minacce siano serie. Come già le dissi nel mio telegramma n. 9221 si possono fare ulteriori tentativi Canea impedire giuramento, ma certo falliranno. Se il pericolo di decisioni gravi da parte Turchia apparirà serio allora sarebbe forse minore male riesaminare opportunità di uno sbarco di truppe o marinai delle quattro Potenze a Creta. Sarà utile però prima prendere decisioni così importanti che le quattro Potenze si scambino le maggiori e più esatte informazioni possibili sul grado effettivo di pericolo di una azione da parte Turchia.

227

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 4971191. Il Cairo, 20 aprile 1910 (per il 27).

Fo seguito al mio rapporto del 20 febbraio scorso n. 821.

227 l Cfr. n. 134.

Essendo nuovamente corse voci di misure militari precauzionali prese dal Governo del Sudan lungo la frontiera abissina, ne ho chiesto a sir Reginald Wingate, il quale si dispone a partire per l'Inghilterra.

Il sirdar mi ha confermato quanto mi aveva già detto, e cioè che nessuna misura era stata adottata, all'infuori di quella consistente nello spostamento delle truppe da Cassala a Ghedaref, quale punto strategicamente più favorevole. E il sirdar soggiunse, con evidente rincrescimento, che, anche volendo, nessun'altra misura si potrebbe prendere causa la deficienza numerica delle truppe di cui egli dispone: per cui se dall'Abissinia avvenissero incursioni sul territorio sudanese, spesso egli sarebbe costretto a rimanere a braccia incrociate.

Mi riferisco in proposito al citato mio rapporto, ...

PS. Copia del presente è inviata al governatore dell'Eritrea.

226 l T. 922 del 19 aprile, non pubblicato.

228

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 502/196. Il Cairo, 20 aprile 1910 (per. il 27).

Durante il recente soggiorno in Egitto del cavalier Bresciani gli procurai, com'è noto a V.E., in ordine al progetto di ferrovia in Tripolitania, una udienza presso S.A. il khedive. Dopo trattata la questione della ferrovia, il khedive discorse delle intraprese agricole del Banco di Roma in Cirenaica -acquisto di terreni, loro messa in valore, coltivazioni, chiamata di agricoltori italiani-e con sorpresa del cavalier Bresciani stesso, egli si mostrò bene a corrente di tutto, e finì coll'offrire il proprio cointeressamento. II cavalier Bresciani dette risposta evasiva.

Ho detto al cavalier Bresciani che egli doveva rifiutare categoricamente.

E difatti, sotto l'aspetto politico, ritengo pericolosa qualunque combinazione col khedive in siffatte imprese agricole e fondiarie in Tripolitania. Dalla mia corrispondenza risulta che mi decisi a dare avviso favorevole al cointeressamento del khedive nella questione della ferrovia solo dopo che codesto ministero mi ebbe detto essere impossibile trovare in Italia i capitali, ed anche per la considerazione dell'appoggio efficace che il khedive stesso potrà dare per l' ottenimento delle concessioni a Costantinopoli, che dovrà trattarsi all'infuori della r. ambasciata in Turchia. Inoltre, come ho ripetutamente scritto a codesto ministero, vi era il pericolo, non lontano, che il khedive (il quale è deciso ad ottenere il prolungamento della sua ferrovia del Mariut a scopo di rendere fruttiferi i capitali che personalmente vi ha impiegato) ottenesse, coi mezzi di cui dispone a Costantinopoli, la concessione a favore di un sindacato, ottomano di nome, ma francese

o inglese nella sostanza.

Ma per le dette intraprese agricole in Cirenaica questo pericolo non v'è. E per troppo ovvie ragioni il cointeressamento del khedive sarebbe, a mio avviso, politicamente un errore.

Ora il cavalier Bresciani, con lettera di ieri, mi scrive da Alessandria che attenderà a T ripoli (per dove parte oggi stesso) di conoscere gli intendimenti del R. Governo in ordine alle dette imprese agricole e fondiarie. Non sono a corrente delle trattative corse fra il Banco di Roma e codesto ministero al riguardo, ed ignoro precisamente quale sorta di appoggio il Banco attenda in proposito dal R. Governo. Ma è mio obbligo riferire testualmente una frase della citata lettera del cavalier Bresciani: «Fui ancora pregato di studiare una combinazione colla solita persona (khedive) o per conto di essa. Io prevedo che finiremo per intenderei. Che vuole, il patriottismo è bello, ma è bello quando è sentito e condiviso da tutti. Le pare?».

Forse non è mio compito interloquire in tale questione. Tuttavia, a mio subordinato parere, parmi evidente la opportunità, da un lato, di incoraggiare ed appoggiare nel modo più efficace ed effettivo le dette iniziative del Banco di Roma, le quali costituiscono il mezzo migliore della penetrazione italiana in Tripolitania, e d'altro lato, di far pervenire al cavalier Bresciani l 'invito di astenersi da ulteriori trattative col khedive.

Che il Banco di Roma voglia concludere affari vantaggiosi è troppo naturale, ed è gran fortuna per la politica italiana che esso abbia rivolto la sua attività alla Tripolitania. Il Banco di Roma ha d'altra parte sempre dimostrato di voler secondare gli scopi politici del R. Governo, ma ha pure diritto di attendersi, in corrispettivo, ali' appoggio (sic) del R. Governo stesso I.

229

IL REGGENTE IL CONSOLATO A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1212/41. Canea, [21] aprile 1910, ore 13,40 (per. ore 14,40 del 21 aprile).

Le notizie pervenute coll'agenzia telegrafica jeri sera secondo le quali la Turchia prenderebbe delle misure se assemblea presterà giuramento in nome re di Grecia, hanno eccitato popolazione cristiana. Avendo console francese ricevuto istruzioni di concertarsi coi colleghi per fare passi energici a Canea onde impedire prestazione giuramento, ho il dovere di informare V.E. che se detti passi dovessero aver luogo causerebbero gravissime conseguenze cui non potremmo far fronte colle esigue forze navali di cui disponiamo citate nei miei rapporti.

228 I Per la risposta cfr. n. 241.

230

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

T. 1240/61. Londra, 22 aprile 1910, ore 7,48 (per. ore 23,50).

Creta. Rispondo ai telegrammi nn. 9332, 9483, 9494. *Hardinge mi ha detto oggi che Governo britannico considera senza inquietudine situazione Creta. Egli ha risposto a questo ambasciatore di Turchia che i consoli alla Canea avevano fatto e facevano tutto il possibile per impedire il giuramento al re di Grecia, ma che, se, nonostante ciò, esso avvenisse, non costituirebbe un fatto nuovo essendosi già altre volte verificato. Che conveniva alla Sublime Porta usare la massima prudenza e non riaprire contro i consoli delle Potenze la questione di Creta per ciò che si riduceva a delle parole*. Tewfik pascià, dopo ciò, se ne andò senza replicare, quasi fosse persuaso. Governo britannico non si propone di dare per ora alcuna istruzione all'ambasciatore d'Inghilterra per consigli di prudenza a Costantinopoli e crede sia meglio mostrare di non prendere colà troppo sul serio le minacce di Rifaat pascià. Se poi il Governo ottomano prendesse misure minacciose verso la Creta e mobilizzasse per esempio, la flotta, le quattro Potenze protettrici potrebbero alla loro volta inviare delle squadre in quelle acque, facendo conoscere alla Turchia che l'isola è stata loro affidata c che non possono ammettere un suo intervento. Ciò basterebbe certo a fermare la flotta turca come bastò in precedenti occasioni.

Egli poi ritiene che, in ogni caso, è inutile pensare ad una rioccupazione militare dell'isola, la quale probabilmente non si potrebbe fare senza spargimento di sangue e senza suscitare un movimento rivoluzionario difficile a domare, perché gli insorti si anniderebbero sulle montagne. Ma, ripeto, egli crede che la Turchia si limiterà a minacciare in parole e che i cretesi, dal canto loro, si limiteranno a parole più o meno violente.

231

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

T. URGENTE CONFIDENZIALE 823. Roma, 22 aprile 1910, ore 17,30.

Attesa la situazione politica che si va delineando in Creta le Potenze interessate stanno prendendo accordi per fronteggiare ogni eventualità. Credo, pertanto, opportuno di informare, fin da ora, in via strettamente riservata, I'E.V. che potrà

230 I II brano tra asterischi è edito in LV 106, p. 148.

2 Cfr. n. 226.

3 T. 948 del 21 aprile non pubblicato ma cfr. n. 226.

4 T. 949 del 21 aprile non pubblicato che trasmette il n. 229.

forse presentarsi, anche a breve scadenza, la necessità di inviare sulle acque di Creta qualche r. nave che abbia a bordo compagnia e materiale da sbarco. Prego I'E.V. di volermi segnare ricevuta di questa conversazione.

232

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 622/218. Londra, 22 aprile 1910 (per. il 26).

Avant'ieri alla Camera dei lords vi fu una interrogazione sugli affari di Persia che si sviluppò in una discussione interessante, di cui accludo il resoconto testuale 1•

Lord Lamington chiedendo a che punto fossero le pratiche per il prestito alla Persia criticò la politica anglo-russa in quello Stato, le condizioni troppo onerose che si volevano imporre alla Persia e le difficoltà che si interponevano e che la Persia potesse procacciarsi altrove il denaro indispensabile per la propria rigenerazione. Non si poteva criticare la Persia se si rivolgeva alla Germania data l'attitudine poco generosa presa dalla Russia e dall'Inghilterra. La Persia occupava nel mondo musulmano una posizione importante ed era nell'interesse del Governo britannico che questa posizione non fosse scossa pel contraccolpo che potrebbe avere nell'Impero indiano. Era meglio che la Persia fosse lasciata svilupparsi e rafforzarsi perché avrebbe costituita una barriera a possibili malintesi tra Russia e Inghilterra. Dopo avere espresso il suo rincrescimento per il cambiamento d'attitudine riguardo alla Persia non solo del Governo ma anche del Times e di una parte della stampa inglese, concluse che i suoi timori si potevano compendiare in ciò che Warren Hastings disse già nel 1814: che la Russia stabilendosi nel Golfo Persico sarebbe stata in grado di domare insieme e l'India e l'Asia Minore.

Lord Crewe rispondendo pel Governo deplorò che da una semplice interrogazione di lord Lamington avesse tratto occasione di sviluppare tutta una critica dell'azione del Governo in Persia. Egli non lo avrebbe seguito in una discussione che per il momento era inopportuna e si sarebbe limitato a rispondere alla sua domanda dicendogli ciò che era ormai notizia di dominio pubblico, che i negoziati pel prestito erano interrotti, avendo la Persia rifiutato di accettare le condizioni poste ad essa. Che il Governo britannico era pieno di simpatia per la Persia ma che non credeva poter fare un prestito se quelle condizioni non erano osservate.

Lord Lansdowne intervenne quindi per appoggiare lord Crewe osservando che certo tutti i partiti guardavano con simpatia agli sforzi che faceva il Governo persiano per rimettere l'ordine nel Paese, ma che riteneva anch'egli che data la delicatezza della questione attualmente era meglio non insistere per maggiori spiegazioni.

Lord Lamington che fu governatore di varie colonie, e fra le altre governatore di Bombay fino a tre anni fa, è uno di quei tipi frequenti in Inghilterra, e frequentissimi in Parlamento specialmente nella Camera dei lords, che si occupano esclusivamente di una questione, che diventa il loro unico studio, la loro passione, il loro hobby. Per lord Lamington questo è costituito dall'India, specialmente per quanto riguarda la sua frontiera occidentale e quindi dalla Persia: il suo governatorato di 4 anni della presidenza di Bombay gli dà speciale competenza in materia. Egli ha pronunziato spesso discorsi sugli affari di Persia svolgendo più o meno sempre la stessa tesi che nel suo discorso di avant'ieri: tesi che si può riassumere così: non è opportuno per un timore ipotetico della Germania fare in Persia il giuoco della Russia, che costituisce un male assai più temibile, ed un vicino pericoloso per l'India.

Come ho già detto in alcuni miei precedenti rapporti, io credo che un certo movimento in questo senso si fa strada in Parlamento (vedi annesso resoconto di interrogazioni ai Comuni) e anche nell'opinione pubblica nonostante che, come osservò lord Lamington, sia per convinzione sincera sia per germanofobia sia per altre ragioni, il Times e gran parte anche del resto della stampa mantiene una attitudine molto favorevole all'attuale politica governativa e quindi alla Russia in queste questioni. Accludo un articolo del Daily Telegraph di stamane che tende a mettere in luce i pericoli derivanti da una azione tedesca e che accusa il Gabinetto di Berlino di far contro Izswolsky il giuoco che fece contro Delcassé pel Marocco. Se si fosse in un altro Paese un articolo simile si direbbe certamente ispirato dall'ambasciata di Russia.

Dato da un lato il pericolo che potrebbe derivare da una paventata eventuale azione tedesca, dato dall'altro questi germi di diffidenza verso la Russia, è naturale che una discussione sugli affari di Persia non sia né facile né desiderata; e non è quindi strano che lord Crewe si sia affrettato a rispondere che credeva che non fosse il momento per una simile discussione.

L'intervento di lord Lansdowne non è solamente conseguenza dell'uso costante qui di sostenere il Gabinetto avversario in questioni delicate di politica estera ma è anche più che naturale dato che fu Iord Lansdowne ad inaugurare la politica d'intesa con la Russia; si può del resto aggiungere che egli è notoriamente russofilo.

Ignoro quanto ci sia di vero nella notizia ripetuta da più parti, ed accennata anche nel sopraddetto e qui accluso articolo del Daily Telegraph che Iswolsky sia andato a Parigi e venga poi qui esclusivamente per discutere degli affari di Persia e dell'attitudine presa dalla Germania. Non mancherò di vigilare e di riferire a

V.E. quanto mi potrà venir fatto di sapere in proposito. Non ho creduto opportuno parlarne a sir Charles Hardinge perché dato il malumore da lui dimostrato quando feci la nota domanda circa le condizioni del prestito, mi è sembrato meglio lasciar passare un po' di tempo. D'altronde sir Charles fu anche uno dei principali autori dell'intesa anglo-russa e si dimostrò di pessimo umore tutte le volte che le cose non vanno in Persia così liscie come sarebbe desiderabile.

L'ambasciata di Germania qui intanto si adopera a mettere in chiaro che il Gabinetto di Berlino non cerca affatto suscitare difficoltà ed incidenti in Persia, solo si era dimostrato poco favorevole a certe delle condizioni messe al progetto

di prestito e specialmente a quella per cui si sarebbe costituito a Teheran una

specie di Ministero delle finanze esclusivamente composto di francesi.

Il mio collega di Germania mi diceva ieri che è il Governo persiano il quale per difendersi dalla troppo patema attitudine della Russia e dell'Inghilterra cerca attrarre la Germania a partecipare più attivamente nelle cose di Persia: così, secondo lui, il Governo germanico non avrebbe mai fatto aperture per un prestito ma sarebbero i persiani i quali profittando della presenza colà di un rappresentante della Deutsche bank per alcuni studi finanziari e commerciali lo avrebbero avvicinato facendogli delle aperture per un prestito.

Così pure avendo io chiesto scherzando a Herr von Kiihlmann se quel tale Meuselmann (o un nome simile) al quale i persiani secondo un recentissimo telegramma avrebbero ceduto il monopolio della navigazione sul Lago Urumia era una edizione persiana dei marocchini fratelli Mannesmann egli mi rispose ridendo di no, e soggiunse che dalle notizie pervenutegli credeva che anche in questo caso i persiani, appena saputo che la Russia voleva quel monopolio, si erano affrettati a trovare un suddito tedesco per cederglielo ma che il Governo imperiale era estraneo alla cosa e si sarebbe limitato a dare quella protezione che era dovuta ad ogni suddito germanico. Kiilhlmann che conosce bene la Persia dice che quel monopolio non avrebbe che uno scarsissimo valore e che probabilmente non sarebbe difficile alla Russia il ricomprarlo.

Non mi risulta che l'ambasciata di Turchia abbia recentemente intrattenuto il

Foreign Office di questi affari di Persia: tutta la sua attenzione e attività è del re

sto presentemente concentrata su Creta. So però che essa si mantiene in contatto

coll'ambasciata di Germania su questo argomento.

232 l Non si pubblicano gli allegati.

233

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO PERSONALE 1063/444. Parigi, 22 aprile 1910 (per. il 26).

Ho visto il signor Isvolsky poco prima della sua partenza per Biarritz. Mi ha detto esser dispiacente di non essersi potuto incontrare con VE. viaggiando in stretto incognito che, forse, è stato meglio poiché per la stampa e l'opinione pubblica non è possibile che due ministri degli esteri si incontrino senza firmare qualche trattato o qualche accordo.

Mi ha detto di aver incontrato per caso l'on. Guicciardini e di essersi intrattenuto alquanto con lui.

Parlando dei rapporti con l'Austria mi ha detto che Aehrenthal, dopo aver fatto il primo passo verso la Russia per un'intesa a due nel senso di Miirzsteg, si ·è ritratto quando ha sentito che la Russia nulla voleva fare senza partecipazione delle altre Potenze.

Il risultato è che i rapporti fra Austria e Russia, benché corretti, sono freddi quanto lo erano prima. Il signor Isvolsky mi ha espresso qualche inquietudine circa la Macedonia. Mi ha detto che il re di Bulgaria manifestò a Pietroburgo idee estremamente bellicose e che dovettero durar fatica per indurlo a più miti consigli persuadendolo a recarsi a Costantinopoli. Invece il re di Serbia si mostrò molto più ragionevole.

Il signor Isvolsky mi ha fatto del signor Milovanovich un elogio al quale mi sono associato.

Il signor Isvolsky mi ha detto che il passo fatto dali 'Italia, contemporaneamente ali'Austria e alla Germania, circa la Persia aveva prodotto una grande impressione. A Pietroburgo Melegari aveva messo tutti i ménagements possibili e quindi l'impressione era stata meno grave di quella risentita a Londra, dove il passo era stato fatto dall'incaricato d'affari senza ménagements di sorta. Io ho dimostrato ad lsvolsky che tanto lui quanto sir E. Grey erano caduti in un equivoco e gli ho ripetuto difficilmente le spiegazioni già date direttamente da V.E. al signor Pichon. Gli ho detto anche che V.E. approvava interamente l'indirizzo dato da lui e da me ai rapporti fra Austria e Russia e che quindi doveva fare pieno assegnamento su VE. Ho poi richiamato l'attenzione del signor Isvolsky sulla voce riferita stamane dai giornali circa la sua prossima nomina ali'ambasciata di Roma, in seguito al collocamento a riposo del signor Nélidow ed al trasferimento del principe Dolgoruki a Parigi.

Egli mi ha detto che le condizioni di salute di Nélidow e Dolgoruki esigeranno fra non molto il collocamento a riposo di ambedue e che l'ambasciata di Roma rappresenta certamente una sua aspirazione pel giorno in cui dovesse lasciare il Ministero. Però egli non vede prossimo questo giorno, poiché l'imperatore vuole che egli rimanga. «A meno ha soggiunto il signor Isvolsky -che i reazionari, i quali tengono nella Duma un'attitudine così violenta non riuscissero ad imporre un Gabinetto del loro colore, poiché in tal caso io lascerei subito il Ministero degli esteri e nessuno potrebbe impormi di rimanervi».

Il signor lsvolsky tornerà da Biarritz verso il l O maggio e si tratterrà a Parigi un pajo di giorni nei quali ha promesso di venire a visitarmi.

234

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 12501111. Parigi, 23 aprile 1910, ore 13,45 (per. ore 16,25).

Risposta al telegramma n. 9491. Vedo che il nuovo incidente cretese troverà le Potenze protettrici nella stessa attitudine dello scorso settembre. La Francia

piuttosto favorevole ai cretesi, ma platonicamente; l'Inghilterra e la Russia, la prima in grado sommo, la seconda in grado minore, incerte, oscillanti e contraddittorie nelle loro successive decisioni. Izwolskij, che ho veduto ieri e circa il quale invio a V.E. separato rapporto2, non ha saputo dirmi nulla circa Creta. Pichon dice che non vi è modo impedire all'assemblea cretese il giuramento, che questo non può essere fatto ritirare dalle Potenze come hanno fatto abbassare la bandiera greca, che, dopo tutto, non si tratta di un cambiamento dello statu quo e che, quindi, la Turchia deve !asciarci in pace e non sollevare brighe inopportune. In questo senso Pichon ha avuto dal suo console un telegramma simile a quello che nostro console ha diretto a V.E. avendogli chiesto se Inghilterra e Russia dividevano suo modo di vedere, Pichon mi ha detto che non lo sapeva e che avrebbe telegrafato a Londra e Pietroburgo. Ho detto a Pichon che personalmente la pensavo come lui, ma che, conoscendo la intransigenza dei turchi, anche più moderati, circa Creta, era d'opinione che, mentre si davano consigli di prudenza a Costantinopoli, convenisse agire energicamente ad Atene e Canea. Ho obiettato a Pichon che quanto egli mi aveva detto non prevedeva tre possibili eventualità: che i turchi, ai quali sorride sempre l'idea della passeggiata militare ad Atene, passassero la frontiera greca: che la protezione dei musulmani in Creta obbligasse le Potenze a rioccupare l'isola: che, non provvedendo a tempo le Potenze a tale protezione, volesse la Turchia operare uno sbarco a Creta. Pichon a ciò ha risposto evasivamente: ha riconosciuto soltanto che, per qualsiasi eventualità, è opportuno che le Potenze mandino altre navi con uomini da sbarco.

234 l Cfr. n. 230 nota 3.

235

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 822/279. Costantinopoli, 24 aprile 1910 (per. il 30).

Il barone Marschall, decano del corpo diplomatico, era assente quando giunsi a Costantinopoli. Trovavasi in Egitto, donde andò in Terra Santa col principe Eitel Friedrich. Tornò in Costantinopoli alcuni giorni sono. E poche ore dopo; avendo ricevuto una cortese risposta alla lettera d'uso che gli avevo diretta, mi recai a fargli visita.

Dopo i convenevoli si parlò di Creta. L'ambasciatore di Germania non sapeva ancora della comunicazione fatta la vigilia stessa, ai rappresentanti delle Potenze protettrici. Egli era per il mantenimento dello statu quo. Non aveva preveduta la possibilità che a brevissima scadenza si potesse voler imporre ai deputati musulmani il giuramento di fedeltà a re Giorgio. Sperava che ciò non avvenisse. Si preoccupava, piuttosto, delle elezioni che avranno luogo nel prossimo agosto e

del rischio che fossero eletti deputati cretesi alla Camera ellenica, nonché delle conseguenze che cotal fatto, se si avverasse, potrebbe avere. Il barone Marschall è per il mantenimento di una Turchia forte. I turchi sono ai suoi occhi il meglio de' popoli balcanici. Gli Stati che venissero a formarsi sulle rovine dell'Impero ottomano sarebbero per l'Europa minaccia o causa di continui perturbamenti.

Secondo il barone Marschall, le Potenze ebbero torto di ritirarsi dali 'isola di Creta. Non siamo, in ciò, noi italiani, esenti da colpa. La Creta non era matura al self-government. Era una bambina di cui bisognava ancora sorvegliare i passi incerti.

E disse queste parole che mi paiono improntate a giusto apprezzamento della mentalità ottomana: «La Turquie a pu se résigner à la perte de la Roumélie orientale, après una guerre malheureuse. Elle a pu se résigner à la perte de la Bosnie et de l'Herzégovine après trente ans d'occupation de ces deux anciennes provinces par une grande puissance; c' était encore une conséquence lointaine de la meme guerre. Elle a subi le sort des armes. Mais la Turquie ne saurait se résigner à l'annexion de la Crète à la Grèce, qu'elle a vaincu en 1897 età laquelle elle se sent si supérieure en forces».

Si dice generalmente che il barone Marschall abbia perso d'influenza col mutamento di regime; che avrebbe avuto il torto di troppo legarsi col regime caduto e con alcuni uomini dirigenti di allora, onde oggi si troverebbe a disagio con gli uomini nuovi. Non posso stabilire paragoni tra il presente e il passato. Ma la posizione della Germania e del suo rappresentante mi paiono tuttora invidiabili. Nell'amministrazione della guerra, nei lavori pubblici, nell'alta banca una larga parte di azione è incontestabilmente tedesca. Il barone Marschall è sempre il più autorevole dei rappresentanti esteri. Ed un solo accenno di rimpianto ebbe meco per il caduto regime. Prima della rivoluzione vi era un'autorità indiscussa, alla quale si poteva in ultima istanza, far appello, ed era il sultano. Attualmente, i governanti sono incerti e vacillanti, come mancasse loro un appoggio a cui erano avvezzi. Ed i rappresentanti stranieri non hanno più l 'ultima istanza alla quale ricorrere e la cui parola era decisiva e irrevocabile.

234 2 Cfr. n. 233.

236

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE S.N. Vienna, 25 aprile 1910 1.

Ho letto con vivo interesse il rapporto dell'E.V. n. 14091/545, datato da Londra il 25 ottobre scorso relativo ad una conversazione da lei avuta sulla poli

236 I Nonostante il rapporto rechi la data del 25 aprile, è stato completato posteriormente giacché si citano rapporti successivi a questa data.

tic a austro-ungarica con sir Fairfax Cartwright e eh'ella si compiacque comunicarmi colla sua lettera riservatissima del l O corrente pervenutami col corriere il 19 seguente2.

Le cose dette all'E.V. da sir Fairfax circa le varie circostanze di fatto riguardanti l'accusa di malafede rivolta al conte d'Aehrenthal per la risposta data il 3 ottobre 1908 a sir Edward Goschen, concordano colle dichiarazioni fatte dal ministro imperiale e reale allo stesso sir Edward, che, dopo avvenuta la proclamazione della indipendenza della Bulgaria, erasi lagnato con lui ch'egli avesse affermato cosa non vera e colle assicurazioni dategli dall'imperatore nell'udienza di congedo, che il Governo austro-ungarico, cioè, ignorava del tutto l'intenzione del re Ferdinando di effettuare quella proclamazione prima dell'annessione della Bosnia-Erzegovina.

Sir Fairfax può a buon diritto rallegrarsi del miglioramento delle relazioni anglo-austriache, che sono ora divenute eccellenti mercè l'opera da lui spiegata fino dal primo momento che assunse la direzione di questa ambasciata britannica. Il conte d'Aehrenthal le varie volte che mi parlò di sir Fairfax si espresse a suo riguardo nel modo più simpatico lodandosi dei rapporti personali che intratteneva con lui.

Il giudizio però portato da sir Fairfax sull'arciduca ereditario non sarebbe conforme che in parte soltanto a quello che si sono formate le persone che hanno frequenti rapporti con Sua Altezza Imperiale e Reale e che lo conoscono intimamente.

È bensì vero che l'arciduca Francesco Ferdinando, che è dotato di una certa intelligenza, è d'indole impulsiva, energica ed autoritaria, cambia spesso di idee e di volontà e non segue i consigli di alcuno. D'animo eminentemente militare egli partecipa alle idee di questi circoli omonimi e da taluni venne anzi affermato che alle voci di guerra contro l'Italia, che furono qui divulgate nel tempo e che facevano capo ai detti circoli, non sarebbe stato estraneo l 'arciduca Francesco Ferdinando.

In fatto di politica interna le sue simpatie sono rivolte verso i partiti aristocratico feudale boemo, cristiano sociale e clericale nei cui principi consente e coi quali è in costanti rapporti.

È vero altresì che Sua Altezza Imperiale e Reale non ama i magiari per le loro idee liberali e le loro velleità di separazione dalla Cisleitana, che manifestano apertamente, ma non mi risulta che Sua Altezza Imperiale e Reale vagheggi la trasformazione della Monarchia dualista in una Monarchia triunitaria.

È noto per contro come sia una delle aspirazioni de II 'arciduca ereditario la formazione di una grande Austria, forte e compatta e questa aspirazione è anche una delle ragioni che lo renderebbero poco favorevole ai magiari, che sa recisamente opposti alla sua realizzazione.

Nel parlare col mio collega di Germania, che me lo riferì in via personale, della preferenza che gli si attribuivano verso l'elemento slavo e che si affermava essergli ispirato dalla duchessa di Hohenberg perché czeca, l'arciduca ereditario avrebbegli dichiarato che egli non subiva affatto l'influenza di sua moglie, la quale non era czeca, bensì austriaca e che i suoi sentimenti erano prettamente austriaci e che non era suo proposito di provocare alcun cambiamento nella costituzione attuale della Monarchia.

È esatto inoltre che l'imperatore tiene l'arciduca informato di tutto ciò che riguarda le questioni interne della Monarchia, specialmente quelle militari, in cui gli lascia una certa latitudine di decisione ascoltando e seguendo talvolta i suoi consigli. Devonsi infatti all'iniziativa di Sua Altezza Imperiale e Reale i cambiamenti avvenuti nella direzione e composizione dello Stato Maggiore Generale dell'esercito e negli alti comandi di esso. Ma si constata che l'arciduca, che è ansioso di salire sul trono, si ingerisce da qualche tempo più di quello che gli sia permesso negli affari dello Stato, a cui Sua Maestà nella grave età, non prende ora una parte così attiva come per l'innanzi.

Quanto alle idee dell'arciduca nelle quistioni di politica estera circa le quali sir Fairfax disse di nulla sapere, mi risulta che Sua Altezza Imperiale e Reale si sia affermato che egli nutra poca simpatia verso l'imperatore Guglielmo per l'azione predominante che Sua Maestà ed il suo Governo cercherebbero di esercitare, è un caldo fautore dell'alleanza colla Germania.

Per i suoi sentimenti ultra conservatori e più tosto clericali l'arciduca non sarebbe nell'intimo dell'animo suo molto favorevole alla Italia non potendo dimenticare l'occupazione per parte nostra di Roma; però Sua Altezza Imperiale e Reale è un convinto partigiano della politica di alleanza e di amicizia seguita verso di noi dall'imperatore ed è fermo suo proposito di continuare in tale politica dopo la sua assunzione al trono, siccome venne affermato dal conte d' Aehrenthal all'onorevole Tittoni nel convegno di Desio nel 1907 e fu dichiarato nello scorso ottobre al conte di Uitzow da Sua maestà, che l'incaricò espressamente di far ciò conoscere in suo nome all'augusto nostro sovrano ed al R. Governo.

Sua Altezza Imperiale e Reale nutriva per l'addietro vive simpatie verso la Russia colla quale desiderava di stringere accordi per far rivivere l 'alleanza dei tre Imperi. Ma sembra che egli abbia ora modificato le sue idee in proposito dopo la sfortunata guerra russo-giapponese e le gravi conseguenze che trasse seco per le condizioni interne dell'Impero.

Le tendenze e le simpatie che vengono attribuite all'arciduca ereditario non lasciano dal preoccupare alquanto l'opinione pubblica per le vicende alle quali potrebbe essere esposta la politica della Monarchia al momento in cui Sua Altezza Imperiale e Reale fosse chiamato a succedere ali 'imperatore Francesco Giuseppe.

Qui però non si crede generalmente che Sua Altezza Imperiale e Reale possa far correre pericoli alla Monarchia siccome sembra supporlo sir Fairfax Cartwright. Certamente Sua Altezza Imperiale e Reale cercherà di mettere in atto le idee, di cui è imbevuto, ma non si dubita che sarebbe costretto a modificarle di fronte

all'impossibilità di poterle eseguire praticamente. Per cui se l'arciduca non seguirà forse nella sua linea di condotta gli stessi procedimenti del suo predecessore, sfuggirà dal recare all'ordine attuale di cose cambiamenti radicali tali che possano danneggiare gli interessi vitali della Monarchia.

Del resto non devesi giudicare il futuro imperatore dal modo come si comporta ora quale principe ereditario, giacché è da prevedere che la forza delle circostanze lo indurranno a seguire l'indirizzo istesso impresso dall'imperatore Francesco Giuseppe alla politica interna ed estera della Monarchia.

È opinione di questi circoli politici e di corte che la duchessa di Hohenberg, giusta quanto affermò sir Fairfax, diverrà imperatrice d'Austria e regina di Ungheria coll'ascensione al trono del suo augusto consorte. Ma non si crede che Sua Altezza Imperiale e Reale voglia cambiare l'ordine di successione in favore del figlio nato dal suo matrimonio morganatico, ciò che sarebbe contrario alla prammatica sanzione. Che tale sia l'intenzione dell'arciduca lo dimostra l'allocuzione rivolta da Sua Altezza Imperiale e Reale in presenza della Corte imperiale e reale, nel giorno della sua maggiore età, all'arciduca Carlo, figlio del defunto suo fratello Ottone, nella quale gli fece rilevare i doveri che gli incombevano quale chiamato dopo di lui al trono.

L'espressione di cui sir Fairfax si è servito per definire le relazioni tra l'Italia e l'Austria-Ungheria, non sembra rispondere intieramente alla realtà delle cose.

Quantunque queste relazioni non lascino di essere tuttora alquanto delicate, esse si sono di gran lunga migliorate se si confrontano con quelle che esistevano al momento in cui il conte Golouchowski lasciò il Ballplatz.

Molto vi sarebbe da fare ancora per renderle veramente intime e cordiali tal quali dovrebbero essere tra due Stati alleati. Ma V.E. non ignora che una delle ragioni principali, che si frappongono a che ciò avvenga almeno per ora, si è la sfiducia latente che esiste in entrambi le popolazioni ed in entrambi i Governi circa la rispettiva politica orientale.

Mentre da noi si teme che l'Austria-Ungheria non abbia abbandonato del tutto i suoi propositi di espansione nei Balcani e che questi sarebbero da essa realizzati o ve le se ne offrisse il destro, qui, per contro si dubita che l 'Italia, in previsione di ciò, possa stringere accordi segreti con altre Potenze e sarebbe disposta ad attaccare forse l'Austria-Ungheria se questa fosse costretta per necessità di eventi a varcare il suo confine meridionale.

Finché questi dubbi e timori non saranno chiariti in modo preciso e finchè mediante amichevoli trattative non si riuscirà a determinare, almeno in massima, che i compensi che ci competono, qualora l'eventualità suddetta dovesse prodursi, non sarebbero da ricercarsi fuori dei confini geografici d'Italia, non è da sperare che tale sfiducia possa essere eliminata intieramente.

Nonostante la credenza che in senso contrario sembra sussistere in certi circoli italiani, l'Austria-Ungheria, siccome sir Fairfax le fece conoscere all'E. V., non ha alcuna intenzione di attaccare l'Italia e di ciò fan prova le esplicite dichiarazioni che l 'imperatore incaricò nello scorso ottobre il conte di Liitzow di

fare a S.M. il Re ed al R. Governo «che sarebbe stato una follia per parte dell'Austria-Ungheria di muovere guerra all'Italia».

Circa il convegno poi di Racconigi il conte d'Aehrenthal non dubitò mai, è vero, ch'esso potesse modificare la situazione internazionale. Ma quel convegno provocò nel ministro imperiale e reale certi dubbi e, direi quasi, certe diffidenze che si manifestarono col rifiuto da lui apposto di riconoscere il principio relativo allo sviluppo normale e pacifico degli Stati balcanici sulla base della nazionalità; che aveva formato uno degli oggetti dello scambio di vedute tra l'onorevole Ti ttoni ed il signor Izwolskij, come stabilito in massima dichiarando che tale principio, oltre al non essere stato mai discusso tra il R. Governo ed il Governo Imperiale e Reale, era atto a neutralizzare le eventualità contemplate dali 'art. VII del trattato della Triplice Alleanza e del nuovo accordo itala-austriaco.

Ed il conte d'Aehrenthal persistette in tale suo parere, nonostante eh 'io cercassi di dimostrargli che dal principio stesso erasi parlato nel convegno d'Abbazia nel 1904, che in suo favore egli erasi pronunciato in un colloquio avuto meco nel dicembre di quell'anno e ch'esso non era affatto in contraddizione colle stipulazioni suddette.

Quanto all'appoggio prestato durante l'ultima crisi balcanica dalla Germania ali'Austria-Ungheria, non mi consta eh'esso avrebbe spiaciuto al conte d'Aehrenthal, perché sarebbe stato secondo sir Fairfax <<trop imposé» e <<ìrop affiché».

È da supporre che se tale appoggio non venne sollecitato dall'Austria-Ungheria, questa dovette assicurarsi che le verrebbe accordato prima di porre sul tappeto la questione de!l'annessione della Bosnia-Erzegovina, giacché altrimenti non avrebbe potuto sperare di risolverla da sola in modo soddisfacente a seconda dei suoi desideri, specialmente dopo le infruttuose trattative intavolate in proposito col signor Izwolskij.

Né l'Austria-Ungheria poté vedere di mal occhio l'azione più tosto energica spiegata dal Governo germanico a Pietroburgo, giacché si fu appunto quell'azione, che, coll'indurre la Russia ad acconsentire all'annessione, impedì a che il Governo Imperiale e Reale fosse esposto all'alternativa, o di piegarsi ai voleri delle Potenze dell'Intesa Cordiale col rinunciare all'annessione stessa, ciò che avrebbe avuto per conseguenza «l'umiliazione della Monarchia di fronte all'Europa», siccome affermava allora al Reichstadt germanico il signor di Bi.ilow, o di accingersi ad una guerra contro la Serbia contrariamente al proposito del! 'imperatore e del suo Governo.

È vero che questa guerra avrebbe potuto essere intrapresa dalla Austria-Ungheria senza l'aiuto della Germania anche se la Russia fosse venuta in difesa della Serbia. Ma qui si era pienamente convinti che la Russia non solo non desiderava d'entrare in conflitto armato coll'Austria-Ungheria a causa della Serbia e ch'essa non era neanche in grado di far fronte a quel conflitto per le condizioni del suo esercito.

Non v'ha dubbio che uno dei fini della politica del conte d' Aehrenthal si è quello di migliorare i rapporti della Monarchia colla Russia in previsione degli eventi che potrebbero sorgere in progresso di tempo in Turchia.

Però il conte d'Aehrenthal non s'illude circa la possibilità di effettuare tale miglioramento finché rimanga al potere il signor Izwolskij, verso il quale non nascose mai, né a me, né al mio collega di Germania, a differenza di quanto avrebbe praticato con sir Fairfax, l'animosità che nutre per il contegno da lui tenuto a riguardo suo e del Governo Imperiale e Reale. Ed è questa animosità appunto che, condivisa dal signor Izwolskij, non ha permesso ai due Gabinetti di addivenire ad un vero e reale avvicinamento tra loro, nonostante che le rispettive relazioni diplomatiche riposino ora su di un piede normale.

Ma se la situazione dovesse prendere nell'ordine europeo una piega poco favorevole e se ulteriori commozioni fossero per mettere a cimento le basi stesse dell'Impero ottomano, la forza delle circostanze non potrebbe non indurre l'Austria-Ungheria e la Russia a riannodare i buoni rapporti d'una volta, anche nel caso che il signor Izwolskij si trovasse in tale occasione alla direzione della politica estera della Russia.

Infatti se per gli interessi vitali che hanno da tutelare nei Balcani l'AustriaUngheria e la Russia non possono tollerare che la penisola balcanica sia riservata all'esclusiva azione di una di esse, entrambe le Potenze comprendono però che il nodo delle quistioni che fossero per sorgere in quella regione non potrebbe essere da loro tagliato colla spada per non esporre i propri popoli ad una lotta interminabile di cui non potrebbero calcolare le gravi conseguenze. Esse quindi hanno evitato sempre, dopo il Trattato di Berlino, di valersi della forza per istabilire e mantenere a mezzi pacifici, come lo dimostra la politica da loro seguita per l'addietro che ebbe il suo epilogo nell'accordo del 1897 concretato poi a Miirzsteg.

Per cui da quanto è dato di prevedere per ora l'Austria-Ungheria e la Russia, salvo eventi imprevisti non sopravvengano, saranno condotte, ove le cose precipitassero nei Balcani, ad addivenire tra loro ad una intesa per provvedere di comune consenso alla soluzione delle varie questioni che fossero per sorgere in quella regwne.

E la stipulazione di tale intesa, a quanto mi affermava il principe Ouroussow, è considerata altresì, n eli'eventualità suddetta, siccome necessaria dagli stessi circoli competenti russi, che la riconoscono quale l'unica via per evitare che la Russia sia costretta ad accingersi ad una guerra alla quale non sarebbe disposta di ricorrere che nell'ultima estremità.

Alle conseguenze che da tale intesa potrebbero risultare per i nostri interessi, noi abbiamo opportunamente già ovviato col recente accordo coll'Austria-Ungheria, che ci dà la facoltà di partecipare alla intesa stessa sopra un piede di assoluta uguaglianza cogli altri Stati contraenti eliminando così la ripetizione del fatto di Miirzsteg, che violò la lettera del trattato della Triplice Alleanza.

Ignoro se sia esatta la supposizione di sir Fairfax che l'arciduca ereditario vagheggi l'annessione della Serbia, ma era opinione generale, durante l'ultima crisi balcanica, che Sua Altezza Imperiale e Reale spingesse alla guerra contro il vicino Regno e che questa poté essere evitata soltanto per espressa volontà dell'imperatore, coadiuvato dal conte d'Aehrenthal.

La questione del panserbismo venne qui messa, si può dire, ali' ordine del giorno fino dal momento in cui si svolse in Zagabria il processo per alto tradimento motivato dalle delazioni del noto Giorgio Nastic e di tale questione si occuparono quindi questi circoli politici prima e durante l'annessione della BosniaErzegovina, come in seguito all'altro processo per calunnia intentato dalla coalizione serba al gerente responsabile del Reichspost ed al dottor Friedjung.

La dominazione della Monarchia sulle popolazioni serbe-croate d eli' l stria, Carniola, Croazia, Slavonia, Dalmazia e Bosnia-Erzegovina è considerata qui da taluni come poco sicura fintanto che esisterà fuori dei suoi confini uno stato nazionale serbo che possa essere il nucleo d'uno Stato indipendente. E la costituzione della unità serba è ravvisata come una eventualità non impossibile, che potrebbe avvenire o per opera della Monarchia stessa coll'annessione della Serbia, o per opera di quest'ultima, che attirerebbe a sé le popolazioni di nazionalità serbe ora soggette ali' Austria-Ungheria.

Il Governo Imperiale e Reale però non ha alcun interesse speciale immediato di pensare all'annessione della Serbia, né è certo sua intenzione di prendere un'iniziativa qualsiasi che possa condurre alla sua realizzazione.

Ma se una nuova esplosione dell'idea panserba avvenisse per opera della Serbia e se questa cercasse per mezzi indiretti di attirare a sé le popolazioni serbo-croate della Monarchia o se una grave crisi si producesse nei Balcani, questa tenterebbe di opporsi a tutto ciò che potesse intralciare la sua azione e danneggiare i suoi interessi e l'occupazione della Serbia sarebbe in tal caso un'eventualità non improbabile, siccome feci rilevare al predecessore deli'E.V. colla mia lettera particolare del 2 marzo 19103.

Condivido interamente l'opinione di sir Fairfax Cartwright circa la solidità dell'alleanza austro-germanica, la quale, dopo l'ultima prova fatta durante la crisi per l'annessione della Bosnia-Erzegovina, è divenuta nella Monarchia sempre più popolare.

Questa alleanza ha collegato talmente coli' andar del tempo gli interessi di entrambi le Potenze che una quistione che è considerata da una di esse quale vitale è ritenuta come tale anche dall'altra. Così la Germania non può più ora disinteressarsi, siccome affermava il principe di Bismarck, dalle quistioni balcaniche, perché esse costituiscono una quistione d'esistenza per la sua alleata.

Infatti se quelle quistioni fossero definite contrariamente ai desideri dell' Austria-Ungheria ciò avrebbe per conseguenza, coll'implicare l'abdicazione della Monarchia da grande Potenza, un aumento di potenzialità della Russia tanto al sud quanto al nord con grave danno degli interessi politici e commerciali della Germania, la quale in tal caso si troverebbe sola di fronte ad essa ed alla Francia, costretta a difendersi or contro l'una, or contro l'altra o a trovarsi alla dipendenza di entrambi quelle Potenze. Del resto i Governi d'Austria-Ungheria e di Germania sentono quale grande forza derivi a ciascuno dalla loro unione, la qua

le appoggiata alle due più potenti organizzazioni militari dell'Europa le mettono in grado di resistere con grandissima probabilità di successo a qualsiasi altra coalizione di forze.

Consento altresì in quanto sir Fairfax disse all'E.V. circa la solidità della Monarchia austro-ungarica specialmente come fattore della politica internazionale. Certo né le condizioni interne della Cisleitania, né quelle della Transleitania sono al di sopra d'ogni pericolo e probabilmente ognuno dei due Stati attraverserà qualche crisi lunga e complessa. Ma, come avvenne l 'anno scorso, le difficoltà interne non saranno sufficienti né a scuotere seriamente la compagine della Monarchia, né ad impedirle di compiere nella politica internazionale la parte che le è devoluta.

Tutti i popoli di essa sentono l'interesse che hanno ormai al suo mantenimento e non rifiuteranno quei sacrifici che al momento del pericolo appariranno necessan.

Per ciò che riguarda infine il programma navale dell'Austria-Ungheria, di cui sir Fairfax tenne pure parola ali' E .V., ho avuto già l'onore di riferire coi miei rapporti ufficiali nn. 829/380, 844/388 e 875/402 del 29 aprile, l e 3 corrente4 .

Nel restituire qui unito all'E.V. il rapporto suddetto ...

236 2 Non rinvenuta.

236 l Non rinvenuta.

237

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL CONSOLATO A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI

T. 993. Roma, 26 aprile 1910, ore 21,35.

Poiché Gran Bretagna ha costì navi da guerra che può sbarcare 200 uomini e Francia ne manda una di potenza eguale provvedo onde Italia si ponga in condizioni identiche. Autorizzo VS. ad associarsi ai passi che i suoi colleghi avranno istruzione di fare per garantire l'incolumità dei musulmani ed il loro diritto di partecipare ai lavori dell'assemblea senza prestare giuramento al re di Grecia. Desidero che l'azione dei consoli sia quanto possibile amichevole ma ben ferma e decisa a raggiungere lo scopo. I cretesi avrebbero torto di credere che le difficoltà della Turchia in Albania possano incoraggiarli a provocarla poiché al contrario la probabilità di un insuccesso politico-militare in Albania potrebbe essere motivo di più per determinare Sublime Porta ad un'azione energica verso Grecia ed a procurarsi un successo nella questione cretese.

236 4 Non pubblicati.

238

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA

D. 21. Roma, 26 aprile 1910.

Avendo deciso di chiamare V.S. a reggere la legazione di Sua Maestà in Persia, ora vacante, fino alla nomina del successore del barone Romano, credo opportuno fissarle alcune precise norme di condotta, dettate dalla attuale condizione di cose colà.

La condotta di V.S, nella lotta d'influenza che potrà probabilmente svolgersi tra diverse Potenze europee in Persia, dovrà essere riservata, cauta e neutrale.

Amica dell'Inghilterra, della Russia e della Francia, amica ed alleata della Germania, l'Italia non ha né dovere né interesse di prender parte per l'una o per l'altra Potenza in Persia. Gli interessi, che l'Italia può avere in Persia, sono molto minori di quelli, che, in altre parti del mondo, ci impongono di coltivare amichevoli rapporti con ciascuna delle suddette Potenze.

Se i nostri interessi in Persia possono consigliarci di appoggiare piuttosto l'una che l'altra, non bisogna dimenticare che altri e maggiori interessi altrove possono consigliarci un atteggiamento diverso, e quindi è chiaro che, salvo che caso per caso non riceva istruzioni speciali, V.S. non dovrà affatto ingerirsi nelle contese tra le diverse influenze europee ma limitarsi ad osservare e riferire. Neanche è da illudersi che la S.V. possa esercitare una azione conciliatrice tra quelle Potenze, poiché la loro condotta sarà decisa in Europa, e non a Teheran.

Sembra assicurato che un agente della Deutsche Bank abbia chiesto al Governo persiano la concessione della costruzione e dell'esercizio della ferrovia Teheran-Hanikin. Ignoro se il Governo tedesco la sostenga palesemente: pare difficile, però, che esso voglia compromettere i suoi buoni rapporti colla Gran Bretagna e colla Russia, poiché l'interesse che la Germania può avere a far concedere quella ferrovia ad una ditta tedesca, è minore dell'interesse vitale che hanno quelle due Potenze ad impedirlo.

Se V.S. sarà richiesta dal Governo persiano di fargli ottenere il concorso di impiegati italiani, o se si presenteranno occasioni d'impiego di capitali italiani, io la prego di non mostrare troppo zelo in favore di siffatte offerte, ed anche di non respingerle, ma di limitarsi a dichiarare che ne informerà il suo Governo.

E nello informarmene, voglia V.S. aggiungere anche le notizie opportune sull'impressione che la partecipazione d'italiani alle riforme persiane produrrebbe sui ministri delle altre Potenze, sull'atteggiamento loro in proposito, e così via.

La prego pure di informarmi:

2° sulla probabilità o meno che il regime costituzionale si consolidi e che la Persia, con questo od altro regime, riesca a mantenere la propria indipendenza ed a migliorare le proprie condizioni politiche;

3° sulla probabilità o meno che la Persia riesca, coi prestiti interni e col riordinamento delle pubbliche amministrazioni, a migliorare le proprie condizioni finanziarie ed economiche e ad emanciparsi dalla necessità di ricorrere al capitale straniero;

4° sul modo come la Russia o l'Inghilterra applicano l'accordo del 31 agosto 1907; 5° sulla condotta della Germania e delle altre Potenze; 6° sullo svolgimento degli interessi russi nel nord della Persia e degli interessi inglesi nel sud e nel Golfo Persico. Voglia accusarmi ricevuta del presente dispaccio ... 1•

l 0 sui modi, a suo avviso, migliori per avviare e sviluppare correnti commerciali tra l 'Italia e la Persia;

239

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. RISERVATISSIMO J000. Roma, 27 aprile 1910, ore 13.

Notizie movimento albanese sempre più gravi. Galanti telegrafa che va prendendo carattere di rivendicazione nazionale. Non è dubbio a parer mio che n eli 'interesse della Turchia e nostro e per evitare possibili ripercussioni sulla situazione internazionale unica soluzione pratica e saggia sarebbe una equa transazione non essendo probabile la riuscita di operazioni militari repressJve.

Vista la suscettibilità dei Giovani Turchi credo impossibile un'azione in questo senso di VE. ma se V.E. decide mio modo di credere è sempre bene che lo conosca fin da ora pel caso che si presenti opportuna occasione di consigliare un pacifico componimento. Pare che il suddito italiano Miceli non abbia intenzioni ostili alla Turchia rimanendo con gli insorti e non intenda partecipare che come osservatore e corrispondente di giornale alle loro gesta.

238 t Per il seguito cfr. n. 330.

Sarebbe bene fare m modo che lasci il teatro delle operaziOni il più presto possibilel.

240

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 1302/121. Pera, 28 aprile 1910, ore 4,35 (per. ore 20,10).

Telegramma n. l 0001. Governo imperiale si lusinga ancora fiaccare insurrezione. Ma l'importante compito appare grave e diventerebbe gravissimo se insurrezione si estendesse. Macedonia potrebbe muoversi e Bulgaria entrare in azione. Convengo dunque pienamente con VE. essere doveroso suggerire metodi concilianti anziché violenti. Posso, con la voluta riserva, parlare amichevolmente a Rifaat pascià in tal senso a nome di VE.; il di lei parere sarà da lui altamente apprezzato e VE. può con tanto maggiore autorità consigliare per mezzo di Kiazim pacifico componimento, appena si presenti occasione favorevole, la quale sarebbe offerta da un qualche successo dei regolari ottomani contro gli insorti.

241

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO

T. PERSONALE 1007. Roma, 28 aprile 1910, ore 19.

Suo rapporto n. 196 del 20 corrente l. Questa Direzione Generale del Banco di Roma, a cui mi sono a tal uopo rivolto, telegrafa a Bresciani di rifiutare assolutamente qualunque cointeressenza del khedive negli affari del Banco in Tripolitania ali 'infuori dei fosfati e della ferrovia del Mariut. Telegrafo in questo senso a Pestalozza2 . Pregola di sorvegliare attivamente le relazioni tra Bresciani ed il khedive e tenermene informato.

2 T. l 008 del 20 aprile, non pubblicato.

239 l Per la risposta cfr. n. 240.

240 l Cfr. n. 239.

241 l Cfr. n. 228.

242

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 663/235. Londra, 28 aprile 1910 (per. il 3 maggio).

Facendo seguito al mio rapporto del 26 corrente 2241 (ed in riferimento al dispaccio di V.E. del 19 aprile segnato a margine)2 ho l'onore d'informarla che sir Francis Campbell mi fa oggi conoscere che sir Edward Grey darà istruzione al ministro britannico ad Addis Abeba nel senso che nelle presenti circostanze sembra più che mai opportuno (expedient) che i ministri britannico italiano e francese si mantengano in contatto ed agiscano il più possibile d'accordo.

Siccome Mr. Thesiger ha però già istruzioni in questo senso, il Foreign Office non ha considerato necessario mandare questa conferma per telegrafo, ma l 'ha spedita per posta.

243

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 1326/28. Il Cairo, 29 aprile 1910, ore 20,30 (per. ore 6,30 del 30).

Khedive mi ha chiamato jeri a Palazzo e mi ha detto essere suo vivo desiderio recarsi questa estate a far visita a Sua Maestà il Re. Sua Altezza aggiunse che fine giugno andrà da Parigi a Londra, dopo di che, durante i mesi di luglio e agosto, alla data ed al luogo che piacesse a Sua Maestà indicare, si recherebbe presentare suoi rispetti all'Augusto Sovrano, se ciò non fosse alla Maestà Sua di alcun incomodo.

A mio subordinato parere, sarebbe molto difficile non accogliere desiderio del khedive. Stante attuale notevole ingerenza del khedive nel governo e suoi cordiali rapporti con rappresentante britannico, egli può agevolare soluzione molti affari importanti. Impressione colonia e popolazione indigena sarebbe per noi eccellente.

Per non darvi soverchia importanza, visita potrebbe forse aver luogo in una delle residenze estive di Sua Maestà il Re.

Ignoro se furono eseguiti a Londra passi di cui mi intrattenne S.E. Tittoni nello scorso ottobre. In caso negativo e qualora V.E. lo preferisse, nulla osta tali passi siano eseguiti da me presso sir E. Gorst.

Khedive mi ha chiesto conoscere decisioni di Sua Maestà il Re prima della sua partenza per Costantinopoli che avverrà fra tre settimane. Prego rispondermi telegraficamente per norma della mia condotta l.

242 l Con R. 636/224, non pubblicato, Martin Franklin riferiva di aver comunicato il contenuto del dispaccio (v. nota 2) all'assistente sottosegretario di Stato Francis Campbell. 2 Cfr. n. 223. 243 l Per la risposta cfr. n. 246.

244

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 1333/83. Addis Abeba, 29 aprile 1910 (per. ore 13 del 30) 1.

Rispondo al suo telegramma n. 9832. Voci di trattative in corso tra il Governo britannico ed il Governo etiopico per la cessione a quest'ultimo di Zeila in cambio di altri territori sul Nilo Azzurro e sul Lago Rodolfo è priva di fondamento. È però vero che in passato Governo etiopico ha fatto passi presso Harrington per ottenere dal Governo britannico cessione del porto di Zeila, né mi stupirebbe che Governo britannico fosse ora propenso intavolare trattative con l'Abissinia per una nuova sistemazione dei possedimenti inglesi di Somalia. Qui ha fatto enorme impressione notizia dell'abbandono per parte dell'Inghilterra dell'interno Somalia che è logicamente considerato come un successo materiale del Mullah.

245

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1126/469'. Parigi, 29 aprile 1910 (per. il 3 maggio).

Il signor Pichon ricorda perfettamente la conversazione avuta con V.E. e mi ha assicurato che spedirà subito al suo ministro in Addis Abeba istruzioni identiche a quelle che V.E. ha telegrafato al conte Colli.

246

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO

T. 1041. Roma, 30 aprile 1910, ore 20,30.

Suo telegramma n. 28'. Ella può dire kedive che S.M. sarà lieto ricevere prossima estate sua visita. Governo britannico già da me prevenuto delle inten

244 I Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore 19.

2 T. del 26 aprile, non pubblicato.

zioni di S.A. mi ha fatto sapere che è lietissimo kedive visiti re d'Italia. Epoca più opportuna sarebbe seconda quindicina di luglio trovandosi Sua Maestà in detta epoca a Racconigi tranne naturalmente il 29 luglio2.

245 l Risponde al n. 223.

246 l Cfr. n. 243.

247

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A TANGERI, NERAZZINI

T. URGENTE 1057. Roma, 10 maggio 1910, ore 19, 15.

Suo telegramma n. I2I. La presa di atto che ministro di Spagna intende provocare sembra in tutto corrispondente allo stato di fatto risultante dall'atto di Algeciras e dalle deliberazioni del Comitato dei Lavori Pubblici. Non ho quindi istruzioni speciali da impartirle in proposito e parmi che il corpo diplomatico debba prendere atto in particolare delle assicurazioni del ministro di Spagna circa la intenzione del suo Governo di evitare nella propria azione quanto potrebbe turbare la situazione politica al Marocco. Qualora però ministro di Francia abbia obiezioni allora la S.V. si astenga da qualsiasi atto o dichiarazione che sia in opposizione coll'atteggiamento di lui e domandi istruzioni.

248

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

D. RISERVATO 62. Roma, l° maggio 1910.

Mi è pervenuto il rapporto n. 229/60 in data 19 corrente! con cui la S.V. mi riferisce quali siano le disposizioni così del principe Nicola e della famiglia principesca, come del Governo e della popolazione montenegrina verso la Compagnia d'Antivari ed i servizi da essa esercìti nel Principato. Nel confermarle la precedente corrispondenza telegrafica su questo argomento, la informo che è imminente la nomina a consigliere d'amministrazione della Compagnia del cavalier ingegner Gullini, capo divisione nelle Ferrovie dello Stato. Questi, per incarico del

Consiglio verrà costì entro i l l O maggio per assumere provvisoriamente la direzione generale dei servizi della Compagnia e porre riparo ai lamentati inconvenienti.

Io confido che, sistemato in tal modo il funzionamento dei servizi stessi, cesserà il malcontento così del Governo come del popolo montenegrino, i quali apprezzeranno con maggiore equanimità l'importanza dei sacrifici sopportati senza la probabilità di prossimi guadagni -dalla Compagnia. Ad ogni modo ella -in conformità delle istruzioni impartitele e dal mio predecessore e da me vorrà lasciar intendere a codesto Governo che noi non potremo in nessun caso rinunziare alla legittima tutela di così ingenti interessi italiani.

246 2 Per il seguito della questione cfr. n. 298.

247 1 T. 1330/12 del 30 aprile, non pubblicato, col quale Nerazzini comunicava l'intenzione spagnola di convocare il corpo diplomatico per domandare di prendere atto delle deliberazioni del Comitato dei lavori pubblici in merito alla costruzione della strada Ceuta-Tetuan.

248 l Cfr. n. 224.

249

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. RISERVATO 38. Roma, 2 maggio 1910.

Mi pregio di rispondere al rapporto dell'E.V. n. 778/263 del 22 aprile u.s. 1 ed al telegramma del 2 corrente n. 1272, assicurandola che ho trasmesso al r. console in Bengasi la nota che era annessa al rapporto stesso e gli ho dato istruzione\ in conformità del parere da lei manifestato, di astenersi dall'intraprendere il viaggio Bengasi-Derna per via di terra in compagnia così dell'ingegnere Almagià come degli agenti del Banco di Roma.

Convengo, infatti, coll'E.V. che, nell'interesse medesimo delle imprese in cui l'ingegnere Almagià ed il Banco di Roma si sono impegnati, sia opportuno evitare che l 'intervento delle rr. autorità consolari susciti i sospetti e le diffidenze di codesto Governo.

In quanto alla progettata ferrovia Egitto-Tripolitania, ho l'onore di comunicare all'E.V. -per opportuna sua notizia ed a titolo riservatissimo -le seguenti informazioni: il khedive, allo scopo di trar partito dei vasti suoi possedimenti del Mariut, ha costruito una ferrovia da Alessandria verso la frontiera tripolina -ferrovia che è ormai pervenuta a circa 200 km dalla frontiera stessa. Giunti i lavori a questo punto S.A. divisò di chiedere il concorso del capitale estero ed in primo luogo del capitale italiano per proseguire la linea fino a Tobruk e Solum, e si rivolse a tal uopo al r. agente diplomatico al Cairo. Nell'intenzione del khedive la nuova linea dovrebbe servire al transito della valigia e dei viaggiatori provenienti dalle Indie, i quali sbarcherebbero a Port Said, donde in ferrovia proseguirebbero

2 T. 1368, non pubblicato.

3 Con D. riservato urgente 89 del 2 maggio, non pubblicato.

per Tobruk allo scopo di rimbarcarsi qui a destinazione di Brindisi o Marsiglia. Checché ne sia della portata pratica di un simile progetto, interessava al R. Governo che non avesse a costruirsi una ferrovia dall'Egitto alla Tripolitania senza che il capitale italiano vi avesse parte -e possibilmente parte predominante. Furono, quindi, fatti passi presso la importante ditta Almagià, rappresentata ad Alessandria dall'ingegner Ambron, e presso il Banco di Roma, i quali consentirono a costituire insieme al khedive, un sindacato per lo studio preliminare del tracciato.

Gli stadi pei quali l'impresa di cui si tratta dovrà passare sono tre:

1) studio preliminare del tracciato: spesa preventivata f. 30.000;

2) tracciato -spesa preventivata: f. 300.000;

3) inizio dei lavori.

È appunto per procedere agli studi preliminari del tracciato che l 'ingegner Almagià si reca a Derna. Nel riservarmi di tenere l'E.V. informata dell'ulteriore corso di questa impresa, ...

249 l Non pubblicato.

250

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MARTIN FRANKLIN

T. 1070. Roma, 3 maggio 1910, ore 14,25.

Rispondo suoi telegrammi, nn. 711 e 722.

I concetti esposti dall'incaricato d'affari di Grecia e riferiti nel mio telegramma n. 10583 non sarebbero a rigore in contraddizione cogli impegni delle Potenze perché egli accennava come cosa desiderabile ad astensione volontaria dei musulmani dal partecipare lavori assemblea cretese. Tuttavia io non solamente concordo con Hardinge nel proposito di tutelare diritto dei musulmani ma ho manifestato nei precedenti telegrammi propositi più favorevoli alla Turchia di quelli espressi fino a pochi giorni fa da Hardinge. Volentieri mi associo alla proposta di Hardinge relativa alla comunicazione da fare a Costantinopoli. Già espressi questa opinione nei miei telegrammi nn. l 003 e 10354 pur accettando per amore di concordia anche procedura proposta da Pichon e Sazonoff che io stimavo meno soddisfacente. In quanto alla dichiarazione da farsi alla Canea può non essere necessario perché evidentemente implicito il dichiarare che il giuramento non muta

2 T. 1378/72 del 2 maggio, non pubblicato.

3 T. 1058 del l o maggio, non pubblicato.

4 T. l 003 del 27 aprile e T. l 035 del 30, non pubblicati.

decisioni Potenze né stato giuridico isola. Può bastare che i consoli ispirino il loro linguaggio a tale indiscutibile principio. Sembrami difficile evitare una amichevole ma ferma dichiarazione al Governo cretese che se i musulmani voglion partecipare ai lavori dell'Assemblea senza prestar giuramento le Potenze debbon tutelare questo loro diritto nonché loro incolumità. Ciò non esclude però, come già notai, che, se i musulmani volontariamente si astengono e se come opinione personale i consoli trovano modo indiretto di farli consigliare in questo senso, si eviterebbe una situazione acuta e pericolosa senza venir meno agli impegni delle Potenze verso la Sublime Porta e si rimarrebbe strettamente nello statu quo.

250 l T. 1377/71 del 2 maggio, non pubblicato.

251

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A COSTANTINOPOLI, MAYOR, E A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE l 073. Roma, 3 maggio 1910, ore 15,15.

Parecchi giornali riproducono notizia Neues Wiener Journal relativa acquisto da parte Austria-Ungheria e rioccupazione Sangiaccato. Senza fare domanda diretta formale a codesto Governo prego appurare e farmi conoscere che cosa abbia potuto dare origine a tale diceria.

(Per Vienna solo dopo il primo capoverso): Tale notizia è quasi certamente falsai.

252

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 1418/84. Addis Abeba, 3 maggio 1910 (per. ore 13,35 del 6) 1.

Rispondo suo telegramma n. l 04 72. Posso assicurarla che presentemente Governo inglese non ha intavolato con Governo etiopico alcun negoziato per indurre quest'ultimo a intraprendere un 'azione qualsiasi contro Mullah, né tali trattative

252 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 6 maggio, ore 18. 2 T. del lo maggio, non pubblicato.

sarebbero ammissibili senza nostro concorso, dal momento che il Mullah è in territorio italiano. Nel mio ultimo congedo in Italia, espressi io stesso a S.E. Tittoni opportunità agire presso Governo etiopico per indurlo intraprendere azione qualsiasi contro il Mullah o per lo meno di consentire a che Governo etiopico intavolasse trattative dirette col Mullah per concedergli di rifugiarsi in territorio etiopico, come egli ne aveva espresso desiderio per ridurlo all'impotenza. Menelik era allora favorevole a questa soluzione, ma la sua malattia ha troncato ogni mia azione in proposito. Nelle condizioni attuali derivanti dalla politica inglese in Somalia e dall'abbandono per parte Inghilterra del territorio somalo interno, ogni trattativa tra Etiopia e Mullah sarebbe inutile, perché questi non ha più alcuna ragione di abbandonare un territorio nel quale non è più minacciato dalle forze inglesi, né credo che Governo etiopico sarebbe disposto intraprendere contro di lui un'azione energica e decisiva senza chiedere sicuri e considerevoli compensi. Ma, come ho già telegrafato a V.E., ritengo che il Governo britannico, pur di liberarsi da ogni responsabilità e da ogni minaccia derivante dal Mullah, sarebbe disposto a riconoscere al Governo etiopico tali compensi, cedendo ad esso gran parte del territorio somalo con un tratto della costa Uarsangheli conservando solo porti Zeila e Berbera. In tal senso si è espresso confidenzialmente con me questo ministro d'Inghilterra, pur assicurando di non aver intavolato in proposito alcun negoziato con Governo etiopico. Mi risulta, in modo sicuro, che questa legazione di Germania approfitta situazione attuale in Somalia per cercare provocare complicazioni e malintesi a danno del Governo britannico e di fomentare agitazioni nel territorio della Somalia testé abbandonato dall'Inghilterra.

251 l Per la risposta cfr. nn. 253, 258.

253

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1401 /127. Vienna, 4 maggio 1910, ore 20,45 (per. ore 23).

Telegramma di V.E. n. l 073'. N eu es Wiener Journal non gode in questi circoli politici alcuna considerazione e non si occupa in generale che di cancan. In seguito rifiuto Ministero imperiale e reale degli affari esteri accordargli sovvenzione detta generica, non ha più rapporti con ufficio stampa presso ministero stesso. Da tale epoca esso fece opposizione al conte Goluchowsky e continua ora a farla al conte di Aehrenthal pubblicando notizie infondate, siccome già praticò nello scorso marzo per ciò che riguarda preteso dissidio tra

lui e questo ambasciatore di Germania (mio rapporto n. 205)2 e ciò nello scopo di creargli impicci e suscitare sospetti contro la sua politica. In tale senso è giustificata da membri autorevoli di questa stampa notizia comparsa numero primo corrente, relativa Sangiaccato Novi Bazar. Quanto notizia stessa essa non ha alcun fondamento non avendo l'Austria-Ungheria intenzione in questo momento di rioccupare Sangiaccato, né di intavolare colla Sublime Porta negoziati in proposito. È noto del resto essere fermo proposito del Governo Imperiale e Reale di cooperare al consolidamento del nuovo ordine di cose in Turchia a cui sono rivolti tutti i suoi sforzi essendo interessata più di ogni altra Potenza al mantenimento dello statu quo nei Balcani ed a evitare qualsiasi cosa atta a turbarlo.

253 l Cfr. n. 251.

254

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 1441/86. Addis Abeba, 6 maggio 1910 (per. ore 22 del 7)1.

Riferendomi al mio telegramma n. 85 di jeri2, informo VE. che ras Uolde Ghiorghis, oltre al comando supremo del Tigré, ha avuto come feudo personale Dembeà, Semien, Beghemeder. Egli risiederà probabilmente Gondar. Sua nomina è indubbiamente a noi favorevole, sia per il suo carattere mite, ragionevole e amante della civiltà e del progresso, che per il riordinamento ed il risveglio economico che deriveranno alle regioni settentrionali Etiopia dall'essersi unite sotto il governo di un solo capo autorevole e progressista.

255

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO 1143. Roma, 7 maggio 1910, ore 15.

Ambasciatore d'Austria-Ungheria mi ha comunicato confidenzialmente ieri che conte d'Aehrenthal ha incaricato Pallavicini esporre Sublime Porta i pericoli

254 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 7 maggio, ore 16,40. 2 T. 1440/85 del 5 maggio, trasmesso da Asmara il 7, non pubblicato.

cui potrebbe dar luogo il prolungamento della situazione presente in Albania che obbliga Turchia sguarnirsi di truppe altre province. Signor di Merey aggiunse che questa comunicazione rispondeva al desiderio altra volta espresso dall'Italia e impossibile ad attuarsi quando vigeva accordo austro-russo il desiderio cioè di «causer ensemble» di avere frequenti scambi di idee sulle cose balcaniche.

Si parlò anche del comune desiderio mantenere statu quo e dell'inopportunità di discutere ora i compensi e le ripercussioni di un eventuale turbamento di esso non potendosene presentemente prevedersi la data, la natura la misura. Senza mettere in dubbio la lealtà e le intenzioni amichevoli di questo passo di Merey prego di farmi conoscere confidenzialmente senza parlarne a mio nome a codesto Governo se costì si creda che vi sia probabilità vicina di qualche mossa austriaca nella penisola balcanica.

Io risposi a de Merey che la nostra politica mira a soprattutto mantenere statu quo.

253 2 R. 432/205 del 5 marzo, non pubblicato.

256

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 1468. Addis Abeba, . . . maggio 1910 (per. ore 13,20 del 9)1.

Ho comunicato degiacc Garasellassié che R. Governo pur protestando massima fiducia nei suoi sentimenti sinceramente amichevoli, non crede opportuno di accondiscendere sua domanda mille fucili modello 70/87, onde non suscitare sospetti sul carattere delle nostre relazioni e non dare pretesto agli altri capi Tigrè, che già inoltrarono identica richiesta che venne respinta, di accusarlo nuovamente di avere segreto accordo con Governo dell'Eritrea. Degiacc Garasellassié ha compreso il valore e si è arreso alle mie giustificazioni, ma ha anche detto che, a momento più conveniente, quando non vi sarà più pericolo che le accuse altri capi tigrini possano nuocere a lui e sollevare sospetti per parte del Governo etiopico, egli rinnoverà richiesta per il tramite dello stesso Governo etiopico. Io mi rendo conto perfettamente delle ragioni essenzialmente morali che inducono il Ministero della guerra ed anche il Ministero degli affari esteri a negare recisamente ogni cessione di armi al Governo etiopico, ma, oltre che tale precauzione non ha alcun effetto materiale, perché l'Etiopia può ugualmente provvedersi di tutte le armi che desidera, esso perpetua quel sentimento di diffidenza e di sospetto verso di noi che è il principale ostacolo alla esplicazione di ogni nostra

256 I Il telegramma fu trasmesso da Asmara 1'8, ore 19.

azione pacifica e civile e pregiudica ogni possibile nostra concorrenza con le altre Nazioni non legate da questo vincolo, non trattenute da timori e non circondate dai sospetti che derivano a noi da questa nostra azione sempre intesa impedire l'armamento dell' Etiopia2.

257

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTII

L. 13. Roma, 9 maggio 1910.

Il barone Sonnino comunicava il 20 febbraio u.s. al mio onorevole predecessore e a te come ministro di agricoltura, una relazione inviatagli dal signor Ostini, nostro agente commerciale a Gondar (Etiopia), che serve di complemento ad altra relazione presentata dallo stesso signor Ostini nel 1908 intorno alla possibilità ed alla convenienza d'uno sfruttamento agricolo-commerciale delle regioni che circondano il lago Tsana, che trovasi nella zona d'interessi riconosciuta ali 'Italia n eli' accordo di Londra del 1906.

Il Ministero degli esteri ha trovato nei dati del signor Ostini una conferma delle informazioni che già possedeva circa le condizioni eccezionalmente favorevoli, dal punto di vista della produzione agraria, delle regioni intorno allo Tsana.

Tali condizioni appaiono così buone, da non escludere che, in un avvenire prossimo, data soprattutto la teoria inglese della fair commerciai competition anche nelle zone di influenza politica di un'altra Potenza, la utilizzazione della regione dello Tsana avvenga a profitto di altri con grave danno degli interessi economici e politici dell'Eritrea e della madrepatria.

La utilizzazione agricola della regione da parte di altra Potenza e la diversione dei traffici verso il Sudan, o verso Gibuti, infatti, non solo rappresenterebbe una perdita viva alla Colonia ed al commercio nazionale, ma avrebbe per necessaria conseguenza di collegare gli interessi dei capi e delle popolazioni della regione a quelli di Francia e Inghilterra.

Nel presente stato dell'Etiopia io crederei imprudente di impiegare fin d'ora ingenti capitali oltre confine: poiché il rischio di perderli ed i pericoli cui sarebbe esposto un numeroso personale europeo potrebbero costituire per se stessi serie cause di attriti. Converrebbe però:

0 ) preparare l'ambiente nel senso da noi desiderato;

257 l Da ACS, Carte Luzzatti.

2°) assicurare mediante concessioni ed accordi un certo campo di sfruttamento e le vie di penetrazione.

L'attuazione di questo piano che richiede qualche sacrificio finanziario nel suo inizio, metterebbe la Colonia Eritrea in condizioni da poter procedere senz'altri aiuti per il suo cammino, aprirebbe notevoli mercati d'importazione ed esportazione ai nostri commerci e ci assicurerebbe una effettiva prevalenza d'interessi nelle regioni di Etiopia, costituendo l'hinterland commerciale dell'Eritrea.

Per queste ragioni, fu, qualche tempo fa, per cura di questo ministero, nominata una commissione composta da funzionari degli esteri, dell'agricoltura e del tesoro, per studiare l'istituzione di agenzie commerciali oltre confine: occorreva mezzo milione, che il Ministero del tesoro non credette di poter concedere, quantunque la domanda di fondi fosse avvalorata dal parere favorevole dei membri di detta commissione.

L'amministrazione della Colonia Eritrea continua a sostenere una notevole spesa per la nostra penetrazione economica in Etiopia: ma, nella grande penuria di fondi, le somme all'uopo destinate sono impari ai bisogni. Riferendomi pertanto alla relazione Ostini 4 febbraio u.s. sopra citata, non posso che appoggiare le conclusioni segnate alle lettere a) e b), le quali si potrebbero accettare, qualora il ministro del tesoro volesse concedere al Governo della Colonia Eritrea una somma di f. 200.000 annue quale concorso dello Stato nelle spese delle agenzie commerciali già dall'amministrazione di detta Colonia istituite, lasciando al Governo coloniale di far fronte alle spese per conseguire una concessione ferroviaria dal Governo etiopico, che colleghi le regioni dello T sana all'Eritrea, prima che altro Governo ci preceda.

Desidero che tu esamini con benevolenza quanto ti ho qui esposto, affinché insieme la cosa sia trattata col ministro del tesoro.

256 2 Per il seguito della questione cfr. n. 302.

258

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1496/142. Pera, 10 maggio 1910, ore 13,20 (per. ore 14,30).

Telegramma riservatissimo n. l 073'.

Non esistono trattative accennate. Ma l'attenzione del Governo ottomano è stata dal mio collega d'Austria-Ungheria richiamata sul fatto che il Sangiaccato fu lasciato ai turchi non ai serbi od ai montenegrini. Conseguenza non

espressa, ma sottintesa di ciò è che, qualora il Sangiaccato fosse da costoro minacciato, l'Austria-Ungheria potrebbe trovarsi nella necessità di rioccuparlo. È codesto uno degli argomenti invocati dall'ambasciatore austro-ungarico per indurre il Governo ottomano a desistere dalla campagna albanese che lo indebolisce politicamente, finanziariamente, militarmente2.

258 l Cfr. n. 251.

259

IL MINISTRO A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CIFRATO CONFIDENZIALE 503/149. Sofìa, 10 maggio 1910 (per. il 16).

Nella conversazione che ho avuto l'onore di avere jeri col re Ferdinando, Sua Maestà non mi nascose le sue preoccupazioni per le possibili conseguenze del movimento insurrezionale albanese e pronunziò la seguente frase:

«Qualunque sia per essere il corso degli avvenimenti futuri, è interesse generale che l'Albania non cada nell'orbita dell'Austria-Ungheria».

Credo opportuno di riferire a V.E. queste parole del re Ferdinando che, come ho annunziato più volte nel mio carteggio, ha sempre seguito con occhio vigile tutto quanto si svolge in Albania.

260

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1174. Roma, 11 maggio 1910, ore 9,30.

Rispondo al suo telegramma n. 1421. Sangiaccato Novi-Bazar, e specialmente sua zona limitrofa ad Austria, Serbia e Montenegro, è di così piccola estensione che la Turchia, quantunque molte sue forze siano impegnate in Albania, potrebbe spedirvi subito forze sufficienti per mantenervi l'ordine e garantirlo da qualunque pericolo. Mi rimetto alla prudenza di V.E., per esaminare se trova modo di dare questo consiglio alla Sublime Porta senza intonazione sospettosa e meno che amichevole verso chicchessia.

260 I Cfr. n. 258.

258 2 Per la risposta cfr. n. 260.

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1175. Roma, 11 maggio 1910, ore 10,20.

Il r. ambasciatore a Costantinopoli telegrafa quanto segue: «L'attenzione del Governo ottomano» (ecc. ecc. come nel telegramma n. 1496)1. Ho risposto come segue: «Sangiaccato Novi-Bazar e specialmente» (ecc. ecc. come nel telegramma a Costantinopoli n. 1174)2. Per norma di V.E., spiego che nel colloquio con Merey, di cui è cenno nel mio telegramma n. 11433, io convenni non essere oggi il caso di esaminare i possibili compensi, solo perché prevedevo e prevedo che l'Austria non rioccuperà Sangiaccato. Ma se tale rioccupazione diventasse probabile, sarà necessario concordare i compensi prima che essa abbia luogo. Nostro desiderio vivissimo è però che non abbia luogo, e che mantengasi statu quo.

Lascio a V.E. giudicare se sia o no opportuno che ella si esprima ora o prossimamente con Aehrenthal in questo senso4.

262

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1177. Roma, 11 maggio 1910, ore 10,25.

Da fonte seria ma non autentica mi si assicura che Governo montenegrino somministri armi e munizioni agli insorti albanesi, e stringa accordi con essi per eventuale annessione al Montenegro, garantendo rispetto loro privilegi ed immunità. Prego farmi sapere che cosa ci sia di vero in queste voci, così contrarie alle assicurazioni state1e fatte, e dare a codesto Governo, senza accennare a ciò, consigli di tenere condotta amichevole verso Turchia, e di evitare complicazioni che si risolverebbero in grave danno e pericolo per il M ontenegro stessol.

2 Cfr. n. 260.

3 Cfr. n. 255.

4 Per la risposta cfr. n. 269.

261 l Cfr. n. 258.

262 l Per la risposta cfr. n. 267.

263

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1176. Roma, 11 maggio 1910, ore 10,30.

Notizie da varie fonti fanno credere non impossibile rioccupazione Sangiaccato Novi-Bazar da parte dell'Austria-Ungheria, quantunque probabilmente non desiderata nemmeno dali' Austria stessa, che però vi si deciderebbe certamente se complicazioni albanesi facessero temere che la Turchia non sia in grado di difendere Sangiaccato contro Serbia e Montenegro. Governo italiano desidera vivamente che statu quo non venga modificato, e spera che Sangiaccato non sarà rioccupato, ma crede che, se questo pericolo si presenta, i compensi che l'Austria si è obbligata a darci in tal caso dovrebbero essere concordati prima che la rioccupazione avvenga. Mi riservo parlare di ciò, ove occorra, con Merey, e ne informo A varna, lasciandolo giudice deli'opportunità o meno di intrattenere Aehrenthal. Comunicherò a V.E. la risposta di Avama, dopo di che si potrà giudicare se sarà o no il caso che V.E. ne parli a codesto Governo!.

264

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. PERSONALE 1514/135. Vienna, 11 maggio 1910, ore 19 (per. ore 21,20).

Telegramma di V.E. riservatissimo, n. 11431. Mi consta da fonte autorevole che il conte di Aehrenthal continua ad essere piuttosto preoccupato dal prolungamento situazione presente in Albania. Informazioni pervenutegli da quelle regioni non sarebbero molto rassicuranti e truppe ottomane avrebbero fatto nella repressione del movimento progressi minori di quelli indicati dalle notizie ufficiali pubblicate dalla Sublime Porta. Del resto, comunicazione fatta dal conte di Aehrenthal a Costantinopoli e riferita all'E.V. dal Merey dimostra come egli tema che quel movimento possa avere in altra parte dell'Impero qualche ripercussione, la quale, coli' aggravarsi della situazione, renderebbe più compi icato e difficile il compito del Governo ottomano. Ma, a quanto mi fu riferito confidenzialmente dal mio collega di Germania, altra ragione farebbe desiderare al conte di Aehrenthal di vedere ristabilita la tranquillità in Albania.

Quantunque voce relativa inalberamento della bandiera austro-ungarica per parte degli insorti sia stata smentita e gli risulta che la Sublime Porta non vi pre

264 l Cfr. n. 255.

sta affatto fede, tuttavia il conte di Aehrenthal teme che tale voce, ove fosse messa di nuovo in circolazione mediante i maneggi che sarebbero orditi contro Austria-Ungheria in Costantinopoli da Tcharicoff, possa finire per fare nascere sospetti nella Sublime Porta ed indurla a credere che il Governo Imperiale e Reale alimenti veramente in via indiretta il movimento, ciò che ridonderebbe in danno reciproci rapporti che desidera di mantenere cordiali. Egli è per ciò che il conte di Aehrenthal non approva l'azione spiegata ora in Albania dalla Sublime Porta e crede che questa agirebbe più opportunamente entrando in rapporti indiretti con quelle popolazioni per conoscere meglio loro lagnanze e postulati e ciò non avrebbe mancato di fare intendere a Costantinopoli.

Non sembra che la Sublime Porta sia aliena dall'entrare in tale ordine di idee, giacché, da quanto mi fece conoscere Tschirschky, avrebbe deciso di destituire il valì di Kossovo inviso alle popolazioni albanesi ed incaricare Scefket pascià recarsi sui luoghi per mettersi in rapporto con i capi di esse e rendersi così conto più esatto della situazione.

Nonostante preoccupazione che esisterebbe nel conte di Aehrenthal, non havvi qui alcun indizio che possa far supporre che vi sia probabilità vicina di qualche mossa del Governo Imperiale e Reale nella penisola balcanica. E tale è altresì il parere di Tschirschky e dello stesso mio collega di Russia con cui conferii.

Addetto militare, da me interpellato in proposito, mi ha dichiarato non costargli per ora esistenza di preparativi o disposizioni qualsiasi che possano avvalorare la supposizione suddetta. Non è da credere, d'altra parte, che il conte di Aehrenthal stia maturando in questo momento idee di una mossa siffatta, la quale potrebbe provocare quelle complicazioni che è interesse della Monarchia evitare. E tale mossa poi sarebbe in opposizione flagrante colle dichiarazioni formali da lui fatte ripetutamente all'onorevole Tittoni ed a me stesso che, nel caso di complicazioni e conflitti nei Balcani, Austria-Ungheria non interverrebbe, ma seguirebbe la stessa linea di condotta adottata durante la guerra greco-turca e si concerterebbe anche al riguardo colle altre Potenze.

263 l Cfr. n. 269.

265

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR E A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1198. Roma, 11 maggio 1910, ore 22.

Oggi ho parlato Merey della notizia data da qualche giornale della possibile rioccupazione Sangiaccato aggiungendo che naturalmente io non vi prestavo fede. Merey la ha smentita con accento di sincerità e mi ha fatto notare che il fatto stesso del viaggio dell'imperatore a Roma la esclude. In amichevole conversazione coli'ambasciatore di Turchia io ho fatto notare che conviene che la Turchia tenga costantemente nel Sangiaccato forze militari sufficienti mantenervi ordine garantirlo da qualunque eventualità.

266

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, CAMBIAGIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 1535/14. Belgrado, 12 maggio 1910, ore 6,30 (per. ore 21,10).

Non ho mancato eseguire istruzioni di V.E. telegramma n. 11781. Ministro degli affari esteri mi ha pregato di ringraziare l'E.V. suoi benevoli consigli che del resto la Serbia già sta seguendo nel suo interesse. Governo serbo desidera sinceramente di veder la Turchia trionfare al più presto attuali difficoltà, essendo conscio che qualsiasi nuova perturbazione avvenisse attualmente nei Balcani, !ungi dal favorire Stati balcanici, riuscirebbe soltanto loro di grave ed esclusivo danno. In questo senso diede recentemente consigli di prudenza ad Atene. Certamente vi è chi ha interesse fare correre voci false per tenere aperta la questione e poterne eventualmente approfittare e per scuotere la fiducia della Turchia, la quale potrebbe vedersi allora indotta a prendere misure frontiera serba che provocherebbero contro-misure da parte di questo Governo e pericolo conflitto; signor ministro degli affari esteri fece nome Austria. Ma egli spera che la Turchia non presterà fede insinuazioni; egli sarebbe anzi grato se l 'E. V. si valesse della sua influenza per smentire simili voci ed assicurare la Sublime Porta, forse per mezzo del nostro ambasciatore in Costantinopoli, della leale attitudine sincera amicizia della Serbia e che egli, non solo fa il più possibile per appianare le difficoltà, ma impiega ogni sua influenza per impedirne sorgere: V.E. poter fare con piena fede questa assicurazione; certa che mai potrà essere smentita dai fatti. Tali furono le dichiarazioni del signor Milovanovié.

267

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1536/53. Cettigne, 12 maggio 1910, ore 11,30 (per. ore 20).

Telegramma di V.E. n. 11771. Non costa né è probabile che il Governo montenegrino fornisca armi e munizioni agli insorti albanesi ed abbia stretto seri ac

cordi con loro. Spero V.E. abbia ricevuto rapporto del l o corrente n. 642. Non mancherò ripetere consigli prudenza già dati ultimamente a più riprese in propizia occasione, facendo rilevare che ostilità Montenegro contro la Turchia porterebbe complicazioni disastrose per lui. Le stesse raccomandazioni sono state fatte in questi ultimi giorni dall'incaricato d'affari di Russia per ordine del suo Governo con l'aggiunta, sottintesa del resto nelle mie parole, che, se Montenegro turbasse pace e statu quo Balcani, sarebbe lasciato solo sopportare conseguenze. Debbo però comunicare a V.E. la mia impressione che, malgrado tutte queste raccomandazioni, se l'occasione gli parrà favorevole, Montenegro marcerà oltre confine o verso l'Albania o verso vecchia Serbia, secondo le circostanze, poco curandosi dei consigli delle Potenze, persuaso che per suo avvenire non c'è che un mezzo di azione: fare trovare Potenze con un colpo di mano audace ed inatteso in presenza di un fatto compiuto. Danni e pericoli non ammette possano ad esso derivare, poiché considera attuale sue condizioni tanto disgraziate da non avere da temere il peggio.

266 l T. 1178 de li' Il maggio, non pubblicato. Analoghe istruzioni furono date a Squitti: cfr. n. 262. 267 l Cfr. n. 262.

268

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE AD ADEN, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 1534/82. Aden, 12 maggio 1910, ore 16,10 (per. ore 19,45).

Rispondo al suo telegramma n. l 082'. Dopo molto accurato esame situazione, mi pregio di riferire quanto segue. A mio avviso evacuazione della Somalia inglese rende difficile attuazione del programma massimo che dovrebbe essere sviluppato in modo decisamente completo ora che la potenza del Mullah è da ritenersi aumentata moralmente e materialmente. Governatore del Benadir, preoccupato nuova situazione creata Somalia settentrionale ritiro inglesi, ha mostrato di preferire il programma intermedio, ma più vicino al massimo con opere di fortificazione Alula-Bargal-Hafun. Non credo questa indicazione località possa essere definitiva. Ad ogni modo prima di decidere attuazione di qualsiasi programma massimo, credo che sia conveniente ricorrere al programma minimo da me proposto rispondente tre importanti criteri: l) urgenza assoluta della nostra presenza costa migiurtina; 2) economia; 3) necessità che notizie, suggerimenti più completi e positivi siano dati dai nostri residenti con l'esperienza acquistata dopo qualche tempo permanenza sui luoghi e contatto diretto, continuo, efficace con capi tribù

268 I T. riservato del 3 maggio, non pubblicato.

e popolazioni. A mio avviso è errore escludere da progetto residenza Bender Cassim. Oltre la sua importanza come principale porto della costa migiurtina, Bender Cassim trovasi tra il Warsangeli e Migiurtini, situazione delicata e favorevole per osservazioni, informazioni precise e sicure. Quanto alla sicurezza residenti sono persuaso, e con me quanti conoscono i luoghi, che essi non corrano alcun pericolo, sia per l'ubicazione di Alula e Bender Cassim lontani dai centri dervisci e muniti buone garese, sia per le comunicazioni che il mio progetto istituisce tra Aden e le residenze e tra le residenze tra loro, sia per l'indole delle popolazioni e fedeltà, sincerità dei capi dei due Paesi. Mantengo pure mio parere non istituire per ora residenza Hafun dove settembre, aprile stazioneranno sambuchi armati. Invierò fra breve a V.E. il piano finanziario dettagliato del mio programma minimo.

267 2 R. riservato 24 7/64, non pubblicato.

269

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1539/143. Vienna, 12 maggio 1910, ore 20,30 (per. ore 22).

Sebbene telegramma riservatissimo V.E. n. 11751 non contenga alcuna indicazione circa fonte della notizia comunicata dal r. ambasciatore in Costantinopoli2 che procurerò per parte mia di controllare possibilmente non è da escludere in massima che marchese Pallavicini si sia espresso nel senso riferito perché ciò corrisponderebbe politica Austria-Ungheria la quale non esiterebbe occupare Sangiaccato Novi Bazar se Turchia non fosse in grado di difenderlo contro un'invasione serba e montenegrina essendo contrario ai suoi interessi che quella provincia cada in loro potere. Ma la cura estrema colla quale Governo Imperiale e Reale coltiva i suoi rapporti colla Turchia e cerca eliminare qualsiasi cosa atta a suscitare in essa sospetti contro sua politica orientale farebbe quasi dubitare che marchese Pallavicini abbia creduto toccare un argomento così delicato come quello di una occupazione eventuale di una provincia Impero ottomano per parte Austria-Ungheria perché ciò non avrebbe potuto che risvegliare questi sospetti stessi. Ma nel momento attuale non sembra sia il caso di parlare di una simile eventualità possibile ove le cose precipitassero in Turchia giacché a giudizio delle persone competenti militari esercito ottomano è in condizioni tali da far fronte movimento albanese né questo ebbe finora ripercussioni in altra provincia Impero.

2691 Cfr. n. 261. 2 Cfr. n. 258.

Inoltre assicurazioni personali date dalla Serbia e Bulgaria di cui mio telegramma

n. 1403 non farebbero temere che quei Governi pensino entrare in campo tanto più che non è nell'interesse della Russia che complicazioni sopravvengano in Turchia specialmente nel momento presente in cui per la deficiente sua preparazione militare non sarebbe nel caso di farvi fronte. D'altra parte, siccome riferii all'E.V. con telegramma n. 1354, non parvi qui indizio alcuno che faccia supporre che vi sia probabilità vicina di qualche mossa dell'Austria-Ungheria nel Sangiaccato. Di tale parere sono pure miei colleghi Germania e Russia che consentono con me nel pensare che Governo Imperiale e Reale per quanto segua con occhio vigile ciò che accade ora in Albania, non avrebbe alcun proposito prendere iniziativa di un'azione qualsiasi nei Balcani, la quale potrebbe provocare complicazioni e condurre forse ad un conflitto armato. Non mi sembrerebbe quindi opportuno di esprimermi in questo momento col conte d'Aehrenthal nel senso indicato dall'E.V. nel telegramma suddetto. Se io accennassi infatti al conte d'Aehrenthal ad una eventuale occupazione del Sangiaccato per parte dell'Austria-Ungheria siccome ora probabile, ciò non potrebbe che far nascere in lui il dubbio che noi non abbiamo fiducia nelle sue ripetute dichiarazioni che ebbero nuova sanzione nel recente accordo itala-austriaco secondo il quale Governo Imperiale e Reale si è obbligato a non procedere ad una occupazione temporanea e permanente nel Sangiaccato che dopo previa intesa con l'Italia basata sul principio dei compensi. Quanto a questi compensi stessi [con lettera] del 2 marzo corrente annos esposi già quando, come e a quali condizioni tale questione avrebbe potuto esser trattata secondo mio subordinato parere.

Non sarebbe certo agevole in questo momento e finché perdura sfiducia latente che esiste in entrambi i Governi circa rispettiva politica balcanica di toccare tale delicata questione la cui discussione nella presente situazione dell'Europa e a varii anni dalla scadenza del Trattato della Triplice Alleanza potrebbe non esser scevra di pericoli se dovesse far constatare un dissidio inconciliabile fra i due Governi.

270

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 4021144. Pietroburgo, 12 maggio 1910 (per. il 18).

Il signor Iswolsky, che vidi ier l'altro per la prima volta dopo il suo ritorno dall'estero, mi disse che la situazione in Persia non aveva in questi ultimi tempi

4 Cfr. n. 264. s Cfr. n. 150.

subita alcuna notevole modificazione. I ministri persiani continuavano a darsi da fare per veder di procurarsi in qualche modo le risorse finanziarie necessarie, inventando ogni sorta di combinazioni, riguardo alle garanzie da offrirsi agli eventuali creditori. Intanto la Russia e l 'Inghilterra persistevano nel loro proposito di non permettere alla Persia di addivenire a qualsiasi concessione, in fatto di ferrovie od altro di natura a compromettere seriamente i loro interessi politici e strategici. Per tutto il resto il principio della porta aperta sarebbe da loro scrupolosamente rispettato.

Il signor Iswolsky mi parlò poi della conversazione avuta in proposito col barone di Schon, durante il suo recente passaggio a Berlino. Questi lo avrebbe di nuovo assicurato che la Germania non intende affatto creare alla Russia ed all'Inghilterra in Persia difficoltà ed imbarazzi, che si rendeva benissimo conto degli interessi politici e strategici che avevano a guarentire, e che in compenso di tali sue buone disposizioni chiedeva soltanto che i suoi interessi economici non venissero ostacolati. A ciò avrebbe risposto il signor lswolsky rinnovando le sue dichiarazioni riguardo alla porta aperta, ma soggiungendo che malgrado tali tranquillizzanti assicurazioni, l'Inghilterra e la Russia non potevano non essere preoccupati di taluni fenomeni recenti, come l'attività spiegata a Teheran da rappresentanti di Banche tedesche, e dal recente passo fatto in merito alla questione persiana dai rappresentanti delle Potenze della Triplice.

A questo proposito il signor Iswolsky credette opportuno confidarmi, aver saputo, durante il suo viaggio, come in particolar modo l'intervento dell'incaricato d'affari a Londra avesse prodotto colà una profonda impressione. Apparve chiaramente dalle sue parole come tale impressione fosse in parte da lui condivisa. Cercai allora di nuovo, sulla base dei dati comunicatimi a suo tempo dal conte Guicciardini, di spiegare come la coincidenza dei nostri passi con quelli fatti dagli ambasciatori di Germania di Austria-Ungheria fosse puramente fortuita, ma il signor Iswolsky non ne sembrò molto convinto.

Temo ora che il sentimento di malcontento e di diffidenza suscitato contro di noi da tale nostro passo, possa lasciare una qualche traccia nei nostri rapporti avvenire con la Russia e l 'Inghilterra, che pure abbiamo tanto interesse a conservarci amiche.

A dissipare queste impressioni potrebbe forse servire in questo momento una qualche assicurazione per parte nostra, riguardo alla nostra politica in Persia, e sarei perciò lieto di potere essere da lei autorizzato di fare accenno, in un prossimo mio colloquio con il signor Iswolsky, ma evitando di dare, ben inteso, a questa comunicazione un carattere ufficiale, alle sagge direttive date da VE. al r. incaricato d'affari a Teheran (dispaccio n. 182 del l o maggio) I, da cui risulta chiaramente il nostro proposito di mantenere, riguardo alle cose persiane, un'attitudine affatto neutrale2.

270 I Non pubblicato. 2 Con D. 237 del 25 maggio, non pubblicato, di San Giuliano rispose approvando la proposta di Melegari.

269 3 T. 1523/140 del 12 maggio, non pubblicato.

271

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 946/434. Vienna, 12 maggio 1910 (per. il 27).

Ho l'onore di segnar ricevimento a VE. del dispaccio segnato in margine del 20 aprile u.s., con cui mi ha trasmesso copia di un rapporto del r. incaricato d'affari in Londra relativo agli affari di PersiaI.

Nel colloquio che ebbi con lui ieri, il conte d'Aehrenthal mi ha appunto intrattenuto su questo argomento.

Dopo aver ricordato le condizioni che la Russia e l'Inghilterra avevano voluto imporre alla Persia per la stipulazione di un prestito, le cui trattative erano andate fallite, mi fece conoscere che quelle due Potenze avevano ora chiesto al Governo dello scià di rilasciare loro una dichiarazione, mediante la quale esso si impegnerebbe a non accordare a stranieri nessuna concessione che possa essere contraria ai loro rispettivi interessi.

Il conte d'Aehrenthal osservò che una tale domanda, ove fosse accolta favorevolmente a Teheran, avrebbe condotto ad una specie di confisca della sovranità ed indipendenza della Persia a favore della Russia e dell'Inghilterra violando il principio della porta aperta, che le altre Potenze sono interessate a mantenere integro.

Aggiunse che un momento prima che io entrassi da lui, il principe Urussow, venuto a vederlo, lo aveva intrattenuto della medesima questione. Ma egli aveva replicato che, aspettando certe informazioni chieste in proposito alla legazione austro-ungarica a Teheran, non era in grado di parlarne che in via accademica; gli sembrava però che la domanda dell'Inghilterra e della Russia potesse recar pregiudizio agli interessi delle altre Potenze.

Il conte d'Aehrenthal rilevò quindi che l'Austria-Ungheria e l'Italia non hanno un interesse speciale alla questione persiana, la quale potrebbe però essere di nuovo messa sul tappeto ed attirare l'attenzione delle Potenze per l 'importanza che avrebbe potuto assumere. Gli sembrava quindi opportuno che, in previsione di una tale eventualità, i Gabinetti di Roma e di Vienna si comunicassero a vicenda le loro idee in proposito.

E siccome la Francia non è neppure interessata direttamente nella questione persiana, il conte d' Aehrenthal si proponeva di intrattenere anche il signor Crozier, con cui ne aveva parlato nel tempo, esprimendogli l'opportunità di uno scambio di idee fra i due Governi.

Il conte d'Aehrenthal mi chiese in fine di riferire all'E.V. le cose da lui dettemi ed io le sarò grato di volermi a suo tempo mettere in condizione di dargli una risposta in proposito.

Mi risulta che a questa ambasciata di Germania si è alquanto preoccupati della piega che sarebbe per assumere la questione persiana, temendosi che essa possa prendere lo stesso carattere di quella del Marocco e portare alla necessità di regolarla per mezzo di una conferenza internazionale.

271 l D. 161, col quale si trasmetteva il R. riservato 4641175 del 26 marzo, entrambi non pubblicati.

272

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO CONFIDENZIALE 954/84. Bucarest, l 2 maggio 1910 (per. il 4 giugno).

Questo ministro della guerra, generale Crai'niceano, è ritornato li 8 corrente da Costantinopoli, dove era andato a passare le feste della Pasqua ortodossa e fu ricevuto in udienza dal sultano, che gli conferì la gran Croce' deli'Osmanié, e fatto segno alla più cordiale accoglienza.

Taluno si domanda qui cosa sia andato a cercare il generale in riva del Bosforo. La risposta è semplicissima. Recandosi colà, il Crai'niceano non fece che arrendersi ad un invito del ministro ottomano della guerra Mahmud Chefket pascià, il quale, incontrandolo l'autunno scorso alle grandi manovre in Germania, insistette perché egli lo venisse a visitare a Costantinopoli.

Come non ignora l'E.V., la Turchia-e più che mai dopo gli ultimi avvenimenti nei Balcani -attribuisce molto valore al mantenimento di relazioni particolarmente amichevoli colla Rumania. Questa dal canto suo corrisponde di buon grado alle dimostrazioni di simpatia che le vengono dalla Turchia, senza però volersi legare le mani mediante intese politiche qualsiansi con essa, secondo risulta dalle fins de non recevoir colle quali re Caro! rispose alle aperture ripetutamente fattegli all'uopo in passato e recentemente ancora (vedi mio rapporto n. 63 delli 8 aprile ultimo )2, questa volta non per mezzo d'un personaggio ufficiale, ma, come seppi di poi dal re stesso, indirettamente e p el tramite d 'un rumeno di Macedonia membro del Senato ottomano e del Comitato Unione e progresso, il quale, venuto qui l'inverno scorso e da lui ricevuto in udienza, ne approfittò per scandagliare il terreno presso la Maestà Sua.

2 Cfr. n. 207.

In conclusione la visita del generale Cra1niceano a Costantinopoli fu dunque di pura cortesia. Aggiungerò tuttavia che, per il caso in cui si fosse toccato colà seco lui l'argomento d'intese politiche, il signor Bratiano dissemi d'avergli dato istruzione di far intendere aver maggior valore la conformità d'interessi che non accordi formali, la Rumania occuparsi di rafforzare il proprio esercito, locché può tornare soltanto di vantaggio alla Turchia, e che anzi tutto il miglior modo di rendere vieppiù strette le relazioni tra i due Paesi sarebbe di regolare una buona volta le quistioni tuttora pendenti tra essi, facendo finalmente approvare dal Parlamento ottomano il trattato di commercio e la transazione relativa ai beni dei sudditi ottomani che abbandonarono la Dobrudja all'epoca della sua annessione alla Rumania: accordi firmati dai rispettivi negoziatori prima della caduta del sultano Abdul Hamid, ma che, a causa delle difficoltà sollevate dalla Turchia, aspettano sempre d'essere ratificati. Ed in tal senso si espresse il Cra1niceano con Mahmud Chefket pascià, il quale non mancò infatti d'intrattenerlo della concordanza degli interessi turchi e rumeni, aggiungendo che i due Governi dovrebbero quindi intendersi fra loro. Il ministro ottomano della guerra gli dichiarò allora di non saper nulla del trattato e della transazione di cui sopra e che ne avrebbe tosto parlato al gran vizir perché la quistione venisse portata innanzi al Consiglio dei ministri. Il generale Crainiceano avendogli poi chiesto qual fosse l'orientamento della Turchia, Mahmud Chefket dissegli a titolo strettamente confidenziale essere prive di valore tutte le assicurazioni della Bulgaria, Serbia e Grecia; la Turchia doversi preparare e prepararsi infatti con tutte le sue forze a combattere un giorno o l'altro contro quei tre Stati riuniti, e sperar egli che di qui ad alcuni mesi o forse un anno essa sarà in grado di tener loro testa. Per quanto concerne le Grandi Potenze, la Turchia non aver da temer nulla soltanto da quelle della Triplice Alleanza, presso le quali è per conseguenza decisa a cercare possibilmente un punto d'appoggio.

272 l A margine: «! !». «la gran Croce» depennato e corretto con «il gran cordone».

273

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1582/147. Vienna, 14 maggio 1910, ore 23,30 (per. ore 6 del 15).

Aehrenthal mi ha dato oggi lettura di alcuni brani di un rapporto direttogli dal signor de Merey, in cui questo riferiva conversazione avuta con V.E., durante la quale egli le fece comunicazione confidenziale relativa ali'Albania, di cui è cenno nel suo telegramma riservato n. 11431. Aehrenthal mi ha detto che era lie

to di constatare, dal modo col quale V.E. erasi espresso col signor de Merey, come una perfetta concordanza di vedute esistesse fra lei e lui per ciò che riguardava la situazione presente in Albania, la quale era considerata dall'E.V. dallo stesso punto di vista. Ciò che avrebbe agevolato verso Governo ottomano compito comune, il quale non poteva consistere che nel dargli consigli amichevoli astenendosi da qualsiasi ingerenza negli affari interni dell'Impero. E di tale conformità di vedute si compiaceva tanto più che essa avrebbe permesso ai due Governi di continuare a scambiarsi a vicenda rispettive idee e sperava che V.E. gli avrebbe comunicato le sue e dal canto suo non avrebbe mancato di fare altrettanto.

Aehrenthal mi ha informato poi di avere ricevuto jeri un telegramma al quale il signor de Merey faceva conoscere accenno fatto a V.E. alla notizia pubblicata da qualche giornale di una possibile rioccupazione del Sangiaccato da parte dell'Austria-V ngheria (telegramma riservatissimo di V.E. n. 1198)2. Tale accenno aveva prodotto su di lui una spiacevole impressione, dopo le ripetute sue dichiarazioni al R. Governo e dopo stipulazione recente accordo che faceva constatare fermo proposito del Governo Imperiale e Reale non addivenire ad alcun ingrandimento territoriale nei Balcani, nonché impegno da esso assunto di concertarsi previamente coll'Italia, ove fosse costretto dalla necessità di procedere a tale occupazione. Ed ha aggiunto che domanda simile poteva far supporre che V.E. ed il

R. Governo non avessero fiducia in lui e nel Governo Imperiale e Reale e, ripetendosi in avvenire, non avrebbe potuto certo giovare ai reciproci rapporti.

Ho fatto rilevare ad Aehrenthal che, se V.E. aveva fatto cenno al signor de Merey della notizia suddetta, ciò era avvenuto semplicemente perché di essa aveva parlato qualche giornale e non già per motivare da parte di lui una smentita qualsiasi, non avendo ella prestato fede alcuna a quella notizia siccome avevalo espressamente affermato allo stesso signor de Merey.

All'accenno quindi fatto da V.E. non dovevasi attribuire l'intenzione che mi sembrava egli volesse darvi, giacché ella non dubitava affatto delle dichiarazioni di lui e del Governo Imperiale e Reale, né dei loro propositi nei quali aveva la maggiore fiducia3.

273 l Cfr. n. 255.

274

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

D. URGENTE RISERVATISSIMO 74. Roma, 14 maggio 1910.

Da informazioni confidenziali pervenute a questo R. Ministero sembrerebbe che così la Compagnia di Antivari come lo stesso cavalier Arrigo Gullini si

3 Per la risposta cfr. n. 277.

preoccupino, forse più di quel che non comporti la delicata situazione in cui la Compagnia stessa si trova di fronte a codesto Governo, del prossimo arrivo al Montenegro della squadra italiana.

Se così realmente fosse, vi sarebbe da temere che le manifestazioni a cui il cavalier Gullini ed il personale da lui dipendente potrebbero eventualmente lasciarsi indurre da sentimenti patriottici, meritori in se stessi, ma che non sempre è opportuno manifestare in paese straniero ed in delicate circostanze, nuocessero e alla Compagnia ed agli interessi italiani al Montenegro. E questo mio timore è avvalorato dal fatto che il cavalier Gullini si sarebbe già messo in relazione coll'ammiraglio comandante la squadra.

Nel mentre ho provveduto perché le opportune raccomandazioni vengano rivolte dal Ministero della marina all'ammiraglio De Orestis, prego ora la S.V. di volersi adoperare col massimo tatto, non disgiunto dalla necessaria energia, presso il cavalier Gullini ed i funzionari della Compagnia, affinché in questa ed in ogni altra circostanza tengano presente che la Compagnia, per quanto costituita con capitali e da cittadini italiani, è pur sempre montenegrina e funziona in territorio estero -e che, se il R. Governo intende, ove occorra, tutelarla di fronte al Governo locale, non può, tuttavia, far a meno d'insistere, in pari tempo e nel suo stesso interesse, perché essa eviti di suscitare inutilmente le diffidenze e le suscettibilità nazionali del Montenegro.

Il R. Governo desidera che la Compagnia si astenga dal fare della politica, limitando la propria azione al puro campo industriale e commerciale, e confida che, o ve essa riesca (come e la competenza del cavalier Gullini ed i buoni propositi della Compagnia lasciano sperare) ad organizzare e far regolarmente funzionare tutti i suoi servizi, avrà con ciò solo reso un segnalato servizio al nostro Paese.

Nel pregarla di accusarmi ricevuta del presente dispaccio ...

273 2 Cfr. n. 265.

275

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1042/358. Costantinopoli, 14 maggio 1910 (per. il 21).

Ieri, nelle ore pomeridiane, giungeva ai rappresentanti delle Potenze protettrici dell'isola di Creta la nota identica della Sublime Porta, di cui immediatamente telegrafai a V.E. il sunto n. 1491 e di cui unisco qui il testo. In sostanza, il Governo ottomano interpreta la nostra dichiarazione che il giuramento prestato da

una parte dell'assemblea cretese non muta lo statu quo, nel senso che esso è dalle Potenze considerato come nullo e non avvenuto. La nota soggiunge che il Governo imperiale si riserva di esaminare, con le Potenze, i mezzi la cui adozione si impone per metter fine alla situazione ambigua e pericolosa che creano queste successive violazioni degli imprescrittibili diritti sovrani di S.M.I. il sultano sull'isola.

Riunitisi stamane presso l'ambasciatore d'Inghilterra per deliberare circa la comunicazione suddetta, gli ambasciatori di Sua Maestà, della Gran Bretagna e di Russia, e l'incaricato d'affari di Francia sono stati concordi nel considerarla come conciliante e moderata. Essa prevede già e precisa ciò che eravamo stati autorizzati, ma troppo tardi, ad aggiungere alla nostra comunicazione anteriore, e non esigerebbe, a rigore, risposta. Stimiamo tuttavia che spetta ai nostri Governi di decidere se una risposta debba darsi, o meno. Nell'affermativa, siamo d'avviso che la nota da rimettere alla Porta dovrebbe constatare che l'interpretazione data dal Governo ottomano ai termini della nostra nota dell' 11 maggio2 è conforme alle intenzioni delle Potenze protettrici, le quali considerano, difatti, il giuramento in parola come nullo e non avvenuto. Siamo parimenti di parere conforme che nella posizione difficile in cui si trova il Governo ottomano, quella risposta potrebbe essergli assai utile. Esso Governo ha fatto molto lodevolmente quanto ha potuto per impedire che l'opinione pubblica si eccitasse, e vi era sinora riuscito. Ma giungono notizie di dimostrazioni avvenute, a malgrado di cotali sforzi, in parecchi luoghi, e l'opinione pubblica, se diventasse vieppiù eccitata, non potrebbe facilmente essere calmata se non allorquando i deputati musulmani in Creta non venissero obbligati a prestare il giuramento e non fossero più molestati dai cristiani.

Abbiamo spedito, poco fa, ai nostri Governi un telegramma conforme3, in cui codesti concetti sono riassunti, ed attenderemo le istruzioni che ci verranno impartite.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI TURCO, RIFAAT PASCIÀ, ALLE AMBASCIATE DI FRANCIA, GRAN BRETAGNA, ITALIA E RUSSJA4

NOTA.

Le Gouvernement impérial ottoman était sur le point d'adresser aux Grandes Puissances dépositaires de l 'ile de Crète un acte de protestation forme! con tre l'ouverture de

2752 Con T. 1519/144 dell'Il maggio Mayor riferiva che gli ambasciatori delle Potenze protettrici avevano rimesso alla Sublime Porta la nota colla quale: «... dichiarano al Governo imperiale di essere autorizzati a dargli l'assicurazione che le Potenze protettrici dell'isola di Creta considerano che la prestazione da una parte dell'assemblea cretese di un giuramento al nome del re di Grecia non costituisce un mutamento dello statu quo dell'isola».

3 T. 1561/150 del 14 maggio, non pubblicato.

4 Ed. in LV 106, pp. 154-155.

l'assemblée crétoise et la prestation d'un serment, par une partie des membres de cette assemblée au nom du roi Georges de Grèce, lorsqu'il a reçu la note collective que Leurs Excellences M.M. !es Ambassadeurs de Grande Bretagne, de Russie et d'Italie e Monsieur le Chargé d'Affaires de France, d'ordre de leurs Gouvernements respectifs, lui ont fait parvenir le 28 avril l l l mai 1910. Par cette note les Puissances protectrices de l'ile de Crète déclarent qu'elles considèrent que la prestation par une partie de l'assembée cretoise d'un serment au roi de Grèce ne constitue pas un changement du statu quo de l'ìle.

Le sta tu quo de la Crète défini par l'accord conclu lors de l'évacuation de l 'ile par !es troupes ottomanes, entre le Gouvernement impérial ottoman et les Puissances dépositaires aussi bien que par les déclarations itératives de celles-ci, comporte surtout la sauvegarde des droits souverains de Sa Majesté Impériale le Sultan. Le fait de la prestation d'un serment au nom d'un souverain étranger y étant indubitablement contraire, le Gouvernement impèrial constate que les Puissances protectrices en déclarant qu'elles considèrent que ce fait ne constitue pas un changement du statu quo tiennent le dit serment pour nul et non avenu. Il s'empresse donc de prendre acte de cette communication.

En meme temps le Gouvernement impérial se réserve d'examiner avec !es quatre Puissances !es moyens dont l'adoption s'impose pour mettre un terme à la situation ambigue et de jour en jour plus dangereuse que créent ces violations successives des droits imprescriptibles de S.M.I. le Sultan sur l 'ile, droits souverains qu'aucun acte de rébellion ne saurait diminuer.

275 l T. 1554/149 del 13 maggio, non pubblicato.

276

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1592/55. Cettigne, 15 maggio 1910, ore 17,20 (per. ore 21,50).

Faccio seguito al telegramma n. 531.

Ho motivo di credere che il Governo russo sia allarmato delle intenzioni fiere del Montenegro contro la Turchia ed abbia in animo di fare al Governo principesco, se non otterrà subito da esso categoriche dichiarazioni, rassicuranti, qualche comunicazione di molto maggior efficacia che la semplice raccomandazione di mantenersi pacifico e prudente.

Intanto, questo incaricato d'affari di Francia ha ricevuto istruzioni dal suo Governo associarsi al collega russo per raccomandare al Governo montenegrino astensione da ogni atto di carattere ostile alla Turchia.

Anch'io ho parlato ieri al principe nel senso medesimo, ma Sua Altezza Reale, dando al suo dire una intonazione scherzosa, mi ha risposto che tra poco, alla testa di 30 mila uomini, sarebbe entrato nella vecchia Serbia. Poi ha subito cambiato discorso.

2761 Cfr. n. 267.

277

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1252. Roma, 15 maggio 1910, ore 18.

Telegramma di VE. n. 147'. Il mio accenno a Merey circa rioccupazione Sangiaccato si limitò a dirgli che avevo letto tale notizia in un giornale di Vienna, parmi il Wiener Journal, che sapevo non essere un giornale autorevole. Piacemi aggiungere che con Merey usiamo entrambi parlare senza il riservato linguaggio ufficiale, ma molto francamente da buoni amici.

278

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1061/369. Costantinopoli, 15 maggio 1910 (per. il 23).

Questo ministro di Grecia è venuto, due giorni sono, a farmi visita, a parlarmi di Creta ed essenzialmente ad affermare la condotta correttissima che il suo Paese ha tenuta ed intende tenere in questi momenti per esso dolorosi e difficili.

Il Governo ellenico, mi ha detto in sostanza il signor Gryparis, è vivamente preoccupato del ridestarsi della questione cretese, per la quale la Grecia e la sua dinastia hanno già tanto sofferto. Egli connette con la questione stessa l'impopolarità del re e del suo Governo. Le Potenze erano andate molto in là in un senso, sino ad autorizzare il re a nominare un suo figlio commissario generale dell'isola, sino a consentirgli di nominare il successore di suo figlio, sino ad ammettere ufficiali elleni come istruttori delle truppe cretesi; e tutti codesti fatti avevano indotti gli animi in grandi speranze. Le Potenze si sono, poi, tratte indietro, ed alle speranze sono subentrate le delusioni, profondamente sentite, specialmente dalle masse, che meno ragionano, e che rendono il re responsabile di quanto è accaduto e non accaduto. Il Governo ellenico spera che almeno le Grandi Potenze gli renderanno giustizia col riconoscere, come, nonostante le gravi difficoltà, esso abbia mantenuto, nello svolgersi della questione, il contegno più corretto. È stato costante studio del Governo ellenico, dali 'ultima guerra in poi, serbare buoni rapporti con l'Impero e così sarà in avvenire, per quanto da esso dipende. Se non fosse della questione cretese che necessariamente li raffredda alquanto, cotali rapporti sarebbero dei più amichevoli, ed anzi, astrazione fatta dalla questione, sono

277 I Cfr. n. 273.

indubbiamente tali. Ma Creta ha il triste privilegio di eccitare gli animi e dei turchi e dei greci, problema tanto più irritante in quanto non se ne vede la soluzione.

Il signor Gryparis riconosce che, dal canto suo, il Governo ottomano tiene un contegno lodevole, ed ha in ciò un certo merito. Nella Camera e fuori, nell'azione che cerca esercitare sui giornali e sulle masse, esso cerca di gettare acqua sul fuoco. Il suo linguaggio è calmo ed alla calma invita. Ma continuerà a mantenersi così moderato? Non potrà essere tentato di dare una diversione alle preoccupazioni che cagiona l'Albania? Non vorrà rendere la Grecia responsabile del giuramento prestato dai deputati cristiani dell'assemblea nazionale cretese, e domandare una dichiarazione declinatoria o informativa del giuramento stesso?

Il ministro di Grecia deplorava gli incidenti violenti avvenuti durante la seduta inaugurale dell'assemblea; li dichiarava regrettables et répréhensibles, dicendo credere che nell'assemblea stessa, avesse provocato segni di disapprovazione.

Ho arguito, col signor Gryparis, come faccio con tutti, del breve tempo da cui sono nuovamente chiamato ad occuparmi degli affari dell'Oriente europeo, per non pronunciarmi sulle questioni che egli portava nella conversazione. Il mio Governo, desideroso di pace com'è, farà di tutto per contribuire a conservarla. Il contegno corretto che la Grecia ha mantenuto e desidera mantenere non potere se non conciliarle simpatie; aver essa, con chiunque le rivolga la parola a proposito di Creta, una facile risposta pregiudiziale, e cioè che le Potenze Protettrici hanno preso l 'isola in deposito, e che al depositario, non ad un terzo, devono indirizzarsi le osservazioni circa al modo in cui è custodito l'oggetto depositato.

279

IL DIRETTORE CENTRALE DEGLI AFFARI COLONIALI, AGNESA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

RELAZIONE. Roma, 16 maggio 1910.

Come è noto, nel 1861, dopo la morte del sultano Seyd Sai d, il Sultanato di Mascate e quello di Zanzibar che avevano sin'allora formato un unico Stato, andarono divisi per arbitrato del Governo britannico tra i due fratelli Twoweni e Madjid.

Il sultano di Mascate di nome è sovrano autonomo, ma sussidiato dal Governo inglese, obbligato a non cedere alcuna parte del suo territorio senza il consenso di questa ecc. ecc.; in via di fatto è protetto dalla Gran Bretagna, la quale va estendendo ogni giorno più la sua influenza e come ha predetto lord Curzon fra non molto l' Union Jack sventolerà sul castello di Mascate.

Il Sultanato di Zanzibar è ufficialmente sotto il protettorato della Gran Bretagna la quale provvede agli affari esteri dello Stato per mezzo di un suo agente diplomatico ed a quelli interni con un primo ed unico ministro da lei nominato.

Senonché molti Stati avevano con il sultano di Zanzibar speciali trattati prima che il Governo inglese stabilisse il suo protettorato e questi, come di ragione, sono rimasti in vigore con tutti i diritti e privilegi se ed in quanto non sia intervenuta espressa rinuncia.

Così l'Italia riconobbe il protettorato della Gran Bretagna sullo Zanzibar colla Convenzione 12 agosto 1892, e coll'accordo 13 gennaio 1905 rinunciò a tutti i diritti di extraterritorialità goduti a Zanzibar in forza di trattati accordi e costumanze e alla giurisdizione extraterritoriale ivi esercitata trasferendola alla Corte inglese creata coll'Ordine in Consiglio del 1897.

È quindi rimasta all'Italia la competenza per tutti gli atti di giurisdizione volontaria, mentre per la clausola della nazione più favorita riconosciutole dal Trattato 21 maggio 1885 il trattamento del commercio italiano e del r. console generale è identico a quello stabilito per la nazione che abbia il miglior trattamento.

Di fronte a questo stato di fatto e di diritto, nell'esplicare l'opera sua di penetrazione l 'Inghilterra doveva necessariamente ledere certi diritti e privilegi stabiliti a favore di Potenze rappresentate nel Sultanato e dar luogo, per la tenacia degli uni e degli altri, a numerosi incidenti. Tra questi vanno notati quelli occorsi in causa di restrizioni chieste dalla Gran Bretagna nel numero delle feste nazionali; nel cerimoniale per le udienze dal sultano, nella franchigia doganale, nonché quelli motivati dal Zanzibar Order in Council del 1906, dal regolamento carcerario, dai provvedimenti per la visita ai sambuchi nelle acque territoriali del Sultanato, dal regolamento di porto e navigazione ecc. ecc.

I tre primi provvedimenti riguardano privilegi dovuti ad usi e costumanze locali. Ed il tentativo dell'agente britannico di far ridurre il numero delle solennità nazionali che i vari consoli volevano festeggiare con l'intervento del Governo locale, di diminuire e quasi sopprimere le visite al sultano del corpo consolare specie quella di ogni singolo console in occasione della sua presentazione ufficiale, e quello di far rivolgere la richiesta della franchigia doganale del console all'agenzia britannica anziché al Corpo della dogana come era uso, mirano ad escludere ogni contatto dei rappresentanti esteri con le autorità locali e far passare tutto attraverso il tramite e la sanzione britannica. Essi diedero luogo a rimostranze da parte dei rappresentanti (corpo consolare) delle singole Potenze, i quali con le loro riserve indussero il Governo inglese ad adottare temperamenti o sospensive.

Gli altri incidenti furono motivati da lesioni di diritti personali o privilegi commerciali stabiliti a favore di Stati che col sultano avevano speciali convenzioni. Così nel nuovo regolamento di porto e navigazione dei bastimenti sono assegnate all'ufficiale di porto alcune attribuzioni di polizia marittima che applicate ai sambuchi esteri, come ne è data facoltà, sarebbero contrarie al privilegio di bandiera riconosciuto dai trattati col sultano e da disposizioni particolari dell'Atto generale di Bruxelles. Sono poi stabilite restrizioni tasse e penalità per l'esercizio di alcune forme di commercio e di industrie contrarie al privilegio di piena libertà di commercio ed esecuzione di tasse egualmente stabilite a favore degli europei con patti convenzionali. La detta questione si riconnette poi a quella sollevata dali' agente britannico nel Bureau International maritime di Zanzibar per ottenere l'autorizzazione della visita dei sambuchi esteri nelle acque territoriali del Sultanato con l 'apparente scopo di una repressione di tratta di schiavi che ormai più non esiste ed in realtà come avviamento dell'abolizione dei diritti di bandiera.

Così nel nuovo regolamento carcerario a differenza di quanto ordinariamente si pratica, in materia, nelle altre colonie, non viene fatta alcuna distinzione tra i detenuti europei e gli altri detenuti restando i primi sottoposti allo stesso regime e allo stesso genere di pene ( curbasciate) applicabili agli indigeni. Infine col Zanzibar Order in Council (1906) e con tre decreti emanati dal sultano nel 1908 la giurisdizione inglese mirava ad acquistare una tale estensione e l'agente britannico un potere così grande, da permettere ogni strappo ai trattati stipulati col sultano e da creare agli europei residenti nel Paese una posizione in certo qual modo eguale a quella degli indiani e dei nativi.

Anche in questi casi furono sollecite le riserve del corpo consolare o dei singoli consoli ed i provvedimenti escogitati dall'agente britannico furono o sospesi

o modificati.

Senonché la forza delle cose è più forte delle stipulazioni e delle consuetudini -e l'opera delle nazioni rappresentate nel Sultanato non è destinata che a frenare e a far procrastinare con resistenza passiva l'opera di penetrazione ed assorbimento completo dell'Inghilterra che è più tenace ancora. Certo sarebbe di grande aiuto alla Inghilterra di rompere quell'unanimità di resistenza che essa incontra in ogni provvedimento lesivo degli altrui diritti o privilegi ed ottenere da una delle Potenze un atteggiamento più o meno decisamente favorevole.

In tale condizione di cose sorge il quesito se meglio ci convenga persistere in questa più o meno sterile lotta nel mantenere diritti e privilegi, oppure coadiuvare a Zanzibar le mire dell'Inghilterra dietro equo compenso da parte sua, compenso che potrebbe trovarsi nel regolamento delle questioni sorte a proposito del mutamento di foce del Giuba, del regime delle acque del Giuba, del trattamento doganale a Kisimayo e della presente situazione nella Somalia del Nord.

Il momento sembra essere particolarmente opportuno se come riferisce il r. console generale in Zanzibar (telegramma 3 novembre 1909) tra l'Inghilterra e la Francia contemporaneamente a quelli relativi a Mascate, si stanno svolgendo negoziati interessanti la situazione politica di Zanzibar.

La Direzione centrale degli affari coloniali prega V.E. di voler esaminare quanto precede e far conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare in argomento'.

279 I Annotazione di San Giuliano: «In massima approvo». Per il seguito cfr. n. 327.

280

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 16. Mogadiscio, 16 maggio 1910 (per. il 27 giugno).

Con il mio rapporto del 2 corrente mese' esponevo ali 'E.V. le condizioni della nostra difesa in questa Colonia e, come a parer mio, con una forza che in poco tempo si andrà riducendo intorno ai 2600 ascari, non fosse da consigliare una occupazione di nuovi territori; non da consigliare per i mezzi di offesa, non da consigliare, nel momento attuale, per la situazione politica tanto nell'Abissinia, quanto nella Somalia settentrionale.

Restituire, da una parte, nella sua normale e prevista forza bilanciata, il contingente delle truppe di 3500 ascari, e dall'altra mantenere una vigile e prudente osservazione mi sembravano l'unico partito da prendere, e in questo senso ho preso le disposizioni note ali 'E.V. per il reclutamento degli ascari ad Aden e dato ai residenti di Lugh, e di Balad -Afgoi -Barire tassative istruzioni.

L'E.V. dai telegrammi, che qui alligo, scambiati con i detti residenti, non che dalla lettera ricevuta dal comandante delle R. Truppe Coloniali e dalla mia risposta2 rileverà come io abbia creduto di porre un freno all'ansia di imprese di guerra che, pur con lodevole sentimento, aveva invaso da Obbia a Lugh i bravi nostri ufficiali.

A me occorreva, anzi tutto, esser padrone della situazione, giudicarla con unico criterio di governo, prendere volutamente quel partito che solo era nel mio potere e nella mia responsabilità di prendere.

Ma ora incorre a me l'obbligo di dir all'E.V. il mio giudizio sulla situazione generale politica e sulla azione militare da svolgere in quanto abbia appunto carattere politico.

E innanzi tutto non esiterò ad affermare che se è opportuno, occupato che s'abbia un territorio, di estendere verso le tribù, d'oltre quel limite occupato, le nostre relazioni, attraendo nell'orbita della nostra influenza le genti più lontane, non pare a me che quell'azione indiretta si debba tramutare in spedizioni militari da compiere a molta distanza dalla base di operazione le quali potrebbero implicitamente far derivare la necessità poi di nuovi soccorsi, quando i nostri protetti diventar dovessero preda di razzie. Questa politica ci esporrebbe all'ignoto; sarebbe pericolosa e dannosa.

Dove la nostra bandiera giunge, deve rimanere; si può non fare un passo avanti, ma non se ne deve fare mai uno indietro; e tale, nella mentalità degli indigeni, si appaleserebbe un soccorso non prestato poi là dove, andando, abbiamo chiesto ed ottenuto atto di sudditanza da parte di quelle genti.

2 I documenti non sono più materialmente allegati a questo rapporto. Tuttavia nel fascicolo si conserva copia di corrispondenza riconducibile a quella qui citata.

L'espansione nostra si deve invece fare con effettiva occupazione, ponendo la regione occupata in condizioni di stabile difesa.

Dal reggente la Colonia, cavalier Macchioro, e dal maggiore Chiossi si propose senz'altro di occupare la regione dello Uebi-Scebeli che contiene il territorio che fa capo a Scidle, a settanta od ottanta chilometri da Balad; e si disse facile l'impresa. E tale ancora io la ritengo. Se non che (a prescindere dalla considerazione delle diminuite forze del nostro contingente di truppe e dall'altra opportunamente esposta dal comandante le regie truppe, colonnello Trombi, della stagione delle piogge contrarie ad un movimento di invasione) la occupazione di Scidle, punto lontano, esposto alle incursioni del bagheri ed altre tribù ligie al Mullah, non dovrebbe essere un fatto isolato, ma collegarsi a tutto un sistema coordinato per il quale venga a formarsi una barriera sicura alle scorrerie tanto dalla parte abissina quanto da quella dei dervischi.

Di fatti, occupato che sia isolatamente Scidle, tutte le vie carovaniere che traversano i Mobilen e i Dafet resterebbero aperte, e le tribù stesse alle quali dovremmo con l'occupazione dare sicurtà di pace e protezione non potrebbero, per la loro lontananza, essere soccorse, mentre tutta la riva destra del Uebi Scebeli da Scidle a Kaitoi rimarrebbe pur sempre esposta e i confini dell'Abissinia verso Lugh non avrebbero protezione.

Il solo piano che valga ad assicurare una stabile condizione di difesa all'esterno e di sicurezza all'interno, è quello che, stendendosi da Lugh a Scidle, con la formazione di recinti difesi a una giornata di cammino tra loro, abbia presidi a Lugh, Revai, Buracaba, nei Mobilen, nei Dafet e a Scidle. In questo modo soltanto, occupando le vie di comunicazione e i luoghi provvisti di acqua, nessuna scorreria si renderebbe possibile all'interno; e però all'interno si andrebbe poi man mano determinando una situazione pacifica tale che ali' ordine e alla sicurezza basterebbero dei semplici riparti di polizia dipendenti dal Comando, non militare, ma di polizia. Tutti i paesi marittimi potrebbero avere, in un tempo assai prossimo, tale graduale trasformazione; e i paesi stessi lungo il Uebi Scebeli non tarderebbero ad averla. In una parola, la difesa militare sarebbe portata dal fiume ad una linea più avanzata e protetta, lasciando libero e sicuro campo alla pacifica trasformazione e messa in valore della ricca zona dell'interno.

E se l 'E.V. vorrà considerare che per unanime consentimento di tutti i nostri ufficiali, i quali quelle contrade hanno visitate e studiate, la regione che si stende intorno alla parte superiore del Uebi Scebeli è quella che di tutta la Colonia ha una ubertà del suolo privilegiata, paragonabile soltanto alle terre più fertili della Lombardia, con popolazioni di costumi miti, dedite al lavoro dei campi a differenza delle altre genti somale e desiderose di avere pace e protezione da noi, non dubito che si persuaderà che il vero avvenire della Colonia si contiene appunto nella zona che verremmo così a stabilmente occupare.

Il comandante delle r. truppe coloniali, richiestone da me, esporrà con suo rapporto il piano tecnico-militare per l'esecuzione di questo programma, così com'egli concorda in tutto con me nelle ragioni politico-militari che lo consigliano, e quel rapporto rimetterò all'E.V. dopo di averlo esaminato e studiato.

Non sono nel caso di dire oggi di quanto la forza dei 3500 ascari dovrebb'essere accresciuta, sia per il movimento in avanti delle nostre truppe, sia per i presidi da costituirsi, sia per la protezione delle retrovie, ma se un aumento, che cercherò di ridurre nei limiti più ristretti, si rendesse necessario, tale aumento non sarebbe che temporaneo e limitato allo scopo immediato da raggiungere, poiché, come ho già detto, l'occupazione stessa renderebbe poi possibile tutta una organizzazione ridotta di forze militari. Basterebbe soltanto non chiamare nuove reclute e lasciare che con i congedi e le esenzioni per malattie si andasse riducendo il contingente fino a un limite di soli 3000 uomini: ciò che l'esperienza purtroppo ci dimostra quanto avvenga celermente.

Esposte così all'E.V. le ragioni che mi fanno vivamente consigliare di iniziare con un piano ben prestabilito e con una azione decisiva che non richiede grandi mezzi né nel momento attuale ci espone a pericoli, la seconda parte, com'è stato detto dal Governo al Parlamento, della occupazione territoriale necessaria allo sviluppo delle ricchezze naturali di questa Colonia, chiudo questa mia breve esposizione della situazione politica assicurando l'E.V., come feci al suo predecessore nel lasciare l'Italia, che nessuna politica di imprudenti avventure sarà da me né voluta né tanto meno autorizzata.

P.S.: Alligo alcune note estratte da un rapporto che il residente di Afgoi capitano Casale mi ha fatto. La conoscenza che il Casale possiede dei luoghi e delle popolazioni attribuisce a questo rapporto speciale valore.

280 l Presumibilmente ci si riferisce al R. riservato 8, non pubblicato, col quale De Martino esprimeva alcune valutazioni sui mezzi difensivi a disposizione delle colonie (si prevedeva una riduzione degli effettivi a 2800 ascari).

281

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1618/56. Cettigne, 17 maggio 1910, ore 5,20 (per. ore 21,30).

Discorrendo jeri col principe Nicola ho cercato di dimostrargli con molti argomenti assoluta necessità mantenere contegno corretto, pacifico verso la Turchia. Sua Altezza Reale si è mostrata convinta e mi ha detto che per parte sua al

lo stato attuale delle cose non farà nulla per creare complicazioni nei Balcani.

Ho veduto pure presidente del Consiglio ministro degli affari esteri al quale ho ripetuto calda raccomandazione astenersi da qualsiasi atto di natura provocare conflitto di cui Montenegro sarebbe il primo a sopportare gravi irreparabili danni. Ministro mi ha dichiarato formalmente che il Governo principesco non pensa in alcun modo di alterare nelle attuali circostanze buone relazioni con la Turchia.

Gli incaricati d'affari russo e francese ebbero da lui identica assicurazione; al primo fu anche scritto che il Montenegro non farà mai cosa che possa dispiacere alla Russia. Ministro d'Austria-Ungheria non ha avuto finora istruzione di dare consigli al Governo principesco in questa occasione.

282

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1633/61. Pietroburgo, 17 maggio 1910, ore 18,49 (per. ore 22,50).

Izwolskij, parlandomi dei progetti minacciosi attribuiti al Montenegro nelle attuali contingenze albanesi, mi disse essere in parte dovuti agli eccitamenti bellicosi del ministro della guerra. Alle rimostranze fatte dal ministro di Russia, il Governo montenegrino avrebbe risposto che non intendeva fare atti di aggressione contro la Turchia e che, solo nel caso in cui Albania si rendesse indipendente

o qualora elemento serbo in Albania fosse ingiustamente oppresso, una sua intromissione potrebbe forse rendersi necessaria. Governo imperiale continua a far pervenire al Governo montenegrino consigli di prudenza ed ultimamente l'imperatore, nel felicitare telegraficamente il principe per nascita figlio principe Mirko, rinnovava questi consigli. Izwolskij mi disse pure essere stato informato che anche il Governo italiano si adoperava nello stesso senso a Cettigne ed altamente si compiaceva meco di questa comunanza di azione.

283

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 1638/90. Addis Abeba, 17 maggio 1910 (per. ore 23,20 del 18) 1.

Ho avuto una conversazione con i capi del Governo etiopico sulla situazione creata nella Somalia settentrionale dall'abbandono per parte Inghilterra del territorio interno confinante Etiopia. Questo Governo se ne è vivamente preoccupato e mi risulta, in modo confidenziale ma sicuro, che, appena avutane notizia, ne ha chiesto spiegazione a questa legazione d'Inghilterra dichiarando che, qualora abbandono per parte Inghilterra fosse definitivo, Etiopia avrebbe immediatamente occupato territorio abbandonato e sarebbe stata altresì disposta ad intavolare trattative per acquisto della costa somala. Questo ministro d'Inghilterra ha risposto al Governo etiopico che abbandono per parte Inghilterra era solo temporaneo e dipendente da ragioni di opportunità, ma che essa non intendeva rinunziare ad alcuno dei suoi diritti sovranità nei suoi possedimenti di Somalia. La condotta del

l'Inghilterra in Somalia ha fatto cattiva impressione e il Governo etiopico, che aveva creduto in principio di poterne profittare, è ora seriamente preoccupato delle conseguenze che ne possono derivare in Ogaden, specialmente dal fatto di avere Inghilterra autorizzato e agevolato armamento tribù da lei dipendenti. Conseguenze di quest'ultimo fatto sono invero gravissime, non solo per Etiopia che vede minacciate sue tribù di frontiera, ma più ancora per noi e per Inghilterra stessa ed esso è in contraddizione con tutta opera nostra di quest'ultimi anni in Etiopia per impedire armamento tribù somale e pregiudica ogni azione ulteriore in proposito e lo stesso Governo etiopico ha intenzione di protestare a sua volta presso il Governo inglese per avere violato Convenzione di Bruxelles, della quale violazione è stato ripetutamente accusato esso stesso, ed io ho cautamente consigliato questo Governo insistere nella protesta. Questa legazione di Germania dimostra straordinario interessamento per gli avvenimenti della Somalia inglese ed ha inviato suoi emissari su quella frontiera, e mi risulta che ha cercato di mettersi in relazione col Mullah. È pervenuta qui notizia di gravi combattimenti avvenuti sull'Uebi Scebeli a Scidle e Balad fra dervisci e truppe del Benadir con esito a noi favorevole e su tutta la frontiera somalo-etiopica sono evidenti segni agitazione che potrebbero preludere ad una generale riscossa.

283 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 18 maggio, ore 6,15.

284

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 1639/91. Addis Abeba, 17 maggio 1910, (per. ore 23.45 del 18) l.

Non avendo avuto risposta al telegramma n. 71 del 18 aprile2, ho creduto opportuno stabilire definitivamente (?)3 col Governo etiopico che, dopo le prossime piogge, sarà inviata commissione per delimitazione frontiera fra Dolo e Uebi Scebeli ed a fitaurari Daditarrè, che è partito in questi giorni per il suo paese, furono dati ordini perentori mantenere diretti ed amichevoli rapporti colla Residenza di Lugh, onde evitare qualsiasi incidente, che non è affatto probabile, data l'assoluta mancanza di truppe abissine in tutta quella regione. Fitaurari Daditarrè è partito animato dalle migliori intenzioni verso di noi e convinto che è suo som

2 T. 1192/71, col quale Colli riferiva di aver discusso «con Governo etiopico modalità riguardanti effettiva sistemazione dei confini Etiopia Somalia meridionale tra Dolo e Uebi Scebe1i, in base accordo 1908».

3 Il punto interrogativo è del decifratore. La minuta del telegramma nell'Archivio Eritrea reca: «m massima».

mo interesse rimanere amico nostro. Anche degiac Nado, che partirà quanto prima per Bale (sic), è persona ragionevole e pacifica e non è da temere da lui alcuna spiacevole sorpresa. Persisto, quindi, escludere, perentoriamente qualsiasi pericolo e minaccia per il presidio militare di Lugh da parte degli abissini. Sarà bene però attendere ad insediare un presidio militare ed un'agenzia a Dolo fin dopo la delimitazione definitiva della frontiera e di ciò ho dato assicurazione al Governo etiopico. A tale proposito, sarei grato a V.E. se volesse comunicarmi conferma della notizia pervenutami della partenza per Lugh del commendator Ferrandi e della prossima venuta negli Arussi del tenente di vascello Cappello, come pure mi sarebbe grato di conoscere intenzioni e disposizioni del R. Governo riguardanti Benadir e che hanno attinenza con Etiopia4.

284 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 18 maggio, ore 18,40.

285

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 975/89. Bucarest, 17 maggio 1910 (per. il 4 giugno).

Verso il finire dello scorso aprile vennero qui assieme e furono ricevuti in udienza da re Carlo l'inglese sir Max Wachter ed il ben noto redattore della Neue Freie Presse dottor Miinz. In seguito a che apparve il 5 corrente in prima colonna nel precitato giornale un resoconto del colloquio del Miinz con questo sovrano, che venne tosto riprodotto dai fogli rumeni. Tra gli altri, la Indépendence Roumaine (in voce d'organo ufficioso, quantunque il signor Bratiano lo neghi) ne pubblicò senza commenti la traduzione francese, perfettamente esatta nei suoi punti essenziali, che mi pregio trasmettere qui unita all'E.V.l.

Nel resoconto in parola mi colpirono, come non conformi alla prudenza e ponderatezza colle quali suole esprimersi re Carlo, talune delle dichiarazioni che, secondo il Miinz, gli avrebbe fatte la Maestà Sua, e segnatamente quelle riguardanti le relazioni della Rumania coll'Austria-Ungheria. L'intimità tra i due Governi e l'orientamento della Rumania verso la Triplice Alleanza non sono in vero un mistero per nessuno. Mi meravigliai tuttavia che re Carlo avesse insistito sulla superfluità di accordi scritti coll'Austria-Ungheria in modo da lasciar capire che, con o senza accordi, la Rumania si schiererebbe sempre dalla parte di quella Potenza, e da produrre per conseguenza una cattiva impressione sui russi, coi quali tanto egli quanto il signor Bratiano si sforzano già da qualche tempo di stabilire relazioni più amichevoli. Il mio collega di Russia, venuto a vedermi il 7 corrente, il giorno stesso cioè del mio ritorno da Roma, non mancò infatti di parlarmi del

2844 Per la risposta cfr. n. 293. 285 l Non si pubblica.

la cosa che, senza attribuirvi soverchia importanza e senza volerne far oggetto d'osservazioni, dissemi egli, era tanto più rincrescevole quasi alla vigilia della partenza per la Russia della delegazione d'ufficiali rumeni di cui nel mio rapporto n. 26 del 26 febbraio corrente anno2, e mentre in grazia principalmente all'azione del signor Bratiano, del quale continua a lodarsi molto, le relazioni tra i due Paesi hanno assunto oramai un carattere notevolmente più cordiale che per lo passato. Esposi allora al signor de Giers i miei dubbi circa l'esattezza del linguaggio attribuito a questo sovrano, aggiungendo sembrarmi opportuno d'accertarcene prima di riferirne ai nostri Governi. Ed egli risposemi essere appunto sua intenzione d'aspettare alquanto per farlo, pel caso in cui apparisse una rettifica nei giornali oppure il signor Bratiano credesse di dovergli fornire spontaneamente qualche spiegazione che valesse a dileguare l'impressione sfavorevole certamente prodotta a Pietroburgo dalla pubblicazione del resoconto del dottore Mi.inz. Visto poi pochi giorni dopo il signor Bratiano, chiamata la sua attenzione sull'argomento e postogli sott' occhi il resoconto di cui si tratta, che mi disse di non aver le tto, egli si mostrò tanto più seccato inquantoché, secondo mi confessò, fu lui a consigliare il re, il quale non riceve mai giornalisti, a fare una eccezione in favore del Mi.inz in considerazione della sua rilevante posizione giornalistica e del fatto che il signor Sturdza, che lo conobbe a Norderney dal principe di Bi.ilow e gli concesse una interview, era rimasto soddisfatto del modo in cui il Mi.inz riportò la conversazione avuta seco lui: tantoché egli stesso, signor Bratiano, al suo passaggio a Vienna l'estate scorsa, non credette di doversi rifiutare a riceverlo e non ebbe motivo di pentirsene. Il presidente del Consiglio aggiunse che, dovendosi recare l'indomani dal re il quale trovavasi allora a Sinaia, avrebbe cercato d'appurare se la Maestà Sua si fosse realmente espressa come riferì il Mi.inz: ciò che a lui pure sembrava molto dubbio. Ed appena tornato da Sinaia egli venne a informarmi del risultato del suo colloquio col sovrano e ad avvisarmi della prossima pubblicazione nella Indépendence Roumaine della mise au point pur qui acclusa. Egli si recò poi direttamente dal signor de Giers, al quale fornì spontaneamente le seguenti spiegazioni concordanti con quelle datemi: vale a dire che, concedendo una udienza al Mi.inz, il re non aveva inteso di darle il carattere d'una interview ed era stato assai poco soddisfatto del contegno di quel giornalista che gli pose quesiti molto indiscreti. La Maestà Sua si espresse bensì nel senso che le relazioni tra la Rumania e l'Austria-Ungheria sono ottime, i loro interessi concordanti, e che non havvi d'uopo di trattati tra i due Stati; ma non già che con o senza trattati era tutt'uno. Per quanto concerne l'atteggiamento della Rumania di fronte ad una eventuale espansione territoriale della Bulgaria nei Balcani, il re disse che la Rumania non potrebbe ammettere un cambiamento dello statu quo attuale nella penisola senza che essa avesse a dire la sua parola.

Qualunque sia stato il linguaggio realmente tenuto da re Carlo al dottore Miinz, e sebbene le spiegazioni sovra esposte possano apparire piuttosto sottili e

troppo tardiva la mise au point della Indépendence Roumaine (apparve soltanto avant'ieri), il signor de Giers se ne accontentò e scriverà col prossimo corriere di Gabinetto a Pietroburgo in modo da attenuare l 'impressione prodotta vi assai probabilmente dal resoconto pubblicato dalla Neue Freie Presse.

285 2 R. 352/26, non pubblicato.

286

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1632/60. Pietroburgo, 18 maggio 1910, ore 19,50 (per. ore 23,20).

La comunicazione francese di cui tratta il telegramma di V.E. n. 12681 fu fatta anche qui da questo ambasciatore di Francia, ma non sotto la forma di una formale proposta ma di una semplice idea di Pichon che desiderava di sottoporre all'esame degli altri tre Gabinetti. Ambasciatore di Francia ammise poi fare menzione della parte concernente minaccia di un eventuale ritiro delle Potenze protettrici che lascierebbero mano libera alla Turchia. Quando tutti fossero d'accordo, Izwolskij non avrebbe difficoltà di acconsentire eventuale sbarco contingenti internazionali, ma egli crede che forse meglio si otterrebbe lo scopo mediante una manifestazione delle squadre delle quattro Potenze.

Riguardo alla seconda parte della comunicazione francese e particolarmente minaccia di ritiro da Creta delle Potenze protettrici, Izwolskij divide pienamente il parere di V.E. che non vi si debba ricorrere che in caso di assoluta necessità. Soggiunse che l'avvenuto aggiornamento assemblea lascia tempo di meglio esaminare il da farsi.

287

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE S.N. Vienna, 18 maggio 1910.

Ringrazio V. E. della sua lettera particolare dell' 11 corrente I, giuntami stamane per mezzo del corriere di Gabinetto, e mi fo premura di fornirle gli schiarìmenti che ella mi chiede.

Quanto all'eventualità di una rioccupazione del Sangiaccato di Novi-Bazar per parte dell'Austria-Ungheria io ho avuto più volte (anche durante questi ultimi giorni nella mia corrispondenza telegrafica) occasione di esprimere a V.E. la mia opinione. Essa si basa sopra due punti:

l) che la Monarchia, dopo l'annessione della Bosnia-Erzegovina e l'instaurazione del nuovo regime a Costantinopoli, non ha nessun desiderio di procedere a nuovi ingrandimenti territoriali nella penisola balcanica ed i suoi sforzi sono ora diretti alla consolidazione dell'Impero ottomano, che rappresenta per essa la guarentigia dei suoi interessi presenti e futuri nella penisola stessa;

2) che la Monarchia, ove -nonostante il suo desiderio e la sua azione, comuni con quelli delle altre Potenze e diretti al mantenimento dello statu quo -il nuovo regime turco non riuscisse ad impedire lo sfacelo dell'Impero ottomano, si troverebbe costretta dalla necessità di cose ad occupare il Sangiaccato ed anche forse altri territori per opporsi a che essi cadano in potere della Serbia e del Montenegro, ciò che sarebbe contrario agli interessi vitali della Monarchia stessa.

Il conte d'Aehrenthal e tutti gli organi, diretti od indiretti del Governo Imperiale e Reale, non hanno mai lasciato sfuggire un'occasione per riaffermare il primo di questi punti. E chiunque tenga conto delle difficoltà interne delle due parti della Monarchia, della situazione costituzionale della Bosnia-Erzegovina sempre in sospeso, e delle condizioni disagiate tanto delle finanze comuni, quanto di quelle austriache ed ungheresi, dovrà riconoscere non essere né naturale, né probabile che si pensi ad affrontare ora, senza necessità imprescindibili, una nuova crisi. Né credo che si possano allegare indizi fondati e seri di una preparazione sia politica sia militare per la rioccupazione del Sangiaccato. Le voci corse in proposito e raccolte da giornali non molto autorevoli o interessati a mantenere vivi i sospetti contro il Gabinetto di Vienna possono trovare non dico la loro giustificazione, ma la loro origine indiretta nel timore che la lotta fra le truppe turche e gli insorti di Albania, continuando ad aggravarsi, possa divenire un pericolo per la consistenza dell'Impero ottomano e provocare forse quello sfacelo che forzerebbe la Monarchia, volente o nolente, ad intervenire. Ma l'ammettere tutto ciò come realtà attuale sarebbe, a mio avviso, non solo precorrere di molto gli avvenimenti, ma lavorare addirittura di fantasia.

Per quel che concerne i compensi, il mio accenno alla pagina 6 della mia lettera particolare del 25 aprile scorso2 non fa che riassumere quanto ho avuto l'onore di esporre diffusamente al conte Guicciardini colla mia lettera del 2 marzo 19103.

Le mie idee in proposito si possono precisare così. l) È opportuno che noi completiamo la stipulazione del Trattato della Triplice Alleanza e del nuovo accordo riguardo ai compensi, o che almeno tastiamo indirettamente il terreno con tutta prudenza per essere in grado di conoscere le di

3 Cfr. n. 150.

sposizioni in proposito del Gabinetto di Vienna prima del momento in cui dovremo procedere al rinnovamento del trattato stesso.

2) L'unico compenso effettivo per noi in caso d'una espansione della Monarchia nella penisola balcanica sarebbe la cessione di una parte dei territori dell' Austria abitati da popolazioni italiane. Qualsiasi altra cessione non sarebbe per noi un compenso valevole perché ci indebolirebbe politicamente e militarmente di fronte alla Monarchia anziché rafforzarci. In ogni caso sarebbe escluso che potessimo ottenere un compenso nella penisola balcanica, perché l'Austria-Ungheria non potrebbe decidersi ad abbandonarci la sola regione la quale potrebbe essere presa da noi in considerazione, cioè l'Albania, senza distruggere completamente la sua situazione nell'Adriatico.

Se si deve tener conto di un accenno fattomi dal conte d'Aehrenthal durante i negoziati per il nuovo accordo, sembrerebbe che nel pensiero del Governo Imperiale e Reale il compenso da attribuirci nell'eventualità suddetta sia da ricercarsi nelle regioni ottomane del nord africano nel Mediterraneo (mia lettera particolare del 2 marzo 1910). Infatti il conte d'Aehrenthal rilevò che l'Italia avrebbe potuto compensarsi in tale circostanza col procedere dal suo lato all'occupazione di altro territorio in altra parte dell'Impero ottomano, che non indicò. Ma egli voleva alludere certamente alla Tripolitania, la quale non potrebbe essere da noi ritenuta come un adeguato compenso perché non atta a ristabilire tra l 'Italia e l'Austria-Ungheria l'equilibrio di forze che verrebbe spostato ad esclusivo vantaggio di quest'ultima Potenza nel caso di una sua eventuale espansione nei Balcani.

3) Per le ragioni esposte nella mia lettera surriferita è da dubitare che l'Austria-Ungheria s'induca ad una cessione in nostro favore d'una parte del suo territorio, salvo in seguito ad una guerra combattuta con noi nella quale sarebbe rimasta soccombente.

Per avere però qualche probabilità di avere una siffatta cessione, a noi conviene innanzi tutto di non tardare a dissipare le diffidenze che qui esistono contro la nostra politica nei Balcani ed i nostri rapporti cogli avversarsi ed i rivali della Monarchia, procurando con una linea di condotta franca e leale di rafforzare la fiducia del Gabinetto di Vienna nella nostra fedeltà all'alleanza e convincerlo della nostra intenzione di non attraversare, ma di secondare i suoi disegni nella penisola.

A tal fine noi dovremmo approfittare d'ogni occasione per radicare nel Gabinetto di Vienna la persuasione che, ove le eventualità contemplate dall'articolo 7 del Trattato della Triplice Alleanza e dal nuovo accordo dovessero prodursi, noi saremmo disposti ad assumere l'impegno formale di prestargli, oltre l'appoggio morale che gli dobbiamo in virtù di tali stipulazioni, quello anche materiale, mettendo a sua disposizione le nostre forze militari e navali per una eventuale sua azione d'espansione nella penisola balcanica.

Ma tale appoggio dovrebbe naturalmente essere sottoposto alla condizione che ci venga accordata dal Governo Imperiale e Reale come compenso la cessione di una parte delle regioni dell'Austria abitate da popolazioni italiane e che esso addivenga con noi ad una più precisa intesa riguardo l'Albania, che ne deter

mini la neutralizzazione, onde questa sia sempre sottratta a qualsiasi supremazia od occupazione ulteriore austro-ungarica. Questa sarebbe, secondo il mio subordinato parere, l'unica via che potrebbe forse condurci alla realizzazione delle nostre aspirazioni.

Se l'inorientamento dell'Austria-Ungheria avvenisse sotto tali condizioni, esso non ridonderebbe certo a danno nostro. L'Italia anzi avrebbe tutto l 'interesse ad agevolarlo ed il prezzo che ci sarebbe accordato dall'Austria-Ungheria per la piena e completa nostra cooperazione ad un'eventuale sua espansione nei Balcani non sarebbe che la conseguenza naturale degli acquisti territoriali ch'essa farebbe, i quali, collo spostare le basi attuali della Monarchia, verrebbero a trasformare radicalmente la sua costituzione interna.

Gli è per ciò che io mi permisi di esprimere al conte Guicciardini l'avviso che fosse opportuno di cominciare a preparare fin d'ora il terreno per potere così arrivare grado a grado alla definizione di tale delicata questione, che non potrebbe essere da noi intavolata che colle maggiori possibili cautele.

Infatti se i relativi negoziati, anziché essere animati da una profonda fiducia che ora-inutile dissimularlo-non esiste né da una parte né dall'altra, fossero il prodotto di una diffidenza sempre irritabile, si anderebbe con molta probabilità incontro ad un insuccesso e si metterebbero a grave repentaglio i buoni rapporti attuali.

Io non ho, da quando diressi al conte Guicciardini la lettera particolare del 2 marzo scorso, nessuna ragione di mutare d'avviso circa la questione e non v'ha dubbio che se noi potessimo raggiungere un giorno ad ottenere dali' Austria-Ungheria l 'impegno che ci sarebbero eventualmente concessi i compensi a cui aspiriamo, si darebbe ai rapporti tra l'Italia e la Monarchia un fondamento incrollabile.

E vengo all'ultimo punto della lettera di V.E.

Alla fine d eli'ottobre 1909, dopo la visita dello tsar a Racconigi e mentre erano in corso i negoziati nel nuovo accordo fra l'Italia e l'Austria-Ungheria, il conte d'Aehrenthal mi consegnò un appunto (che io trasmisi al senatore Tittoni colla mia lettera particolare del 29 ottobre) in cui era riassunto il suo pensiero circa le diverse eventualità che potevano prodursi nella penisola balcanica, e si dilungò a parlare con me su tale argomento.

A proposito dell'identità di vedute fra il senatore Tittoni ed il signor Izwolskij, constatata a Racconigi, per il mantenimento dello statu quo in Turchia e l 'indipendenza e lo sviluppo normale e pacifico degli Stati balcanici sulla base del principio di nazionalità, il conte d'Aehrenthal mi dichiarò che fra l'Italia e l'Austria-Ungheria non si era discusso negli ultimi tempi nessun impegno riguardante le eventualità che potrebbero prodursi nella Turchia europea ove fosse impossibile mantenere lo statu quo, salvo lo scambio di note del 1897, relativo al disinteressamento reciproco rispetto ali'Albania, e che egli non aveva mai riconosciuto il principio suddetto, né credeva doverlo riconoscere come stabilito in massima.

Sebbene il conte d'Aehrenthal non me ne avesse tenuto parola, io ebbi subito l'impressione che egli si preoccupasse della possibilità che noi appoggiassimo, in caso di sfacelo dell'Impero ottomano, una politica di ingrandimento territoriale a vantaggio esclusivo degli Stati balcanici e che egli scorgesse in ciò una con

traddizione coli 'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza e col nuovo accordo, i quali prevedono il caso che l'Austria-Ungheria sia, per necessità di cose, indotta a procedere ad occupazioni territoriali nella penisola balcanica.

Pochi giorni dopo il signor di Tschirschky, come ebbi a riferire al senatore Tittoni colla mia lettera del 3 novembre 1909, mi confermò esplicitamente che tale era infatti il pensiero del conte d'Aehrenthal, il quale considerava che l'applicazione del principio dello sviluppo degli Stati balcanici sulla base nazionale era in opposizione a quelle stipulazioni, perché avrebbe potuto precludere la via ad ogni ulteriore espansione della Monarchia oltre i suoi confini attuali ed impedirle di occupare il Sangiaccato di Novi-Bazar.

Il senatore Tittoni, nel rispondermi, con una lettera in data del 7 novembre scorso, osservava che, secondo lui, non sarebbe esistita una contraddizione fra il proposito di promuovere lo sviluppo degli Stati balcanici sulla base del principio di nazionalità e le disposizioni dell'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza e del nuovo accordo concernenti la possibilità dell'occupazione del Sangiaccato di Novi-Bazar o di altre parti dell'Impero ottomano. E soggiungeva che egli avrebbe voluto essere d'accordo coll'Austria-Ungheria nel desiderare:

-in prima linea: la conservazione dello statu quo nell'Impero ottomano; -in seconda linea: quando tale conservazione non fosse più possibile, lo sviluppo degli Stati balcanici sulla base del principio di nazionalità;

-in terza linea: quando non siano più possibili né l 'una né l'altra cosa e si verifichi, malgrado tutto, un'occupazione austro-ungarica, l'assicurazione di un adeguato compenso ali' Italia.

Da quanto precede l'E.V. potrà comprendere che si andava disegnando una divergenza di vedute fra il R. Governo ed il Gabinetto di Vienna circa quello che potrebbe succedere nella penisola balcanica, nel caso in cui fosse impossibile di mantenervi lo statu quo. Mentre la politica italiana, d'accordo con quella russa, sembrava voler anzi tutto preparare l 'ingrandimento dei piccoli Stati nazionali balcanici ed essere soltanto disposta a subire, come dannata ipotesi, l'eventualità di un'ulteriore espansione territoriale della Monarchia; l'Austria-Ungheria si rifiutava di riconoscere il principio d'un possibile incremento territoriale degli Stati balcanici, essendo pregiudizievole ai propri interessi ogni ingrandimento della Serbia e del Montenegro.

Colla mia lettera particolare del 18 novembre, io mi permisi di esporre al senatore Tittoni i pericoli che una discussione a fondo fra i due Governi su tale argomento avrebbe potuto presentare, nelle attuali condizioni dell'Europa ed a qualche anno dalla scadenza del trattato di alleanza, se avesse portato a constatare un disaccordo sostanziale fra di essi. Soggiungevo che lo stesso accordo in discussione avrebbe potuto esserne compromesso.

In seguito a nuove istruzioni impartitemi dal senatore Tittoni con telegramma riservatissimo senza numero del 27 novembre 1909, io feci al conte d'Aehrenthal una dichiarazione verbale in termini generali, dicendo che il R. Governo aveva preso per punto di partenza del nuovo accordo la convinzione assoluta che la Monarchia non pensa a nuove espansioni territoriali nella penisola balcanica, che il principio dello sviluppo normale e pacifico degli Stati balcanici sulla base di nazionalità aveva costituito sempre una delle leggi fondamentali della politica italiana e che alcuna contraddizione non esisteva fra questo principio e la situazione che sarebbe fatta all'Austria-Ungheria in forza all'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza e del nuovo accordo, i quali prevedono l'occupazione del Sangiaccato di Novi-Bazar.

Come riferii al senatore Tittoni colla mia lettera particolare del l 0 dicembre scorso, il conte d'Aehrenthal, dopo aver udito la mia comunicazione, rinnovò le sue riserve in via privata, affermando che non poteva consentire nel parere nostro, che alcuna contraddizione cioè non esistesse tra le stipulazioni suddette ed il principio dello sviluppo normale e pacifico degli Stati balcanici sulla base nazionale.

Ed aggiunse che non credeva opportuno di prolungare su tale argomento una discussione che non aveva ragione d'essere nel momento in cui mi parlava, non trattandosi di una questione che fosse all'ordine del giorno.

A tale episodio io mi sono riferito alla pagina 7 della mia lettera del 25 aprile ultimo scorso.

Dal novembre 1909 non c'è più stata, che io sappia, occasione pei due Governi di tornare su tale argomento. Quindi i dubbi, che sorsero allora, permangono. A mio avviso questa questione si riconnette in certo modo, per ciò che concerne i nostri interessi, colla questione dei compensi e converrà affrontarla insieme a quella. È evidente che se noi potessimo riuscire ad assicurarci alla frontiera orientale i compensi a cui aspiriamo, non avremmo ragione di ostacolare troppo, al momento del bisogno, l'espansione della Monarchia nella penisola balcanica. Né noi verremmo meno in tal caso ad una delle tradizioni gloriose della nostra politica, cioè al principio di nazionalità, se all'idea della sua applicazione a favore degli Stati balcanici, qualora esso non potesse essere attuato, preferissimo la tutela degli interessi nostri vitali, cioè lo sviluppo della nostra patria sulla base del principio medesimo.

Ben diverso però sarebbe il caso in cui il Gabinetto di Vienna non fosse disposto a consentirci l'adeguato compenso: in tale eventualità, noi dovremmo naturalmente preferire un ingrandimento dei piccoli Stati balcanici a qualsiasi nuova occupazione austro-ungarica.

286 l T. 1268 del 16 maggio, del quale si pubblica il seguente brano: «Ambasciatore di Francia mi comunica seguente proposta del suo Governo: l) invitare tosto Governo cretese a ammettere deputati mussulmani senza esigere giuramento; 2) in caso di rifiuto fare immediatamente sbarcare alla Canea i contingenti delle quattro Potenze le quali procederebbero occorrendo allo scioglimento dell'assemblea e dichiarerebbero che in caso di insurrezione si ritirerebbero lasciando libertà d 'azione alla Turchia».

287 l L. Il maggio, non pubblicata.

287 2 Cfr. n. 236.

288

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 280/53. Addis Abeba, 19 maggio 1910 (per. il 17 giugno).

N el nuovo assetto politico ed amministrativo dell'Etiopia tutta la regione confinante coi nostri possedimenti di Somalia, che anticamente era suddivisa nelle tre province rispettivamente governate da degiacc lima, da degiacc Uoldegabriel e da degiacc Lulsaghet e successivamente riunite in una sola sotto il governo di degiacc Balcia, venne nuovamente ripartita in due province, quella di Barrar e quella degli Arussi, delimitate fra di loro dal corso del Uebi Scebeli e rispettivamente affidate al comando di degiacc Tafari e di degiacc Nado.

Ho già riferito a VE. come io abbia creduto opportuno di favorire questo nuovo assetto politico ed amministrativo della regione confinante coi nostri possedimenti di Somalia e per quali ragioni oltre alla nomina di degiacc Tafari ad Harrar e di degiacc Nado negli Arussi, io abbia altresì favorito il ritorno di fitaurari Dadi Tarré al comando dei paesi limitrofi alla frontiera del Benadir tra Dolo e l'Uebi Scebeli.

Degiacc Tafari, educato all'esempio ed alla scuola del padre, benché giovane di anni e di esperienza, ha già dimostrato di avere animo fermo e capace di comando, ed una naturale tendenza ad esplicarlo con senso di giustizia e di moderazione purtroppo assai raro fra i capi abissini. Scevro da qualsiasi diffidenza ed antipatia verso gli europei, animato anzi di migliori propositi di continuare l'opera di civiltà e di progresso così ben compresa ed iniziata dal padre suo, egli è certamente tra i giovani capi etiopici quello la cui scelta al comando della regione di Harrar offre la migliore garanzia per la tranquillità di quella regione e per il mantenimento dei buoni rapporti colle Colonie confinanti.

Degiacc Nado è persona di carattere mite e ragionevole; benché egli fosse fino a poco tempo fa insignito della carica di liquemocas non appartiene alla categoria dei guerrieri etiopici e non ne ha né l'istinto né le bramosie; egli fu ripetutamente in Europa, a Parigi ed a Pietroburgo, e specialmente a Gerusalemme incaricato dall'imperatore di varie missioni di fiducia, ed ostenta di apprezzare la superiorità ed i vantaggi della civiltà nostra e di vivere in casa sua assolutamente a Il' europea.

A degiacc Nado venne, come già ho detto, affidato il governo delle province anticamente governate da degiacc Lulsaghet e da degiacc Uoldegabriel e che confinano colla nostra Colonia del Benadir lungo la linea di frontiera stabilita dall'Accordo del 16 maggio 1908 e che partendo da Dolo si dirige al Uebi Scebeli seguendo i limiti territoriali settentrionali dei rahanuin.

Degiacc Nado risiederà a Baie ed a Ghigner, ed egli mi ha ripetutamente e con insistenza assicurato che da parte sua non solo farà di tutto per mantenere i più cordiali ed amichevoli rapporti colle autorità del Benadir, ma cercherà con ogni mezzo di intensificare le relazioni commerciali tra le province da lui governate e la nostra Colonia.

Ho esposto ampiamente nella mia lettera n. 22 del 26 febbraio u.s.l quali furono le ragioni che mi indussero a favorire anziché ad ostacolare, come mi sarebbe stato facilissimo, il ritorno di fitaurari Dadi Tarré al suo paese di Rahitu ed il suo mantenimento al comando della regione limitrofa alla frontiera fra Dolo e l'Uebi Scebeli.

288 I Non rinvenuta.

Fitaurari Dadi Tarré è ora alla dipendenza di degiacc Nado, ma ha il comando diretto sulle tribù dei gurrà, rahitù, digodia, afgab e djidli; risiede nei Rahitù ed ha a sua disposizione circa 1500 fucili dei quali sono armate le tribù da lui dipendenti; nessuna guarnigione amara è stata finora stabilita nel suo territorio.

La persona ed il carattere di fitaurari Dadi Tarré non può certo inspirare troppa fiducia né è sicura garanzia che egli metterà in atto i propositi di cui si è protestato di essere animato esprimendomi la sua devozione e la sua riconoscenza verso questa legazione alla quale unicamente è debitore del suo ritorno all'antico comando; egli è bugiardo falso avido ed interessato, ma non è però privo di intelligenza e di scaltrezza ed ha compreso appunto che il suo interesse principale è di mantenersi in buoni rapporti col Governo del Benadir e di non provocare da parte nostra alcun reclamo ed alcuna rimostranza presso il Governo etiopico contro di lui, nella convinzione che questo non esiterebbe ad accogliere tale occasione per destituirlo.

Io sono perciò convinto che fitaurari Dadi Tarré, se abilmente adoperato, possa essere un utile istrumento nelle nostre mani, ed a tale proposito l'ho munito di una lettera per il residente di Lugh col quale egli desidera intraprendere diretti e cordiali rapporti, ed al quale sarebbe opportuno fossero date istruzioni per trarre profitto dalle suddette disposizioni del Dadi Tarré che è partito da pochi giorni per il suo paese.

Dal nuovo assetto politico amministrativo dato dal Governo etiopico alla regione confinante col Benadir è derivata l'opportunità di riprendere le trattative per la delimitazione della frontiera fra Dolo e l'Uebi Scebeli, che erano state necessariamente sospese durante il periodo di crisi attraversato dali' Abissinia e che ebbe fine coll'allontanamento dell'imperatrice dalle cure dello Stato.

Purtroppo la scomparsa ormai definitiva dell'imperatore Menelik dalla vita politica dell'Etiopia ha, come già ho riferito nei miei precedenti rapporti, riaperto la discussione in merito all'interpretazione dell'art. uno e due della convenzione del 16 maggio per i confini della Somalia, che mentre stabilisce che la linea di frontiera partendo da Dolo si dirige ad oriente, intersecando in tal modo nel suo primo tratto il territorio dei di godi a, stabilisce altresì che l 'intera tribù dei digodia debba politicamente rimanere alla dipendenza politica dell'Etiopia.

Tale discussione, già lungamente svolta ed esaurita nel corso delle trattative che portarono alla conclusione dell'Accordo del 16 maggio, non si sarebbe certamente rinnovata qualora Menelik fosse ancora cosciente delle sue azioni e dirigesse tuttora la politica abissina.

Le ragioni da noi edotte per dimostrare l'assurdità ed i pericoli che presentava l'antica linea di Bardera, che intersecava in tutto il suo corso il territorio della tribù dei rahanuin, sono ora ritorte a nostro danno a proposito della tribù dei digodia il cui territorio venne intersecato dalla linea di frontiera di Dolo, e l' emendamento da noi proposto ed accettato da Menelik che l'intera tribù dei digodia, pur essendo una parte del suo territorio compresa nel Benadir, rimanga interamente alla dipendenza politica dell'Etiopia, non può persuadere né essere compreso dai capi abissini che attualmente governano il paese, e che si valgono della malaugurata designazione della località di Maidaba contenuta nel testo amarico della Convenzione, per sostenere che la linea di frontiera partendo da Dolo deve seguire dapprima i limiti meridionali territoriali della tribù dei digodia, che rimangono soggetti all'Etiopia, e proseguire in seguito lungo i limiti territoriali dei rahanuin, che rimangono soggetti all'Italia.

Malgrado queste difficoltà non ancora risolte io non posso che rallegrarmi di essere riuscito a concludere nel maggio del 1908 l'Accordo mediante il quale siamo entrati in definitivo possesso della stazione di Lugh e di tutto il territorio dei rahanuin, ciò che non sarebbe stato assolutamente possibile ottenere dall'attuale Governo.

Io non ho mancato di approfittare di tutte le occasioni che mi si sono presentate dall'epoca della conclusione dell'Accordo fino ad ora per cercare di definire col Governo etiopico la questione relativa ai confini del Benadir, onde valermi appunto della forza derivante a noi dall'avere consenzienti i due capi etiopici citati a tale proposito nei miei precedenti rapporti, ossia fitaurari Aptegorghis e Negadrass Hailegorghis, e per non permettere lo stabilirsi di uno stato di fatto contrario al nostro diritto convenzionale; e ciò in conformità degli ordini impartìtimi da codesto R. Governo col dispaccio n. 153 del 27 novembre u.s.

Ma la crisi politica interna attraversata dall'Etiopia da quell'epoca fino a questi ultimi tempi ha consigliato da parte nostra ogni maggiore insistenza e reso impossibile ed inopportuno ogni nostro atto risolutivo, e la mia azione si è specialmente rivolta a mantenere nelle regioni confinanti col Benadir una situazione scevra di pericoli per la nostra Colonia ed a creare a poco a poco uno stato di cose più favorevoli alla soluzione della questione relativa alla sistemazione di quella frontiera; ciò che ottenni dapprima col richiamo di Dadi Tarré ad Addis Abeba e poi col nuovo ordinamento politico amministrativo di quella regione.

Appena però il nuovo Governo etiopico dette prova di essere seriamente e solidamente costituito e dimostrò in modo non dubbio la sua simpatia verso di noi ed il desiderio di consolidare ancora i rapporti di amicizia già esistenti col Governo d'Italia, ho subito ed attivamente ripreso le trattative per la definitiva sistemazione della linea di frontiera fra Dolo e l'Uebi Scebeli.

Ho però nuovamente incontrato presso i capi etiopici la stessa irragionevole ed ostinata opposizione che già aveva reso difficile le trattative per la conclusione dell'Accordo del 16 maggio, e che anche in seguito ho segnalato a V. E. e che concerne il territorio della tribù dei digodia.

In una riunione presieduta da fitaurari Aptegorghis ed alla quale presero parte tutti i componenti il Governo etiopico ed i capi direttamente interessati fra i quali degiacc Nado e fitaurari Dadi Tarré, ho dovuto nuovamente illustrare le ragioni per le quali il Governo d'Italia aveva tanto insistito per ottenere la linea di Dolo, ed i motivi per i quali Menelik aveva ad essa annuito mediante un compenso di tre milioni di lire versate dall'Italia subito dopo la conclusione dell'Accordo suddetto; e di fronte alle formali dichiarazioni del Governo etiopico di voler riconoscere e rispettare integralmente l'Accordo del 16 maggio ed alla sua obiezione che in esso appunto è tassativamente stabilito che la tribù dei digodia rimane all'Etiopia, dimostrai chiaramente come la linea di frontiera partendo da Dolo debba necessariamente intersecare il territorio della tribù suddetta, senza pregiudicare però la sua dipendenza politica.

Debbo però confessare che nella suddetta riunione ed in presenza di tutti gli altri capi etiopici lo stesso fitaurari Aptegorghis non fu così sincero ed esplicito come altra volta nel riconoscere il nostro diritto convenzionale per quanto riguarda la linea di Dolo, anzi alcun volte sollevò egli stesso delle obiezioni che parvero piuttosto dettate dal timore del giudizio degli altri capi che non da un equo sentimento del suo diritto; egli però susseguentemente mi diede personalmente l'assicurazione che tale vertenza sarebbe stata risolta dall'Abissinia nel modo più conciliante.

Rimase ad ogni modo esclusa ogni possibile discussione sulla linea DoloMaidaba (Baidoa), come era compresa dal Dadi Tarré secondo i rapporti del Perducchi, e che avrebbe intersecato il territorio dei rahanuin penetrando fino nel cuore di quella regione, e solo rimase la possibilità di constatare fino a che punto e in che modo la linea che partendo da Dolo si dirige ad oriente intersechi il territorio dei digodia, e da parte degli abissini la possibilità di tracciare una linea che partendo ugualmente da Dolo raggiunga i limiti settentrionali della tribù dei rahanuin senza intersecare il territorio dei digodia; ciò che io da parte nostra ho già tassativamente escluso.

In seguito a tali discussioni è stato convenuto che nel prossimo autunno i due Governi avrebbero di comune accordo inviato sul luogo una commissione mista itala-etiopica incaricata del rilievo della presunta linea di frontiera che partendo da Dolo si dirige ad oriente fino a raggiungere l'Uebi Scebeli, in base a quanto è stabilito dalla Convenzione del 16 maggio per la delimitazione dei confini in Somalia.

Per quanto riguarda il territorio dei digodia la commissione dovrebbe rilevarne l 'intero territorio fino ai suoi limiti meridionali e constatare le condizioni di stabilità e di diritto che la tribù suddetta ha sul territorio a valle di Dolo.

La commissione suddetta dovrebbe avere le più ampie facoltà per rilevare la regione limitrofa alla frontiera, ma ogni discussione in merito alla linea dovrà essere fatta ad Addis Abeba in base agli studi ed ai rilievi della commissione stessa.

Il Governo etiopico ha pure chiesto che in attesa della definitiva sistemazione della questione relativa alla frontiera di Dolo, il Governo del Benadir si astenga di intervenire direttamente nel territorio dei digodia, e da parte sua ha dato formale assicurazione che il capo preposto alla frontiera stessa, ossia fitaurari Dadi Tarré, avrebbe ordini tassativi di non intervenire in alcun modo nel territorio a valle di Dolo.

Ho creduto opportuno di annuire al desiderio del Governo etiopico assicurandolo che il Governo d'Italia è animato dalle migliori intenzioni per risolvere nel modo più amichevole una controversia di così poca importanza, ma confermando nel modo più assoluto i nostri diritti convenzionali.

Due cose mi preme però di confermare a V.E., ossia: che nessuna minaccia di incidenti, di complicazioni e di aggressioni può ormai derivare ai nostri presidi del Benadir da parte dell'Abissinia, e che ho la più sicura fiducia che in seguito ai lavori di rilievo che saranno eseguiti dalla commissione mi sarà facile risolvere nel modo più soddisfacente la controversia relativa ai digodia.

Ho telegrafato a V.E. fin dal 18 aprile u.s.2 l'esito delle suddette trattative e l'opportunità di inviare nel prossimo autunno la commissione per la delimitazione dei confini del Benadir, ma non avendo ricevuto finora risposta al mio telegramma mi sono creduto ugualmente autorizzato di stabilire di massima col Governo etiopico l 'invio della missione suddetta.

Della composizione di tale commissione da parte nostra V.E. già mi ha fatto cenno nel dispaccio n. 118 del l O settembre u.s.

Essa dovrebbe essere divisa in due parti; una guidata dal capitano Citerni Carlo, in qualità di capo missione, con la minima quantità di bagaglio dovrebbe recarsi direttamente ad Addis Abeba per la via di Gibuti, e presi gli opportuni accordi e le necessarie istruzioni presso questa r. legazione si dirigerebbe rapidamente su Dolo con i commissari abissini; l'altra con a capo un ufficiale del Benadir, trasportando tutti quegli strumenti e quelle provvigioni occorrenti ad una missione che richiederà un anno di tempo e deve provvedere essa stessa a tutti i necessari servizi di trasporto e di scorta, dovrebbe muovere dalla costa della Somalia ed incontrarsi a Dolo con la prima.

Per quanto riguarda la prima delle due spedizioni credo opportuno aggiungere le seguenti considerazioni e suggerimenti.

Sarebbe necessario che il capitano Citerni si trovasse ad Addis Abeba entro il mese di settembre onde avere il tempo di organizzare il suo viaggio da Addis Abeba a Dolo e mettersi al corrente di tutti i precedenti relativi alla delimitazione della frontiera del Benadir e prendere personalmente parte agli ultimi accordi col Governo etiopico per l'esplicazione del suo compito.

La partenza del capitano Citerni e dei commissari abissini da Addis Abeba non potrà avvenire prima della fine di ottobre in causa della stagione delle piogge, e sarà compito di questa legazione di ottenere che per quell'epoca siano anche pronti a partire i commissari abissini.

Il capitano Citerni potrà organizzare la sua spedizione per Dolo ad Addis Abeba stessa provvedendosi del personale e dei muli necessari; sarà però opportuno che egli porti con sé il materiale di equipaggiamento da campo che gli servirà pel viaggio da Dire Daua ad Addis Abeba e le armi necessarie alla sua scorta personale.

Questa legazione proporrebbe che al capitano Citerni fosse aggiunto ad Addis Abeba, in qualità di medico, per tutta la durata della spedizione, il dottore Domenico Brielli, ufficiale di complemento nel R. Esercito ed attualmente assistente dell'ufficiale sanitario di questa r. legazione, dottore Lincoln De Castro; tale designazione oltre a rispondere ad un criterio di economia è altresì suggerita dalle speciali conoscenze che il Brielli ha dell'elemento abissino e della lingua galla che egli parla correttamente.

Oltre al dottore Brielli la r. legazione potrebbe mettere a disposizione del capitano Citerni l'interprete abissino del signor Perducchi, Ato Negatù, la cui pre

senza sarebbe grandemente utile, anzi necessaria, alla missione per la conoscenza che egli ha con tutti i capi degli arussi e delle regioni limitrofe alla frontiera.

Il tempo presumibilmente necessario per recarsi da Addis Abeba a Dolo è di circa trentacinque giorni; quindi il capitano Citerni partendo da Addis Abeba alla fine di ottobre non potrà essere a Dolo prima della metà di dicembre.

Codesto Governo non mi ha ancora comunicato quali decisioni siano state prese nei riguardi del signor Perducchi e se questi debba prendere parte alla spedizione per la delimitazione della frontiera del Benadir, ma dalla notizia pervenutami dell'invio negli arussi del tenente di vascello Cappello incaricato di una speciale missione, dovrei escludere l 'ipotesi del ritorno anche temporaneo del Perducchi in quella regione; certo l'opera sua sarebbe grandemente utile alla missione per la delimitazione della frontiera, ma i suoi precedenti rapporti e le sue divergenze con fitaurari Dadi Tarré e lo stesso suo carattere poco conciliante e tollerante, renderebbero forse la sua presenza poco opportuna.

A Dolo il capitano Citerni dovrebbe raggiungere l'altra parte della spedizione guidata da un ufficiale del Benadir e che deve provvedere essa stessa al servizio di scorta e di trasporto per tutta la commissione durante la delimitazione della frontiera.

Sulla composizione di tale spedizione non spetta a me di pronunciarmi, essendo maggiormente note al Governo del Benadir le condizioni di sicurezza necessarie per raggiungere l'Uebi Scebeli; certamente però anche la missione abissina sarà accompagnata da una considerevole scorta che renderà meno pericolosa una eventuale minaccia da parte delle popolazioni lungo l 'Uebi Scebeli che possono risentire l 'influenza dei seguaci del Mullah.

Io ritengo, in base ali' esperienza fatta dalla missione inglese incaricata della delimitazione dei confini tra l 'Etiopia ed i Possedimenti de li'Africa Orientale Britannica, che il tempo necessario alla missione per compiere i rilievi tra Dolo e l 'Uebi Scebeli e per ritornare nuovamente a Dolo sia di circa sei mesi, quindi calcolando che essa possa iniziare i lavori a Dolo nel mese di dicembre questi potranno essere compiuti prima della fine di giugno.

È prematuro oggi stabilire se il capitano Citerni dovrà a lavoro compiuto farritorno direttamente ad Addis Abeba, oppure ritornare in Italia per la via del Benadir.

Per quanto riguarda la composizione della missione abissina ho telegraficamente riferito a VE. (telegramma n. 71 del 18 aprile u.s.) come questa legazione di Germania avesse, tempo addietro, con insistenza sollecitato il Governo etiopico di affidare l'incarico della delimitazione della frontiera fra l'Etiopia ed il Benadir ad un ufficiale del!' esercito tedesco, il tenente Schaubert, che già eseguì il rilievo della frontiera anglo-etiopica; ma in seguito alla morte improvvisa del padre, il tenente Schaubert partì il mese scorso per l'Europa né credo che il Governo etiopico abbia alcuna intenzione di richiamarlo.

La missione etiopica sarà quindi composta da qualche capo abissino e sarà accompagnata evidentemente da fitaurari Dadi Tarré; sarà mia cura di ottenere che la scelta dei delegati etiopici cada su persone civili e di carattere conciliante e non animate da alcun sentimento di diffidenza e di antipatia verso di noi.

Ho inviato copia del presente rapporto a S.E. il Governatore del Benadir.

288 2 Cfr. n. 284 nota 2.

289

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1651140. Tripoli di Barberia, 20 maggio 1910, ore 9 (per. ore 15,40).

Commissione ottomana e quella francese di delimitazione confine tunisino rimpatrieranno domenica 22, via Malta-Catania, ma, prima, firmeranno definitivo protocollo che sembra stabilire delimitazione come da stato attuale di fatto; però essi mantengono tuttora silenzio assoluto. Notizie qui corse di probabile nomina di Bekir bey, ex segretario generale con Regeb pascià, a questo posto di valì indispone molto gli arabi e per noi anche sarebbe funesta; prego telegrafare r. ambasciatore in Costantinopoli, perché, se notizia ha qualche probabilità, voglia scongiurame a tempo gli effetti. Bresciani prega sollecitare invio di tutto il personale tecnico richiesto l.

290

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1648/51. Atene, [20] maggio 1910, ore 10,30 (per. ore 11,50).

In occasione del ricevimento ebdomadario, ho intrattenuto jeri ministro degli affari esteri a titolo meramente personale dei seri pericoli cui può dar luogo il risentimento prodotto in Turchia dai recenti fatti di Creta e del sommo interesse della Grecia di non vedere protrarre una simile situazione. Il signor Calergi mi ha risposto, in via parimenti privata, che, la questione di Creta essendo nelle mani delle Potenze, egli escludeva da qualsiasi suo apprezzamento che, quanto alla Grecia, essa non si sarebbe mai dipartita dall'attitudine corretta sino ad ora osservata rispetto alla questione medesima, ma che il Governo ellenico dovrebbe declinare ogni responsabilità qualora gli venissero imposti atti umilianti del genere di quello cui fu costretto nell'estate scorsa.

Sebbene il ministro degli affari esteri cercasse persuadermi essere esagerata notizia circa disposizioni bellicose della Turchia contro la Grecia ed allegasse a prova dei normali rapporti fra i due Paesi recente soddisfazione data dalla Sublime Porta ali 'incidente di Kavalla, non mi fu difficile comprendere che egli era già adeguatamente impressionato dall'amichevole allarme di VE.

289 I Per il seguito cfr. n. 344.

291

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE, VOLPI

L. RISERVATA 96. Roma, 21 maggio 1910.

Secondo le informazioni pervenute a questo R. Ministero, la Banca d'Atene si propone d'istituire una propria succursale in Janina.

Questa istituzione, già di per sé importante, assume maggiore gravità pel fatto che fa parte di un vasto piano di irradiazione finanziaria e commerciale in Turchia, in parte già attuato ed in parte in via di esecuzione. Fin dallo scorso anno la Banca d'Atene impiantò le sue filiali di Serres, Samsun, Casanti e Trebisonda. Attualmente si stanno prendendo le disposizioni necessarie per le filiali di Adrianopoli e Dedlagatch, oltre a quella di Janina.

Per un prossimo avvenire, infine, si hanno in vista le succursali di Scio, Simassol (Cipro) e Cherassonda e per più tardi quelle di Rodi, Mersina, A donà, T arso e Brussa. Si tratta, evidentemente, di un vasto programma che non potrebbe certo esser attualmente proposto per molteplici ragioni, a codesta Società.

Tuttavia io ritengo che, nell'interesse stesso della Società, non possa passar per essa inosservata l'istituzione della succursale della Banca d'Atene in Janina. La Società commerciale d'Oriente dovrebbe a mio avviso-precorrere la Banca d'Atene, istituendo a Janina, sia pure una semplice agenzia, alla dipendenza della sua sede di T ripoli.

La Società commerciale d'Oriente acquisterebbe in tal modo un nuovo titolo di benemerenza verso la espansione economica e finanziaria italiana in Albania e tutelerebbe in pari tempo validamente la propria situazione in quelle regioni, salvaguardando l'avvenire. Nel richiamare la particolare attenzione della S.V. su quanto precede rimango in attesa di conoscere le deliberazioni in proposito che codesta Società sarà per prendere.

292

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1357. Roma, 23 maggio 1910, ore 23,30.

Incaricato d'affari di Russia è venuto oggi a trovarmi e mi ha detto confidenzialmente che suo Governo non s'è limitato a dare al principe del Montenegro consigli di pace ma lo ha minacciato se non li segue di sopprimere o ridurre i sussidi e di non partecipare alla festa del giubileo. Gli ha anche detto che non deve considerare la eventuale assunzione del titolo di re come incoraggiamento ad una politica ambiziosa.

Korff mi ha domandato pure che cosa io creda si possa fare in caso che nonostante tali consigli il principe Nicola faccia un colpo di testa. Per prevenir lo Korff consiglia che si cerchi di indurre il principe a separarsi dall'attuale ministro della guerra che spinge alla guerra. Risulterebbe al Governo russo che il principe Nicola avrebbe in questi giorni tentato invano di indurre il rappresentante di Bulgaria a Cettigne a proporre al suo Governo un'azione comune contro la Turchia. L'agente bulgaro avrebbe risposto che la Bulgaria non si muoverà senza l'appoggio morale della Russia.

Incaricato d'affari di Russia mi ha anche chiesto di influire sui capi albanesi per porre fine alla rivolta ed ha espresso il dubbio che questa sia incoraggiata dall'Austria.

Mi ha detto finalmente che Izwolskij è lieto che Italia e Russia abbiano sinora proceduto d'accordo e mi ha domandato di autorizzarlo a dire al suo Governo che così continueranno a procedere in avvenire.

Ho risposto al barone Korff come segue: l) che i rapporti del nostro ministro a Cettigne non escludono il pericolo di un'azione del Montenegro in Albania; 2) che questo pericolo mi pare diminuito in seguito alle recenti migliori notizie dell'Albania; 3) che abbiamo dato e continueremo a dare consigli di pace al principe Nicola ma che ci manca l'efficace minaccia di sopprimere i sussidi, visto che non gliene diamo; 4) che credo l'Austria estranea al movimento albanese e sinceramente desiderosa oggi di mantenere lo statu quo; 5) che non ho modo di influire sugli albanesi, ma ho fatto dare alla Porta il consiglio di venire ad un sollecito compromesso cogli albanesi e di non sguarnire di truppe le provincie di frontiera; 6) che lo autorizzavo a dichiarare al suo Governo che il Governo italiano è disposto a lavorare di comune accordo col Governo russo per prevenire tutte le complicazioni che potrebbero sorgere e per limitarne la portata, poiché la politica della Russia e dell'Italia ha periscopo il mantenimento dello statu quo.

Quanto ai consigli da darsi perché si separi dal suo ministro della guerra, sono pronto a dare istruzioni al nostro ministro a Cettigne di agire in questo senso insieme col suo collega di Russia, sempre quando siano entrambi convinti che tali pratiche siano opportune e offrano probabilità di favorevole risultato.

293

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. UFF. COLONIALE 1365. Roma, 24 maggio 1910, ore 15,30.

Mi riferisco 71' e 912. Ella può confermare codesto Governo che missione italiana confini sarà Addis Abeba metà settembre prossimo. È necessaria però ci

293 I Cfr. n. 284 nota 2. 2 Cfr. n. 284.

sia data formale assicurazione che missione abissina sia pronta partire con la nostra. Prima assumere in Italia definitivi impegni, che debbono essere presi non più tardi primo luglio p.v. attenderò suo telegramma con formale assicurazione codesto Governo. È necessario tale telegramma mi giunga entro giugno prossimo. Governatore Benadir ha deciso invio Ferrandi Lugh e manifestata intenzione mandare Cappello missione Arussi. Questi propositi non risulta siano stati mutati. Circa provvedimenti Benadir in relazione Etiopia scrivo. Circa combattimenti Uebi Scebeli, notizie debbonsi riferire escursioni militari nostre truppe gennaio, marzo, aprile nel Mobilen e negli Scidle per minaccie ribelli dervisci nord Balad. Vi fu un solo scontro 9 marzo a Cascianle contro l 00 fucili dervisci con 8 morti dodici feriti da parte nemico.

294

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 442/157. Pietroburgo, 25 maggio 1910 (per. il 4 giugno).

Nel colloquio che ebbi oggi con il signor Iswolsky, questi mi confermò le notizie già trasmesse alla E.V. dal r. ambasciatore a Berlino, e contenute nel di lei telegramma n. 13611, riguardo alla migliore piega che stava prendendo la vertenza insorta con il Governo germanico, circa gli affari persiani. Questo ministro degli affari esteri, che pareva personalmente animato di sentimenti più concilianti di quelli addimostrati in passato, ammetteva meco che la situazione creata in Persia dall'accordo anglo-russo non era impegnativa che per le Potenze contraenti, e che la Germania, al pari degli altri Stati, era nel suo diritto di pretendere che non fosse recato ostacolo alla sua attività economica. D'altra parte il Governo germanico aveva del pari riconosciuto la situazione speciale della Russia e dell'Inghilterra in Persia, e degli interessi superiori di ordine politico e strategico, che avevano da garantire. Attese queste disposizioni concilianti da una parte e dall'altra, egli aveva ogni motivo di confidare, come già l 'aveva fatto giorni fa dichiarare dall'officiosa Rossia, che non sarebbe difficile trovare un terreno di intesa. Per conto suo egli era fin d'ora disposto a meglio determinare in quali zone strategiche sieno le concessioni ferroviarie, o altre simili, che il Governo imperiale intendeva fossero riservate alla Russia. Riguardo però alle comunicazioni, che secondo le notizie giunte da Berlino a VE., riferitemi con il telegramma n. 1361, egli sarebbe disposto a fare Téhéran, il signor Izwolsky omise di parlarmene, ed io, per parte mia, non credetti opportuno di fargliene accenno. Nel corso del colloquio il signor Izvolsky mi disse ancora aver pure avuto dal Gabinetto germani

294 I T. del 24 maggio, non pubblicato, col quale si comunicava il T. 1686 del 23 da Berlino.

co l'assicurazione formale che il passo simultaneo fatto su tale questione dai rappresentanti della Triplice, era dovuto ad una mera coincidenza, e non era stato preceduto da nessun speciale accordo per parte dei tre Gabinetti.

Non perciò credo possa dirsi definitivamente liquidata l'attuale vertenza, che è invece nell'interesse della Germania di tener sempre da qualche lato aperta. La Russia va evidentemente incontro ad assai grossi guai in Persia. Le inaudite difficoltà già attualmente cagionatele dal nuovo regime persiano, hanno dovuto ormai convincere il Governo imperiale quanto sia stato male avvisato, contribuendo, all'istigazione dell'Inghilterra, alla caduta dell'ex-scià, Mohamed Ali, e del suo sistema di governo che costituivano indubbiamente la più sicura garanzia per la continuazione dell'influenza russa in Persia, e come la politica patrocinata dall'ex-ministro russo a Téhéran, signor Hartwig, e per cui questi dovette due anni fa lasciare il suo posto, era evidentemente quella che meglio corrispondeva ai reali interessi di questo Impero.

Ora ogni velleità di restaurazione dell'antico regime, che si potrebbe col tempo qui manifestare, incontrerebbe una decisa opposizione per parte dell'Inghilterra, e su questa questione potrebbero, a mio giudizio, prodursi le prime screpolature all'edificio dell'accordo anglo-russo, già tanto magnificato dal signor Iswolskij, e che costituiva di fatti, fino ad ora, uno dei suoi principali successi diplomatici2.

295

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 443/158. Pietroburgo, 25 maggio 1910 (per. il 3 giugno).

Già da qualche tempo correva qui con qualche insistenza la voce della prossima conchiusione di un accordo fra la Russia ed il Giappone, particolarmente inteso a meglio determinare la loro rispettiva situazione in Manciuria. A giudicarne da taluni indizi più salienti, la notizia non appariva del tutto priva di fondamento. Il linguaggio della stampa russa più accreditata, e avente maggiori attinenze con il Governo, si era fatta in questi ultimi tempi particolarmente tenera verso il Giappone. In special modo il Novoe Wremia, al quale, ad onta della sua persistente ostilità contro il signor lzwolskij, quest'ultimo trovasi costretto a ricorrere ogni qual volta gli preme di prepararsi favorevoli le disposizioni dello spirito pubblico, sopra date questioni di politica estera, pubblicò recentemente in proposito un articolo assai sintomatico, che lasciava abbastanza facilmente travedere il marchio governativo. In esso articolo l'importante organo russo si studiava di di

mostrare la necessità, nelle presenti contingenze politiche, di una più stretta unione al Giappone, anche se a patto del riconoscimento per parte della Russia della definitiva annessione della Corea all'Impero del Sole Levante.

Non credetti perciò inopportuno, in un recente abboccamento che ebbi con questo ministro degli affari esteri, di interpellarlo amichevolmente al riguardo. Il signor Izwolskij, non solo non smentì la notizia, ma anzi mi lasciò molto chiaramente capire che la stipulazione di un accordo russo-giapponese non era molto lontano. Il colpo di scena della diplomazia americana nella questione delle ferrovie mancesi ha avuto per effetto immediato di riavvicinare la Russia al Giappone dimostrando loro la necessità di addivenire di comune accordo alla protezione dei rispettivi interessi in Manciuria. Il progettato accordo dovrebbe riguardare avanti tutto le ferrovie, ma vi sono pure altre questioni tuttora in parte insolute, che converrebbe regolare per la stessa occasione, come quella attinente alle pescherie. È pure sempre in sospeso l'importante vertenza relativa alla restituzione delle navi-spedale, indebitamente catturate nella battaglia di Tsuschima, e che la Russia invano reclama da cinque anni, ma su questo punto il signor lzwolskij dubitava di poter vincere le resistenze dei giapponesi.

Avendo io chiesto al ministro se l'accordo in questione avrebbe pure riguardato la Corea, o per meglio dire avrebbe dato la sanzione della Russia alla progettata annessione della penisola al Giappone, egli omise di rispondermi direttamente, ma osservò essere questa annessione cosa tutt'altro che decisa, incontrando essa molta opposizione per parte di autorevoli personaggi giapponesi, fra cui mi citava in primo luogo il defunto principe Ito. In ogni caso, soggiunse, la Russia non avrebbe alcun motivo di opporsi a tale annessione, non avendo essa ormai in Corea nessun rilevante interesse politico ed anche economico da guarantire. Avendogli io poscia rivolto la stessa questione rispetto alla Mongolia e le sue ferrovie, il signor Izwolskij mi rispose soltanto che ciò non riguardava il Giappone ma la Cina. Tuttavia non sembrò escludere che della Mongolia potesse pure eventualmente far parola l'accordo da concludersi.

Il signor Izwolskij si fece poi ad intrattenermi, in termini assai risentiti, della politica seguita dal Governo americano nella questione delle ferrovie mancesi. Agli incitamenti americani egli attribuisce in gran parte l 'attitudine decisamente ostile alla Russia assunta recentemente dal Governo chinese, e che si è rilevata in talune recenti questioni, come in quella della navigazione del Sungari, dell'esportazione dei cereali e dell'amministrazione di Carbin. Particolarmente il progetto della linea Tsichan-Aigun, che, malgrado tutto, il Governo americano persiste a realizzare, provoca al suo più alto grado il suo malumore. La Russia, egli mi disse, non avrebbe alcuna difficoltà al compimento di strade ferrate in Manciuria che non facciano alla sua troppo dannosa concorrenza, ma non può assolutamente ammettere la costruzione di una ferrovia parallela, che oltre a compromettere seriamente l'avvenire della sua grande intrapresa ferroviaria, che le costò già così rilevanti sacrifizi, costituisce pure, come è il caso per la linea Tsichan-Aigun, un grave pericolo strategico. Il Governo imperiale non può fare abbandono dei suoi più vitali interessi unicamente per compiacere alle voglie speculative di qualche banchiere americano. Lo sbocco sull'Amur di una importante linea ferrata, trovantesi in mani forestiere, obbligherebbe la Russia a fortificarsi lungo quel fiume, il che occasionerebbe, secondo i calcoli fatti al Ministero della guerra, una spesa di molti milioni di rubli. Anziché assoggettarsi ad un così grave peso, conchiudeva il ministro in tuono alquanto minaccioso, il Governo imperiale avrà a considerare, in caso di bisogno, se non gli convenga meglio prendere verso la China qualche altra più radicale misura.

Avendo io in ultimo accennato alla tesi sostenuta dal Governo chinese nella vertenza riferentesi alla navigazione del Sungari (vedi mio rapporto n. 138 del 7 maggio)' di avere cioè la Russia, nell'ultimo alinea dell'art. 3 del Trattato di Portsmouth, fatto rinunzia ad ogni situazione privilegiata in Manciuria, il signor Izwolskij lo negò recisamente. Come risulta chiaramente dai protocolli annessi al Trattato predetto, tale rinunzia non vale che per i possessi territoriali russi in Manciuria ma in quanto ai diritti che spettano all'Impero, in virtù dei Trattati conchiusi con la China, questi rimangono intatti.

294 2 Per il seguito cfr. n. 30 l.

296

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 610/373. Atene, 26 maggio 1910 (per. il 30).

Le notizie giunte oggi a questo Ministero degli affari esteri vi fanno prevalere meno pessimistiche previsioni di quelle formate negli ultimi giorni circa la questione cretese. Da Parigi si avrebbe avuta l'assicurazione da parte del signor Pichon che nulla di positivo e definitivo è stato stabilito finora dalle quattro Potenze sulle misure da adottarsi in Creta. Da Londra sarebbe giunta l'informazione che sir Edward Grey avrebbe espresso a S.M. il Re Giorgio il desiderio di evitare quanto potesse creare a Sua Maestà gravi imbarazzi nel suo Paese. Da Costantinopoli finalmente si avrebbero indizi che la Sublime Porta non è più molto fiduciosa nello sperato energico intervento delle Potenze nelle cose di Creta.

Al Ministero degli esteri si ritiene che l'unica parte della proposta francese ancora in discussione sia quella riguardante il precetto da farsi ali' assemblea cretese di accogliere i rappresentanti musulmani senza esigerne il giuramento al re degli elleni. A questo proposito si osserva che il signor Venizelos ha emesso bensì avviso contrario a tale ammissione, ma ha cansato la votazione della proposta di Dascaloiannis, di guisa che non esiste una sanzionata decisione di quella camera per l'esclusione dal suo seno di rappresentanti musulmani. Si osserva inol

tre che il signor Venizelos ha motivato il suo avviso -opposto del resto a quello da lui precedentemente sostenuto -col dimostrare avversa ai voleri delle Potenze la seconda protesta dei deputati musulmani e col segnalare i pericoli di turbamento dell'ordine pubblico derivanti dalla loro presenza nell'aula. Se però, si conclude, le Potenze chiedessero il loro ritorno, l'assemblea non dovrebb'essere giudice più severo delle Potenze interessate e potrebbe accettare i consigli di queste senza veruno scapito di dignità. Ciò verificandosi, tratterebbesi pur sempre di un'accettazione virtuale e non immediatamente effettiva, poiché nulla impedirebbe che la riunione dell'assemblea venisse ulteriormente prorogata dopo scaduti i quaranta giorni di ferie.

Nonostante questi ragionamenti, perdura nelle sfere ufficiali una viva apprensione circa le decisioni che le Potenze saranno per prendere, mentre continua, sebbene dissimulata, la preoccupazione per le disposizioni bellicose della Turchia. I numerosi sodalizi politici e popolari si mantengono finora del tutto tranquilli e la stampa stessa ha messo un po' di sordina nel suo linguaggio escandescente. Ma, come già ebbi ad esprimerne l'avviso, la conservazione di questa tranquillità più apparente che reale dipenderà in buona parte dal contegno che assumeranno i cretesi.

295 l R. 395/138, non pubblicato.

297

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1196/410. Costantinopoli, 27 maggio 1910 (per. il 7 giugno).

La Neue Freie Presse, che più volte ebbe articoli notevoli sulla questione cretese, ha lanciata l'idea di Robilant pascià, alto commissario di Creta. Questa idea è stata raccolta da qualche giornale turco e merita considerazione. Il conte di Robilant è al servizio della Turchia ed appartiene per nazionalità ad una delle Potenze protettrici; è il riorganizzatore della Gendarmeria ottomana e l'Italia ebbe il compito di riorganizzare la Gendarmeria cretese. La Gendarmeria è l'arma che più abbisogna, anzi la sola che abbisogni a Creta. Vi è, insomma, un piccolo complesso di ragioni, nessuna perentoria, ma nessuna discordante, che, nell 'imbarazzo in cui sarà per la scelta di un alto commissario, potrebbero far designare quel distinto nostro connazionale. A calmare possibili gelosie potrebbesi, fin d'ora, stabilire una rotazione fra le quattro Nazioni Protettrici, senza escludere tuttavia la possibilità di una rielezione.

Il generale di Robilant, da quanto mi consta, non sarebbe alieno dall'accettare l 'incarico.

Dell'idea, lanciata come ballon d'essai dall'autorevole giornale viennese, qui raccolta anche dal Jeune Turc (il cui direttore è cretese), ho dato un cenno telegrafico a V.E. sotto il n. 178'.

298

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 720/256. Il Cairo, 27 maggio 1910 (per. il 7 giugno).

In seguito alla morte del re d'Inghilterra, il khedive dovette modificare i suoi piani per la prossima estate.

Col telegramma in data 29 aprile scorso n. 28' ebbi l'onore d'informare che il khedive intendeva a fine giugno recarsi da Costantinopoli a visitare il re d'Inghilterra, dopo di che esprimeva il desiderio di far visita a S.M. il Re d'Italia.

Sono ovvie le ragioni per le quali conveniva al khedive di recarsi alla Corte d'Inghilterra prima che alla Corte d'Italia.

Morto il re Eduardo VII, il khedive mi fece dire che si trovava nella necessità di attendere, per fissare la data della visita a Racconigi, che fosse stabilita la incoronazione del nuovo re d'Inghilterra (mio telegramma 9 corrente n. 9)2.

Deve notarsi che il khedive desidera vivamente evitare di assistere alla incoronazione per la ragione che dovrebbe passare proprio ultimo di tutti i sovrani. Egli avrebbe quindi voluto recarsi a Londra questa estate indipendentemente dalla incoronazione. Senonché sir Eldon Gorst senz'altro lo sconsigliò dal visitare la Corte britannica quest'anno, causa il lutto della Famiglia Reale.

E così il khedive si è trovato nella necessità di rinunziare tanto alla visita a Londra, quanto a quella a Racconigi, e per uscire dali 'imbarazzo si è appigliato al partito di astenersi addirittura, quest'anno, dal viaggio consueto in Europa.

Avrebbe potuto il khedive far visita al re d'Italia senza far visita al re d'Inghilterra? A rigore, avrebbe potuto, ma qui appresso esporrò le ragioni che ne lo sconsigliarono.

Dai miei rapporti politici V.E. avrà rilevato la incerta condizione attuale delle relazioni politiche fra Inghilterra e Egitto: il sistema liberale instaurato da sir Eldon Gorst, che è fondato sulla cordiale cooperazione del khedive e del rappresentante britannico, è divenuto oggetto di fieri attacchi da parte della stampa inglese. Si invoca ad alte grida un ritorno al sistema autoritario di lord Cromer, che era tutto di compressione dell'elemento indigeno e di sfiducia verso il khedive. Que

298 l Cfr. n. 243. 2 T. riservato 1474/33, non pubblicato.

sti, d'altra parte, è pure oggetto di attacchi della stampa nazionalista egiziana che gli rimproverava appunto l'accordo col rappresentante britannico. Vi è qualche accenno che dimostra come la campagna di stampa in Inghilterra possa modificare la linea di azione del Gabinetto di Londra -e ciò aggiunge incertezza alla situazione, e preoccupazione pel khedive. Di più si ignorano le vedute personali del nuovo re. Inoltre la stampa londinese dà prova della più evidente malafede (per ragione di tattica di partito) nel falsare la situazione politica interna dell'Egitto. Dato tutto ciò, è prevedibile che una visita del khedive al re d'Italia, senza la consueta visita alla Corte d'Inghilterra, darebbe luogo, da parte di giornali interessati, a false interpretazioni politiche: si darebbe significato politico alla visita al re d'Italia, e si affermerebbe che il re d'Inghilterra non ha voluto ricevere il khedive.

Tutto ciò il khedive mi fece esporre da persona di fiducia, e debbo convenire che quelle ragioni non mancano di fondamento.

Poiché le due visite, a Londra e a Racconigi, erano sin da principio stabilite come inseparabili, ho intrattenuto dell'argomento sir Eldon Gorst. Questi mi confermò di avere sconsigliato il khedive dal recarsi a Londra quest'anno causa il lutto della Famiglia Reale, ma aggiunse che non faceva il menomo ostacolo acché S.A. si recasse a Racconigi senza andare a Londra, e mi disse che in questo senso si era espresso col khedive stesso.

Ma il khedive -a quanto mi disse la persona di sua fiducia -credeva, ciò non di meno, che sir Eldon Gorst preferiva che le due visite avvenissero nel medesimo scorcio di tempo.

Ho l'onore di trasmettere qui unita una lettera autografa diretta dal khedive a

S.M. il Re d'Italia per esprimere il desiderio di rinviare la visita all'anno prossimo3. La risposta che piacesse a Sua Maestà di rivolgere a S.A. sarebbe da spedire per mezzo della r. ambasciata in Costantinopoli, dove il khedive trascorrerà l'estate. Sarebbe quindi forse opportuno che S.E. il Barone Mayor fosse informato di quanto precede.

Non si può che rimpiangere questo contrattempo.

Il khedive, oltreché alla Corte d'Inghilterra, aveva spesso fatto visita all'imperatore d'Austria, e al presidente della Repubblica francese, ed era pure stato ricevuto dali 'imperatore di Germania alcuni anni fa. Di ciò io mi ero a giusta ragione preoccupato e vedevo ora con soddisfazione l'atto di omaggio del khedive al Nostro Augusto Sovrano. La visita progettata aveva un significato morale indiscutibile, ed era una nuova affermazione della situazione morale italiana in Egitto, situazione che è eminente, e come tale deve essere mantenuta, per le nostre tradizioni in questo paese, per la importanza dei nostri commerci e delle nostre colonie.

297 l T. 1751/178, del 28 maggio, non pubblicato.

298 3 Trasmessa con Nota 256 de li' Il giugno, non pubblicata, al l o aiutante di campo generale della Casa Reale, perché fosse consegnata al sovrano.

299

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 718/81. Budapest, 27 maggio 1910 (per. il 31).

Ho l'onore di trasmettere qui unito a V.E. un interessante articolo del Pester Lloyd concernente la visita della squadra italiana ad Antivari, il viaggio di V.E. a Berlino, la quistione degli armamenti navali austro-ungarici ed italiani e finalmente la quistione dell'università italiana a Trieste!; raggruppando così i quattro argomenti presentemente di maggiore importanza nelle relazioni fra l'Italia e la Monarchia austro-ungarica.

La quistione della rivalità di influenze nel Montenegro è sentita in Ungheria in tutta la sua vivacità, se non altro anzi forse esclusivamente, dal punto di vista industriale e commerciale, e nel mio rapporto n. 214 del 9 dicembre u.s. accennai ad una corrispondenza violenta ed ingiusta sulle imprese italiane di colà, inviata da Cettigne allo stesso Pester Lloyd. Oggi il Pester Lloyd proclama che la pace è fatta su questo terreno e riconosce, sebbene fra i denti, la parte che spetta all'Italia nella liberazione del Montenegro dalla soggezione ali' Austria in cui lo aveva tenuto il trattato di Berlino.

Conviene secondo me rallegrarsi di queste dichiarazioni, checché si abbia da pensare della frase che vien subito dopo: che cioè in Italia si sia ormai pienamente persuasi della rinunzia definitiva de li' Austria-Ungheria a giungere al mare Egeo. Questo è un punto che io evidentemente debbo lasciare ad altri, più competente e meglio informato di me, la cura di trattare. Ma è mio dovere di dire a

V.E. che la voce, forse anzi quasi certamente falsa, che indicai alla fine del mio rapporto n. 722 non è isolata qui, dove si ode comunemente ripetere che nonostante gli avvenimenti dell'anno scorso, le rinunzie che possano averli accompagnati e gli accordi e scambi di idee che possano averli preceduti o seguiti, quello è lo scopo ultimo e supremo della politica di Vienna in Oriente. Come saggio del modo di considerare la quistione della via dalla Bosnia al mare che qui prevale dal punto di vista puramente commerciale, accludo un altro articolo del Pester Lloyd l dovuto alla penna del signor Edmondo Szénere distinto finanziere di qui attirando in ispecial modo l'attenzione di V.E. su quel tratto in cui si sostiene la necessità di non lasciare cadere nel vuoto, per l'interesse del commercio ungherese in Oriente, la quistione della ferrovia Uvac-Mitrovitza.

Come conferma della asserzione che l'intesa su tutte le quistioni fra l'Italia ed i suoi alleati è ormai indiscutibilmente completa, l'articolo continua constatando come i primi atti di politica estera di un Gabinetto presieduto da Luigi Luz

299' Non si pubblica. 2 Non rinvenuto.

zatti in fama di francofilo ed avente per ministro degli affari esteri il marchese di San Giuliano, che in altri tempi ebbe reputazione di tiepido amico dell'AustriaUngheria, sono stati l'incontro di V.E. col Bethmann-Hollweg a Firenze ed il di lei viaggio a Berlino; e ripete l'idea già più volte espressa dalla stampa austriaca ed ungherese che in altri tempi, così importanti mutazioni di uomini nel Gabinetto italiano avrebbero avuto per conseguenza altrettanto notevoli cambiamenti nella condotta politica del Paese.

Punto nero in questo idillio di pace, secondo il Pester Lloyd, è la rivalità di armamenti, terrestri e marittimi sempre più accentuantesi fra l'Italia e l'AustriaUngheria. L'incertezza della situazione politica nei tempi andati fu motivo di ciò, e non è ancora giunto il momento di tentare, con speranza di successo, di porre un argine a questa rovinosa mania. Ma se le prove di deferenza ai sentimenti di un popolo possono giovare a qualche cosa, certo l 'imminente istituzione dell'università italiana a Trieste dovrà essere un elemento prezioso per avviare le due Nazioni a sentimenti di maggiore fiducia scambievole; del resto (conchiude letteralmente l'articolo) «gli armamenti non sono il mezzo meno efficace per rendere impossibile la guerra».

Io non so né posso sapere in questo momento se l'istituzione dell'università italiana a Trieste sia così imminente e sicura come lo afferma il Pester Lloyd. Questo però mi pare di potere affermare che dal tuono e dalle conseguenze dedotte nell'articolo da me fin qui esaminato non meno che da tutti i discorsi che odo qui in questi giorni, risulta chiaro che non sarà certo la Monarchia austro-ungarica la prima a porre termine per ore alla febbre degli armamenti rivali. Che anzi se una tangibile conseguenza si può desumere ed osservare delle visite a Pest, avvenute in questi giorni, del sovrano, dell'ammiraglio Montecuccoli, del conte di Aehrenthal e di vari personaggi elevati dell'esercito comune, questa si è, a mio avviso, l 'aver persuaso i più incerti e riluttanti che lo spingere alacremente gli armamenti terrestri e marittimi della Monarchia è una quistione assolutamente vitale per il suo avvenire.

300

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1211/417. Costantinopoli, 30 maggio 1910 (per. il 7 giugno).

Il Jeune Turc, il cui direttore è Djelal Noury, cretese e figlio di cretese, continua a caldeggiare la candidatura di Robilant pascià ad alto commissario in Creta. Pone in bocca ad un diplomatico un discorso in cui è detto che la Turchia non potrebbe designare per tale posto un uomo meglio qualificato. Buon soldato ed amministratore emerito, Robilant pascià gode la fiducia delle sei grandi Poten

ze e quella della Turchia, dove le rappresenta come capo di tutti gli ufficiali stranieri assunti in servizio per la riorganizzazione della gendarmeria. Robilant pascià sarebbe il right man in the right piace. Ha un alto grado militare, così in Turchia come in Italia; conosce l 'Impero ottomano e la lingua turca; è, inoltre, amico sincero della Turchia. Il «diplomatico» chiudeva il suo dire con l'esprimere la credenza che, se la Sublime Porta proponesse la nomina di Robilant pascià ad alto commissario, le Potenze non domanderebbero di meglio e l'accetterebbero.

Altri obbiettano che il generale di Robilant sarebbe mal visto dai cretesi, in ragione dell'uniforme che riveste, e sospetto alle Potenze, perché appartenente ad una di esse. Poi, dicesi anche, per quanto elevato in grado ed in posizione sociale, il generale di Robilant è, tuttavia, come militare e come riorganizzatore della Gendarmeria ottomana, un dipendente, e la sua assunzione al rango di alto commissario avrebbe carattere di precari età e di temporaneità, mentre l'opinione pubblica e qui, e, sembrami, anche fuori, anela ad una soluzione o definitiva o per la quale la Creta lasci per qualche anno in pace la Turchia e l'Europa.

301

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI E PIETROBURGO E ALLA LEGAZIONE A TEHERAN

T. 1431. Roma, 31 maggio 1910, ore 17,30.

Per sua informazione esclusiva le comunico che Russia e Germania hanno amichevolmente composto la loro vertenza sulle concessioni persiane. Russia si limita chiedere Governo persiano di essere consultata per esaminare se concessioni abbiano carattere politico o strategico e non domanda risposta. Germania ottiene in tal modo che non venga proclamato principio contrario alla porta aperta. D'altra parte affermati interessi strategici politici Russia.

302

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

NOTA 290. Roma, 31 maggio 1910.

Mi riferisco alla precedente corrispondenza in argomento alla fornitura di mille fucili Wetterly e relative munizioni richieste dal degiacc Garasellassiè.

Il r. ministro ad Addis Abeba, al quale fu telegrafato il nostro rifiuto, ha fatto conoscerei di averlo giustificato col dichiarare al degiacc che il R. Governo non riteneva opportuno di accondiscendere alla sua domanda per non suscitare sospetti nel Governo etiopico e negli altri capi tigrini sul carattere delle nostre relazioni con lui, quando negassimo ad altri quanto a lui avremmo concesso, e di aver il degiacc risposto che a momento più propizio egli avrebbe rinnovata la domanda per il tramite dello stesso Governo etiopico. Il r. ministro ha poi soggiunto che, pur rendendosi conto delle ragioni che determinano il nostro atteggiamento, esso non ha alcun effetto utile perché l'Etiopia può ugualmente provvedersi di tutte le armi che desidera; e perpetua invece quel sentimento di diffidenza e di sospetto verso di noi che è il principale ostacolo alla esplicazione di ogni nostra azione in confronto di quelle altre Nazioni che dimostrano di non voler impedire l'armamento dell'Etiopia.

Dalla comunicazione del nostro rappresentante ad Addis Abeba emergono due gravi questioni: una riguarda le richieste di fucili che ci verranno fatte direttamente dal Governo etiopico, l'altra riguarda la nostra azione politica in Etiopia. Su entrambe le questioni il R. Governo deve portare tutta la sua attenzione e stabilire la linea di condotta che conviene di seguire.

L'Italia con l'esperienza della campagna del 1896 ha dovuto assistere ali' enorme armamento di tutta l'Etiopia, sforzandosi, da parte sua, per ragioni d'indole politica e militare, di impedire il successivo rifornimento di armi e munizioni ali 'Etiopia per garantire la sicurezza delle colonie dell'Eritrea e del Benadir.

Ma la nostra opera per quanto intensa, attiva e continua è rimasta sempre sterile perché isolata, non potendosi impedire ali' Abissinia come Potenza aderente ali 'atto formale di Bruxelles, di ricevere armi da Gibuti e dagli altri mercati di armi dell'Africa orientale quali Mascate, Sur, ecc. sia lecitamente e apertamente sia per mezzo del contrabbando esercitato da privati e da capi, contrabbando il quale, malgrado la più efficace e costosa sorveglianza e l'azione diplomatica presso l'Inghilterra e specialmente presso la Francia, si esercita su larga scala per terra e per mare.

Già l'onorevole Martini, r. commissario straordinario per l'Eritrea, non mancò a suo tempo di far rilevare al R. Governo quanto grave danno morale e materiale recasse ai nostri interessi la linea di condotta che ci eravamo imposti e suggeriva la opportunità di mutare indirizzo: nella pregevole sua Relazione sulla Colonia Eritrea per gli anni 1900 e 190 l presentata dal R. Governo al Parlamento il 13 dicembre 1902 (Atti parlam.)2. Egli così conclude trattando l'argomento del commercio delle armi in Africa.

2 Camera dei Deputati, Atti parlamentari, Legislatura XXI-seconda sessione 1902, n. XVI (documento), Relazione sulla Colonia Eritrea del r. commissario civile straordinario onorevole Ferdinando Martini (anni 1900 e 1901), presentata dal Ministro degli Affàri Esteri (Prinetti), nella seduta del l 3 dicembre 1902, Roma 1902.

«Poiché il nostro divieto non ha per nulla impedito, né oggi impedisce, il rifornimento di armi in Abissinia, e poiché quindi nessun maggiore pericolo politico o militare è da temersi col mutar di sistema, è forse da esaminare se anziché insistere in isterili proibizioni, non sia meglio cercare una più efficace tutela dei nostri interessi commerciali. La proposta può sembrare audace: non è imponderata».

Lo stesso comandante delle truppe cavaliere Pecori Giraldi, nel riferire circa il traffico delle armi a Gibuti con rapporto 22 settembre 1904 n. 10145, esprimeva l'avviso che riuscirebbe inutilmente dannoso ai nostri interessi fiscali e commerciali il continuare da parte nostra nella stretta osservanza delle misure adottate se le armi dovessero continuare a diffondersi per la via del protettorato francese.

E nella circostanza di studiare una soluzione efficace prima di presentarci alla conferenza di Bruxelles per la revisione della Convenzione internazionale del 2 luglio 1890 relativa al commercio delle armi in Africa, lo stesso Pecori Giraldi così rispondeva in ordine ad un'eventuale nostra determinazione di aprire i porti di Massaua e di Assab al commercio delle armi:

«Ma veggo anche, ed anzitutto, che sia per noi assoluta necessità riservarci di aprire ed aprire effettivamente, i porti di Massaua e di Assab al commercio delle armi, pur osservando tutte quelle norme che sieno consigliate dai criteri cui sono informati gli atti di Bruxelles e di Algesiras; e quel che molto particolarmente a noi importa, suggerita da criteri di umanità.

E perciò che, mentre non saprei fare grande affidamento su nuove convenzioni, pur riconoscendone la necessità, sono indotto a fame molto, per molteplici ragioni, sulla quarta delle soluzioni che l'E.V. s'è compiaciuta proporre, del commercio delle armi nei nostri porti eritrei».

Se non che questo r. ministero, nella speranza che la nostra azione diplomatica condotta a Londra, a Parigi e ad Addis Abeba e alla conferenza internazionale di Bruxelles, potesse dare i risultati da noi desiderati, si astenne sempre per ragioni politico-morali, dal consentire nel provvedimento di aprire i porti di Massaua e di Assab al commercio delle armi, dando invece opera a promuovere accordi internazionali intesi ad ostacolare sempre più efficacemente il dilagare delle armi in Africa. Ricordo a questo proposito l'accordo di Londra del 13 dicembre 1906 per l'Etiopia che regola l'azione delle tre Potenze Italia, Francia ed Inghilterra in modo che non debba essa nuocere agli interessi reciproci di esse Potenze.

L'accordo di pari data per le armi mira a circoscrivere nei termini legali il traffico delle armi e delle munizioni per mare ed il transito delle medesime dai possedimenti delle tre Potenze all'Etiopia, col concorso di tutti e tre i Governi.

Lo scambio di note 24-29 dicembre 1909 stabilisce l'accordo tra l'Italia e la Francia per la richiesta di bandiera in alto mare delle navi mercantili sospette e la visita in alto mare dei sambuchi indigeni i quali sfuggiti alle navi da guerra passano dalle acque territoriali al mare libero.

Ricordo anche la Conferenza internazionale di Bruxelles del 1908-09 per la revisione del regime sulle armi stabilita dall'atto generale di Bruxelles del 1890.

Le nuove misure da noi proposte per una più efficace repressione del contrabbando delle armi e delle munizioni in Africa trovarono consenzienti tutte le Potenze intervenute alla Conferenza, meno la Francia che si mostrò irremovibile.

Per tale sua attitudine, non miglior esito ebbe il negoziato per Mascate coll'Inghilterra allo scopo di dare facoltà a quel sultano d'interdire il traffico delle armi nei porti del Sultanato.

In seguito ali 'insuccesso della Conferenza di Bruxelles e del negoziato per Mascate la situazione circa il traffico delle armi in Africa è rimasta immutata e rimarrà tale se le clausole dell'Atto generale di Bruxelles del 1890, dell'accordo di Londra del 13 dicembre 1906 e del recente accordo con Parigi continueranno ad essere applicate dalle autorità francesi con lo stesso intendimento di non osservarne lo spirito.

Ma non vi è da farsi illusione che intervenga in breve tempo mutamento alcuno: anzi il Gabinetto di Parigi ci ha espressamente dichiarato non più tardi del novembre u.s. che il Governo francese aveva direttamente inviato all'Etiopia ventimila fucili e quattro milioni di cartucce senza perciò mancare ai suoi impegni internazionali.

Da questo stato di cose risulta evidente che la nostra azione diplomatica non ha raggiunto finora i suoi obiettivi: l'atteggiamento da noi assunto anzi risulta dannoso, come dichiarava il Governo dell'Eritrea, ai nostri interessi fiscali e commerciali.

In queste condizioni si presenta l'opportunità di riprendere in esame la questione generale del commercio delle armi e stabilire se ci convenga persistere nell'attitudine finora seguita, oppure se questa debba essere mutata, pur sempre mantenendo la più scrupolosa osservanza delle stipulazioni internazionali e del diritto delle genti.

Prima di sottoporre la importante questione allo esame del Consiglio coloniale io gradirei di conoscere l'esplicito parere tecnico della E.V. e del capo di Stato Maggiore dell'Esercito anche sulla opportunità di diffondere in Abissinia, quando però l 'attuale situazione politica dell'Etiopia sia completamente rischiarata a nostro favore, l'armamento dei nostri vecchi fucili Wetterly, la cui potenzialità noi potremmo forse limitare, col regolare e disciplinare, secondo che ci convenga, la introduzione delle cartucce.

L'attuale armamento dell'Etiopia è costituito in massima parte con fucili Gros (altri tipi come il Berdan, Remington ed altri modelli rappresentano una percentuale piccolissima) e le cartucce Gros non possono adattarsi al Wetterly che è di calibro più piccolo. D'altronde trattandosi di sostituire gradatamente un armamento considerevole, il rifornimento delle munizioni Wetterly non sembra si possa facilmente effettuare per altre vie diverse dalla nostra ed in breve tempo.

Per maggiore chiarezza deli'argomento di cui tratta il presente dispaccio, unisco copia dei seguenti documenti:

l) copia telegramma r. ministro Addis Abeba 8 maggio 191 O;

2) copia rapporto Eritrea 24 settembre 1904 n. 10145;

3) copia rapporto Eritrea 4 ottobre 1906 n. 64683;

302 l Cfr. n. 256.

302 3 Per la risposta cfr. n. 359.

303

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, LANZA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. RISERVATO 1435. Roma, 1° giugno 1910, ore 13,15.

Pacelli mi comunica una lettera con cui Fernandez lo informa che il Consiglio dei ministri, malgrado i precedenti affidamenti ufficiosi, ha respinto domanda per lavori del porto di Tripoli, che il Governo ottomano intenderebbe fare per proprio conto. Prego telegrafarmi notizie in proposito ed adoperarsi, se sarà possibile, in favore della nostra domanda'.

304

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1813/185. Pera, 3 giugno 1910, ore 7,20 (per. ore 23,55).

In seguito tendenziose notizie di fonte serba, l'ambasciatore d'Austria-Ungheria ha dichiarato jeri al gran vizir che il Governo austro-ungarico non aveva alcuna intenzione di rioccupare il Sangiaccato di Novi Bazar.

305

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 18061184. Pera, 3 giugno 1910, ore 12 (per. ore 13,15).

Porto di Tripoli. Telegramma n. 14351. Decisione Consiglio dei ministri revocabile. Tra intendimenti del Governo ottomano ed esecuzione lavori correrà tempo. Gran visir interrogato ha risposto: «Non abbiate fretta».

305 l Cfr. n. 303.

303 l Per la risposta cfr. n. 305.

306

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI 1

T. 1453. Roma, 3 giugno 1910, ore 13,30.

Creta. Rispondo ai telegrammi di V.E. nn. 143, 144, 145 e 1462. Saggissimo il consiglio del signor Pichon al re di Grecia3; ma pare che non sia stato né sarà seguito da Sua Maestà. Il signor Zaimis rifiuterà certamente. *Parmi molto difficile intendersi per un regime stabile che eviti complicazioni pericolose e non susciti agitazione o in Creta e Grecia o in Turchia. Si potrebbe forse guadagnar tempo procurando alla Porta subito le seguenti soddisfazioni:

l) risposta esplicita, pronta e categorica delle quattro Potenze alla nota cretese, respingendo ogni annessione e riaffermando i diritti supremi del sultano. La forma di tale risposta dovrebbe non essere irritante, né d'altra parte produrre la illusione di vicina annessione;

2) pronta ammissione nelle loro funzioni dei giudici e altri funzionari cretesi musulmani senza giuramento; 3) dichiarazione del Governo cretese che ammetterà i deputati musulmani all'assemblea senza giuramento*. Se, dopo ciò, il Governo cretese vorrà ritardare la riapertura dell'assemblea, non vedo la ragione di opporvisi.

307

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A COSTANTINOPOLI, LONDRA PARIGI E PIETROBURGO

T. 1465. Roma, 3 giugno 1910, ore 20,10.

Creta. Questo ambasciatore di Francia mi ha comunicato che Pichon propone di aspettare il testo della nota cretese, per esaminare fra le quattro Potenze una

3061 Il brano fra asterischi é edito in LV 106, p. 165. 2 TT. 1780/143, 1784/144, 1781/145, 1782/146 del 31 maggio, non pubblicati, con l'eccezione del brano alla nota 3, relativi ai colloqui di Tittoni con Pichon sulla questione cretese.

3 T. 1782/146 del 31 maggio: «Pichon non ha veduto a Londra il re di Grecia. Lo vedrà qui domani e lo consiglierà di astenersi dal parlare in qualsiasi modo della questione cretese. Gli dirà che, fino ad ora, la Turchia non ha potuto trovare nessun pretesto per prendersela colla Grecia a proposito di ciò che accade a Creta, perché la Grecia con una rigorosa astensione non gliene ha dato il motivo. Una qualsiasi azione del re di Grecia darebbe questo motivo alla Turchia che non mancherebbe di profittamc per attaccare la Grecia. Ed ovc il re di Grecia non si persuadesse a tacere assumerebbe una grave responsabilità a danno del suo Paese».

soluzione definitiva «visto che ora è lo stesso Governo cretese che pone la questione su questo terreno chiedendo l'annessione alla Grecia». Ho risposto a Barrère cogli stessi argomenti riprodotti nel mio telegramma nn. 1453 (per Parigi)!, 1454 (per gli altri)2, e che mi fanno sembrar preferibile l'adozione di un temperamento provvisorio, poiché una soluzione definitiva, qualunque essa fosse, avrebbe inevitabilmente gravi conseguenze o da una parte o dall'altra. In ogni modo, sono d'accordo nell'aspettare il testo della nota cretese.

308

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 895/378. Berlino, 3 giugno 1910.

Al termine del soggiorno di V.E. in Berlino!, è dover mio prender nota nella corrispondenza d'ufficio dell'effetto altamente soddisfacente ottenuto dalla visita di lei in questa capitale e delle favorevoli impressioni dalla medesima lasciate nell'opinione pubblica tedesca.

Già l'annunzio stesso che V.E. non avrebbe a lungo tardato a restituire a Berlino la visita fatta a Roma dal cancelliere dell'Impero era stato qui salutato con sincera soddisfazione. Troppi anni erano decorsi (per una parte dell'opinione pubblica germanica) senza che alcun ministro italiano fosse venuto ufficialmente a Berlino per presentarsi a S.M. l'Imperatore. Nell'affrettarsi di V.E. a ciò fare, si è visto in generale, oltre che un atto di dovuta cortesia, un segno degli intendimenti suoi, favorevoli non solo alla continuità della nostra linea politica, ma anche ad una più attiva cooperazione dei Governi alleati nelle questioni che interessano i due Paesi.

Le cortesie usate a V.E. dalle loro Maestà Imperiali, dal cancelliere e dal segretario di Stato per gli esteri hanno trovato riscontro nell'accoglienza oltremodo simpatica fatta alla persona di lei da parte della stampa, della quale anzi si poté notare che non una voce è venuta a turbare l'armonia dei commenti favorevoli al nostro Paese, nemmeno nei giornali di solito meno bene inclinati verso le cose d'Italia. Unisco al presente rapporto per regolarità di corrispondenza alcuni dei più notevoli articoli comparsi in questa occasione nei principali periodici tedeschi2. E vi aggiungo qui appresso, affinché ne rimanga traccia nella nostra corrispondenza, il testo del comunicato ufficiale pubblicato al termine della visita

307 I Cfr. n. 306. 2 T. 1454 del 3 giugno, non pubblicato. 3081 Cfr. n. 310. 2 Non si pubblicano.

di V.E., che riassume, nella forma concertata, il significato dei colloqui da lei avuti col cancelliere ed il barone von Schoen, dal punto di vista dei rapporti italo-germanici e della politica europea:

«La visita del ministro degli affari esteri d'Italia ha offerta la gradita occasione di continuare la conversazione tenuta a Firenze fra il cancelliere dell'Impero ed il marchese di San Giuliano. Al pari di allora, i due uomini di Stato si sono trovati concordi nel fermo proposito di mantenere inalterato come scopo della loro politica la consolidazione dello statu quo. Nello stesso modo, l'attuale intimo e fiducioso scambio d'idee ha nuovamente dimostrato che niun mutamento si è prodotto nel loro modo di considerare la situazione politica generale quale corrispondente alle soddisfacenti relazioni esistenti fra le Potenze europee. La conversazione rafforza la volontà dei due Governi alleati, d'accordo col Gabinetto di Vienna, di tradurre in atto anche in avvenire i principii diretti alla conservazione della pace ai quali è ispirata la politica della Triplice Alleanza».

Merita attenzione fra i brani di giornali qui annessi un entrefilet della National Zeitung di ieri, che a proposito di questo comunicato rileva come la sua portata politica non sia stata forse apprezzata dal pubblico in tutto il suo valore, osservando che raramente in simili comunicazioni ufficiali dei Governi della Triplice Alleanza fu affermata in modo così deciso l'intesa esistente coll'Italia.

Ho avuto l'onore di rivedere oggi il signor von Bethmann Hollweg, nella circostanza di un garden party da lui gentilmente offerto alla delegazione degli industriali torinesi ora in Berlino. Egli mi ripeté ancora tutta la sua soddisfazione per la visita di V.E., compiacendosi dell'opportunità così procurata gli di fare la sua conoscenza personale. Mi disse pure dei telegrammi scambiati, in seguito al ritorno di lei in Italia, fra il Nostro Augusto Sovrano e S.M. l 'Imperatore e fra lui e I'E.V., alla quale m'incaricò di rinnovare quando ne avessi occasione i suoi particolari saluti.

309

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 1481. Roma, 4 giugno 1910, ore 22.

Suo telegramma n. 1861. Bernabei telegrafa quanto segue: «È arrivato ... nove corrente per Costantinopoli» (come il telegramma in arrivo n. 1821 )2.

309 t T. 18201186 del 4 giugno, non pubblicato, col quale Mayor riassumeva l'incontro con il gran visir che aveva escluso qualsiasi diffidenza verso l'Italia. 2 T. 1821125 del 3 giugno, non pubblicato, col quale Berna bei informava dell'autorizzazione a scavare Cirene, concessa agli archeologi americani.

Prego V.E. di intrattenere nuovamente di ciò il gran visir, esprimendogli il vivo mio rincrescimento perché si siano assunti impegni con altri senza prevenirci, malgrado la nostra precedente domanda, il che non potrà fare a meno di produrre pessima impressione nell'opinione pubblica italiana e la viva mia speranza che egli troverà modo di assicurare anche alla missione archeologica italiana un campo d'azione non inferiore a quello concesso agli americani. La venuta costì del professar Halbherr le permetterà di dare forma concreta e precisa alla nostra domanda.

310

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, Dl SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

Roma, 4 giugno 1910.

Per informazione di V.E. e per norma eventuale di linguaggio, mi affretto ad informarla del carattere e della portata della mia visita a Berlino ed a riassumere la sostanza delle mie conversazioni con S.M. l'Imperatore, col cancelliere dell'Impero e col ministro degli esteri2.

Nessuna questione speciale mi spinse al viaggio; come hanno fatto Bethmann Hollweg e Aehrenthal col nostro sovrano così anch'io mi sono recato a Berlino e mi recherò in Austria per compiere un gradito dovere di reciprocità.

Il comunicato ufficioso concordato a Berlino e pubblicato contemporaneamente nei giornali d'entrambi i Paesi riassume fedelmente le conversazioni che colà ebbero luogo tra me e gli uomini di Stato dirigenti tedeschi.

Sebbene senza dubbio V.E. già lo conosca, tuttavia, ad ogni buon fine, ne allego una copia.

ln tutte quelle conversazioni constatammo concordi e con vivo piacimento che non soltanto la Triplice Alleanza ma tutte le Grandi Potenze desiderano la pace e lo statu quo ed esercitano attivamente la loro influenza in questo senso. Si accennò fuggevolmente ai rapporti austro-italiani per constatarne il miglioramento; viste le ripercussioni che può avere sull'opinione pubblica la questione dell'università italiana in Austria, la quale, essendo una questione in terra austriaca, non può naturalmente essere oggetto di trattative ufficiali fra i due Governi, il signor von Bethmann Hollweg accennò ali' opportunità che io ne faccia amichevole menzione nel colloquio che avrò con Aehrenthal, il quale egli crede personalmente ben disposto.

31 OI Il dispaccio fu inviato alle ambasciate a Costantinopoli, Londra, Parigi, Pietroburgo e Vienna rispettivamente con i nn. 281, 326, 314, 246 e 242. 2 Al riguardo si vedano anche GB, vol. XXVIII!, n. 9861 e OeUA, vol. II, n. 2189.

Tanto il cancelliere quanto il signor von Schon spontaneamente mi informarono della vertenza russo-tedesca relativa alla Persia, provvisoriamente composta, e più volte accademicamente accennarono al loro desiderio, che io credo sincero, ed anche, in una certa misura, alla loro fiducia in un progressivo miglioramento dei rapporti russo-tedeschi.

Si parlò dell'insurrezione albanese e ci trovammo concordi nel desiderio che la Turchia si affretti a porvi fine in modo che concilii il mantenimento del suo prestigio con la pratica impossibilità di imporre a quei montanari riforme per lo meno premature.

Sulla questione di Creta ci trovammo pure concordi nel desiderio che si eviti tutto ciò che può dar luogo a complicazioni balcaniche ed europee.

Mentre il comunicato, che fu pubblicato dopo il colloquio di Firenze, era stato tra me e il signor von Bethmann Hollweg lungamente discusso io potei questa volta accettare integralmente il testo tedesco da lui proposto, com'egli accettò pure senza discussione la mia traduzione italiana che lievemente ne modifica la forma.

Anzi è notevole che nel testo ora proposto dal Governo tedesco vi trovai spontaneamente di esso inseriti alcuni degli accenni che io avevo proposto a Firenze.

Durante tutto il mio soggiorno a Berlino ho potuto constatare per mezzo di impressioni difficili a concretare in parole ma il più delle volte chiare e sicure, la perfetta sincerità dei propositi pacifici e concilianti del Governo tedesco verso tutte le altre Grandi Potenze e della sua amicizia e stima per l'Italia, nonché del grande valore che esso attribuisce all'alleanza con noi.

In tutti i miei rapporti personali tanto coli 'imperatore quanto coi membri del Governo e con tutti coloro che ho avvicinato ho sempre notato non soltanto la più perfetta cortesia ma anche una calda cordialità, e mi pare che la mia visita a Berlino abbia lasciato eredità di reciproca simpatia e fiducia.

Da quanto poi mi diceva la vigilia della mia partenza l'ambasciatore d' Austria-Ungheria, traggo motivo di credere che egli cercherà di rendere il più possibile evidente questa impressione a Vienna.

ALLEGATO

La visita del ministro degli affari esteri d'Italia a Berlino ha offerto la gradita occasione di continuare la conversazione tenuta a Firenze fra il cancelliere dell'Impero e il marchese di San Giuliano. Al pari di allora i due uomini di Stato si sono trovati concordi nel fermo proposito di mantenere come scopo inalterato della loro politica la consolidazione dello statu quo. Nello stesso modo l'attuale intimo e fiducioso scambio d'idee ha nuovamente dimostrato che niun mutamento si è prodotto nel loro confidente modo di considerare la situazione politica generale quale corrisponde alle soddisfacenti relazioni esistenti fra le Potenze europee. Tali conversazioni rafforzano la volontà dei due Governi alleati d'accordo col Gabinetto di Vienna di tradurre in atto anche in avvenire i principi diretti alla conservazione della pace, ai quali è ispirata la politica della Triplice Alleanza.

311

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 1842/1 05. Londra, 5 giugno 1910, ore 18,58 (per. ore 22).

In un colloquio confidenziale con questo ambasciatore di Turchia, mio antico amico, gli ho detto, a titolo personale, sembrarmi suo Governo corra troppo nel reclamare ad ogni costo pronta soluzione definitiva questione cretese destinata inevitabilmente, quale che possa essere, ad avere gravi conseguenze, senza alcun vantaggio pratico per la Turchia. Raccomandai insistere a Costantinopoli perché la Sublime Porta si contenti soddisfazione che sicuramente le verrà data per recente incidente, aspettando epoca più propizia per soluzione definitiva. Insistendo più oltre e non tenendo conto difficile posizione Potenze, Turchia rischia alienarsene simpatia. In queste vedute convenne pienamente Tewfik pascià e mi confidò avere in tal senso già scritto a Costantinopoli, in seguito a linguaggio presso a poco analogo tenutogli Foreign Office. S.A. mi confidò pure essere qui stata manifestata sgradita sorpresa eccessiva loquacità Rifaat pascià a Parigi. Sono state anche mosse lagnanze per avere gran vizir, nel suo recente discorso, accennato uccisione soldati inglesi come causa precipua evacuazione truppe turche Creta. A proposito intervista Rifaat con giornalista francese, Hardinge ha fatto osservare non convenire Governo ottomano attribuire troppo peso attuali disposizioni ultra benevole Francia, la quale con la medesima disinvoltura, era pronta anno passato sanzionare annessione Creta Grecia. Discorrendo successivamente con Cambon, gli dissi allo stato attuale delle cose uniche soluzioni pratiche sembrarmi quelle indicate nel telegramma di V.E. n. 14541, essendo evidente impossibilità pensare a soluzione definitiva senza correre rischio di sollevare pericolose complicazioni. Occorre soltanto dichiarazioni nette categoriche al Governo cretese, nei termini suggeriti dalla E.V., non tardino troppo, importando sommamente, a mio avviso, che le Potenze, dopo aver dato il più presto possibile soddisfazione ai reclami della Turchia e raffermata chiaramente la loro ferma volontà di mantenere inviolati diritti sovrani del sultano, si trovino in grado di tenere linguaggio non men fermo a Costantinopoli per impedire che quivi si insista a soluzione definitiva e peggio ancora si prendano, con pretesti sempre facili a trovarsi, misure militari contro la Grecia. Ricordando pessima impressione prodotta sui turchi dalla locuzione: «diritti supremi», riterrei preferibile, a meglio calmare la Turchia, parlare questa volta di «diritti sovrani». Cambon condivide in massima mio modo di vedere, aggiungendo di avere, in recente colloquio, dimostrato a Rifaat pascià difficoltà di ogni genere che si oppongono in pratica ad una soluzione definitiva.

Prego V.E. di considerare come strettamente personali le confidenze fattemi da Tewfik pascià.

311 l Cfr. n. 307 note l e 2.

312

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO RITARDATO 1 1560/541. Costantinopoli, 6 giugno 1910 (per. il 4 luglio).

Parlandomi del rifiuto opposto dal Governo imperiale alla sua proposta circa il porto di Tripoli, il commendator Fernandez mi diceva, ieri, evidente che soltanto il malvolere e la diffidenza potevano aver inspirato una decisione così contraria agli interessi ottomani. La concessione degli scavi di Cirene data agli americani, nonostante la priorità della nostra domanda, sarebbe un'altra prova di tale malvolere e diffidenza. Il sistema della Porta è semplicissimo: esso consiste nel contrariare ogni nazionalità o ogni nazione, nei luoghi in cui ogni nazionalità o nazione possiede o può acquistare influenza. Così combatte il sionismo in Palestina ed in Mesopotamia; così per la ferrovia dall'Adriatico a Prizrend desidera capitali francesi, e non ne vorrebbe ( dicevami il gran vizir) di italiani od austriaci; così ostacola i progetti francesi in Siria e favorisce gli americani, per paura dei tedeschi, in Asia Minore, e, per paura di noi, in Cirenaica.

Codesti due rifiuti, inscritti ed aggiunti ad altri nel nostro libro del dare e dell'avere con la Turchia, danno a pensare che possa venir un giorno in cui la somma dei nostri crediti raggiunga un tale limite da obbligarci ad una esecuzione forzata, salvo a sopprimere, per un qualche giorno, qualsiasi comunicazione radiotelegrafica con le navi incaricate del compito, onde evitare che lo sforzo si risolva, come già una volta, in un inane, sebbene splendido, esercizio di mobilitazione navale. In previsione di ciò, parlai genericamente con l'ammiraglio Amero d'Aste Stella di Rodi, verso la quale antichi ricordi e recenti tendenze potrebbero far volgere gli sguardi. Il detto ammiraglio non pareva annettere molta importanza a quell'isola. Magnificava, invece, le risorse di quella di Metellino. Mi promise mandarmi rapporti su entrambe.

313

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 934/310. Londra, 7 giugno 1910 (per. il 15).

Il signor Roosevelt, compiuta la missione straordinaria affidatagli dal Governo degli Stati Uniti per i funerali di re Edoardo, ha prolungato il suo soggiorno a

Londra, dove al pari che nelle altre capitali previamente visitate è oggetto di incessanti festeggiamenti di onorifiche distinzioni. Fra queste la più importante e più significativa, il conferimento cioè ali' ex-presidente della cittadinanza !ondinese, ha avuto luogo avant'ieri. La cerimonia si è svolta al Guidhall col rituale consueto; e in conformità delle tradizioni il signor Roosevelt ha pronunziato un discorso in risposta all'indirizzo rivoltogli dal chamberlain di Londra. Espressi i suoi ringraziamenti per l'onore conferitogli, da lui definito un segno del rispetto e dell'amichevole buona disposizione che più e più coll'andare del tempo tende a riunire le popolazioni di lingua inglese, il signor Roosevelt ha fatto dell'opera degli inglesi n eli' est Africa n eli 'Uganda, nel Sudan, paesi che egli ha recentemente attraversati, elogi che hanno vivamente soddisfatto l 'uditorio. Di poi ha parlato dell'azione britannica in Egitto. Circa questa parte del discorso attiro l'attenzione di VE. sulle testuali parole pronunciate dal signor Roosevelt e riferite nel qui unito estratto del Timesi. Il signor Roosevelt ha parlato dell'azione inglese in Egitto non come un forestiero ma come un vero e proprio cittadino britannico: ha elogiato l'opera compiuta, ma ha criticato e dichiarato errato l 'indirizzo politico attuale dell'amministrazione inglese in quel paese.

I nazionalisti egiziani, egli ha detto, si sono dimostrati ingrati ed indegni di governarsi da loro. Una qualche nazione deve governare l'Egitto: se voi inglesi intendete colà rimanere, avete il dovere di stabilirvi e mantenervi l'ordine. Un popolo che fa dell'assassinio la chiave di volta del self governement perde ogni diritto d'essere trattato come degno di tale forma di governo.

L'ex-presidente, autoritario, uomo di azione per eccellenza, dotato di attitudini essenzialmente e precipuamente combattive, si è scagliato con parole roventi contro il sentimentalismo, dichiarando che «of ali the broken reeds sentimentaly is the most broken reed on which righteousny can lean».

L'impressione prodotta dal discorso del signor Roosevelt è stata profonda. Siccome esso costituisce indubbiamente un'intromissione di un estraneo in un affare inglese, io mi attendeva ad uno scoppio di recriminazioni contro l'indelicatezza commessa dall'ex-presidente. Ma debbo confessare di essermi ingannato. La stampa liberale, è vero, ha criticato duramente l'atto del signor Roosevelt; e questo fatto si comprende di per sé quando si pensa che le parole dell'ex-presidente suonano aperto biasimo alla politica in Egitto del Gabinetto attuale e mettono il ministero Asquith e l'agente britannico al Cairo in imbarazzo perché portano brutalmente in pubblico una preoccupante questione che cercavasi tenere latente. Fatta, però, questa eccezione bisogna convenire che il discorso dell'ex-presidente è stato dovunque bene accolto.

Le spiegazioni del fatto, certo non normale, possono trovarsi nelle circostanze seguenti: la favorevole impressione prodotta dal discreto accenno fatto all'inizio del suo discorso ali 'unione delle popolazioni di lingua inglese; la franchezza colla quale il signor Roosevelt ha esposto i suoi giudizi: franchezza che ha dato

l 'impressione di profonda convinzione e sincerità; le opportune frasi dalle quali ha fatto precedere le sue dichiarazioni.

Infine, e precipuamente, il fatto che, in sostanza, egli è venuto a dar corpo, vita, attualità, ad una questione che ispira preoccupazioni generali: l'andamento cioè delle cose in Egitto. Ciò facendo il Roosevelt ha dato alla opinione pubblica una soddisfazione di cui appunto gli viene tenuto conto per non rimproverargli una intromissione in affari concernenti esclusivamente il mondo inglese.

312 l Indicazione apposta dal mittente.

313 l Non pubblicato.

314

IL REGGENTE LA LEGAZIONE A STOCCOLMA, MARCHETTI FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 137/67. Staccolma, 8 giugno 1910 (per. il 25).

Ho avuto una conversazione, affatto amichevole, con questo ministro germanico, conte Piickler e poiché -nella sua intima spontaneità -essa riflette il modo di pensare di alcuni milieux aulici e diplomatici di Berlino intorno a questioni italiane, mi è sembrato di qualche interesse riferirne a Y.E. Il conte Piickler, discendente da antica famiglia prussiana, amico e protetto dell'imperatore, appartiene ad una categoria di tedeschi piuttosto rara: quella cioè di coloro che non affettano la rigida posa militare, e portano in ogni manifestazione del loro pensiero un sentimento di affabilità, disposti a riconoscere, ove ne sia il caso, che, anche la sacra istituzione d eli' Impero germanico, c la politica, la personalità stessa del kaiser possano, talvolta esser suscettibili di critica. Per completare la descrizione del mio interlocutore, e, a maggiore intelligenza di quanto egli ebbe occasione di espormi, aggiungerò che questo ministro di Germania fu tra gli avversari della diplomazia del principe di Biilow, mentre è molto ben veduto dal signor di Bethmann Hollweg. Tornato da una settimana da Berlino -ove naturalmente, ebbe opportunità di conferire coll'imperatore e col cancelliere, il mio interlocutore vantava anche il pregio «delle novità».

S'incominciò dalla Triplice, questione intorno alla quale si direbbe che i rappresentanti tedeschi abbiano avuto di recente una parola d'ordine; il conte Piickler parlò così: «Noi siamo ben !ungi dal voler sperimentare coll'Italia politica di allettamenti o di pressione; semplicemente attendiamo da lei che pesi, senza passioni, i vantaggi delle due situazioni, di rimanere cioè nella Triplice o uscime. A Berlino si rispetterà la decisione dell'Italia qualunque sia, benché la soluzione del problema, appunto per la sua chiarezza, non sembri dubbia, ed espliciti siano stati gli ultimi affidamenti degli uomini politici italiani. Da noi si ripete felix Italia, essa ha avuto in questi anni la fortuna di vedere, a prescindere da qualunque nuova orientazione parlamentare, la sua politica estera passare dall'uno all'altro uomo di sicura competenza e valore!».

Caratteristica mi sembrò la frase seguente del kaiser, che il Piickler mi assicurò testuale a proposito del nostro augusto sovrano: «Il re d'Italia è un veinard; mentre in Germania io e il mio Governo siamo costretti ad una lotta immane contro il socialismo, Vittorio Emanuele riesce ad attenerne la dedizione spontanea!».

Il discorso della Triplice si volse, logicamente, alle relazioni dell'Italia coll'Austria. Non posso nascondere a V.E. che-dato che il conte Piickler rispecchi il pensiero dei circoli tedeschi, anzi prussiani -le sue idee non mi paiono rispondenti, per quanto ci riguarda, ad una percezione esatta della realtà delle cose. Vi sarebbe a Berlino un concetto dell'irredentismo abbastanza errato. Mentre infatti si pone fuor di questione la condotta diretta e leale del nostro Governo ciò che i tedeschi riconoscono e apprezzano all'unanimità -si ritiene che il sentimento dell'irredentismo, fuori delle sfere ufficiali, divampi come una febbre in tutto il nostro Paese. Ed è notevole come questa impressione di un diplomatico germanico coincida con «uno stato d'animo» che mi è accaduto sovente di incontrare presso diplomatici austriaci: il fantasma dell'irredentismo, checché si dica, è la bete noire del teutone! E la psicologia di questo sentimento è non solo analizzabile, ma facilmente spiegabile: si ha una forma di coraggio allorché si conosce l'entità esatta di un pericolo, ma non si può vincere un senso di preoccupazione di fronte al pericolo ignoto. Ora per l'Austria l'irredentismo sarebbe appunto la misteriosa trincea dietro alla quale non si sa se vi siano dieci uomini

o centomila.

Rappresentai garbatamente al Piickler quanto la politica interna austriaca avesse involontariamente contribuito a mantenere agitazioni al di là e al di qua delle Alpi, aggiungendo che i tedeschi sogliano battezzare irredentismo anche l'ideale di voler rispettare i diritti di una razza illustre per civiltà; ideale che trascende ad un principio superiore, più che d'italianesimo, di liberalismo internazionale.

Il mio interlocutore pur impressionato dalle mie argomentazioni, volle ricordarmi come la Germania, avendo tanti suoi figli soggetti alla Russia, credesse opportuna politica di disinteressarsi alla loro sorte. Osservazione anzitutto discutibile per le ragioni etniche e storiche relative alla formazione degli antichi regni che separarono un giorno i russi propriamente detti dai margini della Germania odierna, mentre del resto il preteso disinteresse tedesco trova una specie di contrappeso morale nella germanizzazione ad oltranza delle province polacche, soggette all'Impero. E al conte Piickler ricordai i clamori che i pangermanisti levano al cielo ogni qual volta che quell'isola dominatrice della loro razza, radicatasi nell'antico arciducato d'Austria, sembra in pericolo di sommergersi, nel fluttuare degli slavi e dei magiari circonvicini.

Del resto il giudizio portato in Germania -se così è -sulla politica del Governo austriaco verso gli italiani della Monarchia, si risolverebbe quasi in una posizione di principio -infatti sull'irredentismo si vorrebbe trovare la giustificazione di una siffatta politica, mentre altri, più giustamente, considerano l'irredentismo in gran parte come una conseguenza di quella. Più delicate e interessanti, in ordine ai rapporti austro-italiani, le seguenti parole del ministro di Germania: «Avendo vissuto a Roma e a Vienna, so bene che la questione della visita imperiale austriaca è una nube permanente che offusca le relazioni fra i due Stati; credo altresì che in Italia si attendessero, un certo momento, che l'intervento diretto dell'imperatore Guglielmo a Vienna avrebbe contribuito ad una amichevole soluzione di tale questione. Eppure il mio sovrano, nella sua qualità specialmente di principe protestante, si sente meno autorizzato degli altri a toccare a Vienna un simile argomento. La situazione stessa di amico ed alleato rende poi più difficili certe insistenze. Pertanto in Austria, per desiderio dell'imperatore, i diplomatici tedeschi si astengono, per quanto è possibile, da qualunque allusione a tal proposito. In Germania infine non pochi si domandano perché Roma, e non Venezia o Milano. Non avrebbe anzi maggior significato una visita negli antichi dominì e non sarebbe una riconsacrazione di pace?». Sembra questa essere un'ostinata ubbia tedesca!

Risposi freddamente che, anche con un buon amico, preferivo di non trattenermi sopra una tale questione. Come un qualunque cittadino italiano dovevo soltanto osservare che noi non chiediamo nulla a nessuno: abbiamo compiuto strettamente per parte nostra i doveri che ci incombevano e questo ci basta, ma che non possiamo -come è ben comprensibile -sollecitare gli altri al compimento dei propri, certi atti dovendo esser spontanei. Tuttavia, dato il modo come la questione era stata posta e si era prolungata, non era ormai neppur più discutibile per gli italiani l'accettazione di una visita fuori della loro capitale.

Si affrettò il mio interlocutore ad affermare che, senza alcun dubbio, la questione del potere temporale appartiene alla storia.

«Ignoro infine -egli soggiunse -che importanza diate in Italia ai Gesuiti e alla loro politica. In Germania i Gesuiti sono -ahimè -un elemento che vanta strumenti possenti, e col quale abbiamo dovuto talvolta fare i conti, data la necessità pel Governo di appoggiarsi al centro, oggi più che mai, dopo l'inane tentativo di concentrazione liberale, che fu l'ultima disgrazia della politica del principe Bi.ilow. Come non considerare un mandatario dei Gesuiti quell'Holstein che sostenne ad oltranza la necessità per la Germania di avere due cardinali piuttosto che uno? In molte sfere non si scorgeva la necessità di questo porro unum del capo del centro; ma i due cardinali si ottennero, e l'importanza dei rapporti dell'Impero col Vaticano si accrebbe sempre più. Noi sappiamo dunque assai bene che cosa i Gesuiti vogliano e valgano in Germania. Quanto ali' Austria è ben noto che la contessa Ciotek, ora principessa di Hohenberg, divenne la moglie morganatica dell'arciduca ereditario grazie appunto ai Gesuiti. Come pensare che il marito della principessa di Hohenberg possa recarsi al Quirinale contro la volontà del papa? ... Un uomo politico austriaco, addentro nei segreti della Corte, mi disse una volta seriamente: «Il giorno in cui l 'arciduca Francesco Ferdinando compiesse un atto tale [il viaggio a Roma] i Gesuiti lo sopprimerebbero!».

La conversazione girò ad altri argomenti. Ripeto: mi sono permesso riferirla a V.E. poiché essa può servire, a rivelare all'infuori del linguaggio ufficiale, il modo di pensare dei nostri alleati. Quanto

poi delle cose dettemi rispondano al pensiero personale del conte Puckler, e quante veramente rispecchino la mentalità della Corte e della diplomazia tedesca, potrà sceverare e giudicare l 'alto acume di V.E., con i vari altri termini di confronto che possiede.

Udendo le ultime inusuali parole del mio interlocutore, io pensavo che la Compagnia di Gesù ha appunto in Italia la sua casa generalizia e fiorenti istituti, e in Roma, al Vaticano, nell'università Gregoriana, nella redazione della Civiltà Cattolica il suo campo trincerato di attività. Ma agli uomini politici italiani preposti al governo delle cose interne, deve per certo esser già noto, per via d'inchiesta -specie in quest'ora di evoluzione clericale -l'influenza di cui la temuta Compagnia dispone nel nostro Paese, quale sia il valore della sua misteriosa organizzazione di proseliti, quali infine gli scopi e gli effetti precisi della sua azione.

315

IL CONSOLE GENERALE A SALONICCO, LEVI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 982/163. Salonicco, 8 giugno 1910 (per. il 15).

Ieri telegrafavo a V.E.I nei seguenti termini: «Col ministro della guerra ritornante dall'Albania giunsero qui ieri sera valì Uskub e Monastir ed ebbero alla stazione lunga conferenza con valì Salonicco. Altra conferenza oggi. Secondo Nessib Bey capo escursione ottomana in Italia che m 'informa e che partecipa conferenze sarebbe provata istigazione bulgara alla rivolta albanese ed a Monastir sarebbero stati sequestrati documenti relativi. Credesi anche ad una azione austriaca, ma questa non sembrami indispensabile spiegare rivolta, come accennai miei precedenti rapporti».

lo alludevo, così, specialmente ai rapporti del 132 e 163 maggio, che le informazioni odierne confermerebbero. D'allora, le bande bulgare si sono andate moltiplicando, specialmente dai dintorni di Serres sino al vilayet di Uskub, e non sono bande venute di Bulgaria; esse sono formate nel Paese. Sono stati tenuti anche dei comizi e fu presa la deliberazione di interessare i deputati del luogo, richiamando la loro attenzione, specialmente sul malo modo in cui viene applicato dalle truppe il sequestro delle armi, e sullo insediamento dei mohegir (emigrati) bosniaci in terreni innegabilmente bulgari.

Non so se questa agitazione, più o meno giustificata e spontanea, proseguirà, ora che la rivolta albanese, se non domata, è entrata in un periodo di sosta. Cer

2 Non rinvenuto.

3 R. 834/134, non pubblicato.

to, la contemporaneità della doppia agitazione è abbastanza naturale per essere spiegata anche senza l'esistenza di accordi formali, e senza quella suggestione austriaca alla quale non può certo dispiacerci che l'elemento turco dirigente presti fede, ma che in questo caso non era affatto necessaria. Così, io continuo a dubitare che l'Austria entri per qualche cosa, direttamente, nell'un moto e nell'altro, per quanto sempre disposta ad approfittare di qualunque incidente per affermare la sua influenza e preparare l'avvenire. Non s'è, ad esempio, voluto ricevere affatto una deputazione del Sangiaccato di N o vi Bazar chiedente l'annessione a quella Bosnia Erzegovina ch'è divenuta austriaca anche ufficialmente, ma ciò non toglie che l'acquisto del Sangiaccato faccia parte del programma austro-ungherese p el prossimo avvenire, come l 'incorporazione della Serbia per un avvenire più lontano. Né devono illuderci a questo proposito le dichiarazioni in contrario di pubblicisti e funzionari, proclamanti che di serbi se ne ha abbastanza e di troppo. L'Ungheria non mancò a suo tempo di protestare vivamente contro l'occupazione della Bosnia; poi fu la prima a valersene, ed al momento dell'annessione non fu certo meno risoluta d eli' Austria nel voler la e nell'atteggiarsi contro ogni opposizione dell'Europa.

lo non so se VE. ha ritenuto opportuno quel passo presso la Porta in favore dell'elemento bulgaro che mi era stato chiesto -come informai nei suddetti rapporti del 13 e 16 maggio -direttamente dal signor Chopoff, indirettamente dal signor Petraieff. Comunque, certo è che sarebbe saggio da parte di questo Governo il non dare pretesto all'agitazione bulgara, sempre così pronta a riprodursi; e che, se al pari della rivolta albanese non è stata fomentata dali' Austria, è sicura di trovar sempre n eli' Austria, a momento opportuno, un appoggio indiretto; poiché, malgrado le civetterie del re Ferdinando verso la Russia e verso la Serbia, la ragione dell'accordo organico austro-bulgaro sussisterà in fondo sino al giorno in cui si dovrà decidere quale delle due, se l'Austria o la Bulgaria, dovrà avere la maggior parte della successione della Turchia in Macedonia.

Così non sarebbe impossibile, nel senso delle suaccennate informazioni, la ripresa dell'attività politica di quel Karajovoff, che era presidente del Comitato bulgaro di Salonicco e direttore del giornale La Patria, che, dopo la condanna e la soppressione del giornale, ricorse in appello, ed ora dichiara di essersi dedicato interamente al commercio e di non voler più saperne di politica, dichiarazioni che vanno prese con beneficio d'inventario. Come è noto a VE., il Karajovoff era addetto alla legazione bulgara di Roma; dimessosi dopo la costituzione ottomana per lavorare liberamente -lo poteva meglio essendo bulgaro di Macedonia -lavorò infatti in perfetto accordo col signor Chopoff, sotto la veste di bulgaro costituzionale, ma tenendo viva l'agitazione del suo elemento nazionale, con la ragione o col pretesto del modo come i Giovani turchi trattavano i bulgari. Ora è assolutamente inverosimile che un uomo del suo valore, giovane, forte, ambizioso, abbia rinunciato alla lotta; e lo stesso eccessivo riserbo in cui egli si tiene non fa che rendere più attendibile la voce di una sua azione, tanto più efficace, forse, quanto meno appariscente.

In complesso, dunque, la situazione rimane per ora senza soluzione. Nei colloqui dei tre v alì e del ministro della guerra, certo ha prevalso l'avviso di quest'ultimo, il quale è uomo sensato quanto soldato valente. Egli ha voluto, infatti, ristabilire da un lato in Albania il prestigio dell'autorità, prima con scontri fortunati, poi con l'occupazione di Prizrend, Jacova, Ipek; dall'altro, fa procedere al disarmo degli albanesi piuttosto mollemente, ed incomincia a costruire strade. Infine, sembra disposto a comprendere -a quanto me ne ha detto Nessib Bey -che è interesse della Turchia anzitutto fare propria la tesi degli albanesi circa al servizio militare, facendone, ad uso nostro, delle truppe alpine di difesa territoriale.

Quanto a noi, ritengo più che mai che renderemmo un grande servigio, non meno che a noi stessi, alla Turchia ed all'Albania insieme, affrettando la costruzione della ferrovia adriatico-danubiana, con tracciato toccante Prizrend (vedi miei rapporti riservati del 5, 6, 7 marzo al conte Guicciardini)4, e tenendo presente la non minore necessità della ferrovia Valona-Monastir.

3 15 I T. riservato 1866 del 7 giugno.

316

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1899/197. Pera, 9 giugno 1910, ore 20,10 (per. ore 23, 55).

Il vivo malcontento che regna contro l 'Inghilterra, alla quale si attribuisce insuccesso progetto ottomano circa Creta, si accompagna con espressione desiderio riannodare più stretti rapporti con la Germania. Dicesi questa non avere ora minore ragione di essere amica della Turchia che sotto passato regime; le due Nazioni avere anzi un nuovo vincolo nella comunanza di interessi in Persia contro la politica esclusivista di Russia ed Inghilterra.

317

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1473/624. Parigi, 9 giugno 1910 (per. il 14).

La ringrazio per l'interessante riassunto delle conversazioni avute dall'E.V. a Berlino!.

3171 Cfr. n. 310.

Ritengo fondatissima la fiducia che V.E. manifesta sulJ 'azione a Vienna delI'ambasciatore austro-ungarico a Berlino. Egli è sincero amico delJ 'Italia ed ha sempre biasimato gli errori della politica del suo Governo verso l'Italia specialmente nella quistione universitaria per la quale mi consta che negli ultimi mesi del 1909 ebbe ad interessarsi presso Aehrenthal con molta premura.

N o n ho avuto qui occasione di spiegare il carattere della visita di V. E. a Berlino. Nessuno me ne ha tenuto parola, perché nessuno nutre dubbi circa il suo scopo e la sua portata ed io non ho creduto di prendere l'iniziativa di un tale discorso non volendo potesse credersi che io ricorressi ad una excusatio non petita. Del resto qui il Governo e tutti gli uomini politici e giornali seri non hanno più preoccupazione alcuna circa la partecipazione dell'Italia alla Triplice Alleanza poiché cominciano a comprendere che essa è utilissima alla causa della pace e quindi alla Francia stessa. Tale concetto è stato apertamente manifestato dopo la visita di V.E. a Berlino dal giornale il Temps in un notevole articolo che non invio a V. E. poiché I'ufficio stampa di codesto ministero, che segue sempre con particolare diligenza quanto pubblica il Temps, non poteva mancare di segnalarlo all'attenzione dell'E.V. Che pensino alla possibilità del distacco dall'Italia dalla Triplice credo non rimangano altro che il signor Barrère ed il nucleo degli incompetenti, degli irresponsabili e degli chauvins che però in Francia dopo il tramonto del partito nazionalista, è meno numeroso e rumoroso che in Italia.

Del resto i rapporti franco-germanici tendono sempre più a migliorare e d'altra parte la tendenza del popolo francese si manifesta sempre più pacifica. Persino le imprese coloniali che hanno il favore di molta parte della stampa e di un gruppo notevole di uomini politici, suscitano nell'opinione pubblica diffidenze e timori. II Delcassé che è stato rieletto per miracolo nel suo collegio di Foix fu durante la lotta elettorale perseguitato dai suoi avversari al grido di à bas le marocain e questo grido gli fece molto danno solo perché il circondario di Foix aveva perduto nella campagna del Marocco tre soldati.

315 4 R. s.n. del 5 marzo, non pubblicato. Gli altri rapporti non sono stati rinvenuti.

318

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1120/526. Vienna, 9 giugno 1910 (per. il 13).

Durante il suo soggiorno in Vienna, Rifaat pascià venne a vedermi ed io gli restituii la visita. Ma tanto l'una volta che l'altra non ci trovammo vicendevolmente e dovemmo !imitarci a scambiar le carte da visita. Ebbi però occasione di incontrare poi il ministro ottomano degli affari esteri, il quale, nel parlarmi della questione cretese, mi disse che la Turchia non avrebbe mai potuto ammettere che l'isola di Creta fosse annessa alla Grecia e che non comprendeva come si potesse parlare di una simile annessione visto che Creta non aveva mai appartenuto alla Grecia, la quale non poteva quindi vantare nessun diritto sull'isola.

Del resto il Governo ottomano si era convinto che le Potenze non avrebbero permesso che fossero lesi i suoi diritti sull'isola. Esse non erano infatti disposte a riconoscere il giuramento prestato al re di Grecia dai deputati cristiani dell'assemblea cretese né a tollerare che i deputati musulmani i quali avevano rifiutato di prestare tale giuramento, fossero esclusi dalla assemblea.

La Sublime Porta desidererebbe però che le Potenze dessero alla questione di Creta un assetto definitivo, poiché altrimenti essa potrebbe da un momento all'altro provocare complicazioni atte a turbare la tranquillità e la pace.

L'unico modo per risolvere la questione era quello di costituire l'autonomia di Creta sotto l'alta sovranità del sultano. Ma l'Inghilterra esiterebbe tuttora ad entrare in tale ordine di idee per ragioni dinastiche, perché teme che ciò metterebbe in pericolo il re di Grecia e la dinastia ellenica.

Accennando alla Macedonia Rifaat pascià rilevò che il Governo ottomano si adoperava a mantenere l'uguaglianza più perfetta fra le varie nazionalità per impedire che l'ordine pubblico sia turbato. Del resto tanto le grandi Potenze quanto gli stessi Stati balcanici sono animati dal fermo proposito di mantenere la pace e la tranquillità come lo statu quo in Oriente.

Quanto all'Albania, Rifaat pascià mi disse che l'insurrezione era stata domata, che il disarmo della popolazione albanese, la quale aveva già consegnato più di ottomila armi, procedeva regolarmente; e che Schefket pascià si preparava a far ritorno a Costantinopoli.

Rifaat pascià è partito per Budapest al seguito del principe ereditario.

319

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 1908/68. Atene, [10] giugno 1910, ore 0,10 (per. ore 6,30).

Nota diretta dalle Potenze protettrici al Comitato esecutivo cretese è accolta piuttosto favorevolmente dall'opinione pubblica greca, che, raffrontandola con le misure giorni or sono minacciate e tenendo conto presenti difficoltà, la considera soddisfacente, in quanto, senza far progredire questione nel senso aspirazioni nazionali, non la fa però retrocedere. È poi universale convinzione che il provvedimento adottato dalle Potenze protettrici sia dovuto all'azione del re, ma i commenti stampa sono generalmente moderati, in seguito ripetute vivissime raccomandazioni fattele dal Governo, che, con ragione, temeva veder messa in causa persona sovrano ed inacerbita irritazione Turchia.

Nelle sfere ufficiali dominano però vive apprensioni per le notizie provenienti dal finitimo Impero. La campagna albanese che sembra alla vigilia di chiudersi, sia pure in virtù di combattimenti anziché di effettiva sottomissione di quelle popolazioni; gli atti di ostilità commessi recentemente a danno di sudditi ellenici a Kemere ed Remitl per i quali il gran vizir si limitò a promettere «buoni consigli, non potendo fare di più stante l'irritazione popolare»; l'estendersi del boicottaggio; il linguaggio dei giornali ottomani; la presunta distribuzione di armi a Kavalla ecc. ecc. sono qui ritenuti indizi della volontà offensiva della Turchia, la quale cercherebbe per ogni via un appiglio pel conflitto anche per uscire dai suoi interni imbarazzi.

È mia impressione che, nonostante gli attuali corretti rapporti dei due Governi, nonostante la deficienza di mezzi pecuniari e militari della Grecia e la sua conoscenza pericolo, essa possa essere indotta accettare eventuale sfida, ove, per un incidente qualsiasi, sia posta nell'alternativa di sottoporsi o di cercare nelle armi tutela della sua dignità.

La gravità del momento è riconosciuta da tutti e richiederebbe, a mio subordinato avviso, l'annunzio di un prossimo scambio di vedute fra le Potenze protettrici. Anche se questo non arrivasse a decisioni definitive, quali sarebbero altamente desiderabili, servirebbe pur sempre a richiamare sopra di sé interesse generale ed a sopire frattanto pericolosa effervescenza degli animi.

320

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 28. Mogadiscio. l0 giugno 1910 (per. il 2 luglio).

Come ho avuto l'onore di telegrafare all'E.V., il governatore della Colonia inglese, East Africa, mi ha scritto che egli ha fatto stabilire a Mayala, sul confine abissino, una stazione civile e militare e che altre due stazioni saranno al più presto aperte l 'una a Girinlei (nord di Bardera) e un 'altra a Dolo. Il governatore inoltre si è recato personalmente a Kisimajo, insieme col comandante delle truppe ed altri funzionari, ed intende recarsi a Bardera.

All'acuta osservazione dell'E.V. non sfuggirà certo come una nuova attività si vada così iniziando nella Colonia a noi limitrofa, sia nel promuovere le concessioni agrarie e sia nell'agevolare gli scambi commerciali con l'Abissinia. Finora occupazioni militari, né vere agenzie commerciali sotto la ufficiale tutela delle autorità inglesi esistevano lungo il Giuba, poiché a Dolo il commercio era fatto da un arabo e da un indiano nell'interesse e con l'aiuto finanziario indiretto del Governo inglese.

3191 Sic.

Se da parte nostra non provvederemo a tempo, il commercio sarà irreparabilmente perduto. Ora i provvedimenti possono essere di carattere politico e di carattere commerciale.

Politicamente, l'azione di uomini capaci come il Ferrandi e il Cappello si esplicherà nello stringere relazioni coi capi abissini, facendo opera efficace di propaganda; ma evidentemente quell'azione non sarà effettiva se non avremo forze sufficienti per occupare il triangolo Lugh, Dolo, Bur Acaba ed esercitare una tutela vera e propria su tutta la regione a noi sottoposta.

Economicamente, occorre che sieno assicurate in modo stabile le comunicazioni tra Lugh, Bardera e Brava; ma le carovane dovrebbero, a date fisse, con sufficiente scorta, assicurare vie libere e pacifiche al commercio. Solo allora, con intesa coi nostri produttori, e, valendoci di commercianti indiani espertissimi, potremo, dopo aver stabilite a Dolo e a Lugh agenzie commerciali con depositi dei nostri prodotti, riaprire le relazioni e lo scambio delle merci con l'interno. Anche per ciò fare, occorrono mezzi dei quali la Colonia non dispone. Ma il tempo in questa, come in tutte le cose, ha un valore grandissimo: procrastinare è, o non fare, o far poi con maggiori sacrifici; per noi, potrebbe rendere frustraneo l'acquisto fatto di tutta la regione di Lugh.

Dal conte Colli di Felizzano ho saputo che è stato da lui stabilito in massima col Governo abissino di iniziare, al fine della stagione delle piogge, i lavori delia commissione di delimitazione della frontiera.

Ora, come ho già avuto l'onore di esporre all'E.V., sarebbe stato opportuno che la delimitazione avesse seguito, non preceduto, l'occupazione di Revai e Bur Acaba. Uno stato di fatto avrebbe dato ai nostri commissari maggiore autorità e facilità di sostenere le nostre ragioni.

Con il governatore inglese tratterò gli argomenti che interessano nel loro confine le due colonie, come farò dare inizio, seconda il desiderio espressomi dallo stesso governatore, ai lavori della Commissione del Giuba, alla quale ho chiamato a far parte il nostro commissario regionale, cavalier Baccari, il comandante Millo e l'ingegnere Fano.

PS. Andrò a Bardera per visitare, con l'ingegner Fano, la rapida.

321

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1131/527. Vienna, 11 giugno 1910 (per. il 15).

Il barone Malfatti, che è venuto or ora a vedermi, mi ha detto che aveva desiderato informarmi del risultato d'una conferenza che circa la facoltà italiana era stata tenuta pochi istanti prima tra il barone di Bienerth ed i deputati italiani Rizzi e Gentili ed alla quale egli aveva preso pure parte.

In tale conferenza il barone di Bienerth aveva sollecitato anzitutto l'appoggio dei deputati italiani che era necessario al Governo per far votare il bilancio ed aveva fatto quindi conoscere che di fronte all'opposizione che si manifestava nei partiti tedeschi contro l 'istituzione della facoltà italiana in Vienna egli aveva deciso d'istituirla invece in via provvisoria a Modling, nelle vicinanze della capitale, assumendo ad un tempo l'obbligo di trasferirla definitivamente dopo tre anni in una città italiana il cui circondario fosse abitato da popolazioni italiane, che si trovasse in una località non troppo lontana dal centro dell'Austria.

Il barone di Bienerth non aveva però indicato quale avrebbe potuto essere questa città, ma aveva pregato i deputati italiani di fargli conoscere le città italiane che, a loro parere, avrebbero dovuto essere escluse come sede della facoltà italiana.

I deputati italiani non avevano creduto d'insistere di nuovo perché questa fosse istituita a Trieste, giacché nel frattempo, oltre all'essere stati informati dal presidente del Consiglio dell'impossibilità assoluta in cui si trovava il Governo di corrispondere a tale domanda, avevano acquistato la convinzione che alla medesima erano recisamente opposti i partiti militare e navale, come l'arciduca Francesco Ferdinando e lo stesso imperatore. Per cui avevano risposto al barone di Bienerth che non potevano pronunciarsi sulla questione da lui posta, ma che dovevano escludere Modling come sede della facoltà italiana, perché questa sarebbe stata segregata in una località non adatta. Essi però erano disposti ad ammettere che fosse istituita in Vienna, purché il Governo assumesse l'impegno formale di trasferirla dopo tre anni in territorio italiano.

Il barone di Bienerth aveva dichiarato che non poteva che accogliere con favore tale domanda che corrispondeva alla primitiva sua proposta. Nonostante le difficoltà che la sua esecuzione incontrava nei partiti tedeschi, che temevano avesse potuto indurre i czechi, come altre nazionalità, a chiedere l'istituzione in Vienna di proprie facoltà, ciò che avrebbe fatto perdere alla capitale il suo carattere tedesco, egli non avrebbe mancato di adoperarsi a guadagnarli alla proposta stessa ed aveva pregato i deputati italiani di coadiuvarlo in tale intento.

Nel far conoscere al presidente del Consiglio la loro preferenza personale circa la sede della facoltà italiana, i deputati italiani avevanlo però prevenuto di non poter prendere nessun impegno formale in proposito prima di avere consultato i loro colleghi che erano qui aspettati martedì prossimo, ai quali avrebbero riferito le nuove sue proposte.

A questo proposito il barone Malfatti mi disse che supponeva che la città in cui il Governo avrebbe desiderato istituire la facoltà italiana fosse Gradisca, essendo il suo circondario abitato soltanto da popolazioni italiane. Ma egli, come i suoi colleghi Rizzi e Gentili, avrebbero preferito Trento o Gorizia. Per la prima però non vi era speranza che fosse scelta, perché ad essa era contrario il partito militare a causa delle fortificazioni che erano state costruite attorno a quella città. Quanto a Gorizia, il Governo dovrebbe escluderla, giacché in essa e nel suo circondario la popolazione italiana è frammista a popolazioni slave, ciò che potrebbe provocare fra i due elementi lotte ed incidenti che desidera evitare.

Il barone Malfatti crede che se il barone di Bienerth persistesse ne !l 'idea di far istituire in Vienna la facoltà italiana riuscirebbe ad ottenere la maggioranza, anche nel caso che una delle frazioni del partito tedesco vi facesse opposizione, perché in suo favore voterebbero, oltre il partito polacco e gli altri partiti ligi al Governo, quello socialista che ha deciso, in seguito all'impossibilità di istituirla in Trieste, di dare il suo appoggio a qualsiasi altra città per la quale si pronunciasse il partito italiano.

Il barone Malfatti mi ha promesso di tenermi al corrente delle ulteriori decisioni che saranno prese circa la questione dal partito italiano come dal Governo.

322

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1946/159. Parigi, 12 giugno 1910, ore 15 (per. ore 17).

Creta. Quanto ha detto Tewfik pascià a Imperiali l è in aperta contraddizione colle notizie che qui pervengono. Bompard telegrafa a Pichon notizie anche più pessimiste di quelle telegrafate a V.E. da Mayor ed a me comunicate col telegramma di VE. n. 15572. Bompard ritiene ormai inevitabile la guerra con la Grecia, dice che il gran visir è scoraggiato, che Rifaat è esautorato, per essere tornato da Londra e Parigi a mani vuote, e che tutto fa presagire la caduta del Ministero e l'avvento della dittatura militare di Chevket. Pichon si domanda se a Londra sono informati esattamente dal loro ambasciatore a Costantinopoli, riuscendogli inesplicabile l'ottimismo nel quale continuano a cullarsi. Per aprire loro gli occhi, Pichon ha telegrafato a Cambon di leggere testualmente al Foreign Office i telegrammi allarmantissimi di Bompard e crede sarebbe opportuno che Imperiali comunicasse le notizie abbastanza gravi che a VE. invia Mayor. Pichon, nell'interesse della Grecia, vorrebbe ritardare la soluzione definitiva della questione cretese, ma, dice Pichon, ormai è impossibile, per colpa soprattutto dei cretesi ed in parte anche dei greci, e quindi ritorna sulla sua idea che solo annuncio ufficiale che le Potenze hanno intrapreso esame della soluzione definitiva per Creta potrebbe ricondurre la calma; concludendo, egli vede le cose molto in nero e tiene a che possa constare che per parte sua ha dato in tempo allarme ed avvisato ai ripari3.

322 I Cfr. n. 3 Il.

2 T. 1557 del l O giugno che ritrasmette i tt. 1900 e 190 l del 9 giugno, non pubblicati.

3 Per la risposta cfr. n. 324.

323

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 4971174. Pietroburgo, 12 giugno 1910 (per. il 20).

In una visita che feci ier l'altro a questo ministro degli affari esteri, egli mi disse che in questi ultimi tempi il Governo germanico aveva adottato riguardo alla questione persiana un'attitudine più rimessiva e che anche a Londra studiavasi ora a ridurre l'incidente ad assai minori proporzioni. A questi risultati ha indubbiamente contribuito il modo di procedere del Governo russo, il quale si è astenuto dal pretendere dal Governo persiano una risposta alla sua ultima comunicazione relativa alle concessioni in materia ferroviaria e ciò per rispondere ad un desiderio manifestatogli dal barone di Schon, il quale temeva che dalla risposta del Governo di Téhéran avesse a scaturire una situazione di cose che potrebbe obbligare il Gabinetto di Berlino ad un nuovo intervento. La Germania, soggiungeva il signor Izwolskij, è disposta ad ammettere che dalle loro rispettive posizioni in Persia derivino alla Russia ed ali 'Inghilterra diritti speciali, ma ciò ch'essa non vuole è che tale questione possa venir regolata al di fuori di essa. Dal canto suo il Governo russo è disposto ad ammettere questo punto di vista, e si è dichiarato pronto ad accordarsi con il Gabinetto germanico, circa la natura e l'estensione di tali diritti. A questo riguardo continuano i negoziati fra Pietroburgo e Berlino.

Nel corso del colloquio credetti opportuno di nuovamente ripetere al signor Izwolskij quanto già gli avevo detto circa i motivi che determinarono il passo fatto recentemente a Londra dal r. incaricato d'affari in ordine alle cose persiane, e mi feci a spiegargli l'attitudine di stretta neutralità che il Governo del re intendeva assumere al riguardo, e che chiaramente emergeva dalle istruzioni impartite dali' E. V. al cavalier Montagna, di cui non mancai di comunicargli le parti essenziali. Il signor Izwolskij rimase molto favorevolmente impressionato da queste mie parole, per cui mi manifestò i suoi più vivi ringraziamenti.

324

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 1585. Roma, 13 giugno 1910, ore 24.

Creta. Rispondo al telegramma di V.E. n. 1591. Come V.E. ricorda, e come potrà vedere dai miei telegrammi n. 993 del 26 aprile al console alla Canea2, e

324 I Cfr. n. 322. 2 Cfr. n. 237.

nn. 10343, 10584, 11465, 13086, 13147, 14118, 14249, 145610, 156111 a V.E., io, dissentendo anche da Mayor, da Hardinge, dal Governo greco, ho sempre creduto serio il pericolo di un attacco della Turchia contro la Grecia, ed ho sempre sostenuto che per impedirlo convenga dare una soddisfazione morale alla Turchia, e possibilmente impedire ulteriori provocazioni alla Turchia da parte dei cretesi. La cosa più urgente parmi ora che, secondo la proposta di Pichon di cui nel telegramma di V.E. n. 15412, i tre ambasciatori a Londra non tardino più a conferire con Grey per discutere insieme la situazione, confrontare le informazioni pervenute ai rispettivi Governi, e proporre d'accordo i provvedimenti necessari. Ho naturalmente comunicato ad Imperiali tutte le notizie che ho ricevuto e che ho comunicato a V.E. Ora gli comunico il telegramma di V.E. n. 159 e questa mia risposta. Mi pare che non si dovrebbe nemmeno tardare a dare una prima risposta alla nota cretese, escludendo esplicitamente annessione, e a dame subito comunicazione alla Sublime Porta. Prima di accettare la proposta di Pichon dell'annuncio ufficiale che le Potenze hanno intrapreso esame della soluzione definitiva per Creta, bisogna che i quattro Governi si rendano ben conto che tale annuncio li impegnerebbe a trovare realmente tale soluzione, che il trovarla non sarà facile, e che il preannunziarla potrebbe essere pericoloso, visto lo stato degli animi in Grecia, in Creta e in Turchia, e visto che non è certo che le quattro Potenze riuscirebbero a concordarla e ad imporla. I nostri sforzi devono tendere anzitutto al mantenimento della pace e dello statu quo territoriale. In ogni modo, anche nello interesse delle quattro Potenze sarebbe desiderabile che una eventuale soluzione definitiva, la quale potrebbe avere ripercussione in tutte le regioni balcaniche, venisse possibilmente concordata anche colla Germania e coll'Austria-Ungheria.

325

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, LANZA, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

D. 445. Roma, l 3 giugno 1910.

Nel rapporto 22 aprile c.a. n. 16581, del quale le accludo ricevimento, la

S.V. mi manifestava la opportunità di rinviare la questione della revisione dell'ac

324 J T. l 034 del 30 aprile, non pubblicato.

4 Cfr. n. 250 nota 3.

s T. 1146 del 9 maggio, non pubblicato.

6 T. 1308 del 18 maggio, non pubblicato.

7 T. 1314 del 19 maggio, non pubblicato (indicato, erroneamente, col n. 1316).

K T. 1411 del 28 maggio, non pubblicato.

9 T. 1424 del 30 maggio, non pubblicato.

IO T. 1456 del 3 giugno, non pubblicato.

Il T. 1516 del IO giugno, non pubblicato, ma cfr. n. 319.

12 T. 1871/154 del 7 giugno, non pubblicato.

cordo doganale eritreo-sudanese del 20 novembre 190 l, sia perché le trattative col Governo sudanese potrebbero condurci a discutere sull'azione commerciale che noi tentiamo di spiegare a Gondar e regioni dello Tsana, sia perché la soluzione della questione della ferrovia per Agordat permetterà di avere una base certa ed un criterio concreto.

Non ho elementi sufficienti per giudicare sul primo punto, e, d'altra parte, la

S.V. che si trova sui luoghi, è più d'ogni altro in grado di valutare nella sua competenza le difficoltà che trattative del genere possano crearci col Governo del Sudan.

Relativamente al prolungamento della ferrovia per Agordat, ho avuto occasione di mettere innanzi alla S.V. le necessità attuali e le idee del Gabinetto col telegramma 18 maggio n. 13042, dal quale risulta in base a quali direttive la questione debba essere ora esaminata e risolta.

E però prendo atto del parere da lei manifestato di rinviare la questione della revisione anticipata dell'accordo 26 novembre l 90 l, lasciando come di ragione alla E.V piena facoltà in merito, trattandosi di questione di locale [ ...)3.

325 l Non pubblicato.

326

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1972/111. Londra, 14 giugno 1910, ore 0,12 (per. ore 6,35).

Creta. Hardinge mi disse Governo britannico non ritiene accettabile proposta francese di cui telegramma di V.E. n. 1515'. Riunione degli ambasciatori, anche a titolo privato, si presterebbe a false interpretazioni, mentre non avrebbe pratica ragione di essere, non potendo occuparsi soluzione definitiva della questione cretese, ciò che, al momento presente, appare per ovvi motivi inopportuno e pericoloso. A dimostrare, però, ferma intenzione delle Potenze di dare alla Turchia soddisfazione sue giuste domande, il Governo britannico ha incaricato gli ambasciatori del re a Roma, Parigi, Pietroburgo di comunicare la seguente risposta: «Ciascuna delle quattro Potenze invierebbe a Creta seconda nave con equipaggio numeroso. Qualora il Governo locale rifiutasse di prendere chiestogli solenne impe

3252 Il telegramma (dell'Ufficio Coloniale) non è presente nel registro dei tt. in partenza; non rinvenuta copia o minuta neanche nel fascicolo contenente il presente dispaccio. 3 Parola illeggibile.

3261 T. riservato 1515 dell'S giugno, non pubblicato, che ritrasmetteva il T. 1514 sempre dell'S giugno, in cui di San Giuliano comunicava tra l'altro: «Barrère mi ha fatto proposta della conferenza privata fra i tre ambasciatori e Grey a Londra. Ho risposto accettando. È molto preferibile che tale conferenza abbia luogo Londra anziché Roma. Ma sarebbe bene non pubblicare notizia di tale conferenza se non qualora abbia risultato pratico e dopo che lo abbia avuto».

gno di assicurare la libera partecipazione dei musulmani ai lavori dell'assemblea, verrebbe sbarcato un numero adeguato di marinaj con l 'incarico di impedire la riapertura dell'assemblea e di occupare dogane, riscuotendone i proventi, che sarebbero poi restituiti al Governo locale, quando esso avrà obbedito».

Rilevato che la proposta di inviare seconda nave, da un pezzo formulata da V.E., avrebbe forse, se prontamente adottata, già troncato a quest'ora penoso incidente, ho osservato, a titolo beninteso di opinione personale, che, una volta procurata alla Turchia dovutale soddisfazione, le Potenze dovrebbero anche darle instanti consigli di moderazione ricordandole, come già fecero utilmente nell'agosto scorso, che questione cretese non può fornirle pretesto minacciare Grecia, la quale nella questione nulla ha da vedere.

L'agitazione anti-greca attualmente prevalente è, secondo me artificiale, e provocata, oggi come lo scorso agosto, dalla parte più violenta del Comitato, desideroso per motivi interni, di assicurarsi il beneficio di facili successi militari. Se non si provvede a tempo con un opportuno monito alla Sublime Porta, contemporaneamente notificazione ottenutale soddisfazione, le Potenze potrebbero trovarsi in presenza di gravissime complicazioni. Difatti, dichiarata la guerra, la Turchia occuperebbe subito la Tessaglia e nessuna delle quattro Potenze sarebbe in grado di impedirglielo. Nel qual caso, alla già spinosa questione cretese, se ne aggiungerebbe un'altra anche più intricata, perché involgente violazione di principio ormai generalmente ammesso che turchi non possano più rioccupare provincie cristiane già in precedenza evacuate.

D'altra parte, ho concluso, turchi non possono essere ciechi al punto da escludere in modo assoluto una inattesa mossa della Bulgaria, il cui contegno ricomincia a divenire alquanto sospetto. Se poi lo sono, è dovere delle Potenze di aprire in tempo loro occhi, procurando arrestarli quando li vedono avviati strada falsa pericolosa per tutti perché nociva mantenimento pace generale.

Hardinge mi ha risposto condividere in tutto e per tutto mie vedute ed essere piuttosto inquieto per atteggiamento Bulgaria, capacissima, secondo lui, di attaccare turchi quando essi invadessero Tessaglia. In generale, Hardinge si è mostrato poco contento ed alquanto preoccupato per situazione interna Turchia. Avendo, da ultimo, accennato recente curioso linguaggio stampa austriaca, Hardinge mi disse non arrivare spiegarsene motivo né tendenze, teme che vi «possa essere qualche cosa per aria».

327

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

D. 73. Roma, 14 giugno 1910.

Da parecchi rapporti del reggente il r. consolato generale in Zanzibar, commendator Corsi, risulta che, dopo l'arrivo colà del nuovo agente britannico signor Clarke, la politica inglese va svolgendosi con crescente energia all'intento di più completamente affermare l'egemonia dell'Inghilterra in quel Sultanato, restringendo sempre più i privilegi e le funzioni che spettano ai rappresentanti esteri a seconda dell'antico ordine di cose, dalle convenzioni in vigore non espressamente variate se non nei rispetti della giurisdizione contenziosa. Sono sorti in conseguenza di tale attitudine numerosi incidenti di scarsa importanza per sé considerati, ma che pure non sono fuori di significato nei riguardi della politica generale del Sultanato.

In ordine ad essi però e per mantenere intatti i nostri diritti si sono espresse le debite riserve.

Esaminate le questioni che hanno formato oggetto di riserva ed i nostri interessi a Zanzibar, si può dedurre che gli uni e le altre sono di secondaria importanza per noi e per loro natura tali da potersi prestare, fatta eccezione per la questione del regolamento carcerario, ad un'equa transazione sulla base di un do ut des. Si presenta quindi l'opportunità di considerare se non sia consigliabile d'assumere nel Sultanato una attitudine di acquiescenza negli intenti della politica britannica perché alla lor volta le autorità britanniche ci dessero vantaggi equivalenti nella sistemazione delle varie questioni pendenti tra la Colonia della Somalia Italiana e l 'East Africa.

E il momento credo potrebbe essere particolarmente propizio se, come ci viene riferito, l'Inghilterra e la Francia contemporaneamente ai negoziati relativi a Mascate stanno pure svolgendo negoziati interessanti la situazione politica di Zanzibar.

Ho pertanto diretto al r. console in Zanzibar l'unito dispaccio e ho in seguito scritto al governatore del Ben adir per avere dall'un e dall'altro i necessari elementi di giudizio'.

Informo, per ora, la E. V. di questi miei intendimenti e mi riservo, se sarà il caso a suo tempo, di darle opportune istruzioni.

328

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI

D. 58. Roma, 14 giugno 1910.

Confermo il mio telegramma 1365 del 24 maggio p.p. 1 . Per quanto concerne i provvedimenti di Governo da prendersi nel Benadir in relazione alla Etiopia,

onde feci cenno nell'anzidetto telegramma, debbo dirle che colla occupazione di Balad n eli 'Uebi Scebeli rimane esaurita la prima fase dei provvedimenti diretti alla occupazione del territorio. Tuttavia ragioni politiche ed economiche, delle quali ci rendiamo conto, consigliano d'estendere la nostra occupazione alla regione di Scidlè a noi sottomessa, ma non da noi difesa togliendo così di mezzo un focolaio di ostilità la cui ragion d'essere sta nella necessità in cui quella regione si può trovare di dovere unirsi ai dervisci ai nostri danni, per non essere da questi ultimi respinta e nella utilità di assicurare alla Colonia un territorio di grande fertilità.

Dalla parte che confina colla Etiopia, il Governo riconosce la necessità della occupazione di Bur Acaba e di Dolo, e ciò soprattutto può rendere effettiva e vigilata la linea di frontiera verso l'Abissinia.

È stato, però, riconosciuto che con la forza attuale non è possibile procedere ad altre occupazioni, le quali devono essere rimandate a quando un aumento di esse potrà essere effettuato. Noi dobbiamo in conseguenza e per assoluta necessità protrarre il compimento della seconda fase del nostro programma a tempo più lontano quando saremo in grado di disporre delle forze necessarie.

327 l D. 19 del 14 giugno a Corsi e D. 451, pari data. a De Martino, non pubblicati. Per il seguito cfr. n. 482.

328 l Cfr. n. 293.

329

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1405/490. Costantinopoli, 14 giugno 1910 (per. il 23).

L'ambasciatore di Austria-Ungheria ha avuto ieri una interessante conversazione col ministro della guerra e me l'ha riferita stamane.

Mahmud Chefket pascià, che è attualmente l'uomo più autorevole della Turchia, si è mostrato lieto dei risultati ottenuti dalla sua missione in Albania. Rimangono ancora malcontenti, e sulle montagne si aggirano insorti; ma, nel suo complesso la situazione è grandemente migliorata, gli animi si sono calmati, la consegna delle armi avviene senza resistenza. Il Governo intende usare di indulgenza. Vi saranno alcune esecuzioni capitali, pronunciate dalle corti marziali; ad esempio in questi giorni, due impiccagioni. Ma prevarrà la mitezza sulla severità. Gli albanesi sono i migliori ausiliari degli ottomani; hanno formato sempre la parte più eletta degli eserciti turchi. Il Governo non vuole alienarseli.

E siccome il marchese Palla vicini osservava che vietare l 'uso dell'alfabeto latino, dagli albanesi adottato, proscrivere dalle scuole lo studio della lingua albanese avrebbe appunto per risultato di inimicare quelle popolazioni fedeli al loro passato ed alla loro nazionalità, il ministro della guerra rispose che a torto gli si erano attribuite decisioni di tal fatta, che egli non ha prese, che non spetta a lui prendere, poiché è ministro della guerra e non della pubblica istruzione.

Passando a parlare di Creta, Mahmud Chefket disse che non aveva potuto seguire con grande attenzione le vicende della crisi attuale, né, tornato da così poco, discorrerne esaurientemente coi colleghi. Secondo la sua opinione, il grande errore commesso risale a tempo addietro e fu il ritiro prematuro delle truppe internazionali; ed il solo rimedio che egli vegga alla situazione attuale, poiché non si vuole o non si può dare alla questione una soluzione definitiva, è la rioccupazione dell'isola per parte delle truppe internazionali. Secondo Mahmud Chefket non occorrono grandi forze: un battaglione per Potenza basterebbe; ma senza una forza internazionale nell'isola che affermi l'autorità dell'Europa e dimostri tangibilmente ai cretesi il suo volere di dirigerne ancora le sorti, non si sa di che essi sarebbero capaci. Mentre cedono sui punti loro imposti -l'ammissione in funzioni dei deputati e dei magistrati, senza giuramento -possono con altri fatti affermare il loro ellenismo, ed è a temere che lo affermino, per esempio, in occasione delle prossime elezioni elleniche. Ad evitare ogni sorpresa, occorre uno sbarco di truppe, anche se non sembra esservi attuale motivo di sbarco. Questo, l'unico modo, secondo Mahmud Chefket, di dare un po' di respiro a tutti coloro che la questione cretese agita e preoccupa. E quando si rifletta che tutta l'Europa, tutto il mondo civile è in pensiero per trecentomila isolani, broglioni e caparbii, il resultato da conseguire vale mille volte il lieve sforzo necessario.

330

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 179/58. Teheran, 14 giugno 1910 (per. il 4 luglio).

Con la serie di rapporti che mi sono fatto un dovere, negli scorsi giorni, di dirigere a V.E., ho voluto, in certo modo, colmare la lacuna occasionata, nel servizio d'informazione di carattere politico, dalla mancanza del titolare in questa r. legazione per circa due mesi e fornirle, senza ritardo, tutti quei ragguagli che mi è stato possibile di raccogliere per formarsi un concetto esatto su la situazione che si è andata creando qui sia nei riguardi interni sia dal punto di vista internazionale. Per tal guisa agendo ho creduto di corrispondere, intanto, ad uno dei capisaldi -forse il meno difficoltoso -delle istruzioni che E.V. si è compiaciuta impartirmi con il dispaccio n. 21 del 26 aprile u.s.l. In omaggio a sì fatte istruzioni continuerò attivamente, e via via con maggiore efficacia, ad indagare e ad informare su tutto il R. Governo. Al tempo istesso non voglio astenermi dal novellamente assicurare la E.V. che per quanto desto e scrupoloso sia io per essere nel disimpegno di simile compito, terrò, sempre, come ho sinora fatto, per norma le

330 I Cfr. n. 238.

saggi e ed opportune direzioni che ella mi ha voluto dettare circa l'atteggiamento cauto, riservato e neutrale che si addice al rappresentante d'Italia a Teheran specie nelle presenti circostanze.

A tale proposito mi è d'uopo aggiungere che altre ragioni alle quali strettamente si riconnette lo svolgimento del delicato incarico affidatomi, mi spingono non solo a non dipartirmi da quelle direttive, ma ad adoperarmi, con ogni possa, a dissipare, per quanto riguarda le intenzioni del R. Governo e del suo agente, quella atmosfera dubbiosa ed incerta che sembra avvolgere e preoccupare questo ambiente diplomatico estero. In fatto, come mi prediceva il conte de Quadt in una amichevole conversazione, pochi giorni dopo il mio arrivo a Teheran, non ho tardato a rendermi conto della relativa mancanza di quell'affiatamento e di quella coesione che in un posto così lontano sarebbe naturale esistessero fra i rappresentanti delle nazioni civili i quali rispetto alla popolazione indigena, presi tutti insieme, presentano l'analogia di una oasi nel deserto.

Da quanto ho potuto comprendere sì fatto stato di cose è del tutto nuovo a questo posto e sembra datare solo dal momento in cui sono apparsi su la scena della questione persiana gli ultimi contrasti e le diffidenze fra la politica anglorussa da un lato e la tedesca dali' altro.

Mi sarei limitato ad accennare appena ed altrove alle circostanze medesime, e non qui in modo così determinato se a prescindere da ciò che effettivamente avviene fra alcuni colleghi non mi fosse apparso che quell'atmosfera di dubbi e d'incertezza non ha risparmiato neppure me che or ora giunto e nuovo del posto non si potrebbe se non a torto considerare come fattore di una situazione incresciosa. Sin dai primi momenti di fatto mi è sembrato di notare verso di me da parte dei rappresentanti di Russia e di Inghilterra, che ho già incontrato varie volte, un contegno per quanto correttissimo, altrettanto riservato e privo di cordialità. Dei due anzi più accentuato in ciò il signor Marling, incaricato d'affari della Gran Bretagna. Non avrei dato peraltro soverchia importanza a quella osservazione, attribuendola piuttosto ad un mio errore immaginativo, se oltre a sovvenirmi delle parole del mio collega di Germania non mi fosse occorso, in conversazioni su argomenti insignificanti, sentirmi accennare, incidentalmente, fra il serio e lo scherzo, da qualche membro della legazione russa, alla solidarietà generale della Triplice, a manifestazioni tripliciste ecc. ecc. Io sarei ben lieto se con il tempo potessi persuadermi che le mie congetture sono il frutto di una impressione esagerata, ma allo stato delle cose voglia V.E. permettermi di manifestarle che non credo di errare ritenendo che il malcontento e sia pure il sospetto, provocato presso i Gabinetti di Londra e di Pietroburgo dal dubbio che l'Italia si disponesse a secondare la Germania nelle supposte sue mire in Persia, diffuso a questo ambiente sovreccitato e soverchiamente sensibile alle impressioni di carattere politico, sia la causa diretta della freddezza e della mal celata diffidenza dei miei colleghi di Russia e d'Inghilterra. Ed il peggio si è che per quanto rapida ed intensa si manifesta qui l'azione eccitatrice dei contrasti e delle opposte tendenze politiche, altrettanto debole e lenta appare l'azione cauta e moderatrice dei Governi d'Europa che oltre al problema persiano hanno ben altri e numerosi interessi da curare. Dirò a sì fatto proposito che malgrado le amichevoli disposizioni ed i recenti passi concilianti fra la Germania e la Russia, di cui ella si è compiaciuta di tenermi al corrente con i dispacci ed i telegrammi di questi ultimi giorni, qui la situazione nei riguardi dell'atteggiamento e delle direttive cui si attengono i rappresentanti di quelle Potenze, ai quali unisco l'inglese, non sembrano aver subito alcuna modificazione. Sicché si è indotti a ritenere o che le nuove norme informative della condotta da seguirsi non sono ancora state comunicate oppure, come spesso me se ne affaccia il dubbio, che i tre Gabinetti facciano in Europa una politica differente da quella che seguono in Persia.

Di fronte a tutto ciò la posizione dell'Italia -e VE. non mancò di manifestarmelo -è netta, chiara, sicura. Essa non ha alcun interesse ad immischiarmi in quelle contese parteggiando per l'una o per l'altra Potenza in giuoco.

A giorni, passando in campagna ove si sono già trasferite tutte le missioni straniere, prenderò maggiore e più continuato contatto con i colleghi. Mi varrò di ogni mezzo per guadagnare, da parte di tutti indistintamente e nei modi appropriati a ciascuno, la fiducia e la benevolenza che mi occorrono per svolgere intero il compito assegnatomi da VE. Ma l'ausilio più efficace, presso alcuni di essi, mi attendo dai benefici effetti che non potrà mancare di produrre anche qui, quando vi giungeranno le informazioni dei rispettivi governi, la conferma delle rassicuranti dichiarazioni circa i propositi dell'Italia fatte dai rr. rappresentanti ai Gabinetti di Londra e di Pietroburgo.

I nostri interessi in Persia sono attualmente ben limitati. Essi possono tuttavia svilupparsi ed accrescersi. Ma perché ciò avvenga è soprattutto necessario inspirare in specie alle Potenze per le quali la questione persiana è problema di massima importanza e che esercitano-a torto od a ragione-un'influenza preponderante sul Governo locale, la convinzione che l'Italia desidera solo, come ne ha il diritto, di svolgere, in questo paese, il suo programma commerciale ed economico e, per quanto le circostanze lo permetteranno, un'azione di civiltà e di progresso2.

331

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1991/112. Londra, 15 giugno 1910, ore 2 (per. ore 20).

Rispondo al suo telegramma n. 14101. Debbo anzitutto constatare divergenza tra vedute di Pichon che torna ad insistere per soluzione definitiva con quelle

manifestatemi in modo positivo sabato e jeri da Cambon. Quest'ultimo, al pari di

V.E. di me e di Hardinge, trova inopportuno e pericoloso discutere ora soluzione definitiva. La quale, in qualsiasi modo concretata, si presterebbe a sollevare gravi complicazioni. Che cosa faranno ad esempio le Potenze se, come è ovvio prevedere, adottandosi soluzione desiderata dalla Turchia contrariamente innegabili incoraggiamenti fino ad ora dati cretesi, questi ultimi insorgessero? Lasceranno mano libera alla Turchia? Certamente no. Rischieranno vite proprii soldati per soffocare nel sangue aspirazioni nazionali cretesi, coronando con tale odiosa misura loro azione protettrice e sollevando vivacissime recriminazioni rispettivi Parlamenti? Sono queste, parmi, eventualità che elementare prudenza consiglia di prevedere prima di prendere così grave decisione. Come VE. saggiamente osserva, allo stato attuale delle cose, azione delle Potenze deve anzitutto mirare ad eliminare ad ogni costo pericolo guerra. Tale scopo sarebbe più facilmente raggiunto se, senza ulteriore perdita di tempo, le Potenze dessero dovuta soddisfazione alla Turchia, rivolgendole in pari tempo monito di cui tratta il mio telegramma n. 1112. Uomini prudenti e saggi del Governo ottomano debbono anch'essi rendersi conto che il dichiarare guerra alla Grecia anche con la certezza di successo, se può sorridere agli esaltati del Comitato, non risponde agli interessi generali dell 'Impero. Conviene quindi facilitare azione pacificatrice del Governo ponendo lo in condizioni di magnificare il successo ottenuto mediante energici provvedimenti delle Potenze per frenare le velleità annessioniste dei cretesi e nuove solenni assicurazioni ricevute dalla ferma intenzione delle Potenze di mantenere intatti i diritti «sovrani» del sultano.

Su quest'ordine di idee, da me esposto sabato a Cambon a titolo personale, Cambon convenne pienamente; egli mi disse jeri che, avendo letto recenti telegrammi Bompard enuncianti su per giù vedute conformi alle mie, Cambon aveva di sua iniziativa chiesto al Foreign Office se esso sarebbe stato eventualmente favorevole all'invio alla Sublime Porta di una nota in cui venissero ad un dipresso svolti i punti seguenti:

l) riaffermazione dei diritti «sovrani» del sultano;

2) comunicazione delle misure energiche adottate dalle Potenze a Creta;

3) esortazione alla calma e moderazione, ricordando precedenti avvertimenti che la questione cretese, di competenza esclusiva delle Potenze protettrici, non può fornire alla Turchia occasione di misure militari contro la Grecia.

Cambon riterrebbe, da ultimo, opportuno di aggiungere una quarta dichiarazione per far rilevare alla Turchia che eventuale discussione soluzione definitiva non potrebbe essere iniziata senza la partecipazione della Germania e de li'Austria-Ungheria.

Hardinge essendosi dichiarato in massima favorevole alle vedute anzidette, Cambon le ha comunicate a Pichon, dal quale, però, non ha ancora avuto risposta.

Permettomi di raccomandare caldamente a V.E. questo suggerimento di Cambon e mio. Oltre vantaggio assicurare pace, esso presenta, a mio avviso, anche quello di fornire alle Potenze propizia occasione di uscire dalle attuali incertezze e di manifestare in modo più chiaro e categorico le loro reali intenzioni circa la questione cretese, della quale unica, prudente, razionale soluzione, al momento presente, può enunciarsi con semplice formula: mantenimento integrale rispetto diritti sovrani del sultano; odierno statu quo: in altri termini, non un passo avanti né uno indietro.

Recenti avvenimenti al Pireo rendono, a mio avviso, indispensabile contemporaneo severo richiamo Grecia per invitarla ad astenersi da qualsiasi atto di natura a compromettere le sue relazioni con la Turchia.

Per norma di linguaggio, sarei grato a V.E. telegrafarmi se questi miei concetti generali sono da lei approvati.

Cambon non mi è sembrato eccessivamente entusiasta proposto concentramento dei negoziati cretesi a Londra. Al riguardo, mi disse jeri, che solo annunzio della escogitata conferenza aveva provocato da Costantinopoli ordini a Tewfik pascià di manifestare al Foreign Office intenzione della Sublime Porta di farvi partecipare il suo ambasciatore.

330 2 Allegata al presente rapporto è la seguente annotazione: «Approvare. Sul nostro atteggiamento, che poté essere erroneamente interpretato a Londra, a Pietroburgo, abbiamo subito chiarito l'equivoco. Ogni dubbiezza sparirà definitivamente in seguito al nostro contegno, ed, in particolare, a quello riservato e cauto che è a lui prescritto dalle istruzioni. Copia a Londra, Parigi, Vienna, Berlino, Pictroburgo, Costantinopoli». Su questa base venne redatto il D. 23 del 9 luglio, non pubblicato.

331 l T. 141 O del 28 maggio, non pubblicato.

331 2 Cfr. n. 326.

332

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 997/343. Londra, 15 giugno 1910 (per. il 25).

Faccio seguito al mio rapporto n. 341 in data di ieri I.

La questione di Creta è stata oggi, alla Camera dei Comuni, nuovamente oggetto di interrogazioni a sir Edward Grey, il quale ha risposto con dichiarazioni più ampie di quelle fatte ieri. Qui accluso le trasmetto il testo2.

Sir Edward Grey ha oggi dato ai cretesi, nella forma la più chiara e la più esplicita, l 'ammonimento di ristabilire lo statu quo e di non più infrangerlo. Egli ha dichiarato:

I. che se si dovesse oggi trovare una soluzione definitiva del problema cretese non potrebbe a suo personale avviso, esservi questione di annessione della Creta alla Grecia; e che coll'insistere nel violare lo statu quo i cretesi forzeranno le Potenze a trovare una soluzione definitiva; questa soluzione a quanto gli è da

2 Non allegato al documento.

to di giudicare, sarebbe, per quel che riguarda l'annessione alla Grecia e le aspirazioni dei cretesi, probabilmente meno favorevole del presente stato di cose.

II. Che le Potenze non addiverranno a nessun definitivo regolamento dello status dell'isola senza consultare la Turchia.

III. Che se vi sarà un cambiamento definitivo nella situazione di Creta, le Potenze dovranno consultare la Germania e l'Austria-Ungheria.

Sir Edward Grey ha poi rilevato l'atteggiamento perfettamente corretto della Grecia, ed ha detto che finché la Grecia non interviene nella questione di Creta, non offende o provoca la Turchia, non v'è legittima causa di rottura della pace in Oriente.

Le dichiarazioni di sir Edward Grey hanno incontrato il plauso generale. Sono esse degne di nota anche per il tono reciso, virulento da lui adoperato a smentire le voci tendenziose messe in giro dalla stampa austriaca e germanica, voci da lui senza complimenti, qualificate, di «un true statements which when circulated in the foreign press, are bound to make generai international good feeling more difficult». Come mi faceva osservare con manifesto compiacimento un eminente parlamentare di opposizione il rebuke amministrato dal segretario di Stato alla stampa austro-germanica, non poteva essere né più deciso né più meritato.

Questa inattesa levata di scudi della stampa austriaca e germanica, questa ingiustificata e tendenziosa campagna anti-inglese che ora accenna fortunatamente a cessare, non poteva giungere più male a proposito. Essa di fatti è venuta a risollevare sospetti che si dileguavano ed a rinfocolare malumori e risentimenti che per cause molteplici accennavano gradatamente ad affievolirsi. E poiché sono in tema di stampa debbo pure segnalare che qui ha prodotto assai sgradita impressione il linguaggio della stampa francese nella recente fase della questione cretese, linguaggio -affermasi -dovuto a non disinteressate influenze esercitate dalla finanza internazionale. E nemmeno è piaciuto il subitaneo contegno accentuatamente turcofilo assunto dal Governo francese, in contraddizione manifesta con l'atteggiamento calmo, prudente, e misurato del suo ambasciatore signor Cambon, del quale VE. conosce bene quanto eminente sia la posizione qui goduta per l'alta stima e la perfetta fiducia nella sua rettitudine riposta dal Governo e dall'opinione pubblica britannica. Lo zelo ad un tratto spiegato dal signor Pichon nel caldeggiare, ad ogni costo, con metodi alquanto agitati e tumultuarii, la immediata soluzione definitiva della questione cretese, ha prodotto tanto maggior sorpresa e stupore in quanto lo stesso signor Pichon, ora è appena un mese, aveva, nei colloqui avuti con sir Edward Grey e sir Charles Hardinge, riconosciuto l'impossibilità materiale di trovare oggi una soluzione definitiva di questa così intricata questione cretese. E siccome poi qui non si dimentica tanto presto e facilmente il passato, così sir Edward Grey al pari di Charles Hardinge non si sono privati del piacere di ricordare a Rifaat Pascià ed a altri che, non molti mesi indietro, lo stesso signor Pichon e l'allora presidente del Consiglio, signor Clémenceau, caldeggiavano con uguale interesse e premura l'annessione di Creta alla Grecia. Il contegno recentissimamente mutato del signor Pichon darebbe luogo a supporre che il signor Cambon non gli abbia nascosto che egli batteva falsa strada e non contribuiva a favorire e sviluppare l'Entente Cordiale. Di tale impressione sgradita, che mi era sembrato di intravvedere in colloqui avuti con persone entro e fuori il Foreign Office, ma della quale il grosso pubblico non ha naturalmente avuto sentore, ho potuto avere la conferma discorrendo, ieri, con un giornalista dei più importanti, più influenti, e più in contatto coi personaggi sia del Governo che della opposizione. «It is the second time -mi diceva testualmente l'interlocutore -that french-men are playing us false. Last year it was Bosnia, this time it is Crete. Is this game to go on at every fresh complication? And if so what of the Entente Cordiale? And how can we afford going on quarelling with Germany with such unsteady friends at our side?». Ho riferito questa frase testuale, oltre che come riprova del risentimento contro la Francia, come l 'indicazione di una certa tal quale tendenza, per ora allo stato latente ed appena embrionale, che parmi cominci a farsi timidamente strada nel senso di disposizioni meno ostili verso la Germania. Ripeto tratta si per ora di un semplice filo d'erba che potrebbe, o meno, arrivare col tempo a germogliare e prendere radice a seconda dello svolgersi degli avvenimenti e soprattutto a seconda del maggiore o minore entgegen Kommen che una eventuale e più accentuata modificazione delle presenti ostili diffidenze inglesi contro la Germania, fosse per incontrare da parte del Grande Impero. Io sono da troppo poco tempo qui per potermi permettere di manifestare, in questione così complessa e delicata, una opinione decisa, in perfetta conoscenza di causa. Mi limito quindi a sottomettere queste mie impressioni all'E.V., più specialmente competente a valutare il peso e l'importanza che bisogna attribuirvi.

Il discorso di sir E. Grey ed il breve dibattito parlamentare sulla questione cretese mi forniscono argomento a segnalare un 'altra osservazione: a riguardo delle disposizioni qui ora prevalenti verso la giovane Turchia. Leggendo tra le linee dei discorsi pronunziati dal segretario di Stato, al pari che da i vari deputati, si rileva facilmente che la nota di ardente, entusiastica simpatia degli anni scorsi si è questa volta sensibilmente attenuata, al punto che un deputato liberale ha potuto esclamare, senza sollevare recriminazioni né proteste: «Can you truthfully cali the turkish Gouvernment anything but a military despotism?».

Tale attenuazione delle simpatie inglesi, o più esattamente direi della fiducia dell'Inghilterra nell'avvenire della Turchia, ho avuto agio di constatarla io stesso in colloqui avuti con uomini eminenti di varii partiti. Mr. Asquith, Mr. Balfour, lord Kitchner, lord Reay sapendomi venuto da Costantinopoli, mi hanno naturalmente intrattenuto delle cose di Turchia. Accanto al desiderio sincero di vedere prosperare l'esperimento di Governo costituzionale e l'intenzione benevola di aiutare i turchi a superare l'ardua prova, non ho avuto fatica a scorgere un certo tal quale sentimento di disillusione, di scetticismo non disgiunto da alquanta preoccupazione per eventuali subitanei, spiacevoli avvenimenti.

Un altro autorevole giornalista che ha dimorato per molti anni in Turchia e che era in passato entusiasta addirittura dei Giovani Turchi con alcuni dei quali aveva stretto legami di amicizia fino all'epoca del sultano Abdul Hamid, andava anche più lontano dicendomi: «l am afraid it is hopeless!».

Mi risulta inoltre in modo positivo che le notizie inviate dal corrispondente speciale del Times incaricato di seguire i movimenti dell'esercito turco contro gli albanesi sono tutt'altro che favorevoli per quanto concerne l'organizzazione la disciplina ed in generale il contegno degli ufficiali e delle truppe. Lo sono anzi tanto poco che si è preferito di non pubblicare le corrispondenze. E quanto alla opinione che sugli affari di Turchia regna nella city non ho che a ricordare la lettera già comunicata a VE. col mio rapporto n. 3084.

Questo raffreddamento delle simpatie inglesi per i Giovani Turchi mi parrebbe si possa attribuire ad un insieme di cause. Riassumerei così le più importanti:

I. Apprezzamento più freddo e più esatto, succeduto agli entusiasmi del primo momento, delle difficoltà e degli ostacoli che converrà superare prima di poter considerare la Turchia trasformata e rigenerata sul serio sotto un regime di bene intesa e bene ordinata libertà.

II. Ripugnanza e diffidenza istintiva del popolo inglese verso un regime solo di nome costituzionale e liberale, ma di fatto dittatoriale, nel quale, la somma del potere continua a risiedere in mani occulte e irresponsabili, non tutte egualmente oneste e disinteressate.

III. Malcontento per la constatazione che l'influenza inglese non si è, come si era forse sperato in principio, stabilita dirimente e preponderante sulle rive del Bosforo con la totale annichilazione di quella germanica.

IV. Irritazione per le difficoltà e gli ostacoli incontrati nella favorevole soluzione di affari economici interessanti direttamente l'Inghilterra.

In complesso le osservazioni che ho potuto fare su quelle che a me sembrano le vedute e le disposizioni attuali di questo Paese a riguardo degli affari di Turchia, vengono a confermare l'impressione già da me più volte manifestata a VE., nei colloqui avuti con lei al termine della mia missione in quell'Impero, impressione del resto che sembrami condivisa anche dal mio autorevole successore. In base a tali impressioni io mi permetto di insistere sulle vedute che sin dai primordi del nuovo regime non ho mai cessato di manifestare: essere cioè supremo interesse italiano di aiutare con tutti i mezzi il regime liberale-costituzionale ottomano, partendo dal sano e giusto concetto che una Turchia rigenerata e veramente forte è la migliore e più sicura garanzia del mantenimento della pace e di quello statu quo che tanto ci sta a cuore di non veder turbato. Ma, d'altra parte, aver bene gli occhi aperti tenendoci, col prendere in tempo debito tutte le possibili precauzioni, sempre preparati per non !asciarci sorprendere da gravi avvenimenti dei quali, allo stato attuale delle cose, non è possibile escludere a priori J'inopinato verificarsi da un momento all'altro.

332 l R. 990/341, in realtà del 15 giugno, non pubblicato.

332 3 Non rinvenuto.

333

IL REGGENTE IL CONSOLATO A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 658/104. Canea, 15 giugno 1910 (per. il 23).

Jeri, qui nel mio studio, ove è venuto a visitarmi, ho avuto un lungo ed interessante colloquio con un influente membro del partito venizelista che, per due volte in passato, ha fatto parte del Governo cretese.

Egli, visibilmente scoraggiato per la critica situazione in cui travasi il suo Paese e, molto in pensiero per le sue sorti, ha cominciato col dirmi che Creta ripone ormai tutte le sue speranze in una sola Potenza: l'Italia, ed in un sol popolo: l'italiano; le prove effettive della benevolenza dell'una e della simpatia dell'altro mai essendo venuto meno. La Francia, nella sua opinione, in questi ultimi tempi, impressionata dal minacciato boicottaggio alle sue merci ed ai suoi piroscafi, nei porti turchi, cercherebbe, con una politica antiellenica e turcofila, di allontanare quel pericolo; l'Inghilterra, sempre contraria all'annessione, fin dalle più lontane epoche, non avrebbe oggi cambiato linea di condotta, mentre la Russia, alleata della prima, tenderebbe piuttosto a seguirla che a distaccarsene. L' Italia sola, coerente a se stessa, non nasconderebbe le sue simpatie per la causa nazionale, dimostrandolo anche con prove tangibili, quali la vendita alla Grecia dell'incrociatore «Averoff».

Fatto questo preambolo che io, naturalmente, ho ribattuto con acconcie parole, alle quali egli ha risposto pregandomi di scusarlo se mi parlava col cuore in mano e senza fronzoli, è entrato subito nel vivo della situazione politica attuale. Il Governo venizelista, egli mi ha assicurato, non può più lungamente sostenersi; Venizelos, non appena montato al potere, ha commesso degli errori e tra essi primo l'immediata e precipitata sostituzione dei suoi amici ai suoi avversari nei pubblici impieghi. Questo fatto ha prodotto grave malcontento nell'opposizione ed ha avuto un contraccolpo tra i più esigenti del suo partito le cui file minacciano di disgregarsi. In pericolo di perdere la sua esigua maggioranza di quattro voti

(R. 23 maggio n. 89)I, egli si trova oggi nel bivio: o di appoggiarsi ali' opposizione, formando un Governo di coalizione, o di dare le sue dimissioni, rendendo in cotal modo sempre più acuta l'attuale fase della questione cretese.

I suoi amici intanto -egli è sempre costretto in letto -stanno lavorando per il governo misto, ma gli avversari si mostrano diffidenti e, soprattutto, esigenti. Essi per aderire, impongono la partecipazione al Governo dei varii capi-gruppo del partito michelidakista e, specialmente, del Kunduros, uomo di precedenti amministrativi non corretti e noto sobillatore delle masse; la riammissione in servizio di tutti gli impiegati licenziati.

333 I R. riservato 556/89, non pubblicato.

Se il governo di coalizione potesse essere costituito -e verrebbe composto di numerosi membri, per accogliere tutti i capi-gruppo -si riconvocherebbe l'assemblea per l'epoca fissata, all'unico scopo di procedere all'elezione del nuovo comitato esecutivo per poi aggiornarla a lunghissima scadenza; in tal modo non si avrebbe che una sola seduta di poche ore alla quale, si spera, non interverranno i musulmani. Il Governo risponderebbe alle note delle Potenze indirizzategli il 6 ed il 9 corrente; circa l'ammissione dei delegati musulmani all'assemblea, Venizelos vorrebbe che la risposta riconoscesse, come principio, il buon diritto dei musulmani; questo riconoscimento però, di fatto, non arrecherebbe cambiamento veruno all'attuale situazione giacché -sciolta l'assemblea -verrebbe a mancarne l'applicazione pratica. L'incidente così non verrebbe definito, ma rinviato ad epoca indeterminata. P el momento, l'opposizione sembra contraria alla risposta ideata da Venizelos, ma non è improbabile che, una volta al potere, finisca anch'essa per accettarla.

Dato invece che il proposto accordo fallisse, il signor Venizelos, presentandosi all'assemblea constatasse essere in minoranza, darebbe le sue dimissioni; ai suoi avversari allora -basati anche essi su una minima maggioranza -spetterebbe il governo ed a questo la risposta alle Potenze.

Da quanto più sopra sono venuto esponendo, avverandosi le ipotesi che mi sono state fatte, ben si vede come sarà difficile pel signor Venizelos mandare ad esecuzione il suo progetto, troppo ottimista, sommariamente esposto al mio collega d'Inghilterra e da me telegrafato all'E.V.2. Viviamo adunque nel buio più fitto ed ora, più che mai, si naviga verso l'ignoto.

Passando ad altro ordine d'idee, il mio interlocutore mi ha confidato sentire imperioso in lui il dovere d'informarmi, nella forma più riservata e confidenziale, di ciò che potrebbe avvenire qualora le Potenze Protettrici decidessero rioccupare l'isola. Questa volta, a differenza di quello che avvenne nel 1897, le truppe straniere non sarebbero accolte, dalla popolazione, come amiche e liberatrici, ma come nemiche; non però nel senso d'incontrare nell'isola un'opposizione armatache sarebbe somma stoltezza -ma in quello di trovarsi di fronte ad una resistenza passiva, consistente ne Il 'abbandono, da parte dei cretesi, di tutti, indistintamente, i pubblici uffici. Di questa forma di ostruzionismo -già adottata con buoni risultati dall'elemento cristiano contro la Sublime Porta nel 1889 -ho fatto oggetto del mio R. 2 corrente mese n. 993, nel quale incorsi in qualche lacuna ed inesattezza che ora, grazie al mio cortese informatore, sono in grado di colmare e correggere. A differenza di quanto scrissi, l'abbandono di cui sopra non verrebbe limitato alle sole tre principali città, ma esteso a tutta l 'isola, cosicché le Potenze si troverebbero nell'obbligo di fare una completa ed effettiva rioccupazione per mantenere l'ordine pubblico e per proteggere i musulmani che si troverebbero

3332 T. 1970/79 del [13] giugno, non pubblicato. 3 R. riservato 611/99, non pubblicato.

esposti -per Io meno quelli sparpagliati nell'interno -alle peggiori rappresaglie da parte dei cristiani.

Da qui, la necessità di forze armate in numero maggiore di quello esistente prima ed al momento del ritiro, avvenuto nello scorso luglio. La milizia e gendarmeria cretesi, verrebbero sciolte e su esse, naturalmente, non potrebbesi fare assegnamento alcuno.

Nel ringraziare il mio visitatore delle sue informazioni -dovute, credo, alla stima che personalmente mi professa -non ho mancato di fargli presente come, pur non avendo alcuna notizia sulle intenzioni delle Potenze Protettrici, egli ed i suoi compatriotti dovevano persuadersi che esse avrebbero, senza dubbio, fatto rispettare quella qualunque risoluzione che avessero creduto di dover prendere.

Dopo di che la conversazione è caduta su altri soggetti, quali: gli armamenti attuali in Grecia ed in Creta sui quali riferisco in separato rapporto; l'imprestito che la Grecia conta fare in Francia di 140 milioni di franchi; l'acquisto dell'incrociatore «Averoff», nei nostri cantieri; la nessuna educazione politica data alle masse in questi ultimi tempi ed altri di minore importanza.

Nel portare a conoscenza dell'Eccellenza quanto sopra e, specialmente richiamando l'attenzione sua, su ciò che riguarda i particolari della resistenza che qui si prepararebbe all'eventuale invio di truppe internazionali ...

334

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 319/63. Addis Abeba, 16 giugno 1910 (per. il 18 luglio).

Nell'accusare ricevimento del dispaccio n. 44 del 14 maggioi sulle assicurazioni date dal ministro degli esteri di Francia, signor Pichon, al r. ambasciatore in Parigi che sarebbero state tosto spedite al ministro della Repubblica in Addis Abeba istruzioni identiche a quelle a me impartite da codesto R. Ministero con telegramma n. 910 del 18 aprile2, e dei tre rapporti che all'argomento si riferiscono, ho l'onore di informare V.E. che fino ad ora da quanto a me risulta, o per meglio dire, da quanto appare dalla condotta di questo ministro di Francia, le istruzioni suddette non sarebbero state impartite o per lo meno non avrebbero avuto un notevole effetto, poiché invero egli non si è per nulla dipartito da quella ostentazione di riservatezza e di isolamento che caratterizza l'azione di questa le

334 I Non pubblicato. 2 Cfr. n. 221.

gazione di Francia e che è ben l ungi di rispondere allo spirito ed ai fini dell' Accordo del 13 dicembre 1906.

Ho però già affermato a V.E. ed insisto nuovamente oggi nel far rilevare che i miei rapporti personali coll'attuale ministro di Francia sono improntati alla più grande cordialità né mai si sono rinnovati i dissidi che si verificarono col suo predecessore, signor Klobukowski, ma è pur vero che essi sono ben lontani da rispondere a quella reciproca fiducia ed a quell'affiatamento che esiste invece tra questa legazione d'Italia e quella d'Inghilterra.

Nel mio rapporto n. 49 del 22 aprile u.s.3 sulla situazione politica in Abissinia ho riferito a V.E. quali furono e come si svolsero i rapporti fra le legazioni di Francia di Inghilterra e d'Italia che regolarono l'azione comune delle legazioni suddette di fronte ad essa: all'infuori di tali rapporti nessuna altra forma d'intesa intervenne per rendere più intima ed efficace un'azione comune, e per aumentare di fronte ali'Abissinia il prestigio ed il valore d eli'Accordo del 13 dicembre; e non mi perito dall'affermare che tale intimità di accordo non è nelle vedute del Governo francese o per lo meno dei suoi rappresentanti in Abissinia, che si ostinano a sperare di poter ottenere dalla loro azione isolata una posizione privilegiata.

335

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2026/115. Londra, 17 giugno 1910, ore 19,32 (per. ore 23,50).

Creta. In seguito colloquio con ambasciatore di Francia e con me, Hardinge ha pregato Cambon di preparare schema di nota per la Sublime Porta. Cambon ha annuito e ha sottoposto jeri sera sua redazione a Pichon, del quale attende approvazione prima di darne visione al Foreign Office. A titolo strettamente amichevole, personale, Cambon ha però consentito comunicarmi testo sotto espressa riserva che io lo avrei trasmesso a V.E. per sua informazione personale, non volendo egli naturalmente vedere circolare documento destituito qualsiasi carattere ufficiale, perché non ancora approvato dal suo Governo.

Ecco il progetto: «Les quatre Puissances ont chargé leurs consuls généraux à la Canée de declarer au Comité exécutif Crétois que si, lors de sa prochaine réunion, l'assemblée ne recevrait pas les députés musulmans sans exiger d'eux la prestation d'un serment contraire à leur sentiments elles aviseraient à telles mesures qui leur paraìtraient opportunes pour régler la situation en Crète. Elles ont décidé en mème temps de renforcer leurs stations navales. En prenant ces mesures,

les quatre Puissances témoignent une fois de plus de leur intention de sauvegarder !es droits souverains de S.M. le Sultan. Elles s'autorisent de ces dispositions pour réclamer du Gouvemement ottoman une action energique en veu de mettre un terme à une agitation qui ne peut durer sans créer des incidents regrettables et que ne justifie pas l'attitude de la Grèce. Le Gouvernement impérial ottoman estime le moment venu de procéder à l'établissement en Crète d'un statut définitif sur la base de l'autonomie avec la souveraineté ottomane. Les quatre Puissances se prèteraient volontiers à l'ex amen de cette solution, mais, en leur qualité de Puissances protectrices et de simples dépositaires des droits de S.M. le Sultan, il ne leur appartient pas d'établir un statut définitif et leur ròle se bome à la garde du dépòt qui leur a été confié. Elles n'ont pas reçu et elles ne peuvent accepter le mandat d'instituer un régime nouveau, !es six Puissances signataires du Traité de Berlin ayant seule qualité pour le faire d'accorci avec le Gouvernement ottoman. Il appartient clone à ce Gouvernement de les saisir de ses propositions».

Ho osservato, ad ogni buon fine: l) che contrariamente intenzioni di V.E. e Pichon, progetto non conteneva, parmi, menzione del reciso proposito delle Potenze contro l'annessione; 2) che richiesta partecipazione austro-germanica eventuali negoziati per soluzione definitiva potrebbe presentare qualche difficoltà, stante il rifiuto fino ad ora opposto da quelle Potenze ad intervenire negli affari cretesi. Ho comunque aggiunto su questo punto determinato io non esprimevo avviso ignorando al riguardo intenzioni di V. E. Cambon ha risposto: l) propositi delle Potenze in senso contrario all'annessione risultando assai chiaramente dal testo nota, sembrargli superfluo insistervi in modo più tassativo col solo risultato di accrescere inutilmente irritazione cretese; 2) apparirgli invece necessario di richiedere ormai che responsabilità della soluzione definitiva sia condivisa da tutte le Potenze firmatarie del Trattato di Berlino.

Non sfuggirà a V.E. abilità di questa mossa, destinata eventualmente a mettere in imbarazzo due Potenze e che mi farebbe effetto di essere stata escogitata tra Cambon ed Hardinge. È questa, beninteso, una congettura derivante da impressione mia strettamente personale!.

334 3 R. riservato 250/49, non pubblicato.

336

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1564/669. Parigi, 17 giugno 1910 (per. il 26).

Ho letto il rapporto del r. agente consolare a Gabes del 26 maggio u.s.I, inviatomi da V.E. con lettera riservata del 13 corrente Divisione III, Sezione Il, n. 357.

336 l R. 63, allegato a R. 2528/205, Tunisi, 30 maggio, non pubblicati.

Ho notato una discordanza tra quanto scrive il r. agente consolare e quanto mi ha dichiarato il signor Pichon. Quest'ultimo infatti mi disse (ed io ne informai V.E.) che la delimitazione della frontiera tra Tunisia e Tripolitania era stata tracciata su di una carta e che quando questa carta gli fosse pervenuta egli me l'avrebbe comunicata. Invece il r. agente consolare dice che nel prossimo novembre una missione tecnica mista procederà sui luoghi alle operazioni materiali e traccerà la linea di frontiera. Io credo che l 'informazione del r. agente consolare sia esatta. Non è la prima volta che il signor Pichon parlando con me si mostra non del tutto informato dei dettagli delle questioni delle quali lo intrattengo.

Ad ogni modo, sia stata già redatta o debba redigersi in novembre la carta col tracciato preciso della frontiera, a noi una sola cosa importa e cioè che ci sia comunicata. Infatti tra noi e la Francia fa stato la carta annessa alla convenzione franco-inglese del 1898, epperò qualunque variazione a danno della Tripolitania si fosse introdotta o dovesse introdursi nella nuova delimitazione, darebbe diritto a noi di presentare formale reclamo al Governo francese2.

335 l Per la risposta cfr. n. 337.

337

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 1649. Roma, 18 giugno 1910, ore 20,45.

Creta. telegramma di V.E. n. 115 1• Sembrami, in massima, accettabile il progetto di nota preparato da Cambon. Forse si potrebbe sostituire con una parola alquanto più attenta il «réclamem diretto al Governo ottomano. Quanto alla parte che si riferisce al necessario intervento delle sei Potenze per lo stabilimento di uno statuto definitivo in Creta, non so fino a qual punto sia opportuno ed efficace l'espediente di far rivolgere dalla Sublime Porta la domanda relativa all'Austria-Ungheria e alla Germania. I propositi di queste due Potenze non sembrano punto mutati, e, jeri ancora, Aehrenthal dichiarò ad Avama che «Austria-Ungheria non interverrà ... ecc. (come nel T. 20212)».

2 Con T. 20211183 del 17 giugno, non pubblicato, Avarna riferiva che l'Austria-Ungheria sarebbe intervenuta nella questione di Creta soltanto nel caso che l'isola dovesse essere sottratta alla sovranità turca e di riflesso avrebbe avuto una ripercussione nei Balcani tale da turbare la pace generale.

336 2 Con D. 396 del 3 luglio, non pubblicato, di San Giuliano rispondeva di condividere le opinioni di Tittoni. Cfr. anche n. 370. 337 l Cfr. n. 335.

338

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1009/347. Londra, 18 giugno 1910 (per. il 23).

Ho l'onore di segnare ricevuta a V.E. del dispaccio n. 65 (Ufficio coloniale) del 27 maggio u.s.I e dei suoi annessi e di ringraziarla per la comunicazione fattami.

Il F oreign Office mi ha diretto la nota n. 18697Il O di cui accludo copia. Contiene il sunto delle istruzioni da questo Governo inviate al suo rappresentante in Addis Abeba.

All'inizio della nota vi è la frase: «l have learnt from the French Ambassadon>. Questa frase mi aveva cagionato qualche sorpresa. Ho fatto quindi ricercare i precedenti ed ho potuto constatare che le istruzioni date nel dispaccio n. 50 del 19 aprile u.s.2 furono regolarmente eseguite dal cavalier Martin Franklin. Devono avere o dimenticato o non ben compreso quanto il cavalier Martin comunicò al Foreign Office. Non parrebbemi però il caso di fare ora, in proposito, qualche rilievo al riguardo e di lasciar passare inosservata la frase.

Attenderò in ogni modo le istruzioni che a V.E. piacerà darmi tanto in questo punto quanto nell'altro se ella cioè crede che si debba fare al Foreign Office qualche comunicazione circa le istruzioni da V.E. date al conte Colli con telegramma del 18 aprile3 e dispaccio del 14 maggio ultimo scorso4.

ALLEGATO

L'ASSISTENTE SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI BRITANNICO, LANGLEY, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

NOTA. Londra, 7 giugno 191 O.

I have the honour to infonn Your Excellency that I have learnt from the French Ambassador at this court that the Italian Govemment have abandoned their project of sending identic instructions to the Representatives of the three limitrophe Powers in Abyssinia.

338 I D. non pubblicato col quale si comunicavano le note scambiate tra il Governo italiano e quello francese sulle istruzioni da inviare ai rispettivi rappresentanti ad Addis Abeba.

2 Cfr. n. 223.

3 Cfr. n. 221.

4 Cfr. n. 334, nota l. Con D. 78, del 9 luglio, non pubblicato, di San Giuliano rispose di comunicare al Foreign Office il citato telegramma del 18 aprile nonché il dispaccio 49 del 27 maggio (non pubblicato) indirizzato al ministro ad Addis Abeba e relativo alla «perfetta concordanza» tra le istruzioni francesi e quelle italiane.

I have acquainted His Majesty's minister at Adis-Abeba with this circumstance, and l have instructed him to endeavour, in his relations with the Abyssinian Gouvemment and with his Italian and French collegues, to maintain and make manifest the generai principle of an united understanding among the three Legations on all questions of common interest.

339

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 20611119. Londra, 20 giugno 1910, ore 19,29 (per. ore 22,45).

Mio telegramma n. 1181. Grey mi ha detto testé menzione soluzione definitiva con partecipazione sei Potenze sembrargli opportuna per chiarire bene situazione. Occorre, ha detto, veder chiaro; delle due l'una: o Germania ed Austria si associano alle Potenze protettrici nell'esame soluzione definitiva ovvero proclamino loro disinteresse e se ne rimettano decisione nostra. Ho, a mia volta, fatto osservare:

l) che il menzionare ufficialmente ora in una nota alla Sublime Porta soluzione definitiva equivale a prendere un impegno che le Potenze fino ad ora evitarono sempre di assumere, per plausibili serie considerazioni;

2) che mi pare prematuro legarsi le mani prima del tempo; preferibile invece sarebbe avere questa proposta come ultima carta da metter fuori quando cretesi, mostrandosi ricalcitranti voleri Potenze, in modo rendessero necessario inevitabile adottare soluzione definitiva. Ed a tal punto non siamo ancora giunti se sono esatte favorevoli notizie che giungono da Creta;

3) che dopo le note ripetute dichiarazioni ufficiali ed ufficiose Germania ed Austria-Ungheria, il metterle così recisamente in causa avrebbe l'aria di una constatazione in un documento ufficiale di sostanziale divergenza esistente tra le quattro e le sei Potenze, il che, a mio avviso personale, sarebbe meglio evitare possibilmente per considerazioni di interesse generale oltrepassanti anche questione cretese. In conclusione, ho proposto a Grey invio nota eliminandone tutta la parte riferentesi adozione soluzione definitiva e partecipazione Austria-Germania. Grey ha replicato che argomenti da me fatti valere non mancavano di peso: ha però soggiunto essergli difficile ritirare ora adesione già data proposta francese, avrebbe nondimeno informato subito Cambon del nostro colloquio. Mi ha chiesto, poi, se V.E. aveva manifestato sue obiezioni a Parigi. Alla mia risposta di ignorarlo, ha detto supporre che ciò sarebbe stato fatto sicuramente. Grey ha concluso

3391 Con T. 2058/118 del 20 giugno, non pubblicato, Imperiali comunicava le sue opinioni sulle proposte per il testo definitivo della nota alla Turchia.

osservando occorrere precipuamente ali'ora presente agire presto e mantenere intesa tra le quattro Potenze. Ho replicato essere questo precisamente concetto caldeggiato da V.E. Avendo poi riveduto Cambon che attendeva per entrare dal segretario di Stato, ho di nuovo insistito presso di lui per persuaderlo a tenere ultima parte nota in riserva, per metterla fuori al momento in cui necessità soluzione definitiva si imponesse in modo ineluttabile. Cambon ha risposto occorrerebbe parlare Parigi per convincere Pichon. Se, pertanto, V.E. ritiene, come me, preferìbile eliminare dalla progettata nota l 'accenno sopra-indicato, converrebbe incaricare subito Tittoni conferire con Pichon. Gradirò, comunque, ricevere sue ulteriori istruzioni, qualora le sembri, tutto compreso, preferibile accettare senz'altro redazione sottopostale. Avverto, ad ogni buon fine, che, nello intento di lasciare a

V.E. libertà d'azione, non ho ancora detto a Grey e Cambon che ella approva nota se approvano altre Potenze.

340

IL CONSOLE GENERALE A SALONICCO, LEVI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1157/178. Salonicco, 20 giugno 1910 (per. il 28).

Il giorno 18 io telegrafava nei seguenti termini al r. ambasciatore in Costantinopoli: «Nessib bey capo missione ottomana Italia, membro Comitato e fido amico nostro informami di trattative per accordo correnti fra Comitato ed elemento bulgaro contro elemento greco e desidererebbe che intrattenendosi con gran vizir V.E. lasciasse intendere Governo italiano favorevole tale accordo, come propizio miglioramento situazione. Questo console Bulgaria che come V.E. ricorderà mi si era mostrato desideroso accordo ritiene più che mai potrebbe raggiungersi quando questo Governo adottasse verso elemento bulgaro temperamenti già chiesti per scuole chiese e modo disarmo. Permettomi ritenere accordo favorevole nostre vedute».

Stavo per comunicare questo telegramma a V.E. quando ricevetti dal r. ambasciatore la seguente risposta: «Argomento così delicato che io non oso parlare, senza istruzioni da Roma che ella potrebbe, se crede, promuovere».

Ora io mi permetto intrattenere del!' argomento V.E., non solo per compiacere al desiderio di questi nostri amici, ma per una serie di considerazioni che sarei lieto richiamassero la di lei benevola attenzione.

Da un lato, infatti, è interesse nostro che l'attuale regime si rassodi in Turchia e che si evitino complicazioni; e ciò sarà tanto meno difficile quanto più cordiali saranno i rapporti dell'elemento turco con gli altri elementi etnograficopolitici dell'Impero. Fra questi è opinione generale che non sia da considerarsi come il migliore l'elemento greco, e che invece l'elemento bulgaro sia il solo dotato di una vera vitalità intrinseca ed espansiva, per numero, per carattere, per organizzazione, per forza morale, e come quello che si appoggia al più importante e vigoroso degli Stati balcanici. Se si considera la possibilità di una guerra sfortunata per la Turchia, la si considera generalmente soltanto per una guerra con la Bulgaria, mentre nessuno crede alla possibilità di una eventuale vittoria greca, la Serbia vede l'utilità di un accordo, e la Rumania non può sperare alla sua volta che in un accordo con la Turchia per migliorare la sorte dei kutzo-valacchi di Macedonia.

Ora, se una guerra turco-bulgara metterebbe tutto in forse, ed in un momento, in circostanze tutt'altro che favorevoli per noi, che stiamo appena adesso riprendendo qui posizione, un accordo turco-bulgaro, non solo sarebbe il più propizio alla causa attuale della pace, ma avrebbe per noi un altro vantaggio: quello di allontanare la Bulgaria dali' Austria.

lo non mi smentisco certamente, e ritengo sempre per noi utile, anzi addirittura necessario, un accordo coll'Austria-Ungheria per tutte le cose d'Oriente; ma questo non significa che un'Austria più forte ci possa giovare più d'un Austria meno forte. Ora la Bulgaria è, oltre alla Turchia, la sola rivale seria con cui l'Austria-Ungheria debba contare pei suoi piani di espansione in Oriente. E allontanando la Bulgaria dali' Austria, sia pure per un breve periodo, verremmo ad essere di riflesso più forti nei negoziati con la nostra alleata e rivale, mentre, rinvigorendosi coll'accordo bulgaro la posizione della Turchia, allontaneremmo il momento della crisi finale, ed avremmo così il tempo di affermarci in Oriente per modo da poter dire autorevolmente ed efficacemente la nostra parola il giorno delle supreme soluzioni.

Né noi, per patrocinare l'accordo turco-bulgaro, avremmo bisogno di scoprire il nostro gioco, sia con gli uni, sia con gli altri. Basta il fatto che tale accordo è propizio al mantenimento della pace per giustificare una nostra parola in questo senso, a Costantinopoli per mezzo del r. ambasciatore, a Roma coll'ambasciatore di Turchia, mentre al nostro ministro a Sofia non mancherebbe l'occasione, il modo di far sentire al re Ferdinando ed al suo Governo che sono tenuti da noi in conto maggiore di quel che hanno potuto credere sin qui.

Il Governo turco, ad esempio, sarebbe giustificatissimo agli occhi di tutti se, di fronte alle punzecchiaturc greche, decidesse, sia pure non in massima, ma di fatto e caso per caso, la questione delle chiese e delle scuole di Macedonia in favore dei bulgari piuttosto che dei greci, secondando così la buona disposizione attuale dei bulgari di Macedonia e del Governo di Sofia, favorita anche dalla sosta in cui è entrata la questione albanese; mentre, nulla facendo in tal senso, l 'umore bulgaro potrebbe mutare al primo cenno di altre complicazioni, e la situazione aggravarsi per la Turchia, e di riflesso per l'Europa.

Ciò non significa che la Bulgaria intenda rinunciare al suo programma organico, che è quello di un'annessione finale della Macedonia, realizzando a proprio esclusivo beneficio quel trattato di Santo Stefano che la Russia aveva già imposto alla Turchia illudendosi di agire per sé; ma vi è tempo per tutto, ed il tempo presente, considerato da tutti, e non a torto, come una tappa, può comprendere, fra i suoi elementi e lineamenti costitutivi anche il momentaneo accordo turcobulgaro. Il quale viene ora vagheggiato dai turchi di buon senso, i quali comprendono che soltanto la pace può dare alle popolazioni quei benefici che le rendano veramente amiche del regime attuale; e viene vagheggiato insieme dai bulgari più riflessivi e sensati perché comprendono che non è ancor giunto per la Bulgaria il momento di prendere di fronte la questione: essa deve attendere o gravi crisi turche, interne od internazionali, o una crisi austro-ungarica che potrebbe scoppiare alla morte di Francesco Giuseppe.

Quanto a noi, oltre all'interesse di un momentaneo consolidamento del regime turco, e di una menomazione della situazione diplomatica dell'Austria, dobbiamo considerare quest'altro dato innegabile: che di tutti gli Stati orientali, il solo mediterraneo, il solo che ci faccia già sul mare una non lieve concorrenza e del cui sviluppo abbiamo marinarescamente a temere, è la Grecia, mentre anche sboccando a Cavalla, e magari a Salonicco -il che l'Austria tenterà ad ogni costo d'impedire -la Bulgaria non sarà mai per noi un concorrente temibile sul mare, e può insieme costituire un ottimo mercato.

Ed è poi a notare questo: che il recente raffreddamento dei rapporti austrobulgari non significa affatto che sia già tramontato definitivamente l'accordo che ha portato alla proclamazione dell'indipendenza bulgara ed all'annessione austriaca della Bosnia: quel tramonto definitivo potrebbe derivare soltanto da un diverso orientamento della politica bulgara, momentaneamente volto alla Turchia, che l'Italia potrebbe, senza averne l'aria e senza compromettersi, favorire'·

Potrò ritornare sull'argomento se V.E. lo gradirà.

341

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1552/538. Therapia, 23 giugno 1910 (per. il 4 luglio).

V. E. conosce l'importanza del fattore religioso in Oriente, ove le comunità

hanno talora base religiosa più ancora che nazionale. È un mero truism dire che la politica deve tener conto di quell'importanza.

La Repubblica francese protegge, qui, difende, soccorre, aiuta, con mezzi materiali, morali e politici, quelle stesse congregazioni che ha espulse e non tollera sul proprio territorio. E le dette congregazioni prestano, di ricambio, un immenso concorso all'ambasciata di Francia.

Ho già riferito come, in conformità al criterio adombrato, abbia cercato, sino dai primi giorni della mia missione in Costantinopoli, mettermi bene con l'elemento religioso italiano, cominciando dalla delegazione apostolica.

Credo esservi riuscito. E debbo confessare, senza grandi difficoltà, perché in tutti i religiosi e sacerdoti, nei quali mi sono imbattuto, ho trovato il sentimento di italianità vivace ed anche combattivo.

V.E. sa come monsignor delegato apostolico abbia preso a cuore la scelta e l 'invio di un sacerdote italiano a fungere da catechista delle scuole italiane e cappellano dell'orfanotrofio italiano in Salonicco. Sin dalle prime, mi aveva detto che eravamo in pieno diritto di chiederlo ed averlo, ma che i francesi probabilmente ne prenderebbero ombra. Per il che egli si premunì, domandando l'autorizzazione del prefetto generale di Propaganda, cardinale Gotti, autorizzazione che gli venne, senza ritardo, concessa.

Or bene, stamane monsignor Sardi è venuto a vedermi con monsignor Bragiotti, e mi ha detto che le sue previsioni non erano state fallaci: il visitatore dei lazzaristi francesi gli aveva fatto rimostranze per la nomina di un sacerdote italiano a Salonicco, come di un fatto «qui pouvait avoir les plus graves conséquences», e ne aveva scritto al suo generale, nonché fatto protesta dinanzi alla Congregazione di Propaganda, in Roma, ed all'ambasciatore di Francia, in Costantinopoli. Il delegato apostolico mi pregò, se della nomina il signor Bompard mi parlasse, di tener fermo, perché siamo nel nostro diritto; ed io, a mia volta, pregai monsignore di tener fermo, qualora Propaganda accennasse a cedere. E siccome, mentre eravamo in discorso, fu annunciato il padre Navarra, che è appunto il conventuale destinato a Salonicco, il quale veniva a congedarsi da me, concordemente, monsignor delegato ed io, lo ammonimmo a non indugiare a recarsi al suo posto e prendere posizione, poiché turpius ejicitur quam non admittatur hospes. Il sacerdote annuì ad anticipare la partenza, ed ho potuto telegrafare al commendator Primo Levi che lunedì sera il padre sarà a Salonicco, ove conviene trovi presto l 'alloggio.

Partendo da Terapia, i due monsignori si sono recati a Buyuk-Derè, valendosi della mia carrozza, cioè sotto i colori italiani, e passando, com'è giocoforza, dinnanzi all'ambasciata di Francia, in cui il visitatore dei lazzaristi era appunto in confabulazione col signor Bompard.

Ed a questo proposito riferirò come, avendo questi, qualche tempo fa, detto all'ambasciatrice d'Italia che l'ambasciata di Francia aveva a Terapia una cappella, ove c'invitava ad andare a messa, l'ambasciatrice rispose che a Buiuk-Deré avevamo una parrocchia italiana, che i padri ci avevano già invitati e noi avevamo promesso di andarvi, che la chiesa era alquanto più lontana, ma era nostra, e che egli, signor Bompard, se fosse noi, farebbe ciò che noi divisavamo di fare. E domenica scorsa, con gli ufficiali ed i marinai dello stazionario, che non erano di servizio e che, di spontaneo loro impulso, volevano accompagnarci, andammo, in tre imbarcazioni, alla chiesa italiana di Sant'Antonio in Buyuk-Deré, con una certa affermazione, ad un tempo, della nostra patria e della nostra fede.

Col signor Bompard, quando egli venga sul discorso (il che non credo sia per fare) mi propongo di essere deferente per i legittimi diritti, ma, al tempo stesso, resistente alle pretese francesi, di monopolizzare a loro profitto la religione, e saldissimo nella difesa delle nostre ragioni. La quale condotta mi è d'altronde, tracciata da quella felicissima tenuta, in siffatta materia, del mio predecessore!.

340 l Annotazione a margine di San Giuliano: «Si potrebbe rispondere a lui e scrivere a Mayor che non è dubbio che a noi convenga un accordo turco-bulgaro ma che non vedo ora in qual modo efficace il nostro Governo ed i nostri rappresentanti ali'estero possano contribuirvi. Essi sanno che a noi conviene. Bisogna lasciare al loro tatto ed alla loro conoscenza dell'ambiente locale se e in quali modi cauti e riservati e non ufficiali possano contribuirvi». Sulla base di questa annotazione vennero redatti i DD. riservati 1 e 357 del 3 luglio, non pubblicati, rispettivamente indirizzati a Levi e a Mayor.

342

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. URGENTISSIMO 2123/10. Sinaia. 24 giugno 1910, ore 13 (per. ore 14,35).

Lunghe vivissime mie insistenze anche a nome personale di VE. presso presidente del Consiglio, cui comunicai contenuto telegramma di VE. 16871, riuscirono infruttuose. Invano osservai Governo ellenico avere aderito a tutte le domande rumene, eccettuato punto secondario, cioè pagamento indennità chieste e accordate in massima. Rappresentai cattiva impressione che farà ali' estero intransigenza Governo rumeno. Bratiano rispose tener gran conto opinione pubblica estera, ma dover anzitutto tener conto situazione interna. Egli mi incarica comunicare a VE. essere assolutamente convinto amicizia Governo italiano c desolato non poter seguire suo suggerimento e mi supplicò ripetutamente non insistere oltre, dicendo che io lo affliggevo profondamente, poiché, avendo egli ristretto esigenze fin quanto era in suo potere resistendo pressioni fortissime, trovasi nella impossibilità rinunziare anche parzialmente condizioni poste. Furono anche vane pratiche di Giers, quantunque assai ben visto qui, dove gli si usano molti riguardi. Stasera sarà portato firma reale decreto per rappresaglie, che apparirà domani nel Monitor Ujfìcial. Verità è che attuale Governo rumeno, logoro e stanco, non può dominare situazione c tener testa violenti. Disgraziatamente Kiderlen Wachter è assente. Benché non credo avrebbe potuto ottenere miglior risultato, per non lasciare nulla intentato, VE., se giudica conveniente, potrebbe pregare Governo germanico ordinare d'urgenza suo incaricato d'affari qui, che non oserebbe farlo senza istruzioni, di appoggiare senza indugio pratiche mie. Ho telegrafato Carlotti. Gratissimo affrettare arrivo addetto, poiché, lavorando con Depretis fino undici di sera, non arriviamo sbrigare affari ordinari della r. legazione.

341 l Per la risposta cfr. n. 356.

342 l T. del 23 giugno, non pubblicato, col quale di San Giuliano suggeriva al Governo rumeno di moderare le sue richieste alla Grecia.

343

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE AD ADEN, PIACENTINI

D. 88. Roma, 25 giugno 1910.

Mi riferisco al rapporto n. 209/56 del 16 marzo!, in cui V.S. mi rende conto della sua missione sulla costa migiurtina a bordo della r. nave «Puglia» e, riassumendo l'attuale situazione in Somalia, ne trae la conseguenza di un programma minimo di azione da svolgersi al più presto nel Sultanato dei migiurtini -in attesa che migliorate circostanze di bilancio permettano più solida e completa organizzazione del Protettorato.

Su tale argomento il governatore della Somalia espresse sostanzialmente idee consimili con parere alquanto divergente su alcune modalità, per considerazioni di cui è d'uopo tenere gran conto.

Ho voluto conoscere in proposito anche il parere del ministro della guerra e del capo di Stato Maggiore2 , a cui ho inviato copia dell'annessa memoria. Attendo frattanto che V.S. mi mandi il preventivo chiestole con telegramma,

n. l 080, del 3 corrente3 della spesa occorrente allo svolgimento dei due programmi, massimo e minimo; nonchè del programma, che dirò medio, di S.E. De Martino, ossia di due residenze con cinquanta uomini, garesa fortificata, e artiglieria.

Nel calcolo dovranno tenersi separate le spese d'impianto da quelle di esercizio, comprendendo in queste ultime anche il servizio di navigazione che allaccerà le future residenze con Aden.

Nello studio che la S.V. mi invierà occorre prevedere anche l'impianto d'una residenza a Barga! che o prima o poi sarà necessaria. Il preventivo dovrà esser mandato anche al governatore della Somalia.

ALLEGATO

MEMORIA.

Condizioni attuali della Somalia Settentrionale Possibile azione contro il Mullah

Evacuazione del Somaliland Britannico. Il ritiro delle truppe inglesi dai confini del British Somaliland mutò profondamente la situazione generale della Somalia Settentrionale e più specialmente nel nostro Protettorato.

343 I Non pubblicato.

2 Cfr. n. 377.

3 In realtà si tratta del T. l 082, del 3 maggio, non pubblicato.

Il Mullah, sollevato da ogni preoccupazione alle spalle e dalla più seria minaccia alla sua potenza militare, si sente libero nei movimenti contro i due Sultanati vicini, gode di più vasto campo d'azione e soprattutto, guadagna grandemente di prestigio proprio nel momento in cui stentatamente resisteva alla più grave crisi che abbia mai sofferto il suo potere.

La ritirata inglese rappresenta certamente agli occhi del dervisc la vittoria del loro capo sul «bianco». Previsioni. Imbaldanzito da tal fortuna insperata egli cercherà senza dubbio di allargare il suo dominio e attaccherà i suoi nemici con maggior vigore che per lo passato.

Le prime manifestazioni della ripresa baldanza dervisc si sono già vedute nelle audaci razzie compiute contro gli nabr -iunis (fine gennaio 191 O) e contro i migiurtini (11-21 gennaio e 22 marzo 91 O) quando appena cominciava lo sgombro delle truppe inglesi dal Somaliland; presto verrà la volta del Sultanato di Obbia.

Né è da escludersi l 'ipotesi che crescendo ogni dì più il prestigio e il terrore del nome del Sayed Mohammed Abdullah, aumentando il numero dei suoi fucili per spontanee

o interessate dedizioni di tribù e per fortunati scontri coi nemici poco organizzati, egli riesca infine a fiaccare completamente i due sultani.

Il ministero della guerra considera anzi la possibilità «che le popolazioni indigene della Somalia inglese abbandonate a se stesse possano per paura o interesse unirsi al Mullah e che questi imbaldanzito si volga contro la nostra Colonia. In tal caso un pericolo immediato graverebbe su Obbia ed allora potrebbe anche darsi che il sultano Iusuf Ali facesse causa comune col Mullah e che le armi a lui concesse si volgessero contro di noi».

Necessità di agire. Di fronte a tale situazione e a tali previsioni sorge spontanea la domanda se non convenga per avventura, imitando in parte l'esempio del Governo britannico, ritirarsi completamente dal Protettorato e volgere a profitto del Benadir le energie ed il danaro che si spendono nella Somalia Settentrionale; ma l'idea è respinta subito dalla considerazione che, mentre l'Inghilterra non ha interesse alcuno intimamente legato al Somaliland, l'Italia non può abbandonare i paesi somali del Nord senza danneggiare fortemente la sua situazione morale e materiale del Benadir.

Occorre dunque occuparsi del Protettorato senza sovcrchio indugio sotto pena di vedervisi rapidamente formare un largo impero del Mullah con imminente pericolo per la Colonia, pericolo esterno per le probabili scorrerie dervisc e pericolo interno per il rinascere di speranze nei ribelli partigiani del fanatico Sayed; è necessario opporre all'azione di questi un argine in sostituzione di quello che fu tolto colla ritirata delle truppe inglesi; bisogna tentare di creargli una preoccupazione tale da distoglierne il pensiero da più vaste imprese a sud.

Parere del sirdar Wingate. Il senatore De Martino parlò di questa situazione col sirdar Wingate in Cairo c, per conoscerne il pensiero, gli espose le linee generali del nostro programma il quale «escludendo ogni impresa di guerra si informerebbe a una politica difensiva colla istituzione di residenze in luoghi fortificati, dai quali, con facilità di soccorsi per la via del mare, si potesse mediante opportuni accordi con le tribù protette, andar formando una rete di interessi a noi favorevoli e contrari al Mullah».

In queste idee, il sirdar convenne pienamente poiché sono le stesse a cui s'informano le nuove disposizioni del Somaliland Britannico; e dichiarava esser sua ferma opinione che questa politica condurrà inevitabilmente all'urto delle forze dervisc con le popolazioni soggette all'Abissinia e che «l'unica via da seguire dall'Inghilterra e dall'Italia sia appunto quella di mettere gli abissini contro i dervisc agendo d'accordo sul Governo etiopico per mettere in chiaro come la rivolta del Mullah e il danno conseguente provengano da ciò che gli abissini non hanno effettivamente occupata la regione somala posta sotto la loro sovranità».

Non escludendo a priori che qualche tentativo si possa fare in tal senso, è ovvio però, che dopo la prova data dagli abissini nelle campagne del 1903 e del 1904 non si possa contare sopra un'intervento loro diretto, a meno che non si trattasse precisamente dell'occupazione effettiva dei territori ogaden tributari d'Etiopia; ma anche su ciò, data la crisi in cui permane il Governo etiopico, non si può far assegnamento in avvenire prossimo, benché le ultime notizie dei giornali da Addis Abeba accennino a preoccupazioni del Governo stesso per la ritirata delle truppe inglesi del Somaliland4.

Parere del generale Manning. Il governatore della Somalia visitò poi in Berbera il generale Manning il quale espresse idee alquanto divergenti da quelle del sirdar Wingate.

«L'unica politica da seguire» egli disse «è di formare un baluardo alle incursioni del Muli ah mediante accordi con le tribù a noi ligie, sia col dar loro fucili, sia coli 'accordare ad esse sussidi in danaro». Né egli teme «che questi aiuti possano volgersi a danno di chi li concede, perché non è facile agli indigeni di procurarsi cartucce e queste vengono fornite man mano, a misura, e con speciali provvidenze».

Quest'ultimo parere sembra soverchiamente ottimista poiché, come si è sempre rifornito il Mullah, si potranno rifornire di cartucce anche le tribù del Somaliland britannico, se non forse con maggiore facilità.

Ad ogni modo il generale Manning manifestò il fermo convincimento che le tribù protette si manterranno fedeli e non verranno a patti col Mullah; non ha alcuna fiducia nella cooperazione abissina; ritiene invece che «Iusuf Alì sia assolutamente sicuro e che l'azione delle sue tribù, irreconciliabili col Mullah ed armate da noi, sia il necessario e desiderato complemento della difesa ch'egli va organizzando ad ovest, tra le tribù confinanti col Nogal. In tal modo le forze dervisc, strette fra le popolazioni amiche dell'Inghilterra, il Sultanato di Obbia e quello dei migiurtini con opera concorde dell'Italia e dell'Inghilterra, andranno declinando mentre gli risulta che il Mullah, reso obeso, sia diventato poco atto ad imprese più lontane».

Il generale Manning stima esatte le informazioni che il Governo britannico nel suo ultimo libro bleu a pag. 495 dà sulle forze del Mullah a cui sono attribuiti non più di 1200 fucili; ed altre poche centinaia ai bagheri ed ai warsangheli.

Anche qui è da notare una visione troppo rosea della situazione complessiva e più specialmente riguardo al numero dei fucili che, secondo le informazioni nostre, sarebbero circa 4000, e riguardo al numero dei fucili dei bagheri, di cui il Benadir deve forse ora preoccuparsi più dello stesso Mullah.

Verso la fine di aprile scorso circa seicento fucili bagheri si riunirono al loro nemico negli Scidle.

Gli inglesi stessi ne attribuivano 5000 durante la campagna del 1904; da allora ad oggi egli ne ha perduti parecchi per le diserzioni e pochi altri nei combattimenti; ma ne ha anche presi ai nemici e può averne comperati.

Supposto dunque che un po' di esagerazione in più vi fosse nelle notizie del 1904 e che ve ne sia oggi nel senso opposto, si può concludere che il Sayed disponga di 3500 o 4000 buone armi da fuoco; e questa cifra è confermata dalle nostre informazioni.

5 Somali/and. Correspondance relating to Affairs in Somaliland. Presented to both Houses of Parliament by Command of His Majesty. March, 1910, Londra, 1910.

Per quanto riguarda la fiducia che il generale Manning nutre sulla efficacia de li'aiuto indiretto alle tribù del Somaliland, il senatore De Martino rileva che, se nulla fu ottenuto quando le tribù stesse si sentivano spalleggiate da forze inglesi, è dubbio si possa ottener qualche cosa ora che sono abbandonate a se stesse. A ciò si può obiettare che le tribù del Somaliland dimostrarono poca attitudine ad una azione aggressiva perché prive di qualunque organizzazione furono indotte a un genere di operazioni che organizzazione richiede e che era inusitato per esse. L'attitudine passiva delle truppe regolari fu probabilmente più depressiva che confortante per lo spirito dei somali spinti innanzi. Si può quindi ammettere che questi, inetti a svolgere un piano di guerra regolare, saran capaci di difendere le proprie famiglie e sostanze. E finora ciò è stato confermato.

Il reggente del consolato di Aden dopo una visita al sultano dei migiurtini di cui rende conto nel notevole rapporto unito in copia, trae dalla situazione generale, dagli accordi presi con Osman Mahmud e dalla buona disposizione d'animo dei principali capi della regione, la conclusione della necessità urgente delle residenze. In attesa che il bilancio permetta il programma massimo di più vasta e completa organizzazione con solide guarnigioni fortificate, radiotelegrafia ecc. egli propone un programma minimo da attuarsi al più presto coli 'invio di residenti a Bender Cassim ed Alula, scortati da pochi ascari e con un sambuco armato per ciascuno a disposizione; altri due sambuchi stazionerebbero ad Hafun. In tal modo e con l 'aiuto delle regie navi si provvederebbe efficacemente alla sorveglianza sul traffico delle armi per mare; e i residenti prontamente soccorsi in caso di bisogno, potrebbero occuparsi attivamente di quell'organizzazione che il consolato di Aden ha già iniziato e in parte attuato, e che consiste:

a) nel riunire attorno al sultano le sparse volontà dei capi pacificandone gli animi e dirimendo le piccole questioni locali; b) nell'infondere loro la fiducia nella propria capacità di resistenza quando siano uniti e concordi;

c) nell'indurii a miglior ordinamento delle loro forze come si sta facendo in Obbia;

d) nel consigliare qualche opera di fortificazione a Bela, Dudo ed altre località verso il confine sud del Sultanato, nonché nei paesi della costa più importanti; e) nel dar loro nella misura opportuna qualche aiuto in danaro per la pronta effettuazione di tali lavori. Parere del senatore De Martino, governatore della Somalia. Il governatore della Somalia dopo i vari colloqui avuti col sirdar Wingate, col marchese Salvago Raggi, col generale Manning e col reggente del consolato di Aden, conviene completamente sulla urgenza di un'azione nostra nel Sultanato dei migiurtini, dopo il ritiro delle truppe inglesi,

per parare al pericolo che minaccia i nostri interessi al Benadir, e conviene in massima altresì sulle proposte del reggente del consolato, ma esprime l'opinione che il programma minimo, da questi indicato, «Se era possibile prima del ritiro degli inglesi, sia meno consigliabile nella diversa situazione che si è venuta svolgendo».

Il governatore ritiene che «a differenza del sultano di Obbia, noi non potremmo fare a fidanza con quello dei migiurtini e, sebbene una convenzione con lui e speciali accordi coi capi siano stato conclusi, nessuna garanzia sinora potremmo avere che, pressati dal Mullah e con la nota mobilità di quelle genti, non avessero a voltarsi contro di noi».

Egli infine esprime l'avviso che «nello stato presente delle cose o nessun nostro residente dovrebbe essere mandato in modo stabile sulla costa dei migiurtini, ovvero, se si crede utile un'azione diretta che valga a consolidare il frutto degli ultimi accordi, i nostri residenti dovrebbero esser messi in condizioni da non poter incorrere pericolo alcuno; e ciò si otterrebbe facendo ad Alula, Hafun e Barga! alcuni muri di difesa con poca artiglie

ria e piccoli nerbi di ascari (non più di cinquanta) che sostenuti e provvisti dal mare, diventerebbero facilmente invulnerati dalle offese degli indigeni sprovvisti di cannoni». Il fatto che gli inglesi con forze esigue e fortificazioni rudimentali intendono mantenere l'occupazione di Bulhar e di Berbera, conforta il governatore nel suo pensiero.

Riassumendo, tutti i pareri suesposti concordano sulla politica difensiva da seguirsi; nella idea generale di organizzare, sia pure embrionalmente, le forze del Sultanato dei migiurtini inducendole ad agire d'accordo colle tribù del Somaliland Britannico e col Sultanato di Obbia per far fronte al comune nemico; e nella urgenza di qualche provvedimento.

Variano invece e non lievemente le proposte sul modo come attuare il programma: e qui sono opportune alcune osservazioni. Fedeltà dei sultani. l 0 Sulla fedeltà dei due sultani non è il caso di nutrire illusioni,

se si tratti di valutarne gli intimi sensi di affezione all'Italia; è certo che, qualora essi trovassero un vantaggio nell'abbandonarci o nel rivoltarsi a noi non esiterebbero a farlo. Ma se noi possiamo e dobbiamo far assegnamento sul loro interesse è certo che non si uniranno mai sinceramente al Mullah poiché, astrazion fatta dal rancore profondo ch'essi nutrono contro di lui per le sue violenze e rapine, essi sanno perfettamente che la sottomissione ai suoi voleri segnerebbe la fine del loro potere.

E si può logicamente sostenere che quanto più egli sarà potente tanto più i due sultani ne desidereranno sinceramente la distruzione. Per poco dunque che siano aiutati e che intravedano la possibilità di resistere, resisteranno: il sultano di Obbia ne è un esempio. Osman Mahmud, benché possegga nominalmente più fucili di Iusuf Alì, ha avuto finora tutti i capi avversi e perciò fu debole e cercò risparmiarsi il danno di una lotta impossibile col Mullah venendo con lui ad accordi. È indubitabile però che, se i suoi capi lo asseconderanno e si manterranno uniti a lui egli farà del suo meglio per tenere testa al suo incomodo vicino. Per amore di giustizia occorre ricordare che nonostante la debolezza di cui fu detto e l'apparente accordo coi dervisc, i migiurtini si difesero strenuamente nella incursione sofferta nel gennaio ultimo scorso a Bela.

Armi agli indigeni. 2°. Il Ministero della guerra raccomanda che non si diano fucili agli indigeni; e l'esempio di ciò che succede al Somaliland vale a confortare il saggio consiglio. Ma è pur d'uopo notare che al sultano di Obbia furono concesse delle armi con qualche garanzia sul loro impiego; che della sua fedeltà, nel senso già spiegato, possiamo ritenerci sicuri perché Obbia, che fornisce col suo commercio il reddito maggiore di Iusuf Alì, è completamente in mano nostra e un semplice sambuco armato la può distruggere e bloccare; che, infine, se si riconosce la necessità di frenar il Mullah nell'interesse del Benadir, è giusto sia aiutato il sultano il quale finora costituì l'unico ostacolo serio contro i dervisc a nord della Colonia; e, se il servizio che da lui attendiamo è molto importante, non è fuor di luogo correre qualche rischio per attenerlo.

Bisogna scegliere fra due pericoli il minore e il meno probabile, se non vogliamo correre il rischio che le forze del Sultanato di Obbia siano sopraffatte dai dervisc con pericolo grave del Benadir.

Nel Sultanato dei migiurtini le armi da fuoco non mancano ed è presumibile perciò che non vi sia bisogno di aumentarle. I residenti potrebbero invece tentar di cambiare i fucili di vario modello in altrettanti Wetterly 70 -87 per controllarne il numero e per assicurarci che il rifornimento delle cartucce non possa essere fatto che da noi e nella misura da noi voluta.

Sicurezza dei residenti. 3°. Il reggente del consolato di Aden, pratico dei luoghi più di qualunque altra persona, nelle numerose visite fatte a Bender Cassim e Alula, anche durante l 'epoca in cui Osman Mahmud sembrava più ostile a noi, ebbe sempre l'impressione di una completa sicurezza per gli italiani in mezzo a quelle popolazioni; impressione confermata anche dai comandanti delle regie navi nei loro rapporti ufficiali. Egli propone perciò, affinché si possa prendere subito qualche provvedimento proporzionato alle attuali risorse del bilancio, il programma minimo già esposto per sommi capi e più ampiamente svolto nel suo rapporto.

Il senatore De Martino invece come fu già detto, esprime l'avviso che «O nessun residente fisso dovrebbe esser posto in Somalia, o che i residenti avessero con sé una cinquantina di ascari in locali fortificati e muniti d'artiglieria». Egli suppone così implicitamente nel primo dei due casi che i residenti stessi possano essere mobili e che si rechino spesso da Aden alla costa sui sambuchi armati o su navi da guerra; facendo in complesso, con maggiore frequenza, ciò che fu fatto finora dai consoli di Aden.

Questa soluzione non appare sufficiente all'intensità di azione che si dovrebbe svolgere poiché una esatta idea dei bisogni di quei paesi, un buon servizio di informazioni, un vero ascendente sulle tribù e un principio di organizzazione non si potranno ottenere che col continuo contatto colle popolazioni. Né la sicurezza dei residenti sarebbe garantita da tale sistema poiché se ammettiamo che stabiliti a terra, essi corrano rischio di sequestro o d'altra violenza, bisogna ammettere del pari che ugual pericolo, se non maggiore, correrebbero nelle loro visite intermittenti.

Appar quindi più opportuno, ad evitar preoccupazioni sulla sicurezza personale dei funzionari che si dovrebbero inviare a Bender Cassim e Alula, il secondo parere di S.E. il Governatore, che, per facilità d'intese si può chiamare programma medio, essendo sostanzialmente conforme al programma minimo del reggente di Aden colla variante sulla forza delle scorte e coll'aggiunta di opc1 e di difesa munite di artiglieria.

Può sorgere il dubbio se valga meglio costruire direttamente le fortificazioni6 o farle fare dai capi dei due paesi; per economia di danaro e di tempo e per la validità delle opere conviene certamente che se ne incarichi il Governo; ma ciò darebbe alla istituzione delle residenze un carattere di occupazione di territorio e un conseguente obbligo di difesa diretta che contrastano coll'idea fondamentale di conservare nella Somalia Settentrionale la pura forma di protettorato. E così dicasi per i presidì che il senatore De Martino vorrebbe di circa 50 uomini; molti forse come scorta e troppo pochi come guarnigione, qualora le tribù credessero di trovar in essi un soccorso in caso di minaccia dervisc.

Ma agli inconvenienti che possano derivare da una errata valutazione degli indigeni sullo scopo delle piccole guarnigioni e delle opere di difesa si potrà ovviare con espliciti accordi prima di insediare i residenti.

Non rimane pertanto nessuna seria obiezione all'applicazione del programma medio se non la questione del bilancio; poiché le residenze di Bender Cassim e di Alula organizzate come egli propone costerebbero complessivamente all'ingrosso 150.000 lire d'impianto e l 00.000 di esercizio annuo comprendendo il servizio di navigazione e gli aiuti da darsi alle popolazioni. Dati più sicuri e precisi dovranno essere forniti dal consolato di Aden incaricato di fare un preventivo di spesa7.

Conclusioni. Da tutti i giudizi esaminati e dalle considerazioni fin qui esposte risulta in complesso: l 0 Che è impossibile non occuparsi del Sultanato dei migiurtini di fronte alla nuova

situazione creata in Somalia dal ritiro delle truppe inglesi dal protettorato britannico.

2°. Che è necessario seguire una politica difensiva, ma attiva consistente nel riordinamento interno ed in una, sia pure embrionale, organizzazione delle forze del Sultanato.

3°. Che urge quale provvedimento necessario ad esplicare la suddetta azione, l'istituzione delle residenze, senza pregiudizio di opportuni accordi col Governo etiopico e britannico, ma senza soverchie illusioni sulla loro efficacia.

4°. Che sulle modalità per l'impianto di tali residenze i pareri si possono riassumere in due concetti principali: il primo che subordina la creazione delle residenze stesse alla condizione di assoluta sicurezza dei residenti, a scanso di preoccupazioni per l'avvenire, concetto ispirato dalla diffidenza verso i somali in genere; l'altro ispirato da fiducia sugli abitanti di Bender Cassim e di Alula e dal fatto che le difficoltà del bilancio hanno finora impedito ogni azione, che si preoccupa soprattutto dell'urgenza di agire, sotto pena di prendere il frutto delle buone intese col sultano Osman Mahmud e coi suoi capi, e di essere costretti poi a maggiori sacrifici per far fronte alle minacce del Mullah.

5°. Che la soluzione del problema starà probabilmente nella conciliazione fra questi due concetti: sicurezza e rapidità d'azione, applicando d'urgenza il programma medio.

6°. Dopo il ritiro delle forze britanniche nel Somaliland alla costa, e dopo la dichiarazione fattaci dal Governo inglese di volersi ritenere sciolti dalle clausole dell'accordo Pestalozza del 5 marzo 1905, e di !asciarci libertà di azione pur mostrandosi disposto nei limiti della sua nuova politica in Somalia, a cooperare col Governo italiano, è necessario se si vuole agire d'accordo con l'Inghilterra ben stabilire il programma da attuarsi per poter presentare al Governo inglese una proposta concreta di cooperazione.

7°. Tutto ben considerato, per agire praticamente sulla situazione diplomatica creata dall'ultimo scambio di corrispondenza con l'ambasciata britannica in Roma alla cui ultima lettera del 25 marzo 1910 non è stato ancora risposto (annessi I, II, III non allegati), sembra conveniente da parte nostra nel comunicare il nostro programma chiedere all'Inghilterra, insieme con opportuni provvedimenti per la sorveglianza della costa, o pel blocco commerciale, che le popolazioni amiche del Somaliland britannico siano invitate a mettersi e ad agire d'accordo con le popolazioni protette dell'Italia della Migiurtina e di Obbia per comune difesa e offesa.

343 4 Nota del documento: «Da informazioni assunte dalla r. ambasciata in Londra e dalla r. legazione in Addis Abeba risulta che nessun negoziato è stato iniziato dal Governo inglese per una eventuale azione della Etiopia contro il Mullah ma che trattasi evidentemente di idea personale del sirdar Wingate».

343 6 Nota del documento: «Si tratterà probabilmente di robuste garese che servano di alloggio alle truppe e al residente». 7 Nota del documento: «li r. consolato in Aden ha comunicato che invierà questi dati che giungeranno certo prima della riapertura della costa».

344

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. 341. Roma, 26 giugno 1910.

Ho ricevuto il rapporto n. 1313/462 dell'8 correntel, col quale I'E.V. fa rilevare le difficoltà che si oppongono ad una diretta nostra azione per ostacolare la nomina di Bekir bey a valì della provincia di Tripoli di Barberia.

Consento nelle osservazioni fatte in proposito dall'E.V., sia perché, infatti, una nostra ingerenza in tale argomento sarebbe male accolta da codesto Governo,

sia perché essa potrebbe conformare diffidenza e sospetto che noi abbiamo ogni interesse a far invece dileguare.

L'E.V. accenna anche alla circostanza che, di fronte alla nomina eventuale di Bekir bey, potrebbe forse trovare applicazione, per quanto ci riguarda, la considerazione che «certe situazioni conviene talvolta siano tratte al peggio, per dar occasione ad atti energici e giustificarli».

Se, considerato da un punto di vista teorico generale, il criterio positivo cui ella accenna può, avverandosi talune contingenze, essere tenuto in considerazione, avverto, per parte mia, che nel caso presente, data la attuale situazione internazionale, non può a noi convenire che le condizioni della Tripolitania abbiano, come che sia, a farsi critiche e a dar luogo a complicazioni.

Noi dobbiamo, infatti, mirare, non già ad una eventuale nostra azione energica, cioè politico-militare in Tripolitania, ma bensì a creare colà, in modo normale e pacifico, la maggior somma possibile di interessi italiani.

A questo scopo è indispensabile il lesto ed imparziale concorso delle autorità locali; concorso che assai difficilmente ci potremo aspettare dall'amministrazione di Bekir bey.

344 l Non pubblicato.

345

IL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Roma, 26 giugno 1910 (per. il 29).

Dalla relazione inviata a questo Ministero da S.E. il comandante in capo della forza navale del Mediterraneo, sulla recente visita fatta dalla prima divisione a

S.A. il Principe del Montenegro nelle acque di Antivari, risulta che durante la permanenza colà delle nostre navi, l'ancoraggio e le cerimonie ufficiali che ivi si sono svolte, sono stati soggetti ad una assidua, insistente vigilanza da torpediniere austriache, le quali valendosi, a quanto pare, di un'interpretazione, che credo arbitraria, circa la estensione dei confini marittimi, si spingevano fino a breve distanza dalle nostre navi senza essere subordinate a doverose consuetudini di etichetta e di formalità internazionali -navali.

Non si può evidentemente, nel caso specifico, applicare la convenzione internazionale, secondo la quale le acque territoriali di una nazione devonsi ritenere limitate a tre miglia dalla costa a partire dal punto della più bassa marea, giacché ne deriverebbe la assurda conseguenza che la rada di Antivari apparterrebbe contemporaneamente ali' Austria ed al Montenegro.

Si dovrà quindi stabilire una linea convenzionale che determini il confine marittimo fra questi due Stati, senza sottrarre ali' Austria nulla che non sia in coerenza alla spontanea rinuncia da essa fatta in occasione dell'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina, e rispettando, nello stesso tempo, i diritti del Montenegro.

Sarebbe quindi necessario che da parte di codesto Ministero fossero iniziate opportune trattative per definire tale importante questione allo scopo anche di evitare che spiacevoli incidenti, come quelli sopra accennati, possano di nuovo verificarsi allorquando altre nostre navi abbiano occasione di recarsi nella rada di Anti vari, dove non saprebbero ancorare qualora l'Austria continuasse, come si può supporre, a considerare quale linea di confine la congiungente della foce del torrente Zeleznica con Punta Volovica (vedere linea turchina dello schizzo annesso alla presente lettera).

Sullo schizzo medesimo si è segnata in rosso una linea in direzione E-W a partire dalla foce del Zeleznica che, secondo il parere di questo Ministero, parrebbe equo stabilire quale razionale confine fra i due Stati.

Sarò grato a V.E. se, a suo tempo, vorrà farmi conoscere le determinazioni di codesto Ministero in merito a quanto ho avuto il pregio di esporle!.

346

IL CONSOLE GENERALE A GIANNINA, STRANIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 536/108. Janina, 26 giugno 1910 (per. il 30).

Si trova da qualche giorno in Janina tale signor Haltmann, rappresentante di un sindacato viennese, dal quale a quanto mi è riuscito di appurare egli sarebbe stato incaricato di compiere degli studi circa la possibilità dell'impianto di un servizio di tramways elettrici tra Janina e Prevesa nonché dell'illuminazione elettrica di questa città.

Il signor Haltmann è stato presentato al valì da questo console austro-ungarico ed ha avuto già parecchie conferenze col sindaco della città e con l'ingegnere capo del municipio sempre alla presenza del console d'Austria, che, conoscendo la lingua turca, gli serve anche da interprete.

Per la forza motrice necessaria a queste imprese vi sarebbe il progetto di utilizzare la corrente del fiume Louros, che scorre per buon tratto parallelamente alla strada Janina-Prevesa.

Io non so se la prima delle due imprese, cioè quella della costruzione di una ferrovia elettrica a scartamento ridotto tra Janina e Prevesa, assicurerebbe profitti

345 I Annotazione a margine di San Giuliano: «Bollati: mi pare si possa rispondere che non da noi ma dal Montenegro debba partire l'iniziativa della determinazione del confine». Per la risposta cfr. n. 351.

tali al capitale impiegato da compensarlo delle spese d'impianto e di quelle d'esercizio, che non potrebbero essere che rilevanti. Il movimento commerciale tra Janina e Prevesa, pur essendo più attivo che quello che si svolge in tutte le altre regioni del vilaiet, non raggiunge tuttavia, almeno pel momento, cifre così importanti da giustificare l 'impianto di un 'impresa di trasporti con mezzi molto costosi. Né v'è ragione di credere che il municipio di Janina potrebbe assicurare un'adeguata garanzia di capitalisti assuntori, perché le sue entrate sono molto limitate e le sue casse in parte esauste a causa del disordine regnante nell'amministrazione.

Queste non sono solo mie impressioni personali, ma divise anche da persone d'una certa competenza in materia, il cui avviso io ho cercato di conoscere prima di riferire all'E.V.

Ad ogni modo, sulla incontestata esattezza di esse io non vorrei assumere alcuna responsabilità e potrebbe darsi che l'impresa, per la quale il signor Haltmann è venuto a compiere qui gli studi preliminari, fosse realizzabilissima.

A giudizio di tecnici, ben più facile sarebbe l'altra impresa dell'illuminazione elettrica di questa città, per la quale si potrebbe ricavare la necessaria forza motrice, anziché dal fiume Louros, dallo stesso lago di Janina.

A parecchie riprese quest'agenzia commerciale italiana, nei rapporti annuali inviati al R. Ministero di agricoltura, industria e commercio, ha cercato d'attirare l'attenzione del mondo industriale italiano sulle varie iniziative di utilità pubblica che si potrebbero tentare nel vilaiet di Janina e alle quali potrebbe vantaggiosamente partecipare il capitale nazionale. Fra tali iniziative furono pure ricordate quelle che pare abbiano oggi attratto gli sguardi dei circoli industriali e capitalistici di Vienna.

Questo fatto non può non preoccuparci, perché il sorgere e il consolidarsi di potenti interessi economici austriaci e germanici, che con i primi procedono di pienissimo accordo, sull'opposta sponda dell'Adriatico precluderebbe la via alla nostra espansione economica nella penisola dei Balcani e renderebbe inevitabile la nostra inferiorità politica e commerciale nel bacino dell'Adriatico. Indubbiamente, il rifiorire, verificatosi in questi ultimi anni, del nostro commercio in tutta la bassa Albania, ha reso gelosi i nostri competitori, i quali ora si studiano a tutt'uomo di far ricadere la bilancia, come era per lo passato, a loro favore. La creazione di un'agenzia commerciale austriaca in Janina, le visite più frequenti che da qualche tempo in qua commessi viaggiatori austriaci e germanici fanno a questa piazza sono sintomi di quell'intensificato lavorio di penetrazione economica che il connubio austro-ungarico dopo l'annessione della Bosnia-Erzegovina, progetta per la penisola Balcanica, compreso il litorale orientale adriatico, che pur c'interessa così da vicino.

Essi debbono farci riflettere se non sia il caso, ora che siamo ancora in tempo, di spiegare una più diretta ed attiva azione di Stato allo scopo di incoraggiare il capitale italiano ad allargare la sfera dei nostri interessi in queste regioni.

Nel riservarmi di riferire all'E.V. quanto mi riuscirà di conoscere ulteriormente circa la missione del signor Haltmann in Janina...

347

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI E PIETROBURGO, ALLA LEGAZIONE AD ATENE E AL CONSOLATO GENERALE A SALONICCO

T. 1749. Roma, 27 giugno 1910, ore 23.

Rispondendo oggi alla Camera alla interpellanza deputato Galli sulla attitudine d'Italia nella fase attuale questione cretese feci dichiarazioni seguenti.

La piega degli eventi Creta potrebbe, ove non si provvedesse a tempo, avere contracolpo rapporti tra la Turchia e la Grecia e potrebbe mettere in pericolo la pace dell'Oriente. Politica Italia mira anzitutto mantenimento pace evitare tutto ciò che potrebbe avere ripercussione sulla situazione penisola balcanica creando complicazioni di cui non potrebbesi poi prevedere portata conseguenze dirette indirette.

Base fondamentale della nostra politica è mantenimento statu quo territoriale e integrità Impero ottomano e Stati balcanici.

Italia ispira tutto indirizzo attuale sua politica, nella questione cretese, alla necessità mantenere intatti diritti sultano, il che non inceppa affatto funzionamento libere istituzioni Creta, e procede pieno accordo colle altre Potenze protettrici.

Esse infatti, come noi e nostri alleati, hanno per iscopo della loro politica mantenimento pace e statu quo territoriale. Non puossi tollerare che pace, bene supremo di tutti i popoli, venga messa repentaglio dal contegno cretesi. Bisogna che cretesi convincasi necessità assoluta non commettere ulteriori provocazioni contro Turchia se vogliono evitare che Potenze protettrici siano costrette, per quanto malincuore, prendere provvedimenti che conducano introdurre n eli'isola un regime meno gradito dell'attuale alla maggioranza suoi abitanti.

Per ora essi sonosi limitate inviare una seconda nave da guerra ciascuna a Suda, e confidano che Governo cretese non tarderà ammettere esercizio loro funzioni i magistrati funzionari e deputati musulmani senza obbligarli prestare giuramento evidentemente illegale nullo.

Attitudine Grecia nella questione cretese è stata finora correttissima e non ha dato alcun motivo fondate rimostranze.

S.M. Re elleni, nelle sue conversazioni meco e, per quanto so, anche coi ministri esteri altri Paesi, nulla disse che sia in contraddizione con questa attitudine e che dia legittimo motivo lagnanze Turchia.

Le quattro Potenze comunicarono jeri Turchia una nota che, rassicurandola sul mantenimento suoi diritti su Creta e confermando alta considerazione in cui le Quattro Potenze tengonla, contribuirà efficacemente, è da sperare, a porre fine boicottaggio e chiede alla Porta un'azione energica per porre fine ad un'agitazione che può dar luogo spiacevoli incidenti e non è giustificata dalla condotta Grecia.

Darò più ampie spiegazioni quando, ora o riaprirsi sessione, verrà discussione bilancio esteri, e dimostrerò allora come nostro contegno questione cretese coordinisi tutto indirizzo generale nostra politica estera che ispirasi anzitutto e soprattutto tutela interessi Italia.

(Per solo Costantinopoli e Salonicco). Nella risposta poi alla replica di Galli ripetei che base nostra politica è integrità Turchia ho fatto caldi elogi delle grandi qualità dei turchi che Galli attaccava ed aggiunsi che dobbiamo seguire con simpatia sforzi che Giovani turchi fanno pel consolidamento progresso Impero ottomano.

(Per sola Atene). A queste dichiarazioni aggiunsi espressione calorosa simpatia pella Grecia ed auguri essa continui sulla via pacifico progresso. Espressi anche viva ammirazione per vivida intelligenza caldo patriottismo operosità Nazione ellenica ricordando orma impressa storia intellettuale umanità dai suoi avi gloriosi.

348

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI

D. 63. Roma, 2 7 giugno 1910.

Il Governo della Somalia mi comunica due lettere del Mullah il quale, esprimendo le sue solite lagnanze contro i sultani vicini, contro gli inglesi e contro il Governo italiano accenna a possibile intesa con governo migliore, che naturalmente sarebbe il Governo etiopico. Il latore delle lettere, proveniente dal campo dervisc, informa esservi giunta alla fine d'aprile una missione di tre assiraf sudditi abissini, di nome Lafer, Mahamud e Mahammed seguiti da otto uomini a cavallo portanti una lettera e doni per il Mullah. La lettera conteneva offerte di amicizia e di alleanza da parte del negus e finiva con questa frase: «Vieni da noi, se vuoi dei fucili, dei danari, te li daremo». Il Mullah trattenne la missione dicendole che non poteva dare una risposta al negus prima di aver sentito che cosa avrebbe risposto il Governo italiano alla lettera ch'egli intendeva inviargli.

Il governatore della Somalia nel comunicarmi tali notizie esprime dei dubbi sull'attendibilità loro almeno per quanto riguarda la provenienza diretta dal negus della missione; però aggiunge che le informazioni gli sono confermate da altre fonti.

Dal consolato di Aden mi giunge notizia che Ornar Hassan Nur, zio del Mullah, che abita fra i bagheri, inviò in aprile un messaggio a degiac Tafari in Harrar a nome del Mullah augurando salute e chiedendo pace. Degiac Tafari rinviò il messaggio dicendo che, se il Mullah vuole intavolare trattative, mandi un suo inviato direttamente.

Sarò grato a V.S. se vorrà riferirmi su quanto le risulti al riguardo'.

349

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1652/710. Parigi, 27 giugno 1910 (per. il 1° luglio).

Insieme al figlio che è qui incaricato d'affari è stato a farmi visita il conte Teotokis, ex-presidente del Consiglio dei ministri di Grecia. Già la settimana precedente avevo avuto la visita del signor Skouzès, ex-ministro degli affari esteri di Grecia, il quale non seppe dirmi nulla di speciale. Già io aveva avuto occasione di conoscere ambedue nell'esercizio delle loro funzioni ministeriali, quando ministro anch'io, mi recai in Atene al seguito di S.M. il Re. Del signor Skouzès riportai l'impressione di un uomo mediocre. Invece il conte Teotokis mi parve un vero uomo di Stato, nel quale la passione politica, così viva in Grecia, era temperata da una certa naturale indolenza e dalla signorilità della sua educazione. Il conte Teotokis mi ha parlato lungamente della questione cretese. Egli riconosce che il momento attuale è per la Grecia sfavorevolissimo; deplora che i cretesi non l'abbiano capito ed abbiano imprudentemente sollevata essi stessi la questione, e spera che ora obbediranno docilmente alle Potenze. Il conte Teotokis ricorda con riconoscenza l'azione dell'Italia e soprattutto ha presente che il Governo italiano avrebbe voluto profittare a favore della Grecia dell'occasione opportuna che si presentò al momento dell'annessione della Bosnia-Erzegovina all'Austria-Ungheria e della costituzione della Bulgaria in Regno indipendente. L'Italia, secondo il Teotokis, fu la sola a comprendere subito che qualunque opposizione all'annessione della Bosnia-Erzegovina sarebbe riuscita vana e che quindi era miglior consiglio trarre da quell'avvenimento tutto il partito possibile coll'evacuazione da parte dell'Austria-Ungheria del Sangiaccato di Novi Bazar, colla soppressione degli articoli del trattato di Berlino limitanti la sovranità del Montenegro e colla riunione di Creta alla Grecia. I primi due punti furono potuti realizzare (e qui il conte Teotokis si è congratulato meco per tali risultati e per la giustizia che in Italia l'opinione pubblica mi ha resa dopo essermi stata ostile per imperfetta conoscenza dei fatti); il terzo punto non fu potuto attuare per l'opposizione dell'Inghilterra, presa in quel momento da una morbosa tenerezza per i Giovani Turchi ed inferocita per l'annessione della Bosnia-Erzegovina, che in seguito, malgrado le sue prime violentissime proteste, ha dovuto finire per riconoscere.

Il conte Teotokis ha parlato con molta amarezza della politica inglese e russa. Parlando dell'avvenire il conte Teotokis ha detto che, essendo passato il solo

momento nel quale l'annessione di Creta poteva farsi, egli non nutre più al riguardo troppe speranze. Si contenterebbe ora che fosse mantenuto lo statu quo e che la questione cretese non fosse pregiudicata a favore della Turchia. Per l'avvenire egli vagheggerebbe l'unione personale della Creta sotto lo scettro del re di Grecia, vassallo della Turchia, col pagamento alla medesima di un tributo, che costituisse il riconoscimento solenne dei diritti di sovranità del sultano.

Io, pure assicurando il conte Teotokis della simpatia dell'Italia per la Grecia, mi sono tenuto a quest'affermazione generica e, pur consentendo con lui negli apprezzamenti del passato, ho evitato di pronunciarmi in alcuna guisa circa le sue speranze per l'avvenire.

348 l Con R. 399/78 del 24 agosto, non pubblicato, Colli espresse il suo scetticismo sul'importanza e veridicità di tali notizie; riteneva, altresì, che il Governo etiopico non desse alcun affidamento alle proposte del Mullah.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE GENERALE A GIANNINA, STRANIERI

D. 159. Roma, 28 giugno 1910.

In seguito alla notizia, dalla S.V. comunicatami', della progettata istituzione in codesta città d 'una succursale della Banca d'Atene, ho preso in esame l'opportunità di provocare l'impianto costì di un istituto bancario italiano.

A tal uopo mi sono rivolto alla Società Commerciale d'Oriente2, la quale mi informa ora di aver incaricato il dottor Adolfo Tozzi, titolare della succursale della Società stessa in Scutari d'Albania, di recarsi in Janina per studiarvi sui luoghi la possibilità di fondarvi una sede di questo istituto. Nel pregarla di prestare al dottor Tozzi ogni possibile appoggio, adoperandosi affinché la progettata istituzione abbia effettivamente luogo al più presto, ...3

351

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

L. PERSONALE 17. Roma, 30 giugno 1910.

In risposta alla lettera particolare dell'E.V. in data 25 giugno 1910', mi affretto ad informarla che ho dato istruzioni al r. ministro in Cettigne2 di informarsi

350 I Cfr. n. 199.

2 Cfr. n. 291.

3 Per il seguito cfr. n. 381.

2 D. 97, non pubblicato.

presso il Governo montenegrino circa gli esatti limiti delle acque territoriali montenegrine con quelle austriache nella rada di Antivari.

Per maggiore precisione ho incaricato il barone Squittì di farsi dare possibilmente dal Governo principesco una carta della rada di Antivari ove i confini tra i due Stati siano indicati.

Non avendo il R. Governo veste per intervenire presso il Governo austro-ungarico allo scopo di far procedere alla delimitazione delle acque territoriali dei due Stati nella detta rada, né sembrandomi opportuno di incitare il Governo montenegrino a provocare esso tale delimitazione, ho ritenuto che questo fosse il mezzo migliore per ottenere esatte notizie in proposito.

Nel riservarmi di farle conoscere d'urgenza -non appena essa mi pervenga la risposta del r. ministro in Cettigne3, ...

351 l Cfr. n. 345.

352

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

0. RISERVATO 102. Roma, 3 luglio 1910.

Mi pregio di accusare ricevuta alla S.V. e ringraziarla del suo rapporto n. 367/110 in data 24 giugno corrente! relativo alla Compagnia d'Antivari ed alle sue relazioni con codesto Governo specialmente dopo che si trova costì il cavalier ingegnere Arrigo Gullini.

Per quanto riguarda la permanenza costì di questo distinto funzionario delle Ferrovie dello Stato, le confermo il mio telegramma n. 1797 in data 2 corrente2, con cui la informavo di aver fatto i passi necessari presso l'onorevole mio collega il ministro dei lavori pubblici perché essa sia prolungata d'un trimestre.

D'altro lato mi sto adoperando perché venga scelta persona intelligente ed idonea al delicato posto di direttore generale definitivo della Compagnia d'Antivari.

Relativamente, poi, al contegno di codeste autorità verso la Compagnia, il commendator Volpi ebbe a dire, nel suo recente passaggio per Roma, che esso, da parte di S.A.R. il principe Nicola era stato freddissimo. «Ii principe» -disse testualmente il commendator Volpi -«fu con me personalmente cortesissimo, ma divenne freddissimo non appena si venne a parlare della Compagnia d'Antivari».

352 I Non rinvenuto.

2 Non pubblicato.

Mi consta, tuttavia, che così S.A.R. il Principe Nicola come S.A.R. il Principe Danilo si son mostrati, in questi ultimi tempi, più benevoli che non da principio col cavalier Gullini.

Compito, adunque, della S.V. dovrà essere -ora che i servizi della Compagnia vanno continuamente migliorando -quello di adoperarsi con ogni suo potere per rendere Governo e principi favorevoli ad essa le cui benemerenze verso codesto Paese malgrado alcuni errori e difetti -nessuno può disconoscere.

351 3 Cfr. n. 506.

353

IL DIRETTORE GENERALE DELLA PUBBLICA SICUREZZA, LEONARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO .../16294. Roma, 4 luglio 1910.

In relazione al telegramma di V.E. l o corrente, n. 14491, pregiomi comunicarle, con riserva di successive informazioni, i seguenti telegrammi del prefetto di Verona a questo Ministero:

l) In data 2 corrente. -«Eseguirò subito accurate indagini circa i fatti denunciati col telegramma odierno n. 16567. -Avverto intanto che dell'arresto dei due sudditi austriaci data notizia a codesta Direzione Generale P.S. con due rapporti in data 3 giugno n. 12035. -Bisogna però rilevare che in detti rapporti si indicò per equivoco il 31 maggio come data de li 'arresto, mentre questo si verificò il giorno precedente alle ore 17. Il sindaco di Bosco Chiesa Nuova con rapporto del l 0 giugno dichiarava averli lasciati in libertà la sera del 31 maggio, soggiungendo testualmente: "Stamane ritornarono dove erano venuti: due carabinieri che colà si recarono per servizio fecero loro da guida non conoscendo la strada".

Rimarrebbe dunque da assodare le circostanze relative alle condizioni del locale in cui furono detenuti, ali' ordine di trasporto del Vaso, alla protrazione della partenza all'indomani ed al divieto di telegrafare.

E pertanto a questi quattro punti circoscriverò le mie indagini».

2°) In data 3 corrente. -«Pregiomi assicurare V.E. che indagini sul trattenimento fatto ai due sudditi austriaci arrestati a Podisteria al 30 maggio, procedono sollecitamente. Ciò nonostante un rapporto telegrafico completo e motivato non potrà essere spedito prima di posdomani, poiché attendo il risultato di verifiche disposte sul luogo. -Avverto che Bosco Chiesa Nuova dista da Verona oltre cinque ore di vettura e Podisteria da Bosco tre ore a cavallo».

353 I T. riservatissimo 1449, non pubblicato, con il quale si comunicava l'arresto dei due impiegati austriaci.

3°) In data 3 corrente. -«Maggior generale Ciancio, per disposizione datagli da comandante corpo armata in seguito ad ordine del Ministero della guerra, ha compiuto una inchiesta a Bosco Chiesa Nuova circa il trattamento usato ai due impiegati austriaci arrestati il 30 maggio. Risultati inchiesta pienamente favorevoli ai carabinieri. Arresto fu motivato non tanto dal sospetto di spionaggio, quanto dal sospetto che si trattasse di impiegati infedeli rifugiatisi in Italia. -Pregiomi informare di ciò V.E. in relazione al mio precedente odierno telegramma, riserbandomi ad ogni modo inviare prestissimo un completo rapporto telegrafico, appena avrò per mio conto assodato tutte le circostanze del fatto».

354

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1703/586. Therapia, 5 luglio 1910 (per. l' 11).

Mi si è presentato il signor T. Gutowski, direttore della regia ottomana dei tabacchi a Tripoli, raccomandatomi dal cavaliere Pestalozza.

Parte confermandomi cose note, parte informandomi di cose nuove, il signor Gutowski mi disse essere giunto, già qualche settimana fa, col notabile tripolino Si Mustafa ben Zikri, aver trovato un ambiente diffidente verso l'Italia ed essersi perciò astenuto, per qualche tempo, di presentarsi all'ambasciata. La diffidenza, estrema nei sei deputati tripolini, mostravasi appena minore negli uffici ministeriali e negli uomini politici. A causa di essa appunto erasi, quattro mesi sono, prescritto al valì di proibire qualunque esplorazione n eli 'interno a scopo di ricerca ed investigazione di miniere, giacimenti, carrières e simili.

Mercé un assiduo lavoro e l 'uso di qualche potente mezzo di persuasione, i sei deputati sono ora, non soltanto neutralizzati, ma guadagnati alla causa in cui siamo, sia pure per così esigua parte, cointeressati. Ed ora lavorano col signor Gutowski, e con buona speranza, ad ottenere che l 'accennato divieto venga tolto.

Intanto, però, gli statuti della società ottomana da costituirsi dal sindacato egizio-tripolino-italo-francese furono dichiarati non conformi alla legalità; ed irregolare fu pure dichiarata la domanda di concessione di esercizio di miniere, perché firmata dal presidente di una società ancora inesistente. In conseguenza di che, gli statuti sono stati riveduti dall'avvocato Salem e resi conformi alla legge, senza che ne fosse alterata la sostanza primitiva. La istanza è stata rifatta e firmata dal notabile tripolino.

Il signor Gutowski, il cui congedo spirava dopo un mese, se lo è fatto prolungare per non partire da Costantinopoli se non a cose terminate ed in compagnia dei sei deputati. Così eviterà che, o qui o a Tripoli, subiscano influenze contrarie.

355

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1838. Roma, 7 luglio 1910, ore 13,30.

Ho mostrato confidenzialmente a Merey i documenti che ho comunicato a

V.E. coi dispacci nn. 307 del 41 e 309 del 5 luglio circa incidente Bosco Chiesanuova2. Merey persiste nella erronea convinzione che qualcuno dei nostri agenti sia punibile e pur informandomi che aspetterà qualche giorno ulteriori indagini prima di dirigermi nota ufficiale in proposito, insiste per punizione che quasi certamente non si potrà consentire. Sarebbe bene V.E. persuadesse codesto Governo di non insistere. Io credo che invece di invelenire incidenti passati converrebbe studiare insieme d'accordo il modo di stabilire da ambe le parti alcune norme generali per prevenirli in avvenire nei limiti del possibile. Nel caso presente poi occorre osservare che se punissimo agenti nostri che un'inchiesta di un nostro generale dichiara non punibili provocheremmo tale esplosione di manifestazioni antiaustriache che i rapporti dei due Paesi se ne risentirebbero in misura sproporzionata ali' attuale incidente.

Quasi sicuramente anche dopo ricevuta nota ufficiale austriaca chiedente punizione noi non potremmo che rispondere negativamente, onde sarebbe meglio che Merey non ce la dirigesse.

I rapporti tra i due Governi sono ora molto soddisfacenti ed è mio proposito rendere sempre più cordiale l'accordo tra le due Potenze alleate nelle grandi questioni che concernono i loro interessi essenziali. Non vale la pena di compromettere un'opera così importante per piccoli incidenti. Anche noi possiamo sollevare reclami per cattivi trattamenti a cittadini italiani tra cui per incidente di Miss e per i frequenti sconfinamenti di truppe austriache che non trovano riscontro in altrettanti da parte delle truppe italiane. Mi pare però preferibile anziché entrare nella via pericolosa delle reciproche recriminazioni mettere in oblio tutti gli incidenti accaduti sia da una parte e dall'altra e studiare i mezzi di prevenirli nei limiti del possibile in avvenire.

2 Non pubblicato, ma cfr. n. 353 e nota l.

Pur dichiarandosi non autorizzata e come prova di personale confidenza V.E., qualora lo creda opportuno, potrebbe dar lettura di questo telegramma sia ad Aehrenthal cercando un pretesto per vederlo dove si trova, sia a chi lo sostituisce se V.E. lo crede capace di elevarsi dalla considerazione esclusiva di un piccolo incidente a quella di tutto un indirizzo politico.

355 1 Non rinvenuto nel fascicolo relativo.

356

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. 90. Roma, 8 luglio 1910.

Mi è pervenuto il rapporto n. 1552/538 in data 23 giugno u.s.l, con cui l'E.V. riferisce intorno alle relazioni tra codesta r. ambasciata e la locale delegazione apostolica ed alla influenza che l'elemento religioso esercita in codeste regioni.

Dal mio lato pienamente convengo nei concetti da lei espressi e nel recente mio discorso alla Camera dei deputati, in occasione del dibattito circa le nostre scuole all'estero, riconobbi esplicitamente tale influenza e constatai la necessità di tenerne il debito conto, avendo consenziente, in queste mie dichiarazioni, la rappresentanza nazionale.

L'azione nostra in Oriente fu, in questo campo, diretta dai benemeriti miei due predecessori a richiamare gradatamente -senza inutili asprezze verso le nazioni che finora si arrogavano tale privilegio, come senza debolezze -sotto la protezione del R. Governo tutti, od il maggior numero possibile dei religiosi italiani e dei loro istituti.

In quest'opera patriottica -ch'è una conseguenza logica dell'unità e dell'indipendenza italiana -io intendo perseverare con energia non disgiunta da prudenza.

Essa fa parte -nel mio concetto -di un complesso programma di incremento e di consolidamento degli interessi italiani, morali e materiali, nell'Impero ottomano.

In particolar modo mi è grato di constatare i buoni rapporti esistenti tra codesta rappresentanza e la delegazione apostolica, il cui concorso ci è indispensabile pel raggiungimento dei fini che ci proponiamo.

Di questi buoni rapporti la E.V. vorrà in special modo valersi per ottenere il sollecito invio a Salonicco del padre Navarra.

È, infatti, ormai una questione d'amor proprio per noi (e vorrebbe esserlo anche pel delegato apostolico) che l'installazione di un minore conventuale quale cappellano e catechista italiano in quella città abbia luogo senza altri indugi.

Né ciò dovrebbe riuscir difficile, date le assicurazioni di Propaganda (v. mio telegramma n. 1721 del 25 giugno u.s.)2 e del Governo francese (v. mio telegramma 1763 del 28 giugno u.s.)2 e la convinzione, riaffermatale da monsignor Sardi, del nostro buon diritto.

356 l Cfr. n. 341.

357

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. RISERVATO 92. Roma, 8 luglio 1910.

Mi pregio di accusare ricevuta all'E.V. e ringraziarla del suo rapporto n. 1587/548 in data 26 giugno u.s.' relativo all'invito, rivolto dal gran vizir al commendator Femandez, di non occuparsi più della domanda di concessione del porto di Tripoli, nonché del suo telegramma sullo stesso argomento.

Se la concessione di cui si tratta venisse realmente affidata -come l'E.V. suppone -alla società araba ottomana, di cui il Banco di Roma è magna pars, i nostri interessi rimarrebbero egualmente salvaguardati.

358

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI

L. PERSONALE URGENTE 37. Roma, 8 luglio 1910.

Credo mio dovere di segnalare ali 'E.V. il rapporto qui accluso in copia del r. ambasciatore a CostantinopoliI, relativo alla creazione di una società di credito fondiario per l'Impero ottomano.

Come l'E.V. rileverà dal rapporto stesso, è un altro dei grandi affari della nuova Turchia, da cui noi siamo, per nostra colpa, tagliati fuori.

357 l Non pubblicato. 358 l R. 1585/546 del 26 giugno, non pubblicato.

Ciò mi induce ad esporre all'E.V., che delle scienze economiche e finanziarie è illustre maestro, l'intero problema della nostra espansione economica e commerciale in Turchia.

Alla E.V. è noto -come proclamata in Turchia la costituzione -siasi formata e in Europa e negli Stati Uniti dell'America settentrionale la convinzione che al progresso politico non avrebbe tardato a seguire il progresso economico, ed i principali Stati industriali si accinsero ad assicurarsi -con una coraggiosa opera di penetrazione economica -una partecipazione ai lavori pubblici, alle forniture, agli aumentati consumi -in una parola a tutto quell'insieme di opere e di nuovi bisogni che dovevano essere insieme e mezzo e conseguenza dell'avanzarsi d'un grande Stato sulla via del progresso e della civiltà.

Questa penetrazione economica degli Stati civili in Turchia non può dirsi certo che abbia avuto il suo inizio colla costituzione turca.

Da anni e Francia e Inghilterra e Germania e -per quanto in minore misura -Russia quasi monopolizzano il mercato finanziario e commerciale ottomano nulla lasciando intentato per escluderne gli altri Stati.

Si può dire, però, che coll'avvento del regime costituzionale è radicalmente mutata la mentalità con cui si facevano in passato gli affari in Turchia.

Finora, infatti, il tornaconto economico, pur non essendo certo trascurato, passava in seconda linea, mentre si aveva principalmente di mira la supremazia politica.

Se sarebbe dir troppo l'asserire che gli Stati europei si preparavano -prestando danari al Governo ottomano ed impegnandosi nelle grandi imprese pubbliche locali -dei titoli per partecipare alla ripartizione dell'Impero, ritenuta non lontana, è, tuttavia, certo che essi intendevano valersi dei loro crediti e delle imprese, in cui erano interessati, per fondarvi la loro egemonia su determinate parti dell'Impero o per influire, a suo tempo, sul Governo centrale. In seguito alla proclamazione della costituzione, invece, le mire politiche sono passate in seconda linea.

Risorta la fiducia nella potenzialità economica della Turchia, questa viene considerata (e lo è realmente) come un vasto e proficuo mercato pei capitali, i prodotti e le energie dei grandi Stati civili d'Europa e dell'America settentrionale.

Ma, mentre e Francia ed Inghilterra e Germania e Russia avevano già pronti gli istrumenti per questa azione economica, noi ci trovammo del tutto impreparati.

Mentre, infatti, la Francia, oltre alla Banca Imperiale Ottomana, ove essa ha una parte predominante, contava numerosi istituti di credito, quali il Crédit Lyonnais, la Banque de Paris et des Pays Bas, la Banque Maurice Rouvier, ecc. ecc., da anni interessati a tutti i principali affari in Turchia, e l'Inghilterra, colle Banche Casse], Hambro ed altre, era nella stessa condizione, la Germania istituiva la Deutsche Orient Bank con scarsi capitali, ma appoggiata da stabilimenti di importanza mondiale, come la Deutsche Bank, la Banque de Genève, la Banca Mendelsohn, ecc., e la stessa Russia, coll'onnipotente intervento del suo Governo, fondava la Banca russo-asiatica.

Noi, invece, malgrado le numerose, spontanee e coraggiose iniziative individuali dei nostri concittadini, dimoranti n eli' Impero, non vi possedevamo un solo istituto di credito di qualche importanza.

A questa deplorevole lacuna cercarono i nostri predecessori di porre riparo provocando la formazione della Società Commerciale d'Oriente appoggiata dalla Banca Commerciale, ed incoraggiando il Banco di Roma ad istituire le sue sedi di Bengasi e T ripoli di Barberia, con agenzie dipendenti nei minori centri dell'Africa ottomana.

Ma, nonostante la innegabile buona volontà dei fondatori della Società Commerciale d'Oriente, primo tra tutti il commendator Joel, e del presidente del Banco di Roma, signor Ernesto Pacelli -ai quali mi è grato di render qui giustizia non era con un istituto di tre milioni di capitale -come la Società Commerciale d'Oriente -né con singole sedi di un altro istituto -le quali impiegano un capitale non superiore a questa cifra, che si poteva sperare non dico di competere, ma neppur di coesistere onorevolmente con colossi della finanza come quelli citati più sopra.

E di ciò si resero conto così gli onorevoli miei predecessori, senatore Tittoni e conte Guicciardini, come i presidenti del Consiglio del tempo, onorevoli Giolitti e Sonnino -e gli uni e gli altri reputarono indispensabile la fondazione di una Banca italiana per l'estero, la quale avesse, però, specialmente di mira l'Impero ottomano e gli Stati balcanici.

Essi naturalmente si rivolsero per consiglio ed appoggio ali 'illustre capo del nostro maggiore istituto di credito, al commendator Bonaldo Stringher.

Questi si mise all'opera or sono tre anni, convocò i principali istituti di credito e fece i passi a tal uopo necessari. L'iniziativa passò per alterni periodi di speranze e di scoraggiamenti, finché giorni sono il commendator Stringher ebbe a dichiararmi esplicitamente che egli riteneva improbabile di giungere ad un risultato favorevole.

Due soli istituti avevano dimostrato della buona volontà, ed erano il Banco di Roma e la Banca Commerciale, o -più precisamente -per quest'ultima il commendator Joel, personalmente.

Attualmente lo stato di fatto è, dunque, il seguente: dove non si voglia abbandonare ogni e qualsiasi speranza di assicurarci una equa partecipazione al movimento finanziario ed economico della Turchia, noi dobbiamo ottenere che od i due istituti di credito, uniti, od uno di essi, se l'accordo tra i due riuscisse impossibile, istituiscano sedi a Costantinopoli e nelle principali città dell'Impero prestando ai nostri intraprendenti concittadini, colà dimoranti, quell'appoggio senza del quale sarebbe vano contare sopra qualsiasi risultato positivo.

Io mi sono accinto volenteroso a questa opera di concordia tra due benemeriti istituti di credito nazionali, ma fin d'ora riconosco l'inanità dei miei tentativi, ove non possa contare sulla valida cooperazione del commendator Stringher e soprattutto sull'autorevole patrocinio de !l'E.V.

Io le chiedo, quindi, di voler riunire presso di lei, insieme a me, il commendator Stringher ed il signor Ernesto Pacelli per uno scambio preliminare d'idee, al quale terrà dietro un convegno colla partecipazione anche del commendator Joel.

Io confido che quest'azione concorde, ispirata alla più ferma fiducia nei destini della Patria, assicurerà all'Italia, che lavora e produce, un ricco e fiorente mercato nell'Impero ottomano.

Che, se questa mia fiducia dovesse -per fatalità di cose o malvolere di uomini -andar delusa, noi avremmo almeno il conforto di aver tentato e voluto, anche in questo campo, unicamente il bene del Paese.

Ma io -ripeto -ho fiducia nel successo -tanto più che, ove esso mancasse, ciò avrebbe certo -come mi riservo di esporre a voce alla E.V. -una grave ripercussione così sulle imprese italiane già esistenti in Oriente, come sulla opinione pubblica italiana. Nel pregarla d'un cortese cenno di riscontro2, ...

356 2 Non pubblicato.

359

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

NOTA 5665. Roma, 8 luglio 1910 (per. l' 11).

Ho esaminato e fatto esaminare da S. E. il capo di stato maggiore la quistione relativa al commercio delle armi in Etiopia, che l 'E.V. espone nella nota alla quale rispondo!.

Non vi è dubbio che nei riguardi militari ogni ostacolo frapposto all'acquisto di armi per parte del Governo etiopico concorrerebbe a diminuire le difficoltà della eventuale difesa della nostra colonia, ma è pur doveroso riconoscere che i nostri sforzi intesi a quello scopo, non hanno sortito quei risultati sui quali avevamo contato.

Del resto l'adesione dell'Impero etiopico all'Atto generale di Bruxelles del 2 luglio 1890 ha dato ad esso la facoltà di procurarsi le armi ove e quando creda opportuno, né l'azione diplomatica nostra e dell'Inghilterra è valsa ad indurre la Francia ad un efficace concorso nella limitazione del commercio delle armi; ed è perciò che considerazioni politiche, commerciali e fiscali, possono consigliare di recedere dal sistema proibitivo finora da noi seguito.

Ma non è da dimenticare che con ciò non solo verrà a mancare quel poco d'azione ritardatrice finora esercitata nell'armamento dell'Etiopia, ma al contrario, si renderà più spedito l'armarsi di essa e specialmente delle regioni a noi confinanti, e si darà forse un nuovo impulso al sentimento belligero di quelle popolazioni.

359 I Cfr. n. 302.

Di conseguenza mentre da una parte si dovrà disciplinare nel modo più conveniente il commercio delle armi, collo stabilire che esso venga fatto esclusivamente col Governo etiopico e che sia eliminata qualsiasi trattativa diretta coi capi delle varie regioni, dali' altra sarà necessario controbilanciare l'aumento dei fucili dell'esercito etiopico con l'aumento delle nostre forze, tanto nell'Eritrea quanto nella Somalia.

E su questo riguardo io non posso che associarmi ai noti intendimenti di

S.E. il capo di stato maggiore e riferirmi alle proposte concrete che più volte ho fatto presente all'E.V.2

358 2 Per il seguito cfr. n. 430.

360

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 173 7/60 l. Therapia, 8 luglio 1910 (per. il 18).

Il signor Gutowski mi ha riferito che le diffidenze a nostro riguardo, sono più che mai vive, e che, appianate le difficoltà da una parte, le vede risorgere dall'altra. Nell'affare delle miniere, sinché l'opposizione veniva dai deputati tripolini, il Governo dissimulava, non avendo bisogno di mostrarsi; oggimai, che i deputati sono passati dalla parte del Sindacato egizio-tripolino-italo-francese, il Governo si toglie la maschera e si rivela decisamente a noi avverso. Già esso sa che la Società non è ottomana se non di nome; e non crede, o finge non credere a partecipazioni di parecchie nazionalità. Ritiene che capitali italiani soltanto siano impegnati, od, almeno, di questi soltanto mostra preoccuparsi. Il mustesciar del Gran Vizirato, in una discussione coi deputati tripolini, ai quali parlava in nome di Hakki pascià, rimproverò loro, nettamente, di far il giuoco degli italiani. Disse loro testualmente: «Come voi, buoni patrioti, vi affaticate ad aprir loro una porta che noi duriamo fatica a tener chiusa!». I deputati risposero che la impresa per cui si interessano e nella quale vi sono, bensì, capitali italiani, ma limitati ad una frazione, potrà procurar lavoro e benessere a gente che muore di fame; che il Governo ottomano avrebbe diritto di opporvisi soltanto se si decidesse ad oprar esso stesso; ma non fa nulla ed impedisce che altri faccia! La miseria è tale, in Tripolitania, che si sono visti arabi raccogliere dallo sterco dei cavalli i chicchi indigeriti di orzo, per fame lor nutrimento! Chi fu più veemente nella discussione, è il deputato del Fezzan, della cui intelligenza e del cui zelo il Gutowski altamente si loda. Se non si giunge a soluzione favorevole (ed ora gli auspici i sono contrari), i deputati torneranno alle loro case a promuovere un'agitazione popolare. Almeno di ciò minacciano il Governo. Se non mutano ...

Tutto ciò induce, però, a riflessioni. Appare troppo palese, una volta di più, che l'attività nostra vogliasi, per quanto sarà possibile, forcludere dalla Tripolitania, come dali' Albania. In quest'ultima regione, V. E. avrà notato come, in quel di Durazzo, ove la Ditta Dagna vorrebbe sfruttare piccoli lotti di foreste, l'autorità dichiari non volerne dare concessioni se non per grandi estensioni; in quel dei Mirditi, invece, in cui i Vismara-Lecca-Semmola domandano grandi concessioni, altre autorità dichiarino non voler concedere le foreste se non a piccoli lotti. È, codesta, la miglior evidenza di una opposizione sistematica, irrazionale ed irragionata, fatta di sospetti e di paure, e, perciò, simile a quella che s'incontrava talora sotto l'antico regime. Ma, allora, l'opposizione si vinceva con pressioni che si esercitavano sul sultano. Ora manca su chi esercitarle, la maggior autorità essendo quella di un ente che si nasconde inafferrabile.

359 2 Per la risposta cfr. n. 427.

361

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

T. UFF. COLONIALE 18771. Roma, l0 luglio 1910, ore 15,45.

Riferiscomi mio telegramma 14832. Colli telegrafa aver trasmesso direttamente Cappello insieme con proprie istruzioni lettera ufficiale Governo etiopico autorizzante Agenzia Arussi. Governo etiopico ha anche dato conferma ufficiale invio missione delimitazione nord Somalia prossimo novembre.

362

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 582/190. Pietroburgo, 10 luglio 1910 (per. il I 9).

In quest'ultima fase della questione cretese il Gabinetto di Pietroburgo, solito, un tempo, a stare a capo dell'azione delle Potenze protettrici ne li 'isola, aveva assunto una attitudine di particolare riserbo, direi quasi di disinteressamento. Ad una osservazione da me fattagli al riguardo il signor Iswolsky aveva di fatti risposto riconoscendo questa sua inazione e soggiungendo che l 'attuale situazione

361 I Il telegramma fu trasmesso via Zanzibar. 2 Non rinvenuto.

in Creta non sembravagli abbastanza chiara dal giustificare una sua più attiva intromissione. Recò quindi sorpresa quando il Governo russo, uscendo improvvisamente dal suo ritegno, prese l'iniziativa di una proposta della rioccupazione militare de li 'isola e altre ugualmente radicali misure. Fu notato allora da alcuni che questa proposta russa si produsse appunto al momento in cui il Gabinetto di Parigi, impressionato dalla attitudine minacciosa della Turchia, si era fatto caloroso patrocinatore, presso gli altri tre Gabinetti, di una rapida e definitiva risoluzione da darsi alla questione di Creta e ne fu tratta la conclusione che fosse appunto per evitare l'accettazione del suggerimento della Francia da lui personalmente avversato, che il signor Iswolsky aveva escogitato il suo passo.

In un più recente colloquio avuto con me, lo stesso signor Iswolsky, come ebbi del resto a telegrafar lo a V. E.', ebbe cura di confermarmi indirettamente l'esattezza di queste induzioni. Egli non mi celò le ripugnanze da lui nutrite contro una risoluzione definitiva del problema cretese nel presente momento politico. Appariva però dalle sue parole che questa ripugnanza non si riferiva soltanto alle gravi difficoltà che offriva il problema da risolversi, ma più ancora alle prospettive di vedere sottoposto all'esame di tutte le Potenze uno dei punti della questione di Oriente. Particolarmente l 'idea della convocazione di una conferenza su Creta, ove avrebbero naturalmente dovuto intervenire la Germania e l'Austria-Ungheria, pareva essergli particolarmente odiosa. Nell'animo del signor Iswolsky il tempo non pare ancora aver rimarginato le patite ferite e la prospettiva di vedere riuniti intorno ad un tappeto verde il rappresentante russo e quello austro-ungarico per discutere su un problema orientale non deve sorridergli affatto. Ogni qualsiasi contatto col conte di Aehrenthal sulle questioni attinenti ali 'Oriente gli deve sempre parere prematuro e pericoloso. Egli opina inoltre, che il convocare adesso una conferenza internazionale per Creta allorquando, meno di due anni fa non trovò favore presso le Potenze il suo progetto di una simile conferenza per la definizione di una questione di ben maggiore importanza per l 'Europa, come era quella dell'annessione della Bosnia ed Erzergovina, darebbe indubbiamente luogo a penosi raffronti e l'opinione pubblica russa ne sarebbe malamente impressionata.

Le considerazioni che precedono hanno indubbiamente contribuito a rendere il signor lswolsky molto esitante all'idea di una conferenza su Creta, e come egli formalmente mi dichiarava, il Governo imperiale avrebbe ad esaminare se e sino a qual punto gli sarebbe convenuto di prendervi parte qualora una proposta formale gli venisse fatta in quel senso. Ricorderò qui passando che al momento della crisi per l'annessione dopo l'insuccesso del suo progetto di conferenza, questo ministro degli affari esteri, in un colloquio avuto con me, ebbe a formulare meco in termini quasi identici la minaccia de li 'astensione per parte della Russia di intervenire ad una conferenza che fosse in avvenire proposta da qualche altra potenza sopra questioni riferentisi all'Oriente. Come vedesi il signor Iswolsky ha tenaci la memoria ed il rancore.

362 I T. 2262/84 del 6 luglio, non pubblicato.

363

IL REGGENTE IL CONSOLATO A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 783/121. Canea, Il luglio 1910 (per. il 21).

Venerdì 8 corrente, tutti i rappresentanti delle Potenze protettrici erano muniti di istruzioni circa un'azione coattiva da esperirsi nel caso in cui il noto incidente del giuramento dei deputati e funzionari musulmani non fosse terminato secondo l'ingiunzione delle Potenze. Mentre il telegramma ricevuto dal mio collega britannico, concordava ad litteram col mio e variava di poco da quello del console russo, le istruzioni del signor Bertrand erano alquanto differenti; per questa ragione si tenne una lunga discussione prima di poter trovare, per le dichiarazioni da farsi al Governo cretese, una formula conciliativa accettabile da tutti. Ad onta che il telegramma n. 18041 di V.E. accordasse una certa latitudine alla mia condotta, permettendo di associarmi a tutti i provvedimenti che sarebbero stati presi dai colleghi, io non ho mancato di tener presente, che doveva prevalere lo spirito della proposta inglese, come quella che, accettata in massima dagli altri tre Gabinetti, avea provocato le istruzioni in nostro potere. Il principale punto di divergenza era l'eventuale occupazione dei quattro porti dell'isola, compresa nelle istruzioni del collega francese e mancante nelle nostre, ma, anche su ciò, ci accordammo aggiungendo alle dichiarazioni da farsi al Governo, la frase: «... des forces des qua tre Puissances seront débarquées dans les principaux ports de la Crète et les douanes saisies».

Concordato il testo definitivo che ebbi l'onore di far conoscere a V.E., nella sua traduzione italiana, col mio telegramma n. 942 e che oggi allego in originale (alleg. l), decidemmo, che, l'azione, per non perdere della sua efficacia, avrebbe dovuto seguire, senza indugio, all'eventuale rifiuto da parte dell'assemblea di sottomettersi; che una nuova autorizzazione per usare della forza, si sarebbe resa necessaria nel solo caso in cui le decisioni dell'assemblea fossero state tali da ingenerare dubbii sulla loro accettabilità; che si sarebbe dovuto senz'altro occupare le dogane, se, spirato il termine concesso, nessuna risposta ci fosse stata data. Il signor Wratislaw sosteneva invece che, in nessun caso, si dovesse far uso delle forze navali senza domandare prima una speciale autorizzazione, in ultimo però finimmo coll'essere tutti d'accordo inserendo nelle notizie che, sulla situazione, avremmo dato ai nostri Governi l 'ultima frase del citato mio telegramma n. 94.

All'unanimità stabilimmo poi: d'invitar subito il signor Venizelos alla nostra riunione, per fargli le dichiarazioni di cui sopra, non omettendo di rimettergliene, nello stesso tempo, per iscritto, i termini, perché nessun dubbio potesse sorgere sulla loro portata. A non ritardare la notificazione fummo indotti dal fatto che, ormai, tutte le vie conciliative erano state esaurite, che le lunghe trattative fra i partiti avevano

,~

2 T. 2283/94 del 9 luglio, non pubblicato.

approdato a nulla e potevano considerarsi finite, che, in ultimo, non agendo così, rischiavamo di trovarci in presenza di uno scioglimento dell'assemblea, senza speranza di farla convocare, per la partenza da Canea di molti dei suoi membri.

Il signor Venizelos, ascoltate le nostre dichiarazioni, disse che ad esse si attendeva e se ne mostrò, o finse mostrarsene, quasi lieto perché gli davano modo di esercitare una salutare influenza sui più recalcitranti del suo partito, sul quale contava unicamente per una favorevole soluzione dell'incidente.

Il comandante superiore delle forze navali internazionali, cavalier Patris, comandante la r. nave "Vettor Pisani", da me informato la notte stessa, dell'avvenuta notificazione, al Governo cretese, prese senza indugio i provvedimenti necessari perché un'azione la più pronta e rapida possibile, potesse seguire all'eventuale invito che la riunione dei consoli, gli avesse rivolto, di agire militarmente.

Sabato 9, alle ore 16,30, si riunì l'assemblea. Intervenne il solo partito diVenizelos, al completo, essendosi astenuta l'intiera opposizione. Il numero legale fu raggiunto amala pena, rappresentando, i 59 presenti, la metà dei delegati cristiani più due. Dopo che il signor Venizelos ebbe pronunciato un lungo discorso, invitando l 'assemblea a sottomettersi, per la salvezza del Paese, alla volontà delle Potenze e, dopo che quattro deputati ebbero fatte delle dichiarazioni di voto contrarie alla politica del Governo, fu votato, articolo per articolo, per acclamazione e senza discussione, un ordine del giorno-già concordato in precedenza dal partito-contenente varii provvedimenti legislativi e, da ultimo, la seguente dichiarazione: «... Si autorizza .... 9) a rispondere convenevolmente alle due ultime note delle Potenze protettrici in data 24 maggio/6 giugno 191 O e 27 maggio/9 giugno 191 O, dichiarando che il Paese si conformerà alle loro ingiunzioni. A fare altresì le riserve necessarie circa l 'uso del termine dei "diritti sovrani"» (queste parole sono tradotte dall'appunto scritto di suo pugno dal signor Venizelos, sul primo momento, e che corrispondono, secondo il r. interprete, a quelle lette in seduta; il resoconto ufficiale però della seduta stessa non è conforme, come risulta dalla seguente traduzione: «... Si autorizza ... 7) a rispondere convenevolmente alle due note delle Potenze protettrici in data 24 maggio/6 giugno 191 Oe 27 maggio/9 giugno 191 O, dichiarando che il Paese si conformerà alle loro ingiunzioni. A fare altresì le riserve necessarie circa l 'uso del termine "diritti sovrani" nell'ultima nota alla Porta»).

Venne quindi chiusa la sessione e fissata a quattro mesi la sua riapertura, a meno che il Governo non credesse opportuno anticipare questa data. l deputati musulmani, seguendo il consiglio dei consoli, non intervennero alla seduta.

Sul resoconto della seduta che il signor Venizelos ci fece verbalmente appena terminata, fu redatto un telegramma identico che io ebbi l'onore di trasmettere a V.E. sotto il n. 953. Oggi, il signor Venizelos, rimettendoci l'annunciata nota che allego in copia (alleg. 2)4 ci ha pregato, in via privata ed amichevole, di vo

4 Non si pubblica.

ler far rientrare a Suda gli incrociatori stazionanti avanti a Canea, ma gli abbiamo risposto negativamente.

L'assemblea, col chiudere la sessione e disperdersi, ha tolto ogni portata pratica alla sua decisione, in quanto che, di fatto, i delegati musulmani non hanno ancora potuto partecipare ai lavori; legalmente però essi fanno parte della rappresentanza popolare e, in questa loro qualità, dovrebbero sedere alla prima riunione. Come sanzione pratica della presa decisione è il pagamento dell'indennità parlamentare, già eseguita alla maggior parte.

Il voto de !l'assemblea non ha causato disordini, ma formò oggetto, nella stampa di opposizione, di articoli che servono a mantenere viva la latente agitazione. Ora gli animi sono in sospeso, in attesa di sapere se le Potenze accetteranno o no la risoluzione dell'incidente quale è stata data dai cretesi o, per essere più esatti, dai venizelisti; l'opposizione si mostra moderata, ma la sua moderazione può essere prodromo di vicina battaglia.

I quattro incrociatori che abbiamo mantenuto avanti alla capitale, mentre attestano che l 'ultima parola sulla questione non è stata ancora detta, servono di freno ai più eccitati demagoghi.

363 l T. 1804 del 3 luglio, non pubblicato.

363 3 T. 2290/95 del l O luglio, non pubblicato.

364

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AI MINISTRI AD ATENE, CARLOTTI, E A BUCAREST, BECCARIA

T. 1894. Roma, 12 luglio 1910, ore 17,55.

Prego V.S. di esprimere a codesto Governo il vivo compiacimento mio per il componimento del recente incidente colla (per Atene): Rumania (per Bucarest): Grecia. Sono molto lieto che ad ottenere questo felice risultato abbia potuto contribuire l'Italia, legata a codesta Nazione da tante gloriose tradizioni e da tante profonde affinità. Ed ancor più lieto sarei se a codesto Governo potesse riuscir gradita l'opera che l'Italia molto volentieri presterebbe per facilitare la ripresa delle relazioni dirette ed amichevoli fra la Grecia e la Rumania. Lascio al senno di V.S. il giudicare se e come si debba intrattenere di ciò codesto Governo, previ accordi che V.S. prenderà direttamente col suo collega di (per Atene): Bucarest (per Bucarest): Atene.

(Per Atene soltanto): Questo incaricato d'affari di Grecia ha già riferito al suo Governo una conversazione privata avuta sull'argomento col segretario generale di questo ministero l.

364 I Per la risposta da Atene cfr. n. 369.

365

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1811/628. Therapia, 12 luglio 1910 (per. il 23).

Secondo informazioni di sorgente ellenica, sarebbe questione, in circoli politici e militari di Atene, di una unione della Grecia con l 'Italia sotto lo scettro di re Vittorio Emanuele III. Il concetto di quella unione sarebbe andato guadagnando favore, specie fra i membri delle corporazioni che presero parte attiva alla rivoluzione militare dell'anno scorso, e fra i giornalisti che attaccano più o meno violentemente la dinastia regnante. Si sarebbero emesse cartoline postali con l'effigie di Sua Maestà quale sovrano del Regno Unito d'Italia ed Ellade. La polizia di Atene avrebbe sequestrato documenti. I giornali turchi riferiscono, però, cotali notizie a semplice titolo documentario, e nei circoli diplomatici non mi consta che siano state oggetto di alcun commento.

366

IL CONSOLE GENERALE A GIANNINA, STRANIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 593/123. Giannina, 12 luglio 1910 (per. il 15).

Ho l'onore di informare V. E. che trovasi qui da alcuni giorni il signor Italo Rossi, di nazionalità italiana, ispettore della Banca Imperiale Ottomana, venuto per fondare in Janina una succursale del suddetto istituto.

Ho visto personalmente il signor Rossi, che conoscevo da Costantinopoli. Egli ha detto che, dopo l'istituzione della succursale della Banca d'Atene in quella città, il Governo di Costantinopoli ha fatto vive pressioni sulla Banca Ottomana perché non tardasse a fondare pur essa una sua succursale in Janina.

Così, oltre la Banca d'Atene che già funziona dal 13 dello scorso giugno, avremo tra uno o due mesi in Janina anche una sede del potentissimo istituto di Costantinopoli.

Io sarei felice che le mie previsioni non si avverassero, ma temo, francamente, che noi, con la progettata istituzione di una succursale della Società Commerciale d'Oriente, entriamo, per così dire, tardi in lizza.

La piazza di Janina è essenzialmente greca e i greci per patriottismo sosterranno la Banca d'Atene. D'altra parte, la Banca Ottomana accaparrerà tutto ciò che è movimento di fondi nell'amministrazione finanziaria del vilaiet, sarà a Janina la banca ufficiale del Governo.

Che cosa rimarrebbe al nostro istituto in fatto di operazioni strettamente finanziarie e bancarie? Forse la partita degli incassi e dei pagamenti nel movimento commerciale tra l'Italia e queste regioni: dico forse perché non è improbabile che la sede della Banca Ottomana, che certo si metterà in relazione anche con banche del Regno, possa togliere al nostro istituto, se non tutto, parte di questo lavoro.

A mio modesto avviso, l'istituenda sede della Società Commerciale d'Oriente, più che operazioni esclusivamente bancarie dovrebbe prefiggersi altro obbiettivo: quello di far partecipare il gruppo finanziario che rappresenta a quelle imprese di carattere commerciale e industriale nel vilaiet di Janina di cui la realizzazione è più che possibile e che, se non dal capitale italiano, verranno assunte a più o meno breve scadenza dal capitale straniero, con grave jattura dei nostri interessi politici ed economici in queste regioni.

Ad ogni modo urge che il dottor Tozzi venga subito a Janina per rendersi conto de visu delle condizioni del Paese. Il r. console in Scutari, cui io mi sono rivolto per conoscere la data approssimativa della partenza del signor Tozzi per Janina, mi ha telegrafato che egli, salvo caso contrario, si sarebbe mosso da Scutari a questa volta verso il l Odel corrente mese. Ove però fra qualche giorno ancora io non dovessi ricevere conferma della di lui partenza, ne terrò avvisata l'E.V. perché possa sollecitarla.

367

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1831/636. Therapia, 13 luglio 1910 (per. il 23).

Il marchese Theodoli mi ha riferito di un nuovo caso di intransigenza antiitaliana.

Un suddito ottomano ha chiesto di esercire una tonnara sulle coste della Tripolitania. Si è, a torto od a ragione, supposto che, con costui, vi fossero cointeressenze italiane o, dietro a lui, si appiattassero capitali italiani. E la pratica è stata affidata ad un funzionario Giovane Turco, con speciale appello al suo patriottismo, perché trovasse modo che la concessione venisse negata.

Il marchese Theodoli, opportunamente avvertito, cercherà di paralizzare le intenzioni a noi opposte, e di ottenere che, qui, la decisione finisca con l 'essere favorevole. Ma non può rispondere dei funzionari locali, i quali, con pretesti diversi, possono opporsi all'attuazione del progetto, poiché la concessione rimarrebbe tuttavia subordinata a certe condizioni, il cui apprezzamento è loro lasciato.

Mi ha confermato che, al signor Gutowski ed ai sei deputati tripolini, interessati nell'esplorazione mineraria della regione per il noto sindacato internazionale, l'autorizzazione a penetrare nell'interno a scopo di studi, è stata rifiutata. Il Gutowski (che ho invitato due volte, ma che, per prudenza, non veggo quanto vorrei), si propone di partire fra pochi giorni per la Tripolitania. Farà il viaggio coi deputati, i quali, giunti colà, si propongono di agitare l'opinione pubblica, in modo che il valì, per evitare guai maggiori, si senta indotto ad autorizzare, di suo arbitrio, l'esplorazione che a Costantinopoli non si vuoi permettere.

Il marchese Theodoli rammentava, a quel proposito, la partenza di Hakki pascià da Roma, a cui era presente, e le enfatiche sue dichiarazioni all'onorevole Tittoni in favore della penetrazione dell'attività italiana, dei capitali italiani, delle industrie italiane nella ringiovanita Turchia!

Dal canto suo, il Governo del re giudicherà, forse, ad un dato momento, che reputi dinieghi, inspirati ad ingiustificata diffidenza, dinotano un partito preso offensivo ed equivalgono ad un trattamento di disfavore.

368

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 23241135. Londra, 14 luglio 1910, ore 1,35 (per. ore 17,45).

Creta. Telegramma di VE. n. 1902'.

Proposta Izwolskij circa convenienza rispondere recente nota della Sublime Porta mi pare senza dubbio opportuna. Per i motivi indicati mio telegramma n. 1342 riterrei però necessario completare comunicazione eventuale tendente rimettere Grecia fuori causa con due paragrafi nei quali venisse esplicitamente enunciato:

l) che Potenze, essendo di recente riuscite mercé loro energico intervento assicurare alla Turchia dovuta soddisfazione in omaggio suo diritto, si credono in diritto ed in dovere insistere nuovamente perché Governo ottomano prenda senz'altro misure necessarie per pronta cessazione boicottaggio ed agitazione anti-ellenica;

2) che il prolungarsi di tale agitazione, mentre presenta pericoli per pace che Potenze intendono sia mantenuta ad ogni modo, non varrà in alcun modo a far mutare propositi già manifestati circa ravvisata momentanea inopportunità ogni negoziato per soluzione definitiva, alla quale del resto mai si potrebbe addivenire senza partecipazione di tutte le Potenze firmatarie del Trattato di Berlino.

Prima di parlare in tal senso con Grey e gli altri due colleghi, m'importa di conoscere il pensiero di V.E. e ricevere eventualmente per norma di linguaggio suoi ordini che prego telegrafarmi al più presto. Situazione odierna parmi ad un dipresso identica a quella di agosto scorso. Allora, grazie energica azione delle Potenze protettrici, si riuscì ad impedire guerra alla quale Turchia sicuramente avviavasi. Converrebbe ora seguire identica linea di condotta senza esitazioni, ter

. . .

g1 versazwm.

Spiegazioni chieste Governo ellenico, telegramma V.E. n. 1902, tendono a dimostrare sempre più intenzioni recondite Turchia cercare pretesto aggressione. Importa in complesso agire e presto. Posso ingannarmi, ma ho ferma convinzione che conflitto armato turco-greco provocherebbe a breve distanza conflagrazione generale dei Balcani con conseguenza probabilissima e per noi sotto ogni rispetto più spiacevole di una rioccupazione del Sangiaccato da parte dell' Austra-Ungheria3.

368 l T. 1902 del 13 luglio, non pubblicato. 2 Con T. 23111134 del 13 luglio, Imperiali riferiva la sua conversazione con Hardinge insistendo sulla necessità di ottenere la cessazione del boicottaggio per evitare la guerra.

369

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2325/105. Atene. [14] luglio 1910, ore 16 (per. ore 18).

Ho significato a questo ministro degli affari esteri nei termini del telegramma di V.E. n. 1894', il compiacimento del R. Governo pel componimento dell'incidente colla Rumania. Il signor Calergi mi ha pregato di esprimere all'E.V. i sentimenti di viva e profonda riconoscenza del Governo ellenico per l'azione benefica spiegata dall'Italia in quell'occasione e per le di lei lusinghiere parole. Quanto alla possibilità di una ripresa delle relazioni fra i due Paesi, è mia fondata impressione che, qualora il Gabinetto di Atene avesse notizia di buone disposizioni del Governo rumeno a tale riguardo, esso «stringerebbe la mano che gli venisse tesa» per usare della locuzione da me riferita nel rapporto n. 199 del l O aprile 1909. Desumo questa impressione da un colloquio da me avuto col signor Ca! ergi giorni or sono e cui diede occasione il telegramma di Carapanos dali 'E.V. accennatomi. Richiesto del mio avviso intorno al suo contenuto, mi pronunziai calorosamente in favore dell'idea posta innanzi dal segretario generale di codesto

R. Ministero, facendo valere i molteplici motivi permanenti e del momento che ne appoggiano l'opportunità. Sostenni, poi, che il miglior modo di conseguire un 'intesa sarebbe di lasciare in disparte le ves sate questioni per le quali ormai l'opera di argomentazione era stata d'ambi i lati esaurita e di procedere invece semplicemente allo scambievole invio dei rispettivi rappresentanti, i quali, con agio e stabilità, avrebbero potuto più tardi appianare ogni difficoltà. Il signor Calergi mi rispose che il Governo ellenico non sarebbe affatto alieno dall'entrare in questo ordine d'idee, soprattutto sotto gli auspici del Governo italiano di cui gli è nota la sincera amicizia, ma che, a suo avviso, se la Grecia poteva abbandonare la discussione di tutte le vecchie questioni, per una sola avrebbe dovuto richiede

369 l Cfr. n. 364.

re un previo affidamento, quello del ripristinamento del protocollo 190 l con carattere di stabilità. Ho replicato che una simile domanda ne provocherebbe naturalmente altre da parte della Rumania e si ritornerebbe alle antiche diatribe, compromettendo l'esito dei buoni uffici.

A questo punto si fermò la nostra conversazione. Osservo però che, giusta il rapporto del r. ministro a Bucarest del l O aprile 1909 n. 117, «il Gabinetto rumeno non si rifiuterebbe ad un tentativo di riconciliazione, purché avesse affidamento che la Grecia recederà dall'incoraggiare il patriarcato nella sua resistenza e l'azione delle bande contro i cutzo-valacchi». Sembrerebbe da ciò potersi argomentare che ciascuna delle parti limiterebbe le proprie condizioni per la ripresa di relazioni normali agli affidamenti sovraccennati. La contemporanea nostra azione a Bucarest ed ad Atene potrebbe dunque assumere questo punto di partenza, a meno che si riuscisse ad ottenere la rinunzia dall'una e dali' altra parte a quelle domande per facilitare anche ripresa di relazioni che, dopo tutto, non pregiudica punto il successivo pacifico esame di quelle e di altre questioni.

368 3 Per il seguito cfr. n. 420.

370

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

D. 434. Roma, 14 luglio 1910.

A completamento del mio dispaccio n. 396 del 3 luglio corrente1 , relativo alla questione della delimitazione del confine tra la Tripolitania e la Tunisia, esprimo fin da ora alla E. V. il mio avviso che sarà utile di ricordare eventualmente, a suo tempo, al signor Pichon che l'Italia non potrebbe riconoscere altra linea di frontiera su quelle regioni fuorché quella indicata sulla carta annessa alla convenzione anglo-francese del 1898: linea confermata dal nostro accordo con la Francia del 1902, relativo alla Tripolitania e al Marocco. Mentre circa il modo e il momento in cui presentare tale osservazione mi rimetto interamente al tatto ed al senno della E.V., aggiungo, intanto, che gradirò di essere continuamente tenuto al corrente di tutte le ulteriori informazioni che la

r. ambasciata potrà raccogliere intorno alla predetta delimitazione. Mi riservo, per parte mia, di comunicare alla E.V. quei ragguagli che in ordine a tale questione mi fossero trasmessi dalla r. ambasciata in Costantinopoli e dai rr. consolati in Tunisi e Tripoli cui ho rinnovato istruzioni di vagliare e di riferire con ogm premura.

370 I Non pubblicato ma cfr. n. 336 nota 2.

371

IL COMANDANTE IN SECONDA IL CORPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, ALIPRINDI, ALL'ADDETTO MILITARE A BERLINO, CALDERARI'

FOGLIO RISERVATO 1049. Roma, 14 luglio 1910.

Come alla S.V. è noto, in questi giorni si è chiusa la conferenza ai cui lavori hanno partecipato a Bruxelles i plenipotenziari della Germania, dell'Inghilterra e del Belgio, incaricati di definire alcune differenze sorte tra le Potenze ora dette per la fissazione di alcuni tratti di frontiera dei rispettivi possedimenti in Africa.

Per quanto ha tratto alla Germania e forma oggetto della presente richiesta, il dibattito era ad un tempo col Belgio a proposito del possesso della regione, a nord del Tanganica, comprendente il bacino di Rufigì ed il lago Kivu, e con l'Inghilterra per la determinazione del tratto di confine attraverso il massiccio dei monti Virunga (M'Fumbiro) e segnante la frontiera tra l 'Uganda, il Congo belga e l'Africa orientale tedesca.

I brevi cenni che la stampa ha sinora riportato della soluzione della questione sono troppo monchi e imperfetti per dar modo all'Ufficio scrivente di fissare con precisione, in uno schizzo che deve andare annesso ad un lavoro in corso di preparazione il tratto suaccennato di confine quale risulta dal nuovo accordo. Questo Comando prega pertanto la S.V. di volersi compiacere assumere informazioni al riguardo, trasmettendo, possibilmente, una traduzione del testo dell'accordo, accompagnata da uno schizzo o cartine a scala tra i tre ed i cinque milioni2.

372

IL REGGENTE IL CONSOLATO A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 798/126. Canea, 15 luglio 1910 (per. il 22).

I quattro incrociatori, ancorati dinnanzi a Canea, può dirsi abbiano ormai compiuto la loro missione, a meno che la risoluzione dell'incidente del giuramento, quale è stata [decisa] dall'assemblea, non sia stimata dalle Potenze soddisfacente.

L'invio a Canea, delle forze internazionali, venne per primo suggerita dal comandante della r. nave «Vettor Pisani», cavalier Patris, che, come decano dei suoi colleghi, si trova al comando superiore. Egli anzi, avrebbe desiderato che, ad ec

371 l Da Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. 2 Per la risposta cfr. n. 391.

cezione d'un piccolo incrociatore destinato alla guardia dell'isolotto, tutte le forze disponibili, cioè otto navi, avessero preso parte alla dimostrazione.

Accolsi subito la sua idea, come quella che a me parve ottima sotto molti rapporti, e la sostenni nella riunione consolare, riuscendo dopo varie sedute, a vincere l'opposizione contro essa spiegata dai miei colleghi, ed in modo speciale dall'inglese. Fu così che, pur non volendo agire di nostra iniziativa, decidemmo in massima domandare istruzioni ai nostri Governi, il che io feci col mio telegramma n. 861.

Il 5 del corrente mese, dietro invito del nostro decano, la r. nave "Vettor Pisani" e gl'incrociatori: "Minerva", inglese; "Amiral Charner", francese; "Amiral Makaroff', russo, ancoravano in questa rada, mentre le rr. navi "Ferruccio" ed "Iride" -questa in riparazione -e gli incrociatori: "Diana", inglese; "Condé'', francese e "Khivinetz", russo, rimanevano in Suda. Gli effetti dell'eseguito movimento si fecero subito sentire: l'ordine pubblico fu mantenuto come in tempi normali, ad onta della grande eccitazione che regnava in città; i partiti d'opposizione, consigliati giusto in quei giorni, dalla Grecia, a cedere alla volontà delle Potenze, si astennero dal provocare disordini, come la presenza di numerosi contadini, scesi dalle vicinanze, faceva temere potessero scoppiare, limitandosi a non intervenire alla seduta; il partito venizelista, il quale, in fondo, era poco convinto che le Potenze, avrebbero imposto, anche colla forza, i diritti dei musulmani e minacciava di scindersi, rimase compatto nella quasi totalità, rendendo così possibile il voto favorevole dell'assemblea; l'ultimatum, infine, trasmesso al Governo, ebbe un effetto morale sull'assemblea. La salutare influenza del provvedimento preso fu manifesta quando il signor Venizelos richiese alla riunione dei consoli il ritiro delle navi, ritiro che noi credemmo opportuno negare.

Le disposizioni militari, per un eventuale sbarco e per una probabile occupazione delle dogane, furono curate, in ogni minimo dettaglio dal cavalier Patris e dai suoi colleghi approvati. Egli si è mostrato superiore al delicatissimo compito affidatogli e si è saputo acquistare la stima dei suoi e dei miei colleghi.

Dall'accluso prospetto si rileva quali forze internazionali erano pronte a sbarcare; delle misure furono anche prese per l 'eventuale protezione dei consolati i vi compresi quelli non appartenenti alle Potenze protettrici.

L'Italia, cui toccò in quest'occasione, come all'Inghilterra l'anno scorso, durante l'incidente della bandiera, l'onore di essere alla testa delle forze internazionali, ha dimostrato ancor una volta di saper mantenere il posto che occupa tra le principali marine del mondo.

È con vero compiacimento che, anche oggi, ho potuto constatare come con l'ottimo contegno e col perfetto accordo, sempre regnato in questa circostanza, le quattro marine così differenti, per abitudini e per razza, abbiano saputo dare un lodevole esempio di disciplinatezza e di abnegazione al popolo cretese.

372 I T. 2175/86 del 28 giugno, non pubblicato.

373

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1177/507 bis. Berlino, 17 luglio 1910 (per. il 22 luglio).

Il discorso pronunciato ultimamente alla Camera dei Comuni dal primo ministro sulle relazioni anglo-germaniche e sul programma navale dei due Paesi ha prodotto in generale nell'opinione pubblica tedesca una favorevole impressione. Non mancano, è vero, i giornali che mettono in evidenza le diversità dell'intonazione dell'ultimo discorso del signor Asquith da quella predominante nei discorsi tenuti a scopo di propaganda elettorale alcuni mesi or sono; come pure non mancano fogli che rilevano la persistenza con la quale il signor Asquith insiste sopra dati relativi ali'entrata in servizio dei dreadnoughts tedeschi che il Governo imperiale già a suo tempo ebbe cura di rettificare. Ciononostante è lecito prevedere che il discorso in questione è destinato a produrre buoni effetti sull'ulteriore svolgimento dei rapporti fra i due Paesi. E già la stampa liberale germanica con rinnovata energia insiste sulla convenienza per l'Impero di preparare pel 1913 un'intesa anglo-germanica tendente a porre argine alla presente concorrenza nelle costruzioni marittime, la quale minaccia di essere una corsa alla rovina finanziaria dei due Paesi.

L'impressione favorevole riportata dall'opinione pubblica germanica mi risulta essere condivisa anche da questo Dipartimento esteri. Norddeutsche Allgemeine Zeitung di stamane, nella sua rivista settimanale di politica estera, scrive infatti: « ... Le dichiarazioni del ministro britannico relativamente ai rapporti fra la Germania e l'Inghilterra hanno prodotto presso di noi una impressione assai favorevole. Pronunziate nella Camera dei Comuni dall'uomo di Stato responsabile della complessiva politica del Governo, queste dichiarazioni hanno un peso che difficilmente potrebbe esser maggiore. In Germania si scorge in questa manifestazione uno schietto indizio di gradita modificazione nei giudizi sui rapporti anglo-germanici al di là della Manica. Se più volte negli ultimi anni venne accentuato anche da parte britannica, non potersi immaginare un qualsiasi ragionevole e reale motivo di serio contrasto fra la Germania e l'Inghilterra, la logica conseguenza di ciò, non opporsi quindi alcun ostacolo ad un amichevole regolamento dei reciproci rapporti, naufragò contro il «Ma» dell'aumento della flotta germanica, più volte sollevato da parte inglese. Ora, in perfetta armonia colle vedute manifestate in ogni occasione da parte germanica competente, il signor Asquith ha posto in chiaro essere completamente errato l 'attribuire alla costruzione della flotta tedesca una tendenza diretta contro l'Inghilterra, come pure è errato attribuire intenzioni antigermaniche agli armamenti navali britannici. Il punto di vista che l'uomo di Stato inglese nella seduta della Camera dei Comuni di giovedì indicò per un giudizio sulle costruzioni navali tedesche, basta a rendere giustizia alle aspirazioni germaniche in questo campo, cioé il riguardo agli interessi marittimi della Germania e la misura della protezione di essi secondo il punto di vista germanico. A base del programma navale tedesco non sta un'opposizione a qualsiasi altro paese, che è affatto estranea alla politica tedesca, ma l'obbiettiva considerazione di quali mezzi di difesa siano necessari e sufficienti tenuto conto di tutte le circostanze. Significa un lieto progresso nei rapporti anglo-germanici il fatto che il riconoscimento dei veri motivi che hanno condotto la Germania ad espandere i suoi mezzi di difesa sia riuscito al di là della Manica ad ottenere una espressione così chiara come la troviamo nel discorso del primo ministro. Nessun uomo politico tedesco di buon senso vorrà negare all'Inghilterra il diritto di assegnare i limiti che essa crede alla sua potenza navale la quale, come il signor Asquith accentuò, deve regolarsi sul programma navale mondiale. Da noi si comprende anzi pienamente l'interesse che l'Inghilterra attribuisce alle proprie forze marittime in considerazione dei suoi interessi estesi su tutto il globo. Rimane solo a desiderare che la questione degli armamenti navali venga d'ora innanzi considerata da ambo le parti colla debita calma e obiettività. Con ciò si eliminerebbe dai rapporti fra le due Nazioni un momento che a volte, in modo deplorevole, opera contro gli sforzi da salutarsi con sincera soddisfazione diretti a dare ai rapporti fra il popolo inglese ed il germanico una forma così cordiale come risponderebbe agli interessi delle due Potenze. Le suesposte dichiarazioni del ministro Asquith, che corrispondono soddisfacentemente colle vedute nostre aprono vedute di un trattamento aperto, meno turbato da malintesi e perciò stesso più apprezzabile, delle questioni che toccano le due Potenze. Tale mutamento non solo servirebbe egualmente alla Germania e all'Inghilterra ma darebbe un nuovo valido rafforzamento alla generale fiducia nella pace».

374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, E AL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE AD ADEN, PIACENTINI

D. I. Roma, 18 luglio 1910.

Mi pregio di trasmettere a cotesto Governo (consolato) l'acclusa copia d'una nota del Foreign Office2 la quale risponde alle domande rivolte da questo ministero a mezzo della r. ambasciata in Londra per sapere se l'armamento delle tribù del Somaliland si dovesse intendere come provvedimento preso una volta tanto o come concessione permanente data ai somali di rifornirsi a Gibuti, facendo rilevare in ogni caso il pericolo di tale armamento che si appalesava in opposizione ali' Atto generale di Bruxelles.

2 Nota 20350 del 13 giugno, non pubblicata.

Nel tempo stesso l'ambasciata nostra avea l'incarico di lasciar intendere al Foreign Office quanta convenienza vi sia per l'interesse delle due Nazioni in un'azione concorde, e quanto danno in un'azione isolata o divergente, contro il Mullah.

Come V.E. (V.S.) rileverà dalla nota del Foreign Office il Governo inglese ha autorizzato le tribù amiche del Somaliland di rifornirsi di armi a Gibuti, stabilendo un controllo su tale rifornimento diventato necessario poiché non era possibile impedire alle tribù di armarsi coi fucili che da Gibuti pervenivano loro attraverso l'Abissinia.

Il Governo britannico trova infine che questa necessità in cui si è trovato è un nuovo valido argomento per richiamare l'attenzione del Governo francese sul contrabbando d'armi via Gibuti.

Bisogna riconoscere che finora l'armamento delle tribù amiche dell'Inghilterra ha portato buoni effetti.

Ciò che più mi preme rilevare per ora si è che, circa l'atteggiamento dell'Inghilterra di fronte al Mullah, il Foreign Office risponde riferendosi alla conversazione avuta in proposito dal generale sir W. Manning con V.E. (S.E. il governatore della Somalia italiana) ossia ammettendo l'opportunità di una azione concorde delle tribù amiche dell'Inghilterra e delle tribù protette dall'Italia come riferì V.E. (il senatore De Martino) nel suo rapporto datato da Berbera il 19 aprile del c.a.3

Essendo intendimento di questo ministero, appena sia stabilito il programma delle nostre residenze in Somalia, di valersi di tali dichiarazioni per concretare, d'accordo colle autorità britanniche, un piano d'azione comune delle tribù amiche del Somaliland inglese e delle nostre, (per De Martino) prego l'E.V., (per Piacentini) ho pregato il governatore della Somalia di voler studiare fin d'ora da questo punto di vista il problema e di voler in proposito sentire il nostro residente in Obbia e i capi principali della Migiurtinia, preparandone gli animi all'unione coi capi vicini del protettorato britannico.

(Per De Martino) Questo piano di azione comune delle popolazioni dell'hinterland è in relazione alle conclusioni della memoria che io le ho inviato sulla situazione in Somalia settentrionale con dispaccio del 25 giugno u.s. 4784 .

(Per Piacentini) Ne informo la S.V. che dovrà provocare istruzioni dal senatore De Martino rivolgendosi a lui direttamente.

374 1 Il dispaccio fu inviato a Mogadiscio con protocollo n. 531 e ad Aden con n. 95.

375

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BOLLATI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

D. 543. Roma, 19 luglio 1910.

In data l novembre 1909 l'agente diplomatico d'Inghilterra in Cairo dirigeva ai vari rappresentanti esteri in Cairo una nota circolare per notificare il trasferì

4 Non pubblicato, col quale si trasmetteva la memoria annessa al n. 343.

mento di residenza del governatore della provincia del Mar Rosso da Suakin a Port Sudan.

Gli affari del Sudan erano stati sempre trattati dai rappresentanti esteri per mezzo del Sudan Office che fa parte del Ministero egiziano della guerra ed in via ufficiosa, né risultava che l'agenzia diplomatica d'Inghilterra avesse mai provveduto alle comunicazioni ufficiali concernenti il Sudan. Allo scopo di mantenere integra la nostra posizione politica di fronte al regime vigente nel Sudan da noi non ancora riconosciuto e non far cosa meno amichevole al Governo britannico, con dispaccio 21 maggio c.a. n. 36 1 , dava istruzione al r. agente diplomatico in Cairo di non segnare ricevuta della predetta comunicazione.

Sorse poi la questione del modo con il quale si sarebbe dovuto eseguire il saluto a Port Sudan da parte delle navi da guerra.

Per le stesse ragioni, si è d'accordo col ministro della marina di dare istruzioni ai comandanti le rr. navi di evitare l'approdo a Port-Sudan di quelle tra esse che per i vigenti regolamenti fossero obbligate a salutare la piazza. È noto alla

E.V. che l'art. 361 del Regolamento di disciplina prescrive che: devono fare le salve tutte le navi comandate da un ufficiale armate di almeno cinque cannoni di m/m 120 oppure armate di cannoni di calibri superiore a questo e di almeno quattro cannoni a retrocarica dei calibri da m/m 57 a 120 inclusi.

Per conseguenza, le navi che avessero l'armamento innanzi descritto si asterranno dal toccare Port-Sudan. Comunico quanto precede ad opportuna informazione e norma della E.V.

374 3 R.s.n., non pubblicato.

376

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 120/418. Londra, 19 luglio 1910 (per. il 26).

Giovedì scorso ebbe luogo alla Camera dei Comuni un dibattito che mi sembra meriti di essere segnalato all'E .V. per la sua importanza politica.

Il dibattito trasse origine da una mozione presentata dal deputato nazionalista Dillon, allo scopo di ridurre di due milioni di lire sterline il bilancio della manna.

La mozione, combattuta dal Governo, fu manco a dirlo, respinta a grandissima maggioranza, avendo votato in favore soltanto i nazionalisti, i membri ~el Labour party ed alcuni radicali.

Senza entrare nella parte tecnica del dibattito, ossia nei confronti fatti fra il numero di dreadnoughts tedeschi, presenti e futuri, e quelli inglesi, mi limito ad attirare l'attenzione di VE. su due punti che mi appaiono più specialmente importanti:

l) il linguaggio tenuto dal primo ministro a riguardo della Germania; 2) la nessuna menzione nelle dichiarazioni del Governo della famosa teoria del two powers standard. Verso la Germania non poteva Mr. Asquith esprimersi in termini più riguardosi ed amichevoli. VE. potrà rilevare difatti dal resoconto pubblicato nel numero del Times del 15 corrente, che il primo ministro si studiò di accentuare la cordialità attuale delle relazioni anglo-germaniche esprimendo in pari tempo la fiducia in un graduale aumento di intimità in futuro. E che il signor Asquith abbia raggiunto lo scopo cui mirava, lo dimostra l'accoglienza simpatica che le dichiarazioni sue hanno trovato presso la grande maggioranza della stampa germanica ed austro-ungarica. Debbo pure rilevare che ad occasione di alcune scorrette allusioni fatte alla malafede tedesca, da un deputato liberale, il signor Belloc, di origine francese, ed inglese di fresca data, l'intonazione generale di tutta la discussione, fu calma, equanime, e soprattutto destituita di quella acrimonia astiosa che negli ultimi tempi, e specie l'anno scorso traspariva ad ogni istante, tutte le volte che nella Camera si veniva a parlare delle relazioni anglo-germaniche. Di questo mutamento di tono si discuteva ieri sera col ministro della guerra, col quale ebbi la gradita occasione di avere un lungo ed amichevole colloquio. Nell'esprimermi il suo compiacimento per tutto l'andamento del dibattito parlamentare, il signor Haldane mi diceva che la Nazione inglese, grazie alla riorganizzazione dell'esercito, ed ai provvedimenti presi per mantenere inalterata la superiorità della marina, va a poco a poco riacquistando quella calma, quella serenità di spirito, che l'anno passato sembrava avesse smarrito addirittura. E di queste in miglior senso modificate disposizioni dell'opinione pubblica, non potranno che avvantaggiarsi in futuro le relazioni dell'Inghilterra colla Germania, e si potrebbe forse col tempo e con pazienza auspicare la venuta del giorno in cui, grazie a reciproci accordi, divenisse possibile di mettere un freno a questi armamenti militari che a lungo andare, nella perdurante loro progressione, finiranno per costituire un peso insostenibile sui poveri contribuenti. Nello stesso ordine di idee, rispondendo ad analoga mia domanda, il signor Haldane mi diceva che oramai il volere mantenere intatto il principio del two powers standard diviene quasi impossibile. «Non è questione di volere -osservava S.E. -ma di potere». Il ministro aggiungeva una osservazione che a me riescì affatto nuova, e cioè che questa tanto decantata teoria è stata introdotta in Inghilterra soltanto nei venticinque ultimi anni. Vi fu un periodo -diceva S.E. -in the early .fifties in cui la sola marina francese era superiore alla nostra, ed allora co

me oggi, il Paese era agitato e nervoso per la solita minaccia dell'invasione francese che, malgrado tutte le fosche previsioni, non si è verificata, come, io confido, non si verificherà ora quella dei tedeschi.

Il signor Haldane concludeva col rilevare che non essendovi per il momento elezioni in vista, era ovvio che si discutesse di argomenti così delicati con maggior senso di misura e di opportunità.

Vedute ad un dipresso conformi mi manifestava ieri sir Edward Grey il quale, anche lui, principalmente insisteva sulla desiderabilità di trovar modo di giungere presto o tardi ad una limitazione degli armamenti.

Dall'insieme delle cose dettemi dai due ministri, nonché dali 'accenno abbastanza esplicito fattovi dal signor Asquith nel suo recente discorso, non è difficile scorgere la tendenza e aspirazione di questo Gabinetto liberale di poter giungere quando che sia con la Germania ad un'intesa stabile e duratura, la quale consenta al Governo di appagare le insistenti brame dei suoi sostenitori, specie di quelli di parte più avanzata, diminuendo le sfere militari, per aumentare quelle destinate a provvedere al miglioramento economico delle classi meno agiate.

In complesso le buone disposizioni per un riavvicinamento con la Germania, alle quali ho accennato in un precedente rapporto, cominciano senza alcun dubbio a manifestarsi, per quanto tuttora con grande riserva e timidità.

Resta ora da vedere se queste attuali tendenze britanniche otterranno o meno un risultato conforme alle speranze ed ai desideri di tutti coloro, e noi primi fra tutti, che nell'interesse della pace generale, affrettano con i voti il dissiparsi degli attuali dissapori, causa di tanto malessere pel presente e di tante preoccupazioni per l'avvenire.

Comunque, mi parrebbe ovvio il prevedere che, in mancanza di una intesa precisa e definitiva per la limitazione degli armamenti reciproci, sia assai difficile, se non vano addirittura, lo sperare in un periodo di relazioni veramente cordiali anglo-tedesche, ed una attiva e fiduciosa cooperazione di queste due grandi Nazioni nella soluzione delle varie questioni internazionali.

Se pertanto, la Germania, espletato l'attuale programma navale, ne preparasse un altro, destinato, con l'aumentare sensibilmente il numero delle sue unità, ad accrescere ancora più l'efficienza e la potenzialità della sua armata, non vi ha dubbio che l'agitazione in Inghilterra contro la Potenza rivale, ricomincerebbe con intensità tale da ispirare serie preoccupazioni.

Nel concludere il presente rapporto, mi incombe di rilevare che tanto il primo ministro, quanto lord Charles Beresford, menzionarono nei rispettivi discorsi, per quanto in termini perfettamente amichevoli, i nostri quattro dreadnoughts, in costruzione.

Lord Charles che vidi l'indomani mi disse ridendo che egli ci aveva messi in causa far party purposes, essendo intimamente convinto che mai la marina inglese si troverebbe contro quella della vecchia e fida amica, l'Italia.

375 l Non pubblicato.

377

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDII

FOGLIO 1027. Roma, 19 luglio 1910.

Questo Comando ha esaminato attentamente l'incartamento del Ministero degli esteri, qui unito in restituzione, relativo al nostro piano d'azione contro il Mullah2, ed ha ora l'onore di esporre a V. E. il richiesto parere sulle varie questioni più specialmente contemplate nella memoria del nominato Ministero.

Sull'entità che potrebbe assumere il pericolo del Mullah, si ebbe già occasione di richiamare l'attenzione di V.E. nel foglio n. 1850 riservato del 3 dicembre 1909 (lettera b, misure per contenere il movimento madhista), e cioè prima ancora che fosse stato deciso e rapidamente attuato, da parte dell'Inghilterra, l'abbandono dell'interno del Somaliland.

Dopo tale azione dell'Inghilterra è evidente che le probabilità di un attacco del Mullah e dei suoi aderenti contro i sultani nostri protetti della Somalia settentrionale e contro la stessa Somalia italiana, sono di molto aumentate.

Così pure nello stesso foglio ora ricordato (lettera b, sopracitata) si ebbe ad esprimere la scarsa fiducia sull'efficacia d 'una qualsiasi cooperazione abissina.

In quanto alla convenienza di distribuire armi e munizioni alle tribù migiurtine e del sultanato di Obbia, ripetutamente questo Comando si è espresso in senso non favorevole, a meno che le forze fossero solidamente inquadrate (v. foglio 1850 già citato) con ufficiali e graduati nostri, ed in proposito questo Comando non può che associarsi al parere del senatore De Martino sulla scarsa fiducia nell'efficacia dell'aiuto indiretto alle tribù.

Venendo alle conclusioni della memoria, si ha che, sostanzialmente, i quesiti posti si riducono ai due seguenti: l o si ritiene o no urgente l'istituzione di residenti italiani alla Migiurtina?

2° con quali modalità devonsi istituire? Si devono, cioè, avere residenti con pochi ascari sostenuti da sambuchi armati e, occorrendo, soccorsi da navi ( cosiddetto programma minimo); oppure residenti con guarnigioni fortificate, collegate con radiotelegrafia, ecc. (il programma massimo), o, infine, residenti sostenuti da piccoli nerbi di ascari -non più di cinquanta -con muri di difesa e poca artiglieria (il programma medio)?

Per quanto concerne il primo quesito, questo Comando ebbe già a rispondere favorevolmente nel ricordato foglio n. 1850 riservato del 3 dicembre 1909. Dopo aver infatti accennato (lettera a, misure per il blocco) all'azione favorevole che tali residenze potevano svolgere, non tanto per limitare il contrabbando delle ar

2 Cfr. n. 343.

mi, quanto «essenzialmente per risollevare presso quei capi e quelle popolazioni il nostro prestigio troppo scaduto in conseguenza del contegno passivo da noi tenuto finora», questo Comando chiudeva la sua lettera col dire: «il provvedimento veramente efficace rimarrà sempre l'organizzazione delle nostre forze ed il far sentire maggiormente la nostra influenza su capi e popolazioni posti sotto il nostro protettorato».

Circa le modalità, la questione, a parere di questo Comando, è più politica che militare. Esclusa la convenienza di residenti non fissi, per la ragione accennata nella memoria e cioè perché l'efficacia dell'opera loro dipende essenzialmente dalla continuità della loro presenza presso i capi e tra le popolazioni, sembra a questo Comando che anziché di vari programmi si debba parlare d'un programma unico, ossia dell'istituzione di tante residenze quante sono necessarie per conseguire lo scopo che si vuole, e ciascuna residenza organizzata a seconda delle speciali condizioni di luogo e delle relazioni nostre colle tribù circonvicine.

E perciò, se effettivamente le condizioni politiche a Bender Cassim ed Alula sono quali il nostro console ad Aden le dipinge nel suo rapporto, nulla dovrebbe vietare, a parere di questo Comando, che in tali località si istituissero fin d'ora residenti con piccola scorta d'onore, appoggiati da sambuchi armati per ogni eventuale difesa. In tali casi però, converrebbe ridurre la scorta in ascari al minimo possibile, largheggiando invece in sambuchi armati, sui quali ali' evenienza potessero ricoverarsi residente e ascari.

Dove invece le condizioni politiche non rassicurino sulla incolumità del residente, o dove si reputa necessario svolgere un'azione maggiormente basata sul prestigio militare, ivi naturalmente si dovranno costruire una garesa per adeguato presidio e armamento.

Il presidio dovrebbe essere non inferiore ad una centuria ed, in quanto all'armamento, in massima si potrebbe rinunciare ali' artiglieria, trattandosi di difesa entro fabbricati alquanto robusti, contro avversario munito di !ance o fucili con scarse munizioni. Si potrebbero invece adottare le mitragliatrici per intensificare, occorrendo, il fuoco ne li'azione necessariamente vicina: con ciò si avrebbe semplificazione nella costituzione del presidio, non occorrendo avere artiglieri, e nel munizionamento, essendo bastante avere sole cartucce.

N eli' attuazione di questo piano, se non si hanno subito tutti i mezzi necessari, bisognerà forzatamente procedere per gradi, e cioè dal meno al più dispendioso e dal più al meno urgente. Ad ogni modo sembra, a questo Comando, che l'istituzione di quattro residenze (Bender Cassim, Alula, Barge! e Hathun) lungo una costa così estesa come quella della Migiurtina, non costituisca un programma eccessivo.

Per quanto infine ha tratto al concetto di chiedere all'Inghilterra che le popolazioni sue amiche del Somaliland siano invitate a mettersi o ad agire d'accordo colle popolazioni migiurtine o di Obbia protette dall'Italia, per comune difesa e offesa, questo Comando pur trovandolo in astratto buono, non saprebbe ripromettersene praticamente dei sensibili risultati. Sembra infatti che, se l'accordo nell'azione contro un comune nemico è già difficile a conseguirsi tra popolazioni civili con solide organizzazioni statali e militari, esso debba essere di molto più problematica attuazione tra popolazioni spesso nemiche tra loro, volubili, e con vincoli sociali pressoché nulli. Ad ogni modo, il tentare non nuoce, tanto più che noi non vi saremmo che molto indirettamente impegnati.

Risposto così a quanto richiedeva V.E. questo Comando, ad evitare qualsiasi malinteso, crede doveroso ripetere ciò che ha già avuto occasione di dichiarare ripetutamente in modo esplicito, e cioè che se l'azione nostra presso il sultano di Obbia e presso i migiurtini potrà contribuire alla difesa della Somalia italiana contro il Mullah, il vero scudo di questa nostra colonia dobbiamo sempre cercarlo in una organizzazione di truppe coloniali nostre adeguata per quantità e per solidità, tenendo ben presente che se anche riuscissimo a paralizzare il Mullah, rimarrebbe sempre l'altra eventualità di incursioni di capi abissini, alla quale dobbiamo sempre essere in grado di far fronte.

È fermo convincimento di questo Comando che quando i nostri vicini del nord e del nord-est, sapessero di dover urtare, in caso di incursioni, contro un nucleo di truppe campali di circa tremila uomini, forte per disciplina e per armamento, senza che il governatore fosse obbligato a sguernire dei necessari presidi le località più importanti, allora essi deporrebbero ogni idea di facili operazioni e la nostra colonia godrebbe della tranquillità e sicurezza che le sono indispensabili per un reale progresso3.

377 l Da Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

378

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 23831112. Atene, [21] luglio 1910, ore 22,40 (per. ore 6,50 del 22).

Ha prodotto qui eccellente impressione un articolo del giornale rumeno Rumania riportato dalla stampa di Atene nel quale segnalasi opportunità ripresa relazioni fra i due Paesi. Sebbene Rumania sia giornale di opposizione, non è da escludere che in tale questione concordino vedute opposizione e Governo. Ministro degli affari esteri mi ha a due riprese domandato con molto interesse se avevo notizia intorno disposizioni Gabinetto rumeno a questo riguardo.

È mia impressione che qui si desidera non lasciar cadere presente occasione e che, ove fossero note le buone intenzioni Governo rumeno, non si perderebbe tempo a ricambiarne manifestazioni.

Ritengo che, qualora si scorgesse probabilità successo nostri buoni uffici, converrebbe far sì che riconciliazione avesse luogo quanto più prontamente possibile.

3 77 3 Per il seguito cfr. n. 408.

379

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1923/682. Therapia, 21 luglio 1910 (per. il 1° agosto).

Mi ha confidato il marchese Theodoli aver visto e letto, di questi giorni, un telegramma che Hakki bey, ora Hakki pascià, spedì da Roma, ove era allora ambasciatore, alla Sublime Porta ed in cui, a proposito di una nostra specifica domanda, sconsigliava genericamente il suo Governo dal farci concessioni di qualsiasi genere, in Tripolitania.

Ciò spiega il suo atteggiamento, come capo del Governo, nelle varie questioni che si sono agitate e si agitano intorno ad iniziative italiane in quella regione. Ed è una riprova della poca sincerità di quell'alto personaggio!.

380

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. 104. Roma, 22 luglio 1910.

Questo Ministero aveva attentamente esaminato il rapporto del r. console generale in Siria delli 2 giugno c.a. n. 455/1001 col quale, nel riferire circa le varie comunità religiose stabilite nel suo distretto consolare, egli segnalava i patriottici sentimenti della missione di Siria dei padri Carmelitani scalzi, la quale aveva costantemente affermato, di fronte alla Francia da cui per ragioni storiche essa dipende, il suo carattere di schietta italianità. Rispondendo al detto rapporto, io pregai il r. console di farmi sapere (dispaccio 18 giugno)! che cosa, a suo giudizio, si potesse fare per favorire l 'influenza italiana e la diffusione della nostra lingua nelle comunità italiane di Siria in generale, ed in particolare in quella dei Carmelitani scalzi. A questo dispaccio non ho ancora avuto riscontro.

Per quanto particolarmente si riferisce alla missione dei padri Carmelitani scalzi, come anche la E.V. osserva nel rapporto 4 luglio n. 1680/5822 del quale le accuso ricevimento, la questione si presenta sotto il punto di vista più concreto della possibilità ed opportunità che essa venga sottoposta, come ente, alla protezione del R. Governo, da cui i singoli suoi membri già dipendevano per ragione di cittadinanza.

380 1 Non rinvenuto nel fascicolo relativo. 2 Non pubblicato.

Sarò grato alla E.V. se vorrà farmi conoscere quale sia in proposito, il suo autorevole avviso ed eventualmente quali passi ella crederebbe di poter suggerire per raggiungere questo scopo senza urtare le suscettibilità della attuale Potenza protettrice.

Nel sovracitato rapporto 4 luglio, la E. V. mi intrattiene circa il progetto dei Carmelitani di fondare un orfanotrofio a Beylan per i figli delle vittime dei massacri di Armenia e lo considera meritevole di ogni aiuto ed incoraggiamento. Trattandosi di una istituzione da crearsi ex nova sorge la questione se essa non possa essere posta senz'altro sotto la protezione del R. Governo. Questo provvedimento, in favore dell'erigendo orfanotrofio, dovrebbe considerarsi come un esperimento ed eventuale avviamento ad un provvedimento d'indole più generale, inteso a fare entrare sotto la protezione del R. Governo l'intera missione dei Carmelitani scalzi.

Mi sembra che esso, pur senza presentare i pericoli e gli inconvenienti di quest'ultimo provvedimento, d'ordine più complesso, darebbe già fin da ora una soddisfazione al sentimento nazionale, che non può non essere offeso dal fatto che cittadini italiani debbono sottostare a vincoli ed a protezione stranieri.

Evidentemente, in tal caso, il concorso di questo ministero all'erigendo istituto potrebbe aver luogo in più larga misura, e, quando i Carmelitani volessero intestare l'istituto stesso alla Associazione italiana per la protezione dei missionari, non mancherebbe certo il più largo contributo di questo sodalizio.

Comunque, in maggiore o minore misura, non sono alieno dal concedere all'orfanotrofio di Beylan un qualche sussidio, come ella mi propone, nella certezza che ella si sarà assicurato che ciò non urterebbe le suscettibilità di codesto Governo.

Dovendo, però, rispondere alle premure fattemi, urge che io sia posto in grado di prendere una deliberazione in proposito e perciò prego la E.V. di voler dare un riscontro al presente dispaccio con ogni possibile sollecitudine3.

379 1 Per la risposta cfr. 394.

381

IL CONSOLE GENERALE A GIANNINA, STRANIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 642/132. Giannina, 22 luglio 1910 (per. il 25).

Con riferimento per ultimo al riverito dispaccio in data del 3 corrente -segretariato generale -n. 1681, ho l'onore di comunicare a V.E. che il dottor Adolfo Tozzi, titolare della Banca omonima in Scutari d'Albania, fu qui nella scorsa settimana, accompagnato dal signor Varaschini, titolare dell'ufficio merci italiano in An ti vari.

Entrambi non si trattennero in Janina che soli tre giorni, tempo, in verità, molto breve per formarsi un giusto concetto delle condizioni di questa piazza

381 l Non rinvenuto.

commerciale. Ciò nonostante, il dottor Tozzi, nel dichiararsi spiacente di non potersi trattenere più a lungo a causa di precedenti impegni, mi assicurò che durante questi tre giorni egli aveva raccolto dati a sufficienza per redigere il rapporto, del quale, a richiesta del R. Ministero, lo aveva incaricato il commendator Volpi amministratore delegato della Società Commerciale d'Oriente.

Nei frequenti colloqui avuti con me il dottor Tozzi non mi dissimulò la sua convinzione che un istituto italiano puramente bancario in Janina non avrebbe molte probabilità di successo, dopo l'avvenuta fondazione in questa città delle succursali della Banca Imperiale Ottomana e della Banca di Atene, che, disponendo di mezzi ben più larghi di quelli dei quali potrebbe disporre il nostro istituto, sono destinate ad assorbire il movimento bancario della piazza.

Qualora invece il nostro istituto si proponesse come principale obbiettivo quello di facilitare al capitale italiano l 'assunzione d 'imprese industriali nel vilaiet di Janina e di promuovere viemmaggiorrnente il movimento commerciale fra l'Italia e queste regioni, lavorando di concerto in questo secondo intento con un istituendo ufficio merci, quale quello che attualmente esiste ad Antivari, il dottor Tozzi ritiene ch'esso potrebbe svolgere, in un certo campo tuttora incontrastato e libero di qualsiasi concorrenza, un'azione sommamente proficua ai nostri interessi economici in tutta la bassa Albania.

Il signor Tozzi ha convenuto con me che una delle prime iniziative, cui potrebbe interessarsi il capitale italiano, sarebbe un'impresa di trasporti con automobili o con altro moderno mezzo di locomozione sulle principali arterie di comunicazione del vilaiet e su questo punto egli mi ha promesso che avrebbe richiamata la più seria attenzione del commendator Volpi.

Sicuro che l'E.V. vorrà confortare del suo alto appoggio presso il commendator Volpi, ch'è la mente dirigente della Società Commerciale d'Oriente, le proposte che a tale riguardo formulerà il dottor Tozzi2 , ...

380 3 Per la risposta cfr. n. 398.

382

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 2409/3248. Asmara, 24 luglio 1910, ore 6,45 (per. ore 14,50).

Rispondo suo telegramma n. 1972'. Sarebbe il caso di vedere se, concedendo approdo Porto Sudan linea terza, potesse ottenersi eliminazione toccata Ales

sandria, venendo Massaua. Devesi tener presente che soppressione approdo Porto Sudan è stato unico vantaggio dato all'Eritrea dal nuovo ordine di cose. La rinunzia a tale vantaggio dovrebbe dare diritto a qualche compenso.

381 2 Sulla base di queste considerazioni di San Giuliano scrisse a Volpi con L. riservata 141 del 28 luglio, non pubblicata, nella quale tra l'altro comunicava: «Questo R. Ministero non può che appoggiare presso la S.V. e presso la Società Commerciale d'Oriente queste proposte, convinto che, ove esse siano sollecitamente ed in modo adeguato attuate, ne ridonderanno notevoli vantaggi così per l'Istituto, come per i nostri interessi commerciali in Albania».

382 l T. 1972 del 22 luglio, non pubblicato.

383

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2028/707. Therapia, 24 luglio 1910 (per. 1'8 agosto).

Un tedesco, studiosissimo delle cose d'Oriente, mi diceva, allorché la questione di Albania preoccupava gli animi, il maggior pericolo per la Turchia non essere da quel lato, sì bene dalla parte della Persia. Giorni sono, un leader di un giornale giovane turco asseriva che la Turchia, se avesse la giusta nozione dei suoi interessi, attenderebbe assai più alla questione del!' Azerbeidjian, che non a quella della Creta e della Macedonia, le quali hanno per essa ben minor valore. Le due connesse affermazioni possono parere esagerate. Mette conto, però, di esaminare se non vi sia in esse una parte di verità, quale e quanta.

L' Azerbeidjian fu turco, un tempo; dalla prima metà del secolo XVIIo cessò di esserlo. Il sultano Suleiman commise l'errore di non continuare le conquiste di Selim Io in Asia, ove, traendo vantaggio dalle vittorie paterne, avrebbe potuto fondare un grande impero asiatico, di lingua turca, fra il Mediterraneo ed il Golfo Persico.

L' Azerbeidj i an è il territorio che i turchi avrebbero dovuto studiarsi di conservare ad ogni costo. Il possesso di quella provincia avrebbe difeso, in pari tempo, i loro territori del Caucaso. Invece l'Azerbeidjian fu abbandonato ed i turchi si contentarono di riconquistare sui persiani l'Irak e Bagdad. L'Impero ottomano perdette, così, una provincia che, fatta astrazione dai kurdi poco numerosi, e da alcune popolazioni di lingua persiana, sulle rive del Caspio, è turca di origine e parla dialetti turchi. La lingua turca si stende, anzi, al di là della frontiera, in parecchi distretti russi. Ad ogni modo, sarebbe di gran lunga la lingua dominante nell' Azerbeidjian.

La Turchia ha, poi, interessi ramificantisi sino nell'interno di quella regione, ed un gran numero di sudditi ottomani colà stabilitisi. Il commercio di Tabris e di Urmiah dipende quasi interamente da Costantinopoli, e dal porto di Trebisonda transita la più gran parte delle merci destinate all' Azerbeidj i an.

La frontiera non è mai stata esattamente limitata, e vi sono non pochi luoghi in litigio fra la Turchia e la Persia. Nonostante l'autorità delle carte tedesche, Khoi, Diliman e persino Sandsch Buia, al sud del lago di Urmiah, sarebbero città reclamabili, o reclamate dalla Turchia, siccome appartenenti all'Impero ottomano.

La provincia dell' Azerbeidjian, almeno nella sua parte occidentale, dovrebbe, dunque, appartenere alla sfera d'influenza turca. Siccome, però, nella ripartizione delle sfere d'interesse, avvenuta il 31 agosto 1907 fra la Gran Brettagna e la Russia, non si tenne alcun conto della Turchia, essa fu incorporata nella sfera d'influenza russa, diventando una specie di terra irredenta. La Russia non vi ammette rivalità. La stampa conservatrice russa protesta anzi, contro le usurpazioni osmanliche nell'Azerbeidjian; e qualunque reclamo a queste relativo, potrebbe suscitare un conflitto col vicino Impero. Tutto ciò che la Turchia può sperare è, mercé l'odio dei persiani verso i russi, mercé la rivalità politica ed economica di qualche altra Potenza, che l'Azerbeidjian rimanga persiano. Un articolo comparso oggi nel Jeune Turc dice sostanzialmente: «La tragedia persiana si avvia verso un momento psicologico. L'esaltazione nazionale ed anti-russa degli iraniani è estrema. Boicottano lo zucchero ed i tessuti russi. Uccidono coloro che hanno legami con la politica russa. Cacciano dal Governo chi parla d'intesa con la Russia. Questo stato d'animo è pericoloso. Vista l'influenza religiosa e morale che la Persia esercita su gran parte dell'Asia Occidentale, possono derivarne complicazioni spiacevolissime per la pace e la tranquillità di quella parte del mondo. Il Governo russo, contro cui quel movimento è diretto, non resterà inattivo. Liberato dalle preoccupazioni dell'Estremo Oriente, combatterà, forse, in Persia, le prossime battaglie della sua diplomazia e del suo esercito. L'azione è, anzi, impegnata: i russi hanno bombardato una città persiana sul Caspio e concentrano truppe del Caucaso sulla frontiera dell' Azerbeidj i an, in vista di una campagna. Ma due altre Potenze sono in prima linea interessate nelle sorti della Persia, perché con questa limitrofe: l'Inghilterra e la Turchia. L'Inghilterra lascerà, per ora, la Russia agire e raccogliere le ire dei popoli asiatici, poi interverrà a pretendere la sua parte, che sarà leonina. Quanto alla Turchia, quale sarà la sua linea di condotta? La questione dell' Azerbeidjian è per essa di vitale importanza; l'avvenire della Turchia è in Asia, più che in Europa. In Asia essa deve compiere la sua missione civilizzatrice, destando i sopiti, ispirando loro l 'idea e l'amore del progresso. Dall'Asia essa ha da trarre le sue forze, per farsi campione e guida dell'immensa razza turco-tartara, sparsa, in numero di più di cento milioni di uomini nella più gran parte dell'Asia, legati fra loro e coi turchi da comunanza di origine, di sangue, di religione e di lingue. Or bene, l' Azerbeidjian è per i turchi la sola via di comunicazione con l'Asia centrale. Se esso passa nelle mani di una forte e grande Potenza, la Turchia rimane tagliata fuori. Invece di un punto di appoggio, quella provincia diventa una minaccia. L' Azerbeidjian deve, dunque, rimanere persiano. E la Potenza con cui la Turchia potrebbe e dovrebbe intendersi per aver garantita almeno l'integrità dell'Azerbeidjian, è la Germania».

384

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, IMPERIALI, E A PARIGI, TITTONI

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 1985. Roma, 25 luglio 1910, ore 20.

Colli telegrafa avere Governo etiopico stabilito invio missione in Germania del ministro abissino affari esteri, Negadras Igazu, allo scopo di migliorare relazioni tra Etiopia e Germania alquanto turbate da ultimi noti incidenti. Mi parrebbe opportuno che inviato etiopico visiti anche Italia, Francia e Inghilterra. Ho telegrafato a Colli I di mettersi d'accordo coi suoi colleghi Francia ed Inghilterra per indagare in via privata e indiretta se la cosa sarebbe possibile ed accetta. Prego informare codesto ministro degli affari esteri pregandolo, se condivide mio modo di vedere, dare opportune istruzioni suo rappresentante Addis Abeba. Ho analogamente telegrafato alla r. ambasciata Parigi (Londra)2.

385

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1529/711. Vienna, 26 luglio 1910 (per. il 4 agosto).

Il signor Milovanovich, giunto ieri da Belgrado in Vienna, da dove conta recarsi tra giorni a Marienbad per far la consueta sua cura termale, è venuto oggi a vedermi.

Nel parlarmi della conclusione del nuovo trattato di commercio coli' AustriaUngheria, il signor Milovanovich mi ha detto che la Serbia, sebbene non avesse ottenuto per il suo commercio tutti quei vantaggi che avrebbe desiderato, si era assicurato però quanto le era possibile di conseguire nello stato attuale di cose.

Non sarebbe convenuto del resto alla Serbia, data la linea di condotta che intende seguire, di stringere maggiormente le sue relazioni colla Monarchia, giacché ciò avrebbe potuto legare la sua libertà d'azione per l 'avvenire.

Quantunque la Serbia si fosse già in parte emancipata dalla soggezione economica in cui si trovava di fronte ali' Austria-Ungheria, tuttavia essa aveva tenuto ad ottenere ai propri prodotti la riapertura di quel mercato, per quanto limitato esso fosse, per porre così un termine allo stato anormale delle sue relazioni colla Monarchia e farle riposare sopra un piede corretto e possibilmente anche amichevole, in vista degli eventi che fossero per sorgere nei Balcani.

2 Per il seguito cfr. n. 397.

Il signor Milovanovich mi fece quindi conoscere che era suo proposito, nell'abboccarsi in Marienbad col conte d'Aehrenthal, di presentire le sue disposizioni circa un'eventuale visita di re Pietro a S.M. l'Imperatore. Tale visita avrebbe potuto effettuarsi, a suo parere, dopo le ratifiche del trattato di commercio che sarebbero avvenute nel prossimo autunno.

Egli però non avrebbe troppo insistito presso il conte d'Aehrenthal su tale argomento ed avrebbe fatto cadere la cosa se avesse visto che le sue entrature non fossero state accolte con la dovuta premura. In tal caso avrebbe proposto a re Pietro di realizzare il progetto che aveva di recarsi a Roma per far visita ai nostri Augusti Sovrani e quindi a Parigi al presidente della Repubblica francese.

Accennando poi alle relazioni tra la Serbia e la Bulgaria, il signor Milovanovich rilevò ch'esse eransi alquanto raffreddate in seguito al viaggio di re Pietro a Costantinopoli per i motivi già riferitimi dal signor Novakovich e comunicati all'E.V. col mio rapporto n. 1352/633 del 6 corrente 1•

Nonostante ciò, il signor Milovanovich non dispera di poter realizzare, coll'andar del tempo, l'idea da esso vagheggiata d'un'intesa colla Bulgaria per la tutela dei rispettivi interessi nei Balcani. Credeva che tale intesa avrebbe potuto effettuarsi se la Russia si fosse decisa a parlare seriamente a tale riguardo al Gabinetto di Sofia, ciò che non aveva fatto finora. Circa i rapporti tra il Governo serbo ed il Governo montenegrino e tra il re Pietro ed il principe Nicola, il signor Milovanovich ricordò le cause già espostemi dal signor Novakovich, le quali rendevano tali rapporti poco amichevoli. A questo riguardo egli osservò che la decisione presa dal principe Nicola di proclamarsi re in occasione dell'anniversario del cinquantesimo anno del suo regno, non poteva che nuocere agli interessi del serbismo, creando tra i due popoli fratelli un certo antagonismo, e m'informò che re Pietro si sarebbe fatto rappresentare a quella cerimonia dal principe ereditario.

384 l Con T. 1991, del 25 luglio, non pubblicato.

386

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 440/137. Cettigne, 27 luglio 1910 (per. il 1° agosto).

Con riferimento alle mie precedenti comunicazioni relative all'assunzione del titolo di re da parte di Sua Altezza Reale il principe Nicola, in occasione del suo giubileo, ho l'onore di informare l'E.V. che, dopo molte esitazioni sul miglior modo di procedere per addivenire al cambiamento, si è deciso di seguire il consiglio dato fin da principio da persona di buon senso, che gode la fiducia del sovrano.

Il giorno 27 agosto, adunque, la Skupcina, emanazione diretta della volontà nazionale, offrirà al principe la corona reale; questi risponderà il giorno appresso,

385 I Non pubblicato.

primo dei tre giorni festivi fissati per la celebrazione del giubileo, accettando. Da quel momento il Montenegro cesserà di essere un Principato per diventare un Regno, ed il suo sovrano sarà investito della regale dignità.

Il medesimo giorno, 28 agosto, toccherà a me, in qualità di decano del corpo diplomatico accreditato presso la corte montenegrina, di prendere la parola, al ricevimento che sarà dato, per esprimere a nome dei miei colleghi ed a mio proprio nome le congratulazioni al principe Nicola per il cinquantesimo anniversario del suo Regno. È per ciò che mi permetto di chiedere all'E.V. se mi autorizza a rivolgermi a Sua Altezza Reale, già in quella occasione, non più con questo titolo, bensì col titolo di Maestà, che avrebbe assunto!.

L'autorizzazione dell'E.V. mi è necessaria, poiché non istà a me, adoperando il nuovo titolo nella solenne cerimonia, di dar segno di riconoscere implicitamente un fatto non ancora sanzionato con esplicita e formale dichiarazione del R. Governo.

Codesto titolo, a rigore di stretto diritto, non potrebbe essere usato dai rappresentanti esteri a Cettigne, indirizzandosi al sovrano, fino a che esso non fosse ufficialmente riconosciuto dai rispettivi governi2; ma sarà il caso per me, che primo dovrò parlargli in veste ufficiale dopo la proclamazione del Regno, di astenermi dal darglielo, mentre che già da tempo si è comunicata officiosamente a Sua Altezza Reale l'adesione dell'Italia al divisato mutamento, e quando si sa che i maggiori Stati di Europa vi hanno consentito?3

Ad ogni modo, io sarò grato a V.E. se vorrà compiacersi di farmi conoscere, quanto più presto sarà possibile, come debba regolarmi nella circostanza4.

387

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2451/225. Vienna, 28 luglio 1910, ore 17 (per. ore 19,15).

Miiller è venuto ora a consegnarmi una lettera particolare di Aehrenthal in cm è detto che il ministro della guerra austro-ungarico, sebbene una inchiesta

2 Annotazione a margine di San Giuliano: «Sicuro! Forse sarà giusto in teoria, ma in pratica offenderemmo pubblicamente il principe e il popolo». L'annotazione prosegue poi su un biglietto allegato al rapporto: «li 28 non sarà manco giunta la partecipazione ufficiale alle Potenze. Decidere se dare al principe, parlandogli il 28, il titolo di Maestà deve essere lasciato a Squitti, poiché, sebbene formalmente avrebbe il nuovo titolo, non sarà a quella data ancora a noi notificato. Tuttavia il non darglielo nella allocuzione potrebbe molto offendere il principe ed il popolo. Del resto S.M. il Re sarà allora a Cettigne e Squitti dovrà anche in questo prendere gli ordini che gli darà il nostro sovrano. Io personalmente inclino a dare senz'altro quel giorno il titolo di Maestà».

3 Annotazione a margine di San Giuliano: «A mio parere ha ragione, è più Rratico dargli il Maestà, ma bisogna che gli altri ministri, se parlano a nome loro, siano d'accordo. E cosa da decidersi, ripeto, sul luogo e sul momento».

4 Sulla base di queste annotazioni fu redatta la risposta di cui al n. 402.

supplementare fatta da lui circa incidente di Bosco Chiesanuova abbia dato risultati non del tutto conformi a quella fatta dalle autorità italiane, per dare prova patente della sua buona volontà e rendere giustizia al punto di vista di V.E., consente a non insistere sull'incidente stesso. Trasmetto oggi stesso a V.E. copia della lettera particolare di Aehrenthall. Miiller ha aggiunto che Aehrenthal si era adoperato col più grande impegno presso il ministro della guerra per una soluzione soddisfacente dell'incidente, sebbene Merey avesse già avuto istruzioni di chiedere soddisfazione in via ufficiale2.

386 l Annotazione a margine di San Giuliano: «A mio parere sia una cosa da giudicare sul luogo e sul momento. Se il nostro re sarà a Cettigne, farà come il nostro re vorrà».

388

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO PERSONALE 3109. Roma, 29 luglio 1910, ore 15,30.

Suo telegramma n. 2251. Prego V.E. ringraziare vivamente Aehrenthal e naturalmente aggiungere che anche noi rinunziamo a reclamare per gli incidenti avvenuti finora, pei quali potevamo averne il diritto. Ora bisogna affrettare gli accordi per l'avvenire. All'uopo Masi vorrebbe recarsi ad lnnsbruck, mentre Merey, secondo me giustamente, vorrebbe che gli accordi si prendessero colle autorità centrali di Vienna. Non è ancora deciso se si manderà Masi od altri, dovendosi scegliere la persona più idonea a stabilire un accordo pratico.

389

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1247/534. Berlino, 29 luglio 1910.

A complemento delle notizie comunicate a V.E. col mio rapporto di oggi (n. 12411533)1 circa i prossimi movimenti dell'imperatore Guglielmo, ho cercato di sapere che cosa vi fosse di vero nelle voci corse ultimamente pei giornali di un incontro durante questa estate fra Sua Maestà Imperiale e l'imperatore di Russia.

2 Per la risposta cfr. n. 388.

Mi fu detto che un convegno è stabilito in principio ed avrà luogo certamente anche quest'anno fra i due sovrani, ma che circa il momento e la località in cui esso potrà verificarsi, nulla si sa di positivo, in quanto che si desidera, per ragioni di polizia, tener ciò il più possibile segreto. Le decisioni in proposito saranno prese probabilmente, come già avvenne l'anno scorso, per via di uno scambio diretto di lettere fra i due imperatori, senza che nemmeno le rispettive ambasciate ne siano prevenute, se non all'ultimo momento.

Con la medesima riserva venni pure informato che S.M. l'Imperatrice Alessandra Feodorovna ha deciso per consiglio dei medici di recarsi a Nauheim (luogo di cura speciale per le malattie di cuore) verso la fine d'agosto, per rimanere colà insieme all'imperatore suo consorte durante circa due mesi. Lo stato di salute dell'imperatrice non sarebbe, si afferma, inquietante, ma pur tale da esigere una cura così prolungata.

E durante quel soggiorno a Nauheim verrebbe combinato il convegno fra i due imperatori. La persona che mi fornì queste notizie mi raccomandò particolarmente di evitare che esse potessero in alcun modo venire a conoscenza del pubblico.

387 l L. del 27 luglio, non pubblicata.

388 l Cfr. n. 387.

389 l Non rinvenuto nel fascicolo.

390

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 836/357. Tripoli di Barberia, 29 luglio 1910 (per. il 3 agosto).

Facendo seguito ai miei rapporti del l o e 20 corr. mese, a rispettivi numeri 710/295 e 797/337,1 sull'argomento segnato a margine, sono spiacente di non potere confermare quel regolare e favorevole andamento delle trattative nella capitale che sembrava assicurare la buona riuscita dell'impresa, a vantaggio del sindacato di cui il capitale italiano ha la sua buona parte.

I delegati di questo gruppo arabo tripolino in Costantinopoli non hanno potuto ottenere l'ordine dal Governo centrale a questo valì, perché questi autorizzi le ricerche preliminari di miniere e di fosfati, in attesa che nei competenti Ministeri si regolarizzi la situazione giuridica della Società Ottomana Tripolina, costituitasi allo scopo di avviare e sostenere i relativi lavori.

Il pretesto allegato dal Governo ottomano, di voler prima far esplorare da propri ingegneri i giacimenti e conoscerne, non è plausibile. Egli poteva chiedere di restringere e determinare le ricerche e le loro zone, ma non doveva fare tutto sospendere e rimandare all'indefinito un lavoro dal quale questo Paese e lo stesso Governo ottomano si ripromettono vantaggi importanti e tanto efficaci per il sollievo di queste po

390 I Non pubblicati (entrambi relativi alla questione dello sfruttamento minerario in Tripolitania).

polazioni, già da tre anni nella miseria, e che un quarto anno di sofferenze desolerà. Nulla impediva che agli ingegneri della Società si unissero gli ingegneri del Governo.

L'interessamento del v alì ali' impresa, i suoi consigli, le sue insistenze, i suoi incoraggiamenti per la formazione della Società, le sue raccomandazioni i suoi appoggi ufficiali ed ufficiosi nella capitale perché riuscisse n eli 'intento, potevano e dovevano sperare miglior esito e dare piena fiducia nella riuscita. Non voglio, non posso credere ad una commedia.

Ma purtroppo una nota fatale vibra sempre a Costantinopoli per ogni impresa in Tripolitania cui sia associato il nome o il capitale italiano. Lo dice chiaramente l'autore della lettera di cui in via tutta confidenziale unisco copia. Egli ha visto S.E. l'Ambasciatore nostro in quella capitale ottomana e con esso avrà parlato della situazione insostenibile creataci, e che qui anche in questi ultimi tempi, come accennai, si era tentato di rinnovare a nostro danno; valsero le mie relazioni personali ad attenuarla; ma purtroppo nel funzionario ottomano, sotto ogni apparenza amichevole e cortese, si vela il determinato proposito di non favorire alcun italiano in Tripolitania. Quel poco che si ottiene lo si ottiene per compiacenza, per sotterfugio, per insistenza, e specialmente col bakscisce abilmente usato. È doloroso, ma è così. Pare che anche nella capitale non sia molto diverso ed anzi è peggio, perché parte dali'alto; basti a dimostrarlo la citazione della seguente frase molto significativa: «Non immischiarvi negli affari di Tripoli, ci creerete qualche imbroglio con l'Italia».

Sono le parole che di recente il gran vizir diceva in Costantinopoli ad un suo intimo amico2 che cercava di interessarlo alla pendenza dei fosfati.

Non saprei in quale migliore modo commentare una tale frase; è per lo meno la continuazione di una assoluta diffidenza verso l'Italia in tutto quanto riguardi la Tripolitania.

Non è certamente la modestissima mia persona che può sognare a quanto meglio dissiperebbe tale sfiducia, ma giacché un'alleanza diretta ovvero una convenzione speciale italo-turca non avrebbe sufficiente ragione di essere, perché non la potrebbe avere una clausola ben definita, in ogni possibile trattativa, cui, al presente, accenna la stampa europea, di una probabile entrata della Turchia a far parte della Triplice?

Diversamente si smozzeranno ancora modesti consoli e ambasciatori e la situazione rimarrà sempre la medesima per questa benedetta Tripolitania.

ALLEGATO

IL DIRETTORE DELLA REGIA OTTO MA NA DEI TABACCHI A TRIPOLI, GUTOWSKI, AL DIRETTORE DELLA SUCCURSALE DEL BANCO DI ROMA A TRIPOLI, BRESCIANI

L. RISERVATA CONFIDENZIALE. Pera, 11 luglio 191 O.

Faisant suite à ma dernière lettre, j'ai le regret de vous informer que malgré toutes nos démarches et efforts, il nous a été impossible de obtenir mème l'autorisation de faire de simples prospections en Tripolitaine.

La crainte de l'étalien en est la cause unique, et c'est le comité Union et Progrès qui nous a suscité toutes les difficultés auxquelles nous nous sommes heurtés. A nos démarches appuyées par les déclarations des députés de Tripoli, il a été répondu que le Gouvernement allait envoyer deux ingénieurs en Tripolitaine pour étudier, avant tout, le pays au point de vue du nombre et importance des minières, et qu'en attendant on ne pouvait autoriser des particuliers à y faire des prospections.

Tout n'est cependant pas encore définitivement perdu pour nous, et c'est à Tripoli que nous devons recommencer nos démarches, et agir énérgiquement en vue d'amener le vali à faire comprendre à la capitale que la question ne pourrait en rester là, et lui faire présenter la situation sous un tel jour qu'il ne soit plus possible ici de continuer à s'opposer aux justes demandes des arabes de Tripoli.

Du reste la question telle qu'elle existe aujourd'hui, doit fatalement prendre une autre toumure, et entrer dans une phase normale et régulière.

Nos députés qui ont eté la cause première de l'attitude du Gouvemement centrai, et qui lui ont foumi !es armes dont il se sert actuellement, sont heureusement aujourd'hui en notre faveur, et nous entendrons à Tripoli sur ce qu'il conviendra de faire.

S.E. l'Ambassadeur, à qui j'ai eu l'honneur de présenter mes respects et avec qui j'ai eu déjà trois entrevues, trouve également que en présence de la situation existante, le mieux est de recommencer la bataille à Tripoli, et il en est de mème de Mr. Salem.

Il nous reste encore quelques démarches à faire auprès du Ministère de l'intérieur, et comme elles prendont fin dans le courant de cette semaine Ben Zikri partira par le courrier de lundi prochain, 18 courant. -Quant à moi, comme je n'ai pas eu le temps de m'occuper de mes affaires, il peut se faire que je ne puisse pas l'accompagner. Dans tous les cas, je partirai d'ici le 25 de ce mois, et à mon arrivée nous causerons de choses très importantes.

390 2 «intimo amico»: sottolineato nel testo.

391

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, C ALD ERARI, AL COMANDANTE IN SECONDA IL CORPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, ALIPRINDJI

R. 90. Berlino, 29 luglio 1910 (per. il 1° agosto).

S.E. l'ambasciatore, al quale mi sono rivolto per avere i dati richiesti col foglio a margine segnato2, mi comunica che i Governi della Germania, dell' Inghilterra e del Belgio finora non hanno ratificato le decisioni prese dai propri plenipotenziari, alla conferenza tenuta a Bruxelles, per definire le differenze sorte per la fissazione di alcuni tratti di frontiera dei rispettivi possedimenti in Africa.

Il testo dell'accordo non ha quindi ancora alcun valore ufficiale ed è per ora tenuto segreto.

391 ' Da Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. 2 Cfr. n. 371.

S.E. mi ha però dato conoscenza delle varie comunicazioni da lui fatte in varie riprese al Ministero degli esteri in Italia sull'argomento; comunicazioni che qui sotto mi onoro di riassumere, avvertendo che l'ambasciatore prega di considerarle come affatto confidenziali.

Il nuovo confine fra la colonia germanica dell'Africa orientale e la colonia del Congo, partendo dal lago Tanganika segue il corso del Russisi, e taglia il lago Kiwu in modo da lasciare al Belgio l'isola Kividjwi; prosegue quindi con una linea che collega tra loro le sommità dei monti Karassimbi e Sabinio.

In questo punto, cioè al monte Sabinio si dividono i confini dei tre possedimenti europei. La colonia del Congo cessa dal confinare coi possedimenti tedeschi per passare a confinare coll'Uganda.

La frontiera segue dapprima una linea retta che dal monte Sabinio va alla sommità del Ngabua; quindi accompagna il corso del fiume Issassa verso il lago Alberto Edoardo, attraversa il lago raggiungendone la sponda alla foce del fiume Lubilika e rimonta questo sino alle sorgenti. Tocca quindi la cima Margherita del monte Ruwenzori (che apparterrà per metà al Belgio) e seguendo il corso del Lamia e del Selimki attraversa il lago fino a toccame la sponda a Nahagi.

Qui unito mi onoro trasmettere uno schizzo colle località per le quali passa il confine sopra riportato.

Come V.S. potrà vedere, nello schizzo alcuni nomi sono accompagnati da un punto interrogativo, perché, nonostante le più diligenti ricerche, non mi fu possibile trovarli in nessuna carta, né francese, né tedesca, né inglese. All'ambasciata, ove ne feci domanda, non esiste nessun schizzo, né carta in proposito.

Avrei forse potuto ottenere uno schizzo completo recandomi al Ministero degli esteri, ma, stante il carattere confidenziale che l'ambasciatore desidera sia conservato alle comunicazioni fattemi, non ho creduto del caso di recarmi colà.

Del resto, non appena le decisioni dei plenipotenziarii saranno ratificate dai Governi interessati, la cosa diventerà di dominio pubblico, e si potrà allora facilmente avere uno schizzo completo del territorio in questione.

392

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1235/541. Berlino, 31 luglio 1910 (per. il 3 agosto).

Il nuovo segretario di Stato per gli affari esteri signor von Kiderlen-Waechter è arrivato ieri l'altro a Berlino dopo una breve sosta a Marienbad, dove egli ebbe occasione di abboccarsi col conte d'Aehrenthal. Nulla si conosce di positivo sull'oggetto di quel colloquio, ma è opinione generale che esso dovette essere soltanto l'effetto del naturale desiderio dei due ministri di scambiare le reciproche impressioni sulla situazione politica presente, rinnovando l'affermazione della intima amicizia esistente fra i rispettivi Governi, senza che abbia ad inferirsene la trattazione di alcun nuovo accordo specifico.

Il signor von Schoen che già da qualche settimana aveva cominciato a staccarsi dalla direzione giornaliera degli affari del suo dicastero, ne ha fatto ieri stesso ufficiale consegna al successore ed è tosto partito per la sua residenza bavarese, dove egli rimarrà due mesi in vacanza, prima di recarsi al suo posto di Parigi.

L'arrivo del signor von Kiderlen-Waechter dà nuova occasione alla stampa tedesca, ed in ispecie a quella nazionalista, di salutare il suo avvenimento al potere come l'inaugurazione di una politica estera energica ed attiva, per quanto bene non si veda a che cosa dovranno applicarsi questa energia ed attività. Ciò è più che altro, un effetto del contrasto che ognuno sa esistere fra il suo temperamento personale e quello del predecessore, quantunque veramente nessuno possa dire che le forme concilianti di quest'ultimo abbiano in alcuna circostanza cagionato la menoma deviazione dalla linea di condotta prescrittasi dal Governo imperiale nei suoi rapporti internazionali. Come già altra volta l'ho accennato, questa aspettazione da parte del pubblico sarà più che altro d'imbarazzo al nuovo segretario di Stato, il quale è persona troppo intelligente per non rendersi conto che nell'attuale situazione, la politica estera della Germania non può essere diversa da quella che già le si era imposta durante gli ultimi anni del cancellierato del principe di Biilow e che l'avvenimento del signor von Bethmann-Hollweg ha più ancora accentuata.

A titolo di cronaca mi furono in questi giorni riferiti alcuni piccoli fatti i quali confermano che veramente l'imperatore era personalmente assai avverso alla nomina del signor von Kiderlen-Waechter, anche poco benviso a S.M. l'Imperatrice. Il cancelliere insistette sulla sua scelta perché questa era sostenuta dalla maggioranza della stampa e da molti uomini politici i quali designavano il signor Kiderlen come il candidato il più meritevole: col farlo accettare all'imperatore, si dice il signor von Betmann-H. si era inteso di acquistare al sovrano il merito agli occhi del pubblico di aver saputo far rinuncia di una propria antipatia personale nell'interesse del servizio. I meno benevoli per il cancelliere aggiungono che l'avere un segretario di Stato poco in grazia del sovrano avrà per conseguenza che, invece di intrattenersi con esso direttamente degli affari esteri (come faceva nelle sue passeggiate mattutine col signor von Schoen e prima di lui col signor von Tschirschky), Sua Maestà preferirà parlarne col cancelliere stesso, la cui posizione ne riuscirebbe così rialzata e rafforzata. Ma non mette conto di insistere su queste piccolezze.

Preparandomi a partire in congedo, ho voluto, prima di lasciar Berlino, salutare personalmente il nuovo segretario di Stato, il quale infatti mi ricevette ieri stesso mentre stava prendendo possesso del suo ufficio. Egli mi confermò aver avuto una conversazione amichevole col conte d'Aehrenthal che gli aveva lasciato una impressione affatto tranquillizzante, nel senso che non si presentava in questo momento alcuna questione di politica estera in condizioni da destare preoccupazione.

Ad una allusione da me fatta alla vertenza di Creta, il signor von KiderlenWaechter mi disse essere a prevedersi che essa di potrarrebbe ancora per lungo tempo allo stato cronico, senza provocare alcuno scoppio.

Così a riguardo della Bulgaria, il segretario di Stato non manifestava alcuna seria inquietudine. Una allusione fattami al suo lungo soggiorno in Rumania mi condusse a domandargli se nulla vi fosse di modificato nell'attitudine riservata di quel Governo che era finora riuscito a mantenere in un dubbio salutare tanto la Bulgaria quanto la Turchia circa l'eventuale sua condotta nel caso di una guerra che eventualmente si dichiarasse fra loro. Il signor von Kiderlen-Waechter mi confermò ciò che ebbi altra volta a riferire sul silenzio caratteristico opposto dal re Carlo ad ogni interrogazione del sovrano bulgaro o della Sublime Porta a quel riguardo. Questa attitudine di sfinge, egli aggiungeva, era certamente la più abile e veniva dalla Germania consigliato di attenervisi, scorgendo in essa la migliore guarentigia per il mantenimento della pace, giacché qualora o la Bulgaria o la Sublime Porta potessero supporre di avere dal proprio lato la Rumania in caso di guerra, un conflitto non tarderebbe a scoppiare.

393

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2348/799. Therapia, 4 agosto 1910 (per. il 15).

Ho l'onore di informare l'E.V. che per influenze esercitatesi in questi ultimi giorni, il permesso di esplorare la regione interna della Tripolitania, onde studiare i giacimenti di fosfati e le miniere colà esistenti, si è finalmente ottenuto. La decisione è presa per ordine del Comitato ad intercessione di Rahmi bey, deputato di Salonicco, genero del cessante valì, il quale Rahmi bey è personalmente interessato nell'affare e membro del Comitato esso stesso. Avrebbero pure avuto parte determinante nella decisione presa Mehmed Ali Halim, che fa parte del gruppo egiziano del Sindacato ed il banchiere Giorgio Zervudaki, pure egiziano, che è spalleggiato da Sua Altezza il Viceré. Tengo cotali particolari dal commendatore Fernandez, che non abbandonò mai l'affare, anche quando fallirono le pratiche dirette del signor Gutowski e dei sei deputati tripolini.

Confermando così il mio telegramma n. 292,' ...

393 I T. 2502/293 (sic, al posto di 292), pari data, non pubblicato.

394

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. RISERVATISSIMO 129. Roma, 5 agosto 1910.

Mi pregio di accusare ricevuta all'E.V. e ringraziar1a dei suoi rapporti nn. 1915/679,1 1923/6822 e 1979/6993 in data 21 e 24 corrente, e non posso far a meno di informarla che il contegno diffidente tenuto verso di noi dal Governo ottomano e la costante ostilità dimostrata verso le nostre imprese in Tripolitania mi ha prodotto una oltremodo penosa impressione.

Io non mancherò di raccomandare al Banco di Roma la massima circospezione nel trattare gli affari da esso intrapresi in Tripolitania.

Ma, se sono doverosi il massimo tatto e la più completa correttezza, non è, tuttavia ammissibile alcuna limitazione ad una attività che è proficua almeno altrettanto per le popolazioni indigene e pel Governo ottomano, quanto per noi.

Ella vorrà, quindi, cogliere la prima favorevole occasione per esprimersi francamente in questo senso così col gran vizir come col ministro degli affari esteri. Noi abbiamo dato in ogni occasione al Governo ottomano innegabili prove della nostra simpatia e siamo disposti a continuare in questo indirizzo, se il Governo ottomano muta contegno.

In cambio chiediamo che all'attività italiana nell'Impero, contenuta sempre nel campo puramente economico, non siano opposti ingiustificati ostacoli. Confidiamo, perciò, nelle proteste di amicizia ripetutamente rivolteci e da Hakki pascià e da Rifaat pascià, desiderosi che la tutela dei legittimi nostri interessi non abbia a costringerci a seguire un'altra via.

395

PROMEMORIA SULLA DELIMITAZIONE DEI CONFINI FRA LA SOMALIA ITALIANA E L'ETIOPIA

Roma, 5 agosto 1910.

Quando il maggiore Nerazzini, compiuta la sua missione in Abissinia, tornò in Italia nel 1897 -presentò al Governo del re una carta geografica (Habenicht

3941 R. del 21 luglio, non pubblicato, sull'ostilità suscitata da alcune iniziative economiche sospettate di essere sostenute dall'Italia.

2 Cfr. n. 379.

3 R. riservatissimo del 24 luglio, non pubblicato, sulle diffidenze turche nei riguardi del Banco di Roma.

Spezia! Karte von Afrika im Mafsstab von 1.400.000 -foglio n. 6) consegnatagli da Menelick, che vi aveva apposto il suo bollo. Il negus vi aveva fatto tracciare una linea indicante il confine da lui desiderato dalla parte dell'Oceano Indiano. Tale confine ci dava, a partire dall'intersezione della nostra frontiera con quella inglese nel paese somalo, una zona di possesso assoluto tra la costa e una linea parallela a quest'ultima partente dal Giuba, al punto ove sono marcate le cateratte di Von der Decken, a nord di Bardera. Quanto alla stazione di Lugh, fondata dal capitano Bottego nel 1895 e da noi da quell'epoca tenuta e difesa, essa rimaneva esclusa dal nostro possesso: Menelick si obbligò però a riconoscere lo stabilimento commerciale italiano in quella piazza, impegnandosi a salvaguardarlo da razzie amhara.

Il 3 settembre 1897 il presidente del Consiglio, il ministro degli esteri ed il ministro della guerra telegrafarono direttamente a Menelick che il nuovo confine, tracciato d'accordo con Nerazzini, era stato approvato dal Governo italiano'.

Ma già il 19 ottobre dello stesso anno il marchese Visconti Venosta incaricava il maggiore Ciccodicola di avviare trattative col negus per meglio guarantire quella stazione e le sue comunicazioni col mare, insistendo, anzi, perché Lugh rientrasse nei limiti del possedimento italiano2.

Queste trattative si protrassero per dieci anni, ed alla fine del 1907 s'avviavano verso la conclusione, quando avvenne il doloroso episodio di Bardale, ove lasciarono la vita i capitani Bongiovanni e Molinari. Questo incidente, se per un lato acuì la nostra azione, dali' altro, per le sorte complicazioni, ritardò la conclusione dell'accordo, che fu finalmente firmato il 16 maggio 1908.

Questo accordo porta il confine sul fiume Giuba a Dolo, donde esso si dirige ad est, per le sorgenti del Maidaba, e continua fino al fiume Uebi Scebeli seguendo i limiti territoriali fra le tribù dei rahannuin, che restano all'Italia e le tribù a nord di questi, che restano ali' Abissinia.

Il punto di frontiera sullo Scebeli è il punto più a nord occupato dalla tribù dei baddi addì. Da questo punto la frontiera si dirige a nord-est secondo il tracciato del 1897.

Per addivenire alla delimitazione dei confini partirà nel settembre p.v. per Addis Abeba e di là, per gli arussi o per il lago Margherita, si recherà a Dolo una commissione italiana al comando del capitano Carlo Citerni. I lavori della commissione, per ragioni di sicurezza, saranno, per ora, limitati al tratto da Dolo al punto di confine sull'Uebi Scebeli, e si presentano non scevri di difficoltà. Infatti, l'intento dei negoziatori del trattato del 1908 fu quello di stabilire la linea di confine, nel suo principale e nuovo percorso da Dolo all'Uebi Scebeli (nel rimanente percorso si segue la vecchia linea del 1897), in base ad un criterio etnografico di divisione fra tribù e tribù: criterio che appare tanto più ragionevole, in quanto, nel mentre corrisponde a necessità economiche e politiche, è di determi

395 I Cfr. serie III, vol. II, n. 201. 2 lvi, n. 244.

nazione assai più sicura, che non possano essere indicazioni geografiche in regioni assai imperfettamente conosciute. Unica eccezione a tale regola fu il riferimento a Dolo ed alle sorgenti del Maidaba.

Per il rimanente tratto, fino al confine inglese si segue, come abbiamo detto, la linea del 1897, che non è indicata con criteri etnografici, ma unicamente geografici.

Per tracciare un confine, che da Dolo raggiungesse il limite nord della tribù rahannuin, bisognava necessariamente tagliare una parte della regione abitata dai digodia. Il negus non volle mai abbandonare la sovranità sui digodia, per ragioni non conosciute, ma che forse sono da ricercare in esagerate informazioni sulla importanza e ricchezza di questa tribù. Si venne allora nel temperamento di tracciare una linea di confine che tagliasse il territorio dei digodia in due parti, lasciando a noi quella più a valle, ma riservando la sovranità del negus su tutta intera la tribù che, per la parte abitante in territorio italiano, verrebbe a trovarsi nella condizione propria agli stranieri in territorio nostro.

Trovandosi il negus Menelick in gravi condizioni di salute, inabile anzi alla trattazione degli affari di Stato, molti dei capi più influenti, che dalla convenzione coll'Italia non avevano tratto alcun profitto, insorsero contro gli accordi presi, sostenendo che per la lettera del trattato i digodia spettano all'Abissinia e con loro il loro territorio: e perciò, non tenendo conto del fatto che le trattative per la convenzione si erano basate sulla carta Lannoy de Bissy, che porta le sorgenti del Maidaba al monte Spoda, a est di Dolo, scoprirono una località detta Maidoba, nel Baidoa, a sud di Dolo, nel cuore del paese rahannuin e pretesero che in quella direzione dovesse volgere il confine. Tale assunto è però del tutto insostenibile, anche per la lettera del trattato, ed il r. ministro in Addis Abeba nutre fiducia di poter rimuovere le difficoltà. Questo ministero condivide tale fiducia, tanto più che i digodia si sono ormai spostati assai più a monte e forse si trovano a quest'ora nei limiti territoriali dell'Abissinia.

Una seconda difficoltà potrà eventualmente sorgere se i baddi addi, il cui limite a nord dovrà segnare il confine, non si spingessero oltre l'Uebi Scebeli. In questo caso, noi avremmo a confine in quella regione la linea mediana del fiume: inconveniente questo non piccolo e che ci obbligherebbe a maggiori spese per la sorveglianza e difesa del confine. Sono svantaggi però inevitabili quando, come nel caso presente, si deve negoziare per regioni imperfettamente conosciute.

Si unisce uno schizzo dimostrativo delle regioni che interessano la delimitazione, sia del lato della Somalia italiana, che in quello dell'Abissinia. Esso venne tracciato concordando la carta Lannoy de Bissy, servita per la convenzione 1908, con quella dello Habenicht, servita per i confini Nerazzini del 1897. Sono indicati: a) il tracciato di confine del 1897; b) il presunto tracciato di confine in base alla convenzione 1908.

Si unisce anche una fotografia della carta originale col sigillo di Habenicht su cui fu tracciato il confine proposto dal negus a Nerazzini nel 1897.

396

IL CONSOLE GENERALE A HODEIDA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 418/170. Hodeida, 5 agosto 1910 (per. il 20).

Ho l'onore di qui unito trasmettere a V.E. copia di una Ietterai che ho spedito i12 corrente al Governo dell'Eritrea intorno allo spiacevole argomento in margine segnato.

Dalla lettura di detta copia di lettera l'E.V. scorgerà tutte le fasi dell'avvenuta cattura del sambuco eritreo «Sahlan» per parte della cannoniera ottomana «NabSciahim e della sollecita solenne liberazione del veliero stesso da me ottenuta con supremo beneficio del nostro prestigio -alquanto scosso negli ultimi tempi -e con marcata, altiera affermazione dei diritti che ci derivano dalla Convenzione del 1902 tra l'Italia e la Turchia, diritti resi maggiormente validi e cospicui dai vantaggi da me acquisiti, nell905, ma che l'atteggiamento insensato del Governo dell'Yemen, da qualche tempo in qua, al nostro riguardo, mirava a soffocare.

La seconda parte dell'azione mia presso il Governo dell'Yemen nella grave contingenza occorsa, è intesa a chiedere il risarcimento dei danni prodotti-pel fatto della avvenuta abusiva cattura -sia al veliero che al carico ed ai marinai. Codesto assunto, che verte sopra una dimanda di natura puramente materiale, è arduo parecchio; e sarebbe da considerarsi come cosa in verità straordinaria se io potessi per avventura giungere, coll'ausilio di tutti i miei sforzi e della personale mia influenza presso il valì, a coronarlo di un qualche successo; poiché, se è vero, come per buona ventura mi è risultato, almeno in apparenza, che il «Sahlan» stava compiendo l'ultimo suo viaggio in modo regolare e onesto, è altresì assodato purtroppo in modo ineccepibile, in base allibro di bordo di detto veliero (il Governo dell'Yemen ha avuto in mano detto documento che ora trovasi nella r. cancelleria) che esso, iniziata la navigazione il 26 giugno dello scorso anno, si è consacrato esclusivamente al traffico tra Massaua e la costa dell'Yemen e dell'Hegiaz, compiendo su tale linea ben tredici viaggi (di cui undici all'Yemen) e sbarcando costantemente il proprio carico, in contrabbando, su punti del litorale arabico non provvisti di ufficio doganale. Oltre alla corsa ultima per Gizan, ne fece quattro altre per la stessa destinazione -come è notato sul libro di navigazione-, ma esso, in quest'ultima rada, non ci è stato mai, come lo provano i registri della dogana di Gizan e come lo ha pur dichiarato a me lo stesso nacuda del sambuco. E, ciò che più monta, si fu che le autorità marittime di Massaua, consapevoli senza dubbio del lavoro illecito e assai periglioso che stava compendo il «Sahlan», rilasciarono per ben due volte a questo veliero le carte ufficiali per la destinazione di Al Koz, punto deserto del litorale arabico, sito nel distretto di Sabbia, residenza del falso Mahdi; codesta rada serve esclusivamente al gran scheik per le sue comunicazioni clandestine col mare. Fu questo fatto che maggiormente impressionò e suscitò il risentimento del Governo dell'Yemen, il quale, comunicando

396 J Non pubblicata.

con me, per iscritto, in proposito, e scagliando violente accuse contro il «Sahlan», lasciava stillare, sia pure in modo poco percettibile attraverso le fitte circonlocuzioni contenute nel telegramma e nella nota che mi inviò, il sospetto che il Governo dell'Eritrea incoraggiasse i sambuchi della colonia nostra a fornire armi e munizioni alle tribù ribellatesi l'anno scorso contro le autorità imperiali (si alludeva direttamente alle tribù soggette al Sejed el Idrissi, il presunto mahdi).

Non sì tosto mi parve di intuire che in fondo al pensiero del valì albergasse forse il sospetto, grottesco in verità, di cui sopra, affrontai immediatamente l'argomento con tutta la destrezza e la cautela che il caso delicato e grave richiedeva e gli detti il più ampio e vigoroso svolgimento, provando al valì con argomentazioni stringenti e persuasive e con tono di fiera indignazione quanto priva di fondamento e enormemente puerile fosse la supposizione per parte del Governo dell'Yemen che i sambuchi eritrei facessero del contrabbando d'armi sulla costa arabica, mentre l'Italia -soggiunsi -più d'ogni altra Nazione civile e superando di molto la stessa Turchia in quest'ordine di idee, adempie con zelo e con nobili intenti di solidarietà sociale ai patti internazionali e tiene in Mar Rosso due ed anche tre bastimenti da guerra e tutt'una flottiglia di sambuchi armati (con una spesa di circa sessanta a settantamila franchi al mese) appunto e unicamente per la severa e rigida sorveglianza e repressione del non ammesso traffico d'armi in mezzo alle popolazioni ancor barbare.

Continuo a lottare col valì, già sconfitto totalmente in tutto ciò che riflette il lato elevato e importante della vertenza, colla speranza, fievole assai in verità, di vincerlo anche sul campo della indennità chiesta per il sambuco e il carico -questo, però, non è punto danneggiato. Né il proprietario del veliero né quello della merce meriterebbero o avrebbero diritto a risarcimento alcuno di danni. Astraendo dal lato immorale del lavoro illecito di costoro, e facendo i conti, si ottiene che negli undici viaggi compiuti dal «Sahlam> sulla costa dell'Yemen, con sbarco del proprio carico in contrabbando, codesto veliero colla responsabilità dell'armatore e del caricatore-ha defraudato l'erario dell'Yemen di un ben circa venticinquemila lire. I debitori sarebbero quindi i nostri buoni e poco scrupolosi sudditi eritrei, e di quanto!2

397

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, LANZA, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. UFF. COLONIALE 20791. Roma, 6 agosto 1910, ore 14,05.

Faccio seguito al mio 19912. Governo britannico manca informazione circa missione abissina Berlino, e si riserva fare conoscere suo pensiero circa visita

397 I Il telegramma fu trasmesso via Asmara. 2 Cfr. n. 3 84 nota l.

Italia Francia Inghilterra quando notizia venisse confermata. Governo francese sa che Governo etiopico ha dichiarato al signor Brice che codesto ministro affari esteri non andrà Berlino. Pichon ha però dichiarato che avrebbe telegrafato codesto rappresentante francese mettersi d'accordo con S.V. perché, in ogni eventualità, visita Berlino sia associata ad una visita a Roma, Parigi e Londra.

396 2 Per la risposta cfr. n. 440.

398

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2383/808. Therapia, 8 agosto 1910 (per. il 15).

Rispondo al dispaccio del 22 luglio u.s., Segretariato generale, n. 1041. Indagini fatte, per istruzione di questa ambasciata, con la dovuta riserva, dal

r. console in Aleppo (nel cui circondario trovansi Alessandretta ed il vicino Beylan) gli fanno ritenere che, qualora l 'istituto erigendo non fosse costituito in modo da apparire solo indirettamente connesso con l'Associazione religiosa dei Carmelitani scalzi, quel consolato di Francia non mancherebbe di eccepire l'illegittimità della nostra protezione.

Già poco tempo prima dell'arrivo del cavalier Tosti in quella sua residenza, quel console di Francia, sostenendo l'azione del vice console della Repubblica in Alessandretta, ebbe ad affermare il protettorato francese sugli stabilimenti religiosi di Beylan. L'autorità locale, in quell'occasione, sembra aver riconosciuto che i Carmelitani scalzi trovansi sotto la protezione francese. È dunque verosimile che il valì non muti atteggiamento di fronte alle proteste che verrebbero sollevate, se l'erigendo orfanotrofio fosse, senz'altro, posto sotto la protezione italiana. Il fatto che l'istituto sia di nuova fondazione, non sembra possa sottrarlo, senz'altro, alla protezione francese, fino a tanto che esso venga fondato ed amministrato direttamente dai Carmelitani. Difatti, se codesta Associazione è legittimamente sottoposta al protettorato francese, l'erigendo istituto, in quanto emanazione diretta di essa, non può non seguirne lo stato giuridico nei riguardi della protezione francese.

La situazione sarebbe diversa se l 'orfanotrofio apparisse fondato non dai Carmelitani, ma da altra associazione nettamente italiana, quale l'associazione per la protezione dei missionari, e se avesse coi Carmelitani una connessione solo indiretta, limitata, cioè, agli uffici del culto ed estranea al fine di assistenza che caratterizzerebbe l 'Istituto. In tal caso, la nazionalizzazione italiana d eli 'Istituto non potrebbe provocare serie obiezioni.

In conclusione, ad evitare difficoltà, che sarebbero, forse, fuori di proporzione coi vantaggi, conviene procedere con cautela, e, se non si vogliono, o non si possono, accordi preventivi col Governo francese, costituire l'orfanotrofio in modo che il

Governo stesso, quale protettore dei carmelitani, non possa pretendere la protezione dell'Istituto, quale emanazione dell'Ordine. E l'unico mezzo sarebbe, forse, di far apparire l'orfanotrofio fondato dall'Associazione italiana dei missionari, diretto da un personale suo (i Carmelitani sono così esigui di numero che in ogni modo dovrebbero avere un personale estraneo e suppletivo ), e connesso coi Carmelitani col solo vincolo del culto, che potrebbe comportare anche l'istruzione religiosa2.

398 l Cfr. n. 380.

399

IL MINISTRO A LISBONA, PAULUCCI DI CALBOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 585/235. Lisbona, 9 agosto 1910 (per. il 14).

Nel colloquio che ebbi jeri col ministro degli affari esteri, questi mi chiese se avessi letto la notizia, pubblicata nel Diario das Noticias del 2 corrente, sull'invito che Sua Maestà il Re d'Italia avrebbe rivolto a Sua Maestà Don Manuel di assistere all'inaugurazione del monumento a re Vittorio Emanuele a Roma. La serietà del giornale che l'aveva inserita gli avea fatto un momento dubitare della attendibilità della cosa. Aveva subito telegrafato al sovrano in Bussaco dal quale gli era stato risposto «non aver egli ricevuto alcun invito né direttamente né indirettamente dal suo Augusto Cugino per tale inaugurazione». Era in questi termini che egli aveva redatto la smentita pubblicata nel suo giornale O imparcial. Tale notizia, mi aggiungeva sorridendo il consigliere Castello-Branco, aveva fatto una grande impressione al nunzio che si era precipitato al Ministero per chiedere che cosa vi fosse di vero in quella voce. «lo gli risposi», così continuò il ministro, «che Sua Maestà mi avea assicurato non aver egli ricevuto alcun invito né diretto né indiretto per questa inaugurazione. Credevo che la mia risposta avrebbe appagato la giusta curiosità del rappresentante della Santa Sede, ma la frase del comunicato da me inviato al mio giornale -"Non essere questo il momento di dire quale sarebbe l'attitudine del Governo davanti un fatto di tale speciale importanza" -induceva monsignor Tonti a rivolgermi l'ardita domanda seguente: «Ma se questo invito venisse fatto, quale sarebbe l'attitudine del sovrano portoghese?». «lo», proseguì il ministro, «gli risposi subito testualmente: "Sa Majesté Don Manuel est trop jeune pour ètre le chef de file, mais il est assez agé pour suivre les autres". Monsignore capì il latino, e lasciò cadere l'argomento».

Il ministro seguitò ricordandomi le idee da lui espressemi sovente nelle nostre conversazioni private, prima di essere chiamato nel consiglio della Corona, sulla necessità di una più stretta unione fra l 'Italia ed il Portogallo e sulla assoluta convenienza di un viaggio di Sua Maestà Fedelissima a Roma. «Sfortunatamente la giova

ne età di re Don Manuel gli impedivano di dar egli l'esempio ... infliggendo quasi una lezione al decano dei sovrani europei». E, accennando alla possibilità di un gesto ardito del re di Spagna, il mio interlocutore mi fece capire che il Portogallo avrebbe battute le traccie del paese vicino. Naturalmente vi erano delle grandi difficoltà da superare, ma il suo Paese non era reazionario né clericale, come si pensava all'estero, ed i fatti lo avrebbero dimostrato.

Ringraziai il ministro delle dichiarazioni fattemi che avrei riferito al mio Governo, la cui attitudine nella delicata questione di cui avea parlato non poteva essere (ed era utile ch'io lo ripetessi a lui ufficiosamente, dopo averglielo detto varie volte privatamente) che quella seguita sin ad oggi, di astenerci cioè da qualunque iniziativa in proposito.

398 2 Annotazione a margine di San Giuliano: «Non vi ha dubbio che convenga procedere nel modo indicato in questo rapporto ed inoltre, dopo che l'Associazione nazionale avrà aderito a questo modo di procedere e si sarà procurata l'adesione dei Carmelitani, prima di attuare la cosa, prendere accordi preventivi aperti e leali con Governo francese».

400

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 2568/139. Berlino, 10 agosto 1910, ore 12,30 (per. ore 14).

Ambasciatore d'Inghilterra mi ha detto, parlandomi delle cose balcaniche, che qualora, ad un momento qualsiasi, si presentasse inevitabile una guerra tra la Turchia e la Bulgaria o la Grecia, è pensiero del conte di Aehrenthal che sarebbe meno pericoloso per la pace europea il lasciare la Turchia battersi con uno di quegli Stati cercando solo di localizzare la guerra, che l'impedirla ad ogni costo, perché ciò provocherebbe anarchia in Costantinopoli il che sarebbe, fra i due mali, il peggiore. Avendo presente quanto sopra, ambasciatore di Inghilterra ha cercato di conoscere in proposito modo di vedere di questo segretario di Stato per gli affari esteri. In una conversazione avuta con lui jeri sera, il signor von Kiderlen Waechter gli ha detto che anche egli reputerebbe in quell'eventualità savio consiglio lasciar Turchia battersi con la Bulgaria o con la Grecia cercando solo di tener lontane dalla lotta le Potenze minori balcaniche, ma teme che non sarebbe possibile trattenere una delle Grandi Potenze dall'immischiarvisi effettivamente. Avendogli sir Edward Goschen domandato a quale delle Grandi Potenze alludeva Kiderlen Waechter avrebbe risposto senza tergiversazioni «la vostra amica la Russia».

401

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 689/224. Pietroburgo, 10 agosto 1910 (per. il 17).

Molti mesi sono ormai trascorsi dal giorno in cui ebbero termine le trattative tra Vienna e Pietroburgo per la ripresa di relazioni normali tra i due Gabinetti, ma finora

nessuna manifestazione esteriore si ebbe che l'abisso creatosi due anni orsono fra Russia ed Austria-Ungheria in seguito all'annessione della Bosnia ed Erzegovina si sia in alcun modo colmato. Nel contegno del signor Izwolskij verso la diplomazia austro-ungarica o per meglio dire verso la persona del conte d'Aehrenthal va però notato un certo mutamento. Il ministro un tempo così propenso a critiche ed accuse all'indirizzo del suo fortunato rivale si astiene ora scrupolosamente da qualsiasi allusione al riguardo. Davanti ai tentativi che nel corso di amichevoli colloqui credetti spesse volte di fare presso di lui onde meglio scrutare quali fossero in realtà le sue presenti disposizioni verso il Gabinetto di Vienna il signor Izwolskij omise di pronunziarsi. Egli pare aver finalmente riconosciuta l'opportunità di por fine a vane ed infeconde polemiche. Così pure nei suoi rapporti con questa ambasciata austro-ungarica, egli si studia di mantenere una attitudine corretta e riguardosa cercando di evitare ogni occasione a nuovi attriti. Così nell 'increscioso incidente testé prodottosi, eriguardante certi atti di spionaggio militare imputati all'addetto militare austro-ungarico a Pietroburgo (incidente che, smisuratamente gonfiato dalla stampa russa e estera, è lungi dall'avere la gravità che gli si è voluta dare), il signor Izwolskij ha agito con molta prudenza e spirito di conciliazione. Ma lo ripeto, se da una parte viene qui evitata ogni occasione di gettare nuova esca sul fuoco, manca dall'altra ogni sintomo palese che i rapporti austro-russi siena sulla via di ammegliorarsi sensibilmente.

Che la tensione sia )ungi ancora dall'essere cessata lo attesta del resto il linguaggio della stampa russa che per ogni verso si mantiene ostilissima all'Austria-Ungheria. In tutte le questioni ove questa Potenza travasi direttamente od indirettamente mescolata, i giornali russi con a capo la Novoe Vremia, non esitano a prendere partito spesse volte in termini violentissimi e qualche volta pure a base di insinuazioni e notizie tendenziosamente falsate contro il Governo di Vienna. Ciò si è visto ancora recentemente nella questione del trattato di commercio austro-russo ed in quella dei supposti armamenti dell'Austria-Ungheria alla frontiera montenegrina. In occasione pure delle feste di Cracovia per il centenario della battaglia di Tannenberg tutti questi giornali e fra essi, strano a dirsi, l'officiosa Rossia, si lasciarono trascinare a virulenti attacchi contro il germanismo. Tutto ciò viene risaputo ed amaramente risentito a Vienna né può contribuire certo a creare fra i due Paesi un'atmosfera molto adatta alla riconciliazione degli animi.

402

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI

D. 36. Roma, 12 agosto 1910.

Con il rapporto n. 440/137 del 27 luglio u.s.I la S.V. mi fa notare che il 28 agosto corrente le spetterà, nella sua qualità di decano del corpo diplomatico in

Cettigne, di presentare le proprie congratulazioni e quelle dei colleghi al sovrano montenegrino per il cinquantesimo anniversario del suo Regno e chiede istruzioni se ella debba, in quella occasione, dare al sovrano il nuovo titolo di re, che egli avrà assunto lo stesso giorno, oppure continuare a designarlo come per il passato, in considerazione del fatto che a quel momento il nuovo titolo reale, non sarà stato ancora ufficialmente notificato alle Potenze e da queste riconosciuto.

Per parte mia, e per quanto riguarda la decisione del R. Governo, non ho alcuna difficoltà che la S. V. si rivolga a codesto sovrano col titolo di maestà. Oltreché, siccome ella ricorda, già da tempo si è, in via ufficiosa, comunicata a Sua Altezza Reale l'adesione dell'Italia, è ovvio che il non dare al principe nell'allocuzione il nuovo suo titolo potrebbe offendere il sovrano ed il popolo montenegrino.

Trattandosi, ad ogni modo, di prendere in ciò norma dell'ambiente e dalla situazione locale, lascio, in massima, giudice la S.V. della decisione definitiva da adottare.

Aggiungo che, del resto, S.M. il Re sarà in quell'epoca a Cettigne e quindi la S.V. dovrà anche per questa parte prendere gli ordini del nostro augusto sovrano e regolarsi secondo che alla M.S. piacerà di indicarle.

Non dovrà tuttavia trascurarsi il riflesso che la S.Y., parlando in quella circostanza come decano del corpo diplomatico, dovrà considerarsi come il fedele interprete della Potenza rappresentata.

Sicché, a scanso di incresciosi incidenti o recriminazioni converrà che ella si assicuri che le istruzioni dei suoi colleghi non siano quanto meno, in opposizione alla decisione che ella fosse per adottare, di dare a Sua Altezza Reale, parlando a nome delle Potenze, il titolo reale.

402 l Cfr. n. 386.

403

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, NANI MOCENIGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2609/55. Sofia, 13 agosto 1910, ore 4,40 (per. ore 19).

Mio telegramma n. 541. Ministro di Turchia mi ha detto in questo momento che nel suo odierno colloquio con Papricoff, questi gli aveva proposto di tirare un velo sul passato e di studiare di comune accordo modo di por termine agli inconvenienti a cui dà luogo disarmo popolazioni Macedonia. Governo bulgaro persuaderebbe profughi ritornare loro case, purché Governo ottomano promettesse desistere da maltrattamenti o rappresaglie. Assim bey ha risposto che ben volentieri vi si sarebbe prestato: su di un solo punto, però, non poteva transigere essendo già in possesso di tassative istruzioni del suo Governo e, cioè, sul comunicato della legazione bulgara in Londra al Times. Mentre, infatti, quell'ambasciata di Turchia nel suo comunicato si era

403 I T. 2601/54, pari data, non pubblicato.

limitata a smentire affermazioni stampa bulgara, nel comunicato bulgaro si fa aperta allusione e critica all'opera del Governo ottomano, e tale linguaggio quest'ultimo considera come una intromissione affari interni Impero. Papricoff promise di adoperarsi per attenergli soddisfazione su questo punto.

404

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1359/389. Berlino, 14 agosto 1910 (per il 19).

Stamane questo ambasciatore d'Inghilterra mi ha mostrato un telegramma del ministro inglese a Sofia ricevuto allora in comunicazione da Londra nel quale il signor Findlay, rendendo conto di una conversazione avuta col signor Papricoff, conchiudeva con l'esprimere il suo parere che in un avvenire più o meno prossimo fosse inevitabile una guerra tra la Bulgaria e la Turchia. Dal telegramma risultava che sull'animo del signor Findlay aveva fatto soprattutto impressione il dilemma enunciato dal ministro che cioè ben presto, dato il crescente numero dei macedoni rifugiati in Bulgaria e data l'agitazione dai medesimi sollevata nel Regno con i meetings, con la stampa ecc .... ben presto la Bulgaria si sarebbe trovata di fronte o all'imprescindibile necessità di muover guerra alla Turchia o al pericolo di cadere in preda ali' anarchia.

Sir Edward Goschen pure non giudicando con soverchio ottimismo la situazione interna della Bulgaria, situazione che da un momento all'altro potrebbe diventar minaccia per la pace dei Balcani mi osservava che per apprezzare al loro reale valore le preoccupazioni del signor Findlay, bisognava tener conto della locale effervescenza degli animi e del naturale temperamento di quel rappresentante inglese portato ad esagerare i pericoli esistenti.

Dopo aver lasciato sir Edward Goschen mi sono recato al Dipartimento degli affari esteri per parlare col signor von Zimmermann consigliere relatore per gli affari d'Oriente. Come al solito egli giudica la situazione presente in Oriente sia per quanto riguarda la Grecia sia per quanto riguarda la Bulgaria come scevra dal pericolo immediato di scoppi violenti. Egli mi disse che ieri l'incaricato d'affari di Bulgaria aveva dato notizia al Dipartimento imperiale degli esteri delle difficoltà in cui si trova il suo Governo a causa dei profughi della Macedonia, senza però dare a questa comunicazione alcun carattere allarmante né domandare al Governo imperiale di fare alcun passo a Costantinopoli.

Il calmo giudizio che il signor von Zimmermann reca sulla situazione presente nei Balcani è dettato come ebbe a dirmi da considerazioni di natura diversa. Da una parte tanto la Bulgaria quanto la Grecia hanno avuto ormai più volte occasione di constatare come nessuna delle Grandi Potenze sia disposta, per favorire le loro aspirazioni nazionali, a compromettere i propri rapporti con la Turchia e la pace generale europea. D'altra parte tanto i greci quanto i bulgari sanno che la Turchia in questi ultimi mesi ha avuto tempo di compiere, di perfezionare la propria difesa militare. Un anno fa in una guerra con la Turchia i bulgari avrebbero avuto sul principio della campagna una schiacciante superiorità sul nemico. Oggi le cose sono cambiate e anche dato che riuscisse loro giungere vittoriosi sino ad Adrianopoli essi troverebbero qui, dopo i grandi lavori di fortificazione che vi sono stati ultimamente compiuti, un tale ostacolo che per sormontarlo anche se la fortuna delle armi continuasse a favorirli dovrebbero sottoporsi a gravi perdite di tempo e di vite umane. Ciò ben si sa a Sofia e questo è la remora la più sicura per frenare quei politicanti.

La calma con la quale in questi circoli ufficiali si giudica la presente situazione nei Balcani risponde anche alla decisione con la quale il Governo imperiale segue quella linea di condotta politica che si è imposta, a partire dal giorno in cui a Costantinopoli venne inaugurato il nuovo regime, nelle questioni che interessano l'Impero ottomano. Questo modo di vedere è riassunto in un comunicato officioso consegnato oggi a questa stampa e avente per scopo di smentire la voce corsa di un intervento delle Grandi Potenze per appianare il conflitto sorto tra la Bulgaria e la Turchia in seguito al disarmo delle popolazioni macedoni. Il comunicato dice testualmente così: «La notizia che le Grandi Potenze interverrebbero per ottenere dalla Turchia il soddisfacimento dei reclami della Bulgaria fa un'impressione alquanto antiquata. Si crederebbe esser riportati ai tempi in cui con grande fatica ma senza risultato venivano elaborati in nome del!' Europa piani di riforme per la Macedonia. Questi tempi sono ormai, è da sperarsi, definitivamente passati. Le riforme europee erano destinate, se non nella mente di chi le proponeva, ma per le vicende stesse delle cose a togliere la Macedonia dalle mani del! 'Impero otto mano. Ma le Grandi Potenze si sono liberate da una tale politica che avrebbe condotto all'impiccolimento della Turchia. Esse hanno riconosciuto, dopo l'avvento a Costantinopoli del nuovo regime, unanimamente il principio della inviolabilità e della indipendenza del territorio turco. D'altra parte la Bulgaria ha raggiunto la sua completa sovranità con l'elevazione a Regno, e la sua politica estera vien diretta da un principe di cui è noto l'amore per la pace. Egli pure non dovrebbe avere il desiderio che le Potenze ritornino alla vecchia politica d'intervento con l'eccitazione da essa determinata e con i frequenti sconvolgimenti della pace interna della Bulgaria».

405

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI E AL MINISTRO DELLE FINANZE, FACTA

L. RISERVATA. Roma, 15 agosto 1910.

Il r. ambasciatore a Vienna, a cui avevo comunicato la deliberazione del Consiglio dei ministri, relativa all'invito a Vienna dei generali Ragni e Masi e del commendator Lutrario, mi telegrafa orai di averne dato notizia al conte d'Aehrenthal, il quale lo ha incaricato di ringraziare il R. Governo. Il conte d'Aehrenthal ha osservato, però, che, essendo attualmente in congedo i mmtstri della guerra e degli interni, non era possibile addivenire per ora agli studi preparatori i quali dovevano precedere la riunione dei delegati italiani e austriaci. Inoltre il ministro imperiale e reale degli affari esteri era d'avviso che fosse opportuno uno scambio di vedute tra lui e me, per determinare le basi del progettato accordo e ciò sempre prima della riunione dei delegati.

Quindi egli riteneva si dovesse ritardare di qualche tempo la nunwne stessa. (Per generale Spingardi) Nel pregarti di voler far avvertire il generale Ragni (per S.E. Facta) nel pregarti di voler far avvertire il generale Masi ed il commendator Lutrario (per generale Spingardi e per S.E. Facta) di questo ritardo (per S.E. Luzzatti) ho avvertito di questo ritardo i nostri colleghi Spingardi e Facta e sono d'avviso che esso non è di alcun danno al fine, che noi ci proponiamo, di impedire, nella misura del possibile, gli incidenti di frontiera, ed, anzi, presenta il vantaggio di permettere un preventivo e personale scambio d'idee in proposito tra il conte d'Aehrenthal e me, in occasione della prossima mia andata in Austria.

Debbo, tuttavia, fin d'ora osservare che, mentre ci lagniamo degli sconfinamenti austriaci, non potremmo, poi, senza trovarci in una falsa posizione, respingere addirittura od almeno rinviare indefinitivamente le proposte del Governo Imperiale e Reale di rimettere un maggior numero di cippi sulla linea di frontiera, o di renderla in altro modo più visibile di quello che non sia ora.

Se vi è qualche punto in cui la frontiera è controversa ed a noi non convenga di definirla, si potrà certo in quel punto lasciar la questione in sospeso, ma altro è non definire la frontiera dove essa è controversa, ed altro renderla più vivibile, ove non è controversa.

Comunque anche pei punti controversi è da considerare se gli ipotetici vantaggi di questa incertezza possano esser tali da compensare gli inconvenienti certi ed i possibili pericoli di frequenti incidenti di frontiera.

(Per S.E. Luzzatti) In ogni modo mi occorre conoscere le idee tue, di Spingardi e Facta sul modo di definire la questione dei confini prima del 28 corrente data della mia partenza per Ischl. Il 25 sarò a Roma fino al 28 a mattina.

(Per S.E. Facta) In ogni modo mi occorre conoscere le idee tue sulla questione dei confini prima della mia partenza per l'Austria fissata pel 28. Il 25 spero di essere a Roma e rimarrò fino al 28.

(Per S.E. Spingardi) In ogni modo mi occorre di conoscere le idee tue sulla questione dei confini prima del 28, data della mia partenza per Ischl. Il 25 spero di essere in Roma e rimanervi sino alla mattina del 28.

405 ' T. .. ./242 del 6 agosto, non pubblicato.

406

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, DEPRETIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 1642/133. Sinaia, 15 agosto 1910 (per. il 20).

Proveniente da Costantinopoli -via Constanza è giunto qui, giovedì 11 mese corrente, per trattenersi ventiquattro ore, il gran vizir, il quale fu accolto con tutti i riguardi da parte di questo Governo.

Sua Altezza fu ricevuto in udienza e quindi invitato a colazione da S.M. il Re Carlo, il quale s'intrattenne secolui -a quanto mi fu affermato -assai amichevolmente.

Ebbi stamane occasione di conferire con questo ministro degli affari esteri circa la visita del gran vizir, ed avendogli io domandato la portata di questa visita, egli mi rispose che la Rumania intendeva di avere le migliori relazioni col vicino Impero.

Del resto mi consta che già due volte furono fatti presso questo sovrano passi allo scopo di intavolare trattative di accordi fra i due Paesi, ma il re Carlo, pur volendo mantenere ottimi rapporti e sempre più stringere amichevoli relazioni con il vicino Impero, non ha fiducia nella situazione attuale in Turchia.

Il signor Djuvara mi dichiarò di aver riportato un'ottima impressione del gran vizir, e di considerare Hakki pascià come un uomo politico moderno, a vedute molto chiare e ordinate.

Da me interpellato questo ministro degli affari esteri mi disse che, per ciò che concerne la questione di Creta, il gran vizir gli avrebbe detto che la Turchia continuerà come per il passato a non ammettere sovra di essa alcuna sovranità se non quella della Sublime Porta. Se le Potenze protettrici continueranno a mantenere una benevola attitudine, il gran vizir disse che la Turchia non mancherà di dimostrar loro eventualmente la sua riconoscenza.

Circa il disarmo in Macedonia, contrariamente a quanto venne affermato, la Sublime Porta lo continuerà, senza far questione di religioni, tanto per i musulmani quanto per gli altri.

Il signor Djuvara infine mi disse avergli Hakki pascià parlato, con molta simpatia, di V.E. con la quale ebbe ad intrattenere ottimi rapporti durante il tempo che egli fu ambasciatore in Roma.

A titolo informativo ho l'onore di portare alla conoscenza dell'E.V., che-da fonte autorevole-apprendo ora che Djavied bey, ministro delle finanze turco, che ebbe recentemente una intervista col signor di Kiderlen, telegrafò al gran vizir, il giorno stesso della sua partenza da Sinaia, domandandogli di poter conferire con lui.

Hakki pascià è partito per Mariembad ove si reca a conferire col conte di Aehrenthal. È tuttavia strano, come ancora stamane mi diceva il signor Djuvara, che il gran vizir, in un momento in cui la politica interna della Turchia sta attraversan

do un periodo sì importante, vada a curarsi a Mariembad: il che lascia credere e così aggiungeva questo ministro degli affari esteri -che spiri un'aria di ottimismo, di cui egli stesso rimase assai meravigliato.

407

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 2642/157. Londra, 16 agosto 1910, ore 17,20 (per. ore 22).

Ringrazio VE. del telegramma n. 2127'. Propositi manifestati da KiderlenWaechter e Aehrenthal confermano impressione prodotta da recente contegno due Potenze a riguardo proposta Grey per passo collettivo. Nostre alleate tendono dunque entrare in un ordine di idee contrario a quello da noi finora condiviso con Potenze protettrici: doversi cioè prima e sopra tutto impedire ad ogni costo conflitti armati nella penisola balcanica.

A mio remissivo avviso disposizioni delle Potenze centrali possono forse esercitare azione calmante nei rapporti con la Bulgaria contro la quale la Turchia non pare disposta a prendere oggi iniziativa guerresca perché non ancora del tutto pronta militarmente. Per contro, novello atteggiamento austro-germanico costituisce tacito incoraggiamento note aspirazioni bellicose anti-elleniche da parte dei Giovani turchi desiderosi di consolidare la loro posizione interna con facili successi militari e acquistando ad un tempo, mediante occupazione della Tessaglia, un'arma potente per strappare soluzione definitiva della questione cretese in piena conformità loro aspirazioni. Ciò stante, sarebbe, a mio avviso, definitiva imprudenza escludere in modo assoluto che la Turchia, fidando su assicuratasi benevola condiscendenza austro-germanica, cerchi pretesti sempre facili a trovarsi per aggredire la Grecia. Che faranno in tal caso le Potenze protettrici, massimamente Inghilterra e Russia che, per ragioni dinastiche, non possono abbandonare la Grecia senza avere spiegata almeno un 'azione diplomatica per salvarla? Ed in qual imbarazzo non ci troveremmo noi se sorpresi da nuovi e gravi dissidi fra alleati ed amici, con opinione pubblica verosimilmente inclinata prendere decisa posizione a favore della Grecia?

Nello intento di vedere chiaro e provvedere a tempo, non sarebbe forse superfluo indagare circa impressione qui prodotta da linguaggio di Aehrenthal, Ki-· derlen Waechter e le disposizioni di questo Governo al riguardo? Prima però di entrare in argomento, doverosa prudenza mi impone di conoscere bene il pensiero

dell'E.V. Qualora infatti il Governo del re fosse o partecipante o, quanto meno, consenziente all'intesa che, secondo notizie dei giornali, sarebbe intervenuta od in corso tra la Turchia e la Triplice Alleanza ed avesse, d'accordo con essa, già determinata la sua linea di condotta in ogni emergenza, riterrei preferibile evitare con questo Governo qualsiasi scambio di vedute su tanto delicata questione.

Comunque sarò particolarmente grato ali' E. V. telegrafarmi sue vedute ed eventualmente i suoi ordini per mia norma di linguaggio2.

407 l T. dell'Il agosto, non pubblicato, col quale si trasmetteva il n. 400.

408

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 191. Bardera, 17 agosto 1910 (per. il 7 ottobre).

Mentre mi onoro rimettere ali' E. V. copia delle istruzioni che ho creduto impartire al r. console di AdenI, credo opportuno fare alcune considerazioni sulla nostra azione nel Sultanato dei migiurtini, che non si può dissociare da tutto quanto il nostro programma nella Somalia italiana.

Evidentemente il nostro console, e per la determinata missione che gli è stata affidata in quella regione soltanto e per il naturale impulso dell'animo, che le cose soltanto che entrano nella sua sfera d'azione gli fan sembrare sopra le altre necessarie, non può con perfetto equilibrio dare il giusto rapporto tra la politica di una parte del nostro protettorato e quella generale di tutti i nostri possedimenti nell'Africa orientale.

Innanzi tutto è bene di chiedere a noi medesimi che cosa intendiamo di fare tanto nella Somalia del sud quanto in quella del nord.

Nella prima noi abbiamo svolto, dopo il riscatto del Benadir dal Sultanato di Zanzibar, un vero e proprio programma di acquisto territoriale, e quel programma è ancora nel suo primo periodo di evoluzione.

Nei rapporti da me diretti all'E.V. nel primo tempo della mia permanenza in questa Colonia e in quelli che, confermando le prime impressioni e il primo giudizio, con la visita e lo studio di quasi tutta la parte effettivamente occupata, sarò per redigere, spero di dimostrare non solo, ma di trasfondere nell'animo dell'E.V. e del R. Governo la persuasione, e sarà per me gran ventura, che le ricchezze naturali dei terreni circostanti ai fiumi Giuba e Scebeli e lo sviluppo al quale potranno giungere i

408 I De Martino conveniva col reggente il consolato sulridea di «recarsi con una r. nave sulla costa e mantenere le relazioni e gli accordi» con i capi locali, che poteva «tener luogo della ritardata creazione delle residenze». Suggeriva poi «una politica di osservazione e di propaganda oculata e vigilante, in quella regione, ponendo ogni cura che non sorgano né possano sorgere incidenti, mentre è fermo intendimento del R. Governo di non iniziare opere di guerra sotto qualsiasi pretesto ...». Al riguardo cfr. n. 456.

commerci, sono tali da compensare, se fatti gradatamente e a tempo, i sacrifici dello Stato, facendo acquistare all'Italia una colonia che ne meriterà il nome.

Ora non credo che il Governo voglia, né sarebbe in ciò sostenuto dall'opinione pubblica, fare contemporaneamente e con intensità di azione, la stessa politica economica militare e finanziaria nella Somalia del nord, che non possiede corsi d'acqua, ha popolazioni irrequiete e Sultanati, più o meno, costituiti, terre in molta parte inospitali, commerci dubbi o ignorati.

E se tale, e non ne dubito, è il divisamento dell'E. V., la nostra politica nella Somalia del nord non dev'essere considerata tanto in se stessa quanto in relazione alla ripercussione che essa possa avere su quella del sud, e cioè garantire la Colonia dai pericoli e dalle minacce che da quella potrebbero venire a questa.

E così nel primo tempo, quando per il ritiro degli inglesi alla costa e l'abbandono dell'interno, sembrava che le orde del Mullah potessero, ringagliardite da quello che ad essi sembrava un successo, riversarsi sui confini della nostra colonia, mi parve buon consiglio, fortificando in qualche modo il sultanato di Obbia, allontanare quella minaccia. E se ora, contro la nostra previsione, le armi e i sussidi dall 'Inghilterra dati alla tribù ad essa amiche, ha sortito buon effetto; e il Mullah stremato di forza e di prestigio si trova chiuso da una parte da popolazioni ostili, che in più incontri gli hanno inflitto perdite rilevanti, e dall'altra, dal Sultanato di Obbia, che egli sa difeso e non osa aggredire; se ora, come da istruzioni da me impartite al residente di Obbia, non si rende necessario di crescere di troppo le forze di quel sultano e però mi è parso che oltre ai cento fucili somministrati in aumento dei 500 già dati, altri non se ne dovessero nel momento aggiungere, riservando alle eventualità dell'avvenire ogni decisione; se tale è ora la situazione, meno impellenti si rendono i provvedimenti pel Sultanato dei migiurtini.

Come ebbi già a dire e poi a confermare all'E.V. non era da consigliare la erezione di residenze indifese sulla costa dei migiurtini. Quelle popolazioni mal fide non possono offrire garanzie di sicura amicizia; esse promettono e non tengono; improvvisamente, secondo l'interesse del momento o la fiducia nel proprio ardire, mutano d'animo e di proposito. Affidare alla loro fede la sicurezza di rappresentanti dell'Italia e porre il Paese nel dilemma o di lasciare in vendicate l'offese o di sentire l 'umiliazione non è, sotto nessun aspetto, partito da prendere. Ma con ciò non intendo negare la utilità ed efficacia di residenze fortificate sulla costa che terrebbero in freno e soggezione quelle popolazioni, appunto per essere incolumi dalle offese di genti che contro di esse non hanno mezzi di attacco.

Ma ora qui, mi permetta l'E.V. di chiedere: è opportuno chiedere sacrifici allo Stato, dove non v'ha necessità nel momento attuale e per lo sviluppo di una influenza tanto secondaria rispetto a ciò che dovremmo chiedere e fare nella Somalia del sud? L'E.V. è certamente miglior giudice.

A parer mio in quella parte della Somalia del nord noi ci dovremmo limitare per ora a una politica di osservazione e di indiretta influenza, passiva e non attiva. A ciò provvedono gli accordi col Sultanato dei migiurtini e coi capi delle tribù opportunamente convenuti dal console di Aden. Non so quanto tempo saranno mantenuti; ma ad ogni modo, nel momento presente di affievolimento dell'influenza del Mullah, non è da prevedere che vi si vogliono sottrarre, tanto più che a gente avida di guadagno le larghe somministrazioni di sussidi più che le ragioni o i consigli sono mezzo efficace per tenerle a noi legate.

L'E.V. vedrà dalle istruzioni da me date al r. console quali siano le direttive politiche che ho creduto indicare; e mi è parso di dovere essere preciso e chiaro, da poi che nulla mi sembrerebbe meno desiderabile che, nel momento di preparazione attuale, veder sorgere una questione, inutile e dannosa, della Somalia del nord, che commuoverebbe il Paese e che il Paese non intenderebbe.

Sperando di avere in ciò l'approvazione deii'E.V., ...

PS. Sono sempre in attesa del dispaccio da V.E. annunciatomi del25 giugno n. 4782.

407 2 Per la risposta cfr. n. 412.

409

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 2699/117. Addis Abeba, 18 agosto 1910 (per. ore 15,15 del 21)1.

Salute Menelik stazionaria. Medici che lo visitarono giorni fa lo trovarono molto deperito senza però riscontrare alcun nuovo fenomeno inquietante. Situazione politica generale Etiopia soddisfacente, per quanto precaria. Non è esclusa possibilità conflitto tra ras Oliè e truppe del Governo etiopico e di ras Micael. Sulla frontiera della Somalia settentrionale continuano conflitti fra le tribù inglesi e quelle etiopiche.

410

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CAPITANO CITERNI

D. 188. Roma, 18 agosto 1910.

Sebbene la missione incaricata di delimitare i confini fra la Somalia italiana e le province meridionali dell'Impero etiopico -missione di cui la S.V. illustrissima è degno capo -abbia carattere tecnico proprio dello scopo pel quale è inviata, io tengo a richiamare in particolare modo l 'attenzione di lei sulla grande opportunità e utilità di studiare le regioni che la missione dovrà attraversare dal

409 I Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 21 agosto. ore l0.50.

punto di vista della penetrazione commerciale italiana, nei riguardi specialmente della nostra Somalia italiana. Ella dovrà quindi procurarsi i campioni dei principali prodotti dell'industria italiana, per presentarli agli indigeni, osservando e notando quali di questi prodotti incontrano particolarmente il favore di essi, e quali sarebbero suscettibili di successo, ove fossero modificati secondo i gusti e le esigenze dei vari mercati.

I mercati indigeni offriranno larga messe di studi alla missione italiana. Sarà quindi opportuno studiare i principali mercati, le principali fiere, le vie carovaniere più importanti, i prodotti industriali più ricercati. Una descrizione particolareggiata di questi ultimi, e, se del caso, l'acquisto di uno o più campioni, potrà riuscire di grande utilità al fine di sviluppare i nostri traffici in quelle lontane regioni.

Sarà inoltre bene conoscere i nomi dei capi o dei commercianti che, per attività e probità, sarebbero eventualmente in grado di assolvere degnamente al compito delicato di rappresentanti o commissionari di case italiane. Credo ciò molto difficile, se non assolutamente impossibile, ma occorre tentare. Queste le istruzioni di ordine commerciale che credo necessario affidare alla S.V.

Uno dei problemi più ardui per la nostra colonia è quello di riallacciarla agli antichi mercati delle province meridionali dell'Etiopia, deviati da cause di varia indole, studiando i mezzi più acconci per fermare l'opera di deviamento delle vie carovaniere e delle correnti commerciali che a nostro danno si compie.

Lo scambio di note 22-25 giugno 1908 tra Italia e Etiopia ci dà, parmi, il modo di mettere le basi per un'azione commerciale utile fra Etiopia e Somalia (qui unito un esemplare del documento). Allo studio di tale importante questione e alle proposte pratiche di soluzione nessuno meglio di lei può attendere per la conoscenza che ha del Paese. Istruzioni che, sebbene subordinate a quelle d'ordine tecnico, onde codesta onorevole missione ripete l'esser suo, parlano per se stesse della loro alta importanza, perché io mi indugi a raccomandarne l'esecuzione alla S.V. illustrissima.

408 2 Cfr. n. 374 nota 4.

411

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 907/378. Tripoli di Barberia, 18 agosto 1910 (per. il 24).

Ringrazio l 'E.V. dei suoi pregiati dispacci riservati del 4 e del 6 corrente a nn. 212 e 2171 dei quali ho in via confidenziale dato comunicazione verbale al cavalier Bresciani.

Ne rilevo, quello che già qui sapevo, in parte almeno, sulle difficoltà e sull'opposizione suscitate nella capitale, ossia presso i Ministeri e comitati interessati del

411 I Non pubblicati.

l'Impero ottomano, per escludere gli italiani da ogni impresa, specialmente in Tripolitania. Contro il Banco di Roma è diretta più particolarmente quell'azione perché quell'Istituto spiegando la sua attività provoca maggiori diffidenze.

Non sono cose nuove, anzi si rivanga il passato e si spoglia le carte di Regeb pascià per seguirne il sistema di false insinuazioni ed invenzioni e, quando meno, di esageraziOni.

Non mi sono mai fatto illusioni sui sentimenti della nuova Turchia; la credo ben altrimenti pericolosa per l'Europa della vecchia, mentre la natura sua resta sempre la stessa, interessata e perfida. Fortunato chi sappia usare con lei della stessa tattica. Non è e non sarà mai il caso di noi italiani, troppo facili all'espansione, franchi e leali.

Veniamo all'oggetto nostro, il Banco di Roma.

Per la vecchia esperienza che ho delle nostre iniziative all'estero, sempre indecise e da venire, davanti a quelle del Banco di Roma in Tripoli non esito a dichiarare come già spesso ho ripetuto che il Banco di Roma fu ammirevole di slancio e di coraggio. Lo si deve molto e specialmente all'opera di chi fu per il primo chiamato a rappresentare qui il Banco: il cavalier Bresciani, intelligente, svelto, attivo, con l'intuizione esatta dell'affare e della possibilità di tentar!<), cercava e cercò in tutti i modi di riuscire. Per quanto pratico delle colonie, dovette far qui conoscenza nuova dell'elemento turco e persuadersi che le parole non sono fatti; trascinato dal desiderio, dalla volontà di fare, egli tentò ed abbracciò molto, forse troppo; ma con ragione pensava che se anche non otteneva gli resterebbe almeno la precedenza dell'iniziativa, della domanda; così potrebbe essere, ma non sarà sempre.

Quel volere troppo ha potuto sembrare ed è sembrato invadenza alla gente restia ad ogni progresso, alla gente che non facendo o non potendo fare vorrebbe impedirne altri, alla gente che sin'ora indisturbata nelle proprie lucrose speculazioni ha preveduto e risentito poi gli effetti della lecita e direi anzi doverosa concorrenza. Ciò ha dato ombra al governo locale, sempre diffidente, a particolari o ad instituti invidiosi, ma per il Paese, per la popolazione, per la nostra colonia nella sua generalità, l'opera del Banco di Roma non ha potuto essere e non è stata che di utilità incontestabile che merita riconoscenza e non guerra, come molti hanno tentato di fare.

Non voglio con ciò escludere qualche errore che il Bresciani ha potuto commettere, siamo tutti umani, né i caratteri riescano a tutti egualmente simpatici; ma è certo che per fare qualche cosa ci voleva il Bresciani anche coi suoi difetti. Egli ha dovuto continuamente lottare e lotta e lotterà ancora per molto tempo.

La resistenza ed opposizione più tenace l 'ha trovata e la trova nella stessa locale autorità, sempre diffidente anche davanti all'evidenza.

Le opere del Banco sono molte e tutte utili. Le cito a sommi capi. Questa Succursale Centrale ha aperto Agenzia in Bengasi, stabiliti agenti nei principali scali, Homs, Zliten, Misrata, Sirt, Derna, Tobruk, oltre che corrispondenti in molte altre località minori.

Alle operazioni bancarie, unisce quelle commerciali che aprono l'adito a numerosi e variati affari con tutti indistintamente, cercando di avviarne la corrente verso l'Italia più specialmente.

Nel campo industriale il Banco di Roma ha incoraggiato e sorretto le industrie fiorenti impiantate dal commendator Baldari per oleifici in Homs e qui in Tripoli; il Banco ha fabbricato, installato ed inaugurato ill6 corrente un grandioso molino (tutto di fabbricazione italiana) impiegandovi un capitale non minore dei cinquantamila franchi ed altrettanto dovrà immobilizzare per l'andamento del medesimo; i dubbiosi del buon esito sono molti, ma a conti fatti sarà produttiva anche questa industria.

Per gli sparti il Banco appoggia la Ditta Fratelli Enrico ed Eugenio Arbid e ne ha avviato la pressa a vapore.

Per imprese edilizie qui e per quelle agricole in Bengasi il Banco ha acquistato apprezzamenti di terreno, con non poche e lunghe difficoltà. Né minori difficoltà incontrerà in Bengasi per l'utilizzazione di quei terreni a scopo agricolo, dal lato della sicurezza e della libertà d'azione.

Infine il Banco ha voluto allargare la piccola linea di cabotaggio che esercitava col piccolo piroscafo «Marco Aurelio» e concorrere per l'assunzione della linea Tripoli-Bengasi-Alessandria, assumendosene il servizio con un altro piroscafo più grande e più adatto; speriamo che anche in questo dia buona prova, a smentita dei pronostici poco favorevoli.

A mio parere una intesa franca del Banco di Roma con la Società assuntrice delle altre linee italiane di navigazione in Cirenaica e Tripolitania sarebbe stata opportuna ed avrebbe risparmiato gli attriti che ora si delineano.

Concludendo, il Banco di Roma in Tripolitania e Cirenaica non può che essere grandemente benemerito degli italiani, e delle popolazioni arabe e turche che abitano questi paesi, e in conseguenza egli ha diritto all'appoggio morale ed alla protezione d'ambo i Governi turco ed italiano.

Il cavalier Bresciani, che degnamente rappresenta in Tripolitania ed in Cirenaica quel benemerito Istituto, che ne è stato qui il fondatore, che è l'animo di ogni sua iniziativa, che ha saputo resistere con costanza all'opposizione mossagli ed anche trionfame, è benemerito anch'esso e degno di tutta la considerazione e di tutto l'appoggio che egli si è guadagnati.

Con questo mio rapporto riassuntivo ho creduto mio dovere di ripeterlo.

412

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 2219. Roma, 19 agosto 1910, ore 19,25.

Suo telegramma n. 1571. R. Governo non ha ancora preso decisioni in proposito, né ha avuto scambio di idee coll'Austria-Ungheria e colla Germania. Per

ora, salvo migliore esame e salvo il corso degli eventi, io non inclinerei a credere che la linea di condotta attribuita all'Austria-Ungheria ed alla Germania sia utile alla conservazione della pace. Ad ogni modo prego la E.V. di indagare sopra quanto ella mi ha riferito, senza però dire che di ciò è stato incaricato dal R. Governo, riferendomi poi telegraficamente le informazioni ottenute2.

412 l Cfr. n. 407.

413

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 735/192. Belgrado, 19 agosto 1910 (per. il 23).

Nell'intenzione di profittare, fra qualche giorno, dell'autorizzazione di partire in congedo, benevolmente accordatami dall'E.V., ho chiesto un'udienza al re Pietro per prendere, come di solito, i suoi ordini prima della mia partenza. Il re si è degnato ricevermi ieri e credo doverle riferire ciò che egli mi disse in questa circostanza, a proposito della sua mancata visita a Cettigne.

Sua Maestà, parlandomi del malcontento che esisteva nel principato e fra i montenegrini, che si trovavano ali' estero, ne attribuiva la causa alla politica reazionaria del principe Nicola, il quale, dopo aver accordata una costituzione ad un popolo che non era ancora maturo alla libertà, cercava di ritornare sulle concessioni largite. Le severissime repressioni, usate spesso in questi ultimi tempi senza che le circostanze sembrassero pienamente giustificarle, avrebbero potuto portare a conseguenze, che il re giudicava pericolose per la stessa salvezza del principe, dato il carattere vendicativo del popolo montenegrino.

Proseguendo nella conversazione egli accennò alle voci sparse circa pressioni che gli sarebbero state fatte da Pietroburgo per indurlo a recarsi a Cettigne ed affermò recisamente che da qualsiasi fonte dette voci potessero provenire esse erano assolutamente infondate, non ammettendo che alcuno potesse, in questa materia, dettargli una linea di condotta essendo padrone di fare ciò che meglio gli sembrava. Aggiunse poi che col mandare il principe ereditario in sua rappresentanza alle feste del giubileo credeva che il principe Nicola dovesse tenersene sufficientemente soddisfatto: «tanto più -continuò il re in modo alquanto concitato che il principe non ignorava che io non sarei andato a Cettigne, avendogli formalmente dichiarato, l'ultima volta che fui colà, che non avrei mai più messo piede al Montenegro. Da allora non ho avuto che occasioni di sentirmi offeso e di formalizzarmi della sua condotta: in primo luogo -ciò che non potrò facilmente dimenticare -di avere mescolato il mio nome neli'affare delle bombe. Quale

interesse potrei io avere a fare attentare alla vita del principe? Ma egli inoltre sa e, qualora gli fosse deferito il giuramento, dovrebbe solennemente dichiararlo, che io sono incapace di commettere una simile azione. In seguito, al principio della crisi provocata dall'annessione della Bosnia-Erzegovina, il mio Governo credette opportuno di stabilire un'intesa col Governo del principato ed io m'indussi a scriverne al principe, il quale rispose semplicemente dicendo che stava alla Serbia di fare il primo passo e, nonostante la risposta poco cortese, si convenne di procedere d'accordo in quella circostanza. Egli mandò poi, in suo nome, a Belgrado, il Vukotitch, persona grossolana e di cattiva riputazione, e passando anche sopra questo gli feci le più cortesi accoglienze. Quantunque io abbia scritto parecchie volte al principe, da molti anni non ne ho mai avuto alcuna lettera, alcuna parola che esprimesse il rincrescimento per le voci fatte spargere contro di me a proposito dell'affare Nastittch. La sola lettera che ricevetti è stata quella mandatami poco tempo fa, nella quale il principe Nicola, invitandomi a Cettigne, mi diceva che la mia presenza gli sarebbe stata cara, essendo io il genero più vicino al suo cuore». Sua Maestà tralasciò di parlare di questo argomento conchiudendo che se non fosse stato per le insistenze del suo Governo, non avrebbe nemmeno incaricato il principe Alessandro di rappresentarlo a Cettigne.

412 2 Per la risposta cfr. n. 415.

414

IL CONSOLE GENERALE A GIANNINA, STRANIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 758/155. Giannina, 21 agosto 1910 (per. il 25).

Quanto l 'E.V. si è compiaciuta di comunicarmi col riverito dispaccio in data del l O corrente -Gabinetto del ministro -n. 271 è la più autorevole conferma di quello ch'io in vari miei rapporti ho avuto l'onore di riferire sul delicato e per noi così importante argomento.

L'Austria intensifica il suo lavorio di penetrazione economica in Albania e si prepara seriamente all'avvenire.

Il signor Horovitz, oggetto per ultimo del mio rapporto del 9 corrente n. 705/1482, è già a Janina da un mese e vi si tratterrà ancora. Da tutte le informazioni che mi è stato possibile di raccogliere debbo conchiudere che si deve considerare come cosa già decisa l'istituzione in Janina di una succursale del Wiener Bankverein la cui apertura, in città, si dà anzi per imminente. Si tratterebbe

2 Non rinvenuto.

adunque della fondazione di una filiale non della Jadranska Bank, ma della Wiener Bankverein, istituto ben altrimenti importante ed accreditato.

Una circostanza si è verificata in questi giorni, che riuscirà particolarmente favorevole ai progetti austriaci. La locale sede della Banca d'Atene, che aveva cominciato a funzionare da meno di due mesi, è stata improvvisamente chiusa per ordine dell'autorità ottomana perché non munita del necessario permesso. Il valì, col quale ho avuto l'altro ieri un lungo colloquio dopo il suo viaggio nell' interno del vilaiet, parlandomi dell'improvvisa misura presa dal Governo mi ha detto che difficilmente quella banca si riaprirà.

Quindi la succursale del Wiener Bankverein, per i suoi progetti e per le sue iniziative, vedrebbe il campo già libero da una pericolosa concorrente.

L'E.V. mi permetterà di esprimere francamente il mio pensiero. È semplicemente doloroso che altri ci prevenga dopo i diuturni lunghi sforzi del R. Ministero e di questo r. ufficio per tutelare e stimolare gl'interessi italiani in E piro e nella Bassa Albania.

Il dottor Tozzi non mi ha ancora fatto saper niente circa i risultati della sua missione in Janina, durata, ahimè, soli tre giorni.

Il signor Horovitz, oltre che della fondazione di una succursale del Wiener Bankverein a Janina, si sta occupando anche della formazione sopra luogo di una società per il servizio dei trasporti con automobili sulla strada Prevesa-Janina. La società sarebbe formata con capitali indigeni; una fabbrica di automobili austriaca le fornirebbe però il materiale e s'incaricherebbe del funzionamento del servizio, inviando proprio personale tecnico. La società pagherebbe alla casa austriaca il tanto per cento sugli incassi lordi per ogni automobile e per ogni chilometro di strada.

Queste le ultime notizie che ho ragione di ritenere molto esatte. Le trattative a questo proposito fra il signor Horovitz e alcuni commercianti e banchieri della città mi si assicura sieno a buon punto. Copia del presente rapporto trasmetto alla r. ambasciata in Costantinopoli.

414 l Non rinvenuto nel fascicolo relativo.

415

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 2726/1671. Londra, [22] agosto 1910, ore 8,46 (per. ore 6,30 del 23).

Grey, Hardinge tuttora assenti. Nicolson entrerà in funzioni soltanto il primo ottobre. Discorrere ciò stante con Mallet non mi sembrerebbe opportuno perché

415 I Risponde al n. 412.

egli, nulla osando dire, dovrebbe riferirne a Grey, il che darebbe subito alla mia domanda, per quanto io possa dichiarare di rivolgerla di mia iniziativa e per conto mio personale, un carattere non conforme intendimenti di V.E. Stante inoltre le notizie recentissimamente pubblicate da qualche giornale che cioè l 'Italia sarebbe nel fatto estranea ai negoziati per eventuale intesa tra la Turchia, l'Austria, la Germania, non vorrei che le indagini, basate naturalmente sulle confidenze di Goschen ad Orsini Baroni, si prestassero ad essere interpretate quale implicita conferma di quelle voci, il che indebolirebbe la nostra posizione. Per il caso, d'altra parte, in cui il conte di Aehrenthal si sia riservato imminente convegno per dare personalmente a V.E. esaurienti spiegazioni su entità, portata sue conferenze col gran visir e prendere con lei eventuali accordi, mi parrebbe dopo matura riflessione preferibile attendere risultato dei suoi colloqui con Aehrenthal prima di aprire bocca qui; ciò anche per lasciare a V.E. maggiore libertà di linguaggio e di azione. Permettomi ad ogni buon fine ricordare che durante l'inverno scorso, nell'attirare da Costantinopoli attenzione del Governo del re su tendenze della Turchia ad avvicinarsi ali'Austria-Ungheria, io espressi in due o tre telegrammi avviso approvato da ministro Tittoni circa convenienza per noi non rimanere estranei a tale eventuale intesa. Accennai anche all'argomento con Marschall, il quale mostrò condividere pienamente le mie vedute. In questo momento di assenza generale è molto difficile esprimere in piena conoscenza di causa parere circa le disposizioni qui ora prevalenti verso la Turchia ed in generale circa il contegno futuro di questo Governo nelle varie questioni pendenti col vicino Oriente. Mia impressione è che qui, mentre si constata incontestabile ripresa influenza germanica Costantinopoli a scapito di quella inglese e se ne prova naturale dispetto, non si vede ancora chiaro nella situazione penisola balcanica e nell'avvenire del Governo giovani turchi. Si vive pertanto un poco alla giornata in attesa di prendere una decisione a seconda dello svolgersi degli avvenimenti.

Il conte Benkendorff in procinto di partire in congedo, dicevami jeri di avere impressione che questo Governo inclinerebbe «tirare una spilla dal giuoco». Osservava, però, parergli difficile che lo possa fare.

416

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2733/259. Vienna, 22 agosto 1910, ore 19,55 (per. ore 6,30 del 23).

Aehrenthal mi ha detto che le voci d'un avvicinamento della Turchia alle Potenze della Triplice Alleanza, di cui avevano parlato alcuni giornali in occasione suo incontro con gran visir, non avevano alcuna consistenza. Hakki pascià non avevagli fatto di ciò cenno alcuno, ma avevalo informato della sua intenzione d'intrattenere migliori relazioni con tutte le Potenze indistintamente e di dedicarsi consolidamento del nuovo regime. Gran visir avevagli pure parlato oltre che dei rapporti con la Bulgaria, su cui riferisco in altro telegramma', dell'aumento dei diritti doganali 4% a cui il Governo imperiale e reale aveva già aderito e delle condizioni alle quali il Governo britannico intendeva di subordinare la sua adeswne.

417

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. PERSONALE 2724/261. Vienna, 22 agosto 1910, ore 19,55 (per. ore 6,50 del 23).

Telegramma di V.E. n. 2220'.

Dalle indagini riservate da me fatte presso il conte Aehrenthal circa quanto riferisce Imperiali, risulta che scopo precipuo della politica orientale dell'AustriaUngheria è di mirare anzitutto ad impedire ad ogni costo conflitti armati nella penisola balcanica. Austria-Ungheria è infatti più che qualsiasi altra Potenza interessata a mantenere in quella regione la pace, giacché, per la sua situazione geografica risentirebbe, per la prima e più di ogni altra, le gravi conseguenze che potrebbero derivare da un turbamento della pace stessa.

Tale linea di condotta è stata sempre seguita dall'Austria-Ungheria nelle varie fasi delle questioni balcaniche compresa quella cretese, siccome lo prova l'azione attiva da essa esercitata presso i Gabinetti di Atene e di Costantinopoli, separatamente dalle Potenze protettrici, al momento in cui tali questioni sembravano prendere piega minacciosa e facevano temere imminente un conflitto fra Grecia e Turchia. Né è sua intenzione dipartirsi da questa linea di condotta. Non è quindi esatto affermare che Governo Imperiale e Reale tenda ad entrare ora in un ordine di idee contrario a quello condiviso dal R. Governo colle Potenze protettrici o che abbia assunto o voglia assumere un nuovo atteggiamento nelle questioni balcaniche tale da costituire un incoraggiamento alle aspirazioni bellicose anti-elleniche dei Giovani turchi.

Se gli sforzi del Governo Imperiale e Reale, mediante i mezzi morali a cui si appiglierebbe, non riuscissero ad evitare conflitto armato, esso non cercherebbe

impedirlo colla forza giacché ciò sarebbe contrario al principio di non intervento a cui ha dichiarato ripetutamente di attenersi e che forma la base della sua politica orientale ed al quale è fermo suo proposito di attenersi anche in seguito.

Ma in tal caso seguiterebbe la stessa linea di condotta già adottata durante la guerra turco-greca e si concerterebbe anche con le Potenze. Ciò costituisce, si può dire, il programma della politica orientale dell'Austria-Ungheria che, a più riprese, esposi predecessori di V.E. nei miei rapporti ufficiali e nelle mie lettere personali.

416 l T. 2723, pari data, non pubblicato, col quale si informava che, secondo Hakky pascià, i rapporti turco-bulgari «si presentavano ... sotto auspici piuttosto favorevoli».

417 l T. del 19 agosto, non pubblicato, col quale si trasmettevano alle ambasciate a Berlino, Costantinopoli, Parigi, Pietroburgo e Vienna i nn. 407 e 412, chiedendo di indagare su quanto riferito da Imperiali.

418

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE A BENGASI, BERNABEI

D. RISERVATO PERSONALE 247. Roma, 23 agosto 1910.

Mi riferisco all'interessante suo rapporto n. 742/242 del IO corrente!, di cui le accuso ricevuta e la ringrazio.

Innanzi tutto mi preme di mettere in chiaro che col mio dispaccio n. 139 in data 8 giugno u.s.l io non intendevo incaricarla di scrivere una lettera al capo dei senussi circa l'invio di doni fatto al mezzo del noto Aly Elui, ma bensì di «far pervenire nel modo il più riservato la lista» dei doni stessi «per mezzo dei suoi emissari di codesta città», e cioè in modo da non impegnare né la responsabilità diretta della S.V., né tanto meno quella del R. Governo.

Approvo, quindi, pienamente il prudente contegno da lei tenuto in questa circostanza e lascio in sua facoltà di cogliere la prima favorevole occasione per mettere in rilievo coi senussi -sempre in modo indiretto e senza impegnare la responsabilità sua, né quella del R. Governo -due cose:

l) che i doni furono pagati ed offerti dal R. Governo; 2) che Aly Elui, il dottor Insabato e qualunque altro intermediario agiscono per proprio conto, all'infuori da ogni e qualsiasi ingerenza del Governo italiano, il quale, per le eventuali ulteriori relazioni coi senussi, si varrà esclusivamente della S.V. In quanto alla richiesta di armi, a cui la S.V. si riferisce, il R. Governo intende di mantenervisi assolutamente estraneo, sia per lo scopo a cui parmi dovrebbero servire -e cioè il ristabilimento del sultano del Wadai nel suo Stato -il che significa la guerra colla Francia -sia anche per evidenti ragioni di previdente prudenza e di doveroso riguardo verso il Governo ottomano. Ella dovrà, quindi,

418 I Non pubblicato.

astenersi dal trattare questo argomento così coi senussi, come col Banco di Roma -in modo da escludere anche il più lontano sospetto che così il Governo italiano come codesta r. rappresentanza ne siano anche lontanamente consci.

All'infuori di ciò, tuttavia, mi preme che ella mantenga ed anzi rinsaldi le relazioni coi senussi, relazioni di cui -a tempo opportuno -potremo trarre partito.

PS. È evidente che noi non possiamo partecipare, né consentire che cittadini italiani partecipino alla fornitura di armi notoriamente destinate ad essere impiegate contro una Potenza amica.

419

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATA PERSONALE 1. Roma, 23 agosto 1910.

Con lettera in data 22 corrente mese, n. 69862, ho scritto ufficialmente al Ministero degli affari esteri per rispondere a quella parte della nota del Ministero stesso in data 20 luglio u.s., n. 1903 che si riferiva allo schema di istruzioni che potrebbe essere concordato fra i Governi austriaco ed italiano allo scopo di prevenire il rinnovarsi di incidenti alla frontiera.

Ritengo ora necessario, in via privata, aggiungere a quanto è detto nella citata lettera alcune considerazioni che non sarebbe stato forse opportuno di esprimere per via ufficio.

Io entro perfettamente n eli'ordine di idee da te espressemi circa la convenienza da parte nostra, per non trovarci in falsa posizione, di non rinviare indefinitivamente e a maggior ragione di non respingere in modo assoluto le proposte dell'Imperiale e Reale Governo per mettere un maggior numero di cippi sulla linea di confine in modo da renderla più visibile di quanto ora non sia.

Senonché in tale materia occorre distinguere.

Per quanto si riferisce strettamente alla questione del raffittamento dei segnali di confine, è da notare essere questo un provvedimento che è stato preso in considerazione solo recentemente, in seguito agli ultimi incidenti e sopra il quale l 'autorità militare italiana non ha avuto fino ad ora occasione di respingere o di dilazionare proposte del Governo austriaco. Esso potrebbe e dovrebbe anzi essere

419 t Annotazione a margine di Sangiuliano a Fasciotti: «Portare questa lettera in Austria; mi pare si possa senz'altro rispondere che mi uniformerò ad essa parlando con Aehrenthal francamente nei sensi qui indicati».

2 Non pubblicata.

3 Non rinvenuta nel fascicolo.

senz'altro accettato nella fiducia che, non certo da solo, ma in concomitanza degli altri che la nota commissione sarà per proporre, non potrà non giovare allo scopo di prevenire gli involontari sconfinamenti e di rendere meno giustificati quelli volontari.

Naturalmente sarebbe da ben mettersi in chiaro che una tale operazione non ha nulla a che fare coll'altra questione della revisione o di una nuova delimitazione della frontiera e dovrebbe perciò essere limitata a quei tratti più frequentemente raggiunti dalle truppe e per i quali non esiste assolutamente alcuna contestazione circa l'andamento della linea di confine.

Circa le modalità di esecuzione è da tenersi presente che il lavoro di una più fitta indicazione sul terreno, ove dovesse fin da principio essere eseguito colle consuete norme di procedura e colla necessaria esattezza, richiederebbe tempo troppo lungo, durante il quale potrebbero aversi a lamentare altri incidenti ed altre contestazioni; sembrerebbe quindi che un più pronto risultato potrebbe ottenersi semplificando da principio l'operazione, riducendola per esempio al collocamento di semplici pali indicatori ben visibili da impiantarsi con sufficiente approssimazione lungo la linea di confine, colla indicazione per esempio di «Zona di Confine», ma ai quali non dovrebbe essere dato che carattere indicativo e non carattere legale e definitivo, rispetto all'andamento della linea di frontiera; e dai quali le truppe dei due Paesi dovrebbero tenersi discoste. Col tempo potrebbero tali indicazioni provvisorie essere sostituite da veri segnali stabiliti esattamente colle norme consuete. Della demarcazione provvisoria potrebbero essere incaricati gli stessi comandanti delle truppe di frontiera.

Per la designazione delle zone dove dovrebbe eseguirsi una tale operazione, una volta intervenuto l'accordo nella questione di massima, potrebbe procedersi a successive e parziali intese suJie proposte che uno dei due Governi credesse formalmente di presentare.

Sempre in questo ordine di idee non credo inutile per tua norma farti presente che come mezzo sussidiario per impedire gli sconfinamenti giova senza dubbio una buona illustrazione della linea di confine ed una perfetta conoscenza della medesima per parte delle truppe e dei militi residenti nelle sue vicinanze.

Ora sotto questo punto di vista si può da parte nostra essere sicuri di avere esaurientemente provveduto sia colla «Memoria della linea di confine» diramata in stralci a tutte le autorità militari interessate e contenente le informazioni più dettagliate e più complete sulla linea e sui segnali di confine, sia col sistema di servizio di dogana a cordone (che non risulta seguita in Austria), esercitato dalle nostre numerose guardie di finanza, sia colla permanenza di numerose stazioni di Carabinieri Reali in vicinanza del confine.

Resta l'altra questione deJia esatta delimitazione della frontiera nei tratti contestati. Effettivamente in questa materia è da riconoscersi che fino ad ora da parte nostra si è tergiversato; ma è anche da considerarsi che una tale linea di condotta è stata determinata da timori non del tutto ingiustificati, che questo Ministero ha qualche volta avuto occasione di illustrare a quello degli esteri; si è temuto, non senza ragione, che le operazioni di revisione di confine da eseguirsi in alcune zone militarmente interessanti e dove si stanno eseguendo importanti lavori di fortificazione, potessero nascondere il proposito di procedere allo studio del nostro territorio in quelle regioni; e così pure, per altri tratti, si è stati restii ad affrontare le operazioni definitive di revisione e di determinazione fino a che non si fosse giunti in possesso di documenti atti a comprovare inconfutabilmente il nostro buon diritto al confine quale fu da noi sempre sostenuto; documenti che, per le vicende storiche dei territori contestati, viene molto più difficile e più lungo a noi che ali' Austria di procurarsi.

Ciò non pertanto, per i motivi da te espostimi nella tua lettera del 15 corrente mese4, io sono pienamente convinto della necessità di adottare anche in questa materia un criterio netto ed un franco contegno.

Ora le sollecitazioni austriache per quanto riguarda la revisione del confine vertono su tre tratti di frontiera: l) Tratto corrispondente alla circoscrizione di Cles (adiacenze del Tonale) specialmente dalla Cima dei Tre Signori al M. Rosole.

Circa questo tratto gli studi fatti compiere dal comando del corpo di Stato Maggiore hanno recentemente condotto ad una soluzione che non dà più motivo di alcuna contestazione, e sulla quale con foglio n. 6909 dell'8 corrente meses si sono già fatte al Ministero degli esteri comunicazioni che portate a conoscenza del Governo austriaco non potranno che giovare ad una confortevole intesa.

2) Linea di confine dal Garda alla circoscrizione di Tione e dal Pizzo Garibaldi al Giogo dello Stelvio.

Circa questi due tratti effettivamente il comando del corpo di Stato Maggiore sta tuttora raccogliendo elementi difficili a rintracciare per i motivi che ho sopra accennato. Panni che potrebbe di ciò francamente rendersi edotto il Governo Imperiale e Reale assicurandolo nel contempo esplicitamente della nostra ferma intenzione di affrettare le ricerche, prendendo senz'altro impegno di addivenire al loro compimento e se sarà necessario, alla nomina dei nostri delegati che dovranno far parte della commissione mista proposta dal Governo austriaco.

Io per mia parte mi assumerei l'incarico di fare al comando del corpo di Stato Maggiore le opportune sollecitazioni al riguardo.

Sembrami però ovvio, per questa parte dell'accordo, doversi intendere che da parte del Governo Imperiale e Reale saranno accettate quelle restrizioni alle operazioni della commissione mista e tutte quelle garanzie che potranno essere consigliate dalla salvaguardia degli interessi della nostra difesa.

In questa quistione delle zone di confine contestate occorre infine aggiungere e ricordare che l'Austria nel 1904 accampò dei dubbi sull'andamento della linea di confine fra Asteate e Cima Manderiolo (versante sud della Valsugana), per chiarire i quali fu nominata una commissione mista di delegati dei due Stati. Questa commissione giunse ad un accordo, salvo che pel tratto dal Portellino di

4194 Cfr. n. 405. s Non rinvenuto.

Valle Porcile a Porta Incudine, proponendo che questa zona fosse dichiarata per ogni effetto neutra; dei lavori da compiere per la rettificazione avrebbe dovuto incaricarsi il Governo italiano. Su tali conclusioni l'Austria fece varie osservazioni e proposte, accettate nel 1909 dal Governo italiano. Ma da allora il Governo Imperiale e Reale non ha più fatto alcun cenno in proposito, di modo che i lavori proposti non poterono eseguirsi dalla prefettura di Vicenza che ne sarebbe naturalmente incaricata.

Ora è tanto più evidente che su questo punto si addivenga ad una soluzione quando si consideri che esso riguarda un tratto di frontiera di grande interesse militare e nel quale in questi ultimi tempi si sono verificati in notevole maggioranza gli sconfinamenti di parte austriaca.

Anzi a questo proposito parmi opportuno richiamare la tua attenzione sopra una induzione alla quale parecchie autorità militari sono, non ingiustificatamente, addivenute, che cioè molti degli sconfinamenti in questi ultimi tempi verificatisi in zone contestate sieno stati appunto determinati dalla intenzione di voler quasi affermare un atto di possesso, idoneo a costituire un precedente per l'esame dei diritti che ciascuno Stato potesse avanzare. E parmi quindi conveniente ed equo che come base delle trattative per quanto riguarda la delimitazione delle zone contestate, debba porsi l'impegno di assumersi da ambedue le parti di evitare, fino a delimitazione compiuta, che sia truppe che militari isolati si rechino per qualsiasi motivo nelle zone in discussione.

Io credo, mediante gli schieramenti contenuti nella presente, a complemento di quanto ha già formato oggetto della nota ufficiale del 22 corrente mese, di averti fomiti in modo esauriente gli elementi da te richiesti, e non mi resta quindi che esprimere la speranza e la fiducia che la questione entri presto nella fase di una soddisfacente soluzione6.

420

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2767/175. Londra, 24 agosto 1910, ore 7,22 (per. ore 23).

Telegramma di V.E. nn. 2244 e 2245'.

Mallet mi ha detto che oramai, dopo l'elezione trionfale Venizelos, diviene inopportuno ed anche pericoloso fare ad Atene ulteriori passi i quali, secondo riferisce incaricato d'affari britannico, riuscirebbero assai sgraditi perché considera

420 I T. 2244 e T. 2245 del 22 agosto, non pubblicati.

ti quali indebita ingerenza delle Potenze affari interni della Grecia. Tale è opinione personale di Mallet, il quale ritiene però sarà condivisa anche da Grey. Per quanto riguarda passi Costantinopoli risposta di Grey va intesa nel senso che egli non ritiene opportuno di prendere al riguardo impegni di sorta verso il Governo ellenico e candidati cretesi.

Per mio conto permettomi rappresentare a V.E. che dopo le dichiarazioni di Rifaat di cui mio telegramma n. 1712 sarebbe forse opportuno sospendere momentaneamente passi a Costantinopoli. Qualora difatti quelle dichiarazioni fossero indizio tendenze più concilianti prevalenti a Costantinopoli, potrebbe darsi che boicottaggio, indubbiamente nocivo anche interessi turchi, vada a poco a poco cessando. In tale ipotesi rappresentazioni per quanto amichevoli Potenze protettrici irritando opinione pubblica, potrebbero conseguire risultato opposto a quello cui mirano. D'altra parte, dopo abortito progetto rimostranze collettive sei Potenze e nell'ignoranza in cui ancora si è portata colloquio Aehrenthal e gran visir, non si può escludere pericolo inefficacia intervento sole Potenze protettrici. Questo è del resto conseguenza naturale della precipitazione con cui Grey male informato disposizioni Vienna, Berlino si ostinò, malgrado osservazioni mie e, prima intendersi definitivamente con Cambon, si affrettò invitare Austria Germania ad associarsi ad un passo collettivo, che Potenze protettrici avevano pieno diritto di fare da sole, dopo energica azione spiegata a Creta a tutela diritti ottomani.

419 6 Con L. riservata personale 11 del 26 agosto, non pubblicata, di San Giuliano rispose che, nei colloqui con Aehrenthal, si sarebbe espresso secondo i suggerimenti di Spingardi.

421

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2753/151. Berlino, 24 agosto 1910, ore 11,35 (per. ore 13).

Telegramma di V.E. n. 2220'. Da una conversazione ieri sera con Kiderlen sulla situazione nei Balcani, ho impressione che egli nutra ferma fiducia, almeno, per quanto è oggi dato prevedere, che nessuna grave perturbazione sia per realizzarsi nei rapporti tra Turchia e Potenze balcaniche. Kiderlen ritiene che anche i risultati elezioni in Grecia non provocheranno minacciato peggioramento dei rapporti turco-ellenici: anzitutto grazie vigile presenza delle quattro Potenze protettrici le quali, se ve ne sarà bisogno, sapranno imporre colla forza loro volontà ai cretesi; in secondo luogo perché è ormai generale convinzione essere in questo

4211 Cfr. n. 417 nota l.

momento impossibile trovare soluzione definitiva questione Creta; in terzo luogo perché è nello stesso interesse del re di Grecia tenere ben d'occhio Venizelos uomo pericoloso per la Monarchia. Kiderlen aggiungeva aver detto poco prima allo ambasciatore di Turchia non bisogna essere più realisti del re e che questi aveva tutto interesse di liberarsi, se fosse possibile, di Venizelos e sorvegliarlo moderandone azione. Quanto al viaggio gran visir a Bucarest Kiderlen dicevami non esservi motivo di sospettare. Re Carlo è malaticcio e vecchio e non è in queste condizioni che uno si getta in avventure. Sua Maestà non abbandonerà prudente attitudine di «sfinge» consigliatagli da Germania Austria-Ungheria e Italia. A più riprese re Ferdinando andò a Sinaia nessuna meraviglia se oggi vi va gran visir. Del resto fatto stesso di una manifestazione di cordialità nei rapporti fra Rumania e Turchia è forse remora per la Bulgaria.

420 2 Nel T. 2756/171 del 24 agosto, Imperiali riferiva tra l'altro che: «Ministro affari esteri ottomano ha semplicemente espresso a Lowther speranza che. in caso di elezione di Venizelos ed altri candidati cretesi di dubbia nazionalità, Potenze protettrici insisteranno perché essi rinunzino a qualsiasi posizione fino ad ora occupata a Creta».

422

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 2791/120. Addis Abeba, 24 agosto 1910 (per. ore 23 del 25)1.

Ho chiesto questo Governo nuova conferma assicurazione già avuta che missione Abissinia per delimitazione confine Somalia sarebbe pronta partire Addis Abeba prossimo novembre. Questo ministro degli affari esteri mi ha comunicato jeri che, in seguito comunicazione ricevuta dal Governo germanico impossibilità inviare tenente Schubert, Governo etiopico si riserva dare risposta definitiva alla mia domanda entro 15 giorni e mi ha lasciato comprendere che probabilmente esso rivolgerà codesto Governo calda preghiera ritardare di qualche tempo invio missione. Io ritengo che questo desiderio Governo etiopico più che dalla assenza tenente Schiibert dipende dalle condizioni generali paese e specialmente dal conflitto con ras Oliè sul quale è rivolta tutta la attenzione e inquietudine di questo Governo. Ad ogni modo è necessario che partenza missione dali 'Italia rimanga per ora sospesa e subordinata alla risposta che Governo etiopico mi comunicherà entro 15 giorni. Credo intanto opportuno comunicare VE. assolutamente sicura situazione nella regione limitrofa Dolo ed al primo tratto frontiera fra Dolo e l 'Uebi Scebeli. Informazioni invece attinte Harrar da fonte sicura mi obbligano fare ogni riserva per la sicurezza missione nel traversare prossimo Uebi Scebeli ove bagheri e specialmente gli scebeli costituiscono grave pericolo per il quale nemmeno Governo etiopico potrebbe assumere responsabilità. Scebeli che dispon

gono di quasi ottomila fucili sono in buoni rapporti coi bagheri e col Mullah e da qualche anno si rifiutano pagare tributo al Governo di Harrar che non sempre agisce energicamente contro di essi ciò che richiederebbe seria spedizione.

422 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 25 agosto, ore 12,30.

423

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 400179. Addis Abeba. 24 agosto 1910 (per. il 28 settembre).

Ho l'onore di accusare ricevimento del dispaccio di V. E. n. 72 del 29 luglio scorsoI, concernente la delimitazione dei confini tra il Ben adir e l 'Etiopia, e dei due uniti documenti consistenti nella copia fotografica della carta originale presentata dal commendator Nerazzini nel 1897 al suo ritorno dallo Scioa con la linea di delimitazione in Somalia proposta dall'imperatore Menelik ed in seguito sanzionata dal Governo del re, ed il lucido redatto sulle due carte del Habenicht e del de Bissy su cui fu basata la determinazione della linea di confine nel tratto del 16 maggio 1908.

Mi è ugualmente pervenuto il telegramma di V.E.2 in data posteriore nel quale dandomi comunicazione che il tenente dell'esercito germanico von Schubert ha declinato di prendere parte quale delegato del Governo etiopico ai lavori di delimitazione della frontiera del Benadir ella mi fa viva istanza affinché ciò non debba ritardare l'invio della missione incaricata della delimitazione suddetta.

Ho già avuto l'onore di rispondere telegraficamente alla lettera ed al telegramma di V.E.3, ma credo doveroso cd opportuno spiegare maggiormente le ragioni per le quali il Governo etiopico sarà probabilmente indotto a rivolgere per mezzo mio a codesto Governo la preghiera di voler ritardare per qualche tempo l'invio della missione per la delimitazione del confine, e le difficoltà che ne renderanno in parte difficile e pericoloso il suo compito.

Fin da quando questo Governo mi diede formale assicurazione che nel prossimo mese di novembre i delegati abissini sarebbero stati pronti ad unirsi alla missione italiana non ho mancato di fare continue insistenze presso di esso perché si preparasse a mantenere puntualmente l'impegno assunto dimostrandogliene la convenienza ed il dovere, e non ho motivo di dubitare che fosse realmente nelle sue intenzioni di attenersi a quanto era stato di comune accordo stabilito fra i due Governi; a tale scopo infatti il Governo abissino si era rivolto al Governo germanico per ottenere che il tenente von Schubert fosse nuovamente messo a sua disposizione per compiere lo stesso lavoro già da lui compiuto sulla frontiera del British East Africa.

2 T. 2207 del 18 agosto, non pubblicato.

3 Cfr. n. 422.

In conformità degli ordini impartitimi da V.E. col telegramma del 19 corrente4 ho nuovamente chiesto al Governo etiopico formale conferma della assicurazione già data per l'invio dei suoi delegati per la delimitazione dei confini in Somalia nel prossimo novembre, notificandogli in pari tempo l'espresso desiderio di codesto Governo che il rifiuto del tenente Schubert a parteciparvi non avrebbe menomamente ritardato l'epoca fissata per la partenza della missione.

Questo ministro di Germania aveva quasi contemporaneamente comunicato al Governo etiopico l'impossibilità in cui si trovava il tenente Schubert di aderire all'invito rivoltogli, ed alla mia richiesta questo ministro degli esteri nella forma più corretta si riservò a nome del suo Governo di dare una risposta definitiva nei quindici giorni decorrenti dal 21 agosto, facendomi però comprendere che molto probabilmente il Governo etiopico si sarebbe trovato nella necessità di rivolgere a codesto R. Governo viva preghiera onde ritardare per qualche tempo l'invio della missione già stabilita.

Benché mi risulti che il Governo etiopico abbia già chiesto al Governo germanico di destinare un altro ufficiale a sostituire il tenente Schubert, pure ritengo che il suo desiderio di ritardare l 'invio della missione dipenda più che altro dalle difficili condizioni interne dell'Etiopia e specialmente dal conflitto con ras Oliè che in questo momento assorbe tutte le attenzioni e le inquietudini di questo Governo.

Non ho creduto di poter insistere ed opporre un reciso rifiuto al desiderio espressomi in forma così cortese e ragionevole dal Governo etiopico ed ho telegrafato nel senso da lui desiderato a V.E. riservandomi di comunicare entro quindici giorni la sua decisione definitiva.

Riferendomi ora a quanto è contenuto nel dispaccio del 29 luglio scorso sui provvedimenti e sulla responsabilità che incombe rispettivamente ai Governi del Benadir ed Etiopia per la sicurezza della missione durante la esplicazione del suo compito, credo opportuno di fare maggiormente note a V.E. le condizioni in cui si trova la regione limitrofa al Uebi Scebeli.

Secondo le informazioni pervenutemi dall'agente di Harrar e confermate da altre fonti mentre la situazione nel primo tratto della frontiera fra Dolo ed i limiti settentrionali dei Rahanuin è perfettamente tranquilla e rassicurantes, la situazione invece nel territorio limitrofo al Uebi Scebeli nel punto in cui esso verrebbe intersecato dalla linea di frontiera è tale che difficilmente e vanamente il Governo etiopico potrebbe assumere qualsiasi responsabilità per la sicurezza della missione, a meno di prendere tali misure che non sarebbero forse in proporzione ed in armonia all'importanza ed al carattere della missione stessa e per le quali ad ogni modo occorrerebbe una serie preparazione.

Le popolazioni infatti del medio Scebeli e specialmente quelle dei bagheri, degli auadle e dei scebeli sono in pieno fermento ed in aperto spirito di rivolta contro il Governo etiopico al quale già da qualche anno rifiutano di pagare tributo.

s Annotazione a margine: «E fin qui solo deve farsi la delimitazione».

Delle popolazioni bagheri è noto come esse siano apertamente seguaci del Mullah, e benché in questi ultimi tempi abbiano inviato messi e promesse di sottomissione alle autorità abissine di Harrar, queste non possono però certamente assumere alcune responsabilità sull'atteggiamento che i bagheri prenderebbero di fronte ad una missione italo-etiopica che si aggirasse nei loro confini.

La tribù degli scebeli benché non apertamente mullista e benché abbia respinto le proposte del Mullah e dei bagheri di unirsi strettamente a loro ed abbia preferito invece rimanere isolata, è però in aperta ribellione al Governo etiopico, al quale fin dalla morte di ras Maconnen ha rifiutato di pagare tributo.

Gli scebeli posseggono ora circa ottomila fucili e numerose munizioni ciò che spiega il desiderio del Mullah e dei bagheri di attirarli a loro, e la prudenza e la perplessità del Governo di Harrar ad agire contro di essi per assoggettarli nuovamente alla sua autorità.

Per garantire la sicurezza della missione nelle regioni suddette il Governo etiopico dovrebbe prendere delle misure di tale entità da costituire una vera e propria spedizione di guerra alla quale esso non è ora né intenzionato né preparato, e che costituirebbe forse un pericolo ed un danno maggiore ancora che non un nuovo ritardo a delimitare il tratto di frontiera al Uebi Scebeli.

Io ho sempre nei precedenti rapporti che si riferiscono a tale argomento fatto le più ampie riserve sulla sicurezza delle regioni limitrofe allo Scebeli e comprese nell'orbita della diretta influenza del Mullah e dei suoi seguaci e il cui controllo sfugge non solo a questa legazione ma allo stesso Governo etiopico che non ha in esse alcuna autorità; e mentre declino ogni mia responsabilità sulla sicurezza della missione nelle regioni suddette credo sarebbe grandemente illusorio e pericoloso affidarsi a quella che leggermente potrebbe forse assumersi il Governo etiopico.

È bensì vero che io ho ammesso l'opportunità e la possibilità di addivenire alla delimitazione del primo tratto della frontiera fra Dolo e l 'Uebi Scebeli, ma sempre subordinandola alla situazione del momento e del luogo sulle quali sono giudici più competenti le autorità del Benadir.

Circa alle considerazioni ed alle obbiezioni contenute nel dispaccio di V.E. sulla direzione e sullo svolgimento della linea di confine da Dolo verso il Uebi Scebeli ho già riferito precedentemente che la sola divergenza sulla interpretazione dell'accordo del 16 maggio 1908 si riferisce al suo primo tratto ed in relazione alla dipendenza della tribù dei digodia che è attribuita all'Abissinia mentre una parte del suo territorio verrebbe incluso nel Benadir; è però ormai tassativamente esclusa la prima versione data da fitaurari Dadi Tarré per la quale la linea di confine da Dolo si dirigerebbe a Maidaba nel Baidoa intersecando nuovamente il territorio dei rahanuin la cui dipendenza è invece interamente attribuita all'Italia; ma solo dopo un esatto rilievo topografico della regione sarà possibile determinare una linea che partendo da Dolo raggiunga l'estremo limite nord occidentale del territorio dei rahanuin includendo nel Benadir la minore estensione di terreno occupato dai digodia; e su questo punto l 'accordo col Governo etiopico è stato nettamente stabilito lasciando alla missione la più grande libertà d'azione nel rilievo del territorio fra Dolo ed il confine del rahanuin, colla riserva di determinare in seguito ad Addis Abeba la linea di confine più conveniente.

Come è detto nel dispaccio di VE. fatta eccezione dei riferimenti geografici di Dolo e delle sorgenti del Maidaba, la linea di confine fra Dolo e lo Scebeli deve essere quella dei confini tra tribù e tribù la cui dipendenza politica è determinata dal trattato del 16 maggio ma la cui distribuzione territoriale non è da noi esattamente conosciuta e lo è meno ancora degli abissini.

Il trattato del 16 maggio 1908 nello stabilire come punto di confine sullo Scebeli il limite territoriale fra la tribù di Baddi Addi e quella immediatamente a monte di essa, e nel determinare che da tale punto di intersecazione del fiume la linea di confine continua parallelamente alla costa seguendo l'antico ipotetico tracciato Nerazzini, non ha tenuto conto della eventualità che il punto di intersecazione fissato sullo Scebeli dalla nuova linea non corrisponda all'antico, ma evidentemente ha sottinteso che questo nuovo punto debba sostituirsi a quello di prima e che la linea di confine non sia costretta per tale fatto eventuale ad arrestarsi al fiume e seguirne il corso, ma attraversandolo seguire invece la sua direzione generale e svolgersi a nord di esso cogli stessi concetti corrispondenti alla stessa divisione etnica e fisica già adottata per il primo tratto della frontiera e che è affermata anche per il suo secondo tratto nel secondo alinea dell'articolo 4° della Convenzione del 16 maggio che stabilisce appunto che il territorio delle tribù verso la costa rimanga al Benadir6.

Io credo però prematuro discutere ora sul tracciamento della linea di confine a nord dello Scebeli come ritengo impossibile determinare ora fino a che punto preciso la missione potrà compiere il suo lavoro; sarà però mia cura nelle trattative col Governo etiopico di fare in modo di non pregiudicare, anzi di affermare, la soluzione suggerita da VE. e che anch'io ritengo la più conveniente, benché forse non sufficiente ad eliminare il pericolo di sconfinamenti e di aggressioni da parte degli auadle, dei bagheri e delle altre popolazioni a noi ostili, al quale potrà solo porre rimedio l'effettiva sottomissione di quelle popolazioni da parte del Governo etiopico, e l'occupazione da parte nostra del territorio da noi dipendente.

Invio copia del presente rapporto a S.E. il Governatore del Benadir.

423 l Non pubblicato.

423 4 Si tratta, in realtà, del telegramma citato nella nota 2.

424

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 2785/176. Londra, 25 agosto 1910, ore 2,43 (per. ore 17,45).

Nel lungo colloquio di ieri chiesi Grey, parlando beninteso in mio nome personale e senza far alcun accenno conversazione Orsini Goschen, quale era sua impressione sulla nostra situazione generale a riguardo varie questioni

423 " Annotazione a margine: «È questo il punto vero della questione e il vero punto di vista».

pendenti Balcani. Mi rispose essergli impossibile formarsene un concetto chiaro, sia perché in realtà si vive ora alla giornata, sia per la perdurante incertezza sui veri propositi Turchia dove Governo di fatto continua risiedere in mani poter occulto. Per conto suo personale sarebbe «felicissimo lavarsene le mani di tutti questi affari» ma riconosce ciò non essergli possibile. Colloquio Aehrenthal gran visir accennò di passata, dicendo nulla risultargli in proposito. Gli fece però impressione intervista Djavid bey pubblicata Berliner Tageblatt ed accenno di lui alla situazione definitiva questione cretese consistente autonomia isola con a capo principe estero. Malgrado smentita giornali tedeschi egli si chiedeva se notizia non era stata lanciata per tastare terreno, osservando, al postutto, soluzione anzidetta sembravagli allo stato attuale delle cose la miglior possibile. Ad una mia osservazione circa grave conseguenza che potrebbe generare un provvedimento simile, equivalente porre pietra sepolcrale aspirazioni cretesi, rispose esser evidente necessità in cui si troverebbero Potenze ricorrere forza per imporre cretesi siffatta soluzione. Replicai a mio avviso Potenze dovrebbero riflettere bene prima di adottare decisione richiedente ricorso forza in vista anche possibili recriminazioni opinione pubblica Potenze liberali. Confessai d'altra parte non veder io interesse Potenze centrali facilitare soluzione definitiva che le torrebbero dalla attuale posizione privilegiata permettente loro ingraziarsi Turchia a buon mercato. Rispose Grey essere questo appunto uno dei motivi che gli fanno desiderare soluzione definitiva. Avendo io da ultimo menzionata mia costante preoccupazione personale per una più o meno possibile ma non certo impossibile subitanea ingiustificata aggressione della Turchia assicuratasi, volente o nolente, neutralità Bulgaria con relativa occupazione Tessaglia ed accennato grave imbarazzo in cui si troverebbero allora Potenze protettrici replicò che, verificandosi tale eventualità, egli sarebbe costretto sottomettere grave realtà Consiglio dei ministri. Comunque, concluse, è positivo che Potenze protettrici dovrebbero tenere presente necessità di imporre con la forza qualsiasi decisione prendessero eventualmente a riguardo Creta, sia a riguardo Turchia ed a ciò nessuna di esse sembra per il momento disposta. In complesso linguaggio Grey ha confermato impressione riferita col mio telegramma n. 1671 circa incertezza indecisione qui attualmente prevalente, nonché marcata stanchezza per prolungarsi incresciosa questione e desiderio cavarsene decentemente. In tutti i modi, per quanto nessun indizio positivo e concreto io possegga al riguardo, parmi intravedere al momento presente riluttanza a prendere eventualmente come nel 1908 decisa posizione antagonista di fronte Germania e soprattutto Austria-Ungheria. Donde a mio remissivo parere convenienza per noi di far assegnamento solo relativo su concorso Inghilterra in caso di eventuali complicazioni balcaniche e di intenderei fin dove sarà possibile con gli alleati.

4241 Cfr. n. 415

425

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO CONFIDENZIALE 2787/107. Pietroburgo, 2 5 agosto 1910, ore ... 1 (per. ore 21,30).

Ho intrattenuto ieri Sazonow oggetto del suo telegramma n. 22202. Pur avendo cura di lasciare alla conversazione un carattere puramente accademico, rilevai come da alcune parti sembrami attuata la tendenza che le Potenze, in caso di guerra inevitabile fra la Turchia e qualche Stato balcanico, dovessero studiare, anziché impedirla ad ogni costo, di localizzarla soltanto. Avendogli chiesto se credesse tale modo di procedere vantaggioso agli interessi della pace, Sazonow lo negò recisamente esprimendo anzi il timore che il fatto solo di questa dualità di tendenze manifestatasi in seno ai Gabinetti Potenze firmatarie, se risaputa Costantinopoli, invogli la Turchia a gettarsi in una guerra. Il pericolo gli pareva anzi così minaccioso che si domandava se in data eventualità non sarebbe convenuto a quelle Potenze che, come la Russia, la Francia e l 'Inghilterra e credeva anche l'Italia, erano supremamente interessate al mantenimento della pace, di manifestare senza ambagi la loro ferma decisione di mantenere la pace ad ogni costo. Egli credeva che contro una tale manifestazione, che produrrebbe senza dubbio a Costantinopoli un salutare effetto, non avrebbero in nessun modo reagito le Potenze dissenzienti, non affatto desiderose di prendere apertamente partito in quella questione.

426

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. S.N. Roma, 26 agosto 1910, ore 15,40.

Dalle informazioni assunte risulta che non Ecker ma Edgardo Mayer alla festa del Volksbund sul lago di Toblach pronunciò un discorso contenente parole offensive contro gli italiani e l 'Italia. Egli dopo di avere inneggiato alla concordia tra i tirolesi nel combattere l'azione degli irredentisti di qua e di là dei confini disse che nelle scuole d'Italia furono introdotte carte geografiche coi confini italiani al Brennero, accennò ironicamente all'intervento della Fran

425 I Manca l'indicazione dell'ora di partenza nel registro dei telegrammi in arrivo. 2 Cfr. n. 417 nota l.

eia nelle guerre contro la Austria, aggiUnse che in Italia troppo spesso vengono maltrattati i tedeschi, stracciata e bruciata dalla plebaglia italiana la bandiera austriaca e l'effigie dell'imperatore d'Austria-Ungheria. Chiuse lanciando invettive contro il popolo italiano dicendo che i tirolesi sono pronti a tutto anche a passare a vie di fatto.

Prego V.E. intrattenere conte d' Aehrenthal facendo noto che farò il possibile perché incidente non sia noto in Italia o almeno sia diffuso il meno possibile che mia opinione è sempre essere preferibile evitare che simili fatti abbiano ripercussione nella opinione pubblica anziché insistere per reciproci reclami.

427

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

NOTA 468. Roma, 26 agosto 1910.

Nella nota di codesto ministero 8 luglio c.a. n. 5665 sez. II, alla quale rispondo, l'E.V. mi faceva notare che recedendo dal sistema proibitivo attualmente da noi tenuto, nell'introduzione delle armi da fuoco in Abissinia, si renderà più speditivo l'armarsi di essa e specialmente delle regioni a noi confinanti, e si darà forse un nuovo impulso al sentimento belligerante di quelle popolazioni.

In linea di fatto si osserva che l'Atto generale di Bruxelles riconosce ali'Etiopia illimitata facoltà di procurarsi le armi se e quando lo creda, e che di questa facoltà l'Etiopia si è valsa quasi illimitatamente in grazia delle speciali agevolazioni che altri le ha concesso e che noi non possiamo né fermare né impedire. E perciò questo ministero ritiene che l'aprire ali' entrata delle armi in Abissinia una nuova via attraverso la Colonia Eritrea non possa aumentare la quantità complessiva delle armi e munizioni importate colà, ma serva a legalizzarla e disciplinarla; ed essendo i fucili Wetterli preferiti dagli abissini, il provvedimento devierebbe a favor dell'Italia e dell'Eritrea parte di quel vantaggio pecuniario che ora, in maniera assai rilevante, è esclusivamente riservato alla Francia e alla colonia di Gibuti.

Comunque, sarò grato all'E.V. se, rispondendo in forma più definitiva e concreta al quesito posto a codesto ministero con nota 31 maggio u.s., ella vorrà farmi conoscere se, a suo giudizio, convenga continuare nel nostro sistema proibitivo oppure aprire alle armi e alle munizioni una via di entrata in Etiopia attraverso la Colonia Eritrea, con opportune norme e restrizioni2.

2 Per la risposta cfr. n. 478.

427 l Cfr. n. 359.

428

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA, ALLA LEGAZIONE AD ATENE E AL CONSOLATO A CANEA

T. 2315. Roma, 27 agosto 1910, ore 20,30.

Stamane l'incaricato d'affari di Grecia si è recato presso il mio capo di Gabinetto, per dirgli che si trova a Roma il signor Venizelos, e che in qualità di capo del Governo cretese, desiderava essere da me ricevuto. Il barone Fasciotti rispose, che non poteva ammettere l'intervento della legazione di Grecia, e che se il Venizelos avesse direttamente espresso il desiderio di essere da me ricevuto, me lo avrebbe riferito. Più tardi il Venizelos, recatosi dal capo di Gabinetto, chiese infatti di essere da me ricevuto, ed io consentii, visto che egli non ha ancora fatto alcun atto di accettazione della candidatura, e dell'elezione a deputato greco, e che perciò è legittimo il desiderio del capo del Governo cretese di vedere il ministro degli affari esteri di una delle quattro Potenze protettrici.

Venizelos mi ha detto che esita se deve accettare il mandato di deputato ellenico o conservare le sue funzioni a Creta. Riconosce che le due cose sono incompatibili. Io credo che egli sia deciso o quasi o per lo meno desideroso di accettare il mandato in Grecia, dove mal dissimula che spera e crede di diventare presto presidente del Consiglio.

Egli mi ha chiesto se le quattro Potenze aderirebbero alla sua accettazione in Grecia lasciando le sue funzioni in Creta, e ha aggiunto che farà ciò che esse vogliono.

Gli ho risposto che non posso dargli risposta senza previi accordi colle altre tre Potenze protettrici, ma che le ultime notizie facevano credere, che la Turchia non farebbe obiezioni, nel quale caso è probabile che non ne faranno neanche le quattro Potenze. Venizelos riconosce che il caso degli altri deputati cretesi è diverso, e che sarebbe desiderabile che rinunciassero o non venissero convalidati. Afferma di non avere influenza su di loro. Egli riconosce che non è facile trovare chi lo sostituisca a capo del Governo cretese, ma non dispera, e crede che anche dalla Grecia potrà esercitare sull'isola una influenza mediatrice. Egli riconosce però, che la Grecia e i cretesi non debbono, nella situazione internazionale attuale, fare tentativi di ulteriori passi verso l'annessione, che produrrebbero l'effetto opposto. Io gli ho detto che non devono neanche voler essere troppo astuti, sottili ed abili, ma accettare lealmente le conseguenze della situazione, e comprendere che se la Turchia attacca la Grecia, nessuno potrà impedirglielo con la forza, e che perciò è un giuoco pericoloso quello di provocarla. Egli se ne è mostrato convinto. Caduto il discorso sul re di Grecia, alla mia osservazione, che il sovrano e la dinastia, per le loro parentele, hanno reso epossono rendere molti servizi alla Grecia, Venizelos ha risposto che non lo nega, ma che crede che abbiano commesso molti errori e che senza la dinastia e le sue parentele la Grecia avrebbe meglio appreso a contare su se stessa e sviluppare tutte le proprie

forze. Tuttavia ha dichiarato di non voler un mutamento di dinastia né di forma di governo in Grecia. Egli parte oggi o domani per Creta dove prenderà le sue definitive decisioni.

(Per tutti tranne Costantinopoli, Canea, Atene). Prego V.E./V.S. d'informare codesto Governo di questa conversazione. (Per gli altri). Tanto per sua personale conoscenza.

429

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CAPITANO CITERNI

D. 200. Roma, 28 agosto 1910.

l) Origine e scopo della missione. La missione a lei affidata coi miei decreti dell' 11 giugno s. e del 6 agosto corr. trae le sue origini dalla convenzione italaetiopica 16 maggio 1908 e più specialmente dall'art. 5 di detta convenzione di cui la S.V. possiede il testo approvato con legge del 17 luglio 1908, n. 468.

La missione ha per scopo di fissare praticamente sul terreno la linea di frontiera stabilita dalla convenzione stessa l.

2) Carattere della missione. In conseguenza di ciò la missione ha carattere tecnico. Le questioni di principio che potessero sorgere dovranno essere trattate dalla r. legazione in Addis Abeba, a cui, occorrendo, la missione fornirà i necessari dati di fatto.

3) Criterio informativo della delimitazione. Il criterio informativo della delimitazione consiste, secondo la lettera e lo spirito della convenzione, nel concetto di far passare la linea di confine fra i limiti territoriali delle tribù menzionate nella convenzione stessa, per modo che la tribù dei rahannuin ed altre etnicamente alla stessa connesse e, più a nord-est, le tribù della costa rimangono a noi e le tribù a nord delle menzionate rimangano all'Etiopia. Si tratta essenzialmente di stabilire un buon confine, rispondente alle necessità economiche degli abitanti e consono anche coi nostri interessi politici e strategici, e tale soprattutto che, evitando sconfinamenti, e incursioni, renda tranquilla la regione.

Il confine convenuto si può dividere in due tratti: il primo da Dolo al punto di intersezione di esso col tracciato Nerazzini del 1897, il secondo dal detto punto all'intersezione del 48° lat. col 1'8° parallelo.

Il primo tratto venne indicato coll'applicazione di un criterio prevalentemente etnico, poiché la regione era in generale conosciuta, il secondo con criterio esclusivamente geografico, poiché la regione non era e non è conosciuta.

429 I Nota del documento: «Ella ha anche altro incarico di natura commerciale che le è stato dato con dispaccio del 18 agosto corr. n. 188» (cfr. n. 41 0).

La sola eccezione al criterio etnico per il primo tratto concerne la direzione del confine da Dolo ad est per le sorgenti del Maidaba. Questo criterio geografico rende necessario, come è noto, di tagliare una regione che si asserisce occupata dai di godia. Nel procedere alla delimitazione in questa regione, pur mantenendo fermo il principio che le sorgenti dei Mai-daba debbano rimanere in mani nostre, e subordinatamente alla condizione di avere una linea di confine conveniente sia dal punto di vista militare, che dali' economico, si potrà tener conto del fatto che il R. Governo non ha né desiderio né interesse d'accogliere nel territorio che rimarrà alla Colonia un numero di godia maggiore di quello che non sia strettamente necessario.

Giunto il confine all 'Uebi Scebeli, se il territorio della tribù dei baddi addi non coincide col punto in cui il detto confine tocca il fiume, o si trova più a valle, sorgerà la questione se il fiume sia pure per breve tratto debba costituire confine fra l'Etiopia e la Somalia italiana.

I desideri del Governo in proposito sono esposti nel dispaccio 29 luglio u.s. al r. ministro in Addis Abeba2, qui allegato in copia, insieme con la riproduzione fotografica della carta Habenicht portante il sigillo di Menelick e dimostrante lo sviluppo del confine secondo gli accordi del 1897 e con uno schizzo delineato riproducendo la carta de Bissy servita per le trattative della convenzione 1908 ed inserendovi il confine Nerazzini del 1897 portato alla scala della carta francese.

In tale schizzo è indicato il tracciato del confine da noi desiderato.

Alle considerazioni ivi svolte per permetterei una conveniente espansione al nord del fiume può aggiungersi anche questa, che cioè il confine Nerazzini fu tracciato sulla carta nella completa ignoranza in cui si era della geografia locale, tanto da parte nostra che del negus. In tali condizioni, si dovettero necessariamente prendere due soli punti di riferimento, quello di partenza (cateratte di von der Decken limite massimo che il negus consentiva) e quello di arrivo (intersezione del 48° meridiano con l'8° parallelo) che coincideva con la intersezione della nostra frontiera con quella inglese nella regione somala.

L'intesa generica portava che il confine dovesse unire tali due punti seguendo il contorno della costa a 180 miglia circa da essa. Ma, poiché il punto d'intersezione del 48° coll'8° (confine italo-inglese) non si trova a 180 miglia dalla costa, sibbene a circa 180 km. da essa la linea che risultò tracciata sulla carta non corrisponde più né a quell'intesa generica né ad alcun concetto geografico, politico ed economico. Quando si percorrerà la regione, e la si conoscerà, volendo salvaguardare il comune interesse di tracciare un buon confine, basato cioè su considerazioni pratiche di sicurezza e di commercio, e poiché il confine dovrebbe pur sempre correre a 180 miglia dalla costa dal punto sull 'Uebi Scebeli verso nord-est, riteniamo che il confine da noi proposto in questa regione corrisponda tanto agli intendimenti del negus nel 1897 quanto allo spirito della convenzione del 1908.

In sostanza la linea di confine del 1897 tracciata sulla carta portante il bollo del negus, è la risultante di tre dati fissi in modo assoluto: a) la costa o il parallelismo con la costa, b) le cateratte di von Der Decken; c) intersezione del 48° meridiano coll'8° parallelo.

Ora che il confine deve essere tracciato sul terreno, il commissario italiano ha tutta la ragionevolezza e la possibilità di attenersi quanto meglio saprà fare a raggiungere le 180 miglia dal mare per il tratto al di là dell'Uebi Scebeli, almeno fino alla latitudine di Obbia. Pare quindi si possa guadagnare sul terreno (quasi completamente ignoto nel 1897 soprattutto agli abissini), meglio di quanto non si poteva fare sulla carta, tanto più che tracciando il confine i commissari delle due parti debbono necessariamente ricorrere o a concetti etnografici e in qualunque caso a qualche vero concetto geografico fissando i vari punti con qualche montagna villaggio od altro.

4) Tratto di confine che potrà ora essere delimitato sul terreno. Salvaguardando le ragioni di sicurezza, che la S.V. dovrà apprezzare sotto la sua responsabilità, questo ministero opina che, nelle attuali circostanze, si possa addivenire alla effettiva delimitazione di quella sola parte di confine che corre da Dolo al fiume Uebi Scebeli. Ciò stante, la S.V. avrà cura di comportarsi in modo da non pregiudicare le nostre aspirazioni sopra esposte, per quanto si riferiscono ali 'ulteriore sviluppo della linea oltre il confine e fino alla Somalia inglese (intersezione del 48° meridiano con 1'8° parallelo).

5) Relazione cogli indigeni. È di grande interesse che le popolazioni delle regioni percorse dalla missione serbino del suo passaggio grato ricordo. Ella conosce il paese e gli indigeni. La missione è munita di medicinali in quantità sufficiente per corrispondere alle richieste, che dovranno però essere contenute in limiti tali da non ostacolare il normale progresso della missione o da sprovvederla di quei presidi medici ond'essa stessa potesse abbisognare.

La missione dovrà accuratamente evitare di dare occasione o pretesto a malumori fra gli indigeni, tenendo sempre presente che suo scopo è quello di rilevare la linea di confine e non di immischiarsi nelle contese tra tribù, o di prendere parte per le une o per le altre.

6) Norme disciplinari, condizioni di impiego ecc. La S.V. e gli altri membri della missione troveranno definiti i rispettivi diritti e obblighi in quanto concernono le condizioni d'impiego, la disciplina, la precedenza ecc. nel decreto ministeriale in data dell' 11 giugno s., qui unito in copia3.

7) Dipendenza della missione. Per tutti gli effetti politici la missione è alla dipendenza della r. legazione in Addis Abeba, che ha il diritto di dare istruzioni, anche riguardo allo itinerario di andata e di ritorno, e alle quali queste dovranno essere richieste ogni qualvolta occorre.

8) Autonomia della missione. Dal punto di vista amministrativo e per l'erogazione dei fondi che le sono assegnati, come compete esclusiva responsabilità al

capo della medesima, così gli compete piena autonomia. V.S. è edotta che, a far fronte a tutte le spese della missione, niuna esclusa, sono disponibili f. 160 mila.

Speciale raccomandazione le è fatta di una oculata economia e di una particolareggiata resa dei conti.

La missione sarà parimenti autonoma per tutto quanto concerne l'esecuzione tecnica del suo mandato.

9) Rapporti colle autorità della Somalia italiana. Ferme rimanendo le istruzioni di cui al n. precedente, durante la permanenza della missione lungo i confini da delimitare, quando per urgenza di decisione e per difficoltà di comunicazioni o per altre gravi ragioni non fosse possibile comunicare in tempo utile colla r. legazione in Addis Abeba, la missione potrà pel tramite del commissario di Lugh capitano Ugo Ferrandi che ha a sua disposizione una stazione radiotelegrafica in comunicazione con Mogadiscio domandare o ricevere istruzioni del Governo del Benadir, che in ogni caso le darà tenendo conto di quelle di natura politica impartite dalla r. legazione in Addis Abeba, e del carattere tecnico della missione.

10) Scorta. Il determinare con esattezza come la scorta debba essere composta e come armata dovrà essere materia d'intesa tra la S.V., il r. ministro in Addis Abeba ed il governatore della Somalia italiana. Noi dobbiamo guarentire la sicurezza della missione abissina contro attacchi da tribù nostre e viceversa il Governo etiopico deve fare altrettanto dalla sua parte. È superfluo aggiungere che la missione deve evitare ogni conflitto, non essendo compito suo lo stabilire l'ordine tra le tribù o l'effettuare prese di possesso.

Rimane inteso che la scorta fornita dal Governo del Benadir pur avendo i naturali suoi capi sarà alle dipendenze del capo della missione, tranne per la parte amministrativa, per la quale la scorta dovrà sempre considerarsi un distaccamento delle truppe della Somalia.

11) Segnali di confine. La missione dovrà far constare mediante l'erezione di appositi segnali dell'andamento della linea di confine.

Il Governo del re nel designare la S.V. al delicato incarico di dirigere la missione di delimitazione tra la Somalia italiana e l'Etiopia ha avuto presente le particolari attitudini da lei addimostrate in precedenti missioni, e confida che ella saprà compiere l'incarico affidatole facendo onore al suo bel passato.

429 2 Cfr. n. 423 nota l.

429 3 Non si pubblica.

430

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI

L. RISERVATISSIMA 41. Roma, 28 agosto 1910.

Ho avuto ripetutamente occasione di intrattenere, a voce ed in iscritto', l'E.V. della grave questione bancaria italiana in Oriente, e ne ho avuto l'affida

430 J Cfr. n. 358.

mento che, al mio ritorno dall'Austria, ella convocherà, insieme a me, il direttore generale della Banca d'Italia, commendator Stringher, ed il presidente del Consiglio d'amministrazione del Banco di Roma, signor Ernesto Pacelli, allo scopo di addivenire ad uno scambio di idee e possibilmente ad un risultato concreto sopra questo importante argomento.

Frattanto, ad ogni passo noi incontriamo in Turchia insormontabili difficoltà, appunto per la mancanza di un importante istituto bancario, su cui appoggiare le imprese italiane, e ciò non solo per acquistare nuovo terreno, ma anche solamente per non perdere il posto già conquistato sul mercato economico ed industriale turco.

In questa condizione appunto si trova la Casa Ansaldo-Armstrong, la quale, ove non ottenga nuove ordinazioni, dovrà rimettere al Governo ottomano il cantiere di Costantinopoli, che da anni occupa con vantaggio e decoro del buon nome italiano. A cercar di evitare tale iattura si sono escogitati, coll'efficace appoggio dell'E.V., vari mezzi, che non sembra rispondano completamente allo scopo che ci proponiamo.

Ora l'ingegnere N egri, rappresentante a Costantinopoli della Casa Ansaldo, ha concretato un progetto, che mi è stato caldamente raccomandato dal r. ambasciatore a Costantinopoli.

Dal mio lato mi affretto a trasmettere qui unito in copia all'E.V. il progetto in questione insieme alla lettera del barone Mayor2.

È mio avviso che, se qualche istituto italiano può interessarsi a così grandiosa e benefica impresa, questo è il Banco di Roma, bene inteso con opportuni ajuti ed appoggi, e che ciò potrebbe costituire l 'inizio -ed un brillante inizio -per l'azione bancaria italiana in Turchia.

Se il Ministero dall'E.V. presieduto riuscirà, coma l'alta mente sua e il patriottico entusiasmo dell'E.V. me ne danno affidamento, a dotare l'industria ed il commercio italiano di un istituto bancario che sia insieme suscitatore e sostegno delle iniziative industriali e commerciali italiane in Oriente, esso avrà reso un segnalato servizio al Paese, a cui avrà aperto un vasto e ricco mercato.

431

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2837. Berlino, 29 agosto 1910, ore 15,15 (per. ore 16.55).

N. telegramma di V.E. n. 2315'.

Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ringrazia sentitamente V.E. per la cortese comunicazione datagli dall'interessante colloquio di lei con il signor Veni

431 I Cfr. n. 428.

zelos. Si è evidentemente compiaciuto nell'apprendere il franco avvertimento dato da V.E. a Venizelos di non fare assegnamento nel concorso di alcuna Potenza se la Turchia provocata assalisse la Grecia. Egli mi ha domandato breve riassunto in francese della comunicazione che io gli consegnai.

430 2 Non pubblicati.

432

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 357/134. Teheran, 29 agosto 1910 (per. il 21 settembre).

In relazione ai telegrammi nn. 2247, 2254 e 2306, rispettivamente del 22, 23 e 27 corrente 1 , mi onoro informare l'E.V. che ieri questo ministro di Russia mi espresse tutta la sua gratitudine per la conferma delle notizie che egli aveva ricevuto da Pietroburgo circa l'atteggiamento assunto dal Governo di Sua Maestà nella questione degli agenti italiani per le riforme persiane. Il signor Poklewski mi aggiunse che il suo Governo lo aveva altamente apprezzato ed era rimasto assai compiaciuto della cortese e deferente attenzione dell'Italia nella circostanza.

Nel corso della medesima conversazione appresi che il collega di Russia ed il ministro britannico hanno fatto intendere al Governo persiano di abbandonare l'idea di ricorrere a sudditi delle Grandi Potenze e di valersi invece per le riforme di funzionari di piccoli Stati. Per tal modo verrebbe ad essere esclusa anche l'eccezione che si pensava di fare per la Francia. Il signor Poklewski mi diceva essere questa la migliore soluzione in quanto che essa elimina alla Russia ed all'Inghilterra molte difficoltà e che certo il contegno dell'Italia ha in gran parte contribuito a farla trionfare.

Essendomi pertanto noti i mezzi che la politica russa impiega in Persia non ho creduto superfluo fare intendere al mio collega augurarmi che il Governo persiano non avrebbe più formulato la domanda di nostri funzionari sembrando essa superflua dopo la prova di amicizia data dall'Italia alle due Potenze interessate e la dichiarazione fatta da lui e dal collega britannico al Governo dello scià di preferire agenti delle piccole Potenze. Il ministro di Russia mi ha risposto ritenere per certo che il Governo persiano non avrebbe più fatto la richiesta. Ciò a noi conviene perché ci risparmia di opporre un rifiuto formale che non potrebbe fare una buona impressione sui persiani i quali pretendono di avere una speciale simpatia per l'Italia che sola fra le Grandi Potenze ha sempre osservato verso di essi un contegno disinteressato ed amichevole.

432 I Non pubblicati.

Non mancherò ad ogni modo -qualora dovesse avvenire il contrario -nel conformarmi strettamente alle istruzioni impartitemi da V.E., di declinare l'eventuale richiesta del Governo persiano nella forma più adatta ad una benevola interpretazione.

Il Parlamento continua ad occuparsi nella guisa che ebbi già a riferire del progetto governativo. L'accordo circa la scelta della nazionalità dei consiglieri finanziari non sembra ancora raggiunto. Quella degli agenti per gli altri rami dell'amministrazione è rimasta e rimane fuori di dibattito.

433

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI 1

T. S.N. Salisburgo, 30 agosto 1910, ore 2,55 (per. ore 18,20).

Avuto prima conversazione con AehrenthaJ2 che mi ha parlato con alta stima e fiducia di te. Impressione reciproca ottima. Siamo naturalmente d'accordo nella politica generale diretta al mantenimento pace e statu quo. Abbiamo incominciato esaminare con reciproca buona volontà i modi di eliminare incidenti di frontiera. Aehrenthal telegraferà oggi a Vienna per vedere che cosa si può fare circa importazione agrumi dell'Italia meridionale. Egli conta trovarsi Torino primo ottobre e spera poterei dare allora una risposta circa Foscari. Ho informato Aehrenthal tuo possibile incontro con Pichon.

434

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 14711630. Berlino, 30 agosto 1910 (per. il 3 settembre).

Fin da quando pervenne a questa ambasciata il dispaccio a margine segnato 1 iniziai discrete indagini per conoscere ciò che vi fosse di vero nella notizia di un prossimo viaggio del ministro degli esteri abissino a Berlino. L'assenza del signor von Zimmermann, consigliere relatore per gli affari di Abissinia rendevano diffi

2 Sui colloqui di San Giuliano-Aehrenthal si vedano anche i nn. 436, 438, 441, 445. Appunti di parte austriaca su tale conversazione sono editi in OeUA, vol. Il, n. 2244 (trasmessi anche al cancelliere tedesco: GP, vol. XXVIII!, nn. 9864-9865); si vedano inoltre BD, vol. IX, n. 179 e DDF, vol. XII, nn. 558, 565.

ciii quelle indagini, tuttavia a forza di ricercare ero venuto a convincermi che finora almeno non vi fosse nulla di deciso circa quel presunto viaggio. E in tale convinzione aspettavo il ritorno del signor von Zimmermann.

Pervenutomi però il telegramma di VE. n. 23182 credetti opportuno, ad ogni buon fine, di fare di quelle voci oggetto di una domanda un poco più precisa. Cogliendo pertanto occasione di una visita fatta a questo sottosegretario di Stato per parlargli di altri argomenti portai il discorso sul ritorno del signor von Scheller in Germania (annunziato dai telegrammi del mattino ai giornali) per domandargli cosa vi fosse di vero nella voce che circolava di un prossimo viaggio a Berlino del ministro degli affari esteri abissino; il signor Stemrich mi rispose recisamente, come ebbi a telegrafarle3, che a lui non constava che quel ministro fosse per recarsi prossimamente in questa capitale. Data la precisione di questa risposta non credetti opportuno continuare la conversazione su quell'argomento, tanto più perché mi era stato dato notare come qui nel Dipartimento imperiale degli esteri si credano da noi sospettati di mene politiche nell'Impero del negus. Col signor von Zimmermann è più agevole parlare di affari abissini, costituendo essi appunto una parte dell'attività a lui affidata.

Prima di chiudere il presente rapporto credo dover far notare alla E. V. una mia impressione che nessun dato positivo preciso per il momento conferma, ma che tuttavia è in me corroborato da conversazioni avute in passato sull'attività del signor von Scheller. Potrei sbagliarmi, ma io ritengo che anche per quanto riguarda il presente viaggio del ministro degli esteri abissino noi ci troviamo di fronte ad un eccesso di zelo da parte di quel rappresentante germanico. Allo scopo di assicurarsi un successo personale è più che probabile che egli ad Adis Abeba abbia se non iniziato pratiche in proposito per lo meno favorito desideri e piani del ministro del negus. Ma non è nemmeno improbabile che il Dipartimento imperiale degli esteri per non corroborare appunto sospetti ai quali si sente esposto non sia tanto corrivo nel fare suoi i piani politici del signor von Scheller la cui azione, come alla E. V. è noto fu più volte, anche di recente, giudicata qui come troppo intraprendente.

433 l Da ACS, Carte Luzzatti.

434 l D. confidenziale 28 del 16 agosto, non pubblicato.

435

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

T. UFF. COLONIALE 2355. Roma, 31 agosto 1910, ore 16.

Con diretto settembre giungerà Massaua missione delimitazione confini somalo-etiopici, composta capitano Citerni, topografi Giupelli e Venturi e dottor

4342 T. del 28 agosto, non pubblicato, col quale si esprimeva l'opportunità che la missione etiopica visitasse anche l'Italia. 3 T. 2839 del 29 agosto, non pubblicato.

Brigante-Colonna. Prego E.V. dare disposizioni perché autorità da V.E. dipendenti prestino missione ogni assistenza, sia durante permanenza codesto porto, sia per i preparativi del viaggio.

436

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI 1

T. S.N. Bad Ischl, 31 agosto 1910, ore 22,35 (per. ore 3,50 del 1° settembre).

Abbiamo concordato con Aehrenthal seguente comunicato2 che verrà pubblicato domani dai giornali della sera così costì come qua: «Il viaggio che il marchese di San Giuliano ha fatto per presentarsi a S.M. l'Imperatore e Re Francesco Giuseppe ad Ischl, nonché l'intervista che ha avuto luogo a Salisburgo tra il ministro degli affari esteri d 'Italia ed il conte d'Aehrenthal, costituisce una nuova prova delle relazioni cordiali e fiduciose esistenti tra l 'Italia e l'Austria-Ungheria. Tra i due uomini di Stato ha avuto luogo in questa occasione uno scambio di idee intimo e conforme all'alleanza esistente fra i due Paesi sulla situazione generale in Europa e specialmente nei Balcani. I due ministri hanno potuto constatare con soddisfazione l'identità delle loro vedute circa tali questioni. La politica dei due Gabinetti ha per scopo principale il mantenimento della pace dello statu quo. Essi sperano sopra tutto che il nuovo regime inaugurato in Turchia assicurerà il consolidamento deli 'Impero ottomano e considereranno, come pel passato, colla massima simpatia la prosperità dei Paesi balcanici». In questo comunicato non si è tenuta parola della questione degli incidenti di frontiera per non darle maggiore importanza di quanta essa non ne abbia in realtà. Nulla impedisce però che i giornali italiani scrivano di loro iniziativa come già hanno fatto e faranno quelli austriaci, che tale questione è stata esaminata col vivo desiderio e colla ferma fiducia di eliminare nei limiti del possibile simili incidenti e di attenuare la portata di quelli che ciò non ostante avvenissero. Aehrenthal si riserva di fare esaminare dai ministri competenti le nostre proposte le quali gli hanno fatto in massima buonissima impressione.

436 t Da ACS, Carte Luzzatti. 2 Si veda anche OeUA, voi. II, n. 2245.

437

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANOI

T. 28851190. Londra, 1° settembre 1910, ore 12,13 (per. ore 16).

Mio telegramma 186.2 In un promemoria testè inviatomi, Grey propone, qualora altre tre Potenze consentano, di dichiarare in risposta recente nota ottomana che Governo ellenico non avrebbe, secondo risulta, potuto legalmente impedire elezione deputati cretesi né può intervenire prima che assemblea siasi pronunciata sulla validità elezioni, ma che ciònondimeno esso, congiuntamente Potenze Protettrici, ha frattanto fatto ogni sforzo per risolvere questione in modo accettabile Sublime Porta. Risultato di tale sforzo è che signori Conduros, Michelidachi, Papamastorachi si uniformeranno consigli Potenze protettrici e rifiuteranno mandato. Situazione di Pologhiorghis che ha doppia nazionalità è ora oggetto di esame e forma argomento discussione. Circa Venizelos Grey propone ricordare Sublime Porta recenti dichiarazioni Rifaat delle quali Potenze hanno preso atto nonché promessa di Venizelos di rinunziare sue funzioni in Creta qualora in definitiva accetti mandato legislativo in Grecia. Governo britannico pertanto non arriva ravvisare in tutto ciò una provocazione alla Turchia ed è sorpreso per tono nota turca proprio al momento in cui una soluzione accettabile Turchia sembra probabile. Governo britannico vorrebbe ricordare Turchia che Creta è in deposito nelle mani quattro Potenze protettrici le quali si sono adoperate per risolvere questione conformemente vedute Turchia e che questo nuovo passo Sublime Porta non è di natura ad agevolare opera Potenze. Grey riterrebbe inoltre consigliabile aggiungere che presente questione concerne dopo tutto .. .3 esclusivamente condotta Grecia non a Creta, ma nella Grecia stessa e che quindi Sublime Porta vorrà forse ritenere opportuno di indirizzarsi al riguardo a tutte le Grandi Potenze.

438

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R.ll86/135. Budapest, 10 settembre 1910 (per. il 5).

I membri del Governo ungherese e quanti qui contano nella politica magiara sono ora assenti dalla capitale del Regno. Il presidente del Consiglio e gli altri

4371 Ed., con varianti, in LV 106, p. 180.

2 T. 2864/186 del 30 agosto, non pubblicato.

J Gruppo indecifrato.

ministri ne erano partiti prima del mio arrivo qui, cosicché dovrò attendere, sembra, ancora varie settimane per poter aver l'occasione di presentarmi a loro.

Circa l'impressione che in questo Paese si è avuta dal Convegno di Salzburg' debbo quindi !imitarmi a riferire a V. E. che, a giudicare dalla stampa magiara, l 'incontro di lei col conte d' Aehrenthal è stato visto in Ungheria con speciale simpatia. I giornali non hanno pubblicato commenti meritevoli di esser particolarmente rilevanti ma hanno posto in valore, con compiacimento, ogni segno che permettesse accrescere importanza al convegno e alla visita di lei al monarca austro-ungarico.

Questo sentimento di soddisfazione è ugualmente espresso e dai giornali che ricevono l'ispirazione dalla Ballplatz e da quelli che rappresentano la più genuina espressione del magiarismo il quale -in occasioni come questa -non manca di mostrarsi, qual è, interessato a una cordiale e proficua interpretazione dei patti di alleanza che stringono la Monarchia austro-ungarica all'Italia.

439

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI 1

T.s. N. Parigi, 2 settembre 1910, ore 2,35 (per. ore 4).

Appena giunto qui ho conferito con Briand e Barrère profittando del loro passaggio da Parigi per recarsi il primo nel Giura da Pichon ed il secondo a cacciare in Germania. A Briand ho fatto presente le ragioni che con tuo rammarico t'impediscono di venire in Francia e ho detto che la tua visita era soltanto prorogata. Egli ha espresso il suo dispiacere pel motivo che non ti consente di venire, i suoi auguri per la cessazione dell'epidemia che travaglia una parte d'Italia e la sua soddisfazione di vederti qui appena potrai. Con lui e Barrère poi sono rimasto d'accordo che se Pichon verrà a Parigi presto lo attenderei qui per definire le questioni di palazzo Farnese, delle scuole di Tunisi. Nel caso dovesse tardare, io e Barrère andremo a trovarlo nel Giura. Intanto a me, in attesa del colloquio, occorrono istruzioni precise su due punti: l) se Governo francese trovasi, come io temo, troppo breve, termine ventinove anni da noi desiderato per affitto Palazzo Farnese, potrei spingermi fino a termine cinquanta anni? 2) Per scuole Tunisi se Governo francese si impegnasse ad autorizzare apertura di scuole private italiane che si sottomettano a tutte le prescrizioni delle leggi e regolamenti francesi ed inoltre si impegnasse a mantenere seriamente promesse fatte anno passato di im

439 l Da ACS, Carte Luzzatti.

partire insegnamento de li 'italiano nelle scuole francesi, potrei considerare tale soluzione come soddisfacente per noi? Prego intendersi su ambedue i punti con San Giuliano e comunicarmi vostre istruzioni. A Pichon ho scritto2.

438 l Cfr. nn. 433 e 436.

440

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, LANZA, AL CONSOLE GENERALE A HODEIDA, SOLA

D. 8. Roma, 2 settembre 1910

Ho ricevuto rapporto 5 agosto, n. 418/1701, relativo alla cattura del sambuco «Sahlan» e l'annessa copia della comunicazione datane al governatore dell'Eritrea.

Approvo in complesso quanto la S.V. ha fatto riguardo al detto sambuco e sono lieto che la riconsegna ufficiale a codesto r. consolato sia già avvenuta: è opportuno però che la S. V. mantenga con fermezza e con calma la richiesta indennità a titolo di risarcimento pei danni prodotti dall'abusiva cattura.

Ho chiesto informazione ad Asmara di quanto nel suo rapporto si riferiva all'irregolarità dei permessi rilasciati dall'autorità marittima di Massaua al sambuco «Sahlan» e a suo tempo ne comunicherò la risposta: V.S. provveda intanto a che l'incidente sia chiuso in breve tempo e con tutta nostra soddisfazione, mantenendo di fronte ali 'autorità locale il contegno più riservato e prudente e riferendomi poi l'esito della pratica nel modo più semplice e spedito.

441

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2192/964. Parigi, 3 settembre 1910 (per. il 9).

N elle sfere ufficiali il viaggio di V.E. in Austria era atteso. Perciò è stato trovato naturalissimo e non ha dato luogo non solo ad inquietudini ma nemmeno a curiosità di sorta. La stampa è stata povera di commenti, i quali non hanno brillato davvero per novità. Sono le solite osservazioni sull'irreducibilità dell'anti

440 l Cfr. n. 396.

patia popolare italiana per l'Austria e l'incorreggibilità dell'Austria nel trattare male gli italiani suoi sudditi, osservazioni condite da consigli all'Italia circa l'inutilità per essa della Triplice e via di seguito. Però questi stessi giornali i quali rilevano con compiacenza tutti gli incidenti che possono produrre un raffreddamento nei rapporti austro-italiani, manifestano alla loro volta all'Austria la simpatia francese prendendo occasione della visita che il signor Bellan, presidente del consiglio municipale di Parigi, fa insieme ad altri suoi colleghi al consiglio municipale di Vienna, che lo invitò ed ora lo ha accolto festosamente.

439 2 Per il seguito cfr. n. 443.

442

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 2955/127. Addis Abeba, 4 settembre 1910 (per. ore 13,55 del 5)1.

Stato imperatore sempre gravissimo. Malgrado notizia divulgata, sua morte, ritengo sia tuttora simulata, anche perché mi risulta che oggi in una riunione tenuta fra i grandi capi è stata nuovamente discussa opportunità proclamare senza alcun ritardo ligg Jasu imperatore; ma a questo si opposero taluni di essi invigilando suprema volontà Menelik che suo successore fosse solo proclamato dopo sua morte.

443

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI l

L. PERSONALE. Roma, 4 settembre 1910.

Tornato iersera da Ischl, Luzzatti mi ha mostrato stamani il tuo telegramma del 2 corrente2. Siccome la presenza mia e di Luzzatti a Roma non è sempre contemporanea, così quando telegrafi a Luzzatti per cose che sono anche di mia competenza, pregoti telegrafare direttamente a me per evitare ritardi ed equivoci.

442 I Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 5 settembre, ore 12,55.

2 Cfr. n. 439.

Per Palazzo Farnese Luzzatti intende che accordo particolare per nuova proroga dopo i primi ventinove anni debba rimanere segreto.

Quanto alle scuole di Tunisi, le intenzioni del Governo francese, che tu riferisci, relative alle scuole private italiane ed all'insegnamento della nostra lingua in quelle governative francesi, qualora venissero sinceramente e prontamente attuate, produrrebbero in Italia ottimo effetto e gioverebbero a rendere più calda l'amicizia tra le due Nazioni.

È superfluo aggiungere che rimarrebbero intatte le nostre scuole di Stato e che bisognerebbe anzi con cura evitare qualsiasi apparenza, anche fallace, che tali concessioni siano un mezzo per insidiarle ora o più tardi.

Qualsiasi tentativo di questo genere produrrebbe in Italia una impressione che renderebbe vano il nostro desiderio di mantenere inalterata l'amicizia italafrancese.

Deve pure restar fermo l'accordo stabilito tra me e Pichon che il Governo francese non si opporrà a quei lavori di miglioramento ed ampliamento dei nostri locali scolastici di Stato, i quali bona fide non siano un pretesto per eludere la convenzione del 1896.

In pratica è probabile che la necessità di tali ampliamenti si presenterà meno sovente ed in minor misura se provvedimenti cui tu accenni saranno da codesto Governo sinceramente attuati.

443 l Da ACS, Carte Luzzatti.

444

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATA A VIENNA, AI CONSOLATI GENERALI A BUDAPEST, FIUME, SARAJEVO E TRIESTE ED AI CONSOLATI DI INNSBRUCK E ZARA

T. PERSONALE 4088. Roma, 5 settembre 1910, ore l0.

A chiarimento delle istruzioni impartitele con telegramma riservatissimo del 26 agosto u.s.', la informo non esser punto mia intenzione di creare difficoltà al Governo Imperiale e Reale per qualsiasi incidente che fosse per verificarsi nella Monarchia, ma bensì solamente di opporre reclamo a reclamo ove le rimostranze di codesto Governo per lievi incidenti di tendenza anti-austriaca od irredentista in Italia divenissero troppo frequenti. Gli incidenti, adunque, che soprattutto desidero mi siano a tale scopo segnalati telegraficamente, sono quelli consistenti in manifestazioni scritte o verbali anti-italiane, così da parte di privati, come di auto

444 I Con T. 3845, non pubblicato, di San Giuliano pregava di tenerlo sollecitamente informato di tutti gli incidenti che si fossero verificati a carico dei cittadini italiani.

rità, ed in quei qualsiasi altri atti, non repressi dalle autorità governative, i quali rivestano un carattere non amichevole per noi.

445

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R.l514/648. Berlino, 5 settembre 1910 (per. il 9).

Prima di riferire alla E.V. sulla impressione qui destata dalle notizie che a mano a mano venivano telegrafate da Salzburg sull'incontro della E. V. col conte d'Aehrenthal e dal comunicato ufficioso dal medesimo pubblicato dalle agenzie telegrafiche ho lasciato passare qualche giorno perché volevo aver occasione di parlarne con questo segretario di Stato per gli affari esteri e per dare tempo alla stampa indipendente di esprimere il pensiero suo, il che di solito, qui avviene con una certa prudente lentezza.

Sebbene a tutt'oggi non mi sia stato ancora possibile parlare col signor von Kiderlen-Waechter, alcune conversazioni avute in proposito col sottosegretario di Stato, con altri funzionari del Dipartimento imperiale degli esteri e l'esame dei giornali che notoriamente ricevono ispirazione dagli uffici della Wilhemstrasse mi pongono in grado di confermare che qui si è sinceramente soddisfatti non solo dell'incontro avvenuto tra i ministri degli esteri dei due Stati alleati, ma della maniera nella quale quell'incontro si è svolto e della amichevole intimità che fin dall'inizio ha presieduto alle conversazioni loro. Nella sua rivista dominicale sulla politica estera la ufficiosa Norddeutsche Allgemeine Zeitung dopo aver riportato testualmente i favorevoli commenti dei più importanti fogli austriaci e italiani, aggiungeva: «Tutte queste manifestazioni sono accolte con soddisfazione in Germania e per l'amicizia che inspira i rapporti tra le Potenze della Triplice Alleanza è di gran valore come prova speciale il fatto che il marchese di San Giuliano ed il conte d'Aehrenthal, prima di separarsi, hanno inviato un affettuoso telegramma al cancelliere dell'Impero, al quale il signor von Bethmann-Hollweg non mancò di rispondere in termini altrettanto cordiali». La soddisfazione provata dal cancelliere per la cortese attenzione usatagli dai due ministri degli esteri mi viene confermata anche direttamente dal sottosegretario di Stato per gli affari esteri.

La stampa indipendente tedesca ha parimenti seguito con simpatia lo svolgimento della visita di V. E. a Salzburg e, cosa abbastanza rara e alla quale chi, in questi ultimi anni, ha dovuto seguire le manifestazioni della stampa tedesca in riguardo all'Italia è tenuto a dare singolare importanza, non una voce eccessivamente discordante è venuta a irritare l'animo del lettore italiano. Da alcuni fogli nazionalisti, rilevando che nel comunicato ufficioso non era stato fatto alcun accenno alla terza alleata, è stato malignamente osservato che anche n eli 'alleanza

stessa la Germania non ha più quella parte che ebbe nei primi decenni dell'esistenza di quel patto. Non sono mancati fogli che hanno creduto opportuno, da una interpretazione erronea dello spirito che anima la Triplice, trarre occasione per ripetere i ben noti sospetti sulla politica estera italiana confortandoli con la citazione di articoli di alcuni giornali italiani che pur dovrebbero oramai esser noti anche in Germania per i principi che inspirano le loro pubblicazioni partigiane. Ma queste sono state voci sparse che non hanno avuto seguito. È stato invece concordemente messo in rilievo come nessun indizio o nessun motivo dia ragione di dubitare della uniformità di vedute che anima la politica dell'Italia e quella deli'Austria-Ungheria in Europa e in ispecie nel vicino Oriente, poiché, come scrive la Gazzetta di Colonia, il mantenimento della pace e dello statu quo è nel beninteso interesse dei due Paesi, e pur anco della Germania. «Tempo fa», continua l'importante foglio renano «l'Italia nutriva notoriamente aspirazioni sull'Albania, aspirazioni che turbavano non solo la Turchia ma anche l'Austria-Ungheria e questa dovette passare attraverso il fuoco dell'ultima crisi per la definitiva annessione della Bosnia-Erzegovina allo scopo di purificarsi dai sospetti di una progrediente politica espansionistica nei Balcani».

Degno di speciale menzione è l'unito articolo del conte E. Reventlow apparso nella Deutsche Tageszeitung non solo per l'importanza del foglio conservatore, quanto per la persona dello scrittore già ufficiale di marina e ora attivo pubblicista, fino a poco tempo fa giudice molto severo, spessissimo ingiusto della politica estera italiana.

Sebbene anche l'annesso articolo faccia prova dell'indipendenza del suo giudizio, pure è ispirato ad una più equa osservazione delle condizioni di luogo, di fatto di tempo nelle quali va necessariamente svolgendosi la nostra politica estera. Ed interessante è quanto egli scrive sul contrasto tra la politica che, a parere suo, le Potenze dovrebbero seguire nella fase attuale della crisi turco-ellenica e quella seguita dalle quattro Potenze protettrici, politica che non risponde più, a parere suo, alle condizioni di cose mutate in Turchia e che le quattro Potenze protettrici, fra le quali l'Italia, dovrebbero secondo lui abbandonare dando alla Turchia la possibilità di regolare come meglio crede una questione che riguarda in fondo una delle sue province. Non privo di interesse è anche quanto egli scrive sull'interesse reciproco che hanno le Potenze della Triplice a restare unite. Troppe volte e da troppe persone è stato ripetuto in Germania la frase stereotipata che l'Italia, cioè, non «reca più nell'alleanza alle altre due Potenze alcun vantaggio» perché io possa lasciar passare senza menzionarlo, quanto scrive in proposito un pubblicista come il conte von Reventlow, non sospetto di eccessiva simpatia per il nostro Paese. «Il quesito fortemente dibattuto, quale vantaggio la permanenza dell'Italia rechi alla alleanza viene spesso in Germania risoluto in senso negativo: e fino a poco tempo fa era un comandamento dettato dalla propria considerazione in Germania il consigliare di dare il ben servito all'Italia. Questo sarebbe stato sicuramente una grande follia e lo sarebbe pure in avvenire. L'Impero tedesco non può, è vero, aspettarsi una cooperazione attiva, un sussidio in caso di guerra dall'Italia perché questa è troppo dipendente dalle Potenze occidentali. Tuttavia, in caso di guerra, l'appartenenza alla Triplice sarebbe pur sempre un freno: ed in ogni modo l'averla nemica non sarebbe un vantaggio per l 'Impero ... »

Il conte von Reventlow conclude che pur essendo ancora una incognita la permanenza dell'Italia nella Triplice, è di grande interesse per le Potenze centrali la corrente attuale dell'opinione pubblica italiana.

446

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. SEGRETO 2783/919. Therapia, 5 settembre 1910 (per. il 20).

Sono state fatte al marchese Theodoli aperture di una singolare importanza.

Il Governo ottomano intende procedere, dal punto di vista della canalizzazione e de li'irrigazione, alla sistemazione della Mesopotamia ed in genere del bacino del Tigri e dell'Eufrate. Non vuole, per ragioni politiche, dare i lavori occorrenti né a tedeschi ne ad inglesi. Li darebbe, invece, volentieri ad italiani, perché questi sono riconosciuti i primi remueurs de terre del mondo perché in quella parte dell'Impero non ispirano diffidenze, e li darebbe in diretta concessione, per evitare gli intermediari e le maggiori spese da questi derivanti.

Di ciò ha parlato con detto connazionale anche il ministro delle finanze, mettendo, però, la condizione significativa: «Mais pas d'ambassade», che ribadisce il concetto, più volte espresso in questa corrispondenza, che la Giovane Turchia non vuole ingerenze diplomatiche negli affari industriali.

Rimane, dunque, inteso che l'ambasciata non si occupa di tale proposta, e che anzi, l'ignora.

Il marchese Theodoli desidera, tuttavia, che, a mezzo mio, V. E. ne sia informata, affinché, quando si rechi prossimamente costì e si presenti a discorrere con l'E.V. ella ne sia preventivamente a conoscenza. Un ingegnere di fiducia dovrebbe venire a Costantinopoli verso i primi giorni di ottobre. Sarà probabilmente l'ingegnere italiano che dirige i lavori di irrigazione di Konia, rivelatosi capacissimo, ed il cui compito colà, a servizio di un francese subappaltatore di un concessionario tedesco, volge al fine. Egli riceverebbe comunicazione degli studi già fatti, segnatamente da sir William Wilcocks. Occorrerebbe, poi, un intraprenditore nostro che abbia capitale ed autorità tecnica bastanti per affidare il numeroso personale che occorrerà reclutare sin da principio, e per avviare e condurre innanzi i lavori sino ai primi pagamenti rateali convenuti col Governo ottomano. Il costo totale dei lavori sarebbe di 30 milioni. Circa altri particolari, ed intorno ali' importanza dell'impresa che si offre al lavoro italiano, consiglio di consultare il co

municato del Theodoli, comparso nel Bollettino della Società Geografica italiana, fascicolo IV, 191 O, pag. 481-484.

Dalla soluzione del problema dell'irrigazione della Mesopotamia la nostra emigrazione potrà avvantaggiarsi, poiché la regione è di straordinaria ricchezza e piena di risorse per l'attività industriale italiana. Mi permetto suggerire di consultare al riguardo i rapporti del r. console a Bagdad, cavaliere Zunini.

Dal punto di vista politico, gli inglesi potranno consolarsi di non aver la concessione pensando che poteva essere data a tedeschi, e i tedeschi, a loro volta, che poteva essere data ad inglesi. D'altronde, in siffatta materia, entrambe le Potenze hanno sempre fatto gli interessi loro, senza preoccuparsi dei nostri, in virtù dell'adagio corrente: «Business is business»I.

447

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO S.N. Parigi, 5 settembre 1910 (per. l' 11).

Hakki pascià, giunto qui ieri, è venuto oggi a farmi visita. Egli mi ha detto che le disposizioni prese dalle Potenze protettrici circa i cretesi lo appagano e quindi, dato che greci e cretesi eseguiscano senza variazioni quanto le Potenze hanno deciso, il pericolo di conflitto tra Turchia e Grecia può dirsi rimosso e la situazione che fu un momento minacciosa tornerà ad essere calma. Egli mi ha ripetutamente assicurato che non vuole la guerra con la Grecia e che farà di tutto per evitarla poiché la superiorità dell'esercito turco è tale che una vittoria contro la Grecia nulla aggiungerebbe alla sua gloria militare. Egli non si preoccupa di Venizelos. Questi, se prenderà le redini del governo, nulla farà perché nulla può fare. Una sola cosa farà certamente: sciuperà la sua popolarità e per tutti sarà un vantaggio averlo liquidato. Della sistemazione definitiva della questione cretese Hakki pascià nulla ha detto e io sono stato felicissimo che egli non abbia avviato il discorso su di un tema così scottante.

Passando alla Bulgaria Hakki pascià ha detto che egli non la teme. Oggi la posizione dei turchi alla frontiera bulgara è cinque volte più forte di quel che non fosse quando scoppiò la rivoluzione dei Giovani turchi. E più tempo passerà e più la Turchia si rafforzerà di fronte ai bulgari. È questo pensiero che già sarebbe tardi, ma che tra poco non sarebbe più in tempo, che fa pensare a qualche uomo di Stato bulgaro di rompere gli indugi e dichiarare la guerra alla Turchia. Però ciò non avverrà, perché in una simile avventura i bulgari hanno troppo da perdere e sanno che l'Europa li la

446 I Per la risposta cfr. n. 472.

scerebbe soli. Il re soprattutto che colla corona regia e la dichiarazione d'indipendenza ha raggiunto il suo intento non vuoi compromettere tali risultati ed è veramente pacifico perché ha interesse ad esserlo. Venendo all'Austria-Ungheria, Hakki pascià si è espresso collo stesso ottimismo. Dai discorsi con Aehrenthal ha ricavato la quasi certezza che l'Austria-Ungheria farà una politica conservatrice e sinceramente lavorerà pel mantenimento dello statu quo. Ho sottolineato quel «quasi» perché anche Hakki pascià lo ha sottolineato nel suo discorso. Egli ha poi fatto l'elogio di Aehrenthal nei termini seguenti: Aehrenthal coll'annessione della Bosnia-Erzegovina ha reso un servizio a tutti, compresa la Turchia. Se la Bosnia-Erzegovina non fosse stata annessa, non avrebbe perciò cessato di appartenere ali'Austria-Ungheria, che non l'avrebbe restituita, e la necessità di regolarne quando che sia in qualche modo la posizione avrebbe costituito un perenne pericolo di guerra tra l'Austria e le altre Potenze ed avrebbe continuamente avvelenato i rapporti tra Austria e Turchia. Perciò Aehrenthal, facendo un colpo d'audacia e di violenza e attirando sul suo capo le imprecazioni di tutta l'Europa, ha reso un servigio alla causa della pace alla quale ha offerto in olocausto la sua riputazione morale, poiché tutti lo hanno considerato come fedigrafo e violatore di trattati e come tale passerà alla storia. Ed un altro grande servizio, secondo Hakki pascià, Aehrenthal ha reso alla pace ritirando le truppe dal Sangiaccato di Novi-Bazar e rinunciandovi per sempre. Con ciò egli ha chiuso acatenaccio la porta che apriva ali'Austria la marcia verso Oriente. Colle guarnigioni nel Sangiaccato l'Austria aveva in mano le chiavi della Turchia. Il proseguire verso la Macedonia era per essa cosa relativamente facile, mentre oggi nel défilé del Sangiaccato centocinquantamila turchi possono tenere a bada quattrocentomila austriaci. Né in Turchia né in Italia si è capita sul momento l'importanza enorme, decisiva, che ha avuto l'abbandono del Sangiaccato da parte dell'Austria. Però tutti coloro che meditano sul serio questi problemi oggi l'hanno finalmente capita.

Venendo alla Turchia Hakki pascià si è felicitato del ritiro da Costantinopoli dell'ambasciatore Constant, che era l'anima dannata di tutti gli affaristi. Oggi i rapporti con la Francia sono eccellenti perché la Francia mostra seriamente di voler il consolidamento del regime attuale in Turchia. Hakki è stato favorevolmente impressionato dalle sue conversazioni con Briand e Pichon, con i quali si è trovato d'accordo nell'affermare la reciproca utilità per la Francia e per la Turchia di mantenere rapporti cordiali. Venendo al prestito, che è stato la vera ragione della sua venuta in Francia, Hakki ha detto che le difficoltà sorte col Governo francese sono piuttosto morali che materiali. Infatti il prestito è esuberantemente garantito e circa la serietà dei propositi del Governo turco in materia finanziaria, Hakki ha potuto dare a Briand e a Pichon tutti i chiarimenti che costoro desideravano. Soltanto Hakki ha dovuto riparare all'offesa di Djavid bey senza intenzione malevole, ma per inesperienza, aveva recato alla suscettibilità del Governo francese. Hakki ritiene che tra breve ogni difficoltà sarà rimossa ed il prestito turco ammesso alla còte della Borsa di Parigi. Io persisto a credere che il Governo francese si è mostrato suscettibile non per ragioni morali, ma perché aveva da chiedere alla Turchia dei compensi materiali; però era naturale che di ciò Hakki tacesse meco, come e Briand e Pichon e Louis aveva meco taciuto.

Quanto all'Italia Hakki ha ricordato il tempo passato a Roma, l'opera da lui spiegata insieme a me per dissipare del tutto i malintesi, ed i risultati proficui ottenuti risolvendo le vertenze da tanto tempo pendenti in Tripolitania. Egli è convinto che i buoni rapporti con l'Italia non saranno mai turbati poiché l'Italia più di qualunque altra Potenza è interessata all'integrità dell'Impero ottomano.

Avendogli detto che il recente viaggio in Italia della missione turca, la quale ebbe tra noi così entusiastica accoglienza e potè constatare de visu i nostri grandi progressi industriali, aveva fatto sperare che la Turchia, nel rivolgersi all'industria estera, non avrebbe dimenticato l'industria italiana, Hakki mi ha risposto promettendo di tener conto della mia osservazione. Così pure mi ha detto che la questione dell'arsenale a Costantinopoli è allo studio, ma che certamente si verrà ad un'intesa con la ditta Ansaldo.

Domattina alle l l mi recherò all 'Hòtel Wagram per restituire la visita di Hakki pascià.

448

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 440/87. Addis Abeba, 5 settembre 1910 (per. il 6 ottobre).

Nel mio rapporto del 22 aprile scorso (n.250/49)' sulla situazione politica in Etiopia ho avuto l'onore di esporre a V.E. come la crisi attraversata dalla Abissinia durante i primi mesi dell'anno corrente, che ebbe come fatto culminante finale la cacciata dal potere dell'imperatrice Taitù, fu indubbiamente benefica tanto per l'Abissinia stessa che nei suoi rapporti con le Potenze europee, e che tale beneficio sarebbe per l'avvenire ancora più grande qualora il nuovo Governo avesse perseverato con calma e con fermezza nella via che si era tracciata per il rinnovamento politico interno dell'Impero, senza lasciarsi trascinare da passioni da ambizioni ed appetiti personali, e se spogliandosi della sua istintiva e brutale diffidenza verso i consigli e le iniziative europee ne avesse invece rispettati i diritti e riconosciuto la necessità ed i vantaggi di una civiltà superiore.

Nel mio succitato rapporto ho pure riferito a V. E. come venne costituito il nuovo Governo sotto la reggenza di ras Tesamma ed i primi suoi atti tendenti a pacificare ed a riordinare il Paese sconvolto moralmente e materialmente dagli arbitri e dagli abusi dell'imperatrice e a riparare alle ingiustizie e alle prepotenze da essa commesse.

448 I Non pubblicato.

Nei mesi che si seguirono dall'aprile a tutt'oggi il Governo etiopico seguì difatti con vario ed alternato senso di giustizia e di attività i propositi così bene esplicati al loro inizio, e ciò malgrado la debolezza, l'incapacità e la cupidigia del capo della attuale Governo, ras Tesamma, che, più che all'interesse del paese e al dovere ed alla responsabilità che gli incombe, ispira invece la sua condotta alla sua ambizione ed al suo interesse personale.

Ho già espresso a VE. in altri miei rapporti il mio parere sulla persona di ras Tesamma, parere che divenne sempre meno lusinghiero e favorevole a lui nelIo svolgersi degli avvenimenti e delle circostanze che palesarono più chiaramente la sua vera natura.

Egli non è dotato di grande intelligenza né di fermezza di carattere, e sotto la sua aria a volte bonaria ed a volte burbera di vecchio guerriero nasconde un animo cupido ed ambiziosissimo; e la sua ambizione e cupidigia si è ora centuplicata colla sua assunzione al potere effettivo, mentre si è forse affievolito in eguale proporzione il suo attaccamento e la sua fedeltà alle estreme volontà di Menelik che ha affidato a lui le sorti dell'erede prescelto; sicché io temo che in un avvenire ancora remoto in causa della giovane età del futuro imperatore, il pericolo e l'ostacolo maggiore alla sua assunzione al potere sarà forse rappresentato dallo stesso ras Tesamma, che non si rassegnerà facilmente a cederlo ad altri dopo averne esperimentato le soddisfazioni ed i vantaggi; ma tale pericolo come già ho detto, è ancora remoto e si basa per ora solo su di una mia impressione e previsione personale che potrebbe anche essere errata e della quale ad ogni modo non è ancora necessario tener conto.

I primi atti compiuti dal nuovo Governo fecero buona impressione e diedero buoni risultati; il malumore e la rivolta che covava ovunque fu immediatamente sedata e tornò la calma e la fiducia almeno apparente e temporanea.

II più importante di tali atti fu la nomina di ras Uoldegorghis al Governo del Beghemeder del Dembea e del Semien con autorità politica su tutto il Tigrè e le province adiacenti, ed essa rispondeva alla preoccupazione maggiore del nuovo Governo ed alla necessità di fronteggiare e di risolvere senza indugio il pericolo rappresentato dall'embrione di quella potenza rivale dello Scioa che l'imperatrice aveva sognato di creare nella sua forzata rinuncia alla corona d'Etiopia, e che ras Oliè avrebbe potuto tentare di realizzare unendo alla sua provincia del Jeggiù quelle del Beghemeder governate dal figlio ras Gubsa e le altre infeudate aii'imperatrice da Gondar al Setit, e trascinare con il suo esempio e col suo ascendente il Goggiam ed il Tigrè sempre pronto alla rivolta.

La scelta di ras Uoldegorghis fu buona ed egli era il solo uomo per autorità ed esperienza adatto a coprire tale difficile missione.

Ho informato VE. di un colloquio avuto con ras Uoldegorghis e dei propositi di amicizia e di interessamento per lo sviluppo delle relazioni commerciali fra le province settentrionali della Abissinia e la Colonia Eritrea che egli mi ha manifestato, riservandosi di discuterne ancora e di stabilirne i punti pratici ed essenziali prima della sua partenza per il Beghemeder.

La situazione delle provincie nuovamente affidate al suo comando Io costrinse invece a recarvisi senza indugio direttamente dal Kaffa dove egli aveva fatto ritorno per prendervi la sua gente, e non mi fu più impossibile incontrarmi con lui; ma sono sicuro che una volta tornata nel suo paese una situazione calma e normale sarà facile intraprendere con ras Uoldegorghis trattative serie e concludenti nel comune vantaggio commerciale.

Ho a tale scopo inviato al r. agente di Gondar cavalier Ostini una lettera di presentazione per ras Uoldegorghis e delle istruzioni in proposito, e quando la situazione generale lo renderà possibile conto di recarmi io stesso a Debratabor ed a Gondar col proposito di stabilire delle basi concrete al progetto da tempo vagheggiato dal Governo della Colonia Eritrea per la costruzione della ferrovia dal Setit a Gondar.

Durante la marcia dal Kaffa a Debratabor ras Uoldegorghis incontrò malumore e difficoltà di non grande importanza tra le popolazioni del Goggiam e non fu certo bene accolto da quelle del Beghemeder che gli rifiutarono in principio viveri ed ubbidienza, sobillati dai capi e dagli emissari di ras Gubsa al quale egli era successo nel comando.

Questi di fatti, spinto dall'imperatrice, tentava da Addis Abeba di far sollevare la sua antica provincia contro il nuovo capo e stoltamente faceva assassinare dai suoi emissari un certo Cagnasmacc Tesamma che era stato inviato dal Governo nel Beghemeder onde assicurare quei capi e quelle popolazioni delle sue buone intenzioni al loro riguardo: in seguito a tale misfatto ras Gubsa venne incatenato e lo è tuttora.

L'imprigionamento di ras Gubsa aumenta ancora il malumore è l'astio di ras Oliè contro il nuovo Governo ed accentuò il sospetto che questo naturalmente aveva verso di lui, e sebbene egli non si fosse allora, come non lo è nemmeno tuttora, apertamente dichiarato ribelle e abbia anzi espresso sentimenti di fedeltà al nuovo regime, attribuendo alle provocazioni di ras Micael col quale da lungo tempo sono nemici il suo atteggiamento minaccioso, pure il Governo fu costretto ad inviare a quest'ultimo considerevoli rinforzi per parare ad ogni tentativo di ras Oliè.

Del succedersi di questi fatti ho telegraficamente informato VE.; essi non provocarono finora alcun atto risolutivo ma valsero a mantenere viva la preoccupazione e l'inquietudine del Governo verso le province settentrionali nel timore che ras Oliè riuscisse ad attirarle a sé in una aperta rivolta contro lo Scioa; finora però tali sintomi non si manifestarono, benché l 'atteggiamento ed il carattere di degiacc Sejum uld ras Mangascià sia tale da dare motivo a sospetto sulle sue intenzioni specialmente se in un primo conflitto ras Oliè dovesse avere un vantaggio.

Non mancarono altresì sospetti ed insinuazioni da parte di malevoli sulle pretese istigazioni e sugli aiuti prestati dai Governi di Inghilterra e d'Italia a ras Oliè; ma a questo proposito credo di potere senza ostentazione e senza vanagloria riferire a V. E. che in un colloquio avuto con ras Tesamma in presenza di altri membri del Governo egli mi disse che la mia stessa persona era la miglior garanzia per la lealtà della condotta e delle intenzioni di codesto R. Governo, e che il Governo etiopico mi aveva dato la maggiore prova della sua fiducia ricorrendo al mio consiglio nei momenti e nelle circostanze più difficili riguardanti tanto la sua politica interna che quelle esteriore.

Il conflitto tra ras Oliè e ras Micael si mantenne finora latente in virtù specialmente della condotta del Governo etiopico che dimostrò di volere ad ogni costo scongiurare una soluzione violenta e sanguinosa, trattenendo con ordini espliciti e rigorosi ras Micael e gli altri capi raccolti a Dessiè, tra i quali degiacc Gabresellassè di Adua, dal ricorrere ai mezzi estremi da essi vivamente desiderati, ed inviando invece a ras Oliè con missione di pacieri degiacc Bituodded Lulsaghed e Ligabà Uoldegabriel.

Questi ultimi però non riuscirono finora nella loro missione ed invano tentarono di indurre ras Oliè a presentarsi a Borumieda per conferire con loro e con ras Micael, sicché non è ancora escluso che malgrado le intenzioni e gli sforzi di questo Governo la contesa non debba avere un epilogo sanguinoso.

Mi costa però che, di fronte all'insuccesso di degiacc Lulsaghed ed alla ostinata risoluzione di ras Oliè di non arrendersi a ras Micael, il Governo abbia ora intrapreso altri tentativi di pacificazione dandone incarico a ras Uoldegorghis, e nutra fiducia in un miglior risultato.

Le truppe di ras Oliè da una parte e quelle di ras Micael aumentate dai rinforzi scioani dali' altra, si trovano già da tempo a contatto sui confini della Jeggiù ma tra esse finora non avvenne alcun conf1itto; secondo le informazioni trasmesse dali 'agente di Dessie ras Oli è disporrebbe di circa diecimila armati ai quale potrebbe aggiungere altrettanti paesani armati di fucile, e ras Micael non meno di quindicimila soldati propri oltre ai paesani e a circa tremila scioani mandati da Addis Abeba.

Dopo il mio telegramma n. 117 del 18 agosto2 non avevo più creduto necessario di trasmettere a V.E. altri maggiori particolari sul conflitto tra ras Oliè e ras Micael poiché nessun fatto nuovo era avvenuto e anche perché erroneamente ritenevo che il governatore dell'Eritrea avesse trasmesso a codesto R. Governo le informazioni che il residente di Dessiè ha quasi giornalmente comunicato telegraficamente al Governo della Colonia e a questa r. legazione, ed io ho creduto opportuno di non gravare soverchiamente in questi momenti eccezionali il lavoro della linea telegrafica del Tigrè occupata per quasi tutta la giornata dalla trasmissione di fonogrammi di servizio di questo Governo.

Avevo di fatti, prima ancora di ricevere il telegramma di V. E.3 nel quale si sollecita l'invio di maggiori notizie sulla situazione politico militare della Abissinia ed in special modo sul conflitto tra ras Oliè e ras Micael, rivolto preghiera a S. E. il Governatore della Colonia Eritrea di trasmettere direttamente a codesto Governo le notizie comunicate dal residente di Dessiè. Oltre che sul suddetto conflitto ho altresì informato V.E. di ribellioni avvenute nelle province occidentali della Abissinia e precisamente in quelle di Jambo e Ghimera tra il Baro e l'alto Nilo; erano però voci esagerate e tutto si ridusse ad un tentativo di ribellione presto sedato dai fucili Amara.

3 T. 2380 del 3 settembre, non pubblicato.

Altri sintomi più inquietanti perdurano invece da tempo nell'Ogaden e lungo tutta la frontiera dei possedimenti della Somalia britannica e della nostra Somalia settentrionale ove l'autorità abissina è ben lontana dall'essere effettiva.

Ho già accennato a tale situazione nel mio rapporto n. 79 del 24 agosto scorso4 e mi riservo di ritornare quanto prima su tale argomento in attesa di informazioni richieste ali' agente di Harrar.

In altro mio rapporto (n.54, 8 aprile 1909 situazione politica) ho già accennato al pericolo, non immediato e palese ma latente ed oscuro e pure gravissimo, che indubbiamente presenta, per la tranquillità e la compagine dell'Impero etiopico, questo spirito di riscossa che serpeggia tra le popolazioni di razza diversa, somala, galla e sciancalla, che sono ad esso soggette; molto più numerose e fisiologicamente più sane e più forti dei loro dominatori, le popolazioni suddette debbono alla loro diversa origine, alla loro disunione ed alla complicità dell'Europa che ha armato l'Abissinia il loro triste servaggio; ma non vi è dubbio che qualora esse riuscissero ad unire i loro sentimenti e le loro forze non basterebbero neppure le armi degli abissini a mantener! e e a costringerle all'ubbidienza.

Non è possibile ora stabilire un'epoca anche approssimativa in cui tale paurosa eventualità potrà avverarsi, ma è necessario tenerla presente per non essere da essa travolti e per trame invece quei profitti che non abbiamo potuto strappare all'egemonia abissina.

In un mio successivo rapporto riferirò dettagliatamente a V. E. sullo stato presente delle relazioni fra l'Abissinia e le Potenze europee ed i problemi che maggiormente le interessano; invio intanto copia del presente ai Governi dell'Eritrea e del Benadir5.

448 2 Cfr. n. 409.

449

IL MINISTRO A PECHINO, BARILARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 454/165. Pechino, 5 settembre 1910 (per. il 21).

Il problema ferroviario cinese, il quale sembrava essersi avviato ad una soluzione relativamente rapida, mediante recenti contratti di prestito che, pur salvaguardando gli interessi della Cina, avevano dato modo al capitale ed al lavoro straniero di trovare proficuo impiego, è venuto da ultimo ad urtarsi contro sempre maggiori difficoltà, suscitate da un male inteso sentimento di patriottismo che sembra pervadere questo Impero.

Da qualche anno a questa parte infatti non è stato possibile ottenere dalla Cina alcuna nuova concessione ferroviaria e malgrado gli sforzi riuniti dell'Inghilterra,

5 Per la risposta cfr. n. 533.

della Francia, della Germania e degli Stati Uniti, il Governo cinese non si è ancora deciso a ratificare l'accordo preliminare che già aveva concluso con quelle Potenze circa il prestito per la costruzione delle linee Hankow-Szechuan e Hankow-Canton.

La piccola linea inaugurata or fa quasi un anno tra Pechino e Kalgan (123 miglia), costruita intieramente da cinesi con danaro cinese, sebbene costituisca un lodevole esempio, è però !ungi dal dimostrare che la Cina possa, in materia di ferrovie, fare da sé. Infatti malgrado gli entusiasmi e le dichiarazioni patriottiche delle provincie interessate, le sottoscrizioni per la costruzione della linea Canton-Hankow (822 miglia) hanno raggiunto cifre assolutamente derisorie, ed i lavori, che languirono sin dall'inizio, sono ormai completamente arenati e non potranno certo essere condotti a termine senza l'ausilio del prestito sopra accennato.

Prescindendo da qualche linea minore, compiuta od in via di compimento, dopo l'inaugurazione della ferrovia dello Yunnan rimane una sola grande linea in costruzione, la Tientsin-Pukow già aperta al traffico su una parte del tronco tedesco, e che potrà esser ultimata in due anni o poco più.

E' probabile che il Governo cinese, cedendo alle pressioni delle quattro Potenze interessate si rassegni a concludere il prestito per le linee Hankow-Szechuan e Hankow-Canton; ma quand'anche ciò avvenisse, che accadrà poi di tutto il rimanente sistema ferroviario progettato? Da parte cinese nulla si è fatto, fuorché ostacolare qualsiasi nuova domanda di concessioni mentre, pur eccettuando le linee di cui la costruzione incontra difficoltà d'ordine internazionale, rimarranno da costruire molte migliaia di chilometri di ferrovie di un interesse vitale per lo sviluppo del Paese.

Di fronte all'impossibilità di raccogliere in Cina gli enormi capitali necessarii, il Governo dovrà dunque tosto o tardi, imporsi all'opinione pubblica e ricorrerà aprestiti all'estero.

Nelle future costruzioni è sperabile che gli italiani avranno, come in passato, larga e proficua partecipazione, poiché la loro superiorità in tal genere di lavori è ormai riconosciuta da tutti: ma senza il concorso di capitali italiani, tale partecipazione si svolgerà forzatamente, come in passato, in una posizione di sott'ordine, mentre se il capitale italiano riuscisse a vincere la riluttanza dimostrata sinora e spingersi sino a questi lontani paesi, non sarebbe difficile assicurargli almeno la compartecipazione a qualche proficua impresa che renda possibile al lavoro italiano di svolgere la sua attività alla pari con quello delle altre Nazioni.

448 4 Cfr. n. 423.

450

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 968/278. Sofia, 6 settembre 1910 (per. il 13).

Il ritorno del re Ferdinando a Sofia dopo il suo viaggio a Cettigne, ritorno avvenuto ieri l'altro, mi dà occasione di accennare alle voci qui corse in tale circostanza, di effettivo riavvicinamento della Bulgaria al Montenegro a danno della Serbia, dove si sono espressi in alcuni ambienti politici ed in alcuni organi di pubblicità dubbi e timori al riguardo. Ritengo che l'articoletto del Den (giornale non ufficioso né di Governo ma, mi si dice, abbastanza autorevole), che qui accludo in traduzione', dia la nota giusta del significato di quel viaggio e ponga in giusta luce la futilità di quelle voci.

Quanto al malumore della Serbia ed alla ripercussione che può derivarne nei suoi rapporti colla Bulgaria, questo ministro di Serbia mi assicura che si è esagerato nel valutario, e che, se malumore vi è stato, esso ha trovato espressione in giornali ed in gruppi politici di scarsa importanza. Ciò non toglie che si possa, senza temere di andare errati, affermare che i rapporti fra Serbia e Bulgaria sono poco cordiali in questo momento. I falliti tentativi di accordi positivi hanno, com'era naturale, lasciato uno strascico di diffidenze alimentate da ciò che costituisce una differenza radicale fra la politica dei due Paesi verso la Turchia. La Serbia sembra difatti avere accettato lealmente il principio politico che ormai tutta l 'Europa ammette: che cioé la Giovane Turchia è un fatto compiuto e che anziché crearle ostacoli conviene !asciarle agio di svolgere la propria potenzialità, e cercare di intendersi con essa. In ossequio a tal principio la Serbia non ha esercitato azione alcuna sull'elemento serbo in occasione del disarmo delle popolazioni macedoni, e sembra in tutto intenzionata a vivere d'accordo colla Turchia. A simile fatalità sembra invece riluttante dal sottomettersi la Bulgaria, come lo provano i ben noti avvenimenti di questi ultimi tempi. Di qui una ben chiara divergenza di condotta che non solo rende e renderà difficili positivi accordi; ma non può mancare di rendere fredde le relazioni fra due Paesi che avrebbero numerosi e potenti motivi di intendersi intimamente.

451

IL CONSOLE A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

T. 3000/138. Canea, [7] settembre 1910, ore... (per. ore 0,55).

Faccio seguito al mio telegramma n. 1362. Circa Venizelos. Telegramma identico. Traduzione da/francese. Abbiamo fatto stamane a Venizelos la seguente dichiarazione della quale gli abbiamo lasciato i termini per iscritto: "Potenze protettrici pur astenendosi dal dare il loro avviso in un senso o nell'altro domandano al signor Venizelos di prendere una decisione immediata e lo informano che se accetta mandato legislativo in Grecia deve rinunziare ad ogni legame con Creta. Nel caso in cui accet

451 l Ed., con varianti ed in francese, in LV 106, p. 182. 2 T. 2560/136 del 5 settembre, non pubblicato.

tasse definitivamente mandato degli elettori ellenici consoli generali hanno istruzioni di interrompere senza indugio relazione ufficiale con lui." Egli ci ha risposto che non poteva pronunziarsi seduta stante; che desiderava intendersi con i capi partito per la formazione del Governo che gli sarebbe succeduto. Ha domandato poi un termine massimo di 48 ore di tempo per far conoscere se accetta il suo mandato in Grecia nel qual caso romperebbe tutti i legami ufficiali o politici con Creta (egli ha tenuto precisare così carattere dei suoi legami). Ha aggiunto che se non arriverà ad un accordo per la formazione di un Governo rinunzierà al mandato in Grecia e soltanto allora riprenderà direzione Governo cretese il quale fino a quel momento come avviene dacchè è partito in congedo continuerà ad esser retto dai due membri attuali del Comitato esecutivo. Gli abbiamo dichiarato che non avendo facoltà di concedergli il termine di 48 ore domandato non potevamo che trasmettere ai nostri governi la sua risposta (fine del telegramma identico). Circa Pologhiorghis. Avendo console generale britannico ricevuto istruzioni di fare, d'accordo coi colleghi, a Pologhiorghis dichiarazione scritta simile a quella di Venizelos facendogliela pervenire per mezzo delle legazioni ad Atene ad evitare un ritardo, tutti d'accordo abbiamo pregato il nostro collega francese nella sua qualità di decano del corpo consolare di trasmettere all'incaricato d'affari di Francia la nota verbale che venne all'uopo redatta, perché le dia corso non appena i quattro Governi abbiano fatto conoscere le loro decisioni.

La dichiarazione di detta nota contenuta, identica a quella fatta a Venizelos fino alle parole "deve rinunziare ad ogni legame con Creta", termina colla frase "pregando di metterei in grado (i consoli generali) di far conoscere la sua risposta ai rispettivi Governi ecc", inserita dietro mia proposta.

Nel caso VE. approvasse il mio operato, prego di volerne rendere edotto il conte Corinaldi. I tre altri cretesi in seguito alle nostre pratiche hanno oggi telegrafato al ministro dell'interno ellenico rinnovando puramente e semplicemente le fatte dichiarazioni di non poter accettare mandato di deputati dell'Attica. Comunico quanto precede r. ambasciatore a Costantinopoli e incaricato d'affari Atene.

450 l Non si pubblica.

452

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1526/654. Berlino, 7 settembre 1910 (per. il 10 settembre).

Da più di una settimana la coppia imperiale di Russia trovasi nel castello di Friedberg e già S.M. la Czarina, sotto la direzione del dottor Grote, ha intrapreso la cura prescrittale a Nauheim mentre lo czar in compagnia di solito del granduca di Assia fa escursioni nel Taunus o si riposa nella pace del castello dove la consorte ha passato gran parte della sua gioventù. Nulla ancora è stato deciso circa l'incontro dello czar con S.M. l'Imperatore Guglielmo. Tutte le voci sparse su questo argomento come pure quelle che facevano ritenere probabile un incontro dei due sovrani nel castello di Friedrichshof col re d'Inghilterra sono state smentite dalla Norddeutsche Allgemeine Zeitung la quale si è limitata a confermare lo scambio di telegrammi avvenuti tra i due sovrani al momento in cui lo czar poneva piede sul territorio germanico.

Questa apparente mancanza di sollecitudine dei due sovrani nel ricercarsi così poco naturale specie nello imperatore Guglielmo -dà luogo qui ai più svariati commenti. Dai più però si presta fede a quanto viene sussurrato da persone che per la loro posizione sono in grado di sapere come stanno realmente le cose, che cioè lo czar avrebbe espresso il desiderio di non turbare con feste e ricevimenti la cura intrapresa dalla consorte. Per quanto questo legittimo desiderio giustifichi il ritardato incontro, pure molti piccoli indizii di per sé di minima importanza confermano che la tradizionale cordialità intima, confidente, in passato esistita tra la casa degli Hohenzollem e quella dei Romanoff oggi ha molto sofferto sia in seguito al linguaggio non sempre prudente dell'attuale czarina sia soprattutto in seguito alla politica inaugurata dal signor Izwolski. Nonostante gli incontri dello czar con l'imperatore e le dichiarazioni ufficiali d'affettuosa amicizia il sospetto col quale qui si seguono le aspirazioni panslavistiche del signor Izwolski e il rafforzamento del sentimento nazionalista spinto dal signor Stolypin non può non gettare un'ombra fredda anche sui rapporti fra i due sovrani. Il desiderio generale di pace, la debolezza dell'esercito russo lasciano sperare che per del tempo ancora le ambizioni personali e il desiderio di successi nutrito dai governanti in Russia saranno frenati in modo da rendere possibile fra i due Paesi la continuazione di pacifici normali rapporti. Ma niente di più: almeno finché durerà il presente orientamento della politica estera russa.

Nella massa del popolo la presenza del sovrano russo sul suolo tedesco sarebbe passata inosservata se gli organi del partito socialista non avessero colto l'occasione per protestare in riunioni private contro l'autocrate o contro le straordinarie misure di polizia prese (a spese della cassetta privata del sovrano russo) a difesa della Sua persona. Ma anche l'eco di queste sparse proteste è oramai svanita: e tutto lascia sperare che la czarina potrà compiere senza sorprese e senza nuove emozioni la cura intrapresa.

453

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 3016/130. Addis Abeba, 8 settembre 1910 (per. ore 10,35) 1.

Condizioni Menelik migliorate. Situazione generale Etiopia normale. Conflitto ras Micael ras Oliè è attualmente periodo sospensione e sembra che Governo

etiopico, di fronte inutilità tentativi conciliazione Lui Seghed, ne abbia ora dato incarico a ras Uolde Ghiorghis e nutre fiducia che ras Oliè si induca più facilmente fare a quest'appello atto sottomissione.

453 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore 7,45.

454

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 777/253. Pietro burga, 9 settembre 1910 (per. il 16).

La conclusione dell'accordo col Giappone ed in generale l'azione efficace sviluppata in questi ultimi mesi dalla diplomazia russa nell'Estremo oriente ha sensibilmente rinforzata la posizione politica del signor Iswolsky presso l'opinione pubblica russa, sebbene sarebbe almeno ancora prematuro l'asserire che i gravi errori commessi da questo ministro degli affari esteri nelle varie fasi politiche che precedettero e susseguirono l'annessione della Bosnia ed Erzegovina che tanto dolorosamente colpì l'amor proprio nazionale dei russi, siano stati del tutto qui dimenticati. Sta di fatto però, che l'opinione pubblica russa, come lo attesta il linguaggio della stampa che meglio ne rispecchia le idee, pare ormai rassegnarsi alla permanenza a capo della politica estera russa di quel ministro, un tempo così impopolare; cosicché il signor Iswolsky, sorretto come è dalla fiducia del suo sovrano il quale del resto non ama affatto cambiare i suoi ministri e dall'amicizia personale dell'onnipotente presidente del Consiglio, potrebbe ora, se lo volesse, conservare ancora a lungo le attuali sue funzioni. È però assai dubbio che lo desideri. Il signor Iswolsky, le di cui condizioni di salute non sono, a quanto pare, troppo buone, aspira manifestamente a tramutare il portafoglio di ministro, che gli procacciò tante angosce, colla posizione più comoda e più lucrosa di un ambasciatore. La mancanza di ambasciate disponibili, od almeno di quelle che gli converrebbero od a cui egli avrebbe potuto convenire (vedi Vi enna o Berlino), aveva finora intralciato la realizzazione del suo sogno. Le allarmanti notizie che ora qui giungono sulla salute del signor Nelidow che lasciano prevedere prossima una catastrofe, hanno dato adito alle voci che corrono qui, con molta insistenza e non credo senza fondamento, che a rimpiazzarlo ali' ambasciata di Parigi sarà chiamato, fra breve, l'attuale ministro degli affari esteri.

Colla stessa insistenza quelle stesse voci già designano a successore del signor Iswolsky l'attuale suo aggiunto, signor Sassonoff. A mio avviso ed a quello di tutti i miei colleghi la scelta non potrebbe essere migliore. Il signor Sassonoff, anche senza essere dotato di straordinario ingegno, possiede al più alto grado quelle qualità di tatto e di moderazione e quella malleabilità che, specie nel momento di raccoglimento che forzatamente attraversa la Russia, credo specialmente si addicono a chi è chiamato a dirigere la politica estera di questo Paese. Il signor Sassonoff ha poi il grande vantaggio di essere molto ben visto dai suoi dipendenti della carriera diplomatica russa che non nutrono invece per l'attuale titolare sentimenti di soverchia simpatia. Ad un punto di vista più strettamente italiano la nomina del signor Sassonoff non potrebbe essere accolta che con viva soddisfazione. Al pari del signor Iswolsky, egli è un sincero ed un provato amico del nostro Paese. Come ebbi a dirlo più volte in questi carteggi, per quanto cominci lentamente a farsi strada nell'opinione pubblica russa la coscienza dell'identità di interessi politici dei due Paesi e dell'opportunità quindi di mantenere con noi buone relazioni, il riavvicinamento italo-russo non è però assiso ancora su basi abbastanza solide per poter fare completa astrazione dalle disposizioni personali di chi è chiamato a dirigere la politica estera di questo Impero. La nomina del signor Sassonoff costituirebbe per ciò per noi un pegno sicuro per l'avvenire dei nostri buoni rapporti colla Russia.

455

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, SPANÒ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1014/413. Tripoli di Barberia, Il settembre 1910 (per. il 15).

Faccio seguito al mio rapporto riservato in data 7 corrente n. 4111.

I passi fatti dal signor Gutowsky e da Mustafa ben Zikri presso i membri della costituenda Società dei fosfati, per indurre i più timidi a mantenere la loro adesione, hanno ottenuto qualche risultato. Ma la maggior parte tra essi, demoralizzata dopo i fatti del due corrente, è ancora più scoraggiata per la partenza del valì favorevole alla impresa.

Il Gutowsky continua a agire con la massima alacrità, ma pensa che oramai tutto dipenderà dai propositi del nuovo governatore.

Egli è di avviso che, in presenza del rincrudito movimento ostile alla concessione, dovrebbe evitarsi ogni azione ufficiale a Costantinopoli, e procurare invece di influire indirettamente presso il ministro dell'interno, e per quel tramite interessare il nuovo governatore a risolvere la grave questione.

Secondo informazioni di un ufficiale ottomano da poco arrivato da Costantinopoli, il nuovo governatore avrebbe avuto ordine di ritardare la sua partenza per Tripoli, sino a che Husni Pascià non avrà lasciato questa residenza. Questa circo

stanza, se vera, lascierebbe sospettare, parmi, che la politica del nuovo governatore sarà per essere, forse, molto diversa da quella del suo predecessore.

I giornali locali di questa settimana traggono occasione dalla fallita riunione del 2 corrente per insistere sul solito argomento delle presunte nostre aspirazioni politiche sulla Tripolitania.

455 l R. l 007/4 I I, non pubblicato, relativo ad una riunione convocata dal valì sulla questione dei fosfati.

456

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE AD ADEN, PIACENTINI, AL COMANDANTE DELLA R. NAVE "PIEMONTE", [CAVASSA]

L. 6671. Aden, 11 settembre 1910.

Mi pregio informare la S.V. intorno alla situazione politica attuale della Somalia settentrionale e specialmente del Sultanato dei migiurtini.

l) Nel marzo scorso, dopo più di un anno di non buone relazioni tra il sultano Osman Mahmoud e il R. Governo, si addivenne in Hafun, tra questo consolato e il sultano stesso, a un accordo (di cui mi pregio trasmettere copia a V.S. con preghiera di restituzione), mediante il quale le questioni in corso venivano appianate, in vista specialmente della futura istituzione delle residenze italiane in Migiurtina, istituzione che il sultano accettava con piacere, contrariamente a quanto aveva manifestato in precedenza. La ragione di queste migliori disposizioni di Osman Mahmoud per le nostre residenze, deve ricercarsi nell'esempio di Obbia, di cui son noti ai migiurtini i vantaggi riportati dal sultano Yusuf Ali, sin dali' epoca dell'insediamento del residente italiano nel suo Paese.

2) La ragione principale per cui il R. Governo considera utili e necessarie le residenze italiane in Migiurtina è la seguente: che occorre organizzare e disciplinare le forze sparse e disordinate dei somali migiurtini, nell'intento di metterle in grado di resistere alle incursioni mulliste, e, al caso, di attaccare i dervisci seguaci del Sayed Mohammed ben Abdullahi, approfittando, anche, del non florido periodo che, come vedremo, il mullismo sta attraversando. A questo si aggiungono altri importanti motivi che giustificano l'urgenza dell'invio dei nostri residenti nel protettorato, e cioè: studio del paese e degli abitanti; servizio informazioni; inizio di una lenta opera di penetrazione che dovrà e potrà meglio svilupparsi quando, conosciuti bene l'indole delle popolazioni, il territorio e la sua potenzialità, il R. Governo rivolgerà alla Somalia settentrionale parte delle attività politiche ed economiche che ora sono giustamente quasi per intero assorbite dalla Somalia meridionale.

456 I Si tratta di una copia, priva degli allegati.

3) L'istituzione delle residenze, però, che (in base a istruzioni ministeriali e all'accordo di Hafun sopra citato) avrebbe dovuto aver luogo in questi mesi, cioè alla ripresa delle comunicazioni con la Somalia del nord, ha dovuto essere ritardata per un fatto sopravvenuto all'accordo di Hafun: l'evacuazione dell'interno del Somaliland britannico da parte delle truppe regolari inglesi.

Sono note le polemiche che questo avvenimento, che parve a molti una non lodevole capitolazione degli inglesi di fronte al persistente fenomeno mullista, suscitò nella scorsa primavera, gettando l'allarme nelle popolazioni somale e nelle Nazioni che avevano contatti politici e coloniali con le regioni evacuate.

I prognostici pessimisti che allora si fecero non si sono avverati: le tribù protette e armate dall'Inghilterra hanno provveduto egregiamente (fino ad ora) alla loro difesa, infliggendo anche una grave sconfitta, nel maggio scorso, a Balliwein, ai bagheri, che erano i sostenitori più efficace del Sayed Mohammed Abdullahi.

Non è ancora tuttavia il caso di cantare vittoria e di proclamare (come forse con eccessivo ottimismo fa il generale Manning, governatore del Somaliland britannico, attualmente in licenza a Londra) che, i bagheri essendo distrutti, (sic)2 la potenza del Mullah è finita e nulla vi è più da temere da lui e dai suoi seguaci.

Ognuno sa come sia difficile poter trarre conclusioni di carattere generale dagli avvenimenti che confusamente si svolgono nella Somalia settentrionale (Migiurtina, Somaliland) e nel territorio quasi completamente sconosciuto degli Ogaden.

È innegabile che il mullismo, specialmente dopo la diffusione tra i somali della lettera di riprovazione dello sceik Mohammed Saleh della Mecca, ha subìto un colpo dal quale non gli sarà facile riaversi.

Nel bollettino d'informazioni di questo consolato (che metto a sua disposizione) V. S. potrà verificare lo svolgersi lento ma continuo di avvenimenti, di maggiore o minore importanza, che, da un anno in qua, vanno definendo chiaramente l'azione dissolvitrice del mullismo come fenomeno di fanatismo religiosopolitico, che la nota lettera ha compiuto e compie tuttora in mezzo ai dervisci.

Altri due fattori hanno efficacemente contribuito a diminuire in modo sensibile il potere già formidabile del Mullah: il mancato rifornimento di armi e specialmente di munizioni, e l'armamento delle tribù somale e inglesi e del Sultanato di Obbia.

Il mancato rifornimento di armi e specialmente di munizioni si è ottenuto mercè il sequestro dell'unico sambuco del Mullah, operato nell'ottobre 1908-dai nostri regi sambuchi; e mercè l'attiva opera di sorveglianza contro il contrabbando delle armi esercitata a Mascate e nel Golfo Persico dalle autorità marittime inglesi.

L'armamento delle tribù protette dall'Inghilterra ha già avuto (come si è visto sopra) felici conseguenze, sia dirette, per le vittorie riportate dagli Ornar Mahmoud sui bagheri, che indirette, per la cessazione di razzie da parte dei seguaci del Mullah.

Egualmente l'armamento del Sultanato di Obbia ha persuaso il Sayed e la sua gente dell'inutilità di pensare a una calata sul Benadir (eventualità ammessa

fino allo scorso anno) e ha così provveduto efficacemente alla difesa del Sultanaio non solo, ma anche nella frontiera nord-orientale della nostra Colonia.

Se a questi fattori di indebolimento, che potrebbero dirsi artificiali, uno se ne aggiunga, che potrebbe chiamarsi naturale, e che consiste nella disastrosa condizione in cui si trovava fino a un mese o due fa il bestiame del Mullah a causa della mancata stagione delle piogge nel basso Nogal, si comprenderà come l'affermazione surriportata che «il mullismo attraversi un difficile periodo», sia esattamente corrispondente alla verità.

4) E una riprova di ciò si ha nel fatto che il Sayed Mohammed ha recentemente, con tutto il suo campo, lasciato Illig, per avanzare gradatamente verso il territorio politicamente britannico. Le ultime notizie sicure attestano della presenza del Mullah a Caolo (Nogal -presso Halin) e di quella del suo bestiame nella vallata fertile di Haisamo, che si estende tra Halin e Hudin, entro i confini del Somaliland inglese. A Illig, sede, finora, del Mullah e dei suoi, sembra non siano rimasti a guardia che cento o centocinquanta dervisci, armati parte di fucile e parte di lancia. Le ragioni di questo spostamento del campo del Mullah sono principalmente le due seguenti:

a) Ragione politica -Il Mullah è perfettamente conscio del suo diminuito prestigio c del suo scemato potere tra i somali. La sconfitta dei bagheri deve averlo seriamente preoccupato. I rinforzi del Sultanato di Obbia, oltre a precludergli la via del sud, gli hanno fatto capire che anche in Migiurtina il Governo italiano avrebbe esercitato una politica più attiva e più vigilante, beninteso ai danni del Mullah stesso.

Le relazioni con l'Abissinia, tentate dal Mullah fino dall'anno scorso, quando il degiacc Balcià era governatore di Harrar e quindi della regione degli Ogaden, non sembra vogliano proseguire con successo, ora che al Balcià è succeduto il degiacc Tafari, e che una frazione dei bagheri, staccatasi dal resto della tribù tìn da prima della sconfitta di Balliwein del maggio scorso, ha intavolato direttamente trattative di amicizia e di pace col Governo etiopico, trattative di cui, a tutt'oggi, non sono noti risultati.

Il Mullah, dunque, per tutti motivi esposti, si è trovato isolato c ha compreso che continuare nell'inazione avrebbe veramente segnato la fine totale del suo prestigio e del suo potere già scossi. Allora ha deciso di agire e, abbandonando il suo campo di lllig, si è spostato (come abbiamo detto sopra) fino a Càolo, in pieno Somaliland, non mancando di fare avvertire ai somali protetti inglesi che egli, il Sayed, non era morto (come aveva riferito una voce diffusasi in Somalia e anche in Aden), ma -vivo e sano -si riprometteva di far avere presto notizie di sé ai dolbohanta e agli Ornar Mahmoud, autori principale della disfatta dei bagheri a Balliwcin.

b) Ragione economica -L'altra ragione dello spostamento del campo del Mullah verso l 'interno del Somaliland è la cattiva condizione del bestiame, dovuta. come si è visto, alla siccità di quest'anno nel basso Nogal. Cavalli, vacche, pecore e cammelli morivano di fame c di sete: sicché, anche indipendentemente da qualsiasi altro motivo, è stato giocoforza, per i dervisci, guidare il bestiame verso regioni di pascolo e di acque.

5) Perché le tribù armate dagli inglesi non abbiano ancora assalito il Mullah a Caolo, approfittando della attuale sua debolezza, non è noto. Recatomi personalmente a Berbera per esaminare la situazione, (in seguito alla falsa notizia data dalla Reuter dell'avanzata del Mullah a Buraò, e della fuga delle tribù protette), ho avuto dalle autorità inglesi e dai capi somali da me interrogati la seguente spiegazione: « Le tribù amiche dell'Inghilterra (dolbohanta e migiurtini -issa e Ornar Mahmoud) non considerano più -per i noti motivi -il Mullah come un nemico da temersi in modo speciale. Perduto il carattere religioso, egli è divenuto un capo qualsiasi, con l'aggravante che la sua caduta dali'elevata situazione morale in cui per tanti anni si era trovato, lo ha additato al disprezzo, tanto che abbastanza comunemente a Berbera e anche nell'interno del Somaliland egli viene ora chiamato il rinnegato. Lo spostamento del campo dervisci verso il Somaliland non ha causato presso i so mali quell'impressione che può aver fatto a noi stranieri, abituati a considerare le varie regioni della Somalia come nettamente separate dai confini politici da noi segnati idealmente.

Nel territorio dove ora pascolano i cammelli e cavalli del Mullah (confinante col territorio politicamente chiamato del Nogal, nella Somalia italiana) non si trovavano altri animali ai quali il sopraggiungere del bestiame dei dervisci potesse portare nocumento. Cosicché i dolbohanta e i migiurtini inglesi non hanno creduto di dover assalire il Sayed e i suoi seguaci fino a che questi non ne avessero loro offerta l'occasione. Se però il Mullah avanzerà ancora e cercherà di approfittare del mese di Ramadam (come altre volte ha fatto) per avere ragione dei suoi avversari in un momento in cui il digiuno diurno e la mancanza del sonno li rendono più deboli, essi -preparati -non esiteranno a combattere il Mullah e i dervisci cercando di finirli per sempre (to destroy them), come mi ha scritto in Berbera l'audace capo degli Ornar Mahmoud, Ornar Dorc, vincitore dei bagheri a Belliwein».

6) Da quanto precede, appare quale sia attualmente la situazione morale e politica del Mullah di fronte alle popolazioni e, quindi, ai governi con i quali egli può venire a contatto.

Appare anche come -a malgrado della provata diminuzione del prestigio e del potere effettivo del Sayed, il fenomeno del mullismo, su cui è sempre imperniata la questione politica della Somalia del nord, non possa, seriamente, considerarsi come scomparso.

Conseguenza di ciò: la necessità (pur mantenendo il principio sopra esposto, della urgenza dell'istituzione di residenze italiane in Migiurtina) di non esporre a pericoli possibili i nostri futuri residenti, e di studiare perciò con maggiore ponderazione l'istituzione di residenze sufficientemente fortificate che diano garanzw di relativa sicurezza degli ufficiali che saranno destinati ad occuparle.

Mentre il R. Ministero degli esteri e S. E. il Governatore della Somalia italiana provvederanno allo studio per la concreta preparazione politico-economicomilitare delle residenze in parola, questo r. consolato dovrà mantenere frequenti contatti col Sultanato dei migiurtini, per raggiungere in parte gli intenti che il R. Governo si prefiggeva con il progettato invio di residenti fissi sulla costa. S. E. il Senatore De Martino, da cui dipende politicamente e amministrativamente la Somalia del nord, impartiva appunto a questo r. consolato tali istruzioni con le seguenti parole: «Ii divisamento della S. V. di recarsi con una r. nave sulla costa, e mantenere le relazioni e gli accordi convenuti, può tener luogo della ritardata creazione delle residenze». La nostra politica in Migiurtina dev'essere «politica di osservazione e di propaganda, oculata e vigilante».

Questa politica -per speciali condizioni geografiche -sarà «eseguita» dal consolato di Aden, che «avrà a sostegno» l'azione delle regie navi di stazione nel golfo di Aden e nell'Oceano Indiano al nord di Ras Hafun.

7) Occorre quindi, dopo avere dato uno sguardo generale alla situazione politica della Somalia del nord, specie riguardo al mullismo, e prima di entrare in qualche dettaglio riflettente lo svolgimento della succitata politica di propaganda e di osservazione, che io illustri brevemente alla S.V. lo stato attuale interno del Sultanato dei migiurtini, che quello che più particolarmente ci interessa.

Come è noto, su gran parte della Somalia del nord che va sotto il nome di Migiurtina, il sultano Osman Mahmoud, dellafachida (frazione) dei ba-dher (che, approssimativamente, potrebbero venir definiti gli aristocratici della regione) esercita un potere più nominale che effettivo. Padrone dei paesi di Bargall e di Bereda, gode di grande prestigio anche in Bander Bela, Hafun e Bander Cassim, nel quale ultimo villaggio risiede il fratello del sultano stesso, Ahmed Mahmoud detto El Tager (il mercante), uomo mite e fino ad ora devoto e favorevole agli italiani. In tutti gli altri paesi della costa, e più specialmente in quelli dell'interno, il sultano è conosciuto come il virtuale capo dei migiurtini, ma non ha sulle popolazioni nessuna -o quasi -diretta ingerenza.

In base a questo stato di cose, il R. Ministero degli esteri autorizzò l'anno scorso questo consolato a iniziare una politica così detta «dei capi», mediante la quale il consolato stesso doveva entrare in contatto con i singoli principali capi dei paesi delle tribù migiurtine, direttamente, invece di rivolgersi esclusivamente al sultano, nelle varie occasioni di visite sulla costa, come sino allora si era fatto.

Tale politica portò al buon risultato che molti capi migiurtini, che prima ignoravano o quasi l'esistenza del Governo italiano o ne sospettavano erroneamente le intenzioni, si avvicinarono con fiducia e con riconoscenza a questo consolato, il quale ha potuto così, nel breve periodo di meno di due anni, compiere opera di utile propaganda e osservazione in una regione che ci era (e lo è del resto tuttora) quasi interamente sconosciuta, non solo geograficamente ma anche riguardo alla popolazione, ai suoi caratteri, alle sue disposizioni più o meno favorevoli verso una graduale penetrazione europea del suo paese.

Sul principio il sultano non vide di buono occhio che tra il consolato e i capi migiurtini si stabilissero relazioni dirette e che questi ultimi ricevessero anche dal R. Governo piccoli assegni mensili in danaro.

Poi però, in seguito anche all'intervento del fratello su ricordato, Ahmed Mahmoud El Tager, il sultano finì per accettare senza opposizione la nuova politica italiana nel Sultanato, che ebbe infatti sanzione piena ed efficace nella su citata convenzione di Hafun, del 6 marzo 191O, articoli 4-5.

Su un punto delicato di questa politica, che sarà ancora continuata in Migiurtina, mi occorre richiamare l'attenzione della S.V. ed è il seguente.

Si è detto sopra che il sultano Osman Mahmoud non ha -sul territorio del Sultanato -che un potere relativo, tanto vero che il R. Governo ha creduto di rivolgersi direttamente ai vari capi migiurtini, per poter dire veramente di avere iniziato un'azione di reciproca conoscenza tra il R. Governo stesso e le varie tribù nostre protette.

Or bene -se questo è vero e risponde a una situazione di fatto, non è men vero che, nella valutazione delle conseguenze di questa situazione politica -occorra procedere con molto tatto per non provocare -a seconda che si ecceda da una parte piuttosto che dall'altra -il risentimento e la ribellione di chi si veda o si creda maltrattato od esautorato. Occorrerà dunque che chiunque venga -per ragioni del suo ufficio -a contatto col sultano o con qualsiasi altro capo somalo, mostri di sapere che, mentre per il R. Governo il sultano è il capo riconosciuto e rappresentante naturale di migiurtini, il R. Governo stesso, conscio della libertà di cui i capi paese godono nel protettorato, ha voluto e vuole con essi avere relazioni dirette, le quali però non debbono né possono venire interpretate in senso ostile o comunque sfavorevole al sultano stesso.

8) Ciò premesso, informo VS. che la situazione nel Sultanato era -lo scorso maggio -delle più tranquille e rassicuranti.

L'evacuazione del Somaliland per parte delle truppe regolari inglesi, se poteva aver destato preoccupazioni nel R. Governo centrale e nel Governo della Somalia italiana per la possibilità di conseguenze dannose pel nostro protettorato, non aveva avuto, nel Sultanato, che una lievissima ripercussione. Nei paesi più lontani, anzi, come Alula, Bender Meraja ecc., quasi non ne era giunta la notizia. Durante i mesi di estate, scarse sono state le comunicazioni di questo r. consolato con la costa Migiurtina. Da lettere, però, giunte recentemente da Bander Cassim, dove risiede in permanenza un nostro informatore indigeno (che è uno degli interpreti del r. consolato) risulta che la pace non è stata turbata, e che solo piccoli incidenti sono avvenuti tra tribù e tribù e anche tra sultano e capi paese, incidenti inevitabili, specialmente in paesi come questi della Somalia del nord, dove la popolazione è quasi costantemente disoccupata ed oziosa. Uno di questi incidenti, però, avendo avuto per oggetto la bandiera nazionale, occorre che io dica a V. S. il mio pensiero -in seguito alle istruzioni verbalmente per iscritto avute da S. E. il Governatore della Somalia italiana -intorno alle questioni che in occasione della bandiera stessa possono sorgere. (Premetto che quanto segue, a riguardo della questione della bandiera, ha carattere provvisorio che il sottoscritto chiederà al riguardo istruzioni definitive a S. E. il Governatore).

S.E. il Senatore De Martino, nel suo ordine di servizio datato da Aden addì 21 aprile 191 O, scrive: «È mia ferma volontà che non sorga alcun incidente che possa vincolare la nostra azione o far nascere responsabilità non provvedute». Nelle istruzioni a questo r. consolato, poi, datate da Bardera, addì 17 agosto u.s., aggiunge: «Nessun funzionario né civile né militare ha il diritto di volere una politica che non sia quella del proprio Governo, e la responsabilità alla quale andrebbe incontro sarebbe assai grave, quando egli desse occasione ad offese che potrebbero, a discapito del nostro prestigio, andare poi impunite».

Da queste parole -benché non si parli in esse della bandiera in special modo -chiara appare quale debba essere, in argomento, la nostra linea di condotta.

Occorre rammentarci sempre che siamo in un paese primitivo, dove le nozioni anche più elementari del vivere civile c sociale sono da tutti ignorate. Il pretendere che in ogni villaggio sparso sulla lunga costa migiurtina venga inalberata la bandiera italiana non è -oggi -di nessuna utilità per noi, mentre può dar luogo -per le dubbie significazioni che i somali possono dare all'imposizione della bandiera da parte nostra -a quegli incidenti che S.E. il Governatore intende nel modo più assoluto che vengano evitati.

Gli inglesi -anche prima di evacuare l'interno del Somaliland -non tenevano la bandiera che nelle località dove risiedesse un funzionario governativo: così, a Las Gorè, dove non v'erano funzionari, non vi è mai stata bandiera.

Credo quindi che la giusta interpretazione del pensiero di S. E. il Senatore De Martino, in relazione alla questione della bandiera, debba essere la seguente: la bandiera nazionale dovrà essere inalzata sulla casa del sultano a Bargall e su quella dei capi paese nei villaggi di Bander Cassim, Alula e Hafun; nei punti, cioè, dove le relazioni col Governo italiano sono maggiormente sviluppate, e dove risiedono, sia pure imbarcati sui regi sambuchi, ufficiali o sottufficiali italiani. Se i capi dei pochi altri villaggi cui alle regie navi è stata consegnata la bandiera, all'avvicinarsi di detta nave e dei regi sambuchi la inalbereranno, sarà segno della benevola fiduciosa attitudine della popolazione migiurtina a nostro riguardo.

In questi stessi villaggi (o ve la bandiera non venga inalzata) e in quegli, ai cui capi non è mai stata consegnata, penso che -in armonia con quanto sopra nessuna azione di imposizione debba esercitarsi.

Si intende che, quando nei paesi suddetti di Bargall, Hafun, Bandar Cassim e Alula e in altri che abbiano spontaneamente alzato la bandiera, questa, poi, venga a subire affronti ed offese, le regie navi presenti dovranno agire secondo le necessità eccezionali del momento, provvedendo -come indica nelle istruzioni succitate S. E. il Senatore De Martino -«a tenere alto il prestigio del!' Italia».

9) Venendo ora a maggiori dettagli riguardo all'azione che dovranno svolgere nelle acque della Migiurtina la r. nave «Piemonte» e i regi sambuchi, mi rimetto innanzi tutto all'ordine di servizio e alle istruzioni suddette di S.E. il Senatore De Martino, che debbono servire di guida per l'opera concorde delle regie navi e di questo consolato nello svolgimento della politica italiana nel protettorato somalo.

Per quanto riguarda la dislocazione dei regi sambuchi sui vari punti della costa, ringrazio V. S. della comunicazione fattamene, e le esprimo al riguardo la mia piena approvazione. È infatti indubitato che la presenza di quattro sambuchi in Hafun era superflua, data la difficoltà di movimento di dette navi nel! 'Oceano Indiano. Rimaneva inoltre completamente abbandonata la costa migiurtina del Golfo di Aden, dove pure sono i centri più importanti e più frequentati della regione e dove i nostri interessi cominciano ad essere maggiormente determinati.

I nostri regi sambuchi -dislocati lungo la costa -potranno compiere, oltre ad un utilissimo servizio di informazioni, quell'efficace opera di studi e di propaganda che S. E. il Governatore ha indicata come uno dei precipui scopi da raggiungersi attualmente nella Somalia del nord. La r. nave «Piemonte» recandosi frequentemente sulla costa, visitando il sultano e capi paese, completerà l'opera, fornendo le superiori autorità di informazioni ed osservazioni che saranno utilissimi per la preparazione della nostra futura azione diretta in Migiurtina.

Sarò grato a V.S. se facendo conoscere quanto sopra al personale dipendente che dovrà esercitare un comando nei vari paesi della costa -vorrà aggiungere che occorre ricordare:

l) che la Migiurtina è un protettorato, in cui nessuna autorità italiana deve avere ingerenze riguardo a questioni di carattere interno, specialmente economico;

2) che la base della nostra politica è e vuole essere quella della pace col Sultanato e nel Sultanato, e che quindi non solo bisognerà evitare ogni incidente, ma bisognerà anche -per quanto possibile -fare opera di pacificazione fra i vari paesi, inspirando e predicando il concetto della necessità della unione fra le varie fachide o frazioni della Migiurtina, al duplice scopo: a) di convincere il Governo italiano della sicurezza di cui godranno nel paese i futuri residenti, e di persuaderlo, quindi, a istituire quelle residenze che saranno per la Migiurtina fonte di benessere c inizio di vita nuova; b) di mettere il sultano in grado di resistere vittoriosamente al comune nemico, che è il Mullah, apponendogli non più scarsi isolati e disorganizzati nuclei di avversari, ma corpi compatti, e consci della loro forza.

Arrivare a cementare questa unione tra le varie parti della Migiurtina, cui dovrà seguire l'unione con le altre parti della Somalia anche non italiana, è lo scopo che S.E. il Governatore ci indica di raggiungere.

Ciò sarà tanto più facile quanto più uniti saranno gli intenti, più concordi le volontà, più all'unisono le conoscenze e gli apprezzamenti dei luoghi e delle persone.

Tutto quanto precede deve servire alla S.V. -e, per mezzo della S.V. -al personale da lei dipendente -come indicazione generale delle condizioni attuali della Somalia del nord e in ispecie della Migiurtina, e delle direttive alle quali tanto le regie navi quanto il r. consolato debbono inspirarsi nello svolgimento del programma politico di S.E. il Governatore della Somalia.

Per quel che riguarda le speciali istruzioni delle singole residenze dei regi sambuchi (Bander Cassim, Alula e Hafun) mi pregerò inviarle al più presto a VS. in altrettanti rapporti separati.

Accludo, infine, per opportuna conoscenza di V.S., un elenco dei capi paese stipendiati da questo r. consolato.

456 2 Il sic è stato apposto dal redattore del documento con riferimento alla parola distrulli.

457

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, CORINALDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1117/579. Atene, 12 settembre 1910 (per. il 19).

Sono stato cortesemente informato in via del tutto confidenziale che il Governo ottomano ha proibito la istituzione in Janina di una succursale della Banca di Atene ed ha deciso di non ammettere d'ora innanzi che altre succursali della Banca in parola siano stabilite nell'Impero.

Mentre mi affretto a comunicare quanto precede a V.E. riservandomi di attingere ulteriori informazioni anche ad altre fonti, ...

458

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 393/152. Teheran, l 2 settembre 1910 (per. il 10 ottobre).

Oggi nel corso della conversazione cui ho fatto cenno in altri miei rapporti di questa data, il ministro di Russia mi ha detto che da molti indizi ed informazioni era indotto a ritenere che nubi minacciose si vanno addensando su l'orizzonte europeo. A tale proposito egli ha accennato agli ultimi discorsi dell'imperatore Guglielmo ed alla significativa ubicazione delle grandi manovre dell'esercito germanico. Da vaghe allusioni allo stato degli armamenti di certe Potenze ho compreso che questa materia è oggetto di minuta, diligente, interessata speculazione del suo Governo. Lo stesso personaggio mi ha aggiunto, senza farmene il nome, che la Germania raggiunto l 'apice della sua preparazione militare, mostra di essere impaziente di valersene e che un conflitto europeo si prepara a scoppiare assai prima di quanto non si pensi o desideri.

Il senso di questa ultima frase e la nota di preoccupazione che caratterizzava quei confidenti apprezzamenti, ha poi spiegato il seguito del discorso laddove toccando della situazione presente della Russia di fronte ad un tale stato di cose, mi è occorso di apprendere dalla medesima bocca che quella Potenza è tuttavia impreparata militarmente e che per quanto grandi siano i suoi sforzi per porsi in grado di sostenere un conflitto armato, ad essa è necessario ancora del tempo per conseguire sì fatto fine. In Russia si lavora alacremente ed indefessamente, ma le disavventure dell'ultima guerra avrebbero lasciato solchi troppo profondi da colmare. Essere perciò vitale interesse di quel Paese che se una guerra abbia ineluttabilmente a scoppiare ciò avvenga al più tardi possibile. Quelle appunto che si vorrebbe evitare dal temuto avversario cui invece conviene non si perda tempo.

Mentre mi faccio uno scrupoloso dovere di riferire a V.E. tali ragguagli a titolo di semplice confidenziale informazione, sono dolente non mi sia dato qui di raccogliere indizi esatti a riprova del loro fondamento sostanziale. Senonché, più agevole mi riesce di rilevare qualche logico rapporto fra le cose dettemi dal ministro di Russia e l'atteggiamento da lui medesimo assunto e dal suo Governo seguito, specie in questi ultimi tempi nei riguardi della questione persiana.

Dopo lo scalpore menato per il preteso intervento del ministro di Germania negli affari interni della Persia in occasione dei fatti di Teheran del 7 agosto u.s., la legazione di Russia ha posto essa stessa come uno studio ad attenuarne le impressioni. Essa aveva immaginato che esagerando la portata ed il carattere dell'incidente sia con informazioni al suo Governo che ispirando direttamente la stampa russa, sarebbe riuscita, per lo meno, a provocare doglianze a Berlino e stringimento di freni all'attività vigile ed incomoda del conte de Quadt, del quale, come già dissi, si era persino sperato il richiamo. Tale scopo non solo ha fallito, ma in certo modo, il risultato dei maneggi è stato addirittura contrario. Il Governo di Pietroburgo si sarebbe mostrato, nella circostanza, assai più prudente e riserbato del suo rappresentante in Teheran, le intemperanze della Novaie Vremia e degli altri giornali russi, sconfessate dal Ministero degli affari esteri russo ed anche ultimamente, in parte, dalla sua legazione qui, hanno sollevato nella stampa germanica un'aspra reazione fomentata da una serie di comunicati ufficiosi non contrarii all'operato del conte de Quadt, ma stigmatizzanti la condotta della Russia in Persia, il fine non confessabile dell'atteggiamento della rappresentanza russa in Teheran nella circostanza del noto episodio crudelmente rilevato in Europa ed in Persia, il ministro di Germania rimasto al suo posto con i segni evidenti -a quanto qui risulta-della fiducia del suo Governo.

Fra tutto questo specialmente il risentimento dell'opinione pubblica germanica ed il contegno risoluto e chiaro del Governo tedesco non possono essere piaciuti al Gabinetto di Pietroburgo il quale, ho ragione di credere, non ha approvato il modo di agire del suo rappresentante a Teheran che pare sia andato impiegando ogni mezzo per attenuare le contrarie impressioni e i risentimenti nel locale ambiente avversario. Questa nota di prudente e conciliante contegno mi è occorso di rilevare anche in guisa più marcata nella questione della scelta degli agenti stranieri per le riforme persiane. L'Inghilterra e la Russia, senza rivelarlo palesemente, non volevano che l 'iniziativa del Governo dello scià potesse condurre ad un interessamento diretto della Germania e dell'Austria-Ungheria negli affari di Persia per mezzo della venuta, in veste ufficiale, di sudditi delle due Potenze. D'altro canto queste e particolarmente la Germania non potevano permettere l'esclusione sistematica, premeditata, assoluta dei loro funzionari. Alla Russia ed all'Inghilterra s'imponeva adunque di escogitare un termine medio conciliativo delle due opposte esigenze. Dapprima esse tentarono -pur accettando con profonda riconoscenza l'amichevole rinuncia dell'Italia alla proposta persiana-di giustificare l'eccezione a favore dei funzionari francesi, ma allorché compresero che questa poteva ugualmente far ombra alle Potenze concorrenti che si volevano, ad ogni costo, escluse, la Russia preferì rinunciare al suo disegno e si affrettò a fare a Parigi quei passi che nell'interesse superiore generale -per quanto indiretto -anche della Francia, è convenuto pure a questa di accogliere favorevolmente e con compiacente assentimento. Il contegno de!l'Italia non vi ha contribuito per poco.

Allorché per tal guisa questo rappresentante russo ha visto spianata la via al compimento del voto del suo Governo è parso come liberato da un gran peso. Tuttavia l'incubo che questa questione gli crea non sarà del tutto svanito se non quando il principio dell'esclusione di agenti di Grandi Potenze avrà interamente trionfato. Gli è perciò che, mentre non lo preoccupa l'approvazione da parte del Parlamento persiano della scelta dei funzionari francesi e degli ufficiali italiani perché sa che i due Governi sono decisi a declinare la richiesta che ne venisse ad essi fatta, non mostrasi soddisfatto della scelta di consiglieri finanziari nord-americani. Egli la considera a priori come contraria ai desideri ed agli avvenimenti espressi al Governo dello scià e quale tuttavia capace di fare ombra alla suscettibilità che si vuoi evitare di ferire. Constami pertanto che il ministro di Russia mostrasi ansioso di conoscere che cosa della eventuale venuta degli americani pensino il Governo germanico ed il suo rappresentante a Teheran. Egli vorrebbe accertarsi che essa non è riguardata ostilmente. Il conte de Quadt che dapprima, al pari degli altri, non ha creduto possibile quella scelta, è ora impenetrabile. Alle domande che gli sono state rivolte dal collega russo ha risposto di non conoscere tuttavia il pensiero del suo Governo. Ciò non è fatto per tranquillizzare interamente il signor Poklewsky, in merito ali 'azione del quale, circa la nuova fase della questione, riferirò altrove.

Mi sia invece qui concesso di manifestare quell'apprezzamento d'insieme che i fatti, le considerazioni e le circostanze esposti in questo rapporto sembrano suggenre.

La Russia tiene, in particolar modo, a svolgere il suo programma politicoeconomico in Persia, essa vuole -in quanto le è possibile e con tutti i mezzi a sua disposizione -affermare il suo predominio -!asciandone una parte minore e localizzata ali 'Inghilterra -in questa regione, ma vuole evitare pure, ad ogni costo, che in presenza della situazione generale europea c del suo stato di impreparazione militare ed economica, la questione persiana abbia a provocare attriti ed avvenimenti minacciosi. Essa teme -e con ragione -che ove la Germania si renda conto di ciò, possa profittare di qualsiasi pretesto per rafforzare la mano ed obbligarla a concedere più di quanto essa voglia accordare. Di qui l'atteggiamento guardingo e ponderato che sembra essersi imposto, nei riguardi della sua azione politica riguardo alla Persia, la diplomazia russa.

459

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO PARTICOLARE 1562. Berlino, 13 settembre 1910.

Ieri è venuto a farmi visita S.E. von Jagow, ambasciatore di Germania a Roma, qui di passaggio per recarsi sulle sue terre a godere il congedo concessogli. L'imperatore ed il cancelliere dell'Impero essendo assenti dalla capitale, egli non ha potuto vedere che il signor von Kiderlen-Waechter. Dalle conversazioni avute col segretario di Stato, il signor von Jagow mi ha detto aver avuto conferma della ottima impressione lasciata qui da V.E. sia nell'animo di Sua Maestà che in quello del cancelliere. Le notizie poi pervenute da Vienna al Dipartimento degli esteri, mentre mettono in rilievo il risultato soddisfacente dei colloqui di Salzburg, lasciano intravedere che il conte d'Aehrenthal ne ha tratta la stessa favorevole impressione. Il signor von Jagow mi assicurava poi essere egli stesso rimasto gradevolmente sorpreso dall'evidente miglioramento qui constatato nelle disposizioni sia della stampa che dell'opinione pubblica in generale verso il nostro Paese. Il signor von Kiderlen-Waechter si sarebbe espresso in termini di viva ammirazione verso di lei, non soltanto per la fiducia che E.V. pone nella Triplice Alleanza, ma anche per il coraggio col quale ella difende dinanzi al Parlamento i principi direttivi della sua politica estera.

Riassumendo, il signor von Jagow si felicitava meco che nessuna nube oscuri, nemmeno da lontano, le relazioni tra i due Governi e i due Paesi.

Avendo avuto poi oggi occasione di vedere il signor von Kiderlen-Waechter (che sono andato a salutare prima della sua partenza per Bucarest) parlandomi dell'incontro di Salzburg, mi ha detto di condividere pienamente la soddisfazione provata dal conte d' Aehrenthal in seguito ai colloqui avuti con V.E. e ha aggiunto che il signor von Bethmann-Hollweg aveva apprezzato moltissimo il pensiero gentile che aveva dettato il telegramma speditogli da Ischl, c che nessuno più del Governo Imperiale di Berlino si felicita dei buoni e cordiali rapporti fra Vienna e Roma.

Nel corso della conversazione il discorso essendo caduto sulle voci che con tanta insistenza sono riportate dalla stampa internazionale sulla pretesa adesione della Turchia alla Triplice Alleanza, il signor von Kiderlen-Waechter ha osservato non doversi dare a quelle voci alcun peso. «Né noi, né voi, né l'Austria-Ungheria», egli mi diceva testualmente, «potremmo ora stringere una simile alleanza con la Turchia. Anzitutto perché il regime attuale a Costantinopoli è ben !ungi dali'essere consolidato. Condizione prima per concludere una alleanza è di essere sicuri della vitalità della persona o del Governo con cui il patto vien stretto. Ora questo non è il caso nelle condizioni attuali della Turchia. Il regime inaugurato l'anno scorso a Costantinopoli è molto ma molto lontano dall'offrire garanzia di resistenza ai gravi mali interni che lo minano. In secondo luogo se noi o voi», egli continuava, «ci legassimo in alleanza con la Turchia e dalla medesima ci aspettassimo il concorso armato in caso di una guerra con la Russia (concorso che per la Germania sarebbe di grandissimo valore), evidentemente la Turchia, a sua volta, non potrebbe fare a meno di pretendere da noi uguale obbligazione per il caso in cui venisse attaccata dalla Russia. Ora, data che questa eventualità si verificasse e noi ci trovassimo di fronte alla necessità di dare esecuzione a un patto solennemente sottoscritto, io non vedo come sarebbe possibile indurre il popolo tedesco e l 'italiano a scendere in campo per battersi contro la Russia in aiuto alla Turchia. L'opinione pubblica si rivolterebbe. Del resto», concludeva il signor von Kinderlen-Waechter, «il giorno in cui noi avessimo una guerra contro la Russia -che Dio la tenga lontana -anche senza preventivi trattati di alleanza, siamo sicuri che le truppe turche muoverebbero contro quelle russe. Chiunque si trovasse a quell'epoca al Governo a Costantinopoli non sarebbe tanto cieco da non vedere che quella sarebbe l 'ultima buona occasione che si presenterebbe ali 'Impero ottomano per scuotere il peso che su di esso da secoli esercita la Russia».

Il signor von Kiderlen-W. finiva osservando che simili voci e sospetti di adesione della Turchia alla Triplice Alleanza non causavano pregiudizio a nessuno, anzi facevano piuttosto del bene e che quindi non metteva conto nemmeno di insistere troppo sulle smentite.

460

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R.l572/670. Berlino. 14 settembre 1910 (per. il 19 settembre).

Il soggiorno del signor Iswolski in un sanatorio nei dintorni di Francoforte sul Meno è oggetto di altrettanta attenzione da parte della pubblica opinione tedesca quanto quello di S. M. lo Czar nel castello di Friedberg. Anzi può constatarsi che i giornali tedeschi si occupano più delle visite che giornalmente riceve il ministro degli affari esteri russo che non delle persone che si recano presso il suo sovrano. Causa di questa maggiore attenzione è evidentemente il sospetto col quale qui tutti, a torto o a ragione, seguono i movimenti e l'attività politica del signor Iswolski. Il recente suo incontro a Monaco con gli ambasciatori di Inghilterra e di Francia a Vienna, il pellegrinaggio dei diplomatici russi al sanatorio dove egli abita, il suo colloquio col ministro degli affari esteri serbo, non fanno che aumentare questo generale sospetto di cui difficilmente potrebbe esser precisata la natura e la ragion d'essere. Perché, per quanto il signor Iswolski non possa essere annoverato tra i più clamorosi amici della Germania, pure non ha mai compiuto azioni decisamente ostili contro la Germania ed anche nei momenti per lui molto difficili i suoi rapporti col Gabinetto di Berlino e con l'ambasciatore germanico a Pietroburgo furono sempre corretti. Tuttavia il sospetto contro la sua politica qui è sempre vivo non solo nei nazionalisti ma nella maggioranza dell'opinione pubblica tedesca e pure nel Dipartimento degli affari esteri -alla testa del qu~le è venuto a trovarsi per l'appunto un segretario di Stato noto per la sua non eccessiva simpatia verso la persona del collega russo.

Mentre da varie parte vien ripetuto sempre prossimo il ritiro del signor Iswolski dalla direzione degli affari esteri dell'Impero russo, questa stampa rileva che l'attività politica presentemente spiegata da quel ministro difficilmente può conciliarsi con l 'intenzione che gli si attribuisce. Mai infatti quel ministro è stato tanto attivo come da quando si trova in territorio germanico.

In generale si ritiene che il tema principale dei colloqui da lui avuti sia la politica balcanica e la tendenza della Turchia ad accostarsi alla Triplice Alleanza, tendenza che, come è noto, in gran parte dell'opinione pubblica in Francia e Inghilterra considerasi come sintomo di fatto oramai compiuto, di accordi oramai sanzionati. Partendo da queste prevenzione, la stampa germanica, ne trae a sua volta, il sospetto di una più attiva ripresa della politica neo-panslavista nei Balcani da parte non solo della Russia, ma anche delle altre Potenze della Triplice Intesa. Contro questa ripresa e i pericoli che potrebbero derivarne per la pace europea, gli organi più seri i de li'opinione pubblica tedesca fanno affidamento sulle parole pronunziate dallo czar a Bjorko, alle assicurazioni allora date e poi confermate dai fatti della sua ferma intenzione di vivere in pace con i suoi vicini d'occidente. Se la salute della czarina permetterà un incontro tra il consorte e l'imperatore Guglielmo, queste assicurazioni saranno tra breve solennemente ripetute, ma non per questo verrà meno il sospetto col quale in Germania si segue l'azione politica del signor Iswolski.

461

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 561/164. Cettigne, 14 settembre 1910 (per. il 21).

E' stata notata anche da osservatori superficiali la parte preponderante avuta dalla Russia nella festività celebratisi qui ultimamente, in occasione del giubileo del re di Montenegro.

Nei discorsi, come negli atti, nelle riviste militari, nelle pubbliche cerimonie, nei ricevimenti, ed in ogni altra propizia circostanza venne messa in rilievo la posizione privilegiata della Russia nel Montenegro, né mancarono le frequenti ed esplicite, talvolta enfatiche, dichiarazioni che questo Paese è legato a quell'Impero da vincoli indissolubili di sangue, di religione, di antica tradizione, di gratitudine imperitura.

Tutte codeste manifestazioni, ora spontanee, ora provocate, non devono aver prodotto buona impressione a Vienna, dove si era contrariati, già prima delle feste, del contegno poco remissivo del Montenegro nelle trattative di parecchi affari più o meno importanti.

Parole lusinghiere, larghe promesse e proteste delle migliori intenzioni non furono seguite da fatti concreti, donde è nata una certa freddezza del Governo austro-ungarico verso il Montenegro, che io, a suo tempo, ho segnalato a VE. Ora si aggiunge, e non certo per diminuire tale freddezza, una specie di pubblica dimostrazione quasi ostentata del re, che si è dichiarato più che mai, in tutto e per tutto, alla Russia benefica e protettrice devoto.

Potrebbe essere casuale, ma così non è creduta, l'assenza del ministro austro-ungarico da Cettigne durante il periodo delle feste, cui parteciparono tanti altri personaggi. Il barone Giesl interruppe bensì il suo congedo per trovarsi qui quando vi erano i nostri sovrani, ma ripartì lo stesso giorno in cui le Loro Maestà lasciarono il Montenegro.

Non era e non poteva essere questo per lui il momento delle vacanze, e però, secondo ogni ragionevole supposizione, la sua assenza dal posto fu voluta dal suo Governo.

Potrebbe anche aver generato a Vienna un certo malumore la pomposa proclamazione del Regno di Montenegro, che si è rappresentata non come un semplice e formale cambiamento di titolo, ma come una restaurazione e resurrezione del vecchio reame dei Niemanja, non senza accenni ed allusioni cd idealità nazionali scrbe accarezzate, che ali' Austria non possono piacere.

462

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1014/289. Sojìa, 14 settembre 1910 (pa il 16).

Come ho avuto l'onore di annunciarlo a VE. nel mio telegramma di oggi stesso, n. 691, ho rimesso ieri a S.M. il Re dei bulgari le lettere che mi accreditano presso di lui in qualità di inviato straordinario e ministro plenipotenziario di

S.M. il Nostro Augusto Sovrano. Accludo copia del discorso da me pronunciato in tale occasione, nonché di quello che il re Ferdinando mi indirizzò come risposta2.

c Non pubblicati.

Terminata la parte formale della cerimonia, Sua Maestà mi invitò a sedere, ed, alla presenza del generale Papricoff ministro degli affari esteri, mi intrattenne per oltre mezz'ora.

Tema principale della conversazione fu l'Italia, il grande amore che Sua Maestà mi asserì di portarle, il suo dispiacere di non potervi ora soggiornare di frequente e a lungo, ed il ricordo dei membri della Casa Reale e dei numerosi personaggi politici e diplomatici italiani da lui conosciuti in diversi tempi.

Fra i primi accennò soprattutto al re Umberto, e mi descrisse con parole commosse il funerale di Sua Maestà, cui mi disse di aver assistito, ed alla Regina Madre che, ricordava egli con riconoscenza, fu fra le primissime persone a salutari o re per lettera. «Elle n'a pas attendu l es diplomates», soggiunse.

Fra i diplomatici italiani ricordò il Nigra, ed avendogli io detto che non avevo mai avuto la fortuna di servire sotto gli ordini di lui, egli rispose: «Oh moi j'ai beaucoup servi sous les ordres du comte Nigra». Del Visconti Venosta mi disse: «le crois que je l'effrayais un peu. Chaque fois que dans mes voyages je le rencontrais il me demandait: où allez vous cncore?».

Venutosi a parlare di VE., non intesi bene se egli mi dicesse di averla conosciuta personalmente; ma certo mi disse di conoscere la profonda intelligenza che la distingue negli affari esteri e di ritenere che ella sia un ministro perfettamente conscio dei proprii intenti e capace di realizzarli. «Il me semble que depuis que le marquis di San Giuliano est au pouvoir un souffle de jeunesse ait passé sur la Consulta»; e mi accennò indi al viaggio di V.E. a Salzburg e ad lschJ3. «N'est ce pas (mi chiese) le marquis est allé faire acte d'adhésion à la Triple Alliance?». Al che io risposi che di atto d'adesione non era il caso di parlare perché era ben noto a tutti che i diversi uomini di Stato che, in questi ultimi tempi, si erano succeduti alla Consulta, erano unanimi nel ritenere che la Triplice Alleanza dovesse essere c rimanere la base fondamentale della politica estera italiana. Che poi in ispecial modo il marchese di San Giuliano era e voleva essere ritenuto come convinto fautore di simile principio. Questa mia esplicita dichiarazione parve interessare in alto grado Sua Maestà che, circa colle mie stesse parole, la ripetè al ministro degli affari esteri, il quale assisteva silenzioso all'animato colloquio.

Nel congedarmi il re Ferdinando mi disse, sotto voce e senza che il generale Papricoff lo intendesse, che egli desiderava che io mi rivolgessi direttamente a lui ogni qualvolta credessi che il suo intervento potesse riuscirmi utile per gli affari che avrei da trattare. Questa dichiarazione fatta nei termini più espressivi, mi sembra rispondere al desiderio abbastanza noto di Sua Maestà di tenersi in rapporti diretti coi diplomatici esteri qui accreditati; e naturalmente non mancherò ali' occasione di valermcne, coi dovuti riguardi e cautele.

462 .1 Cfr. nn. 433, 436.

462 l T. 3074/69. non pubblicato.

463

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3101/239. Parigi, 15 settembre 1910, ore 20,30 (per. ore 23,15).

Prestito turco travasi stesso punto indicato con la maggiore preCisiOne nei miei ultimi rapporti e telegrammi e non ha fatto un solo passo innanzi. Hakki pascià che è ancora a Parigi continua a sperare in una soluzione favorevole mentre Pichon è irritatissimo per gli attacchi della stampa nazionalista turca, crede che non se ne farà nulla. Pichon non crede affatto alle notizie pubblicate dalla Neues Wiener Tageblatt di un progetto di alleanza tra la Turchia la Germania e l'Austria. Devesi quindi escludere assolutamente che questa sia la ragione della contrarietà del Governo francese pel prestito. Le ragioni di tale contrarietà sono sempre quelle già da me indicate a V.E. Pichon crede che Hakki abbia chiesto ad Aehrenthal in una forma vaga di tenere a bada i piccoli Stati balcanici ove attaccassero la Turchia e che Aehrenthal gli abbia dato qualche assicurazione ma informa ugualmente vaga e senza parlare affatto di alleanza e convenzione scritta.

464

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

D. 666. Roma, 15 settembre 1910.

Rispondo al suo rapporto n. M. riservato politico del 5 luglio scorso'.

Prendo atto con compiacimento di quanto V.E. mi riferisce circa gli accordi intervenuti col governatore del British-East-Africa per i lavori della commissione mista che dovrà esaminare le questioni di interesse dei due Paesi, Inghilterra ed Italia, nella valle del Giuba.

Pel raggiungimento di una più facile intesa sulle proposte che interessassero specialmente la nostra Colonia, richiamo all'E.V. i l contenuto del mio dispaccio

n. 451 del 14 giugno scorsoi dove facevo presente a V. E. l'opportunità che una nostra eventuale rinunzia a diritti e privilegi che ci sono riconosciuti nel sultanato di Zanzibar possa costituire oggetto di un negoziato do ut des che potrebbe assicurarci compensi più positivi e di pratico interesse nel bacino del Giuba.

Ho letto le istruzioni da lei date ai funzionari italiani che parteciperanno ai lavori della Commissione e le approvo; trovo però che in esse manca la parte relativa alla sistemazione della questione doganale pel transito tra Kisimaio e la nostra Colonia, sulla quale tanto insistette il Governo del re per ottenere che essa fosse compresa nel programma dei lavori, e di cui questo ministero scrisse a codesto Governo coi dispacci n. 492 del l O luglio 1909 e n. 27 del 14 gennaio scorso2.

Nel suo rapporto ella accenna ad un'azione comune che si tratterebbe tra l'Inghilterra, l 'Italia e l 'Etiopia per dare stabile assetto alla regione dell'Alto Giuba. In proposito io chiesi schiarimenti alla r. legazione ad Addis Abeba e ne comunicai a V.E. la risposta col dispaccio n. 641 del 3 settembre corrente 1 che spiega essersi trattato di un equivoco.

In quanto alla messa in valore dei terreni della Goscia, ho esaminato le proposte concrete fattemi da V.E. al riguardo con altro rapporto, e convenendo in massima con V.E. su di esse, do corso alla relazione al Consiglio coloniale per l'adozione dei provvedimenti suggeriti. Intanto sarà già pervenuto a V.E., alla data in cui le arriverà questo dispaccio, il telegramma da lei atteso per la disponibilità della concessione di 5000 ettari presso Margherita (concessione che doveva essere attribuita al Calisti).

Ho esaminato anche la richiesta da lei fattami di ottenere le speciali facoltà per provvedere ad un trattamento doganale di favore per lo scambio di derrate e prodotti tra le popolazioni delle due rive del Giuba. Per quanto si riferisce alla esportazione dei prodotti della nostra Colonia V.E. ha facoltà di provvedere in qualunque senso ella possa ritenere opportuno; e ciò in base all'art. 9 lett. a) della legge 5 aprile 1908 n. 161 che le consente di variare i diritti di uscita secondo la necessità del commercio, ed in base al r. decreto 3 giugno 1909 n. 468 che le consente di provvedere a detti dazi di esportazione, e quindi anche di abolirli su semplice approvazione del Governo centrale che potrebbe darla anche telegraficamente. E' superfluo io le aggiunga che in tutto ciò VE. dovrà naturalmente tener presenti le ragioni del bilancio. Per i diritti di importazioni, la legge 5 aprile 1908 n. 161 non consente facoltà al governatore della Colonia e quindi per dare a V.E. il modo di provvedere ai diritti doganali sulla frontiera del Giuba secondo le necessità del commercio tra le popolazioni rivierasche delle due sponde, è necessario un decreto reale di delega a V.E. dei poteri all'uopo necessari da sottoporsi al Consiglio coloniale. Parendomi tale delega opportuna sottopongo al Consiglio coloniale uno schema di decreto reale che dia a V.E. la facoltà di provvedere ai dazi di importazione in codesta Colonia soltanto nei riguardi della frontiera del Giuba e per le merci originarie della Colonia inglese deii'East-Africa, e che non vengano dalla costa o vi siano dirette, lasciando a lei, secondo la sua stessa proposta, di determinare più precisamente la zona nella stessa frontiera del Giuba, le necessarie cautele e garanzie per l'applicazione del trattamento speciale che VE. adotterà dopo gli accordi che prenderà col governatore del British-East-Africa.

464 l Non pubblicato.

464 2 Non pubblicati.

465

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR E ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO

D. RISERVATOI. Roma, 17 settembre 1910.

Dal reggente il r. consolato in Tripoli di Barberia vengo informato2 dell'ostilità colà manifestatasi contro la società dei fosfati, ostilità a cui certo non sono estranee quelle autorità governative.

Tale ostilità ha assunto tanta violenza ed intensità da indurre alcuni tra i più importanti aderenti arabi a manifestare il proposito di ritirarsi dalla nuova società.

Le apprensioni a tale riguardo sono aumentate dal fatto che si teme il nuovo governatore di Tripoli non abbia ad essere animato dagli stessi sentimenti favorevoli verso questa impresa in particolare e gli interessi italiani in generale, come Husni pascià.

Si ritiene, tuttavia, che un'azione diretta ed ufficiale presso il Governo ottomano non sarebbe da consigliarsi, mentre sembrerebbe opportuno di influire indirettamente presso il ministero ottomano dell'interno affinché esso interessasse il nuovo governatore a risolvere soddisfacentemente tale grave questione.

Per Costantinopoli. Lascio giudice l'E.V. della scelta dei mezzi più idonei per raggiungere questo scopo: debbo, tuttavia, richiamarmi a quanto ebbi ripetutamente occasione di scriverle affinché ella se ne valesse quale norma di linguaggio con codesto Governo: noi abbiamo tenuto, in tutte le questioni in cui la Turchia è interessata, un contegno francamente amichevole: in particolare per quanto riguarda la questione cretese, abbiamo appoggiato ed appoggiamo non senza successo le domande turche circa i deputati cretesi all'assemblea ellenica, i sottufficiali della milizia e della gendarmeria ecc. ecc. Ci sarebbe, tuttavia, assolutamente impossibile di proseguire in questa via se la Turchia non ci desse frequenti e tangibili prove del suo buonvolere, appianando quelle questioni, come ad esempio: quelle relative aìla Tripolitania, nelle quali gli interessi nostri coincidono con quelli tanto del Governo ottomano quanto della popolazione locale.

Questa necessità di manifestazioni effettive dell'amicizia di codesto Governo verso di noi diviene ogni giorno più urgente, dato l 'avvicinarsi della ripresa dei lavori parlamentari.

Nessun Governo potrebbe altrimenti sostenere una politica turcofila dinanzi al Parlamento. Per Cairo. La S.V. vorrà adoperarsi affinché S.A. il Khedive impieghi tutta l'influenza di cui dispone a Costantinopoli allo scopo d'ottenere che siano date

4651 D. 172 all'ambasciata a Costantinopoli e D. 132 all'agenzia e consolato generale al Cairo. 2 Cfr. n. 455.

precise e severe istruzioni così al nuovo valì come alle nostre autorità governative di Tripolitania di favorire e fecondare la nuova società dei fosfati.

466

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1922/847. Vienna, 17 settembre 1910 (per. il 25).

Il signor Milovanovitch, proveniente da Berlino, giunse lunedì scorso in Yienna e venne a vedermi.

Egli mi disse che aveva visitato in Berlino il signor von Kiderlen Wachter col quale era legato da un'antica amicizia ed erasi intrattenuto con lui dello stato di cose in Turchia e della politica balcanica de li'Austria-Ungheria.

Era opinione del signor von Kiderlen Wachter che il nuovo regime in Turchia non avrebbe potuto consolidarsi che molto difficilmente e che una catastrofe era forse da prevedersi in un periodo più o meno remoto. Ed a questo proposito avevagli dichiarato essere suo fermo convincimento che l'Austria-Ungheria desiderasse sinceramente il mantenimento dello statu quo in Turchia e che non avesse alcuna velleità di espansione nei Balcani dove, dopo l'annessione della Bosnia-Erzegovina, non ambiva fare nuovi acquisti sapendo che questi non avrebbero potuto non essere pregiudicevoli agli interessi interni ed esterni della Monarchia.

Il signor Milovanovitch non aveva creduto chiedere al signor von Kiderlen Wachter se di fronte ad un'eventuale occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar per parte della Serbi a l'Austria-Ungheria sarebbe entrata in campo per opporsi a tale occupazione perché, data l'indole di lui, egli avrebbe evitato di rispondergli e tagliato corto a qualsiasi ulteriore discussione sull'argomento. Ma aveva osservato che se l'Austria-Ungheria non avesse veramente più intenzione di espandersi nei Balcani non si comprendeva perché, invece di intrattenere cogli Stati balcanici amichevoli relazioni, essa cercava di seminare zizzania tra di loro per impedire che addivenissero ad un'intesa comune per la difesa dei reciproci interessi e continuasse a comportarsi, specialmente con la Serbia, in modo così riservato. Il conte d'Aerenthal evitava infatti entrare in discussione con lui circa le varie questioni balcaniche ogni volta che aveva avuto occasione di intrattenerlo di tale argomento.

Al che il signor von Kiderlen Wachter aveva rilevato che il conte d'Aerenthal avevagli parlato in Marienbad con simpatia della Serbia manifestando l'intenzione di mantenere con essa i migliori rapporti nonché la soddisfazione che questi fossero divenuti ora normali. Ed aveva aggiunto che il riserbo del conte d'Aerenthal a suo riguardo non era da attribuirsi che alla natura di lui, fredda e

poco espansiva, ed alla consuetudine invalsa presso questo Ministero degli affari esteri di trattare gli affari con eguale riserbo.

Accennando poi alla visita fatta in Francoforte al signor Iswolski il signor Milovanovitch mi disse che il ministro imperiale erasi espresso con lui circa il nuovo ordine di cose in Turchia in modo così pessimista come il signor von Kiderlen Wachter, osservando che la Russia, dopo aver sistemato i propri affari in Estremo Oriente, aveva acquistato ora più libertà nei suoi movimenti e poteva dedicarsi così con maggior cura alle quistioni europee e specialmente a quelle balcaniche ove i suoi interessi richiamano tutta la sua attenzione. Però, quantunque la Russia cominciasse a rifarsi delle conseguenze della disastrosa guerra col Giappone ed un miglioramento materiale si constatasse nelle sue condizioni interne ed in quelle delle sue finanze, essa aveva bisogno di alcuni anni ancora per completare la riorganizzazione dell'esercito e della flotta della quale si occupava attivamente.

Conveniva quindi che in questo periodo di tempo la pace fosse mantenuta in Europa e la Russia non poteva che raccomandare agli Stati balcanici, siccome avevalo fatto già a più riprese, di evitare qualsiasi cosa che potesse dare luogo a complicazioni ed a precipitare gli eventi nella penisola. In tal senso aveva parlato assai severamente alla Bulgaria, facendole conoscere che se essa fosse però scesa in atti inconsulti, ne avrebbe subito le conseguenze e che non doveva fare in tal caso alcun assegnamento sulla Russia.

Il signor Iswolski aveva inoltre detto al signor Milovanovitch che non era in grado di dire quali sarebbero stati in avvenire i rapporti tra la Russia e l'AustriaUngheria, ma poteva soltanto affermare che finché egli sarebbe stato al potere essi non avrebbero potuto essere buoni.

Il signor Milovanovitch mi confidò quindi che S.M. lo Czar, nell'udienza accordatagli nell'ultima sua dimora in Pietroburgo, avevagli parlato in termini molto risentiti della condotta tenuta dal conte d'Aehrenthal contro la Russia ne !l'ultima crisi balcanica, della qual condotta egli non si sarebbe mai dimenticato.

Avendomi il signor Milovanovitch detto che dalle notizie che riceveva dal proprio ministro in Costantinopoli e dai consoli serbi in Macedonia risultava che l'azione dell'Austria-Ungheria in quelle regioni si palesava ora più attiva che per lo innanzi, gli chiesi in che consistesse tale azione e quali indizi avesse per portare un tale giudizio.

Egli mi rispose che era noto come l'Austria-Ungheria facesse ogni sforzo per stringere i più amichevoli rapporti colla Turchia per amicarsela e renderla ligia ai suoi fini avvenire e come i consoli imperiali e reali nella penisola si adoperassero a promuovere e mantenere discordie tra gli elementi serbi e bulgari per impedire che agissero di conserva giacché a ciò non avrebbe potuto non ostacolare quei fini stessi.

Venendo poi a parlare dei rapporti della Serbia col Montenegro e la Bulgaria il signor Milovanovitch mi fece conoscere, quanto ai primi, eh' essi continuavano a non essere buoni a causa, non già delle disposizioni del re Pietro e del Governo serbo, bensì del contegno poco amichevole del re Nicola verso la Serbia. Ave

va creduto di far cenno di ciò al signor Iswolski pregandolo di agire a Cettigne perché il re Nicola modificasse possibilmente tale contegno e di usare di tutta la sua influenza per impedire che il Montenegro fosse attratto nell'orbita dell'Austria-Ungheria, ciò che il ministro imperiale avevagli promesso di fare.

Quanto ai rapporti colla Bulgaria essi eransi migliorati in questi ultimi tempi, ma tale miglioramento non aveva fatto ancora alcun passo innanzi. Dai rapporti poi del proprio ministro a Sofia, persona esperta che conosceva pienamente il paese e l'ambiente politico bulgaro, risultava che una certa tendenza ad un avvicinamento della Bulgaria verso l'Austria-Ungheria manifestavasi ora in alcuni circoli politici della capitale e che a tale tendenza erano del pari favorevoli il ministro Liapcheff e vari membri del partito bulgaro-macedone.

Alla mia osservazione che di tale tendenza non avevo io avuto sinora sentore e che essa non mi sembrava corrispondere alle disposizioni attuali dell' opinione pubblica bulgara ed alla politica che il re Ferdinando e il suo Governo avevano finora seguito, il signor Milovanovitch replicò che quella tendenza spiegavasi in certo modo colla persuasione che si faceva strada in Bulgaria che la Russia era in questo momento nell'impossibilità, date le sue condizioni militari, di poter coadiuvare la Bulgaria nelle sue aspirazioni nazionali, mentre l'Austria-Ungheria costituiva colla Germania l'unico nucleo forte in Europa, su cui essa potesse fare assegnamento.

Non aveva mancato di informare pure di ciò il signor Iswolski perché, a mezzo del proprio rappresentante, cercasse di agire sull'opinione pubblica bulgara in senso contrario.

Il signor Milovanovitch mi disse infine che il conte d'Aehrenthal non avevagli fatto pervenire ancora alcuna risposta alle sue entrature circa l'eventuale visita del re Pietro a S.M. l'Imperatore. Egli non aveva chiesto di vederlo per non far credere che avesse l'intenzione di sollecitare tale risposta che si proponeva di !asciargli la sua carta di visita la vigilia della sua partenza da Vienna per dargli così agio di riceverlo ove avesse desiderato comunicargli qualche cosa in proposito. Ma se tale risposta non gli fosse giunta prima d'ottobre egli avrebbe provveduto perché si stabilisse la data del viaggio del re Pietro a Roma e Parigi.

Il signor Milovanovitch ripartirà dopo domani per fare ritorno a Belgrado.

467

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T.. ../245. Parigi, 18 settembre 1910, ore 19,20 (per. ore 21,20).

Hedmann, redattore capo per la politica estera del Matin, benché non abbia voluto svelare da quale fonte provenga la notizia che egli ha pubblicato ieri della

stipulazione di una convenzione militare segreta tra Turchia e Rumania, sostiene che è fonte sicura e ineccepibile, quindi egli ha la certezza dell'esistenza di tale convenziOne.

Questo ministro di Serbia, che ha seguito sempre attentamente i rapporti tra Rumania e Bulgaria, ritiene che non ci sia bisogno di una nuova convenzione perché egli è convinto che da un pezzo vi è intesa tra Turchia e Romania contro la Bulgaria. Il Figaro di stamane, proclamando la priorità della notizia dell'intesa turco-rumena, dice che questa sarà pel Governo francese una ragione di più per mostrarsi intransigente nella questione del prestito turco.

Hakki pascià, col quale ho avuto altro lungo colloquio oggi alla vigilia della sua partenza, nega decisamente di avere stipulato una convenzione colla Rumania, della quale egli ha detto che non c'è alcun bisogno, perché la Rumania sa benissimo che se la Bulgaria riuscisse a togliere la Macedonia alla Turchia dopo cercherebbe toglierle la Dobruscia. Il timore della Bulgaria! per la Dobruscia è così vivo che essa vi ha scaglionato un corpo d'armata pronto a qualunque eventualità. Pertanto, l 'identità di interessi tra Turchia e Rumania di fronte alla Bulgaria stabilisce tra esse una solidarietà che è più forte e efficace di qualsiasi trattato.

468

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 4091157. Teheran, 19 settembre 1910 (per. il 10 ottobre).

Con riferimento al mio rapporto n. 3801145 dell'8 corrente!, mi onoro informare l'E.V. essermi stato detto confidenzalmente che questo Ministero degli affari esteri ha poi deciso di comunicare a tutte le legazioni persiane all'estero il testo delle note identiche dirette, il tre corrente, alle rappresentanze russa e britannica e da queste respinte. Sembra che gli agenti diplomatici dello scià riceveranno, al tempo stesso, istruzione di portare a conoscenza dei Governi presso i quali sono accreditati, il contenuto di quelle note e la contraria accoglienza che questi hanno avuto dai rispettivi destinatarii.

Tale passo che assumerebbe la forma di una tacita protesta contro l'atteggiamento e la politica della Russia e dell'Inghilterra in Persia, sarebbe, per ora, circondato dalla massima segretezza, ma dopo che sarà stata fatta la comunicazione

alle Potenze straniere, il Governo dello scià si proporrebbe di dame pubblica conoscenza a mezzo della stampa.

Mio subordinato e rispettoso avviso sarebbe che -ove possibile -pur avendo riguardo alle alte considerazioni diplomatiche nei rapporti dell'Italia con la Russia e l'Inghilterra, la risposta da darsi a quella eventuale notificazione fosse in una forma da non ferire troppo vivamente l'amor proprio del Governo persiano.

467 1 Annotazione di Vannutelli: «La cifra dà senza alcun dubbio «Bulgaria», ma probabilmente dev'essere sostituita dal gruppo «Rumania».

468 l Non pubblicato.

469

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2953/969. Therapia, 20 settembre 1910 (per. il 5 ottobre).

Il rapporto confidenziale direttomi dal cavalier Zunini, in data 18 agosto, n. 1051, e comunicato in copia a codesto ministero, tratta n eU'ultima sua parte della penetrazione economica dell'Italia in Mesopotamia.

Il R. Governo è ad essa favorevole e il detto console lavora a prepararla. Egli nota la difficoltà che essa incontrerebbe localmente per i sentimenti «sciovinisti», anzi xenofobi, degli ottomani; ma osserva, al tempo stesso, che, fra tutte le Nazioni, l'Italia è quella che gode in Mesopotamia maggiori simpatie ed eccita minori sospetti. Quest'ultima osservazione collima con quanto esposi a V.E. col rapporto del 5 settembre, n. 2783/9192. Il Governo ottomano vorrebbe valersi degli italiani, di cui conosce i lavori nell'alto Egitto, nel vilaiet di Koniah, ecc., per risolvere i problemi dell'irrigazione ed altri affini in Mesopotamia: vorrebbe ingegneri e lavoranti italiani, direttamente alla sua dipendenza, senza intermediari francesi, inglesi o tedeschi. Col problema dell'irrigazione si connette strettamente quello della bonificazione della terra, forse dell'immigrazione, almeno su scala ristretta. Nulla, poi, più di codesta impresa gioverebbe alla penetrazione economica vagheggiata.

Il progetto si raccomanda da sé.

Ad attuarlo basterebbe, ma occorrerebbe, un uomo che avesse esperienza, energia, iniziativa ed i capitali necessari ad iniziare i lavori sulle basi tracciate dal marchese Theodoli. A continuarli, poi, sopperirebbero man mano i pagamenti rateali che farebbe alla impresa il Governo ottomano.

469 I Non rinvenuto nel fascicolo relativo. 2 Cfr. n. 446.

470

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE .. ./312. Vienna, 21 settembre 1910, ore 8,35 (per. ore 22,40).

Telegramma n. 25271. A quanto mi risulta in via indiretta notizia Matin è considerata al Ministero Imperiale e Reale esteri siccome del tutto infondata. Si crede che una delle ragioni per le quali sarebbe stata messa in giro, sia quella di rendere più difficile ancora la conclusione del prestito ottomano in Francia. Secondo poi questo ambasciatore di Turchia tale notizia non avrebbe del pari fondamento alcuno. Egli mi diceva che ove fosse stata esatta, Hakki pascià non avrebbe mancato certamente di rendernelo edotto. A suo giudizio però viaggio gran vizir a Bucarest Vienna e Marienbad sarebbe stato un errore, perché avrebbe suscitato nelle Potenze intese cordiali sospetti e diffidenza contro Turchia facendo supporre che vi fosse in essa una certa tendenza ad avvicinarsi alle Potenze della Triplice Alleanza. Di tali sospetti e diffidenze constaterebbe ora le conseguenze sia per la difficoltà che incontra in Parigi la conclusione del prestito ottomano, sia per le false voci divulgatesi di recente circa stipulazione ...2 una convenzione militare austro-turco-germanica e di una intesa turco-rumena. Rescid pascià ritiene che se alla Turchia conviene intrattenere amichevoli rapporti con tutte le Potenze, essa non ha interesse di legarsi per ora con alcuno. Una intesa della Turchia colla Romania non avrebbe infatti in questo momento ragion d'essere anche se dovesse contribuire al mantenimento dello statu quo nei Balcani e potrebbe essere per contro più pericolosa che vantaggiosa alla Sublime Porta a cagione delle agitazioni ed opposizioni che potrebbe originare in altre Potenze con grave danno neli'opera di consolidamento del nuovo ordine di cose nell'Impero. D'altra parte sebbene la Romania attribuisca grande importanza al mantenimento di più amichevoli rapporti colla Turchia, specialmente dopo gli ultimi avvenimenti nei Balcani, non si vede per quale ragione essa si indurrebbe senza esservi costretta da impellenti necessità, che non esistono per ora, a concludere simile intesa dalla quale non potrebbe ritrarre vantaggi reali. Conformità di vedute e di scopi che Rumania ha comuni con la Turchia, rappresentano nel momento presente per la prima di quelle Potenze un valore maggiore di qualsiasi intesa alla quale il Governo rumeno sarebbe sempre in grado di addivenire ove sua stipulazione fosse richiesta in avvenire dai propri interessi. Ed in tale punto di

470 I T. riservatissimo del 18 settembre. non pubblicato, col quale si chiedeva di verificare la notizia pubblicata dal Matin (cfr. n. 467). 2 Parola non decifrata.

vista non potrebbe non consentire pure la Turchia. Del resto non è da supporre che re Carlo voglia accingersi nella grave sua età ad avventura, dipartendosi da quella linea di condotta prudente, consigliatagli dali'Austria-Ungheria e Germania e che ha sempre seguita finora. La notizia tendenziosa del Matin sarebbe quindi da attribuirsi alla medesima fonte dalla quale venne inspirata quella relativa alla convenzione austro-turco-tedesca ed avrebbe lo stesso scopo di suscitare diffidenze contro la Turchia e Potenze Triplice Alleanza come tra queste ed Italia.

471

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE .. ./122. Pietroburgo, 21 settembre 1910, ore ... (per. ore 23,35).

Suo telegramma n. 25271. Sazonov mi domandò oggi di sua iniziativa se sapessi qualche cosa intorno alle voci in corso di una intesa turco-rumena. Avendogli io risposto negativamente e chiestogli a mia volta quali notizie gli fossero giunte sull'argomento egli mi disse che il ministro di Russia a Bukarest da lui appositamente interpellato, gli aveva risposto essere bensì probabile che scopo visita a Sinaia del gran vizir fosse simbolo di uno scambio di vedute su tutte le contingenze del futuro ma non risultargli che nessun accordo fosse intervenuto fra Rumania e Turchia. Le stesse informazioni gli erano giunte dali 'ambasciata russa di Parigi. Aggiunse però che successivamente signor Swetchine gli aveva telegrafato constargli da buona fonte che Rumania si fosse impegnata verso la Turchia a mobilizzare per certe date eventualità una parte delle sue truppe verso la sua frontiera orientale. Sazonov sembra piuttosto preoccupato della persistenza delle voci re lati ve a questi accordi né sa rendersi conto dei motivi che potrebbero in questo momento spingere Rumania ad un tale passo essendo note le disposizioni del re di Bulgaria tutt'altro che aggressivo. A suo avviso una intesa siffatta qualora realmente avvenuta dovrebbe essere stata istigata da Aehrenthal e trovarsi in stretta relazione con intesa austro-rumena stipulata anni sono e materialmente diretta contro la Bulgaria. Ad un tale atto della Rumania non potrebbe meglio rispondersi che con conclusioni di un accordo bulgaro-serbo-montenegrino, ma Sazonov non ritiene purtroppo la cosa fattibile stante le rivalità che separano i tre Stati balcanici.

471 l Cfr. n. 470 nota l.

472

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. RISERVATO 174. Roma, 21 settembre 1910.

Ho letto con vivo interesse quanto l'E.V. mi comunica col suo rapporto

n. 2785/919 in data 5 corrente! circa le aperture fatte dal Governo ottomano al marchese Theodoli per i lavori d'irrigazione e canalizzazione in Mesopotamia.

Naturalmente il R. Governo vedrebbe con viva soddisfazione questi lavori assunti da imprese italiane ed è pronto a prestare, nel limite del possibile, il proprio appoggio a tal uopo.

Ditte italiane che possano associarsi al Banco di Roma in questa impresa non mancano certo. Basti citare la ditta Almagià, colla quale il Banco stesso è già stato in relazioni d'affari.

Nel pregarla di tenermi al corrente circa l'andamento di questa iniziativa, ...2

473

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 2560. Roma, 22 settembre 1910, ore 13,30.

Malgrado i miei ripetuti sforzi, la stampa italiana continua a diffondere le false notizie su pretesi accordi turco-rumeno ed austro-tedesco-turco, aggiungendovi commenti che esercitano un 'influenza dannosa sulla opinione pubblica. Per alcuni giorni ho cercato di porre fine a questa incresciosa polemica con vari mezzi, ma tutti sono riusciti vani, ed ora pare al R. Governo che sia urgente dare una formale smentita per mezzo della Stefani. Prima però di farlo, volendo procedere anche in questa questione in perfetto e cordiale accordo con codesto Governo prego V.E. di sentire se esso non vi ha obiezione. Gradirò una risposta per quanto possibile immediata!.

472 l Cfr. n. 446. 2 Per il seguito della questione cfr. n. 523. 473 1 Per la risposta da Berlino cfr. n. 476. Con T. riservatissimo personale .. ./315 del 23 settembre, non pubblicato, Avama comunicò che Aehrenthal non aveva alcuna obiezione alla smentita.

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI

L. RISERVATA 45. Roma, 22 settembre 1910.

Il r. ambasciatore a Costantinopoli mi comunica che, fallite ormai le trattative intavolate a Parigi, da Djavid pascià per la conclusione d'un prestito, la Turchia ne ha intavolate altre, allo stesso scopo, a Londra, Vienna e Berlino. In ciascuna di queste piazze si intenderebbe di emettere tanti prestiti parziali per l'importo complessivo di circa 150 milioni di franchi, somma che appunto si procurava di ottenere a Parigi.

Non ti sfuggirà quanto importerebbe per la nostra influenza in Turchia che, anche una banca italiana partecipasse a questa emissione, e ti sarei grato se tu volessi adoperarti a questo scopo.

475

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. l 045/294. Sofia, 22 settembre 1910 (per. il 27).

Ho seguito attentamente quanto nella stampa di qui, ed in generale in quella d'Europa, è stato detto intorno ad una presunta convenzione militare turco-rumena, e ne ho fatto oggetto di conversazione con quante persone ho creduto qui di poter intrattenere sull'argomento, con profitto e senza mancare alle dovute cautele. Dico questo perché il modo con cui la stampa soprattutto francese e inglese, ma anche tedesca ed austriaca, ha presentato questa notizia, è tale da porre un diplomatico italiano in una posizione alquanto delicata. Basti citare per tutte la seguente frase del corrispondente parigino del Times: «Il presunto accordo è generalmente interpretato come un anello importante di congiunzione posto fra la Turchia e la Triplice Alleanza -o per meglio dire fra la Turchia, l'Austria e la Germania».

Sembrerebbe adunque esistere, nella stampa internazionale, la tendenza ad affermare che questa presunta convenzione possa essere stata conchiusa al di fuori della conoscenza e della intesa coll'Italia; anzi in qualche modo contro di essa, dimostrando nell'Austria e nella Germania il desiderio di riservarsi, colla sempre crescente intimità colla Turchia e col procurare a questa appoggi per l'eventualità di conflitti colle altre Potenze balcaniche, un sostituto a ciò che molti organi di pubblicità europei considerano come dubbia e tepida fede del! 'Italia alla Triplice Alleanza.

Premesse queste osservazioni da me fatte sull'attitudine della stampa in genere, sull'importanza della quale attitudine non ho da esprimere nessun mio giudizio personale, debbo dire che dalla inchiesta da me qui fatta nel modo più completo ed obbiettivo che mi fu possibile, mi risulterebbero le seguenti concluswm:

l) Che in Bulgaria non si ha notizia precisa e positiva di un formale accordo militare intervenuto, in questi ultimi tempi, fra Turchia e Rumania.

2) Che non si esclude, anzi generalmente si ammette, che scambi di vedute possano essere avvenuti fra i due Paesi pel caso di un conflitto armato fra Turchia e Bulgaria.

3) Che, accordo o no, non manca chi autorevolmente asserisca che, se un tal conflitto si producesse, la Rumania terrebbe per la Turchia e non per la Bulgaria.

Quest'ultimo punto, data la mancanza di positive notizie di positivo accordo, è evidentemente il più importante da studiare. Credo che sia verità nota a tutti quelli che in questi ultimi anni si sono occupati delle quistioni del! 'Oriente, che la Rumania ha dimostrato l 'intenzione di volersi dissociare dalla sorte degli altri Stati balcanici. Ricordo io stesso di avere udito un autorevole diplomatico rumeno sostenere davanti ad un suo collega serbo che la Rumania né etnograficamente né geograficamente né politicamente non deve chiamarsi, nemmeno per translato, un paese balcanico. È conosciuto poi ormai a tutti, nonostante le smentite ufficiose ed ufficiali, che la Rumania è legata ali' Austria da una convenzione militare. Finalmente, ben si sa che, ad ogni suo progetto d'espansione, la Bulgaria si troverebbe davanti a difficoltà colla Rumania a cagione del contestato possesso deiJa Dalmazia.

Per tutte queste ragioni, e per altre che taccio od ignoro, parte positive ed accertate, parte intuitive, l'idea che la Rumania, davanti all'inacerbimento delle relazioni turco-bulgare avvenuto in questi ultimi tempi a cagione dei ben noti avvenimenti, possa aver pensato ad allearsi alla Turchia, non è sembrata assurda qui e ad ogni modo vi è abbastanza diffusa l'opinione che, se anche l'accordo non esiste, la Rumania agirà più o meno secondo la linea di condotta che nel presunto accordo affermasi che verrebbe indicata.

Accludo un articolo del Den' contenente il risultato di una asserita inchiesta fatta dal giornale presso alcuni capi-partito; dell'esattezza della quale io non potrei rispondere e che forse non collima del tutto con quanto qui sopra ho creduto di poter riferire.

475 l Non pubblicato.

476

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE .. ./187. Berlino, 23 settembre 1910, ore 4,15 (per. ore 17,50).

Telegramma di V.E. 25601. Kiderlen-Waechter ringrazia V.E. per comunicazione e dichiara non avere alcuna obiezione da sollevare contro formale smentita per mezzo Agenzia Stefani circa preteso accordo austro-tedesco-turco e circa convenzione turco-rumena sebbene, per quest'ultima, non veda come si possa smentire una cosa che, a parer suo, non esiste, ma circa la quale almeno Governo imperiale non ha avuto alcuna comunicazione ufficiale né da Bucarest né da Costantinopoli. Governo imperiale non intende pubblicare alcuna smentita, ma Kiderlen-Waechter si rende conto come ciò sembri opportuno al R. Governo, data maggiore eccitabilità dell'opinione pubblica italiana. Spontaneamente egli mi ha poi pregato di trasmettere alla E.V. le seguenti dichiarazioni da lui dettatemi e destinate alla persona di V.E.: l) Germania non ha concluso alcun trattato o convenzione politico-militare colla Turchia; 2) Germania non ha conoscenza che fra ... 2 e Rumania siasi concluso trattato o convenzione militare; 3) se Germania si decidesse a concludere accordi del genere colla Turchia non lo farebbe se non dopo avere avvertiti e consultati suoi due alleati. Ho ringraziato Kiderlen-Waechter per queste spontanee dichiarazioni fatte in tono di amichevole confidenza. Egli ha soggiunto che forse a lei sarebbe interessato conoscere anche avere Governo imperiale constatato che la notizia di un accordo turco-rumeno non era che una delle tante macchinazioni con le quali Russia cerca impedire prestito turco. Prova ne è, dicevami, che la notizia di quella convenzione apparve per la prima volta settimane or sono in un giornale russo da dove, essendo rimasta inosservata dali' opinione pubblica europea, passò nel Matin.

477

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, MADRID, PIETROBURGO E VIENNA, E ALLE LEGAZIONI A BRUXELLES, LISBONA E MONACO DI BAVIERA

T. 4488. Roma, 24 settembre 1910, ore 23.

Per norma eventuale di linguaggio, comunico a V.E. (V.S.) quanto segue. Nel discorso per commemorare la liberazione di Roma il sindaco fece un'allusione

2 Nota del documento: "Manca il gruppo: "Turchia".

contro dogma infallibilità pontificia. Il papa vi ha veduto un'offesa ed ha pubblicato una protesta, che credo abbia rimesso anche al rappresentante di codesto Governo presso il Vaticano. Il discorso del sindaco è un fatto interno italiano, sul quale il R. Governo non consentirà mai ad entrare in discussione con qualsiasi Governo estero. E' necessario che, presentandosene l'occasione, il linguaggio di VE (V.S.) sia in proposito reciso e categorico. Reputo opportuno, però, aggiungere le seguenti considerazioni, che V.E. (V.S.) potrà, nelle sue conversazioni, mettere, ove occorra, in evidenza. Il sindaco è elettivo e le sue parole, che il Governo ha giudicato e giudica molto inopportune, non impegnano che la persona di Ernesto Nathan. Nessuno diede ad esse, quando furono proferite, alcuna importanza. I giornali non le commentarono e le riprodussero non già nella pagina destinata agli articoli ed eventi politici, bensì nella cronaca locale insieme ai particolari descrittivi dei festeggiamenti. Sotto l'egida della legge delle guarentigie, delle nostre istruzioni liberali e del senno prudente e pratico della immensa maggioranza del popolo italiano, il papato gode oggi, nell'esercizio delle sue funzioni spirituali, di una libertà così completa e sicura, quale non ebbe mai in tutto il corso della sua storia. Tra le molte prove basti citare i due conclavi avvenuti dal 1870 ad oggi e la stessa attuale protesta del sommo pontefice, che, ali 'infuori dell'innocuo per quanto inopportuno discorso del Nathan, non cita, né potrebbe citare, alcun fatto che provi che la sua libertà sia in alcuna guisa limitata. Bisogna inoltre che V.E. (V.S.) ricordi che la legge sulle guarentigie, mentre dà al sommo pontefice tutte le immunità e la più completa inviolabilità, garantisce anche la piena libertà della discussione religiosa, che, del resto, è garantita altresì dalla legislazione di codesto Paese. Nell'interesse del Papato stesso è desiderabile che questo incidente venga posto in tacere e non si cerchi di dargli artificialmente una importanza che non ha.

476 l Cfr. n. 473.

478

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

NOTA URGENTE 7722. Roma, 25 settembre 1910 (per. il 26).

In risposta alla nota sopra segnata! non posso che confermare il parere espresso nel dispaccio n. 5665 dell'8 luglio2.

2 Cfr. n. 359.

Dal punto di vista militare sarei personalmente contrario alla apertura dei porti eritrei al commercio delle armi con la Abissinia; ma poiché risulta che il commercio. delle armi già si effettua in larga misura per altre vie non è possibile opporvisi, convengo anch'io che considerazioni di ordine economico e politico, che codesto ministero e le locali autorità coloniali hanno maggior agio di apprezzare, possono consigliare di aprire tali porti al commercio delle armi e perciò nulla ho da parte mia in contrario.

478 l Cfr. n. 427.

479

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 3019/986. Therapia, 25 settembre 1910 (per. il 5 ottobre).

Gli umori dei giovani turchi sono essenzialmente mutevoli. Ai primordi del regime costituzionale, l'Inghilterra e la Francia erano le Nazioni amiche per eccellenza. L'ambasciatore d'Inghilterra ebbe tali ovazioni quali non mai altro estero rappresentante. Viceversa, la Germania, perché troppo legata col regime hamidiano, l'Austria-Ungheria, perché spogliatrice dell'Impero, erano odiate e vilipese. Il barone Marschall diceva filosoficamente e senza nulla fare per riaffermare i fuggenti: «ils reviendront». Il marchese Pallavicini, con non minore filosofia, lasciava che il boicottaggio anti-austriaco seguisse il suo corso, sicuro che gli ottomani avrebbero ripreso a portare il fez rosso delle fabbriche viennesi. E così fu. L'Inghilterra tardò poco più di un anno a diventare impopolare. Ed ora tocca alla Francia di subire una tempesta di disfavore, anzi di odio, da parte dell'opinione turca. I corifei sono gli organi stessi del Comitato Unione e Progresso, il Tanin ed il Jeune Turc, la cui violenza di linguaggio è estrema. Tutto si rimprovera alla Francia, sino alla sua alleanza con la dispotica Russia («ce couple honorable agi t e n tout en parfaite harmonie» ), ed alla immoralità di Parigi («la Babylone contemporaine»), che pur sono peccati anteriori agli amori ed agli entusiasmi di due anni fa. Ma il gran torto della Francia è di aver chiesto garanzie per il nuovo prestito, laddove Djavid bey si lusingava che non ne chiederebbe, di aver voluto regolare, a mezzo di un servizio di tesoreria, l 'uso dei denari che continuava a prestare, di non aver diviso le antipatie del ministro ottomano delle finanze contro la Banca Ottomana, di non aver consentito ad ammettere alla negoziazione nella Borsa di Parigi i titoli del nuovo imprestito, senza che certe condizioni fossero soddisfatte e certe garanzie fornite.

Non mancano altre questioni irritanti fra Turchia e Francia, quelle, ad esempio, che nascono da incerte delimitazioni di frontiere e da mosse incontrollabili di subaltemi nel Centro-Africa. La più grave è, però, quella che nasce dall'irredentismo tunisino ed algerino, da poco rivelatosi. Il Temps ed i giornali turchi polemizzano al riguardo. Questi ricordano che la Turchia non ha mai riconosciuto il Trattato del Bardo; e quando il Temps replica che essa ha accettato una delimitazione della frontiera tripolo-tunisina, il che equivale ad un riconoscimento dell'occupazione francese in Tunisia, essi rispondono che il residente francese è il ministro degli affari esteri del bey ed il generale comandante la divisione il suo ministro della guerra, e che il Governo ottomano trattò con loro in siffatta loro qualità.

Da quanto mi risulta, Djavid aveva domandato il richiamo del signor Bompard. Ciò non ha servito se non a provocare, da parte del Governo francese, un attestato di assoluta fiducia nel suo rappresentante, sebbene la stampa repubblicana lo avesse accusato, poco prima, di qualche debolezza nell'affare appunto dei tunisini ed algerini dell'Impero, dei quali non rivendicava abbastanza energicamente la dipendenza francese.

Sarà forse bene indagare a Parigi sino a quali limiti può giungere la pazienza francese di fronte alle provocazioni ottomane. Si può sempre trovare un pretesto per rioccupare Metelino.

480

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2375/1065. Parigi, 26 settembre 1910 (per. il 30).

Hakki pascià, che, dopo aver fatto annunziare la sua partenza dai giornali, era rimasto qui in un incognito, che i giornali si sono affrettati a sfatare denunziando la sua presenza nei fauteuils d'orchestre dell'Opéra, è partito finalmente per davvero, ed è partito senza aver concluso nulla. Il signor Pichon mi ha detto che egli, benché non abbia ottenuto l'ammissione alla còte, si trova sempre legato dal contratto con i finanzieri francesi.

Il signor Pichon protesta contro l'insinuazione di taluni giornali, secondo i quali il Governo francese avrebbe voluto profittare del bisogno di danaro della Turchia per prenderla pel collo imponendole condizioni onerose. Il signor Pichon dice che avrà occasione di spiegarsi su ciò alla tribuna parlamentare francese, sicuro di avere per sé, non solo il consenso del suo Parlamento e del suo Paese, ma quello dell'intera opinione pubblica europea. Il signor Pichon dice che la condizione delle finanze turche è miseranda, poiché il deficit normale di 3250 milioni, che sarebbe grave per quelle Nazioni che hanno un bilancio di varì miliardi, diventa addirittura enorme, disastroso per la Turchia, che ha un bilancio di poco più di 800 milioni.

La Francia vuole, nell'interesse della Turchia innanzi tutto e poi nell'interesse non della sola Francia, ma di tutta l 'Europa, che sia istituito un serio controllo sulla finanza turca. L'istituzione di un regolare servizio di tesoreria ne è il primo elemento e questo servizio era stato già promesso alla Banca Imperiale Ottomana.

Quanto alle ordinazioni per l'industria francese, Pichon dice che la sua domanda non poteva essere più onesta e moderata. Infatti non è vero che egli ha chiesto si diano alla Francia ordinazioni uguali alla somma di tutte le ordinazioni che si daranno alle altre Potenze, ma soltanto ordinazioni uguali a quelle che si daranno ad una di esse separatamente. In altri termini il signor Pichon non ha chiesto che il trattamento della Nazione più favorita.

481

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1973/872. Vienna, 26 settembre 1910.

Ho l'onore di segnar ricevimento del dispaccio del 13 corrente, segnato in marginel.

Avrei potuto rispondere anche prima d'ora alle domande dell'E.V., ma volli far controllare a Budapest le notizie che mi era stato dato di assumere in proposito a Vienna.

La stampa viennese si è occupata assai diffusamente due settimane or sono del rifiuto opposto dalla Francia alla domanda di 560 milioni di corone per parte del Governo ungherese, dichiarando che le difficoltà insorte erano puramente di carattere politico.

Secondo la Neue Freie Presse le ragioni addotte dai capitalisti e dal Governo francese -i quali avrebbero chiesto, come controprestazione per la conclusione del prestito stesso talune concessioni ai portatori francesi di azioni ed obbligazioni della Siidbahn nonché agli interessi francesi impegnati nell'industria petrolifera di Limanowa in Galizia -, non sarebbero che dei pretesti per nascondere il vero e solo motivo che consiste nel non voler accordare danaro ad uno Stato che fa parte della Triplice Alleanza. Poiché una parte della somma stessa avrebbe dovuto servire a coprire delle spese fatte in occasione dell'annessione della Bosnia-Erzegovina, si dovrebbe scorgere nel rifiuto della Francia, l'influenza della Russia che mira a creare dei postumi imbarazzi finanziari alla Monarchia cui non può perdonare il successo diplomatico dello scorso anno, e che desidera pure che la Francia conservi i propri capitali per investirli in un nuovo prestito russo.

Secondo la versione che viene data all'insuccesso del prestito ungherese da questo ufficio della stampa presso il Ministero imperiale e reale degli affari esteri

481 I D. riservato urgente 5, non pubblicato.

e che fu da esso pure comunicata ai giornali viennesi, essa tenderebbe a fare escludere il carattere politico del rifiuto della Francia. Si afferma infatti che il prestito non poté giungere in porto perché i capitalisti francesi pretendevano che il Governo ungherese esercitasse delle pressioni sul Governo austriaco per fare ottenere speciali favori ai possessori francesi dei titoli della Stidbahn e dell'industria petrolifera di Limanowa. Il Governo ungherese avrebbe risposto invano di non potersi occupare di una quistione che concerneva un altro Stato, negli affari del quale non aveva veste né modo di ingerirsi. I capitalisti francesi non si sarebbero arresi a tale risposta dichiarando, appoggiati in questo ragionamento dal Governo della Repubblica, che allorché uno Stato estero tratta di una quistione concernente l'interesse della monarchia austro-ungarica (e tale è indubbiamente questo prestito che deve giovare non solo all'Ungheria ma anche indirettamente all'Austria) esso non può scindere l'Austria dall'Ungheria e non può quindi rinunciare a valersi del beneficio che si propone di fare all'Ungheria per richiedere a questo Stato -a titolo di controprestazione -che ottenga dall'Austria che essa consenta ad accordare ai capitalisti francesi talune facilitazioni per i loro interessi impegnati in aziende ed industrie austriache.

Il ragionamento francese non è destituito di un certo fondamento se non giuridico, certo almeno politico.

Dalle informazioni che ho potuto assumere e controllare sembra peraltro che le difficoltà d'indole finanziaria che esisterebbero realmente e furono la sola ragione apparente della rottura dei negoziati, nascosero altre ragioni, d'indole politica, che sono in parte quelle di cui parla la Neue Freie Presse; in parte di altra natura.

Per meglio chiarire la questione odierna occorre risalire in addietro sino alle trattative iniziate in Francia per un prestito dal Ministero presieduto dal signor Wekerle, negli ultimi mesi eh'esso rimase al potere. Delle aperture in proposito erano bensì state fatte anteriormente presso dei banchieri francesi, ma senza successo, specie perché dalla parte ungherese si era inabilmente parlato a Parigi di un prestito che si sarebbe voluto contrarre metà su quel mercato e metà a Berlino. Allorché invece si fece valere il desiderio di contrarre tutto il prestito a Parigi -e ciò per cercare di uscire dalla tutela finanziaria di Vienna -i capitalisti francesi accolsero tosto con favore l'idea. Le trattative vennero allora condotte personalmente dal signor Kossuth ministro del commercio nel Gabinetto Wekerle, il quale si valse in ciò della sua influenza personale e dell'amicizia che nutriva per vari uomini di Governo della Repubblica. È certo che dalla Francia non si chiese allora al Governo ungherese di intervenire a Vienna in favore dei portatori francesi di titoli della Siidbahn e delle industrie petrolifere in Galizia. Ben si sapeva a Parigi che il signor Wekerle ed i suoi colleghi di Gabinetto non erano indicati per raccomandare alcunché al Governo austriaco. Quando al Gabinetto Wekerle succedette l 'attuale Ministero presieduto dal conte Khuen-Hédervary, con un programma di pacificazione sulla base d eli' esatta applicazione del compromesso del 1867, il Governo francese si rese conto della possibilità di ottenere forse che il Gabinetto ungherese facesse pressioni a Vienna in favore degli interessi

francesi nella Siidbahn e in Galizia e pose come una delle condizioni del prestito la controprestazione di cui ho parlato più sopra. Ignoro peraltro se il Governo ungherese abbia a tale domanda francese risposto nel modo reciso di cui parla la Neue Freie Presse dichiarando cioè non potersi intromettere in una questione puramente austriaca come è quella dei vantaggi ai portatori francesi di titoli della Siidbahn e delle miniere di Limanowa. Mi si riferisce essere più probabile che gli intermediari a Parigi del conte Khuen e del ministro delle finanze, signor Lukacs, abbiano risposto in modo vago e poco soddisfacente. Pare del resto che questi intermediari siano stati scelti dal nuovo Governo ungherese con singolare inavvedutezza, se è vero quanto mi è stato riferito che principale negoziatore del prestito nella sua ultima infelice fase fu per l'Ungheria il signor Ullmann, direttore di un grande istituto bancario di Budapest, ma anche e soprattutto, l'uomo di fiducia dei Rothschild di Vienna. L'intervento dell'Ullmann era la smentita vivente ai voti ed agli scopi che il ministero Wekerle aveva fatto valere a Parigi. Non bisogna scordare, a questo proposito, che l'Ungheria -imperante il Gabinetto Wekerle -costituiva un elemento di debolezza per la Monarchia, mentre l'attuale Gabinetto è una garanzia di saldezza per essa. Mi è poi anche stato riferito che persona intima del gruppo finanziario che fa capo ai Rothschild avrebbe assicurato essere stato assai notato come è la casa Rothschild e gli emissari ungheresi abbiano mostrato durante la fase risolutiva del prestito eccessiva noncuranza dell'azione della stampa, da cui non tentarono neppure di ottenere un linguaggio favorevole o per lo meno di silenzio.

Quanto alle ragioni politiche fatte valere dagli alleati e dagli amici della Francia contro il prestito, esse sarebbero di diversa natura.

L'Inghilterra, per parte sua, non avrebbe veduto di buon occhio che l'Ungheria con una operazione finanziaria pronta fosse sollecitamente in grado di pagare la quota parte spettante per la costruzione delle quattro nuove navi di battaglia impostate e da impostarsi nei cantieri della Monarchia.

Uguali e forse maggiori pressioni -anche perché se ne occupò la stampa avrebbe fatto la Russia, la quale avrebbe avvertito la Francia di non dare i suoi milioni a chi se ne sarebbe servito per aumentare la forza della Germania. Mi è stato detto che il Governo russo non si limitò a fare agire la propria stampa, ma che esso esercitò anche direttamente contro il prestito ungherese la propria influenza a Parigi, e ciò non solo per naturale rancore verso l'Austria-Ungheria, ma eziandio perché sembra che si prepari ad emettere esso un nuovo prestito in Francia. A questo proposito mi riferiva ieri il direttore di uno dei maggiori istituti di credito viennesi che sebbene la Russia dica che non dovrà contrarre altri prestiti che tra due o tre anni, nei circoli bancari si ritiene imminente una nuova richiesta per parte di esso di denaro alla Francia e si calcola che le accorreranno 500 milioni di franchi. Lo stesso finanziere mi diceva d'aver appreso che la Banca francese attende la richiesta di questo prestito, che sarà necessariamente costretta a concedere, e che si prepara a farvi fronte. I pessimi raccolti agricoli in Francia farebbero peraltro temere ai banchieri di Parigi che il denaro non dovesse questo anno affluire alle banche nella solita misura, e ciò sarebbe per essi una grave fonte di preoccupazione.

Non è finora stato definitivamente stabilito con quali mezzi il Governo ungherese debba far fronte al fabbisogno di denaro. Vi è in questi giorni un grande andirivieni di finanzieri tra Vienna e Budapest. Sembra peraltro inevitabile che si finirà per ricorrere ai Rothschild di Vienna e qualcuno assicura che, per una parte minore, si pensi anche di rivolgersi a sir Ernest Cassel. Neppure è da escludere, che, quantunque in via indiretta, sia ancora il denaro francese che finisca in gran parte a venire in Ungheria.

E se ciò non dovesse accadere ora, dovrà succedere in avvenire, giacché l'Ungheria ha d'uopo di ben più che 560 milioni di corone per realizzare tutti i suoi progetti, cosicché fatalmente dovrà ancora ricorrere alla Francia, quando gli ostacoli politici fossero da quel lato, diminuiti.

Intanto per ora, per far fronte ai bisogni immediati, il Governo ungherese sembra abbia deciso -senza però averlo ancora annunciato ufficialmente -di prolungare il valore dei buoni del tesoro emessi lo scorso anno. Non si crede che se ne emetteranno dei nuovi oltre la misura stabilita.

PS. Confermo quanto ebbi l'onore di farle or ora conoscere col mio telegramma personale n. 32 J2.

482

IL CONSOLE GENERALE A ZANZIBAR, CORSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 731/611. Zanzibar. 26 settembre 1910 (per. il 14 ottobre).

Ebbi il pregiato dispaccio col quale l'E.V.2, dopo aver rammentate le diverse questioni insorte negli ultimi tempi con quest'agente britannico, m'invitava a classificare ed esaminare i vari punti controversi, sia in relazione all'attuale stato di cose nel Sultanato, che a quello che risulterebbe da un assorbimento di esso da parte dell'Inghilterra, allo scopo di giudicare su quali di essi converrebbe in ogni caso d'insistere, per ragione politica o morale, e su quali invece potremmo desistere, mediante compensi; e suggeriva come materia di questi ultimi varie questioni che, in confronto con l 'Inghilterra, interessano la Somalia italiana, una miglior conoscenza delle quali avrei potuto ottenere direttamente dal Governo della nostra colonia, gia ali 'uopo da V. E. informato.

2 Il dispaccio al quale si riferisce dovrebbe essere quello citato alla nota l del n. 327.

Ho atteso per rispondere sull'importante argomento, sia di compiere un meditato riesame di tutta la grave e complicata questione, sia di ricevere dal Governo del Benadir le notizie suaccennate, che S.E. l'onorevole De Martino si è compiaciuto inviarmi con nota, comunicata anche all'E.V., in data 17 agosto u. s. n. 41, testè pervenutami.

Per quanto riguarda la questione generale, unisco a questo rapporto una speciale memoria, ov'è fatto particolareggiato esame dell'intera situazione politica di Zanzibar, trattando anche le varie questioni speciali e i singoli punti indicati nel dispaccio citato; la quale ardisco, stante forse l'urgenza delle cose, di raccomandare alla particolare attenzione di V.E.

Nella memoria suddetta, esamino lo stato di diritto delle varie Potenze più interessate nella questione, e cioè, oltre l'Inghilterra e insieme con l 'Italia, la Germania e la Francia, l'ulteriore azione dell'Inghilterra e le questioni che ne sono insorte; la speciale posizione e l 'ulteriore atteggiamento delle varie Potenze; e in particolare la speciale posizione e l'ulteriore atteggiamento dell'Italia.

Se ne desume che l'Inghilterra ha un interesse materiale oltre che morale a modificare radicalmente l'attuale situazione politica del paese, emancipandosi a tal fine dai vincoli, specie per gli effetti di carattere finanziario, risultanti dai trattati in vigore con le varie Potenze, fra cui l'Italia. L'Inghilterra tenta naturalmente di compiere tale trasformazione per proprio conto, cercando, con eccessiva disinvoltura, di creare dei fatti compiuti, come in parte le è infatti riuscito; ma è da ritenere che, ove incontri serie resistenze, essa non debba essere aliena dal seguire la via degli accordi coi vari Stati, compresa l'Italia. Si indicano anche quali presumibilmente dovranno essere le varie tappe su questa via, e quella certo importante, e resa forse assai prossima da speciali congiunture, in cui le converrà d'imbattersi con l'Italia. Si dimostra che, per ragioni di politica generale e per scarsezza di effettivi interessi locali, convenga ali 'Italia di mettersi sulla medesima via, accennando anche al particolare modo di procedere in confronto con gli altri concorrenti. Si indicano i punti su cui si potrebbe transigere, procedendo ad una nuova convenzione che abrogasse i privilegi troppo speciali ed ormai eccessivi assicurati dali 'antico trattato, venendo così, solo per tal fatto ad innovare a quella situazione generale derivante dallo speciale carattere capitolare del trattato medesimo, che lo rende particolarmente gravoso ed inviso. Si conclude che la nostra desistenza -da un contegno, che, come fu anche accennato in precedenti rapporti, volle essere, in questi ultimi tempi, più risoluto e tenace appunto con tale mira -debba essere, ad ogni modo accompagnata da compensi; e questi adeguati bensì, ma concreti.

Nella memoria non si è creduto opportuno di esaminare quale potrebbe essere la natura di tali compensi, essendo sembrato miglior partito di considerare la questione in generale e per ogni evenienza, mettendo in luce l'opportunità in massima di venire ad un accordo e il valore assoluto delle nostre eventuali concessioni. Si esamina ora qui, quanto l'E.V. suggerisce nel suo dispaccio, che cioè tali compensi possano concretarsi a vantaggio della nostra vicina colonia, specialmente nei rapporti col confinante protettorato britannico dell'Africa orientale. T a

le modo di vedere, che pienamente condivido, è favorito anche dalla circostanza, assai propizia, che quel protettorato, come si dimostra nella memoria, è interessato anche esso direttamente alla sistemazione della questione di Zanzibar.

Quanto ai compensi specifici da richiedersi nell'interesse d~lla nostra colonia, il senatore De Martino si è compiaciuto tratteggiarmi un quadro evidente della situazione, quale risulta dai rapporti generali esistenti fra il Governo della Somalia e il vicino protettorato britannico nonché dalle speciali questioni di carattere politico ed economico attualmente in corso.

Stabilito il perfetto accordo sulle relazioni generali -che peraltro, da parte degli inglesi, suole spesso riuscire fallace se non si concreti nella sistemazione effettiva delle singole questioni -quale quelle ora pendenti, conforme anche alla menzione fattane nel dispaccio di V.E. sono3 le seguenti:

l o polizia del confine mercé una maggiore sorveglianza da parte degli inglesi sulla sponda destra del Giuba, in modo da impedire sconfinamenti a nostro danno, destinando all'uopo forze maggiori di quelle di cui vogliono attualmente disporre;

2° regolamento del corso del Giuba (deviamento della foce, appartenenza di isole); polizia della navigazione; regime delle acque -soprattutto per le irrigazioni e simili; affidate ali'esame di una commissione mista, che deve riunirsi tra breve;

3° questioni relative alla Somalia del Nord.

Quanto al primo gruppo di questioni relative alla polizia del confine, l'onorevole De Martino mi informa che questo punto sarà argomento di insistenze da parte di quel governo; le quali sarebbe da sperare che avessero buon esito in base ai semplici doveri di buon vicinato. Ad ogni modo l'onorevole De Martino, dietro il suggerimento di V.E., indica la nostra attitudine nelle questioni di Zanzibar come uno dei mezzi per indurre il Governo inglese ad una azione più efficace nell'alto Giuba.

Sempre nel criterio, specialmente indicato con gli inglesi, di ottenere risultati concreti e precisi, mi permetto esprimere l'avviso che tale punto non dovrebbe propriamente formare oggetto di trattative di compensi. Poiché, per ovvie ragioni di carattere morale, non potendo gli inglesi obbligarsi a mantenere una determinata forza, da noi giudicata sufficiente, per la polizia del confine, qualunque impegno di tal genere assumerebbe un carattere troppo elastico e indeterminato perché potesse ali'occasione ottenersene pacificamente l'adempimento. Del resto in materia di polizia, il miglior sistema è sempre quello di effettuarla per proprio conto e con propri mezzi. Poiché peraltro ciò costituirebbe un maggior onere per noi, potremmo indennizzarcene ottenendo altri equivalenti compensi dali 'Inghilterra in luogo di quello.

Quanto al secondo gruppo di questioni, S.E. l'onorevole De Martino assai giustamente osserva che occorra anzitutto aspettare il risultato dei lavori della commissione incaricata di presentare le sue proposte, e allora soltanto, se mancasse l'accordo in tutto o in parte, si potrà considerare l'opportunità di negoziati. È da sperare che tale accordo possa attenersi nelle vie ordinarie, tanto più che per una delle questioni più importanti, quella della foce del Giuba, pare a me, per quanto io so, che il nostro buon diritto sia indiscutibile. Ad ogni modo, poiché per le ragioni addotte nella memoria, un nostro negoziato per la questione di Zanzibar può presentarsi con carattere di urgenza, così sarebbe necessario che la commissione suddetta potesse affrettare il più possibile i suoi lavori, presentando al più presto le sue conclusioni, e che i nostri delegati ricevessero istruzioni di studiare le varie questioni, non solo dal punto di vista del loro regolamento in via normale, secondo giustizia ed equità, ma anche sotto l'aspetto del nostro speciale vantaggio, in modo da poter all'occorrenza far materia di negoziato quei vantaggi appunto che eccedessero quanto potesse normalmente spettarci e non fossimo riusciti ad ottenere bonariamente. In tale campo non vi è dubbio che potremmo trovare materia a compensi concreti ed utili per lo sviluppo della nostra colonia.

Ove essi apparissero di valore corrispondente alle nostre concessioni, altra materia potrebbe trovarsi nel punto accennato nel dispaccio di VE. relativo alle questioni doganali e di transito a Kisimaju: sebbene io non sappia dire, né sta a me il dirlo, quanto convenga a noi, qualora si possa risolvere, in modo sufficiente, il problema di uno sbocco in nostro territorio, di agevolare il transito per Kisimaju; poiché le merci provenienti da oltre confine, anche alla sinistra del Giuba, qualora sappiano di dovere da ultimo essere avviate a Kisimaju, senza sapersi ben rendere conto della situazione speciale colà, potrebbero senz'altro passare sin da principio in territorio inglese, tanto più in seguito agli allettamenti e anche alle coercizioni che subiscono dagli agenti inglesi di confine. E a tal proposito sarebbe forse il caso di considerare, se, in via di compensi e qualora vi sia la capienza, non potrebbe anche attenersi di arrestare l'invadente espansione inglese a nostro danno, specie verso i borana, meglio delimitando la rispettiva sfera di aziOne.

Quanto al terzo gruppo di questioni relative alla Somalia del nord, il senatore De Martino dichiara di non saper in modo preciso indicare quali compensi sarebbero ora da chiedere al Governo inglese se prima non si vede più chiaramente a quale situazione nuova gli avvenimenti in corso potranno condurre. Né io mi permetto di aggiungere altro, tanto più non essendo abbastanza a giorno della questione, ma solo di sottoporre la considerazione che anche tale questione si presenta forse, per sua natura in termini troppo vaghi per offrir materia a compensi concreti. Inoltre, dipendendo la Somalia del nord da un altro governo locale, che non ha alcun interesse proprio nella questione di Zanzibar come quello del protettorato dell'East Africa, potrebbero da quel governo essere fatte resistenze alla concessione di vantaggi di cui farebbe le spese senza alcun suo profitto, e nelle questioni locali il Governo di Londra suol dare, giustamente, assai peso al

parere dei governi del luogo. Ad ogni modo, ove restasse ancor margine, potrebbe considerarsi anche l'eventualità di compensi nella Somalia settentrionale, cercando il più possibile di concretarli.

Altrimenti potrebbe, ali'occorrenza ricercarsi qualche ulteriore conguaglio in qualche altra speciale questione che interessi sempre l 'una oppure l'altra delle nostre colonie.

In ogni caso credo infatti che ci convenga di mantener fermo il negoziato sul più limitato e più sodo terreno della politica anzi dell'amministrazione coloniale, senza rivangare quello troppo largo e profondo della politica generale, dove il piccolo seme, che pure può dar qualche frutto, correrebbe il rischio di andar calpestato e disperso.

Comunico copia del presente rapporto e della memoria annessa a S.E. il governatore della Somalia.

ALLEGATO

MEMORIA SULLA SITUAZIONE POLITICA DI ZANZIBAR

Zanzibar, ... settembre 191 O.

Per rendersi pieno conto dell'attuale situazione politica di Zanzibar, in vista dell'ulteriore atteggiamento che potrà convenirci di seguire, occorre esaminare i seguenti punti:

I. -Stato di diritto delle varie Potenze che, oltre ali' Inghilterra ed in confronto anche a questa, sono, per precedenti storici e diplomatici, per interessi materiali, per riflessi di politica generale, particolarmente interessate nella questione, e cioè: Francia, Germania e Italia.

II. -Ulteriore azione dell'Inghilterra -e questioni relative. ITI. -Posizione speciale e ulteriore atteggiamento delle diverse Potenze suddette.

IV. --Situazione speciale ed ulteriore atteggiamento dell'Italia. i. --SITUAZIONE DI DIRITTO DELLE VARIE POTENZE

Avvertenza. -Non vengono espressamente citati che gli atti diplomatici di fondamentale importanza, allo stato attuale della questione. Per la completa storia diplomatica di essa si rimanda alla raccolta dei trattati ecc. relativi ali' Africa, alla quale si fa riferimento

(R.T.).

FRANCIA. -La posizione della Francia a Zanzibar si fonda sul trattato stipulato il 17 novembre 1844 con l'iman di Mascate, che si riferisce anche a Zanzibar, allora dipendente deli 'iman (v. R. T., doc. 253 in nota). È un accordo senza termine, sul tipo capitolare; libertà assoluta di residenza e di commercio; giurisdizione ed altri diritti extraterritoriali; privilegi consolari ed altre immunità; diritti di importazione nella misura massima del 5% con esenzione di qualsiasi altro diritto doganale o di porto; clausola della nazione più favorita.

Con dichiarazione fatta a Parigi il 10 marzo 1862 (v. R. T., doc. 4) il Governo francese e quello inglese s'impegnano reciprocamente a rispettare l'indipendenza del Sultanato

di Zanzibar, come di quello di Mascate, ormai separati, essendosi riconosciuta l 'indipendenza del primo in seguito a giudizio arbitrale del 2 aprile 1861 (v. R. T., doc. 3).

Con processo verbale fatto in Zanzibar il 9 giugno 1886 (v. R. T., doc. 55) la Francia, insieme all'Inghilterra e alla Germania, riconosce i diritti sovrani del sultano di Zanzibar sui territori ivi designati.

Con scambio di note fatto in Parigi il 27 novembre e 1'8 dicembre 1886 fra la Francia, l'Inghilterra e la Germania (v. R. T., doc. 58 e 59) la prima prende atto dell'accordo intervenuto fra le altre due Potenze (29 ottobre e l o novembre 1886 ~v. appresso) per la delimitazione del Sultanato di Zanzibar e l 'adesione della Germania alla dichiarazione anglo-francese l O marzo 1862 circa l'indipendenza del Sultanato.

Con dichiarazioni scambiate a Londra il 5 agosto 1890 (v. R. T., doc. 95) la Francia, in cambio del riconoscimento da parte dell'Inghilterra del protettorato francese sul Madagascar e dell'influenza francese verso il Niger, riconosce, a modificazione della dichiarazione del l O marzo 1862, il protettorato inglese sulle isole di Zanzibar e Pemba, accettato dal sultano con trattato 14 giugno stesso anno (v. appresso), restando inteso che non debba derivarne alcun pregiudizio ai diritti ed immunità goduti dai cittadini francesi nei territori medesimi.

In connessione con l'accordo generale franco-inglese 8 aprile 1904, con scambio di note fatto a Londra il 13 e 18 maggio 1904 (v. R. T., doc. 253), la Francia rinuncia alla giurisdizione extraterritoriale a Zanzibar, che resta trasferita ai tribunali britannici istituiti con gli Orders in Council del 1897 (v. appresso) consentendo, per tal parte, a restringere le immunità risultanti dal trattato del 17 novembre 1844, nella misura necessaria all'amministrazione della giustizia dai detti tribunali, ma all'infuori di tale eccezione mantenendo salve tutte le immunità, i privilegi e le prerogative stipulati nel trattato citato e confermati dalla dichiarazione del 5 agosto 1890, specialmente in materia di successione, di protezione e di espulsione.

GERMANIA. -La posizione della Germania si fonda sul trattato stipulato col sultano di Zanzibar il 20 dicembre 1885 e ratificato il 5 luglio 1886 (non compreso nella R. T. Si allega) (allegato n. l)4.

Esso segue, sempre sul tipo delle capitolazioni, le linee generali del trattato fra la Francia e il sultano di Mascate: extraterritorialità, privilegi, immunità; diritti di dogana massimi del 5 %; clausola della nazione più favorita; -ma è molto più particolareggiato, e contiene anche alcune clausole speciali nuove. Di capitale importanza quella che stabilisce (art. IX-b) che oltre i diritti doganali espressamente consentiti i sudditi tedeschi non possano esser colpiti da alcun 'altra imposta personale o reale; in caso che anche altre Potenze vi acconsentano, potranno applicarsi anche diritti portuari o di tonnellaggio da amministrarsi però sotto il controllo di una speciale commissione e da destinarsi esclusivamente al miglioramento del porto (art. X); e parimenti per l'applicazione di tasse esclusivamente a scopo sanitario o municipale (art. XXIII).

Il trattato aveva originariamente la durata di 15 anni dalla data delle ratifiche (5 luglio 1886); allo spirare del termine, dietro preavviso di un anno, poteva essere modificato a richiesta delle parti; altrimenti restava tacitamente prorogato per altri dieci anni. Non essendo stato riveduto al termine del primo periodo, il trattato restò tacitamente prorogato pel nuovo termine stabilito, sicché viene a scadere il 5 luglio 1911.

La Germania sottoscrive quindi con l'Inghilterra e la Francia il verbale 9 giugno 1886 già citato, e partecipa ai citati scambi di note con la Francia e l 'Inghilterra 29 ottobre -lo novembre 1886, e 27 novembre -8 dicembre 1886.

Seguono le convenzioni 28 aprile 1888 e 14 gennaio 1890 col sultano di Zanzibar

(v. R. T., doc. 71 e 89) per le concessioni territoriali sulla costa.

Con l'accordo stipulato a Berlino il ]0 luglio 1890, relativo all'Africa e all'isola di Heligoland (v. R. T., doc. 92), la Germania, assicurandosi il riscatto dei territori concessile sulla costa, s'impegna a riconoscere il protettorato inglese sui restanti domini del sultano di Zanzibar.

Con l'accordo di Londra 14 novembre 1899, relativo a Samoa, Togo, e Zanzibar (v.

R. T., doc. 216), la Germania rinunzia ai suoi diritti di extraterritorialità a Zanzibar, con l'intesa che tale rinunzia non avrà effetto se non quando siano stati aboliti i diritti di extraterritorialità goduti dagli altri Stati.

Con scambio di note fatto a Berlino il 25 febbraio e 15 marzo 1907 (v. R. T., doc. 373), la Germania, in adempimento all'accordo precedente, acconsente a cessare l'esercizio della giurisdizione consolare a Zanzibar, con le riserve fatte dalla Francia (v. sopra) circa gli affari successori, il trattamento dei protetti e la facoltà di espulsione.

ITALIA. -La posizione de il'Italia si basa sul trattato stipulato a Zanzibar col sultano il 28 maggio 1885, e relativo articolo addizionale concordato con accordo del l O ottobre successivo ratificati entrambi il 28 maggio 1885 (v. R. T., doc. 45 e 49).

Il trattato, sul genere di quelli capitolari, riproduce quasi interamente quello già citato fra la Francia e il sultano di Mascate.

Al pari di esso non ha termine; stabilisce in genere il trattamento della nazione più favorita; assoluta libertà di residenza, di commercio e di navigazione; giurisdizione ed altri diritti extraterritoriali; privilegi, immunità ed esenzioni consolari; esenzioni da ogni altro diritto, sul commercio, oltre le tasse che pagheranno, per le loro mercanzie e pei loro bastimenti, i sudditi della nazione più favorita.

Con lettera del 7 novembre 1890 (v. documenti diplomatici Zanzibar 1890, doc. 412) il r. console generale in Zanzibar accusa ricevute della notificazione del protettorato inglese fattagli dall'agente e console generale britannico.

Con convenzione firmata a Zanzibar il 12 agosto 1892 dall'agente britannico e dal reggente il r. consolato, (v. R. T., doc. 135), l 'Italia riceve in concessione dal sultano le città e i porti del Benadir.

Con scambio di note fatto in Londra il 13 gennaio 1905 (v. R, T., doc. 258) il Governo italiano, nel concludere il riscatto del Benadir, acconsente che in pari tempo «cesseranno assolutamente tutti i diritti di extraterritorialità attualmente goduti dali' Italia, in forza di trattati, convenzioni e consuetudini», e «la giurisdizione extraterritoriale sarà trasferita alla corte di S. M. Britannica in Zanzibar costituita dal Zanzibar Order in Council 1897».

Con scambio di note verbali fatto in Roma il 5 e 9 luglio 1905 (v. R. T., doc. 269), l'ambasciata britannica chiede di conoscere se in seguito al compiuto riscatto del Benadir siano state date istruzioni al r. rappresentante in Zanzibar circa la «rinuncia alla giurisdizione extraterritoriale», ed il R. Ministero degli affari esteri risponde che «in base all'accordo del 13 gennaio 1905, sono state date telegrafiche istruzioni al r. console generale in Zanzibar di comunicare a quell'agente di S. M. Britannica che con la data dell'8 stesso mese si intende cessata e trasferita alla corte di S. M. Britannica in Zanzibar la giurisdizione extraterritoriale fino allora esercitata dall'Italia».

Con scambio di note fatto in Londra il 17 agosto -14 dicembre 1908 (v. R. T., doc. 350-bis) fu convenuto che gli indigeni del Benadir residenti a Zanzibar prima dell'accordo 13 gennaio 1905 debbano essere considerati come sudditi zanzibaristi, e il reciproco per gli indigeni dello Zanzibar residenti al Benadir.

INGHILTERRA. -I rapporti dell'Inghilterra col Sultanato, svoltisi dapprima secondo un trattato di commercio concluso nel 1839 dal servizio navale delle Indie, vengono regolati poi direttamente col trattato stipulato in Zanzibar il 30 aprile 1886 e ratificato il 17 agosto successivo (non compreso nella R. T. Si allega) (allegato n. 2).

Tale trattato riproduce quasi alla lettera quello stipulato il 20 dicembre dell'anno precedente dalla Germania (v. sopra) ed ha i medesimi termini, e cioè la durata di quindici anni, con facoltà di revisione allo spirare del periodo, o rinnovazione tacita (come ebbe luogo) per un nuovo periodo di dieci anni.

Seguono le convenzioni per le concessioni territoriali sulla costa, del 24 maggio 1887, 9 ottobre 1888, 31 agosto 1889, 4 marzo 1890 (v. R. T., doc. 63, 73, 82, 90).

Con trattato firmato a Zanzibar il 12 luglio 1890 (v. R. T., doc. 91) il sultano di Zanzibar riconosce il protettorato britannico, dietro garanzia del mantenimento sul trono per sé ed i suoi successori.

In seguito agli accordi intervenuti con la Francia e la Germania (v. sopra) il protettorato inglese è pubblicato con notificazione del Foreign Office in data 25 novembre 1890

(v. R. T., doc. 115).

Con notificazione del Foreign Office del 31 agosto 1896 (v. R. T., doc. 136) i territori del Sultanato di Zanzibar, situati sulla costa e sottoposti al protettorato britannico, sono, unitamente con gli altri territori de li'Africa orientale sottoposti al protettorato inglese (eccetto I'Uganda), inclusi, per gli effetti amministrativi, in un unico protettorato sotto il nome di East Africa Protectorate.

In seguito ai particolari accordi intervenuti fra l'Inghilterra, la Francia, la Germania, l 'Italia (v. sopra) e gli altri Stati aventi trattati col Sultanato, vengano completamente a cessare, con l'anno 1907, le diverse giurisdizioni extraterritoriali estere in Zanzibar.

Con trattato firmato in Zanzibar il 4 novembre 1908 -nell'intento di confermare e rendere più salde le buone relazioni esistenti fra le parti, e i vari accordi in forza dei quali il sultano di Zanzibar si mise sotto la protezione di S. M. Britannica, e nell'opinione che non sia più a lungo vantaggioso nel reciproco interesse di mantenere in vita il trattato del 30 aprile 1886 -il trattato stesso viene puramente e semplicemente abrogato. (Non compreso nella R. T. Si allega) (allegato n. 3).

Il. -ULTERIORE AZIONE DELL'INGHILTERRA E QUESTIONI RELATIVE

Su questo stato di diritto l'Inghilterra ha iniziata e svolta un'ulteriore azione diretta, fatalmente e per le particolari ragioni che saranno dette in appresso, a rendere sempre più salda, effettiva ed esclusiva la sua posizione nel Sultanato. Tale azione si è andata esplicando sempre più vivamente sotto i due ultimi agenti britannici, e specialmente per opera dell'attuale Mr. E. W. Clarke, già in precedenza addetto al Foreign Office, che sembra aver quasi avuto la speciale missione di condurre a termine l'opera.

L'azione stessa si va esplicando in doppio senso: l 0 ) -di imporre sempre più l'autorità della Potenza protettrice sul sovrano protetto, togliendo al sultano ogni effettiva autorità, in attesa di togliergli all'occorrenza, anche ogni autorità nominale; 2°) -di emanciparsi dalle ingerenze e dalle limitazioni derivanti dai trattati in vigore crom gli Stati esteri in dipendenza dei privilegi già con essi accordati dai precedenti sultani.

Nel primo senso l'opera del Governo inglese ha potuto sinora procedere assai speditamente, favorita dal carattere fiacco del giovane sultano, dal poco ascendente che egli esercita sulle popolazioni, e specialmente dalle sue esigenze d'ordine finanziario; si che può dirsi che l'autorità effettiva del sultano nel governo interno del paese sia ormai completamente annullata, e venga interamente esercitata, anche più che dai funzionari inglesi preposti a !l'amministrazione locale, direttamente dali' agente britannico.

Il suggello ufficiale a tale mutamento di cose può considerarsi apposto col nuovo trattato del 4 novembre 1908, che abroga quello di commercio e amicizia del 30 aprile 1886. Tale annullamento fu evidentemente voluto, oltre che per altri particolari effetti di cui sarà detto in appresso, per togliere ai rapporti fra l 'Inghilterra e il Sultanato ogni carattere di bilateralità e per lasciare quest'ultimo solo sotto l 'impero del trattato del protettorato.

Dopo questa manifestazione palese e l'opera covertamente spiegata verso il sultano, ormai un 'ulteriore azione verso di questo trova un limite negli obblighi di carattere internazionale, e si confonde quindi con quella diretta nell'altro senso, nei rispetti cioè delle Potenze estere. Ove tali obblighi venissero a cessare, riescirebbe assai facile al Governo inglese, prevalendosi specialmente delle strettezze finanziarie in cui si dibatte il sultano a causa della sua vita prodiga e disordinata -non certo trattenuta -di ottenere da lui qualche rinunzia; e non è assolutamente da escludere che ciò possa essere già, almeno in parte, avvenuto, e sia tenuto segreto sino a che non siano rimossi i più gravi ostacoli di carattere internazionale (v. rapporto 14 aprile 1910 n. 238)5. Ciò contribuirebbe a rendere più tenace e ardita l'azione inglese verso gli Stati esteri.

Tale azione, arrestatasi nel campo diplomatico agli accordi per l 'abolizione delle giurisdizioni consolari, ha cercato poi di affermarsi per proprio conto, allo scopo di risparmiare o ad ogni modo agevolare ulteriori negoziati; svolgendosi in modo talora capzioso tal altra arbitrario, maliziosamente interpretando e talora apertamente violando le stipulazioni in vigore, e studiandosi così di creare uno stato di fatti compiuti, senza troppo curarsi delle proteste e riserve che tali procedimenti non mancavano di sollevare.

Si accennano le principali fasi di una tale azione e le principali questioni che ne sono insorte.

Giurisdizione

Anche dopo la proclamazione del protettorato inglese, la giurisdizione pei sudditi britannici, come per gli altri sudditi esteri era esercitata dalle rispettive autorità consolari.

In seguito, con Zanzibar Order in Council 1897, emanato a Windsor il 7 luglio di quell'anno, in forza ai poteri conferiti dal Foreign Jurisdiction Act 1890, fu provveduto a regolare la giurisdizione in Zanzibar (isole) in confronto dei sudditi inglesi e di quelli esteri rispetto ai quali i rispettivi governi avessero, per trattati o altrimenti, consentito all'esercizio della giurisdizione inglese. All'uopo veniva istituita una speciale «Corte di Sua Maestà Britannica per Zanzibam, composta di giudici inglesi nominati con regio brevetto, e dalla quale era dato appello alla Alta Corte di Bombay.

Erano applicabili in generale dalla Corte le disposizioni applicate dalle Corti della presidenza di Bombay (fra cui i codici penale, di procedura civile e penale indiani); non che altre leggi applicate o applicabili nelle Indie, o in altri possedimenti inglesi dell'Africa, che fossero poste in vigore a Zanzibar dal segretario di Stato, con facoltà di adattarli

e modificarli secondo le esigenze locali; in difetto il diritto scritto o consuetudinario inglese. Il console generale britannico aveva facoltà di emettere regolamenti, sotto il titolo di Queen sRegulations, ma limitatamente solo a determinati oggetti e subordinatamente alla preventiva approvazione del segretario di Stato. Con successivi Orders in Council 1903 e 1904 le facoltà di promulgazione e di revoca conferite dall' Order in Council principale al segretario di Stato, furono deferite al console generale, ma sempre dietro l'approvazione del segretario di Stato.

In seguito alla rinuncia alle giurisdizioni extraterritoriali, i sudditi dei vari Stati vennero a passare sotto la giurisdizione della Corte britannica istituita dall' Order in Council 1897.

Order in Council 1906. -Se non che, in data 4 novembre 1908, veniva pubblicato sulla Gazzetta, insieme al nuovo trattato di pari data che abrogava il precedente trattato del 30 aprile 1886 (v. sopra), un nuovo Zanzibar Order in Council 1906 emanato a Buckingham Palace l' 11 maggio dello stesso anno, di cui in forza di un successivo Order in Council del 21 dicembre 1906, era stata ritardata la pubblicazione a data da stabilirsi dal segretario di Stato.

Il nuovo Order in Council modificava in vari punti l'antico; ma la modificazione più fondamentale e più grave è quella relativa alle disposizioni applicabili dalla corte. Infatti, mentre nel precedente Order in Council si stabiliva il principio generale dell'applicabilità delle leggi indiane o di provvedimenti legislativi già in vigore in altri possedimenti inglesi e si dava al segretario di Stato, e quindi per delegazione all'agente diplomatico, la facoltà di promulgarli, revocarli e modificarli, ed a quest'ultimo limitate facoltà regolamentari proprie, ma nell'un caso e nell'altro sottoposte alla approvazione preventiva del segretario di Stato; nel nuovo Order in Council, mantenendosi alcuni degli atti già messi in vigore da quello del 1897 e solo in via transitoria altre leggi indiane, si poneva il principio generale dell'applicazione da parte della corte dei decreti del sultano di Zanzibar, anche ai sudditi inglesi ed esteri, sempre che fossero controfirmati dall'agente britannico e senza che occorresse la previa approvazione del segretario di Stato.

È evidente la gravità di tale disposizione, doppiamente censurabile, perché da un lato fa nominalmente emanare la legislazione e la giurisdizione su cittadini di stati civili da un sovrano orientale alla cui giurisdizione i singoli Stati avevano già voluto sottrarre i propri sudditi con speciali trattati, dall'altro pone questi ultimi in balia di un semplice rappresentante locale della Potenza protettrice, senza alcun pronto controllo né alcuna efficace garanzia.

Contro l'Order in Council 1907 i rappresentanti locali delle diverse Potenze presentarono le proprie riserve e proteste, fra cui anche, in forma pura e semplice, il rappresentante dell'Italia, ma senza che, in realtà, esse abbiano avuto alcun risultato.

Il punto è troppo grave perché non meriti che vi si insista tenacemente, tanto più visto l'uso talora eccessivo e inconsulto che di tale facoltà vien fatta dall'agente britannico, col prescrivere persino disposizioni, applicabili anche agli stranieri, che ripugnano, non che al senso della nostra civiltà, anche ai fondamentali principi di legislazione coloniale.

Prisons Decree 1909. -Così in un Prisons Decree 1909, da lui controsegnato ed applicabile quindi anche ai cittadini stranieri, è stabilito che questi possono essere rinchiusi promiscuamente con gli indigeni in una stessa prigione, adibiti insieme con questi, e del pari incatenati, ai lavori esterni anche i più duri ed abbietti, ed infine che siano egualmente passibili, dietro la semplice determinazione del direttore delle carceri, di pene disciplinari che possono estendersi fino a sei mesi di lavori forzati e venti colpi di frusta (v. rapporto 9 gennaio 191 O n. l).

Se nessun dubbio vi è sulla necessità di opporsi alla citata disposizione dell'Order in Council 1906, più difficile è stabilire la base legale su cui fondare le proprie opposizioni. All'uopo non è possibile riferirsi a nessuna testuale disposizione dei trattati in vigore, poiché questi, accordando la giurisdizione extraterritoriale, non avendo ragione di statuire in alcun modo sulla legislazione da applicarsi agli stranieri che era quella dei loro rispettivi paesi. D'altra parte, avendo le Potenze rinunciato all'esercizio di tale giurisdizione trasferendola a quella inglese, è naturale che debba consentirsi anche all'emanazione di norme legislative secondo le quali la giurisdizione stessa possa esplicarsi. Né sarebbe forse giusto fermarsi troppo su una interpretazione puramente letterale, come quella che si basasse sul fatto che alcuni Stati, fra cui l'Italia, hanno espressamente dichiarato di accettare la giurisdizione della corte britannica costituita secondo l'Order in Council 1897, e perciò questo e non altri: poiché, a parte le obbiezioni che potrebbero muoversi ad una tesi, si condannerebbe in tal modo la legislazione locale ad un'assoluta immobilità.

La base legale per opporsi alla disposizione citata pare possa meglio desumersi dallo spirito generale dei trattati e dei successivi accordi sulla rinunzia alla giurisdizione extraterritoriale. Coi primi si era stabilita tale forma di giurisdizione, secondo lo spirito generale di tutti i trattati di capitolazione, nell'intento di sottrarre i cittadini degli Stati civili a una legislazione arbitraria e senza sufficienti garanzie, assicurando loro l'applicazione di leggi conformi ai propri principi di civiltà, ed ai propri legittimi interessi, ed emanate quindi con tutte le garanzie stabilite a tal fine nei vari Stati civili. E poiché questa è materia di altissimo ordine morale, sulla quale gli Stati non possono transigere, come non sarebbe ammesso nemmeno in diritto privato, così è da ritenere che la rinunzia a quel privilegio sia stata fatta, ed accettata, con l 'implicita riserva che la nuova giurisdizione da applicarsi agli stranieri rispondesse agli stessi principi di civiltà ed offrisse analoghe garanzie, anche per quanto si riferisce all'emanazione delle leggi. Ciò non può dirsi sia assicurato con la disposizione che mette la legislazione completamente in balia di un semplice funzionario locale portato piuttosto dall'arbitrio, come in genere avviene, ed è più spiegabile, nei reggitori di colonie, quale però questo paese ancora non è. Né garanzia sufficiente è quella che la legislazione applicabile in tal modo agli stranieri lo sia anche ai cittadini e sudditi britannici. Poiché, da un lato, la legislazione stessa, com'è proprio del diritto inglese, può lasciare specie nelle leggi penali, una certa elasticità e indeterminatezza discrezionale nell'applicazione delle pene, di cui quelli senza dubbio potrebbero beneficiare, mentre, per di più la massima parte dei cittadini inglesi residenti in Zanzibar sono funzionari, e quindi in base a speciali disposizioni contenute nell'Order in Council, godono di speciali privilegi; dall'altro lato poi, gli altri sudditi inglesi, come la larga comunità indiana qui esistente, hanno anch'essi, pur avendo ragioni certo minori dei cittadini di Stati sovrani europei, altamente protestato contro l 'arbitraria e pericolosa disposizione (v. rapporto d'ottobre n. 418).

Né garanzia sufficiente è nemmeno quella per cui il segretario di Stato può annullare i decreti controsegnati dall'agente diplomatico che debbono a tal fine essergli comunicati, mentre secondo l'antico Order in Council i regolamenti, su limitati e determinati oggetti emanati da quello, dovevano essere previamente approvati dal segretario di Stato. È infatti molto più facile che l'autorità superiore non approvi una proposta di regolamento non ancora reso pubblico, che annulli un regolamento già pubblicato, sconfessando così e diminuendo il proprio rappresentante.

Sarebbe pertanto necessario ottenere, o che si ritornasse all'antico sistema di legislazione stabilito dall'Order in Council 1897 limitando i poteri dell'agente diplomatico e sottoponendone l'esercizio alla preventiva approvazione del segretario di Stato; o che, qualora si volessero mantenere all'agente diplomatico le più ampie e generali facoltà legislative accordategli in seguito, l'esercizio di queste, fosse in ogni caso, subordinato alla preventiva approvazione del segretario di Stato. E poiché il nuovo Order in Council prescrive anche che l'agente britannico debba osservare ogni generale o speciale istruzione del segretario di Stato quanto al sottomettere a quest'ultimo, prima della sua controfirma, qualunque decreto emesso o da emettersi dal sultano; così qualora riuscisse più difficile ottenere la formale revoca della disposizione in questione, potrebbe almeno richiedersi che, che con istruzione generale, comunicata alle altre Potenze, il segretario di Stato prescrivesse all'agente britannico in Zanzibar di sottoporre a lui preventivamente ogni e qualunque decreto che intendesse controfirmare per renderlo applicabile anche ai sudditi esteri.

Altre minori questioni, connesse con quella generale della giurisdizione, sono insorte, in seguito a particolari disposizioni contenute ne li'Order in Council 1906 o in speciali decreti del sultanato controsegnati dali' agente britannico e pubblicati contemporaneamente con quello: in specie circa l'amministrazione delle successioni, che vorrebbe essere avocata alla corte, e la registrazione dei contratti, deferita ad uno speciale ufficio alla dipendenza della corte; funzioni queste che i consolati reclamano a loro spettanti, come non comprese nella rinuncia ai diritti giurisdizionàli.

Ma l'altra fondamentale questione, connessa a quella della giurisdizione e della rinuncia ai diritti extraterritoriali, è quella relativa al

Privilegio di bandiera e polizia marittima

Tale questione si presenta più grave per quegli Stati, fra cui l'Italia, che hanno puramente e semplicemente rinunciato a tutti i privilegi di extraterritorialità, poiché fra questi può sostenersi che vada compreso il privilegio di bandiera e di polizia marittima, salvo però ad esaminare quale, allo stato delle cose, debba intendersi il contenuto e le conseguenze di quella rinuncia generica (v. appresso). Non dovrebbe invèce sollevarsi alcun dubbio in proposito per quanto concerne quegli Stati che, come la Francia, o beneficiando delle stesse riserve, hanno limitato la propria rinuncia alla sola giurisdizione e per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia.

Visita ai sambuchi esteri nelle acque territoriali. -L'agente britannico, senz'affrontare apertamente la questione, anzi, con mossa poco abile, pregiudicandola in linea di diritto, ha cercato però di comprometterla in linea di fatto, chiedendo, nel 1909, in seno al Bureau Intemational Maritime, con speciosi pretesti relativi alla tratta, l'autorizzazione alle varie Potenze iv i rappresentate, fra cui l 'Italia, di poter sottoporre a visita i sambuchi esteri nelle acque territoriali di Zanzibar. Tale autorizzazione fu accordata dal Bureau, in via provvisoria e salvo la ratifica dei rispettivi Governi, ma l'agente diplomatico, accortosi forse del passo falso rinunziò, poi all'autorizzazione, che peraltro, anche per intervento del rappresentante dell'Italia, fu ribadita, !imitandone la durata ad un anno sino al novembre 191 O, allo scopo di consacrare sempre meglio il privilegio che nelle acque territoriali vige ancora il privilegio di bandiera (v. rapporti 28 novembre 1909, n. 594 e seguenti).

Port Regulations. -Se non che subito dopo, in data 20 dicembre 1909, veniva pubblicato, con la controfirma dell'agente britannico, un nuovo decreto portuario, in cui si faceva grave strappo ai principi di privilegio di bandiera, assegnando al locale ufficiale di porto alcune attribuzioni di polizia marittima sui sambuchi esteri, come il rilascio di licenze provvisorie ai sambuchi esteri la cui licenza sia scaduta o che vengano armati in porto, il controllo su li'equipaggio e sui passeggeri indigeni, e la formazione ed ispezione dei relativi manifesti. Con tali arbitrarie intenzioni si andava anche oltre segno, poiché risultavano evidentemente illegali, anche astrazion fatta dal privilegio di bandiera dipendente dai trattati, in dipendenza delle testuali e generali disposizioni dell'Atto generale di Bruxelles (v. rapporto 26 marzo 1910 n. 194). Contro tale disposizione presentarono le proprie riserve e proposte i rappresentanti degli Stati interessati, fra cui l'Italia, le quali vennero trasmesse dall'agente britannico al proprio Governo, senza che alcuna nuova comunicazione sia ancora pervenuta, ma anche senza, in verità, che le disposizioni suddette abbiano avuto alcun principio di pratica applicazione.

Ad ogni modo è il caso d'insistervi energicamente. Connesse anche alla questione della giurisdizione sono quelle relative alla

Libertà di residenza e di commercio

lmmigration Decree.-Circa la libertà di residenza, nell'anno 1908 si tentò dall'agente britannico di mettere in vigore un precedente decreto del sultano del 15 novembre 1905, rimasto fin allora inapplicato, che stabiliva speciali restrizioni circa l 'immigrazione in Zanzibar (v. rapporto 28 maggio 1908, n. !59 e seguenti).

In seguito alle proteste dei rappresentanti esteri, l'applicazione del decreto ed annesso regolamento fu nuovamente sospesa. Anche l'Italia presentò le proprie osservazioni; ed è degna d'attenzione la risposta data, con nota verbale del 28 maggio 1908, dall'agente britannico al reggente del r. consolato, in cui si dichiarava che «considerato che tutti i diritti di extraterritorialità accordati dal trattato del 1885 erano stati completamente annullati dall'accordo del 1905, non può ammettersi che il consenso del Governo italiano sia necessario perché i regolamenti restrittivi dell'immigrazione siano applicati ai sudditi italiani» (per la questione generale sollevata in questa nota, vedi appresso).

In appresso sono state egualmente pubblicate le disposizioni medesime, insinuandole fra le miscellaneous di un decreto l O marzo 1909 sulla Consolidation of Laws, senza che però in realtà abbiano alcun principio di esecuzione.

A parte la questione di principio e questa salvaguardata, credo sarebbe assai opportuno nell'interesse di tutti gli Stati, e particolarmente dell'Italia, che disposizioni di tal genere andassero in vigore, salvo a richiedere nel caso di sudditi esteri il concorso dei rispettivi consolati; i quali, privi ormai dei diritti giurisdizionali, non possono impedire l'entrata né effettuare l'espulsione di individui poco desiderabili, e hanno ritegno a far ricorso alle autorità locali, anche per offrir loro un argomento in sostegno del!' applicazione del decreto ancora in sospeso.

Circa la libertà di commercio, sono state, con vari decreti e principalmente con quello ora citato, introdotte alcune restrizioni, consistenti nell'obbligo di speciali licenze, dietro il pagamento anche di speciali diritti, per l'esercizio di alcuni mestieri e professioni (albergatori, venditori di liquori, sensali, cambia-valute, barcaiuoli ecc.).

Furono avanzate riserve e proteste dai vari rappresentanti esteri, ma le disposizioni vengono di fatto applicate; né d'altra parte, pur salvaguardando la questione di principio e salva anche la parte fiscale sarebbe il caso di opporsi per quanto riguarda l'esercizio di certe professioni che ha rapporto con l'ordine e la sicurezza pubblica, c quindi può rientrare nella giurisdizione consentita in tale materia.

Diritti doganali

In forza delle speciali clausole contenute nei trattati con la Francia e la Germania e la clausola della nazione più favorita contenuta nei trattati con le altre Potenze, i dazi doganali non potevano eccedere il 5% ad valorem.

Se non che, a decorrere dal l o gennaio 1908, l 'Inghilterra elevò senz'altro i dazi doganali dal 5 al 7 ~% (v. rapporto 4 gennaio 1908, n.3). La giustificazione ufficiosa di tale provvedimento fu quella che dovendo Zanzibar considerarsi compreso nella zona convenzionale del bacino del Congo ai sensi dell'Atto generale di Berlino del 25 febbraio 1885

(v. R. T., doc. 41 ), è qui vi applicabile la facoltà stabilita dalla dichiarazione 2 luglio 1890 annessa all'Atto generale di Bruxelles, (v. R. T., doc. 93) che consente di stabilire diritti d'importazione fino ad un massimo del 10%. È discutibile se secondo limitazione fattane nel n. 3 dell'art. 1° dell'Atto generale di Berlino, che prolunga all'est la zona effettiva del bacino del Congo sino all'Oceano Indiano, le isole di Zanzibar siano comprese nei limiti dell'atto medesimo. È vero bensì che nel protocollo 22 dicembre 1890 fra la Gran Bretagna, la Germania e l'Italia (v. R. T., doc. 112) si faceva espresso riferimento a Zanzibar ed ai trattati in esso in vigore, accordandosi di mantenere, nonostante la facoltà consentita dalla dichiarazione suddetta, i dazi doganali nella misura del 5% prevista dai trattati medesimi, e che nello scambio di note fra l'Inghilterra e l'Italia 24 settembre 1901-27 agosto 1902 (v. R. T., doc. 240) l 'Inghilterra denunziava, e l'Italia ne prendeva atto, l 'accordo ora detto, informando che il Governo inglese si proponeva, a termini della dichiarazione, di elevare al 10% il dazio di importazione nell'Africa centrale «mentre in quella parte dei domini del sultano del Zanzibar che sono sotto il protettorato dell'Inghilterra e in tutto il protettorato dell'Africa orientale, i dazi d'importazione sarebbero rimasti per ora in ragione del 5%, con riserva di posteriore aumento al 10%». È però da osservare che in tali atti l'accenno ai domini del sultano di Zanzibar doveva riferirsi, piuttosto che alle isole, ai territori di terraferma compresi nel protettorato dell'East Africa e che indubbiamente rientrano nella zona convenzionale del Congo, tant'è vero che ivi effettivamente i dazi d'entrata sono stati portati al massimo del l 0%; sebbene in verità debba d'altra parte riconoscersi che in base all'art. 8 dell'Atto generale di Bruxelles si sia venuta formando la teoria che le isole adiacenti al litorale, fino a l 00 migli e della costa, si considerano sottoposte allo stesso regime della terraferma.

Contro l'aumento della misura dei dazi doganali a Zanzibar furono avanzate riserve dai vari Stati, fra cui l'Italia, ma pur non !asciandole cadere, si finì per fare acquiescenza al fatto compiuto. Prima ad assumere tale atteggiamento fu la Germania, la quale doveva anzi sembrare la più interessata in contrario, in vista degli interessi commerciali, superiore ad ogni altro Stato, che essa ha nel! 'isola; ma in realtà perché aveva ed ha tuttora un interesse anche maggiore ad aggravare la situazione del commercio di Zanzibar per distoglierlo a favore dei porti della sua vicina colonia.

Ad ogni modo, la questione merita ancora d'essere tenuta presente ed all'occasione risollevata, qualora si volesse procedere ad un'ulteriore elevazione dei dazi sino al massimo che si vorrebbe consentito.

Customs Regulations Decree 191 O. -Un'altra questione è stata sollevata di recente in seguito alla promulgazione di un nuovo Customs Regulations Dee ree 191 O controfirmato dall'agente britannico (v. rapporto 25 giugno 1910, n. 483). In esso si contiene una disposizione che accorda la franchigia ai prodotti del!' East Africa Protectorate e dell 'Uganda, ed un'altra che proibisce, sotto pena di confisca, l'introduzione di articoli di contraffatta fabbricazione inglese. Non vi è dubbio che tali privilegi esclusivi, a favore di paesi, che allo stato attuale di diritto debbono considerarsi come terzi rispetto a Zanzibar, sono assolutamente illegali. E ciò sia da un punto di vista generale ed assoluto, qualora, come fu già sostenuto dall'Inghilterra nella questione dell'aumento dei dazi, le isole di Zanzibar debbano considerarsi comprese nella zona convenzionale del Congo, dove a norma dell'art. 3 dell'Atto generale di Berlino non possono accordarsi privilegi o diritti differenziali; sia da un punto di vista particolare e relativo, poiché tali privilegi dovrebbero restare senz'altro estesi a tutti gli Stati che godono della clausola della nazione più favorita. Né varrebbe addurre in contrario, per quanto riguarda la prima clausola, la già citata notificazione del Foreign Office del 31 agosto 1896, per cui, agli effetti amministrativi, i territori, di protettorato inglese, del sultanato di Zanzibar, posti sul continente, sono riuniti agli altri territori che costituiscono l'East Africa Protectorate, in modo che anche questi possano beneficiare della situazione di quelli, ed essere cioè considerati come paesi interni, ai quali non debbano applicarsi le norme doganali applicate ai paesi esteri: poiché l'unione amministrativa suddetta non può in alcuna maniera avere effetti politici nei riguardi internazionali. Ed appunto perciò la clausola relativa alla franchigia accordata all'East Africa Protectorate e ali 'Uganda, assume particolare importanza, perché viene a stabilire una specie di unione doganale, che può preludere, come suole avvenire, ad una unione politica

(v. appresso).

La clausola suddetta è stata dai rappresentanti delle Potenze interessate, fra cui l'Italia, segnalata ai rispettivi Governi; ed è questione che merita di essere attentamente considerata.

Tasse ed imposte

Il trattato con la Francia prescrive che non possano essere stabiliti «altri diritti doganali e di porto» oltre quelli d'importazione.

Il trattato con l'Italia, prescrive l'esenzione da ogni altro diritto «sul commercio» oltre le tasse pagate «per le loro mercanzie ed i loro bastimenti» dai sudditi della nazione più favorita.

Il trattato con la Germania stabilisce che, oltre i diritti doganali consentiti, non possa essere applicabile alcun'altra imposta personale o reale: in caso che anche altre Potenze vi acconsentano, potranno essere applicati diritti di porto e di tonnellaggio, da amministrarsi però sotto il controllo di una speciale commissione e da destinarsi esclusivamente al miglioramento del porto e alla costruzione e all'esercizio di fari; e parimenti per l'applicazione di tasse esclusivamente a scopo sanitario o municipale.

Diritti di porto e fari

Il Governo inglese cominciò ben presto a far pratiche con le varie Potenze per l'istituzione di tali diritti, in vista dei lavori occorrenti pel miglioramento del porto e specialmente per l'erezione di fari. Le pratiche si trascinavano ancora, quando senza aver prima ottenuto un formale consenso da tutte le Potenze, fu emanata, in data Il maggio 1904, un'ordinanza che stabiliva l'applicazione di diritti di porto e fari nella misura di 12 cents (20 cm) per tonnellata. Le varie Potenze protestarono, ma quindi finirono con l'accettare il fatto compiuto, mantenendo bensì il criterio che le tasse medesime dovessero essere esclusivamente destinate nel modo stabilito nei trattati, ma rinunziando alla disposizione relativa al controllo da parte di una speciale commissione e restando invece il Governo inglese obbligato a comunicare una specie di bilancio, dapprima preventivo, poscia solo consuntivo, degli introiti e delle spese, con l'impegno altresì di rifondere alla fine dell'esercizio, in caso di avanzo, un abbuono sui diritti pagati dai piroscafi in servizio regolare. Tali comunicazioni venivano fatte dapprima regolarmente, accompagnate da una nota ufficiale nella quale si aggiungevano anche le opportune delucidazioni. Se non che in quest'ultimo anno il prospetto suddetto è stato comunicato, non solo senz'alcuna spiegazione, ma senza nemmeno l'accompagnamento di una lettera ufficiale e solo con un breve memorandum non firmato, in terza persona, con cui l'agente britannico «si prende la libertà di accludere» il progetto suddetto; volendosi così dare il carattere di semplice informazione ufficiosa a quella che dev'essere una comunicazione ufficiale obbligatoria. Si aggiunga poi che, in sostanza, il controllo voluto non può esercitarsi in modo effettivo, poiché nel rendiconto medesimo figura un articolo «spese generali» dove è indicata solo una quota delle spese generali dei servizi di porto, fissata senz'alcun criterio positivo nella misura del 25%, e senza che sia dato controllare se le spese generali suddette siano necessariamente erogate, avuto tanto più riguardo all'eccessiva larghezza propria del governo di Zanzibar in materia burocratica e di personale (v. relazione sulle condizioni generali di Zanzibar per l'anno 1909). Inoltre annunciasi ufficiosamente che con quest'anno verrà a cessare la concessione dell'abbuono suddetto, che sempre era stato pagato negli anni precedenti, nella misura del 15%, portando all'occorrenza a nuovo bilancio successivo l'eccesso corrispondente.

Sembra che in tale occasione potrebbe riprendersi in esame l'intiera questione, nella quale ormai anche l 'Italia è interessata in seguito all'istituzione di una regolare linea nazionale: tanto più che, ad eccezione del servizio dei fari, nessun vero miglioramento è stato introdotto nel servizio di questo porto, privo di vere banchine e di moli, sebbene si faccia pagare uno speciale diritto di banchina, che vorrebbe essere giustificato come il corrispettivo di un servizio, in realtà insussistente, e che costituisce perciò un vero supplemento alle tasse portuarie (v. relazione citata).

Tasse sanitarie e municipali

Analoghe vicende ha subito l'istituzione di una lieve tassa municipale di nettezza urbana, che, esuberante forse allo scopo preciso per cui vuolsi istituita, è però ormai pacificamente accettata, senz'essere sottoposta a qualsiasi controllo.

Tasse di consumo

Sotto l'aspetto specioso di un diritto di posteggio, viene applicata una tassa del lO% sul valore di tutti i generi portati dagli indigeni, obbligatoriamente, al mercato, la quale, data la gravità e la forma dell'imposizione, costituisce una vera e propria accisa, che ricade anche e principalmente sui sudditi esteri.

Tasse di licenza

Sono anche applicati speciali diritti pel rilascio delle licenze prescritte per l'esercizio di alcuni speciali mestieri, come fu accennato di sopra, e per cui valgono, anche più, le ragioni già svolte. All'infuori di ciò non è stata ancora, di proposito, tentata l'applicazione di alcuna vera imposta diretta, sia personale che reale, pur essendovene in aria la minaccia.

Si presenta qui la questione della situazione che sarà fatta agli altri Stati dopo la scadenza del trattato con la Germania, che stabilisce espressamente l'esenzione da tasse e imposte personali e reali.

L'Inghilterra sembra attendersi che con ciò venga a cessare anche il privilegio goduto dagli altri Stati, solo in forza della clausola della nazione più favorita. Probabilmente anche a quest'effetto l'Inghilterra abrogò col nuovo trattato del 4 novembre 1908 il proprio trattato di commercio del 30 aprile 1886, che conteneva identica disposizione (v. sopra). Se non che in proposito è da osservare che il privilegio suddetto è stato sempre goduto qui dagli stranieri anche precedentemente al trattato con la Germania, e reclamato in base ai più antichi trattati che, come quello con la Francia, tale clausola espressamente non contenevano. E infatti il regime giuridico goduto qui dagli stranieri era quello delle capitolazioni, secondo lo spirito delle quali vanno appunto interpretati tutti i diversi trattati stipulati coi sultani. Ora in regime di capitolazione è pacifica l'esenzione da ogni tassa ed imposta, specialmente diretta, che è come corollario del principio generale dell'extraterritorialità, e solo come deroga a tale principio generale vengono consentite ed espressamente nominate alcune forme di imposizioni indirette, come i dazi doganali, senza che la espressa menzione di queste possa implicare in alcun modo l'applicazione delle altre, per la quale deve aver primo valore il principio di esenzione generale. Ora, poiché i trattati in vigore sono ancora quelli stipulati coi sultani ed aventi il carattere suddetto, questo carattere conservano finché rimangono in vita. Potrebbe farsi la questione, già altra volta sostenuta dall'Italia (questione con la Francia per le capitolazioni a Massaua) che, in conseguenza del passaggio a una Potenza civile di un paese in cui vigeva il regime capitolare, questo venga ipso fatto a cessare. Se non che, oltre a non essere tale tesi incontroversa, oltre alla circostanza che allora trattavasi di piena sovranità e di amministrazione diretta mentre qui trattasi di semplice protettorato; sta poi il fatto che la stessa Inghilterra ha riconosciuto di dover procedere a speciali accordi per l'abolizione dei diritti extraterritoriali. Né varrebbe obbiettare che appunto in seguito all'abolizione di tali privilegi sia venuto a cessare nei trattati in vigore lo speciale carattere che ebbero da principio; poiché, mentre anche in diritto privato l'adempimento o la rinunzia ad una parte, sia pure la maggiore di un'obbligazione non muta la causa ed il nome di essa, sta poi in fatto che alcuni Stati hanno espressamente rinunziato solo ad una parte dei privilegi extraterritoriali, relativi e limitatamente all'amministrazione della giustizia; e permanendo in questi gli altri privilegi, -pure connessi in certo modo all'extraterritorialità, ma che si risolvono in effetti di carattere puramente patrimoniale non dissimili da quelli consentiti da un semplice diritto convenzionale ordinario -tali privilegi debbono restare acquisiti anche agli altri Stati in dipendenza della clausola della nazione più favorita (v. appresso).

Tale questione che presentavasi grave e imminente, va attentamente considerata, sottoponendola sin d'ora, o ve sia necessario, anche ali' esame del contenzioso diplomatico, per poterla all'occorrenza tenacemente sostenere.

Privilegi consolari

Tutti i trattati in vigore assicurano ai consolati esteri i privilegi, e le immunità ed esenzioni accordati a quelli della nazione più favorita. Tale disposizione, più che in base a clausole scritte, va interpretata secondo lo spirito generale dei trattati capitolari, le tradizioni e gli usi locali.

Ora secondo le tradizioni e gli usi locali, i consoli esteri a Zanzibar, come del resto in tutti gli Stati di Levante, hanno sempre goduto in passato di qualità quasi diplomatica e di svariate prerogative, di cerimonie, di onori, ed anche di trattamento personale.

È in questo campo che gli ultimi agenti britannici e specialmente l'attuale hanno cercato di falciare nel modo più largo ed anche più tagliente, studiandosi di torre ai rappresentanti esteri, oltre ad ogni reale influenza, anche ogni prestigio esteriore.

Si cominciò, sin da principio, col tagliar fuori i consoli esteri, da ogni rapporto diretto d'affari col sultano; ciò che se era giustificato per quanto si riferisce ad affari politici, non lo è altrettanto per quanto riguarda affari di amministrazione interna, che dovrebbe svolgersi ancora come sotto il nome così anche sotto l'immediata autorità del sultano.

Udienza del sultano. -Si è poi, negli ultimi tempi, giunto anche a negare ai consoli esteri (pei quali si pretese venisse richiesto l'exequatur a Londra, anzi che il semplice berai del sultano), il diritto ad una presentazione ufficiale a quest'ultimo, prima sempre eseguita in forma solenne, con specialissimo cerimoniale, che formava gran parte, anzi il primo segno dei privilegi loro spettanti. Si intese con ciò suggellare pubblicamente, di fronte agli indigeni, che tutto giudicano dalle forme esteriori, la cessazione della situazione speciale, e di fronte alle varie Potenze, della qualità quasi diplomatica sempre goduta dai rappresentanti esteri, obbligandoli o a ricorrere a espedienti poco convenienti per entrare in relazioni personali col sultano, o addirittura a rinunziarvi pel momento, onde non compromettere, ad ogni costo e contro ogni loro prudente precauzione per eluderle, questioni di principio, con l'accettare una udienza accordata tardivamente e di mala grazia, e con un cerimoniale ridotto (v. rapporto 12 marzo 1910 n. 157).

Franchigia doganale. -Si è voluto poi anche porre intralci e trasformare quasi in atto grazioso il privilegio, sempre goduto dai consoli, della franchigia doganale, che prima si otteneva con semplice dichiarazione al capo della dogana, mentre ora si pretende che se ne faccia volta per volta formale domanda all'agente britannico (v. rapporto 26 marzo 1910 n. 191).

Relazioni con le autorità locali. -Si è infine tentato di escludere anche qualsiasi relazione diretta fra i consoli esteri e le autorità locali, anche per questioni di servizio ordinario e sino per semplici richieste d'informazioni, pretendendo che tutto debba passarsi per il tramite dell'agenzia britannica; cosa questa contraria anche alle norme comuni di diritto consolare ordinario e che costituisce un vero attentato al libero esercizio delle funzioni medesime. Solo dopo le energiche proteste dei rappresentanti esteri fra cui quello d'Italia, l'agente britannico ha dovuto ammettere la legittimità di tali relazioni, ma solo coi capi di servizio: ciò che in linea di fatto può praticamente accettarsi, non accettando però le interpretazioni restrittive e gli altri espedienti con cui l'agente inglese cerca costantemente di eludere il principio da lui stesso accettato (v. rapporto 26 marzo 191O n. 192).

Altri tentativi del genere sono stati fatti, relativi a questioni di forma protocollare, allo scambio di visite ufficiali ed alle celebrazioni nazionali (v. rapporto 19 febbraio 1910

n. 70), sempre intesi a diminuire il prestigio esteriore dei rappresentanti esteri.

In tutte queste questioni, tanto più inopportune e incresciose in quanto potevano assumere un aspetto personale, i vari rappresentanti esteri, specialmente di carriera, fra cui quello d'Italia, hanno sempre presentato le proprie riserve e proteste.

Anche questo lato della questione, sebbene possa apparire meschino ed ingrato, merita la giusta attenzione, sia pei principi che ne restano compromessi e le conseguenze che possono dedursene, sia perché il menomato principio qui dei rappresentanti esteri può riuscire particolarmente inopportuno per quegli Stati che hanno possedimenti vicini che facevano già parte di questo Sultanato, dove i sudditi di quelle colonie conservano ancora frequenti rapporti e potrebbero fare spiacevoli confronti.

Dali' esame delle singole questioni suaccennate è meglio risultato quanto si affermò da principio circa l'azione inglese a Zanzibar diretta prima ad eliminare ogni effettiva influenza del sultano, come può dirsi abbia ormai già ottenuto; ora ad emanciparsi sempre più dai vincoli imposti dai trattati con le altre Potenze; per quindi affermare la piena ed assoluta sovranità sul paese, trasforrnandolo da protettorato in colonia di diretto dominio, riunendolo agli altri paesi di protettorato in questa parte de li'Africa (East Africa Protectorate e Uganda) e costituendo così un nuovo e vasto dominio inglese dell'Africa orientale.

Giova osservare che in questi altri paesi l'azione dell'Inghilterra è già molto più avanzata, non avendo incontrato le stesse difficoltà che nell'isola di Zanzibar. E ciò anche in quella zona costiera deii'East Africa Protectorate che pur dipende ancora dal sultano di Zanzibar e quindi soggetta agli stessi vincoli internazionali dell'isola. Se non che conviene da un lato riconoscere in linea di diritto, che colà la situazione de li 'Inghilterra è più forte che n eli 'isola, possedendo iv i un titolo doppio, e cioè oltre il protettorato anche quella della precedente concessione ottenuta dal sultano; oltre che in linea di fatto, la contiguità territoriale con gli altri territori non soggetti a vincoli internazionali e già riuniti agli effetti amministrativi, rende più facile ed anche più scusabile una confusione ed un allargamento di criteri. Ma d'altro canto l'azione dell'Inghilterra è stata ivi anche agevolata dal fatto che, ad eccezione della Germania, nessuna Potenza ha mantenuto sul luogo consoli di carriera, di modo che l 'azione inglese ha potuto essere meno vigilata ed ostacolata; sicché colà, ad eccezione di alcune questioni relative al regime delle terre e del privilegio di esenzione dalle imposte goduto ancora dagli stranieri, forse perché se ne avvantaggiano e lo spalleggiano gli abbastanza numerosi residenti inglesi, pel rimanente può dirsi che l'opera di assorbimento sia quasi interamente compiuta.

Se le Potenze non si sono opposte abbastanza ali' azione inglese nella zona costiera del Sultanato, preparata ed agevolata dalla fusione amministrativa col resto di quel protettorato, ciò non toglie che esse avrebbero ragione e titolo ad opporsi ad un'ulteriore fusione, anche puramente amministrativa, con l 'isola. Infatti i patti internazionali che garantivano l'indipendenza di questo Sultanato, se sono stati modificati con accordi posteriori per quanto riguarda la sua autonomia politica con l'accettazione del protettorato inglese, hanno però sempre valore per garantire l'entità distinta e l'autonomia amministrativa di questo Stato semi-sovrano. Tale essendo il titolo, la ragione de li'opposizione sta poi nell'interesse che le varie Potenze hanno a che le maggiori risorse di quest'isola siano esclusivamente destinate al miglioramento di essa, con vantaggio dei sudditi esteri qui da tempo stabiliti e che vi godono speciali privilegi, mentre con una fusione amministrativa esse andrebbero probabilmente distratte a favore di altri paesi, attualmente più poveri, ma che essendo più promettenti potrebbero attrarre maggiore attenzione.

A sospingere ora e ad arrecare l'azione dell'Inghilterra nel senso suaccennato, concorrono anche speciali ragioni. Tali ragioni sono d'ordine morale e materiale, politico cioè e finanziario.

Dal lato morale e politico l'Inghilterra in questo periodo di esaltato imperialismo e specie dopo la creazione de li 'Unione Sud-Africana, è tratta dali' opinione pubblica a creare in questa parte del mondo una specie di piccola unione East-Africana, particolarmente reclamata dagli scarsi in vero ma rumorosi coloni de li' East-Africa Protectorate, alcuni di illustri famiglie e di larghe aderenze i quali sperano di avvantaggiarsi, come fu accennato e sarà meglio detto fra breve, dali 'unione con un paese attualmente più ricco e di minori esigenze com'è Zanzibar.

Dal lato materiale e finanziario l'Inghilterra è anche interessata a liberarsi degli impegni con le altre Potenze, poiché essi le impediscono di adottare provvedimenti di ordine fiscale, necessari per riequilibrare il bilancio di Zanzibar, in passato assai florido sì da lasciare larghi avanzi ed ora assai scosso in seguito alla non troppo savia e parsimoniosa amministrazione di questi ultimi anni (v. relazione sulle condizioni generali e sul commercio di Zanzibar per l'anno 1909). Una riforma fiscale di tal genere le consentirebbe, da un lato, di attuare provvidenze utili e necessarie per lo sviluppo dell'economia interna del paese; dall'altro di far eventualmente beneficiare i territori de li'East-Africa sia dei nuovi avanzi del bilancio di Zanzibar, sia della soppressione del pagamento del canone annuo ancora corrisposto al sultano per la zona costiera, sia anco più del fondo di circa nove milioni costituito dagli avanzi precedenti e soprattutto dalle somme pagate dai Governi tedesco e italiano pel riscatto delle proprie colonie già appartenenti al Sultanato. Un tale scorso finanziario ai territori dell'Africa orientale, senza aggravio della metropoli, sarebbe tanto più utile ora, per lo sviluppo che dovrà darsi colà alle costruzioni di ferrovie onde controbattere l'espansione ferroviaria della vicina colonia tedesca

(v. rapporto 28 ottobre 1909 n. 417).

Per tali ragioni d'ordine materiale e morale l'Inghilterra è vivamente interessata a mutare nel senso già detto il presente stato di cose. Naturalmente essa tenta di poter attuare tale trasformazione per proprio conto, prendendo a poco a poco terreno, e cercando di creare dei fatti compiuti, come in fatti le è in parte riuscito. Ma è da ritenere che ove in tale azione ella incontri serie resistenze -tutte quelle che possono opporsi anche facendo ricorso ai più recenti istituti di giurie internazionali per la retta interpretazione ed applicazione dei trattati -ella non debba essere aliena dal venire a patti per eliminarle.

Giova all'uopo considerare quale di fronte allo stato di diritto o a quello di fatto, appaia la

Ili. -POSIZIONE SPECIALE E ULTERIORE ATTEGGIAMENTO DELLE VARIE POTENZE

FRANCIA. -Mantiene integro il proprio trattato, salvo la rinunzia ai diritti di extraterritorialità, solo per quanto riguarda la giurisdizione e limitatamente ali'amministrazione della giustizia. Il proprio trattato non ha scadenza. Beneficia delle clausole speciali del trattato della Germania relative alle tasse ed imposte finché esso rimarrà in vita salvo la questione già trattata intorno alla sopravvivenza del privilegio medesimo.

Ha sempre molto energicamentè fatto valere le proprie riserve e proteste in tutte le questioni già accennate, sollevate negli ultimi tempi dall'azione inglese.

Quanto all'ulteriore atteggiamento della Francia, può supporsi che in occasione del negoziato aperto con l'Inghilterra, durante l'ultima conferenza di Bruxelles sul traffico delle armi, relativo a Mascate e diretto ad ottenere che, per quanto riguarda quel traffico, la Francia rinunziasse ali'assoluta libertà di commercio assicuratale dal trattato del 1844, il negoziato stesso per connessione di materia abbia potuto allargarsi e considerare non solo l 'intera situazione di Mascate, ma anche quella di Zanzibar, e che appunto per ciò il negoziato suddetto sia riuscito così lungo e laborioso ed abbia dato luogo ad eccessive pretese da parte della Francia, tanto che pel momento non parve avere alcun esito in modo da compromettere anche quello della conferenza.

Ad ogni modo poiché la Francia ha qui interessi non straordinariamente importanti né essenziali (una sola, importante, casa commerciale, una linea di navigazione in toccata, pochissimi cittadini francesi, e un certo numero di sudditi e protetti indigeni) è da pensare che essa debba considerare la questione più che altro dal punto di vista della politica generale, e che quindi debba essere in massima disposta a cedere la sua posizione in cambio di adeguati compensi.

Poiché peraltro la sua situazione, per le ragioni suaccennate, è la più forte fra tutte le altre Potenze, così è probabile che essa abbia a pretendere forti compensi come appunto si è già verificato nel negoziato per Mascate, e tanto più che un nuovo negoziato dovrebbe, per connessione risolvere anche quest'ultima questione.

GERMANIA. -La situazione speciale della Germania è data dal fatto che il suo trattato è prossimo a scadere (5 luglio 1911). È da ritenere che la Germania, interessata così grandemente per la presenza qui di numerose case commerciali tedesche, per l'ingente traffico di una importantissima linea di navigazione, e per la vicinanza della sua colonia, non vorrà restare, unica fra le Potenze qui molto meno interessate, priva di qualsiasi regime convenzionale come d'altra parte è da ritenere che l'Inghilterra non consentirà mai alla rinnovazione pura e semplice del trattato attuale, specialmente per le clausole speciali già citate relative alle tasse ed imposte di cui beneficiano gli altri Stati, i quali a suo modo di vedere, dovrebbero venire a perdere tale beneficio con la scadenza di quel trattato.

Si ha motivo di credere che in vista di tale scadenza siano già state iniziate trattative fra i due Governi, e sarebbe assai interessante seguirle. È da osservare che da qualche tempo in alcune delle questioni sollevate dall'azione inglese a Zanzibar, la Germania, pur unendosi in genere alle riserve e proteste delle altre Potenze ha tenuto talora un contegno piuttosto molle. Un tale contegno, se in parte dipende dal fatto già sopra accennato che la Germania non ha interesse ad opporsi ad alcune misure, specie di carattere fiscale che aggravino il commercio di Zanzibar, a beneficio della sua vicina colonia; può anche mettersi in relazione al fatto della prossima scadenza del trattato e delle nuove trattative in corso. Nelle quali non è da escludere che sebbene senza un vero diritto, la Germania possa chiedere e l 'Inghilterra sia disposta ad accordare qualche compensazione che la stipulazione di un nuovo trattato diretto con la Germania, su basi nuove del tutto diverse da quelle dei vecchi trattati stipulati dalle altre Potenze coi sultani e tuttora in vigore, segnerà una nuova data nella situazione politica del paese ed aprirà e faciliterà la via a nuovi accordi anche con le altre Potenze.

IV. -POSIZIONE SPECIALE E ULTERIORE ATTEGGIAMENTO DELL'ITALIA

La specialità della situazione dell'Italia in confronto a quella di altri Stati, e particolarmente della Francia e della Germania, risulta da quanto appresso.

Anzi tutto l'Italia non intervenne, o almeno il suo intervento non fu consacrato in nessun atto formale, ai negoziati corsi fra l'Inghilterra e le altre due Potenze, in base ai quali fu dapprima riconosciuta e confermata la sovranità e l'indipendenza del Sultanato, quindi patteggiato e riconosciuto il protettorato inglese. Ciò potrebbe costituire uno sfavorevole precedente contro la partecipazione dell'Italia a nuovi negoziati ed a nuovi accordi che dovessero aver luogo per una modificazione eventuale della situazione internazionale del Sultanato, come sarebbe necessario con le altre due Potenze, trattandosi di modificare formali situazioni già con le stesse intervenute. La semplice esistenza di un trattato fra l'Italia e il Sultanato non basterebbe forse, in teoria, a giustificare la partecipazione preventiva dell'Italia a tal genere di negoziati, poiché in astratto un mutamento nella sovranità del paese non avrebbe altra conseguenza che di sostituire uno ad un altro contraente, continuando nello stesso modo il trattato a rimanere in vigore. In pratica però è certo che l'Inghilterra non potrebbe accettare, neppure per un istante, la sostituzione pura e semplice in un trattato del genere di quello ora vigente, e dovrebbe aprire negoziati per abrogarlo od innovarlo anche prima di procedere ad un mutamento nello stato quo. In ogni peggiore ipotesi noi avremmo ragione di fare i nostri reclami in base all'art. 34 dell'Atto generale di Berlino, in seguito alla notificazione che dovrebbe esserci fatta, a norma dell'articolo stesso, pel mutamento avvenuto nel titolo del possesso inglese nel Sultanato. Ma poiché, in quest'ultimo caso, il negoziato si aprirebbe su un fatto già compiuto con l'adesione degli altri principali interessati e quindi in condizioni meno favorevoli per noi, così sarebbe necessario affermare sin d'ora la necessità di una nostra preventiva partecipazione a qualsiasi negoziato per un eventuale mutamento nella situazione politica del paese, giustificata ormai dalla speciale situazione che, anche indipendentemente dal trattato, abbiamo poi acquistato in questa parte in seguito all'istituzione di una nostra colonia.

In secondo luogo, ciò che rende speciale la situazione del! 'Italia in confronto alla Francia e alla Germania, si è che mentre quest'ultime non sono rimaste spogliate dei loro diritti extraterritoriali che solo per quanto si riferisce alla giurisdizione e limitatamente all'amministrazione della giustizia (situazione questa che anche venendo a decadere o a modificarsi con il trattato con la Germania, rimarrà integra per la Francia) l'Italia invece, secondo i termini testuali dell'accordo 13 gennaio 1905, ha acconsentito a che cessassero «assolutamente tutti i diritti di extraterritorialità goduti in forza di trattati, convenzioni o consuetudini» e che in pari tempo restasse trasferita la giurisdizione extraterritoriale alla corte britannica.

Circa l'interpretazione di tale accordo si sono delineate due teorie.

La teoria inglese: già accennata nella citata nota verbale diretta al reggente del r. consolato dal precedente agente britannico Mr. Cave, in data 28 maggio 1908, nella quale questi «in considerazione che tutti i diritti di extraterritorialità accordati all'Italia dal trattato del 1885 erano stati assolutamente abrogati dali' accordo del 1905», negava la necessità del consenso dell'Italia a provvedimenti intesi a regolare l'immigrazione e cioè la libertà generale di entrata e residenza assicurata dali 'art. l del trattato; teoria questa a cui l'agente britannico aveva dato anche un più ampio sviluppo nella precedente conversazione avuta sullo stesso oggetto col reggente del r. consolato (v. rapporto 28 maggio 1908, n. 159). In tale conversazione Mr. Cave ebbe a dire che «noi non avevamo più nessun diritto, che il trattato italo-zanzibarese 28 maggio 1885 non aveva più forza, essendo stato abolito dall'accordo anglo-italiano 12 gennaio 1905». Appare evidente l'assurdità di quest'ultima teoria, che non merita nemmeno di essere confutata; ed è vero anche che nessun atto successivo del Governo o dell'agenzia britannica è intervenuto che possa far supporre che si insista in tale strana pretesa. Ma ad ogni modo non vi è dubbio che, anche ammettendo la insussistenza del trattato, il punto di vista inglese è quello di ritenere che la nostra rinuncia comprende ogni e qualsiasi privilegio di natura extraterritoriale, facendo rientrare in tale categoria la più parte possibile dei diritti conferitici dal trattato.

La teoria italiana: tende invece a limitare il più possibile il contenuto della nostra rinuncia, cercando di riaddurla alla sola giurisdizione extraterritoriale, intendendosi che «per tutto ciò che non riguarda la giurisdizione stessa rimane in vigore il trattato commerciale col sultano di Zanzibar» (v. dispaccio ministeriale 18 settembre 1905, n. 47001 ). Ora sia consentito di dire che anche questa teoria, ove volesse intendersi in senso troppo letterale e restrittivo, e specialmente nella sua enunciazione astratta più anche che nell'applicazione pratica, potrebbe risultare eccessiva, di fronte ai termini così ampi e comprensivi usati nell'accordo citato. Una spassionata interpretazione di esso deve portare al riconoscimento, in astratto, che l'Italia ha rinunciato a tutti i privilegi extraterritoriali già assicurati dal trattato.

Resta però ad esaminare praticamente quali dei varii diritti previsti dal trattato debbano considerarsi come extraterritoriali. In via generale può dirsi che debbano considerarsi come tali quei privilegi che tendono a sottrarre il suddito estero, nel complesso della sua personalità, all'esercizio della sovranità territoriale, in quanto riguarda materie essenziali di diritto e d'ordine pubblico e per le quali uno Stato civile non può consentire alcuna deroga nemmeno convenzionale; non già quei particolari diritti che, più della persona in genere del suddito estero, riguardano singole categorie di rapporti, specie di carattere patrimoniale, o anche privilegi limitati a determinate persone, che non intaccano i principii supremi della sovranità, tanto che presso ogni Stato civile possono formare oggetto di convenzione (libertà di commercio e di residenza, trattamento speciale in materia di dogana e di imposte, speciali negozi giuridici, privilegi consolari, clausola della nazione più favorita e simili).

Secondo tali criteri, veggasi quali fra i diritti sanciti dal trattato del 1885 sono stati mantenuti e quasi aboliti dall'accordo del 1905.

ART. l. -Libertà di residenza e commercio -clausola della nazione più favorita (circa l'estinzione dell'applicazione di quest'ultima, v. appresso) -mantenuto.

ART. 2. -Libertà di acquistare e vendere immobili -mantenuto -abolito il resto del-l'articolo circa il divieto d'accesso nei detti locali e l'immunità personale.

ART. 3. -Diritto di protezione -abolito.

ART. 4. -Privilegi consolari -mantenuto.

ART. 5. -Giurisdizione extraterritoriale -abolito.

ART. 6. -Amministrazione delle successioni -mantenuto per quanto riguarda l'amministrazione de planu -abolito in caso che sorgano contestazioni giudiziali. ART. 7. -Amministrazione dei fallimenti -abolito. ART. 8. -Procedura sommaria per pagamento di debiti -abolito. ART. 9. -Clausola della nazione più favorita in materia, di tasse, sulle mercanzie e

sui bastimenti-mantenuto -nonché in materia di privilegi e immunità di bandiera: può farsi questione sul!' applicazione della clausola stessa in quanto implichi un vero diritto di extraterritorialità (polizia marittima) -v. appresso la questione già accennata sull'applicazione della clausola in genere.

ART. l O. -Libertà di traffico, divieto di monopolii o di privilegi esclusivi -mantenuto. ART. Il. -Clausola della nazione più favorita in materia di contestazioni doganali mantenuto.

ART. 12. -Assistenza e protezione in caso di naufragio -mantenuto.

ART. 13. -Esenzione di tasse in caso di rilascio forzato -mantenuto.

ART. 14. -Diritto di istituire depositi e magazzini di approvvigionamento -mantenuto.

Oltre poi a tutte le singole disposizioni esaminate, rimane, secondo già fu detto in generale, tutto il carattere speciale a tal genere di trattati capitolari, e cioè quel complesso di tradizioni di usi e consuetudini che ne formano il sustrato e il necessario completamento, e quindi tutti i privilegi che ne derivano e che è dilficile precisare ed enumerare, in quanto però non abbiano spiccatamente carattere di extraterritorialità nel senso già definito. Tra questi, ad esempio, il riconoscimento della qualità quasi diplomatica dei consoli, le prerogative ed anche le immunità, limitate alle loro persone e pertinenze.

Ammesso così che l'Italia abbia jure proprio, in base cioè al proprio trattato, perduto tutti i diritti extraterritoriali intesi nel modo suddetto, potrebbe farsi la questione se non abbia diritto di continuare a goderne, nomine alieno, in base cioè ai diritti ancora goduti dagli altri stati, e ad essa applicabili in forza della clausola della nazione più favorita, da lei genericamente conservata. La questione appare in verità un po' sottile, tanto più quando si consideri che l 'Italia non ha, come altri stati, circondato la propria rinuncia dalla riserva che non avrebbe dovuto avere effetto se non quando analoga rinuncia fossa fatta dalle altre Potenze. Tuttavia in tema di discussione, la questione potrebbe forse anche sostenersi. Ad ogni modo su di un punto la teoria stessa sembra validamente fondata e tale da offrire nuovi argomenti a una tesi già posta di sopra: e cioè che in forza della tesi della nazione più favorita l'Italia possa beneficiare di tutti quei privilegi, anche extraterritoriali, che sono consentiti ad altri stati, non in forza di esplicite disposizioni contenute nei rispettivi trattati, ma per quel completamento necessario a tutti i trattati di tal carattere, carattere che, come fu detto, anche il nostro conserva nonostante la rinuncia all'extraterritorialità.

Sono quelle ora accennate questioni assai gravi e difficili, su cui all'occorrenza potrebbe anche sentirsi il parere del contenzioso diplomatico.

Tale essendo la situazione speciale dell'Italia, l'atteggiamento da essa assunto, specialmente negli ultimi tempi, è stato quello di vigile e tenace resistenza in maniera da non indebolire anche più la nostra situazione, ma usando d'altro canto la prudenza e l'accorgimento voluto per non comprometterla, col suscitare intempestivamente questioni più gravi e controverse che, pel momento, era opportuno di eludere e di lasciare impregiudicate. A tal fine, specie nelle questioni ove il nostro buon diritto appariva più irrefutabile, si credette necessario di assumere un atteggiamento piuttosto risoluto, che mostrasse la nostra piena e fondata convinzione e la ferma intenzione di non cedere, meglio che non semplici riserve, che si considerano ormai qui fatte per pura forma e cui non si annette verona importanza.

Senonché, sia perché alcune più gravi e delicate questioni potrebbero difficilmente eludersi più a lungo, sia per evitare di fronte al frequente ripetersi delle occasioni, ogni possibilità e sino ogni lontana parvenza di tensione di rapporti, sia pure soltanto locali, è ormai il caso di considerare e di risolvere se, per ragioni di politica generale e anche di effettivi interessi locali, ci convenga di mantenere lo stesso atteggiamento per l'avvenire.

Dal punto di vista della politica generale può essere consigliabile «di evitare, in date circostanze, quanto possa urtare gli interessi o le suscettibilità di uno Stato con il quale è di capitale importanza il mantenere intimi e cordiali rapporti di buona amicizia» per il che può giudicarsi «essenziale che venga eliminato anche il sospetto che, specie nelle sfere di particolare interesse di quello Stato l'Italia voglia creare allo svolgimento dell'azione britannica opposizioni ed imbarazzi» (v. dispaccio ministeriale 22 maggio 1910 n. 969).

Dal punto di vista degli effettivi interessi locali -premesso, in via generale che l'importanza commerciale di Zanzibar, dovuta specialmente al commercio di transito col continente, è in continua e fatale decadenza con lo sviluppo dei porti sulla costa -conviene riconoscere che essi sono per la parte nostra assai scarsi (v. relazione sul commercio di Zanzibar). Pochissimi in Zanzibar, né meritevoli di troppa considerazione, i cittadini italiani; poco numerosi, dopo l'accordo intervenuto col citato scambio di note 17 agosto-14 dicembre 1908, i sudditi indigeni; nessuna casa od azienda commerciale; molto diminuito ormai il movimento della navigazione a vela, e quindi di indigeni, coi nostri vicini possedimenti (circa venti sambuchi all'anno con poco più di 600 persone): un movimento commerciale con l'Italia aggiratosi negli ultimi anni appena fra le cinque e le seimila mila sterline, complessivamente: unici veri interessi, quello da poco creatosi col servizio di una nostra linea regolare di navigazione, e la prospettiva di un traffico, che può divenire abbastanza importante di tessuti di cotone, nonché un commercio di una certa entità (circa 50,000 lire sterline), e suscettibile anch'esso di aumento, con la colonia del Benadir.

Per la tutela di tali interessi è mantenuto qui un consolato generale amministrativo, di rango e di spesa certo sproporzionati agli interessi medesimi, e che trova ancora la sua maggiore giustificazione appunto nell'opera di vigilanza politica, ed un utile impiego, in altro campo, come osservatorio coloniale dello svolgimento economico dei più importanti paesi che gli stanno a prospetto sulla terraferma.

In questo stato di cose, certo converrebbe all'Italia, sotto ogni aspetto, di poter rinunciare ad una posizione e ad un atteggiamento che gli impone oneri sproporzionati agli immediati vantaggi materiali e può crearle inconvenienti politici di carattere generale.

Quali punti su cui l'Italia potrebbe desistere, quali quelli su cui dovrebbe insistere risulta dall'esame particolareggiato fatto di sopra. In generale rinunziando ad eccezionali privilegi, ormai eccessivi, e anche a tutto intero un trattato il cui spirito non è più in armonia con le mutate condizioni, dovrebbe in ogni caso sostituirlo con una nuova convenzione, in cui le sia conservata la clausola della nazione più favorita, assicurando altresì ai propri sudditi, e specialmente ai cittadini, un trattamento in materia di giurisdizione, ed anche di legislazione, che offrisse tutte le garanzie, di giustizia, di civiltà e anche di dignità.

Un tale atteggiamento da parte nostra non potrebbe non riuscire assai gradito e vantaggioso all'Inghilterra, sia per se stesso, sia anche e forse più ancora pel precedente che costituirebbe di fronte alle altre potenze e specialmente la Francia. Tale precedente sarebbe infatti anche più importante di quello della Germania, anche se dovesse seguirle; poiché per questa si tratta di sostituire necessariamente un trattato giunto al suo termine, mentre per noi si tratterebbe di rinunziare a un trattato che potrebbe rimanere indefinitamente in vigore, procedendo ad una novazione di esso, che farebbe, di per se sola, cadere quel suo speciale carattere e quel sustrato che lo rende particolarmente gravoso ed inviso.

Ho accennato alla questione se convenga precedere o seguire l'azione, ormai forse avviata, da parte della Germania. Ciò implica in primo luogo una questione di correttezza, a risolver la quale occorre tener anche presente il contegno tenuto dalla Germania verso di noi per quanto riguarda le sue trattative con l'Inghilterra. Credo forse, che anziché far questione di seguire o di precedere la Germania, sia il caso di procedere lealmente di conserva con essa. Dal punto di vista materiale, anche se un accordo nostro con l'Inghilterra seguisse, sia pure indipendentemente, quello con la Germania, non perderebbe egualmente il suo valore per le ragioni ora dette; potrebbe anzi quest'ultimo offrirei fors'anche un precedente per chiedere dei compensi, qualora la Germania, come fu accennato di sopra, riuscisse ad ottenerne per proprio conto, pur avendo minor diritto di noi. Ma ad ogni modo credo che un'azione concertata lealmente con la Germania non potrebbe che esserci utile, poiché questa dovrebbe aver piacere, per evidenti ragioni d'ordine morale, di non trovarsi sola nella nuova menomata situazione fattagli dalla scadenza del suo trattato, e di vedere in pari tempo un'altra Potenza mettersi volontariamente nella stessa condizione, e dovrebbe quindi cercare di agevolare la nostra azione per metterei in grado di accettare un tale stato di cose.

Ma quello che è assolutamente essenziale per non togliere alla nostra azione il suo più alto valore, si è che essa preceda qualsiasi accordo, ed anche qualsiasi apertura, con la Francia, dopo del quale una nostra adesione perderebbe ormai qualsiasi valore. E d'altra parte è da presumere che anche l'Inghilterra abbia interesse ad affrontare per ultima la questione con la Francia, come quella che, secondo fu detto, si trova in posizione più forte e può quindi pretendere più forti compensi; sì che convenga meglio alt 'Inghilterra di regolare prima la questione con le altre Potenze con cui si presenta più facile, in maniera da isolare la Francia, indebolendo la sua situazione e rendendo meno oneroso un accordo.

È ovvio però che, sia per senso di dignità nazionale, sia per non far gettito dei vantaggi che la nostra posizione ci può dare, l'Italia non debba ad essa rinunciare se non in cambio di compensi, adeguati e concreti.

Compensi, da adeguarsi certo all'importanza relativa, per quanto positiva, che la questione ha per l'Inghilterra, e non solo a quella puramente negativa che ha per noi.

Compensi, da concretarsi in determinati vantaggi immediati, e non in semplici riverberi di politica generale: la quale, se certo può avvantaggiarsi, nelle nostre così importanti relazioni con l'Inghilterra, da uno scambio di dimostrazioni più anche che cordiali, di condiscendenza, ha peraltro la sua base sicura su rapporti immanenti di interessi reciproci troppo vasti e troppo saldi, perché possa, in modo sensibile, per un verso o per l'altro, risentire i contraccolpi delle piccole questioni di questa piccola isola.

E allo scopo appunto di poter preparare la via al conseguimento di tali vantaggi anche se modesti, si ritenne conveniente di assumere una parte che potè apparire talvolta troppo meschina, tal altra troppo arrogante e che riuscì certo sempre ingrata, nell'intento di rendersi sia pure incresciosi, purché potesse riuscire più desiderata e valutata una nostra desistenza, meglio che offerta, richiesta.

481 2 Non pubblicato.

482 l L'originale non è stato trovato. Il testo che si pubblica è quello a stampa inviato per conoscenza alle rappresentanze all'estero (Documenti Diplomatici, serie LXXXIV, Zanzihar e Sudan, 1905, Roma s.d., doc. n. 2432).

482 3 Sic.

482 4 Non si pubblicano gli allegati.

482 5 Cfr. n. 216. Quanto ai rapporti successivamente menzionati, ne sono stati rinvenuti soltanto tre (RR. 157 del 12 marzo, 192 e 194 del 26 marzo, non pubblicati) nelle posizioni relative a Zanzibar dell'ASMA!. Negativa anche la ricerca nelle analoghe posizioni della Serie P.

483

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE .../322. Vienna, 27 settembre 1910.

Conte di Aehrenthal mi ha rimesso oggi pro-memoria relativo provvedimenti per impedire possibilmente violazioni involontarie confine e attenuarne conseguenze che consegnerò V.E. Torino. In pro-memoria si rileva:

Circa n. I A del pro-memoria V.E. che per località in cui due Governi non si sono messi ancora d'accordo sulla determinazione esatta linea di confine è preferibile che non si stabiliscano solo segnali particolari provvisori ma si proceda subito ad una delimitazione complementare definitiva. Verrebbero così a cadere proposte V.E. che truppe entrambi Stati siano tenute non avvicinarsi linea demarcata.

Circa B si osserva che sezione confini tra Val Porcile Porta Incudine fu riconosciuta neutrale solo temporaneamente finché due Governi si siano accordati intomo ad una linea confini definitiva (rapporto ambasciata n. 706 del 28 luglio 1910)1.

2) Che processo verbale relativo non parla d'un incarico affidato R. Governo compiere lavori necessari per rettificazione tale parte contestata confine. Ma in esso si tratterebbero soltanto della demarcazione quella parte confine intorno quale Commissione mista ha raggiunto perfetta intesa.

3) Che parte contestata e provvisoriamente contestata non può lungamente rimanere tale ed essa deve essere delimitata al più presto.

4) Che alla lista località dove confine è contestato e che richiede soluzione sollecita si dovrebbe aggiungere pure parte contestata dell'imboccatura dell' Aussa.

5) Che infine si devono correggere data fattagli in 1905 nel penultimo alinea B C.

Quanto a n. 2 V del pro-memoria V.E. relativo istruzioni truppe confine Governo Imperiale e Reale nel compiacersi identità vedute con il R. Governo domanda che istruzioni siano impartite non solo truppe ma anche carabinieri e guardie di finanza ed è di parere che passaggio confine per acquisto viveri debba avvenire solo via eccezionale.

Nel promemoria suddetto non si accenna alle altre proposte di V.E. relative provvedimenti contro persone accusate spionaggio.

Conte di Aehrenthal cui ho chiesto ragione tale omissione si è riferito a quanto aveva già fatto conoscere VE. in Salzburgo cioè che visto gran varietà fatti spionaggio non era possibile stabilire norme generali ed era meglio lasciare

483 I Non rinvenuto.

libertà d'azione autorità rispettive raccomandando loro evitare ogni misura vessatoria. Al che VE. consentito aggiungendo che generale Masi aveva già ricevuto istruzioni in tal senso2.

484

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE .. ./323. Vienna, 2 7 settembre 1910.

Ministro di Rumania venuto vedermi oggi ritorno suo congedo mi ha detto a titolo puramente personale nell'accennare voce di una pretesa intesa turca-rumena che Hakki pascià avrebbe parlato durante la sua recente visita al ministro degli affari esteri rumeno ed a S.M. il Re Carlo dell'idea di addivenire ad accordi formali fra la [Rumania] e la Turchia. Ma alle sue entrature fu risposto con un fin de non recevoir e gli si fece rilevare che sebbene alla Rumania premesse intrattenere più amichevoli rapporti con la Turchia essa non aveva interesse in questo momento stringere accordi simili che avrebbero potuto essere considerati dalle al

Circa: I.-A -Nulla si ha da opporre a tale soluzione; solo si osserva: la enorme estensione della linea di confine e la necessaria esattezza delle operazioni richiederanno lunghissimo tempo. Converrà forse limitarsi ai tratti della linea di confine più frequentemente in questione, o fissare per lo meno un ordine di precedenza nella revisione dei vari tratti.

I cippi nelle forme usuali risultano poco visibili; opportuno forse stabilire per essi forme o dimensioni più appariscenti. B-e. Sta bene. -Come fu proposto dalla commissione di verifica del confine (verbale Borgo di Val Sugana 30 luglio 1905).

2. --Sta bene. -Come risulta dalle proposte della citata commissione. 3. --Si è d'accordo in massima.-Si rileva però la difficoltà di accordi nei tratti ove precedenti commissioni non poterono trovare via di accomodamento. Occorrerà nominare commissioni di autorità di grado più elevato, con poteri più estesi; e ricercare forse basi di accordo prendendo in esame contemporaneamente tutti i tratti contestati in modo da trovare una qualche soluzione equa tra le varie pretese dei due Stati. 4. --La delimitazione del confine lungo l'Ausa nel tratto presso il suo sbocco in mare è rimasta sospesa fin dal 1867 (vedi verbale di confinazione 1867) perché fin d'allora non poté intervenire accordo fra i delegati delle due Nazioni. Si dubita possa ora trovarsi via di accordo. Tale delimitazione appare però meno urgente, almeno per quanto ha tratto alla questione degli sconfinamenti di truppe.

Riguardo ai punti contestati da rivedersi, converrebbe forse proporre che fosse ripresa in esame la questione del confine a Cima Dodici (altipiano di Asiago), benché il confine ivi sia stato già riveduto dalla Commissione del 1905, quale soluzione del recente incidente della bandiera italiana asportata da quella vetta.

5. -Sta bene. -La data in questione va corretta in 1905.

2-V. -Si conviene che le istruzioni sieno impartite oltre che alle truppe anche ai Reali Carabinieri ed alle guardie di finanza, e che i passaggi di confine per acquisto di viveri siano da ammettersi solo in caso eccezionale.

tre Potenze come una specie di provocazione. Gli si fece inoltre intendere che ad ogni modo egli lasci [si parli]I prima della cosa Berlino, Vienna e Roma. Conte Aehrenthal sarebbe stato messo al corrente dal Governo rumeno per mezzo del rappresentante imperiale e reale in Bucarest di tale entratura del Gran visir il quale dal suo lato gliene avrebbe fatto cenno personalmente a Marienbad.

483 2 All'arrivo di questo telegramma fu redatta dal Ministero la seguente "Memoria circa telegramma riservatissimo da Vienna n. 322", priva di data:

485

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N. Roma, 28 settembre 1910, ore 18,45.

A spiegazione del suo telegramma n. 471, prego telegrafarmi se realmente codesto ministro degli affari esteri non sappia nulla degli accordi della Rumania colla Triplice Alleanza naturalmente senza interrogarlo2.

486

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE 1662/706. Berlino, 28 settembre 1910 (per. il 3 ottobre).

L'anno scorso io ebbi l'onore di inviare al predecessore della E.V. il rapporto riservato di cui qui entro unisco copia'. A maggiore schiarimento aggiungo pure la traduzione della lettera del direttore della Orient Bank dalla quale quel mio rapporto era stato originato2.

Sebbene io non ricevessi sul momento alcuna risposta a quel mio rapporto, non credetti dovervi insistere perché circa un mese dopo, concessione di cui si tratta venne data dal Governo ottomano alle due Case inglesi Weddell Turner u.Co. e Fairfield Shipuilding and Engineering Co. in Govan (Clyde) le quali, assumendo gli obblighi descritti nel capitolato, cominciarono col versare nelle casse della amministrazione turca la cauzione di lire turche l 0000. Notizie ora giunte

2 Per la risposta cfr. n. 487.

2 Il Gutmann proponeva la mediazione con la Turchia per l 'investimento di capitali italiani nella società di cui alla nota l.

da Vienna fanno ritenere che le due Case inglesi siansi decise -ignoro per qual motivo -a rinunziare alla concessione avuta, ritirandosi dall'impresa e lasciando nelle mani dell'autorità turca la cauzione depositata.

Io non so se questa notizia risponda alla realtà dei fatti, come pure non so se il direttore generale della Orient Bank col quale non ho più parlato dell'affare, sarebbe oggi disposto a mantenere l'offerta fattaci. Tuttavia, dato l'interesse che, a parer mio, potrebbe eventualmente derivare alla nostra espansione politico-economica, da una ben studiata partecipazione del nostro capitale a quella impresa che abbraccerebbe i porti non solo del Levante, ma anche della Tripolitania, credo dover attirare l'attenzione della E.V. su quanto ci era stato offerto l'anno passato, per il caso che ella credesse opportuno, dopo aver fatto constatare la verità delle notizie da Vienna e, possibilmente, la ragione della rinunzia da parte delle Case inglesi, che io parlassi della cosa col signor Gutmann.

484 l Il documento reca: "dovut pari".

485 l T. riservatissimo personale .. ./47 del 26 settembre, non pubblicato.

486 l R. del 19 agosto 1909 col quale si comunicava che Hubert Gutmann, direttore generale della Deutsche Orient Bank, aveva suggerito di investire nella costituzione di una nuova società turca destinata a succedere alla compagnia di navigazione esistente.

487

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE .. ./481. Bucarest, [29] settembre 1910.

Quando nel novembre 1909 Diuvara assunse portafogli degli affari esteri Bratiano mi avvertì ad ogni buon fine non saper costì nulla degli accordi della Rumania colla Triplice Alleanza e non essere intenzione del re informarnelo2. Sua Maestà infatti vuole mettere nel segreto minor numero possibile di persone e ben pochi uomini di stato rumeni sono iniziati al medesimo ... Tutti gli atti relativi quell'accordo dissemi re Carlo sono custoditi in una cassaforte nel suo studio. D'allora in poi Bratiano non mi parlò più della cosa ma ritengo mi avrebbe avvisato se Diuvara fosse stato ulteriormente posto al corrente; vedendo Bratiano potrei d'altronde accertarmene.

488

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, CAMBIAGIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 844/214. Belgrado, 29 settembre 1910 (per. il 16 ottobre).

La notizia lanciata dal Matin della pretesa conclusione di una convenzione turco-rumena non destò qui la grande impressione che si sarebbe potuto credere.

487 I Si pubblica la copia del telegramma inviata al re Vittorio Emanuele III. 2 Risponde al n. 485.

I giornali ne parlarono prestando piena fede alla notizia e propugnando di stringere vieppiù i rapporti d'amicizia cogli altri Stati balcanici e specialmente colla Bulgaria, ma senza esagerare.

Il signor Milovanovitch, che ebbi occasione di vedere sovente nei giorni che seguirono la pubblicazione del Matin me ne parlò più volte, e me ne parlò in termini che, sebbene espressi in conversazioni di carattere tutt'affatto intimo, credo interessante di riferire ali 'E.V.

Il signor Milovanovitch premise che la Serbia, come amica sincera della Turchia e della Rumania, deve rallegrarsi di una più stretta amicizia fra i due Paesi. Ma poi parlò più francamente.

Egli crede ali'esistenza di un'intesa; forse essa non sarà una convenzione scritta, forse non sarà elaborata del tutto, ma qualche cosa dev'esserci ed anche non ci fosse proprio nulla di concordato, qualche cosa rimarrebbe sempre: e cioè il fatto che Turchia e Rumania hanno in questo momento identità di interessi e che senza dubbio oggi vi è un riavvicinamento cordiale fra di esse'· Per sapere quale importanza, quale portata abbia l'intesa, bisognerà attendere di vederne le conseguenze: «finora non conosciamo che gli accordi; attendiamo di sentire la musica».

Forse la Turchia è stata indotta a stringere vieppiù le sue relazioni colla Rumania dalla tensione esistente colla Grecia; ed in questo caso essa sarebbe stata abile nel cogliere un momento in cui la Rumania è animata da odio verso la Grecia; né bisogna dimenticare che la Rumania vive pure in continuo timore di un ingrandimento della Bulgaria. È certo che in caso di scoppio di ostilità colla Grecia, se la Rumania, pur non violando la sua neutralità, mostrasse un'attitudine energica, si mettesse in assetto di guerra e rinforzasse le sue frontiere, ciò attutirebbe gli eventuali desideri della Bulgaria di profittare della situazione. In questo caso la convenzione avrebbe doppiamente carattere pacifico, perché anche la Grecia si guarderebbe dal lanciarsi troppo leggermente in una guerra contro la Turchia. E troppo grande è in tutti in questo momento il desiderio di pace perché in fondo ognuno non debba rallegrarsi di questa intesa, che senza dubbio tratterrà da ogni passo inconsiderato anche quelli che potessero per avventura avere avuto brama di turbarla: del resto anche chi ha forse l'apparenza di essere contrario alla pace, oggi, e specialmente in questo momento, la desidera.

Forse la Turchia sarà stata indotta all'intesa dal desiderio di tenere un po' in freno la Bulgaria; questa era troppo avvezza ad ottenere tutto quanto desiderava, «essa teneva le armi affilate e, come un bambino, batteva i piedi quando voleva qualche cosa»; ma la Turchia nuova, imbaldanzita, non può più sopportare ciò, e avere voluto calmare un po' le velleità della Bulgaria. E che la Turchia sia imbaldanzita lo dimostra il modo con cui essa tratta ora, da pari a pari, con le Grandi Potenze.

488 I Annotazione a margine: «Scuole e propaganda rumena. Questione della Dalmazia».

Il signor Milovanovitch crede seriamente, intimamente, che, se la convenzione esiste, essa ha un carattere pacifico, difensivo. Triste cosa sarebbe se contenesse invece una punta offensiva, per esempio, contro la Bulgaria; oppure se la Turchia, assicurata per mezzo della Rumania dalla parte della Bulgaria, ricordando tutto il prestigio che nel mondo musulmano venne al sultano Abdul Hamid per le sue facili vittorie nell'ultima guerra contro la Grecia, ottenuto un segreto cenno di lasciar fare dai due Imperi centrali, cercasse di nuovo in Grecia quella diversione ali'estero che le sarebbe tanto utile. Evidentemente un successo delle armi rinvigorirebbe il regime Giovane turco, di cui gli ottomani non sembrano esageratamente soddisfatti: le finanze non sono in florido stato, la Bosnia e l'Erzegovina non appartengono più alla Turchia, la Bulgaria, ora regno, è affatto indipendente; Creta è lì, lì: ed una vittoria farebbe cessare il malcontento che forse serpeggia.

Dopo aver detto che, se la Rumania fu indotta a stringere l'accordo, lo fece soltanto sotto la pressione di Berlino e Vienna, il ministro magnificò la grandezza della Russia. Se la Russia fosse completamente uscita dalla crisi, certamente la Rumania non oserebbe pensare a simili accordi; troppi interessi essa ha di fronte alla sua potente vicina per inimicarsela. Ma tra pochissimi anni la Russia si risolleverà completamente, essa rip~"enderà la preponderanza che le deve venire dalle sue risorse, ed allora se anche la convenzione esiste, essa perderà della sua importanza. E la Russia ha invero risorse immense: l'ultimo censimento accusò 170 milioni di abitanti, di cui ben 136 in Europa; le sue finanze sono floridissime. Una rete ferroviaria ne unisce le regioni più distanti cosicché le province lontane possono mandare in breve tempo immense schiere di truppe; la stessa estensione di territorio è un vantaggio poiché nel caso di una disfatta mai la Russia sarebbe fiaccata, a differenza di altre Potenze: per esempio, se la Francia perdesse Parigi rimarrebbe decapitata.

Certamente l'interesse della Rumania che vuole svilupparsi pacificamente, ma teme un ingrandimento della Bulgaria, la spinge oggi dalla parte della Turchia: dunque anche da questo lato apparirebbe l'effetto benefico, che è la conseguenza diretta de li'intesa e cioè di assicurare la pace e di tenere in freno la Grecia e la Bulgaria. Ma l'intesa potrà avere anche importanti conseguenze indirette: indubbiamente secondo il signor Milovanovitch, furono gli Imperi centrali a spingere la Rumania ali'avvicinamento. L'Austria, è certo, desidera, ed ha sempre detto di desiderare, lo sta tu quo; ed egli vi crede: però l'Austria vuoi essere quella che detiene le fila di questo statu quo; evidentemente essa vuole ora primeggiare su tutte le altre Potenze nelle questioni balcaniche; e se domani per una causa anche indipendente dalla sua volontà lo statu quo venisse ad essere turbato, è suo desiderio che tutto quello che succederà avvenga secondo la propria volontà; e a ciò sta preparandosi. Un po' alla volta essa acquista una vera supremazia sulle altre Potenze nel dirigere la politica balcanica, di cui indubbiamente detiene il bastone di maresciallo.

Indirettamente poi l'accordo avrebbe grande importanza anche perché la Turchia non può non sapere che senza la pressione dell'Austria e della Germania la Rumania, anche per un riguardo verso la Russia, mai sarebbe venuta all'accordo; indi nella Turchia non solo rimarrà un sentimento di riconoscenza, ma pure una impressione forse esagerata del prestigio e dell'influenza dei due Imperi centrali nella politica orientale; e quando giungesse il momento di una conflagrazione e se sorgessero dei pericoli, essa penserà forse di curare il proprio reale interesse cercando di unirsi alla parte creduta più forte: e ciò con grave danno dei Paesi balcanici.

Il signor Milovanovitch mi disse ch'egli crede in una futura amicizia fra la Serbia e la Bulgaria; i due Paesi devono finire in un più o meno lontano avvenire per intendersi: è nel loro interesse. Tre o quattro anni or sono la Bulgaria era certamente lo Stato balcanico più forte, anzi l 'unico forte; e se avesse avuto un sovrano guerriero, questi avrebbe saputo profittare di tale forza; ancora oggi, forse, Bulgaria e Serbia riunite, potrebbero tener testa alla Turchia. Disgraziatamente non è ancora possibile addivenire ad un vero accordo. Non che la Serbia non lo desideri. Al contrario! E tale suo desiderio la Serbia ha sempre proclamato, ma tutte le volte che si trattò di mettersi d'accordo, la Bulgaria, pur dichiarandosi lieta e disposta, cominciò sempre col premettere che non avrebbe però ceduto nemmeno di un pollice sulle sue pretese. Ed in simili condizioni la Serbia non può trattare, poiché accordo vuol dire transazione e transazione vuol dire il risultato di una discussione amichevole in cui ciascuno cede in una parte delle sue pretese al fine di ottenere l'accordo desiderato. Ora dunque spetterebbe alla Bulgaria di fare il primo passo. Il ministro ammette però che la notizia dell'intesa ha già un po' migliorato le relazioni fra i due Paesi. «La stampa bulgara non attacca più la Serbia, se un bulgaro incontra un serbo», diceva il ministro, «non lo guarda più con diffidenza, lo guarda come un amico, gli sorride quasi». Ed è già un vantaggio che la sola idea di un pericolo anche se immaginario, anche se inesistente, seppure si può parlare in questo caso di pericolo, avvicini maggiormente i due Paesi.

Certamente per il sogno di una più stretta unione dei Paesi balcanici l'intesa turco-rumena costituisce un ostacolo. E l'attitudine della Rumania non può apparire simpatica ai Paesi balcanici; più tardi, quando gli animi saranno rasserenati e calmato l'orizzonte politico, essa dovrà riuscire poco simpatica a quanti pensino liberamente ed abbiano sentimenti generosi di simpatia verso i popoli oppressi che devono lottare per difendere dinanzi ai colossi la propria indipendenza.

Tali furono le dichiarazioni fattemi dal signor Milovanovitch, che ho cercato di riferire, per quanto possibile, colle sue stesse parole; ripeto che esse mi furono fatte durante conversazioni intime ed amichevoli, e non di carattere ufficiale.

Eccezione fatta del ministro di Bulgaria, il quale mi fece comprendere eh'egli crede fermamente all'esistenza di una vera convenzione, stabilita e firmata in odio alla Bulgaria, gli altri diplomatici concordi, non credono all'esistenza di accordo turco-rumeno, ma ammettono e sono dell'opinione che esiste reale riavvicinamento fra i due Paesi dettato dai loro attuali interessi.

Del resto tutti quelli che conoscono la prudenza e l'amore di pace di re Carlo sanno che, salvo in caso di assoluta urgenza e necessità, difficilmente egli si lascerebbe indurre a legarsi con un accordo che gli alienerebbe un potente vicino e che potrebbe forse un giorno ostacolare la sua libertà d'azione.

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI 1

T. PERSONALE. Torino, 30 settembre 1910, ore 16,20 (per. ore 18,30).

Aehrenthal cordialissimo2. Assicura non veri né interamente desiderabili accordi recentemente discussi. Egli spera ottenere più tardi qualche cosa per Foscari. Spera pure presto accordo per incidenti frontiera. Metodi repressivi verso tendenze separatiste non muteranno. Poca speranza di prossima soluzione soddisfacente per università. Ecco brevemente riassunto il bene ed il male.

490

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MA YOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 3072/1004. Therapia, 30 settembre 1910 (per. il 10 ottobre).

V.E. avrà avuto da altre parti sentore di divergenze di vedute sorte tra le commissioni ottomana e francese di delimitazione della frontiera tripolo-tunisina, sovra argomenti non bene accertati. Vari sceik e notabili di Nalut e di Wazin (Wessan?) si sarebbero recati a Tripoli per presentare al governatore una protesta contro il progetto ottomano di delimitazione che darebbe alla Tunisia parecchi terreni appartenenti alla zona tripolina.

Non sarà parimenti sfuggito a codesto Ministero che, secondo una comunicazione attribuita ad un ufficiale francese e pubblicata dali' Eclair, di Parigi, i presìdi francesi alla frontiera tripolina sarebbero seriamente minacciati, atteso che il Governo turco favorisce sistematicamente gli attacchi e le invasioni del territorio

489' Da ACS, Carte Luzzatti. 2 Sui colloqui di Torino tra di San Giuliano ed Aehrenthal si vedano anche OeUA, vol. III, n. 2264, GP, vol. XXVIII!, nn. 9866, 9868 e DDF, vol. XII, nn. 588, 593; vol. XIII, nn. 7, 43, 58.

francese. L'ufficiale francese conclude dicendo indispensabile di fortificare le guarnigioni dei presìdi di frontiera.

Si può ammettere che, se la commissione ottomana di delimitazione, o le autorità ottomane di frontiera, seguono l'andazzo antico, o sono accessibili alla corruzione, la commissione francese avrà facili le mosse; se, invece, nella commissione stessa, o fra le autorità accennate, prevalgono i sentimenti della Giovane Turchia, la commissione francese incontrerà resistenze e dovrà anche opporsi, essa, a soprus1.

Tale può sembrare l'occupazione turca di Djanet che figurava, sinora, sul territorio tunisino.

491

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3302/406. Therapia, 1° ottobre 1910, ore 13,08 (per. ore 20,25).

Sublime Porta ha inviato al valì di Tripoli istruzioni di fare il possibile per limitare gli acquisti di terreni per parte di italiani. Comunicazione di tali istruzioni è stata data al ministro della guerra ed alla Direzione Generale del catasto.

492

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 2645. Roma, 3 ottobre 1910, ore 15,40.

Rispondo suoi telegrammi numeri 4041 e 4062.

Nei miei colloqui di Torino con Aehrenthal ci siamo, come in passato, trovati concordi nel proposito di collaborare al consolidamento della Turchia e della sua costituzione. Prego V.E. di dire francamente a codesto Governo, nel modo e nel momento che V.E. giudicherà opportuni, che la continuazione di tale politica, di cui ho dato alla Turchia molte prove, anche nella questione cretese, mi riuscirà difficile e forse impossibile se essa persisterà nella ingiustificata diffidenza verso di noi e nella opposizione ai nostri legittimi interessi economici in Tripolitania e Cirenaica.

492 I T. 3300/404 del l o ottobre, non pubblicato, col quale si comunicava la notizia di sondaggi turchi presso il Governo di Berlino a riguardo delle intenzioni italiane a Tripoli. 2 Cfr. n. 491.

493

IL VICE CONSOLE AD ALGERI, MODICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 3507/239. Algeri, 4 ottobre 1910 (per. il 21).

Il telegramma 16 settembre ultimo' di S.E. il r. ambasciatore a Parigi, di cui è stata inviata copia a questo r. consolato con riverito dispaccio distinto in margine e l'altro telegramma 13 detto settembre2, di S.E. il r. ambasciatore a Costantinopoli, circa l'articolo del giornale il Temps oggetto del riverito dispaccio 25 settembre p.p., riflettono le aspirazioni di data non recente della Francia che ad ogni costo tende giungere ai confini della Tripolitania e non esagero sotto le mura di Gadames, onde poter formare il blocus alle carovane che dal Sudan sboccano in Tripolitania.

«La mancanza di frontiera» disse il signor Jonnart nella sessione ultima del consiglio superiore di questo Governo «con la Tripolitania ritarda la nostra opera di pacificazione perché i pirati del deserto trovano riparo nella zona momentaneamente neutra fra Gadames e Chat e precisamente nella regione di Gianet».

Malgrado tutte le apparenze francesi di volere amichevolmente stabilire le delimitazioni della frontiera tripolina col Governo della Sublime Porta, è un fatto evidente che nel sud l'autorità militare da parecchi anni si prepara in silenzio con metodi inflessibili, onde al momento opportuno possa realizzare alla lettera un progetto maturo già per l'elemento militare, ma che la presente diplomazia, per non risvegliare risentimenti seri e giustificati, impedisce di dare esecuzione.

Dei sintomi di preparazione, cioè delle modificazioni e dell'aumento delle compagnie sariane, delle iscrizioni delle reclute indigeni nei reggimenti dei posti avanzati, della costruzione di piccoli centri dove, là nel Sahara, furono costruiti stabilimenti amministrativi abbastanza vasti per contenere il vettovagliamento di corpi di truppa e dove esistono importanti provvigioni e materiale di guerra, sproporzionati, certo, ai bisogni di assicurare la sicurezza nelle regioni sariane contro i colpi di mano di qualche volgare malfattore, non se ne parla mai nella stampa. Uargla, El Golea, Tidikelt, Tuggomt e l 'Oved-Djella, in pieno deserto, sono dei centri militari ben preparati, comandati da brillanti ufficiali, la maggior parte dei quali fecero la loro carriera nelle regioni del sud algerino. E sono tali preparazioni che danno campo alle esagerazioni allorché succedono fatti isolati di pirateria, come qui li chiamano, fatti d'altronde che anche in Algeria spesso succedono, ma che non essendo ingigantiti formano puramente e semplicemente oggetto di cronaca di giornali.

In seguito agli ultimi avvenimenti nel Marocco, che ridondarono in qualche modo verso le altre popolazioni scuotendo il fanatismo musulmano, il viaggio a

493 I T. 3107, non pubblicato, col quale si riassumevano le notizie dell'Agenzia Ha vas sui colloqui di Pichon con i capi tuareg a proposito dell'hinterland algerino-tunisino. 2 T. 3070, non pubblicato, sulla frontiera tripolo-tunisina.

Parigi di Mussa Sag Amistane, il gran capo dei tuaregh, avrebbe potuto avere per scopo di assicurare il Governo della Repubblica di tutta la fedelta delle popolazioni del Tuat alla Francia, la quale avesse potuto contare in ogni eventuale conflitto con le popolazioni guerriere nel Tuat. Certo una azione di guerra non sarà messa in opera se prima la Francia non troverà occasione favorevole tendente a giustificare davanti l'Europa il suo operato e cioè facendo gridare come in tutti gli altri simili casi la stampa nel senso del giornale il Temps circa i diritti vilipesi dei sudditi algerini e tunisini e la necessità di mettere ordine.

Mussa Sag Amistane è la personalità la più influente del Tuat, essendo egli capo della grande confederazione degli ahagga e cioè dei nomadi del Sahara centrale e di quelli delle oasi del Tidikelt, quindi era il piu qualificato per tale viaggio, provocato, pare, dal signor Jonnart. Il colonnello Laperrine, che da diversi anni dirige gli affari del Sahara, anela di menare alla facile vittoria le sue truppe tanto più che ora nel percorso avrà i posti di appoggio assicurati da ogni sorpresa.

Il piano in conclusione è quello di chiudere per cominciare la Tripolitania in un cerchio di ferro, togliendo così evidentemente alla medesima ogni risorsa che ritrae dalle carovane rimaste ribelli alla causa francese. Il parlamento francese fino dal 1908 dichiarò di pubblica utilità la ferrovia Biskra-Tuggomt; tale costruzione ferroviaria, sebbene avrà un interesse strategico, si spiega al punto di vista economico di essere alimentata dal commercio carovaniero.

Aggiungo che il suddetto Mussa Sag Amistane già è in scena, rendendosi completamente ligio alla Francia, dall902 e d'allora in poi secondò l'opera francese con intelligenza notevole. Gli azgiar, popolazioni appartenenti quasi ai confini della Tripolitania, rimasero ribelli per un periodo di tempo lungo alle offerte francesi, gli scambi commerciali li trattavano con la Tripolitania; fu l'autorità e l'influenza di Amistane che condusse alla causa francese le suddette popolazioni. Sarà questo corpo indigeno che al momento opportuno saprà creare gl'incidenti di natura a giustificare l 'intervento francese nella frontiera della Tripolitania a tutela di quei diritti invocati ora dal giornaìe il Temps ed in seguito dalla stampa tutta.

494

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 2676. Roma, 5 ottobre 1910, ore 23,35.

Incaricato d'affari di Germania mi ha oggi comunicato quanto segue: «Da informazioni avute risulterebbe che il Governo russo s'interessa all'impiego al servizio dello Stato persiano di cittadini svizzeri, che si trovano in Persia sotto la protezione francese: il che equivarrebbe ad un tentativo di far valere l'influenza russa per l 'intermediario della Potenza alleata, e dei suoi protetti. L'attuazione del progetto russo recherebbe nuovo pregiudizio alle altre Potenze interessate in Per

sia, e ciò a favore di quelle della Triplice Intesa. Il Governo imperiale crede pure sapere che la proposta d'impiegare in Persia cittadini americani è stata provocata dall'Inghilterra. Il complesso di questi fatti prova, secondo il Gabinetto di Berlino, che Russia, Inghilterra e Francia cercano di scartare in Persia le Potenze della Triplice Alleanza».

Il principe Stolberg mi ha detto inoltre che sa che io ho declinato anticipatamente l'eventuale invio di funzionari italiani in Persia. N o n mi ha chiesto di prendere alcuna decisione.

Gli ho risposto: l) che ho declinato l 'invio di funzionari italiani di mia iniziativa e non a richiesta della Russia o dell'Inghilterra; 2) che se anche non avessi declinato, non sarebbero stati nominati dal Governo persiano, perché Russia ed Inghilterra avevano volontà e mezzo di opporvisi; 3) che è bensì vero che i cittadini svizzeri sono protetti in Persia dalla legazione francese, ma che la Svizzera non segue una politica estera ligia alla Francia; 4) che dalle mie informazioni risulta che l'Inghilterra non vuole opporsi alla nomina di americani, ma che non l 'ha desiderata;

5) che l'intervento dell'Italia nelle cose di Persia non gioverebbe alla Germania, creerebbe difficoltà all'Italia, ed inasprendo Inghilterra e Russia renderebbe più difficile componimento amichevole tra queste Potenze e la Germania. Di ciò si ebbe una prova nello scorso marzo, quando abbiamo chiesto schiarimenti circa le pretese condizioni poste da Inghilterra e Russia per l'assunzione di un prestito persiano (v. telegramma di codesta ambasciata n. 50)1 domanda che sollevò grande malumore a Pietroburgo e specialmente a Londra.

6) Accennai pure a Stolberg, e ripeto per norma eventuale di linguaggio a V.E.: che noi non possiamo in questo momento metterei in urto colla Francia, con cui pendono delicate trattative, pel Palazzo Farnese, e per la situazione degli italiani in Tunisia, la quale non è sufficientemente tutelata, anche perché nel 1869 i nostri alleati non ci sostennero.

495

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, Dl SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

D. CIFRATO S.N. Roma, 5 ottobre 1910.

Probabilmente domani o sotto la forma d'intervista col ministro della guerra o sotto altra qualsiasi sarà pubblicata una particolareggiata smentita alle voci che siano stati sospesi i lavori delle nostre fortificazioni verso il confine italo-austriaco.

494' T. 972/50 del 30 marzo, non pubblicato.

Per norma eventuale di linguaggio è bene che V.E. sappia che tale smentita, l ungi dall'essere un atto nostro poco amichevole verso l'Austria-Ungheria, tende, invece, allo scopo di sempre più migliorare i nostri rapporti con essa, perché deve servire a calmare l'eccitazione che le false voci di sospensione hanno provocato nel Veneto. Tali voci, unite all'energico contegno del Governo nella questione di Cima Dodici e ad altri nostri atti amichevoli verso l'Austria, hanno creato una corrente d'opinione e di sentimento che deve seriamente impensierirci. Mi sono messo in contatto, in questi giorni, con uomini politici di varì partiti e di varie regioni, e mi duole di dover dire a V.E. che la politica del Governo di amicizia verso l'Austria è resa sempre più impopolare dalla credenza generale che l'Austria nulla farà per ricambiarla. Per estirpare questa pericolosa credenza è indispensabile ed urgente, prima della riapertura del nostro Parlamento, qualche fatto, anche non molto importante, ma tangibile e visibile.

Se, per esempio, l'Austria si mostrasse arrendevole nella questione del possesso della Cima Dodici, se, revocando in parte le misure contro Foscari, evitasse l'incidente che questi vuoi provocare. Se si trovasse presto il modo d'annunziare, in maniera da fare effetto, gli accordi sugli incidenti di confine, se fossero molto amichevoli le dichiarazioni del conte d'Aehrenthal alle delegazioni, il Governo potrebbe esercitare sullo spirito pubblico un'azione efficace e fronteggiare con successo gl'imminenti attacchi in Parlamento.

Mi rimetto a V.E. sull'opportunità, sul tempo e sul modo di far pratiche in questo senso presso codesto Governo I.

496

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, ALLIATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3419/9. Lisbona, 7 ottobre 1910, ore 15,50 (per. ore 0,10 dell' 8).

Proclamata Repubblica in Oporto. Questo ministro d 'Inghilterra in formami famiglia reale trovasi Gibilterra. Sembrami partita completamente perduta per monarchia. Capitale comincia riprendere vita normale. Nuovo regime consolidarsi, ordine pubblico mantenuto per quanto è possibile anche durante tre giorni in cui popolazione fu abbandonata se stessa. Ricevuta comunicazione ufficiale costituzione governo provvisorio. Attendo istruzioni se sono autorizzato entrare relazioni ufficiose questo Governo. In caso affermativo, comincerò coll'accusare ricevuta suddetta comunicazione'·

496 l Per la risposta cfr. n. 499.

495 l Cfr. n. 497.

497

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3442/331. Vienna, 7 ottobre 1910, ore 22,50 (per. ore 6,30 dell' 8).

Mi riferisco istruzioni impartitemi V.E. verbalmente Torino e con dispaccio Gabinetto n. 12 pervenutomi oggi I.

Aehrenthal mi ha detto che nel parlare alle delegazioni dei rapporti tra Italia e Austria-Ungheria avrebbe fatto cenno dei negoziati in corso fra i due Governi circa constatazioni eliminazione incidenti frontiera, facendo conoscere che essi avrebbero potuto essere condotti in breve a termine con soddisfazione comune.

Ha aggiunto che sperava comunicare tra non molto V.E. risposta Governo Imperiale e Reale al promemoria da V.E. rimessogli Torino2 . Non credeva però possibile, data stagione avanzata, procedere ora fissazione punti frontiera contestati ma si sarebbe potuto stabilire intanto programma lavori da eseguirsi primavera prossima.

Circa al modo annunziare accordo relativo incidenti per produrre effetto desiderato da V.E. conte Aehrenthal sarebbe di parere che tale annunzio potrebbe essere fatto dai due Governi separatamente o mediante comunicato da concordarsi tra loro.

Conte Aehrenthal mi ha detto inoltre confidenzialmente che, nell'allocuzione che sarebbe pronunziata dali 'imperatore al ricevimento delegazioni, Sua Maestà avrebbe parlato dei rapporti tra Austria-Ungheria e Italia negli stessi termini che dei rapporti tra Austria-Ungheria e Germania. Nella sua esposizione poi alle delegazioni si sarebbe espresso pure circa relazioni tra Austria-Ungheria e Italia nei termini stessi con cui avrebbe parlato di quelle tra AustriaUngheria e Germania. Ma sarebbe stato piuttosto sobrio nelle sue espressioni e ciò per ragioni di tattica. Però, nel corso delle discussioni e nel rispondere interpellanze che gli sarebbero rivolte, avrebbe fatto conoscere che quelle relazioni erano delle più amichevoli, ma non avrebbe potuto a meno di accennare in pari tempo agli incidenti avvenuti ed al differente modo con cui erano stati considerati qui e da noi, come alle manifestazioni prodottesi in Italia, perché doveva tenersi conto di certe correnti che esistevano in quest'opinione pubblica e nelle delegazioni. Non poteva però entrare con me in ulteriori particolari circa tenore sue dichiarazioni alle delegazioni.

Per ciò che riguarda altre questioni toccate dispaccio suddetto relativo conte Foscari e Cima Dodici, V.E. conosce già circa prima le disposizioni comunicatele

497 I Non rinvenuto. Si tratta presumibilmente del dispaccio di cui al n. 495. 2 Sui colloqui di Torino tra di San Giuliano e Aehrenthal si veda il n. 489.

personalmente dal conte di Aehrenthal a Torino. Per cui, per quanto impegno porrò nell'interessarlo in propizia occasione a favore conte Foscari, temo che mie pratiche non potranno almeno per ora avere desiderato effetto per ragioni espostele a voce e colla anteriore mia corrispondenza che impediscono dare per il momento alla questione una soluzione favorevole.

Quanto a Cima Dodici, siccome non conosco questione che soltanto dai dati pubblicati circa medesima dalla nostra stampa, prego V.E. volermi informare del punto di vista R. Governo, nonché degli altri particolari, per essere così in grado di parlarne conte Aehrenthal con conoscenza di causa.

498

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3437/333. Vienna, 7 ottobre 1910, ore 22,50 (per. ore 6,30 dell' 8).

Parlandomi dimissioni del signor lsvolsky, Aehrenthal mi ha detto che non era da pensare che esse avrebbero potuto rendere più efficace riavvicinamento tra Austria-Ungheria e Russia. A suo parere, politica della Russia, pur spogliandosi di quel carattere personale che le aveva impresso Isvolsky, non avrebbe subito alcuna modificazione in seguito sue dimissioni.

499

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, ALLIATA

T. 2717. Roma, 8 ottobre 1910, ore 19,00.

Suo telegramma n. 91. Circa sua attitudine di fronte Governo provvisorio, si regoli come gli altri suoi colleghi delle Grandi Potenze e specialmente quelli d'Austria-Ungheria e di Germania, informandomene preventivamente. Al telegramma direttomi dal presidente Braga io non ho risposto. Parimenti, al signor Lambertini Pinto, che è venuto oggi a darmi comunicazione ufficiale della proclamazione della Repubblica e della costituzione del nuovo Governo, ho dichiarato di non poter dare alcuna risposta.

499 I Cfr. n. 496.

500

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1998/180. Bucarest, 8 ottobre 1910 (per. il 24).

Mi pregio segnar ricevuta della nota verbale a margine citata I, cui andava annessa una copia del rapporto n. 259, in data 14 agosto scorso, del r. incaricato d'affari a Sofia2, relativo alla impressione prodotta colà dall'avere Hakky pascià scelto la via di Costanza per recarsi a Vienna, dalla di lui visita alla corte di Bucarest e dai suoi colloqui coi governanti rumeni.

In verità i bulgari s'impressionano facilmente. Infatti, come rilevai nel mio telegramma di ieri n. 50 all'E.V.3, non solo il presidente del Consiglio era in congedo all'estero quando il gran visir venne in Rumania nello scorso agosto e non lo vide affatto, ma secondo mi narrò il mio collega di Francia, signor Blondel, il quale conosce da anni Hakky pascià, questo arrivò da Costantinopoli il lO agosto scorso a Bucarest con biglietto ferroviario diretto per Vienna e pensava di fermarsi a Sinaia appena poche ore per vedere il sito, non avendo intenzione di chiedere udienza al re. E vi si decise solo in seguito alle insistenze del prefetto di polizia della capitale venuto a salutarlo alla stazione al suo arrivo qui. Giunto a Sinaia e chiesta l'udienza, l'indomani mattina venne ricevuto e trattenuto a colazione dal sovrano. Dopo la colazione, alla quale nemmeno assistette il ministro degli affari esteri, signor Djuvara, Hakky pascià fu dal signor e dalla signora Blondel e vi rimase fino verso le 4. Si recò allora a far visita al ministro degli affari esteri e dopo poco più d'un'ora era di ritorno dai Bionde! per prendere il tè. Passeggiò poi qualche tempo col mio collega ottomano, Sefa bey, ed alle ore 8 ripartì per Vienna. E' dunque difficile di credere, giustamente mi osservava Blondel, che in quella breve intravista con Djuvara e durante l'udienza e la colazione dal re, per giunta in assenza dal Paese del presidente del Consiglio, Hakky pascià abbia potuto stabilire le basi di accordi politici o militari tra la Turchia e la Rumania. Aggiungerò che un negoziato della specie sarebbe certamente condotto personalmente da Bratiano. Dubito anzi persino che verrebbe posto nel segreto il Djuvara, che l'esperienza ha ormai dimostrato essere ministro degli affari esteri soltanto pro forma. Mi domando dunque se l'annunzio della conclusione d'una convenzione militare turco-rumena non sia dovuto ad un madornale quiproquo, se cioè l'autore della notizia non abbia fatto confusione colla convenzione di commercio in sospeso da parecchi anni, di cui Hakky pascià intrattenne effettivamente il signor Djuvara e circa la quale i due Governi sono finalmente quasi caduti d'accordo. Anche Bratiano è portato a crederlo. E' pur possibile che, con

500 t Nota verbale 12, 29 settembre (pos. 1140).

2 Non pubblicato.

3 T. 3409/50, non pubblicato.

versando giorni sono con Sefa bey, Kiderlen gli abbia detto che la Turchia potrebbe ottenere dalle banche tedesche ed australiane il prestito che essa cerca attualmente di contrarre, e nella stessa conversazione, ma senza stabilire nesso alcuno tra le due quistioni, gli abbia anche consigliato di raccomandare al proprio Governo di non sollevare ulteriori difficoltà alla firma della predetta convenzione di commercio e di terminar presto questo affare. Se Sefa bey o Kiderlen fossero ancora qui potrei facilmente tirar la cosa in chiaro: ma il primo partì avant'ieri in congedo, ed il secondo, dovendo fermarsi a Vienna per vedere d'Aehrenthal ed ossequiare l'imperatore Francesco Giuseppe e trovarsi a Berlino al più tardi li 11 corrente, ha pur lasciato questa capitale. Ad ogni modo, come ebbi già l'onore di riferirlo all'E.V., tutte le informazioni ed impressioni sinora raccolte qui concordano a farmi ritenere inattendibile la notizia della conclusione d'un trattato d'alleanza o d'una convenzione militare turco-rumena. Con ciò non voglio dire che, in caso d'aggressione della Turchia da parte della Bulgaria, la Rumania se ne starebbe colle mani in tasca. Ritengo anzi che, permettendolo le circostanze, vale a dire se in quel momento non lo renderà pericoloso per essa il contegno d'una grande potenza vicina, non esiterà a mobilizzare subito il proprio esercito; locchè potrebbe magari bastare per fermare i bulgari. Ma per ciò non occorrono alla Rumania previi accordi colla Turchia, e tutto invece sembra consigliarle di conservare la sua piena libertà d'azione.

501

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 8611270. Pietroburgo, 10 ottobre 1910 (per. il 17 ottobre).

Nell'ultimo abboccamento che ebbi col reggente del Ministero imperiale degli affari esteri, questi, dopo aver accennato alla recente visita del conte di Aehrenthal in Italia nella quale ravvedeva anzitutto un atto di dovuta cortesia, ormai entrata nelle consuetudini dei due Paesi e che trovava la sua ragione negli stretti vincoli politici che li uniscono, venne spontaneamente ad emettere alcune considerazioni sull'appartenenza de li'Italia alla Triplice che, espresse alla vigilia del giorno in cui il signor Sassonow verrà molto probabilmente chiamato alla direzione della politica estera della Russia, acquistano una particolarissima importanza e meritano di essere integralmente riportati in questo carteggio.

Il signor Sassonow dicevami dunque che la Russia non soltanto nulla aveva da obiettare a che l'Italia rimanesse fedele ai contrattati patti d'alleanza, ma che anzi ciò desiderava vivamente ravvisando nel fatto dell'appartenenza dell'Italia alla Triplice una solida garenzia di pace. L'Italia, soggiungeva egli, di cui tutti gli interessi sono diretti al mantenimento della pace e che è pure unita alle altre Grandi Potenze da stretti vincoli di amicizia, rappresenta nella Triplice una valvola di sicurezza, un salutare contrappeso di fronte alle meno pacifiche tendenze delle sue due alleate, e, nell'attuale situazione dell'Europa sarebbe per la Russia argomento di grave allarme un distacco dell'Italia dall'alleanza coi due Imperi centrali.

A questo proposito, il futuro ministro non mi nascondeva che le preoccupazioni del Governo imperiale si indirizzavano oggidì verso la Germania specialmente, il di cui risveglio di attività politica si manifesta dovunque, anche là dove era solita dichiarare un tempo di non avere nessun interesse da tutelare. E ciò che più è, la punta dell'azione della Germania sembrava, agli occhi del signor Sassonow, particolarmente diretta contro la Russia. Essa che ancora in tempo recente, tanto si adontava della politica di accerchiamento che asseriva perpetrata a suo danno dai Gabinetti della Triplice Intesa, tende adesso, a sua volta, ad accerchiare quella tra le tre Potenze che giudica più accessibile ai suoi colpi in uno stretto cerchio di rivalità ed intrighi. Dovunque, dal settentriore al mezzogiorno, dali' oriente ali' occidente, si accumulano i sintomi di una siffatta azione; in Svezia, ove dietro i suggerimenti germanici, il Governo svedese si appresta a traspiantare il suo principale arsenale a Stoccolma stessa, di faccia alla costa finlandese, con obiettivi evidentemente diretti contro la Russia; sulla linea di frontiera della Germania ed Austria-Ungheria, lungo il territorio russo ove non si tralascia di prendere provvedimenti di carattere militare di cui è facile scorgere la causa; in Rumania ove cercasi di spingere il re Carlo ad una politica balcanica non certo ispirandosi a sentimenti molto benevoli verso questo Impero; in Turchia ove dalla Germania vengono assoldati giornali coll'incarico di condurre una campagna di sistematica diffamazione contro la Russia; in Persia ed ora perfino nel Celeste Impero ove vengono inviati istruttori militari tedeschi.

Le apprensioni del signor Sassonow, per quanto un poco eccessive, non sembrano però prive di ogni fondamento; è difatti evidente che da qualche tempo a questa parte l'azione politica della Germania si fa sempre più intensa e si estende anche nei campi ove si era sempre astenuta, come nei Balcani, di esercitare una parte preponderante. Non condivido però interamente l'opinione del signor Sassonoff -come credetti dover fargliene l'osservazione nel corso del nostro colloquio -che tale azione germanica sia perpetrata anzitutto in odio della Russia. Appare manifesto invece che è contro l'Inghilterra che si indirizzano specialmente gli sforzi della Germania giacché la Russia tende ora dovunque a far causa comune con quella Potenza, è attraverso la Russia che essa tende a colpire la temuta rivale. In un'altra recente conversazione lo stesso signor Sassonoff ebbe a pari armi lungamente dei risentimenti destati a Berlino e di cui questo ambasciatore di Germania ebbe più volte a farsi qui portavoce, da questa stretta comunanza di azione anglo-russa che in tutte le parti del mondo si schiera a combattere gli interessi germanici.

Come vedesi, alle rampogne germaniche rispondono le rampogne russe contribuendo ad accrescere da una parte e dall'altra i rancori e le animosità ed introdurre nella situazione politica europea sentimenti di sempre maggiore instabilità e malessere.

502

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 862/271. Pietroburgo, 10 ottobre 1910 (per. il 17).

Come le preannunziavo nel mio rapporto in data 9 settembre u.s. n. 2531 è finalmente riescito al signor Iswolsky a tramutare il difficile posto di ministro degli affari esteri con quello di ambasciatore a Parigi. Egli abbandona ora il Ministero in condizioni per lui piuttosto favorevoli. So che a lui premeva specialmente di non lasciare il potere ancora sotto l'impressione dello smacco di Buchlau e che, per la sua uscita, gli occorreva un successo che lo riabilitasse in certo qual modo davanti l'opinione pubblica del Paese. Questo successo egli facilmente l'ottenne mediante l'accordo russo-giapponese. Il signor lswolsky lascia ora il suo portafoglio confortato da un rescritto del suo sovrano redatto in termini assai affettuosi, dalla concessione di un'altra onorificenza e dalla sua riconferma a membro del Consiglio dell'Impero.

Non altrettanto lusinghiero è stato invece il comiato datogli dalla stampa russa la quale non si è lasciata sfuggire l'occasione a nuove requisitorie contro l'opera del poco popolare ministro.

Come pure preannunziai a suo tempo, a rimpiazzare il signor Iswolsky nelle difficili e qui generalmente poco ambite funzioni di ministro degli affari esteri, verrà quasi sicuramente chiamato l'attuale suo aggiunto, signor Sassonoff. Sono state, egli è vero, in questi ultimi giorni, messe avanti non si sa da chi le candidature di qualche outsider, fra cui noterò quella del principe Engaliceff aiutante di campo dell'imperatore ed ex addetto militare a Berlino, di cui vien fatto il nome ogni qual volta trattasi di ricoprire qualche alto posto diplomatico, ma dette candidature hanno ben poche probabilità di riuscita. Del signor Sassonoff ho già detto tutto il bene che penso; egli non ha che un torto, che molto gli nuocerà presso l'opinione pubblica, quello di essere apparentato da vicino col signor Stolypin, ed è probabile che all'annunzio della sua nomina i non pochi avversari politici del presidente del Consiglio non mancheranno di gridare al nepotismo.

Non credo che con la nomina del signor Sassonoff siano da prevedersi radicali mutamenti nell'indirizzo della politica estera di questo Impero. Egli è, come ebbi spesso occasione di constatarlo nelle conversazioni avute con lui, un convinto fautore della politica di intesa coli 'Inghilterra, né pare quindi possibile che egli intenda dipartirsi dalla via seguita dal suo predecessore. Ho già detto e ripetuto come egli sia un sincero e provato amico dell'Italia e durante il suo Ministero, le ottime relazioni politiche inauguratesi di recente fra i due Paesi, non subiranno certamente alterazione di sorta.

È d'altra parte però probabile che l'allontanamento del signor Iswolsky dalla direzione della politica estera russa, sia destinato ad avere una favorevole ripercussione sulle relazioni colla vicina Monarchia austro-ungarica ed anche, indirettamente, colla Germania. Il dissidio insorto tra la Russia e l'Austria per la questione dell'annessione aveva assunto, sia per le circostanze che lo determinarono sia per colpa del signor Iswolsky, il carattere di una lotta personale fra i due ministri degli affari esteri, che ne aveva di molto acuito la gravità. Ora l'allontanamento dalla scena politica attiva di uno dei contendenti deve forzatamente condurre ad una détente che lo spirito conciliante e malleabile del signor Sassonoff tenderà vieppiù a facilitare. Se non altro potrà rendere effettiva quella ripresa di relazioni diplomatiche normali che le trattative corse l'inverno passato tra i Gabinetti di Pietroburgo e di Vienna, non valsero a produrre di fatto, ad onta delle dichiarazioni ufficiali scambiatesi in allora.

A giudicare dalle apparenze esteriori, tutto lascerebbe credere che a questa opinione pubblica, la quale trovasi ancora sotto l'impressione del grave scacco inflitto alla Russia due anni fa dalla diplomazia austriaca, ogni riavvicinamento politico colla vicina Monarchia riuscirebbe oltre ogni modo assai sgradito, tanto da non consigliare a nessun ministro di fame la prova. Ma sappiamo per esperienza quanto in fatto di politica estera sia varia e mutabile questa opinione pubblica, la quale ora va pazza per l'Inghilterra che ancora 5 anni fa aborriva, ed a cui è in parte debitrice della più profonda umiliazione nazionale, che dopo l'invasione tartara registri la sua storia, voglio parlare della guerra col Giappone.

E se forse la diplomazia russa, mal si adatterà a fare in essa i primi passi, chi può dire fino a qual punto si dimostrerebbe inaccessibile alle lusinghe ed insistenze che le giungessero da Vienna e da Berlino per allettarla ad un più intimo riaccostamento politico? Non è da dimenticarsi che la Russia trovasi presentemente sotto il grave incubo di una combinata azione austro-germanica lavorante a suo danno e per un paese le cui2 condizioni interne assegnano per lunghi anni ancora ad una politica di pace, deve essere un grande sollievo il liberarsi da quella spada di Damocle che teme gli penda sul capo.

502 l Cfr. n. 454.

503

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL CAPO DI GABINETTO DEGLI ESTERI, FASCIOTTI

L. Il Cairo, 10 ottobre 1910.

Ella mi richiese di riferire, appena tornato in residenza, circa l 'ultima questione sorta relativamente ai senussi, col Mohammed Alì e l'ingegner Parvis.

I rapporti di Borghese 12 e 20 settembrel provano una volta di più la poca serietà di quei personaggi.

Ho chiesto al cavalier Crolla -di cui è nota la grande esperienza delle cose e degli uomini di questi paesi -quale peso sia da dare alla affermazione di Mohammed Alì sul significato del voi e del tu usato nella lettera del senussita. Crolla è d'avviso che sia una semplice conseguenza dello stile sgrammaticato dello scrivente, vi sono espressioni col voi che per chiaro senso nulla hanno che fare col Governo italiano; inoltre in una medesima frase si rincontra spesso l'uso e del voi e del tu. Esclusa pertanto la interpretazione artificiosa di quei pronomi, risulta che la lettera di Mohammed Abed (fratello del Gran Senussi) non contiene il benché minimo ringraziamento all'indirizzo del Governo italiano per l'invio dei noti doni.

Il cavalier Crolla ha inoltre osservato che tutti i doni pagati dal R. Governo furono inviati al suddetto fratello del Gran Senussi, e nessuno al Gran Senussi medesimo. E, come è noto, fra i due fratelli non pare corra completo accordo.

Circa la missione da inviare a Kufra, secondo propongono Parvis e Mohammed Alì, è da ricordare la risposta assolutamente negativa del Senussi dell'anno 1908 ad analoga proposta di Mohammed Alì di inviargli un medico italiano. Ed ora, ad esplicita domanda fattagli da Borghese, Mohammed Alì convenne non essere in grado di garantire che la proposta missione possa giungere al suo destino.

Riguardo le minacce di vendetta dei senussi qualora non si mandino le armi richieste, esse non risultano da alcun documento serio, e tale non è certo la lettera in gergo cifrato, di cui parlò Mohammed Alì e che nessuno ha potuto leggere. Il pretesto dello smarrimento dei documenti non è serio, ma se quello smarrimento fosse realmente avvenuto, sarebbe assai da deplorare per la compromissione che potrebbe derivarne, data la qualità del Mohammed Alì di nostro dragomanno onorario. Del resto Mohammed Alì si fece già altre volte eco di consimili minacce, per non dire ricatti, ma il fatto delle relazioni seriamente annodate e proseguite a Bengazi sta a dimostrarne la vanità.

E appunto tenendo presente il lavoro che utilmente si va facendo a Bengazi per opera del r. console e del benemerito Banco di Roma, possiamo con sicurezza concludere che i tentativi e le agitazioni architettate in Cairo non solamente sono inutili, ma sono dannose al programma politico ed economico proseguito in Tripolitania, in quanto l'esperienza del passato prova a sufficienza la nessuna prudenza e la nessuna discrezione del Mohammed Alì.

Ora il Mohammed Alì, appoggiato dal Parvis, domanda al R. Governo il pagamento di 4784 franchi per altri doni destinati al Senussi, e pretende di essere stato autorizzato a questa spesa dal dottor Insabato, il quale gli avrebbe «promesso ed assicurato formalmente che sarebbe integralmente rimborsato dal Governo italiano» (lettera di Mohammed Alì 19 settembre annessa al rapporto di Borghese 20 settembre).

503 I R. riservato 1182/431 del 12 e R. riservato confidenziale 1220/444 del 20, non pubblicati.

Ma di fronte a questa allegazione del Mohammed Alì sta la lettera direttami dall'Insabato in data 21 marzo scorso, annessa al mio rapporto delli 6 aprile scorso n. 425/1632. Questa lettera di cui ho qui una copia di pugno dell'Insabato stesso, comincia così: «lo Mohammed Alì Elui Bey al quale, a proposito dei doni al Senussi, ho detto che io non volevo prendere nessuna iniziativa, mi ha risposto che qualunque sia la decisione del Governo, egli avrebbe ugualmente fatti detti doni a suo rischio e pericolo, poiché in questo momento i senussi ne avevano assoluta necessità».

Quantunque il Mohammed Alì cui questa lettera fu mostrata dal cavalier Crolla, tacciasse il dottor Insabato di mentitore, io invece propendo a credere che le cose stiano come appunto le espone il signor Insabato.

Da tutto quanto precede risulta ad evidenza il tenore della risposta che, a mio modo di vedere, dovrebbe farsi al Parvis e a Mohammed Alì, risposta che questi, come scrive l'incaricato d'affari, attendono dal R. Governo. Tuttavia mi vedo nella necessità di pregare, per di lei mezzo, S.E. il Marchese di San Giuliano di farmi pervenire questa risposta nella forma di un dispaccio ministeriale ostensibile ai detti Parvis e Mohammed Alì -ed ecco le ragioni della mia domanda. Anzitutto il Parvis va dicendo di trovarsi in corrispondenza col ministro degli esteri, ed è opportuno che risulti in modo manifesto a lui e a Mohammed Alì come la decisione del ministro sia a loro fatta conoscere pel tramite di questo ufficio. In secondo luogo Mohammed Alì afferma che io sia mosso da avversione personale contro di lui, mentre sta in fatto che unicamente per non dare appiglio a simile accusa, mi sono due volte opposto al licenziamento di lui voluto da S.E. Tittoni (dispaccio ...)3 e da S.E. di San Giuliano (Telegramma n. 881 del 14 aprile scorso )4 . Così stando le cose, Parvis e Mohammed Alì non si dichiareranno persuasi altrimenti che in seguito a visione del dispaccio del ministro.

Il dispaccio, a mio parere, dovrebbe rispondere anzitutto al quesito posto dal Parvis informandolo che il Governo non crede di accogliere la proposta dell'invio di una missione al Senussi col Mohammed Alì. Si potrebbe aggiungere, ringraziando il Parvis della sua premura, e in risposta alla sua domanda, che il R. Governo, per ragioni che a lui non possono comunicarsi, ma che egli deve credere giustificate, intende di porre un termine alla corrispondenza che, nei riguardi dell'Italia, fu annodata in Egitto con alcuni capi dell'Africa centrale. Quanto a Mohammed Alì si fa sapere che egli abbia a cessare assolutamente il lavorìo cui la sua qualità di dragomanno onorario della r. agenzia dà carattere speciale; se egli intende non ottemperare a questo ordine, lo dica francamente, e lo si metterà in libertà esonerandolo dalla carica di dragomanno. E quanto al pagamento richiesto, il Ministero, dopo i 3000 franchi dati a Mohammed Alì ed i 3900 dati per indennizzo al dottor Insabato nello scorso maggio, non intende sostenere altre

3 Il numero del dispaccio non è indicato nell'originale.

4 Cfr. n. 214.

spese, tanto più che risulta dalla lettera del dottor Insabato in data 21 marzo che Mohammed Alì acquistava i doni a suo rischio e pericolo.

La ringrazio, caro Fasciotti, per l'amichevole premura che ella mi ha sempre dimostrato in questa incresciosa questione che, non certo per colpa mia, mi produsse tante difficoltà e preoccupazioni. E pregandola di presentare i miei devoti e grati ossequi al marchese di San Giuliano, le stringo cordialmente la mano.

PS.: Le accludo un rapporto di qualche urgenza, relativo al viaggio del principe Fouad a Berlino di cui le parlai.

502 2 Il documento reca: «che, le sue».

503 2 Non rinvenuto.

504

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 2743. Roma, 11 ottobre 1910, ore 12.

Suoi telegrammi 3371 e 3382. Proporrei pubblicare unico comunicato per la questione incidenti di confine in genere, conglobandovi quello di Cima Dodici. Il detto comunicato concordato tra i due Governi dovrebbe essere concepito come segue: «Un amichevole e cordiale scambio di idee ha avuto luogo tra i Governi italiano ed austriaco sui recenti incidenti di frontiera. I due Governi alleati hanno dato ed ove occorra rinnoveranno alle rispettive autorità civili e militari le istruzioni necessarie perché tali incidenti vengano possibilmente evitati, e, quando sorgano siano risoluti con quello spirito di conciliazione che risponde ai rapporti di amicizia ed alleanza tra i due Paesi. Non è possibile, data la stagione avanzata, procedere ora alla fissazione dei punti di frontiera contestati, ma si concorderà intanto il programma dei lavori da eseguire nella prossima primavera. Sulla questione speciale di Cima Dodici è da notare che, giusta la delimitazione compiuta dalla commissione itala-austriaca del 1905, la località dove sorge la Croce e dove fu piantata da privati la bandiera italiana, travasi dal lato austriaco a quaranta metri dalla linea di frontiera tracciata da quella commissione. Ciò è stato in questi giorni nuovamente constatato dall'ingegnere del catasto signor Locatelli inviato sul posto appositamente dal Governo italiano. Il detto ingegnere ha accertato che quella linea di confine internazionale travasi tuttora scemata da frecce e croci tracciate con minio da quella commissione. Ciò non astante, se il Governo italiano potrà produrre documenti dai quali risulti che la Commissione del 1905 è ca

504 I T. 3471/33 7 del 9 ottobre, non pubblicato. 2 T. 3474/338 del 9 ottobre, non pubblicato.

duta in errore, il Governo austriaco li esaminerà insieme al Governo alleato col sentimento di imparziale giustizia che li anima entrambi». Prima di fare alcuna comunicazione ad Aehrenthal prego V.E. telegrafarmi il suo autorevole parere sui punti seguenti: l) Se le pare che sia da modificare la detta bozza di comunicato ed in quale modo. 2) Se le pare che sia preferibile parlarne ad Aehrenthal ora o dopo il suo discorso alle Delegazioni. Io personalmente inclinerei verso quest'ultima soluzione ma V.E. essendo sul luogo potrà meglio illuminarmi. Aggiungo poi per norma di V.E.:

l) Che, se Aehrenthal non accetta l'ultimo capoverso del comunicato, noi non possiamo consentire all'altra parte di esso concernente Cima Dodici perché l'effetto in Italia sarebbe gravissimo e scatenerebbe contro il R. Governo e contro l'Austria una vi va corrente contraria.

2) Che il Governo ha ordinato che le autorità civili e militari italiane si tengano di qua dalla linea tracciata dalla commissione del 1905 e limitino la loro sorveglianza in quel punto della frontiera ad impedire qualsiasi atto che venga da parte italiana senza opporsi alla eventuale dipanatura della Croce in nero da parte di funzionari austriaci. Tuttavia sarebbe desiderabile che quest'ultimi in via di fatto se ne astengano per ora e che ricevano istruzioni riservate in questo senso senza che per questo il Governo austriaco dichiari od ammetta sia pure implicitamente che considera la località come contestata3.

505

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI

L. 48. Roma, Il ottobre 1910.

Con lettera del 28 u.s.l ti riferivo alcune informazioni sullo sviluppo che si intende dare alla Orient Bank. Sono in grado ora di aggiungere confidenzialmente che il 30 del mese scorso in seguito ad insistenze personali e dirette del segretario di Stato per gli affari esteri ha avuto luogo in Berlino tra il signor von Gwinner, rappresentante della Deutsche Bank, ed il signor Eugenio Gutmann, capo e fondatore della Dresdner Bank, una conversazione destinata a dare un nuovo e più potente sviluppo all'attività del capitale tedesco nel vicino Oriente.

505 l L. 47, non pubblicata.

«Come tu ben sai fin adesso» ... (come nel rapporto Berlino, 30 settembre 191O, n. 1680171 02) sino «se fuori di Germania».

Il signor Gutmann, nel suo colloquio confidenziale col cavalier Orsini-Baroni, manifestava infine la soddisfazione sua e di questi circoli bancari che finalmente siasi trovato in Germania un uomo come il signor Kiderlen Waechter che con energia e personale iniziativa mostra di volere e di saper promuovere lo sviluppo dell'attività economica della Germania liberando l'azione del Governo da tutte le lentezze e le riflessioni burocratiche che finora avevano dominato nel palazzo della Wilhelmstrasse.

Queste ultime considerazioni mi muovono a ritornare sull'argomento che faceva oggetto della mia lettera del 28, convinto che il condurre a termine le pratiche iniziate col Banco di Roma per una sana e forte espansione economica in Oriente, sarà per te che hai l 'ingegno pari al grande amore, oggetto di lode e soddisfazione.

504 3 Cfr. n. 507.

506

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 634/188. Cettigne, 12 ottobre 1910 (per. il 18).

Non prima di ora, malgrado varie mie sollecitazioni, mi è stata data una risposta verbale alla richiesta che ho diretta, a suo tempo, a questo Governo, per essere messo in grado di fornire all'E.V. le notizie dimandate, col dispaccio del 29 giugno u.s. n. 97, Segretariato Generale 1.

I confini delle acque montenegrine nella rada di Antivari non furono ancora tracciati, né si fece mai studio alcuno per tracciarli, di modo che non si sa precisamente sin dove si estenda il mare territoriale austriaco, e dove cominci il montenegrino.

Il Governo montenegrino riconosce la importanza, la necessità e l 'urgenza di delimitare i rispettivi confini fra l'Austria ed il Montenegro nelle acque di Antivari, ma non ha, con suo grande rincrescimento, nessuna persona tecnica a sua disposizione, cui confidare un simile lavoro.

Il ministro degli affari esteri aggiunse, dopo avermi fatto la comunicazione di cui sopra, che sarebbe ben grato al Governo italiano se volesse dare incarico ad un funzionario dello Stato esperto di siffatte misurazioni e calcoli di recarsi ad Antivari ed eseguire il detto lavoro.

Gli risposi che avrei potuto fame cenno all'E.V. ma che, a mio modo personale di vedere, la cosa sarebbe assai difficile, a meno che non seguisse in virtù di un previo accordo tra i tre Governi montenegrino, austriaco ed italiano, accordo della cui opportunità doveva essere giudice V.E.

505 2 R. riservato personale 1680 bis/71 O (si pubblica soltanto il brano indicato nella lettera): <<Come è noto, fin adesso i due suddetti potenti istituti bancari andavano svolgendo la loro azione in quelle regioni non solo indipendentemente l'uno dall'altro, ma molto spesso in concorrenza. Nell'intento di porre fine a questo stato di cose che, pur presentando qualche facilità al barone Marschall nella sua opera svolta a promuovere l'impiego del capitale tedesco in molteplici affari in Turchia, riusciva in definitiva d'utilità a terzi e, in ogni modo, rendeva impossibile l'intervento della Germania nei grandi affari nella misura di quelli che si sono andati concludendo a Parigi, il signor von Gwinner e il signor E. Gutmann hanno combinato le linee principali di un <<accordo» al quale saranno invitati a prender parte la Discanto Gesellschaft (per le attinenze che essa ha coi capitalisti austriaci) c la Casa Bleichroder (interessata come è nella Regia dei Tabacchi). Fine di questo costituendo sindacato è di concorrere contro il capitale francese e inglese nella conclusione dei nuovi prestiti di Stato ai quali il Governo ottomano dovrà necessariamente continuare a ricorrere anche in seguito, sia per far fronte alle esigenze dell'amministrazione interna, sia per provvedere al compimento di quei lavori pubblici (ferrovie, strade, porti, ecc.) che sono una condizione sine qua non dello sviluppo materiale dell'Impero ottomano. E però divisamento dei due promotori di questo potentato che ciascun gruppo compartecipante rimanga libero non solo di sviluppare come meglio crede la propria separata cerchia di affari in Turchia, ma altresì di accettare partecipazione e imprestiti contratti dal Governo ottomano, anche se fuori di Germania».

506 l Non pubblicato ma cfr. n. 351.

507

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3543/343. Vienna, 13 ottobre 1910, ore 6,30 (per. ore 23,15).

Telegramma di V.E. n. 2743 1• Aehrenthal si è pronunziato nell'ultimo colloquio avuto meco in modo categorico circa questione Cima 12 per supporre che possa indursi accettare ultimo capoverso comunicato di cui V.E. intenderebbe proporgli. In questo comunicato, pur constatando che località ove sorge croce e fu piantata bandiera italiana si trova dal lato austriaco, si accenna ad una eventuale revisione operato commissione mista 1905 ed a riaprire quindi discussione sulla pertinenza quella località. Ma Aehrenthal ha dichiarato recisamente che questione era definitivamente risoluta per Governo Imperiale e Reale, che località Cima 12 non era affatto contestata, che faceva parte territorio austriaco e che ciò era stato riconosciuto dagli stessi delegati italiani, alla Commissione suddetta. Se Aehrenthal accettasse ultimo capoverso comunicato, dovrebbe sconfessare queste sue dichiarazioni. Di più, accettazione per parte di lui di quel capoverso avrebbe come probabile conseguenza di far supporre alla opinione pub

blica austriaca, nella quale secondo affermazione m1mstro imperiale e reale esisterebbe viva agitazione, essere questione tuttora pendente contrariamente a quanto qui si ritiene, ciò che potrebbe esporlo a vivaci attacchi ed all'accusa di non aver saputo tutelare diritti Monarchia. D'altra parte, non si deve dimenticare che questione non riguarda soltanto ministro affari esteri imperiale e reale, ma è di competenza del presidente del Consiglio, del ministro dell'interno austriaci e, specialmente, del ministro della guerra, imperiale e reale e che, se anche Aehrenthal, per mostrare suo buon volere, fosse disposto ad accogliere ultimo capoverso comunicato, egli non potrebbe farlo senza avere prima interpellato barone di Bienerth e generale de Schonaich i quali, a quanto si può prevedere, si dichiarerebbero in senso contrario. Converrebbe, quindi modificare ultimo capoverso in modo tale da corrispondere alle vedute del R. Governo ed essere accettabile da parte del Governo Imperiale e Reale. Ma non scorgo possibilità trovare formala simile se, nel pensiero del R. Governo, essa debba contenere l'idea di un eventuale e nuovo esame della questione. Tuttavia, siccome Aehrenthal mi ha affermato che, se il R. Governo riteneva che Cima 12 appartiene Italia spetta ad essa dame la prova, io potrei coglierne l'occasione propizia, ove l'E.V. lo credesse, per ricordargli ciò di mia iniziativa ed in via privata ed amichevole, dicendogli che a quanto mi risulta sarebbero stati rinvenuti da noi documenti tali da far constatare pertinenza della Cima 12 ali 'Italia ed avrei così agio scandagliare sue disposizioni per vedere se il Governo Imperiale e Reale sarebbe disposto ad esaminarli d'accordo col R. Governo con sentimenti imparziale giustizia. Infatti, Aehrenthal potrebbe rispondermi non essere, secondo il suo parere, possibile rivenire sopra decisione di una Commissione internazionale vagliata sopra documenti riconosciuti irrefutabili dai rispettivi delegati e sanzionata già da entrambi Governi, giacché, ove accettasse esaminare di nuovo questione, verrebbe a stabilire principio che si possa procedere revisione atti internazionali ratificati nella dovuta forma dai Governi contraenti. Ma, in ogni caso, siccome giustamente osserva V.E., io non potrei parlare Aehrenthal del comunicato o fare tentativo in questione che dopo suo discorso delegazioni che sarà del resto pronunziato da lui oggi. Aggiungo che è da aspettarsi che, se Aehrenthal fosse interpellato ora alle delegazioni circa questione Cima 12, egli non esiterebbe far conoscere da quale punto di vista essa è considerata dal Governo Imperiale e Reale. Quanto al desiderio espresso dalla E.V. ultimo periodo suo telegramma, prego telegrafarmi se debba parlarne ora subito Miiller, essendo Aehrenthal durante le delegazioni poco accessibile corpo diplomatico perché ritenuto giornalmente sedute quell'assemblea. Ignoro, però, se Governo austro-ungarico sia disposto, a cagione ragioni surriferite, sospendere istruzioni già impartite tanto più che qui si tiene a fare scomparire dalla croce colori italiani la dipintura dei quali è stata considerata quale atto di profanazione2.

507 l Cfr. n. 504.

507 2 Per la risposta cfr. n. 509.

508

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3532/345. Vienna, 13 ottobre 1910, ore 20,45 (per. ore 22,45).

Nella sua odierna esposizione delegazioni conte Aehrenthal, dopo aver parlato questione annessione Bosnia-Erzegovina e modo come venne risoluta, rileva che Austria-Ungheria regolate questioni pendenti con Turchia può accordarle suo appoggio amichevole con piena obbiettività ciò che è compreso Costantinopoli. Austria-Ungheria ha vivo interesse consolidamento Turchia e segue con sincera benevolenza sforzi nuovo regime. Circa questione Creta Austria-Ungheria si è ritirata dall'isola con riserva che nessun mutamento sua posizione diritto possa avvenire senza approvazione di lei. Pur mantenendo tale riserva Austria-Ungheria è disposta accettare qualsiasi soluzione provvisoria o definitiva che mantenga sovranità Turchia. Nel far conoscere che Monarchia intrattiene buone relazioni con tutte Potenze dichiara che recenti eventi hanno dimostrato che sue alleanze hanno un reale valore.

Rileva avere recenti incontri con cancelliere Impero e VE. fatto constatare nuovamente perfetta concordanza reciproche vedute. Mantenimento queste alleanze costituisce base solida politica Austria-Ungheria. Triplice Alleanza non si appunta contro alcuno ed osserva che giudica aggruppamento altre Potenze colta stessa obiettività che desidera sia usata verso Triplice. Politica Austria-Ungheria segue scopi eguali, sia nei rapporti tra Grandi Potenze, come nello svolgimento cose vicino Oriente, e mira mantenimento pace ed equilibrio. Parla quindi trattati commerciali coi vari Stati balcanici c negoziati commerciali colla Turchia. Dopo aver salutato con simpatia erezione Montenegro a Regno conclude dicendo che Austria-Ungheria potrà mantenere sua potente situazione all'estero se conterà sopra un esercito ed una flotta pronta combattere che solo assicurano successo.

509

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 2783. Roma, 14 ottobre 1910, ore 13, 45.

Rispondo al suo telegramma n. 3431. Ultimo capoverso mia bozza di comunicato corrisponde appunto alla frase di Aehrenthal da VE. citata, cioè che se R. Governo ritiene Cima Dodici appartenere Italia spetta ad essa dame la prova. Senza ultimo capoverso da me proposto è impossibile concordare alcun comunicato circa Cima Do

dici. Non ho ancora i documenti che le autorità locali hanno promesso di mandare e che non furono conosciuti ed esaminati dalla Commissione del 1905. Ignoro perciò se essi siano tali da dimostrare che quella Commissione cadde in errore di fatto. Se non saranno concludenti opinione pubblica italiana dovrà acquietarsi ma il rifiuto anticipato dell'Austria di esaminarli produrrebbe effetti politici gravissimi e non sarebbe giustificato perché commissione 1905 aveva mandato non già di fissare un nuovo confine ma di accertare e segnare sul luogo il confine risultante dai documenti preesistenti e perciò se, per mancanza di qualche documento, lo segnò erroneamente, non si può rifiutare un riesame. Intanto ordini categorici sono stati dati ai nostri militari e doganieri di non varcare in alcun caso la linea di frontiera tracciata dalla commissione del 1905. Bisognerebbe, adunque, che, se Aehrenthal parla alle delegazioni della Cima Dodici, dica almeno quanto disse a V.E. cioè: «se R. Governo ritiene che Cima Dodici appartiene all'Italia spetta ad essa darne la prova». Se, nel frattempo, gli austriaci si astenessero dal dipingere la Croce in nero sarebbe meglio, ma la cosa è molto meno importante che la necessità assoluta di evitare in Italia la impressione che l'Austria rifiuti anticipatamente di esaminare i documenti che potremo produrre. Segue dispaccio.

509 l Cfr. n. 507.

510

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1402/162. Budapest, 14 ottobre 1910 (per. il 18).

Le trattative in corso fra il Governo austriaco e l'ungherese per la questione della Banca Comune, rappresentano per questa parte della Monarchia un interesse ben più diretto e tangibile che non le alte finalità di una politica estera di cui essa poco si preoccupa, poiché poco o niente sa di potervi influire; e il mondo politico magiaro che è attualmente interessato da negoziati fra il signor Lukacs e il signor Bilinsky, non ha accordato che un secondario interesse al discorso del trono per l'apertura delle delegazioni e all'esposizione del conte Aehrenthal.

La stampa ungherese non ha neppur rilevato il particolare accento di fiducia con cui il sovrano ha parlato con lo stesso calore e dell'alleanza colla Germania e di quella coll'Italia; solo qualche giornale ha osservato, compiacendosene, che se a quest'ultima Sua Maestà aveva accennato con sì piena sicurezza, se ne poteva dedurre che del suo rinnovamento doveasi ormai aver acquistato la certezza.

Anche della relazione del conte Aehrenthal magri e incolori sono stati i commenti. Neppure ho visto rilevata l'eccezionale intonazione filo-turca di tanta parte del discorso, mentre pur vuolsi che una politica che dia alla Monarchia la parte di «brillante secondo» della Porta abbia a riescire particolarmente gradita al di qua della Leita.

Gli organi dell'opposizione si son limitati a rimproverare il ministro di essere troppo succinto nelle sue spiegazioni circa l 'azione della diplomazia austro-ungarica e di essersi invece indebitamente diffuso a trattare dei rapporti commerciali cogli Stati balcanici, rapporti che, secondo essi, sono di competenza dei rispettivi ministri del commercio dei due Stati della Monarchia e non già del ministro comune degli affari esteri. Nello stesso ordine di idee, vari delegati ungheresi si sono dilungati a criticare alcune formule usate dal ministro, sostenendo che era incostituzionale e inesatto di parlare, siccome egli ha fatto, di un «Gabinetto di Vienna» e di una «Donau Monarchia».

Si comprende che tali questioni di forma assumano una particolare importanza in un Paese che si trova nella delicata situazione giuridica dell'Ungheria. Si comprende anche più che di tali critiche e malumori non si rilevi neppure l'eco a Vienna, ove il presidente della delegazione ungherese rivolgendo avant'ieri la parola al sovrano a nome della delegazione stessa e dell'Ungheria, assicurava Sua Maestà che «durante la recente crisi, nel momento del pericolo, la devozione al trono e alla patria fu sì grande che tutti i fedeli sudditi suoi non si sentiron dominati che dalla volontà di sottostare a qualunque sacrificio pur di assicurare la vittoria al prode esercito della Monarchia».

511

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3569/433. Therapia, 15 ottobre 1910. ore 16 (per. ore 16,15 ).

Il Tanin rimpiange dimissioni Gabinetto Dragoumis, di cui riconosce condotta corretta in momenti critici e dichiara che presuppone desiderio Turchia vivere in buoni termini con la Grecia. Costituzione Gabinetto Venizelos condurrebbe a rottura rapporti diplomatici e peggio. Siccome costituzione Gabinetto ellenico costituisce salvezza di politica interna e Potenze e Turchia stessa hanno riconosciuto in Venizelos la qualità di ellenico e Venizelos ha dato in Creta prova di moderazione e spirito di conciliazione, si suppone che, nel caso specifico, il Tanin non rappresenta le idee del Comitato, né del Governo.

512

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2122/928. Vienna. 15 ottobre 1910 (per. il 21).

Ho l'onore di informare l'E.Y. che la commissione della delegazione austriaca, incaricata dell'esame del bilancio del Ministero degli affari esteri, tenne ieri la sua prima seduta, discutendo le dichiarazioni fatte dal conte di Aehrenthal.

Alla seduta stessa assistevano i tre ministri comuni, il presidente del Consiglio austriaco ed il comandante della Marina, ammiraglio Montecuccoli.

Prese per primo la parola il relatore del bilancio suddetto, marchese di Bacquehem, il quale esaminò il contegno delle varie Potenze di fronte all'annessione, quale risulta dal libro rosso testè pubblicato, compiacendosi della soluzione che ebbe la crisi dell'annessione della Bosnia-Erzegovina. Accennò poscia all'azione svolta in quest'ultimo tempo dal ministro imperiale e reale degli affari esteri per sviluppare le relazioni commerciali dell'Austria-Ungheria con gli altri Stati e, dopo aver brevemente passato in rassegna il bilancio presentato, ne raccomandò l'approvazione integrale per parte della commissione.

Prese quindi la parola il delegato czeco, dottor Kramarz che pronunciò una lunga filippica contro la politica del conte d'Aehrenthal. Egli rinfacciò al ministro imperiale e reale di aver dovuto rinunciare al Sangiaccato, sborsando per di più cinquanta milioni di corone alla Turchia; di aver dato occasione al boicottaggio contro le merci austro-ungariche nell'Impero ottomano; di aver gravato le finanze austriache ed ungheresi per più di trecento milioni di corone, per spese militari; di aver costretta la Serbia ad emanciparsi completamente dalla Monarchia; di aver fatto dell'Austria-Ungheria una Potenza alla dipendenza della Germania di cui dovrà dividere gli eventuali pericoli causatile dalla sua politica mondiale, e ciò è una cosa mostruosa tenuto conto della maggioranza slava delle popolazioni della Monarchia.

L'oratore aggiunse che una conferenza avrebbe sortito gli stessi risultati con minor dispendio materiale e morale. Il motivo di convocarla sarebbe stato offerto dagli avvenimenti interni turchi e dalla proclamazione dell'indipendenza bulgara e l'Austria-Ungheria non avrebbe dovuto temere di sedere davanti ad essa come un 'accusata, giacché se non avesse commesso spontaneamente lo strappo del Trattato di Berlino, avrebbe certamente ottenuta la facoltà di annettere la BosniaErzegovina così dalle proprie alleate, come dalla Russia che vi era già impegnata, dalla Francia che non vi fu mai ostile ed anche dall'Inghilterra che non avrebbe avuto le ragioni di rancore che la mossero a creare delle difficoltà alla Monarchia. La Russia avrebbe al più potuto tutelare alla conferenza gli interessi economici dei popoli slavi dei Balcani, ciò che non avrebbe costituito un danno per l'Austria-Ungheria, la quale poteva concedere alla Serbia, come compenso, la tariffa minima per le proprie esportazioni sopra le ferrovie bosniache ed un porto franco a Spalato o altrove fornendole così, senza concessioni territoriali, uno sbocco sul mare. Quanto al Montenegro esso non avrebbe ottenuto da una conferenza se non quell'abolizione dell'articolo 29 del Trattato di Berlino che ebbe anche senza di essa. Ma viceversa la Turchia avrebbe potuto dalla conferenza essere indennizzata con la semplice retrocessione del Sangiaccato, senza alcun altro pagamento di denaro.

Il dottor Kramarz continuò il suo discorso dicendo di ignorare che cosa sia stato convenuto a Buchlau fra il signor Izwolsky ed il conte d'Aehrenthal, e quali avvenimenti abbiano mossa la Russia ad essere così ostile verso l'Austria-Ungheria. Soggiunse peraltro di vedere nella nuova direttiva politica, sorta da tutto ciò, un pericolo per gli slavi della Monarchia, i quali desiderano conservare i migliori rapporti coi loro fratelli slavi del nord e del sud-ovest, contribuendo al successo del neo-slavismo, che non ha scopi politici, ma puramente ideali e di cultura. Gli slavi austriaci si dimostrarono buoni patrioti insorgendo nelle ultime delegazioni contro i serbi; ma essi desiderano ardentemente un accordo fra la Monarchia e la Russia, giacché in ciò vedono il miglior antidoto contro l'alleanza austro-ungarica germanica. Grazie alla politica del conte d'Aehrenthal l'Austria-Ungheria è invece incatenata alla Germania ed ha perso la propria libertà d'azione, e ciò contrariamente al volere del sessanta per cento della sua popolazione che è salvo e che vuoi fare una politica nazionale ma non «montare la guardia al Reno». Gli slavi vogliono che anche nella politica estera si tenga conto delle loro aspirazioni; essi non intendono perciò affatto inneggiare alla fedeltà del nibelungo di cui recentemente parlò l'imperatore di Germania a Vienna, soprattutto perché questa fedeltà, che non costò molto alla Germania, le servì a farla uscire come la vera trionfatrice della crisi del!' annessione.

Contro il delegato czeco cominciò quindi a polemizzare il delegato tedesco, dottor Baemreither, il quale osservò come uno strappo ad un tratto fosse già stato fatto nel 1871 dalla Russia medesima, allorché soppresse la clausola del Trattato di Parigi del '56 che le chiudeva i Dardanelli. Quanto alla convenienza della conferenza, l'oratore ricordò che l'Austria non poteva dimenticare che al Congresso di Parigi, per opera del conte di Cavour, le fu dato il primo colpo che condusse poi alla perdita delle sue province italiane. Senza conferenza, sebbene con sacrifici relativamente piccoli, si poté invece egualmente raggiungere l'intento di annettersi le due province occupate. Dalla sua preparazione militare e dalla prova della solidità dell'alleanza colla Germania, la Monarchia trasse ragione di sincero compiacimento. Il passo più saliente del discorso di Sua Maestà consiste nell'accenno all'alleanza intima con la Germania e coll'Italia, che fu salutato con viva soddisfazione da tutti gli amici della pace. È una gradita constatazione quella dei nostri buoni rapporti coll'Italia e giova sperare che con quella buona volontà da entrambe le parti si riescano a dirimere anche in avvenire tutti gli incidenti che sorgessero. Si parla da qualche tempo di una certa intesa fra l'AustriaUngheria, la Germania e la Turchia, che avrebbe indubitatamente un immenso valore militare e contribuirebbe moltissimo al mantenimento della pace. Il delegato tedesco continuò dicendo di ignorare che vi sia di vero in tal voce; ad ogni modo in una tale intesa vi sarebbe uno dei tre fattori, la Turchia, che sembrerebbe essere più vicino alla Francia ed all'Inghilterra che all'Austria-Ungheria, giacché il mare anziché separare avvicina le Nazioni e giacché finanziariamente l'Impero ottomano dipende pur sempre dalle due Nazioni dell'Europa occidentale.

Circa la diminuita importanza dei rapporti commerciali della Monarchia colla Serbia, osserva che questi andarono scemando dal 1884, da quando cioè altre Potenze cercarono accaparrarsi i mercati del piccolo Regno. Nel 1906 il commercio austro-ungarico vi fu soppiantato da quello germanico. Tuttavia, con una saggia politica commerciale, si potranno ancora migliorare gli scambi colla Serbia. Ugual cosa può dirsi nei riguardi delle altre Potenze balcaniche. Non si devono affatto. disprezzare gli elementi slavi della Monarchia; si deve anzi tener presente che l'Austria-Ungheria comprende da sola il maggior numero di serbi, tre milioni e mezzo, contro due milioni e mezzo che soltanto popolano il Regno di Serbia. Cosicché la politica austro-ungarica non deve mettersi in aperto conflitto con gli ideali nazionali degli Stati balcanici. È imminente il consolidamento degli Stati balcanici ed è compito della Monarchia di contribuire ad esso. Cessino adunque i sistemi di vietare le manifestazioni spirituali tra gli slavi meridionali e cessino le meschine persecuzioni poliziesche! L'oratore conchiuse raccomandando al ministro la massima cura degli interessi materiali e morali della Monarchia nei Balcani.

Parlò per quarto il barone di Schwegel, un antico diplomatico, che fece conoscere di aderire pienamente alla politica estera seguita dal conte d' Aehrenthal, che preservò l 'Europa dalla guerra.

Osservò egli pure che l'Austria-Ungheria, specialmente per un riguardo agli slavi meridionali che ne fanno parte, deve porre ogni cura per intrattenere i migliori rapporti politici e commerciali con gli Stati balcanici.

Per ultimo parlò il delegato tedesco dottor Renner, che, trattando delle lotte interne della Bosnia-Erzegovina, lamentò che anziché preparare durante il trentennio dell'occupazione queste province all'annessione con una politica di saggia amministrazione e di pacificazione, il Governo austro-ungarico vi abbia lasciati insoluti i problemi più gravi, cosicché ancora ora le maggiori difficoltà provengono dalle agitazioni dei kmeti (contadini) contro gli aga ed i begs (proprietari musulmani).

La seduta venne quindi rinviata a domani.

513

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 137. Mogadiscio, 15 ottobre 1910 (per. il 4 novembre).

Mi onoro rimettere alla E.V. copia della lettera da me diretta al commendatar Corsi, in seguito al rapporto che quel r. console generale ha indirizzato all'E.V. in data 26 settembre n. 731 1•

ALLEGATO

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL CONSOLE GENERALE A ZANZIBAR, CORSI

Mogadiscio, 15 ottobre 191 O.

Ho ricevuto copia del rapporto della S.V. diretto a S.E. il Ministro e dell'accurato e pregevole promemoria sulla situazione politica di Zanzibar, e le comunico il rapporto da me diretto a S.E. il ministro sui lavori della Commissione del Giuba.

Da questo rapporto e dal telegramma n. 132, la S.V. vedrà che per la questione della foce si presenta appunto uno dei casi previsti dal dispaccio ministeriale n. 19 del 14 giugno2 e non mi dilungo ora sull'argomento, aspettando le informazioni che la S.V. sarà per fornirmi dopo la sua gita a Nairobi.

Mi fermerò, invece, sopra un punto del suo rapporto sopra citato a S.E. il Ministro, nel quale, comunicando le varie contingenze che si potrebbero presentare per compensi da ottenere dali 'Inghilterra, ella tratta la questione di una polizia di confine sulla destra del Giuba e dice: «Sempre nel criterio, specialmente indicato con gli inglesi, di ottenere risultati concreti e precisi, mi permetto esprimere l'avviso che tale punto non dovrebbe, propriamente, formare oggetto di trattative di compensi. Poiché, per ovvie ragioni di carattere morale, non potendo gli inglesi obbligarsi a mantenere una determinata forza, da noi giudicata sufficiente, per la polizia del confine, qualunque impegno di tal genere assumerebbe un carattere troppo elastico e indeterminato perché potesse all'occasione attenersene pacificamente l'adempimento. Del resto in materia di polizia il miglior sistema è sempre quello di effettuarla per proprio conto e con proprii mezzi. Poiché peraltro ciò costituirebbe un maggior onere per noi, potremmo indennizzarcene ottenendo altri equivalenti compensi dall'Inghilterra in luogo di quello».

Ora se convengo con la S.V. che quei compensi non sono di carattere contrattuale e che non si possa mettere in articoli l'obbligo di mantenere una determinata forza nei presidii d eli 'alto Giuba -non meno per questo, concedendo il nostro appoggio in determinate questioni che interessino l'Inghilterra nel Sultanato di Zanzibar o soltanto prendendo da parte nostra una determinata attitudine, si può ottenere che l'Inghilterra s'induca ad un'azione comune con noi, e con mezzi adeguati, per la pacificazione del territorio di Bardera e Lugh. In massima, noi siamo del resto d'accordo, sir P.C. Girouard ed io, di voler promuovere a suo tempo un'azione in tale territorio, ma il governatore della B.E.A. mi scrive che nel prossimo futuro, e più specialmente quest'anno, egli non è in grado di eseguire operazioni decisive in quella regione.

Ora nel trattare le varie questioni, ella può insistere sulla necessità che dagli inglesi, fortificando ed accrescendo i presidi dell'alto Giuba o con quei mezzi che si potrebbero concordare, si operi in modo che le tribù soggette all'l nghilterra siano tenute a dovere, sconfinando, non facciano incursioni sul territorio nostro.

La S.V. dice che il miglior sistema di polizia è di farsela da sé, ma non saprei con quali facoltà questo Governo potrebbe farla in territorio estero, e tanto che le tribù dei merehan ed altre si manterranno nello stato d'indipendente anarchia nel quale si trovano, a meno di andarli a rincorrere sull'altra riva, esse, sicure di non essere inseguite, sconfineranno e razzieranno a loro beneplacito3.

Un'azione concorde sulle due rive solo può fare cessare tale stato di cose, ed essa non si può esercitare, se dall'Inghilterra non si hanno, come abbiamo noi, presidi sufficienti per numero e quantità di armati, sul Giuba.

Da ultimo, non sono perfettamente del suo parere che si possa giungere ad ottenere, sia pure per via di compensi, una «limitazione dell'invadente espansione inglese a nostro danno, specie verso i borana».

Nella lotta degli interessi e della concorrenza, credo che l'unico partito al quale ci si possa appigliare sia quello di creare attività contro attività, propaganda contro propaganda, agevolando le libere iniziative e sorreggendole con quelle opere di Stato, che sono i naturali veicoli del commercio.

513 l Cfr. n. 482.

513 2 Cfr. n. 327 nota l. 3 Annotazione a margine: «impedire che facciano ma per ciò fare bisogna occupare il territorio».

514

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. RISERVATO 2807. Roma, 16 ottobre 1910, ore 13,40.

Malgrado miei sforzi per tenere la cosa segreta, comincia a conoscersi da varie parti la sistematica ostilità della Turchia ad ogni nostra iniziativa economica e specialmente a quelle del Banco di Roma in Tripolitania. Son riuscito oggi con molta fatica ad evitare la pubblicazione di un articolo in un grande giornale, e la presentazione di un'interpellanza alla Camera; non son sicuro di riuscire ad evitare altre interpellanze ed altri articoli, di cui è facile prevedere l'effetto nel Paese e nel Parlamento. Lascio giudice V.E. dell'opportunità o meno che ella ne parli confidenzialmente al gran vizir ed al ministro degli affari esteri. Rifaat Pascià è mio amico personale, e perciò forse potrà gradire tale confidenza come una prova di più del mio desiderio di cordiali rapporti colla Turchia, se questa non ce li rende impossibili.

515

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 332911065. Therapia, 16 ottobre 1910 (per. il 25).

L'ambasciatore di Russia, tornato, ieri l'altro, da un congedo di due mesi, è venuto oggi a vedermi. Riassumo la nostra conversazione.

Il signor Tcharykoff ha, anzitutto, parlato delle buone condizioni economiche nelle quali si trova il suo Paese. Ottimi raccolti, nuove linee ferroviarie hanno dato una eccedenza di entrate che non sarebbesi potuto prevedere.

Gli accordi con l'Inghilterra, da un lato, col Giappone dall'altro, assicurano la pace. Il signor lzwolsky, di cui sono il capolavoro, e che inoltre ha riorganizzato da capo a fondo l'amministrazione degli affari esteri, ha ben meritato il relativo riposo che gli si concede con l'ambasciata di Parigi, ove si recherà fra un mese. Egli è sofferente di cuore e non avrebbe potuto continuare il lavoro opprimente a cui si era assoggettato. Il nuovo ministro degli affari esteri, signor Sazonoff, che è più giovane, può sobbarcarvisi più agevolmente. Questi, poi, continuerà l'opera del signor Izwolsky, mentre è in perfetti rapporti col presidente del Consiglio e ministro dell'interno, signor Stolypin. La nomina di questo a cancelliere è poco probabile, perché non sarebbe nelle tradizioni, di cui Sua Maestà l'Imperatore è rispettoso. Non si diventa, di regola, cancelliere, se non si è ministro degli affari esteri o se non lo si è stato. La Russia, mercé la pace, al cui mantenimento lo czar e gli uomini dirigenti russi annettono tanto pregio, è in pieno sviluppo. Un indice lo si ha dai fondi pubblici, che in dieci anni sono notevolmente saliti, mentre i fondi giapponesi sono rimasti stazionari.

Dell'Italia, per cui è passato, tornando dalla Svizzera per imbarcarsi a Genova, il signor Tcharykoff ha ammirato il crescente progresso. Il convegno di Torino l ed il ricevimento di Ra~conigi gli hanno lasciato l 'impressione di qualche fraicheur, dovuta forse al carattere del conte, e fra poco forse principe, d' Aehrenthal. Nel discorso del ministro della Monarchia alle delegazioni lo colpiscono le parole «la mia politica» e la formala nuova «dal Baltico al Bosforo». Non crede che questa sia per piacere ai turchi. La formala stessa separerebbe poi due parti dell'Europa che non desiderano tale separazione.

In Grecia, dove si è fermato qualche poco, il signor Tcharykoff ha notato una détente. Non vi è per l'annessione di Creta alcun entusiasmo. l politicanti, anzi, la temerebbero: invece di un Venizelos, essa ne darebbe loro dieci. E sono già troppi a contendersi l 'agognato potere. Quanto a Venizelos, egli intendeva riservarsi, e sarebbe stato un bene che vi riuscisse. [ suoi amici lo distolgono dall'accettare, ora, il potere. I suoi nemici lo vorrebbero, invece, al più presto presidente del Consiglio, per più presto distruggerlo o diminuirlo. Il suo rassomiglierebbe al gran Ministero di Gambetta, sommerso in meno di due mesi. E sarebbe peccato, perché Venizelos è un valore e potrebbe essere una forza, operante nel senso che desiderano le Potenze protettrici.

Per ciò che concerne la Turchia, il signor Tcharykoff non crede che essa entri nella Triplice Alleanza, ave sarebbe d'impiccio, né che abbia una convenzione militare con la Rumania, che è superflua. Circa le condizioni interne dell'Impero, questo ambasciatore di Russia mostra l'ottimismo, che è il fondo del suo carattere. Non disconosce che vi siena, negli uomini del Gabinetto, degli umori cozzanti, ma non vede motivi sufficienti di crisi. Ritiene che, nonostante la deplorevole campagna dei giornali giovani turchi contro la Francia, l 'imprestito si farà. La Turchia ha bisogno, anzitutto, di danaro; per vivere, dapprima; poi, per sviluppare le proprie risorse. E non vi è Potenza che possa fornirgliene all'infuori della Francia. Passando dai Dardanelli, ha saputo che i funzionari civili erano integralmente pagati, ma che i militari avevano ricevuto, da ultimo, mezza paga soltanto. Ritiene ciò sintomatico. L'esercito va pagato: l'imprestito, ripeto, si farà.

516

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2147/937. Vienna, 16 ottobre 1910 (per. il 22).

Faccio seguito al mio rapporto di ieri numero 2122/9281. La commissione per gli affari esteri della delegazione austriaca continuò ieri i suoi lavori.

516 l Cfr. n. 512.

Parlò per primo il delegato tedesco Axmann, il quale riconobbe che il conte d'Aehrenthal ebbe il merito, dopo di aver fatto uno strappo al Trattato di Berlino coll'annessione della Bosnia-Erzegovina, di prendere sopra di sé, di fronte alle Potenze estere, l 'intera responsabilità del «fatto compiuto». Al conte d'Aehrenthal arrise la vittoria nei negoziati diplomatici e di ciò deve la monarchia essergli grata.

Il delegato dottor Ploy, slavo meridionale, non ammise invece che l'annessione sia stata uno strappo al Trattato di Berlino. Egli disse che dopo trent'anni di amministrazione delle due provincie occupate, la Monarchia aveva acquistato il diritto di incorporarsi quelle regioni e che l'esplicazione di un tal diritto era soprattutto desiderata dagli slavi del sud, i quali dall'annessione all'Austria-Ungheria di molti loro connazionali slavi, possono e devono sperare una miglior sorte per l'avvenire. L'oratore passò quindi a parlare dei rapporti fra l'AustriaUngheria e la Russia, esprimendo il voto che queste due Potenze negli eventuali futuri avvenimenti nei Balcani procedano d'accordo e non facciano il giuoco delle altre Potenze che hanno interesse a seminar zizzania fra di loro.

Come slavo meridionale, lamentò poi che la Russia non dimostri sufficiente fiducia nella politica pacifica della Austria-Ungheria nei Balcani. Questi sospetti russi sono il principale motivo della alleanza sempre più stretta esistente fra la Monarchia e la Germania; essi sono anche la ragione per la quale gli slavi, e soprattutto quelli meridionali, non possono far valere maggiormente nella Monarchia le loro opinioni, siccome sarebbe equo avvenisse, dato il continuo loro progresso in tutti i campi di attività. Da questo punto di vista la politica russa non è slavofila, giacché essa è cagione del mantenimento dell'influenza germanica e magiara nella politica interna ed estera della Monarchia.

In seguito all'avvenuta annessione, il centro delle questioni slave meridionali si è spostato da Belgrado a Zagabria. L'Austria-Ungheria potrebbe contare sulla simpatia dei popoli balcanici o ve avesse a cessare l'attuale sistema dualistico la cui politica consiste nell'opprimere le varie nazionalità. Il trialismo può essere la soluzione di questo problema, ed esso porterebbe presto o tardi ali'annessione della Serbia alla Monarchia. L'oratore si esprime poscia in senso ostile al neoslavismo, che, facendo propaganda in favore della cultura slava, crea intanto nuovi sospetti contro gli slavi, impedendo che essi assurgano al posto che loro spetta nella politica austro-ungarica.

L'oratore conclude che una dichiarazione di voto in favore del bilancio degli affari esteri, giacché ritiene che la politica del conte di Aehrenthal sia diretta al mantenimento della pace, dell'equilibrio europeo, ed a rendere migliori le relazioni colla Russia.

Prese quindi la parola il conte d'Aehrenthal il quale, pur riconoscendo il pieno diritto dei delegati di esercitare la critica sull'azione del Governo Imperiale e Reale, lamentò che si siano ancora fatte sentire delle voci secondo le quali l'annessione della Bosnia-Erzegovina dovrebbe considerarsi tuttora come uno strappo al Trattato di Berlino. Una simile interpretazione è errata, siccome venne provato dall'esame della questione da un punto di vista prettamente giuridico.

Il compimento dell'annessione presentò non piccole difficoltà alle quali seppe ovviare il patriottismo delle popolazioni e la preparazione dell'esercito. Il metodo prescelto fu oggetto di aspre critiche per parte di alcuni delegati; tuttavia il conte d'Aehrenthal dichiarò che egli aveva diligentemente e lungamente pensato alla via da scegliere e credette che la sola buona fosse quella da lui intrapresa. La scelta dei metodi deve essere lasciata al ministro responsabile; l'essenziale consiste che si raggiunga lo scopo prefisso. Egli soggiunse che se, del resto, dovesse ricominciare sceglierebbe lo stesso metodo di or sono due anni.

Venne quindi a rispondere, punto per punto, alle critiche mossegli dal delegato Kramarz. Circa la convocazione della conferenza, dichiarò essere sempre difficil cosa mettersi d'accordo sopra gli scopi di un congresso internazionale. D'altra parte se nell'ottobre del 1908 si fosse pensato a convocare una conferenza, si sarebbe perso un tempo prezioso, mentre gli avvenimenti precipitavano e richiedevano un'azione immediata. Quanto alla convocazione di una conferenza ad annessione compiuta, egli dichiarò nel 1908 alle delegazioni che non aveva nulla da opporre ad un eventuale simile progetto. Dovette però far dipendere tale adesione da certe premesse, atte a salvaguardare la dignità ed il prestigio della monarchia. Tosto che s'accorse che anche l'accettazione di tali condizioni suscitava difficoltà, preferì scegliere la via più semplice di ottenere il riconoscimento, per parte delle Potenze, del nuovo stato di cose, mediante uno scambio di note diplomatiche.

La seconda critica mossa al conte d'Aehrenthal dal dottor Kramarz si riferiva alle ingenti spese dell'annessione. Il ministro imperiale e reale riconobbe per primo che tali spese furono molto elevate; ma dichiarò che, allorché, durante la discussione del bilancio militare, si vedrà come fu speso il denaro pubblico, apparirà chiaramente che una parte delle spese stesse non fu occasionata unicamente dall'annessione, ma anche dal bisogno di dotare l'esercito di molto materiale di cui aveva bisogno. Ora, l'annessione ed il pericolo di complicazioni che essa trasse seco furono l'incentivo a far tali spese in una sola volta, mentre, in tempi ordinarii esse sarebbero state ripartite in vari bilanci. Non si devono peraltro deplorare queste spese ingenti giacché esse oltre ali' aver aumentato la potenzialità dell'esercito, contribuirono al mantenimento della pace.

Circa l'isolamento in cui l'Austria-Ungheria sarebbe venuta a trovarsi in seguito all'annessione, il ministro imperiale e reale accennò dapprima all'alleanza colla Germania che non mai apparve più salda che durante e dopo quell'avvenimento. I fondatori dell'alleanza stessa si resero esatto conto dei bisogni dei due Stati nel conchiudere un patto che corrisponde intieramente all'interesse dei due Paesi e della pace europea.

Il conte d'Aehrenthal venne poscia a parlare dei rapporti con l'Italia, esprimendosi testualmente così: «<n relazione all'affermazione che il compimento dell'annessione abbia avuto come conseguenza d'isolare la Monarchia, mi appello alla nostra alleanza coll'Italia. Posso dichiarare con soddisfazione che queste relazioni si sono esplicate in modo cordiale e fiducioso. Una nuova constatazione di ciò fu l'accoglienza del marchese di San Giuliano ad Ischl e l'accoglienza cordiale fattami recentemente a Racconigi. I colloquii di Salisburgo2, continuati a Torino3, provano una volta di più che gli interessi dell'Austria-Ungheria e dell'Italia si trovano in piena concordanza, sia nelle questioni politiche europee che in quelle del vicino Oriente. Non vedo nessuna ragione di dubitare che questa amicizia rimanda tale anche per l'avvenire. Il mio onorevole collega marchese di San Giuliano condivide questa opinione; nello stesso modo noi ci siamo rapidamente intesi e colla massima soddisfazione circa le grandi linee della nostra politica. Cosicché adunque le cure dei ministri degli affari esteri dell'Austria-Ungheria e dell'Italia non si rivolgono alla grande politica per quanto concerne i loro reciproci rapporti. Queste cure sono piuttosto rivolte agli attriti nazionali, alle manifestazioni ed infine agli incidenti di frontiera ai quali l'onorevole Baernreither ha accennato giudicandoli, a mio parere, in modo giusto.

Malgrado la migliore volontà non possiamo sopprimere gli incidenti stessi, mediante i protocolli diplomatici. Scorgiamo il nostro dovere, nel trattare questi attriti con piena tranquillità e con spirito di conciliazione per poterli risolvere nel più breve tempo possibile. Naturalmente l'assetto di questi affari ha luogo conformemente ai doveri risultanti dagli usi internazionali ed alle relazioni di vicinanza, ma esso viene guidato dalla reciproca convinzione che a tali affari è da attribuirsi un significato locale e non già una importanza esorbitante questi limiti. Mi domanderete come mai avvenga che nei rapporti fra i due Stati alleati da tre decenni sorgano sempre nuove difficoltà che hanno influenza, non sempre favorevole, sopra l'opinione pubblica dei due Paesi. A questa domanda potrebbe esser risposto riferendosi alla diversità dello sviluppo storico di entrambi i Paesi, come alla differenza del modo di vedere le cose da noi ed in Italia. Dobbiamo tener calcolo di questa differenza e ammettere che talora non collimano le due opinioni in Italia e da noi circa gli avvenimenti locali oppure nell'apprezzamento del significato di una manifestazione.

In tali casi di divergenza di apprezzamenti nell'opinione pubblica si deve rimaner tranquilli e non trarre da singole dimostrazioni conseguenze generali. Possiamo farlo tanto più che la storia insegna che Stati sostanzialmente più diversi assai che noi e l 'Italia sono stati con successo in rapporti di alleanza.

Nel nostro caso il successo si è già verificato e si verificherà anche in avvemre. Garanzia di ciò sta nel carattere della Triplice Alleanza, la quale ha per solo scopo il mantenimento della pace».

Circa le relazioni del!' Austria-Ungheria colla Russia, il ministro imperiale e reale si dichiarò dolente di non potere dire oggi più di quanto disse nel 1908 in una seduta confidenziale della commissione per gli affari esteri delle delegazioni. Doveva solo dichiarare che circa un anno fa era stato inteso fra i due Gabinetti di Vienna e Pietroburgo di non palesare il diverso modo di vedere che esistette e

3 Cfr. nn. 489, 497.

che appartiene ormai al passato. Soggiunse che aveva del resto fatto conoscere nella sua esposizione politica che i rapporti con tutte le Potenze erano buoni e che avrebbe avuto cura che continuassero ad essere tali anche per l'avvenire. Questo vale naturalmente anche per la Russia. L'annessione lasciò uno strascico di animosità che si fa ancora viva talvolta nella stampa russa verso l'Austria-Ungheria. Ma il ministro imperiale e reale non crede che tale avversione esista nelle sfere dirigenti russe ed è anzi certo che il volere della suprema autorità in Russia è che si conservino e si rafforzino le relazioni di buon vicinato coll'Austria-Ungheria. Giacché la Monarchia e la Russia hanno un programma politico comune nei Balcani, diretto al mantenimento dello statu quo e, giacché questa identità di vedute venne constatata ancora durante l'inverno scorso, allorché ebbe luogo a Pietroburgo il noto scambio di vedute -che portò al ristabilimento delle relazioni diplomatiche normali fra i due Stati -il conte d'Aehrenthal espresse la fiducia che i rapporti austro-ungarici-russi diventino presto nuovamente cordiali.

Quanto alle due Grandi Potenze dell'Europa occidentale, il ministro imperiale e reale riconobbe essere esatto che vi furono, al tempo dell'annessione, divergenze con la Francia e con l 'Inghilterra specialmente con quest'ultima: ma da quel tempo i rapporti sono ridivenuti soddisfacenti. Sebbene l'Austria-Ungheria faccia parte della Triplice, la sua politica viene apprezzata a Parigi ed a Londra siccome calma e rivolta a scopi pacifici, cosicché si desidera -e tale desiderio è sinceramente ricambiato -mantenere con essa buone relazioni.

A proposito del neo-slavismo il conte d'Aehrenthal disse di ritenerlo privo di significato politico pratico. Per quanto riguarda i cultori di esso che sono sudditi della Monarchia, osservò parergli che essi non facciano della semplice propaganda a scopi di cultura, ma della vera e propria politica. Rammentò in proposito la presenza del delegato Kramarz a Sofia durante l'estate scorsa e la circostanza che durante quel congresso neo-slavo la politica estera della Monarchia venne discussa innanzi ad un areopago, fuori del territorio della Monarchia stessa. Soggiunse ritenere che il neo-slavismo sia un ideale, nel senso con cui il conte Taaffe comprendeva questa parola, che cioè ideale significasse quello scopo che si ambisce di raggiungere ma che non si raggiunge mai. Per di più contro il neo-slavismo la circostanza che ogni popolo slavo è un perfetto egoista e che tale egoismo ostacola il riavvicinamento sentimentale fra le varie branche della stessa stirpe. Queste sue opinioni vennero corroborate dall'esito dei congressi neo-slavi fin qui tenutisi. Siccome poi i neo-slavi della Monarchia accennano spesso e volentieri all'influenza che la Russia potrebbe avere per le sorti degli slavi austro-ungarici, il conte d' Aehrenthal non volle tacere che fu sin qui una regola costante che i varii Stati non si immischiassero degli affari interni concernenti altre Potenze. Sarebbe quindi impossibile ali' Austria-Ungheria ammettere che la Russia si occupasse degli slavi della Monarchia.

Quanto ai problemi slavo-meridionali e serbo, al quale pure venne accennato, il conte d' Aehrenthal disse che forse verrà occasione di parlarne a lungo discutendosi il bilancio della Bosnia-Erzegovina. Per ora egli si atteneva al punto di vista che a regolare i rapporti tra la Bosnia-Erzegovina e la Monarchia bastavano le leggi del 1880, sinché naturalmente i parlamenti dei due Stati non crederanno di modificarle.

Relativamente ai rapporti con gli Stati balcanici il ministro imperiale e reale dichiarò che le relazioni con la Serbia erano soddisfacenti, che il contegno del Governo serbo era corretto e benevolente. Assicurò che terrà sempre presente, pur curando l'amicizia con la Turchia, di mantenere ed intensificare i buoni rapporti con tutti gli altri slavi della penisola. Ripeté, circa i trattati di commercio, le cose già dette nella sua esposizione ed assicurò che la politica estera della monarchia rimane sempre fedele al principio di estendere lo sviluppo autonomo e pacifico degli Stati balcanici. Circa le varie questioni di politica commerciale, ricordò che il ministro degli affari esteri non è che l'organo esecutore della volontà dei due Governi, austriaco ed ungherese, soli competenti a statuire circa la politica che vogliono seguire.

Le negoziazioni dei varii trattati di commercio con gli Stati balcanici avevano costituito per lui un vero calvario durante i quattro anni dacché dirige la politica estera della Monarchia: esso per primo non era soddisfatto dei risultati raggiunti, ma doveva dichiarare che non era stato possibile per ora ottenere di più.

Terminato il lungo discorso del ministro imperiale e reale prese la parola il delegato conservatore-feudale conte Latour che, dopo aver elogiato la politica del conte d'Aehrenthal, quale risulta dal libro rosso, rivolse al ministro alcune domande di chiarimenti, l 'una circa il raccordo ferroviario attraverso il Sangiaccato di Novibazar fino a Mitrovitza, l'altra circa il raccordo ferroviario fino a Larissa, una terza circa la demolizione e la ricostruzione del palazzetto Venezia.

Il delegato conservatore polacco conte Wodzicki esprimendosi in tono sarcastico a proposito delle cose dette dal delegato Kramarz, rilevò che in un sol punto egli ebbe ragione, lamentando cioè le poche simpatie che il Governo Imperiale e Reale seppe guadagnarsi fra le popolazioni della Bosnia-Erzegovina. Quanto alla dichiarazione del delegato Kramarz che la Russia non aveva voluto e potuto dichiarare l'anno passato la guerra all'Austria-Ungheria, egli si contenterebbe della parola «potuto». Del signor Iswolsky di cui il delegato czeco tessé gli elogi, disse ritenere che sarebbe stato meglio al suo posto come rappresentante russo a Cettigne che come ambasciatore a Parigi. Quanto al neo-slavismo esso è parallelo al pan-slavismo. Finì il suo discorso osservando come l'Austria-Ungheria abbia veduto con benevolenza la Turchia dopo la rivoluzione e come la stessa benevolenza le abbia pure dimostrato dopo che il sultano venne detronizzato. Non vorrebbe come uomo conservatore e dinastico che con uguale benevolenza riconoscesse ora subito il nuovo stato di cose creato dalla rivoluzione nel Portogallo.

In senso contrario alla politica del conte d'Aehrenthal si espresse il delegato socialista Nemec che dichiarò essersi preparato in Bosnia-Erzegovina il terreno ali 'annessione, mediante arresti per accuse di alto tradimento, senza che l' Austria-Ungheria vi avesse diritto di sovranità. L'annessione che non cagionò nessun vantaggio alla Monarchia le costò invece molto denaro. Egli tacciò di medioevale il precedente discorso del conte Wodzicki nel punto concernente il riconoscimento del nuovo regime in Turchia e disse che la politica estera austro-ungarica anziché servire a rialzare, mediante legami con altre genti, il livello delle popolazioni contribuisce ad abbassarlo. La posizione di Grande Potenza non fa che costare molto denaro ali' Austria-Ungheria. Quanto al neo-slavismo i socialisti non lo possono accettare, come rifiutano lo czarismo al quale il neo-slavismo vorrebbe appoggtarsl.

Il delegato Lecher lamentò che il conte d'Aehrenthal nell'enumerare i fattori del felice risultato della compiuta annessione -patriottismo delle popolazioni ed esercito agguerrito -abbia scordato di accennare ai due Parlamenti.

Il delegato cavaliere di Iendrzejowicz, agrario, disse di sperare assai dalla politica commerciale nei Balcani. Quantunque appartenente al partito agrario, non credeva che il consentire alla Rumenia ed alla Serbia la facoltà di introdurre limitatamente della carne in Austria-Ungheria possa costituire un pericolo per l'industria agricola nazionale. La politica dello statu quo nei Balcani è tradizione della Monarchia e ad essa mirava pure l'accordo di Murzteg concluso dal conte Goluchowsky.

Accennando quindi al fatto che il delegato dottor Ploy aveva dichiarato di essersi appellato all'idealismo del delegato dottor Kramarz pregandolo di essere arbitro nei dissidi fra polacchi e ruteni, disse che i polacchi non hanno bisogno di alcun arbitro nelle loro questioni con chicchessia. Essi sono -aggiunse il delegato Iendrzejowicz -innanzi tutto, polacchi, soltanto poi slavi, e quindi non condividono le simpatie dei delegati polacchi, che essi avrebbero votato in favore del bilancio degli affari esteri.

Il conte d' Aehrenthal riprese quindi brevemente la parola per sco l parsi dell 'accusa mossagli dal delegato Lecher, dichiarando che, se non aveva accennato esplicitamente alla cooperazione data dai due Parlamenti alla sua politica, vi aveva però pensato ed aveva creduto di comprendere pure i Parlamenti nell' espressione «opinione pubblica». Circa l'altro appunto mossogli di non aver fatto convocare le delegazioni nella primavera dello scorso anno, dichiarò di non aver ritenuto opportuno quel momento, a causa della crisi politica esistente in Ungheria.

Il delegato polacco Ceglinsky dichiarò che il neo-slavismo non giova che alla Russia, non già agli altri slavi, e serve a quella Potenza come strumento di intromissione negli altri Stati, come lo si può scorgere dall'influenza nefasta che sta presentemente esercitando nella Galizia orientale.

Tornò a parlare poscia il delegato dottor Kramar, che, dopo aver rilevato come tutti gli oratori avessero polemizzato con lui, disse di aver oggi provato un senso di invidia per i tedeschi, inquantoché non sarebbe stato certo possibile che un delegato tedesco avesse parlato del germanesimo nei termini coi quali il delegato Ploy si espresse intorno allo slavismo. Senza un miglioramento dei rapporti fra i polacchi ed i russi è certo difficile sperare in un successo degli sforzi neoslavi. La stessa cosa si può dire circa i rapporti tra slavi settentrionali e meridionali della Monarchia.

Ribadì il concetto già espresso che l'annessione costituì un'infrazione del Trattato di Berlino e dichiarò di ritenere -contrariamente al conte d'Aehrenthal che l'attesa di un paio di mesi nel dichiarare l'annessione non sarebbe stata pregiudizievole per l'Austria-Ungheria.

Circa l'alleanza con la Germania è evidente, secondo l'oratore, che l'AustriaUngheria si trova in stato di inferiorità di fronte all'Impero ed una prova di ciò è offerta dalla circostanza che, mentre i tedeschi vivono rispettati in Austria-Ungheria, sono continue le espulsioni di sudditi austriaci o ungheresi dalla Germania.

Osservò che il conte d'Aehrenthal rifiutò di dare le spiegazioni da lui richieste circa l'incontro di Buchlau e gli argomenti ivi trattati ed i commenti ad un tale silenzio sono superflui. Circa l'accusa mossagli dal ministro imperiale e reale si difese dicendo che le sue dichiarazioni circa la politica austro-ungarica vennero da lui fatte non già al congresso suddetto ma in un banchetto privato. Gli slavi della Monarchia non richiesero sin qui l'aiuto della Russia e sperano di non doverlo mai invocare. Stimano di essere sufficientemente forti da soli; non vogliono neppure un'Austria slava ma un'Austria che tenga conto dei desideri e degli interessi delle proprie nazionalità slave. Perciò il movimento neo-slavo non deve destare timori nella Monarchia, giacché gli slavi dimostrarono sempre di essere buoni patrioti.

Dopo un breve discorso del delegato Renner intorno alla necessità dell'annessione immediata, tale quale fu effettuata, ed alla tendenza degli slavi di far credere che il trialismo potrebbe giovar meglio agli interessi della Monarchia opinione non condivisa dall'oratore -la seduta venne aggiornata al giorno 16.

515 l Cfr. n. 489.

516 2 Cfr. nn. 433, 436.

517

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1121/3 15. Sofia, 16 ottobre 1910 (per. il 19).

Segno ricevuta e ringrazio V.E. del suo telegramma n. 27861.

Le domande rivolte a V. E. dal signor Rizoff hanno secondo me origine nel timoroso sospetto che dopo la diffusione delle notizie relative alla convenzione turco-rumena ha invaso tutti gli animi qui e col tempo non fa che accrescersi e consolidarsi. Il signor Malinoff disse pochi giorni or sono a questo ministro di Serbia che in seguito alle notizie che egli riceveva da varie parti l'esistenza della convenzione non faceva più dubbio per lui.

Uguale certezza mi dimostrava il Daneff probabile futuro presidente del Consiglio in una conversazione che ebbi con lui ieri l'altro facendogli però comprendere insistentemente il desiderio che a tale certezza io dessi il suggello di una mia conferma. Al che io mi dovetti limitare ad accennargli alle smentite ufficiali che sono giunte da tutte le parti.

Tanto pei bulgari che per quei serbi che ho avuto occasione di avvicinare la base e la sostanza del sospetto suaccennato si è che in tutto ciò altro non si tratta che di una manovra austriaca intesa a raggiungere i fini dell'asserita politica espansionista verso Salonicco che tutti qui persistono ad attribuire al conte di Aehrenthal.

Ciò spiega la interrogazione che codesto ministro di Bulgaria fece a VE. circa gli accordi itala-austriaci per lo statu quo nei Balcani. E debbo dire che l'ostentato zelo che questo ministro d'Austria-Ungheria pone nello smentire l'esistenza della convenzione turco-rumena e nello asserire, a chi vuole intenderlo, le intenzioni pacifiche e conservatrici del Gabinetto di Vienna non fa che aumentare i già esistenti sospetti.

In questa attitudine di spirito sembrano (come ho accennato poc'anzi) trovarsi d'accordo nel momento presente i serbi e i bulgari. Ma non conviene perciò credere che i due Paesi sieno in conseguenza di ciò più pronti ad unirsi di quanto lo sieno stati l 'anno scorso. Che anzi questo intelligente e sperimentato ministro di Serbia mi faceva recentemente notare non senza sua meraviglia che nella presente congiuntura, la Bulgaria non ha nemmeno manifestato la più lontana intenzione di avere sia pur soltanto uno scambio d'idee colla Serbia. Egli anzi con una certa acutezza, deduceva da ciò la conseguenza che anche gli asseriti negoziati per una alleanza greco-bulgara

o non esistano affatto o offrano ben scarsa probabilità di riuscita. «Poiché (mi diceva egli), se fosse vero che davanti alla minaccia turco-rumena la Bulgaria avesse seriamente formata l'intenzione di offendere o di difendersi almeno coll'appoggio di altri Stati orientali, certo a nessuno fra di essi avrebbe dovuto logicamente rivolgersi prima che alla Serbia più vicina ed anche tutto considerato, più forte che la Grecia». Egli ammetteva però che, nella Macedonia davanti ai rinnovati maltrattamenti turchi che in questi ultimi giorni sembra abbiano prodotto nuove piccole emigrazioni verso Kustendil, un certo riavvicinamento fra gli elementi greco e bulgaro si vada producendo: «Riavvicinamento di popoli (diceva il signor Simich) davanti ad un comune oppressore che consolidandosi col tempo, non è da escludere possa servir di base ad accordi di governi».

517 l T. del 14 ottobre, non pubblicato, col quale di San Giuliano riferiva che Rizov aveva chiesto informazioni sulla convenzione turco-rumena e su eventuali obblighi dell'Austria verso l'Italia in caso di mutamento dello statu quo nei Balcani.

518

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. 558. Roma, 17 ottobre 1910.

Il rapporto n. 2950/967, in data del 20 settembre scorsoi, in cui l'E.V. riassume la relazione particolareggiata direttale in data del 18 agosto scorso dal r.

console in Bagdad, ed accenna alla necessità, per le Potenze, di opporsi con fermezza alla tendenza ora invalsa presso le autorità ottomane di violare sistematicamente il regime delle capitolazioni, si è incrociato col dispaccio n. 546 del 29 settembre scorso' e con il mio telegramma n. 2567 del 22 dello stesso mese', nei quali esprimevo lo stesso concetto ed esprimevo all'E.V. il mio modo di vedere sopra una eventuale intesa con i suoi colleghi per concertare i mezzi atti ad impedire queste violazioni volontarie e sistematiche del regime delle capitolazioni.

Credo ora opportuno di completare quanto è esposto in quei due documenti.

Gli apprezzamenti fatti dali 'E.V. e dal cavalier Zunini, circa la necessità di opporsi a che sia menomamente scosso il sistema delle capitolazioni in Turchia concordano con quelli da me espressi fin dal 24 luglio 1908, sebbene allora, a Londra, ove ero ambasciatore di Sua Maestà, regnasse l'entusiasmo per i Giovani Turchi. Ritengo ora che, non in forma ufficiale e in modo da far credere alla Turchia che l'Italia sia meno amica sua delle altre Potenze, l'E.V. dovrebbe mettersi d'accordo con i suoi colleghi allo scopo di ottenere che tutti gli ambasciatori costì siano bene attenti a non tollerare infrazioni alle capitolazioni e si assistano a vicenda quando tali violazioni avvengano.

Aggiungo che il conte d'Aehrenthal, nel corso del mio recente convegno con lui a Torino, mi ha fatto notare molto giustamente che l'obbligo assunto dali'Austria-Ungheria verso la Turchia, in occasione dell'annessione della Bosnia-Erzegovina di rinunziare alle capitolazioni quando ugualmente vi rinunziassero le altre Potenze, non menoma i diritti che la Monarchia attualmente possiede, in materia di capitolazioni, e non può impedire ad essa di insistere perché tali diritti siano rispettati finché saranno in vigore. Quindi l'iniziativa, che io desidererei veder prendere dali'E.V. nell'interesse del regime delle capitolazioni in Turchia, non dovrebbe trovare ostacoli presso codesto rappresentante austro-ungarico.

Gradirò di conoscere, a suo tempo, quale sia il pensiero dei suoi colleghi sulla grave questione2.

518 l Non pubblicato.

519

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1785/763. Berlino, 18 ottobre 1910 (per. il 25).

Il signor von Kiderlen-Waechter è ora tornato da Bucarest dove si recò a presentare al re Carlo le proprie lettere di richiamo. Nel primo incontro da me avuto con lui cadde quindi abbastanza naturalmente la conversazione sulle pole

miche sollevate recentemente nella stampa europea a proposito della notizia di un supposto accordo turco-rumeno per il caso di una rottura di ostilità con la Bulgaria. Il segretario di Stato mi confermò la sua convinzione che quell'accordo non esiste, osservando che non converrebbe alla Rumania di legarsi anticipatamente le mani senza alcun visibile vantaggio per sé e che il re Carlo è uomo troppo cauto ed assennato per arrischiarsi, alla sua età e verso la fine del suo regno, a una qualunque politica di avventura. Egli mi ripeté dividere l'impressione che la notizia di cui si tratta sarebbe stata lanciata dietro inspirazioni russe, allo scopo di sturbare il corso dei negoziati allora iniziati dalla Sublime Porta per la stipulazione di un prestito a Parigi: e infatti, egli rilevò, essa era dapprima comparsa in un giornale di Pietroburgo, ma poiché nessuno l'aveva raccolta, chi vi trovava interesse l'aveva fatta ripetere, col successo che ognuno sa, dal Matin e come «prodotto secondario», altri se ne era poi valso per dedurne malevoli commenti intesi a produrre un'impressione sfavorevole anche in Italia, facendo credere ad intrighi condotti a sua insaputa dagli altri Governi della Triplice Alleanza. Quanto alla Rumania, mi diceva il mio interlocutore, il pubblico si era sentito piuttosto lusingato dal rumore creatosi attorno a quell'incidente, trovando una certa soddisfazione di vanità nell'importanza per esso accordata a quel piccolo Stato. Ciò aveva contribuito alla riserva che ognuno poté osservare essersi dapprincipio mantenuta a Bucarest di fronte al gran caso fattone dalla stampa straniera. Ma quell'attitudine era anche inspirata a considerazioni più generali e conformi al consiglio che egli (Kiderlen) aveva sempre dato al re ed ai ministri rumeni, -il consiglio cioè di lasciar aleggiare un costante dubbio sulla propria attitudine di fronte ad un eventuale conflitto turco-bulgaro: una anticipata dichiarazione di appoggio della Rumania ali 'uno od all'altro dei due contendenti avrebbe per effetto di incoraggiare la parte favorita ad una rottura che vi è invece ogni interesse a ritardare. Su questo punto di vista dei governanti tedeschi ebbi già altre volte occasione di riferire nella mia corrispondenza. Esso mi fu nuovamente confermato nella presente circostanza da un funzionario del Dipartimento esteri il quale, alludendo alle ritardate ed incerte smentite della notizia del Matin, mi diceva essere la situazione felicemente definita dal motto attribuito (a torto o a ragione) all'imperatore Guglielmo: «Esser quello un canard che conveniva lasciar volare senza sparargli addosso». In quanto concerne la condotta ufficiale del Governo germanico, il signor von Kiderlen-Waechter mi osservava del resto che se questo poteva smentire, come fece, di aver avuto notizia alcuna del preteso accordo, non apparteneva a lui di negame l'esistenza, trattandosi di res inter alias acta.

Ricevetti a suo tempo il telegramma (n. 2695)1 col quale VE. mi richiedeva di possibilmente verificare in via riservata le origini di una notizia pervenuta al r. ambasciatore in Costantinopoli -e da lei del resto ritenuta incredibile -secondo la quale il signor von Kiderlen-Waechter avrebbe esortato il ministro ottomano in Bucarest ad affrettare la firma della Convenzione combinata con Hakki pascià,

519 I T. del 6 ottobre col quale si trasmetteva il T. 3384, del 5 ottobre, non pubblicati.

come condizione del prestito che le banche austro-tedesche erano disposte a consentire alla Turchia. Confesso che le mie ricerche -limitate dalla riserva da V.E. giustamente raccomandata -non mi hanno condotto a scoprire da chi e come abbia potuto nascere una simile voce. Non vi ha persona a Berlino -nemmeno all' ambasciata ottomana -che crede ad una spinta data dalla Germania a favore della pretesa Convenzione. A proposito della sua supposta connessione con l'affare del prestito, è da ricordarsi del resto che già le banche tedesche potevano offrire: di anticipare cioè contro buoni del Tesoro le somme delle quali la Turchia avesse bisogno fino alla conclusione del suo prestito.

Nella conversazione sopra ricordata col signor von Kiderlen-Waechter feci appositamente allusione al ministro di Turchia in Bucarest per cercare di sentire quali fossero le sue relazioni con lui. Ma egli mi rispose esser quello un diplomatico di poco conto che non aveva mano in nessun affare di importanza. Tutto quindi esclude che la notizia di cui si tratta abbia un qualunque valore, né mi trovo in grado di congetturare quali circostanze abbiano potuto procurarle credito a Costantinopoli.

518 2 Sul seguito della questione si veda il n. 590.

520

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 524/102. Addis Abeba, 18 ottobre 1910 (per. il 18 novembre).

Nel mio telegramma n. 138 del 16 settembre! ho creduto opportuno informare V.E. che il Governo etiopico aveva concluso col Governo giapponese l'acquisto di ventimila fucili e di venti milioni di cartucce pel tramite di un commerciante francese qui residente, il signor Savourè.

Ho l'onore di confermare ora che tale affare fu effettivamente concluso ed il pagamento dei fucili e delle munizioni fu effettuato da parte del Governo etiopico in verghe d'oro, per la somma di circa lire un milione e trecentomila lire, che furono spedite da questa Banca d'Abissinia al Credit Industrie! di Parigi che sembra interessato nell'affare; la Banca d'Abissinia si è invece solo interessata alla spedizione dell'oro in verghe riscuotendo una discreta percentuale.

Non conosco ancora esattamente i particolari dell'affare: sembra però che i suddetti fucili siano di quelli conquistati dai giapponesi nell'ultima guerra e che questa prima spedizione di ventimila fucili faccia parte di un maggiore acquisto di circa sessantamila fucili già trattati dal Governo etiopico, e che la somma di un milione e trecentomila lire testé pagata non sia che il versamento di una pri

520 I T. 3 1231138 del 13 settembre, trasmesso da Asmara il 17, non pubblicato.

ma rata; riferirò ad ogni modo più dettagliatamente a VE. appena mi sarà possibile di farlo.

Questo continuo ed ingente acquisto di armi e di munizioni da parte del Governo etiopico non può certo passare inosservato e non destare inquietudine, benché sia assolutamente da eliminarsi per ora qualsiasi sua velleità aggressiva verso una qualunque delle Potenze confinanti; ma nella eventualità di un conflitto provocato dalla disinvoltura e dalla insipienza colla quale il Governo etiopico considera e tratta in generale i diritti delle genti e dei Governi che hanno con esso rapporti ed interessi diretti, bisognerà ben considerare l'enorme aumento della potenzialità militare dell'Abissinia dato dal continuo aumento del suo armamento, che è difficile oggi computare anche approssimativamente ma che è di gran lunga superiore a quello del 1896, benché la mancanza di uniformità ne diminuisca l'efficacia.

A questo proposito credo opportuno ricordare che in questi ultimi anni il Governo etiopico, oltre ad altre partite di armi da fuoco, ha altresì acquistato in Francia e per il tramite della legazione francese di Addis Abeba ventimila fucili lebel.

L'aumento dell'artiglieria abissina non è stato invece in proporzione dell'aumento delle armi da fuoco portatili, ed evidentemente i capi di questo esercito continuano a dare ad essa una scarsa importanza.

Giova altresì tener conto che gli speculatori europei si valgono tutt'ora di tutti i mezzi e ricorrono alla più sfacciata corruzione per indurre i membri del Governo etiopico a concludere con essi affari riflettenti l'acquisto di armi che costituiscono sempre in Abissinia la merce più lucrosa.

Informo riservatamente VE. che sto trattando con persona molto prossima al Governo etiopico per avere la nota esatta dei diversi capi del numero dei fucili di cui ciascuno di essi dispone, e di quelli in riserva nei magazzini del Governo.

521

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

0. RISERVATO 782. Roma, 19 ottobre 1910.

Mi pregio segnar ricevuta del rapporto 17 agosto n. 41 riservato da Bardera 1 , col quale V.E. mi comunica copia di una lettera da lei diretta in pari data al r. console generale a Zanzibar in argomento alle relazioni anglo-italiane in Somalia.

Questo ministero concorda pienamente nel concetto di V.E., che cioè il nostro atteggiamento a Zanzibar debba essere posto in relazione coi vantaggi politici ed economici che la Gran Bretagna sarà disposta a consentirci in Somalia e

sue zone retrostanti, non esclusa l'Etiopia. La questione però, al momento attuale, non è matura, e ci conviene aspettare la conclusione dei lavori della Commissione del Giuba ed esaminare attentamente la nostra posizione a Zanzibar per vedere quali concessioni possiamo noi fare colà alla Gran Bretagna ed in conseguenza quali altre ne possiamo da lei richiedere. Su quest'ultimo argomento m'è recentemente pervenuto un voluminoso ed accurato rapporto dal commendator Corsi, che forma oggetto di studio2.

521 l Non pubblicato.

522

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO PERSONALE URGENTE 3646/300. Parigi, 20 ottobre 1910, ore 15,25 (per. ore 19,20).

Tanto Pichon quanto Iswolsky e Barrère mi hanno parlato del comunicato circa incontro di Aehrenthal con S.M. il Re e V.E. a Racconigi! e hanno osservato che i termini più del consueto calorosi avevano fatto pensare a nuovi accordi tra Italia e Austria-Ungheria per i Balcani. Ho risposto che comunicati mi sembravano redatti in termini pressappoco equivalenti a quelli dei comunicati dei miei incontri con Aehrenthal, che era naturale che tali comunicati fossero il più possibile espressivi, perché in Italia e in Austria-Ungheria vi era una parte della stampa che fa di tutto per turbare rapporti tra i due Paesi, e a questa stampa i due Governi devono opporre una ferma volontà pubblicamente manifestata. Ho aggiunto che a Racconigi non era stato stipulato alcun accordo, ma che soltanto Aehrenthal aveva rinnovato a V.E. le più esplicite assicurazioni circa mantenimento statu quo nei Balcani e integrità della Turchia.

523

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3653/441. Therapia, 20 ottobre 1910, ore 20,30 (per. ore 7,05 del 21).

Mesopotamia. Nuova comunicazione fatta oggi a Theodoli da Giovani Turchi mostra vieppiù desiderio loro che impresa sia assunta da italiani. Wilcoks insiste

5212 Presumibilmente si riferisce al n. 482. 522 l Cfr. n. 489.

perché aggiudicazione abbia luogo Bagdad e comprenda insieme dei lavori, per il quale gruppo inglese da lui ispirato offre impegni per centoventi milioni. Valì Bagdad appoggia perché interessato. Giovani Turchi, invece, insistono presso Theodoli perché gruppo italiano si palesi e mandi subito qui un ingegnere che prenda visione progetto e la cui presenza e trattative permettano Governo resistere pressioni inglesi. Theodoli, d'accordo con Giovani Turchi, farà sabato domanda ufficiale gran vizir, onde affare si decida qui, non a Bagdad, e spiegherà lieve ritardo col nostro volere di agire seriamente dai due lati tecnico e finanziario. Theodoli avverte non dovere la cifra di centoventi milioni spaventare nostri assuntori. Lavori saranno fatti per conto Governo a lotti successivi, secondo impostazione bilancio annuale. La combinazione finanziaria sarà, d'altronde, trattata col tramite di Theodoli, quando l'ingegnere, di cui si richiede immediato invio qui dapprima per abboccarsi con ingegnere Caprioli, poi in Mesopotamia per ispezionare luoghi, avrà presentato relazione tecnica. Raccomandiamo vivamente, Theodoli ed io, seguire indicazioni che precedono o dirci francamente che anche a questa impresa rinunziamo. Dal punto di vista politico, il sobbarcarci all'impresa stessa avrebbe altresì il vantaggio di mostrare a questi sospettosi governanti che non ci occupiamo eternamente ed esclusivamente della Tripolitania.

524

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI

L. URGENTISSIMA PERSONALE 50. Roma, 20 ottobre 1910.

In relazione al nostro colloquio di stasera, debbo comunicarti una grave notizia giuntami or ora da Tripoli.

Come sai, il Banco di Roma si è interessato, valendosi di prestanomi indigeni, allo sfruttamento delle miniere di fosfati che si ha ragione esistano numerose in Tripolitania e Cirenaica.

Si tratta di una impresa di grandissima importanza economica, come dimostrano le non lontane miniere di fosfati della Tunisia, non solo, ma anche e di ben maggiore importanza politica.

Avere, infatti, la concessione di queste miniere significa l'occupazione economica ed industriale della parte più ricca ed interessante dell'Africa ottomana; ed essendo noto che in quelle regioni (come appunto avviene in Tunisia) non si può procedere ad un efficace lavoro minerario se non valendosi, oltreché di elementi direttivi europei, anche di manodopera europea, e quindi italiana, a questa azione economica ed industriale terrebbe dietro inevitabilmente ed in breve tempo una importante corrente di emigrazione italiana.

Ma, se le miniere di fosfati rappresenterebbero un vantaggio per noi senza proporzione, maggiore sarebbe il danno che deriverebbe all'Italia dal fatto che esse cadessero in mani straniere.

Ciò segnerebbe la fine di quella penetrazione economica che ha fatto parte del programma di tutti i Governi succedutisi da parecchi anni in qua al potere in Italia, e preluderebbe alla occupazione -a più o meno lunga scadenza -di quest'ultimo lembo disponibile di litorale mediterraneo da parte della Potenza a cui appartenessero quelle miniere. Ma alla questione dei fosfati va unita quella, ancor più grave per noi, degli zolfi, dei quali, come rileverai da un rapporto che mi riservo di comunicarti quanto prima, si sono scoperti nel Golfo sirtico importanti giacimenti. Quello che avverrebbe in Sicilia se, benché avvertito, il Governo non riuscisse ad impedire che questi giacimenti cadessero in mani straniere e creassero una nuova e terribile concorrenza alla già depressa industria zolfifera sicula, io non ho bisogno di dirti.

Caduti i fosfati in mani estere, non tarderebbero a tener loro dietro gli zolfi, ed allora sarebbe inutile recriminare. Ad evitare tale pericolo, questo ministero ha indotto, come ti dicevo in principio, il Banco di Roma a prender l'iniziativa della costituzione di una società ottomana di nome -italiana di fatto -alla quale, per evitare dannose concorrenze e rivalità, sono stati interessati, oltre agli indigeni tripolini, la famiglia khediviale ed alcuni banchieri egiziani, nonché i circoli fosfatieri francesi, in modo, però, che né gli uni, né gli altri possano in nessun caso prevalere sul gruppo italiano, a cui ha inoltre riservata la direzione tecnica e finanziaria e la messa in azione dell'affare. A questa iniziativa il Governo ottomano, tra alterne vicende di tolleranza e di aperta opposizione, opponeva ed oppone la sua tradizionale lentezza, della quale, tuttavia, con pazienza e pertinacia, non si disperava di trionfare.

Ma un fatto nuovo è ora sopravvenuto, che mette in serio pericolo tutta l'impresa: la nota Banca Nazionale ottomana, emanazione del banchiere anglo-tedesco Casse), avrebbe avanzato essa al Governo imperiale una domanda di concessione pei fosfati della Tripolitania e Cirenaica, ed il Governo stesso, preso fra la necessità di ingraziarsi un futuro probabile fornitore di danaro e la sua politica tradizionale, di secondare in ciascuna regione dell'Impero, quelli che vi hanno minori interessi, sembra disposto a preferire il sindacato Casse) al sindacato Banco di Roma.

È questo uno dei casi in cui l'azione diplomatica piuttosto che inefficace, riuscirebbe addirittura nociva, giacché il Governo turco dichiara risolutamente di non ammettere l'intervento delle rappresentanze estere nelle domande di concessioni o di forniture, ed apporrebbe un rifiuto tanto più reciso nel caso presente, in cui si tratta d'una società anonima ottomana.

Unico mezzo, adunque, per tutelare interessi così vitali per noi sarebbe quello di avere a Costantinopoli un istituto italiano che ai Casse!, al gruppo delle minori banche francesi, alla Banca imperiale ottomana, alla Deutsche Orient Bank potesse opporre gli stessi positivi e convincenti argomenti.

lo non credevo, quando ci siamo riuniti oggi insieme a Stringher ed a Pacelli, che così presto si sarebbe presentato un nuovo caso che dimostrasse ancora una volta -se pur ve n'è bisogno -l 'urgente assoluta necessità d 'un nostro istituto bancario a Costantinopoli. lo intendo le preoccupazioni a cui cede il commendatore Stringher; comprendo come egli -uomo di finanza e direttore eminente del nostro massimo istituto di credito -si preoccupi dell'attuale non lieta situazione della finanza italiana. Egli compie in tal modo il suo dovere, ch'è circoscritto nei confini del territorio nazionale.

Ma a noi, cui incombe l'obbligo di pensare anche a quella più grande Italia, che, emula con altri mezzi, ma fidiamo con non dissimili risultati, de li'antica e gloriosa Roma, dilaga per tutte le regioni del mondo e le arricchisce col proprio lavoro, dobbiamo preoccuparci, oltreché delle complicazioni momentanee, anche dell'avvenire nostro in Turchia.

Noi dobbiamo, con azione insieme e audace e prudente, conciliare la tutela del nostro mercato finanziario interno, colla necessità di assicurarci -mediante una banca italiana -il ricco mercato italiano.

A me non spetta di darti consigli o suggerimenti circa i mezzi idonei per raggiungere così alto ed arduo fine.

Mi basta di averti segnalato e i pericoli della nostra situazione in Turchia e l'urgenza di provvedervi; a te ora di trovare i mezzi a ciò idonei -compito, per quanto difficile e complicato, non superiore, tuttavia, al tuo senso di uomo di Stato, alla tua scienza di finanziere ed al tuo gran cuore d'italiano.

Sabato 22 mattina verrà a salutarti Pacelli il quale ti esporrà una sua idea sul modo di impiantare subito a Costantinopoli il Banco di Roma anche senza l'aiuto della Banca d'Italia e senza drainer denaro dall'Italia.

525

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2162/944. Vienna, 20 ottobre 1910 (per. il 22).

Faccio seguito al mio rapporto del 14 corrente numero 2119/9261. La commissione per gli affari esteri della delegazione ungherese si riunì ieri mattina ed in seno ad essa intervennero i tre ministri comuni, il presidente del Consiglio ungherese, l'ammiraglio conte Montecuccoli ed i ministri ungheresi delle finanze e della honvéd.

Parlò per primo il relatore del bilancio degli affari esteri, conte Wickenburg il quale, premesso che l'annessione della Bosnia-Erzegovina era già stata approvata dalle delegazioni del 1908, esaminò l'azione diplomatica svolta dal conte di Aehrenthal durante la crisi che successe all'annessione stessa. Espresse l'avviso che il libro rosso prova appieno che la campagna diplomatica del 1908-09 rappresenta un successo completo per il ministro imperiale e reale degli affari esteri, abilmente coadiuvato dai suoi due principali collaboratori, il marchese Pallavicini ed il conte Forgach.

Il conte di Aehrenthal creò due volte un fatto compiuto, una prima volta con l'annessione, una seconda col protocollo d'intesa turco-bulgaro. Il secondo fu decisivo per il felice risultato della campagna diplomatica e per evitare la guerra con la Serbia. Dai negoziati condotti dal conte di Aehrenthal risultò in modo evidente il valore della Triplice Alleanza e soprattutto quello dell'alleanza colla Germania. È pure importante constatare quale azione abbiano esercitata tutte le Potenze sul Gabinetto di Belgrado, affinché la Serbia facesse all'Austria-Ungheria una dichiarazione tale da por termine al pericolo della guerra. Questa azione dimostra come tutte le Potenze approvassero anche formalmente il punto di vista della Monarchia. Il programma della politica balcanica dell'Austria-Ungheria rimane pure per l'avvenire quale esso era ai tempi del conte Andrassy, e cioè, l'integrità della Turchia, l 'indipendenza, il rafforzamento e lo sviluppo degli Stati balcanici, con esclusione di quelli che, subendo l'influenza di qualche grande Potenza, volessero opprimere gli altri Stati della penisola. Anche l'annessione contribuì a sviluppare tale programma, inquantoché tolse di mezzo una questione pendente che costituiva una ragione di sospetti fra l'Austria-Ungheria e la Turchia.

Passando a trattare della politica commerciale, disse di ritenere, col conte d'Aehrenthal, che dei buoni trattati di commercio con gli Stati balcanici potranno essere favorevoli pure all'agricoltura nazionale.

L'oratore, compiacendosi delle buone relazioni che la Monarchia intrattiene pure con gli Stati non alleati e soprattutto con le Potenze della Triplice Intesa, rivolse al ministro imperiale e reale una domanda di spiegazioni circa l'accordo di Miirzsteg, desiderando sapere se esso abbia cessato di esistere o se sia solamente sospesa per il momento la comune attività austro-ungarica-russa in Macedonia. Inoltre domandò schiarimenti circa la ferrovia del Sangiaccato.

Il delegato Francesco Kossuth disse di riscontrare delle lacune nelle dichiarazioni del conte d'Aehrenthal. Vi si dice infatti che S.M. l'Imperatore e Re stimò estendere i proprii diritti sovrani sulla Bosnia-Erzegovina, ma non vi si spiega perché credette estendere tali diritti proprio in quel dato momento. Aggiunse che bisogna ritenere che se Sua Maestà estese i proprii diritti alle provincie occupate, lo fece solo come re d'Ungheria, in nome cioè della potestà antica della corona di Santo Stefano su quelle regioni. Una seconda lacuna nell'esposizione del ministro imperiale e reale consiste nel non aver egli dichiarato se conosceva preventivamente che le Potenze avrebbero dato la loro adesione all'annessione. Quanto alle dichiarazioni circa la politica commerciale, esse non sono a loro posto nell'esposizione del ministro imperiale e reale degli affari esteri, giacché tale argomento spetta all'esame ed alla decisione dei due Governi e dei due Parlamenti, e non già a quello delle delegazioni. Del resto la crisi è terminata felicemente ed è quindi inutile fare recriminazioni postume.

Il delegato signor Francesco Nagy ritenne superflua in questo momento la questione di conoscere se le Potenze assentirono o non, anticipatamente, all'annessione. È invece importante e di attualità quella di conoscere se l'annessione verrà intieramente compiuta. Tale questione è peraltro di competenza del Parlamento ungherese. Una cosa è certa e cioè che la Ungheria non può rinunciare ai proprii diritti storici sopra la Bosnia-Erzegovina. È sperabile che con del buon volere dalle due parti si possa trovare una soluzione soddisfacente. L'oratore si compiacque dei buoni rapporti esistenti fra l'Austria-Ungheria e la Turchia e domandò al ministro imperiale e reale di informare la commissione per gli affari esteri intorno alla supposta convenzione militare turco-rumena. Constatò quindi che la Triplice è più salda che mai e che questa alleanza corrisponde intieramente ai voti dell'Ungheria ed espresse la sua soddisfazione per il fatto che i rapporti coll'Italia sono diventati in questi ultimi tempi più cordiali.

Il delegato quarantottista conte Batthyany disse di non condividere l'opinione che non si debba parlare più del fatto compiuto dell'annessione, giacché essa diverrà realmente un fatto compiuto soltanto quando sarà stata regolata legislativamente. Si riservò pertanto di trattare questo argomento nella seduta plenaria della delegazione. Ammise che è inutile discutere ora se l'annessione sia stata uno strappo al Trattato di Berlino; ma dichiarò essere certo che senza il consenso delle altre Potenze firmatarie del trattato stesso, essa non avrebbe potuto essere proclamata. Circa i trattati di commercio condivide pienamente le idee del delegato Kossuth, che tale questione non rientra nella competenza del Ministero degli affari esteri e delle delegazioni, bensì in quella dei due Governi e dei due Parlamenti. ll metodo scelto dal conte d'Aehrenthal nel procedere ali' annessione gli sembra anche discutibile, giacché egli avrebbe potuto ottenere egualmente lo stesso scopo con molto minore spesa. Riconobbe che la fedeltà della Germania si manifestò in modo splendido, ma ricordò che l'Austria-Ungheria si era sempre dimostrata altrettanto fedele alla sua alleata ed accennò in proposito ad Algeciras ed alla politica allora seguita dal conte Goluchowski che certamente contribuì a preparare il felice esito dell'annessione, obbligando la Germania a rendere alla Monarchia il servizio ricevuto alla Conferenza per il Marocco.

Prese quindi la parola il capo del partito del 1867, conte Stefano Tisza, che protestò contro l'espressione «Gabinetto di Vienna» usata nell'esposizione dal conte d'Aehrenthal e nel libro rosso. A Vienna vi è un solo Gabinetto, quello austriaco, e l 'usare un tale termine non appropriato può in generare malintesi all'estero. Riconobbe l'utilità di una politica commerciale più oculata, ma si domandò se spetti al Ministero Imperiale e Reale degli affari esteri di indicare l'indirizzo di tale politica e se esso possa fare una douce violence in proposito sopra i due Governi che soli devono decidere sopra i rapporti commerciali con gli Stati esteri. Circa la questione del regolamento legislativo dell'annessione, secondo i diritti storici dell'Ungheria, dichiarò di scorgere in essa due punti distinti. Il primo punto concerne la situazione internazionale dell'annessione, ed esso fu risolto felicemente, giacché ora non vi è dubbio che la Bosnia e la Erzegovina formano parte della Monarchia austro-ungarica. Il secondo punto riguarda la situazione costituzionale interna delle due provincie, di sapere a quale delle due parti della Monarchia debbono essere annesse. Il conte Tisza non ritiene sia in questo momento interesse dell'Ungheria di sollevare una simile questione; gli ungheresi debbono solamente invigilare affinché non avvenga alcunché in quelle provincie che pregiudichi a loro danno il presente stato di cose. A proposito della questione di giudicare se il momento per l'annessione sia stato opportuno, l'oratore dichiara che il felice risultato sortito è la migliore risposta che si possa dare. Del resto l'AustriaUngheria non cercò essa di turbare lo statu quo, giacché essa è una Potenza essenzialmente conservatrice, la cui politica nei Balcani consiste nel promuovere lo sviluppo autonomo dei varii Stati. Se l'Austria-Ungheria darà lo spettacolo di essere unita internamente da interessi solidali, persuaderà con ciò ancora meglio gli Stati balcanici che essa è una garanzia per il loro sviluppo. Però non corrisponde alla dignità di una Grande Potenza quale è l'Austria-Ungheria di dimostrare delle buone disposizioni, specie nelle questioni commerciali, di fronte a tutti gli Stati balcanici, anche di fronte a quello che le si dimostrò lo scorso anno così ostile. Occorre quindi essere accondiscendenti nei trattati di commercio, ma con moderazione e soprattutto con discernimento.

Il delegato conte Alberto Apponyi consentì in parte con le cose dette dal conte Tisza e si riserbò di trattare alla seduta plenaria delle questioni in cui non condivide la sua opinione.

Prese quindi la parola il conte d'Aehrenthal il quale ricordò di avere esposto nel 1908 in una seduta confidenziale della delegazione ungherese quale fosse il metodo da lui prescelto per l'annessione. Il suo programma fu allora approvato. Senonché ora due dei ministri ungheresi di quel tempo, i signori Kossuth e conte Apponyi, fecero delle riserve e delle critiche a quella sua politica, con tanto maggior suo stupore inquantoché nel 1908 avevano pienamente aderito al suo modo di vedere. Il signor Kossuth gli domandò inoltre di dichiarare se e quali negoziati fossero stati intavolati con alcune Potenze per ottenerne preventivamente il consenso all'annessione della Bosnia-Erzegovina. È dolente di non poter rispondere giacché tali negoziati ebbero un carattere confidenziale. Rammentò peraltro di aver fatto, a suo tempo, comunicazioni in proposito al Consiglio dei ministri ungherese. Del resto l'essenziale è che, siccome risulta dal libro rosso, tutte le Potenze aderirono all'abolizione dell'articolo 25 del Trattato di Berlino. Si è parlato nelle presenti delegazioni dell'annessione come di uno strappo ad un trattato; il ministro imperiale e reale deve assolutamente negare che vi sia stata una violazione di un patto internazionale. Si trattò solamente di uno sviluppo di diritti, di un mutamento formale di diritti ed in proposito si riferisce ai più autorevoli scrittori di diritto internazionale pubblico, in particolar modo a Bluntschli che, assai prima dell'annessione, aveva manifestato un'opinione identica alla sua, ora condivisa universalmente.

Rispondendo al conte Wickenburg circa l'intesa di Murzsteg dichiarò che quel patto con la Russia stipulato dal conte Goluchowski nel 1907, allorché era necessario migliorare l'amministrazione della Macedonia, non esiste attualmente più, essendo venuto a mancare lo scopo di esso, in seguito al nuovo regime in Turchia. Circa i rapporti con la Russia ripeté le dichiarazioni fatte alla commissione degli affari esteri della delegazione austriaca (mio rapporto numero 2152/939 del 17 corrente) t.

Al delegato Nagy che lo aveva interpellato intorno alla convenzione turcorumena, il conte d'Aehrenthal rispose che essa era stata smentita dalla Rumania stessa. La politica di questo Regno che da trent'anni è saggia e conservatrice e che si è sempre appoggiata alle Potenze dell'Europa centrale è del resto una garanzia per il mantenimento dello statu quo. I rapporti tra la Turchia e la Rumania sono effettivamente assai cordiali, ma essi non datano da ieri, bensì da molti anni ed il ministro imperiale e reale crede quindi di poter concludere che codeste buone relazioni non devono causare preoccupazioni ad alcuno.

Collo stesso spirito ritiene si debbano considerare i rapporti turco-bulgari. Questi due Stati hanno un confine comune molto esteso, cosicché possono spesso accadere incidenti. Tuttavia è da sperare che essi vengano sempre risolti amichevolmente. Dal suo lato non mancò mai di far udire al momento opportuno parole di moderazione così a Costantinopoli come a Sofia.

Circa la supposta adesione della Turchia alla Triplice Alleanza, disse di ritenerla un ballon d'essai lanciato per creare inquietudini. Soggiunse che i rapporti della Monarchia colla Turchia sono precisati chiaramente: l'Austria-Ungheria desidera il mantenimento della pace e dello statu quo e che la Turchia proceda con fermezza e saggezza al proprio consolidamento. E questo modo di vedere è condiviso dalle due Potenze alleate e, crede poter dire, anche dalle altre Potenze.

Relativamente alla ferrovia del Sangiaccato ripeté le cose già dette alla delegazione austriaca (mio rapporto sopra citato).

Rispondendo ai varii appunti mossigli circa il programma di politica commerciale da lui esposto, dichiarò di negare in modo assoluto che, durante la crisi dell'anno passato, avesse fatto delle proposte di facilitazioni commerciali alla Serbia in compenso dell'eventuale sua adesione all'annessione. Soggiunse di riconoscere che le concessioni commerciali agli Stati balcanici non potranno giovare da sole a migliorare i rapporti politici con essi, e che quindi bisognerà procedere cauti per non trovarsi ad aver fatto grandi sacrifici senza ricevere alcun frutto.

Al conte Batthyany che lo aveva interrogato intorno all'atteggiamento del Governo Imperiale e Reale di fronte agli avvenimenti in Portogallo, rispose che egli aveva avuto conoscenza diretta dal Governo provvisorio della proclamazione della Repubblica. Riteneva di conservare di fronte a tale avvenimento un'attitudine di attesa, per vedere quale piega prenderanno le cose e in quale modo si esprimerà legalmente il popolo portoghese circa le sue sorti. L'incaricato d'affari imperiale e reale aveva frattanto ricevuto istruzioni di mettersi in rapporto di fatto col Governo provvisorio ove la tutela degli interessi austro-ungarici lo richiedesse.

Il conte Esterhazy, capo sezione al Ministero Imperiale e Reale degli affari esteri, dichiarò quindi in nome del conte d'Aehrenthal, che l'espressione «Gabinetto di Vienna» incriminata dal conte Tisza, non ha significato diverso che quella «Gabinetto di Parigi o di Londra» vale a dire della città in cui risiede il Ministero degli affari esteri. Nel linguaggio diplomatico si potrebbe difficilmente parlare di un «Gabinetto austro-ungarico» quale è inteso nella costituzione della Monarchia, giacché il significato di tale espressione sarebbe difficilmente compreso.

Il conte Tisza osservò in proposito essere desiderabile, ad ogni modo, che per l'avvenire non si usi più l'espressione «Gabinetto di Vienna».

Dopo di che la discussione generale venne dichiarata chiusa e la commissione degli affari esteri della delegazione ungherese venne convocata per l'esame dei capitoli del bilancio per il giorno 19 corrente.

525 l Non pubblicato.

526

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3693/450. Therapia. 23 ottobre 1910, ore 13.40 (per. ore 13,15) 1.

Nuovo ministro degli affari esteri ellenico, venuto ufficialmente vedermi e prendere commiato, si mostra soddisfatto delle udienze avute dal sultano, dal gran vizir e dal ministro degli affari esteri, e nutre speranza che si entri, nei rapporti fra Turchia e Grecia, in un periodo di attutimento e di pacificazione.

527

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 2904. Roma. 24 ottobre 1910, ore 15,45.

Reggente Governo Colonia Eritrea mi telegrafa quanto segue: «Console d'Italia Hodeida, informando che autorità ottomane hanno pronunciato confisca sambuco italiano «Genova», soggiunge che forse dovrà richiedere intervento nave da

guerra. Prego istruzioni pel caso in cui richiesta mi venga fatta»t. Questo Ministero non ha altre informazioni in argomento. A primo aspetto il caso appare grave specialmente se posto in relazione coi recenti precedenti del sambuco «Sahlan» e dell'arresto di quattro sudditi coloniali: la tendenza delle autorità ottomane allo Yemen ignorare nostri indiscutibili diritti non potrebbe essere più manifesta. Prego V.E. darmi quelle ulteriori informazioni in argomento che ella possedesse ed esprimermi sua opinione circa eventuale invio nave da guerra2.

526 l Così nel documento.

528

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 3741/4581. Therapia, [24] ottobre 1910, ore 18,40 (per. ore 6,30 del 25).

Incidente Hodeida. Versione turca. Un primo telegramma governatore in data 20 corrente informò Governo imperiale cattura sambuco mentre tentava operare Midi sbarco merci contrabbando. Circostanze cattura indicate in modo diverso dal gran vizir e dal direttore generale affari politici. Direzione locale dogana, a termini regolamento, propose mutessarif confisca merce. Mutessarif, sempre a termini regolamento, intimò capitano giustificarsi entro 15 giorni dinanzi tribunale commercio, altrimenti seguirebbe confisca. Atto intimazione mandato al console che rifiutò notificarlo. Un secondo telegramma del giorno seguente 21 ha informato che, trascorsi 15 giorni, il mutessarif ordinò presidente del Tribunale, prefetto del porto, tenente gendarmeria recarsi bordo per operare confisca. Essi trovarono nel sambuco un individuo qualificatosi comandante a cavas consolato pronti difesa armata. Rimanente versione presso a poco simile a versione consolato. Questo dice cattura avvenuta da circa un mese, provata ingiustizia. Commissione doganale aver pronunziato scandalosa sentenza di confisca veliero e carico con multa doppia dei diritti doganali in base principalmente ad ordini telegrafici del valì che sono riprodotti fra i considerando della sentenza. Console criticò, secondo lui, con parole offensive, secondo versione turca, sentenza emanata su tale base e rifiutò notificarla. Saputa poi minaccia esecuzione mandò cavas sul sambuco ed un primo attacco venne respinto. Saputo dell'imminenza di un secondo, si trasferì di persona a bordo col cancelliere lasciando consolato affidato Mezzadri.

527 l T. 6627 del 22 ottobre. 2 Con T. 3470 del 25 ottobre, non pubblicato, Mayor rispose che l'invio di una nave da guerra non poteva «se non giovare». Cfr. anche n. 528. 528 l Risponde al n. 527.

529

IL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SALAZAR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 3746/6711. Asmara, 25 ottobre 1910, ore 11,35 (per. ore 6,30 del 26).

Seguito al mio n. 66271. Pervenuto rapporto Sola circa incidente sambuco «Genova». Contemporaneamente Sola ha telegrafato, via Eritrea, all'ambasciata in Costantinopoli. Trattasi di sambuco che, proveniente da Massaua e diretto a Gjzan, dovette appoggiare nella rada Midì e sbarcarvene petrolio per riparare avarie carena le quali furono constatate da perito nominato dal mudir (governatore) di Midì. Merce sbarcata venne considerata contrabbando e fu reinbarcata sambuco e questo condotto in stato cattura ad Hodeida. Qui vi fu pronunciata sentenza che ordina confisca sambuco e merce e infligge multa doppia dei diritti doganali. Alla opposizione fatta da Sola, fu risposto dal mutessarif che essa non era presa in considerazione e che, ritenendosi scaduto il termine, sarebbe stato proceduto senza altro alla confisca del sambuco e della merce. Sul sambuco portante bandiera italiana fu posto a guardia cavas armato del consolato. Mattino del 21, autorità locale fece fare tentativo assalto a mano armata al sambuco e fu respinto dal cavas. «Dopo di ciò», soggiunse testualmente Sola, «il posto mio è a bordo del sambuco ove mi reco subito e, finché sarò in vita, alla bandiera italiana offesa non sarà recata». Non avendo avuto ulteriori notizie, forse per voluta interruzione telegrafo, ho ordinato «Aretusa» di recarsi ad Hodeida per assumere sul luogo informazioni sull'accaduto e riferirmene.

530

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BOLLATI, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

T. UFF. COLONIALE URGENTE 2640. Roma, 26 ottobre 1910, ore 19,30.

Constandomi che la r. nave «Staffetta» è in imminente partenza per Massaua e non dubitando toccherà Port Said, prego V.E. prevenire comandante che presso quel r. console potrà trovare ordini proseguire Hodeida.

529 l Si tratta del telegramma trascritto al n. 527.

531

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, SPANÒ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1187/471. Tripoli di Barberia, 26 ottobre 1910 (pa il 2 novembre).

Ho l'onore di segnare ricevuta del dispaccio in data 8 corrente n. 303 -Segretariato Generale! -e del telegramma n. 2843 del 19 corrente! pervenutomi soltanto il 22 sera.

Confermo i miei telegrammi nn. 782 e 833 del 15 e 23 corrente.

Appena pervenutomi quello dell'E.V. mi affrettai a comunicarne il contenuto al signor Gutowski, raccomandandogli di insistere efficacemente presso Bin Zikri per persuaderlo a recarsi dal valì e presentargli la domanda sollecitata da Costantinopoli.

Bin Zikri, dapprima esitante, finì per cedere, e domenica 23 corrente, in compagnia di Hassuna pascià, presidente del Municipio, si presentò al governatore.

L'intervento di Hassuna pascià venne consigliato dal Gutowski, nella speranza che la voce del capo della municipalità potesse influire sulle determinazioni del valì.

Bin Zikri rammentò al governatore il memoriale del 25 settembre (vedi R. 2 ottobre n. 431) I; gli disse di aver appurato che a Costantinopoli, dei sindacati esteri sollecitano la concessione delle miniere di fosfati; che questa notizia non aveva mancato di preoccuparlo, e che, per la responsabilità anche che egli, Bin Zikri, ha verso i gruppi egiziano, francese ed italiano del sindacato, aveva creduto necessario richiamare nuovamente l'attenzione di Sua Eccellenza sulla convenienza che l 'impresa in parola venisse riservata alla società nella quale gli arabi tripolini sono cointeressati.

Nel nome dell'interesse del Paese parlò anche Hassuna pascià, ribadendo le considerazioni di Bin Zikri. Presentò anche al valì perché lo leggesse un estratto di un articolo della Revue des deux Mondes (fascicolo del l o ottobre) sulla produzione dei fosfati in Tunisia.

L'articolo mi era stato segnalato da S.E. il barone Mayor; e, a sua richiesta, mi affrettai a rimetterne copia al Gutowski perché ne comunicasse il contenuto a Bin Zikri, a dimostrargli quale fonte di ricchezze potrebbe essere per la Tripolitania questa industria estrattiva.

Sin dalle prime parole di Bin Zikri il valì si mostrò seccato. Le argomentazioni di Bin Zikri e di Hassuna pascià lo irritarono; rispose in termini poco cortesi, che egli non aveva avuto né aveva tempo di leggere il memoriale, che per

2 T. 3578/78, non pubblicato.

3 T. 3723/83, non pubblicato.

ciò di questo famoso affare, ne sapeva assai poco. All'accenno di Bin Zikri ai gruppi cointeressati egiziano francese e italiano, interruppe, come infastidito: «Che bisogno mai avete voi di francesi e di italiani?». L'articolo della Revue, io guardò appena; non volle ascoltar altro, e congedò bruscamente i postulanti.

Dopo di ciò, Bin Zikri, che pur si proponeva di insistere perché il valì trasmettesse una sua nuova domanda a Costantinopoli, non osa più tornare alla carica.

D'altra parte egli non vede quale necessità vi sia di trasmettere questa istanza, quando già, sin dall'agosto scorso, egli ne ha personalmente presentata una al Ministero dell'interno. Gioverebbe, egli dice far rintracciare questa domanda dall'avvocato Sadedin, al quale potrebbe in proposito parlare il Fernandez.

Il Gotowski pure non sa rendersi conto della ragione che ha potuto determinare la richiesta di una nuova domanda. Comunque, egli è di avviso che nulla qui possa ormai più tentarsi, dato il contegno del valì, e che solo ordini da Costantinopoli possano modificare la situazione4.

531 l Non pubblicato.

532

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 3764/362. Vienna, 27 ottobre 1910, ore 0,05 (per. ore 6,20).

Ho intrattenuto oggi conte d'Aehrenthal argomento lettera V.E. 14 corrente I della quale gli ho letto alcuni brani nonché comunicato di cui suo telegramma n. 27432. Conte d'Aehrenthal mi ha ripetuto che Cima Dodici non era località contestata, ma apparteneva Austria e sua appartenenza Monarchia era stata contestata dalla commissione 1905 in seguito esame documenti riconosciuti irrefutabili dai delegati italiani ed austriaci. Questione quindi non era affatto pendente ma definitivamente risolta per Governo Imperiale e Reale il quale non poteva ammettere revisione verbale commissione Sangiaccato dal R. Governo, onde non eragli possibile accettare ultimo capoverso comunicato. Avendogli chiesto se fosse disposto esaminare con reciproca cordialità documenti che erano stati promessi a V.E. qualora provino errore Commissione 1905, conte d'Aehrenthal ha risposto che non avrebbe potuto prenderli in considerazione perché non ammetteva che commissione avesse commesso errore né che si esaminasse se fosse caduta in errore. Egli del resto non poteva convenire nella teoria che si abbia diritto correggere errore di fatto perché se avesse consentito revisione operato commissione avrebbe stabilito principio pericoloso che si possa rivenire sopra atti internazionali già ratifica

532 l Non rinvenuta. 2 Cfr. n. 504.

ti dai Governi contraenti. Alla mia osservazione che egli aveva messo però in diffida il R. Governo provare che Cima Dodici appartenesse Italia conte d'Aehrenthal ha rilevato che aveva pronunziato frase relativa quando non aveva ancora esaminato bene processo verbale commissione 1905 e documenti da essa consultati. Ho creduto allora pregare di nuovo conte d'Aehrenthal non fare possibilmente circa Cima Dodici dichiarazioni qualsiasi seduta plenaria delegazione austriaca che avrà luogo primi di novembre ed evitare dire che non esaminerebbe documenti che gli fossero presentati dal R. Governo. Egli mi ha risposto che non avrebbe potuto a meno di far conoscere come cose stessero in realtà, ove fosse stato interrogato in proposito. Conte d'Aehrenthal ha finito col pregarmi dire a

V.E. che egli era animato dalle più concilianti ed amichevoli disposizioni verso lei e R. Governo e che siccome avevale assicurato nei recenti incontri avrebbe continuato ad essere animato da uguali sentimenti e di essi credeva aver dato prove manifeste nelle recenti sue dichiarazioni delegazioni nell'esprimersi in termini caldi verso Italia e nell'istesso modo che verso Germania. Ma che non poteva consentire nel punto di vista di V.E. circa Cima Dodici la quale era una quistione puramente di frontiera priva affatto di carattere politico e che doveva ritenersi come oramai risolta definitivamente.

531 4 Cfr. n. 545.

533

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI

D. 119. Roma, 28 ottobre 1910.

Segno ricevuta del rapporto 5 settembre p.p. n. 440/87 sulla situazione politica in Etiopia!.

La scomparsa di Menelich dal teatro politico dell'Etiopia, lasciando per successore designato un giovane ancora incapace di governare, ha creato una condizione di cose di natura da indebolire il potere centrale nel momento stesso in cui era più che mai necessario il consolidamento della autorità suprema.

Da questa situazione sono sorte le competizioni fra i capi, che lasciano molto incerti sull'avvenire dell'Impero.

Quanto ella scrive sul!' atteggiamento di ras Tesammà nel partito della reggenza e di ras Oliè nel partito contrario e sulla situazione nel Tigrai, nel Kaffa e nell'Ogaden è una prova di questa incerta situazione. Da essa emerge chiaramente la necessità per parte nostra di perseverare nella politica di assoluta astensione dali 'intervenire nelle cose interne della Etiopia e di neutralità nei conflitti fra i

capi. Questa politica di lealtà e franchezza è tanto più opportuna in Etiopia ove, come in generale fra le popolazioni africane anche più evolute, si apprezzano e si pretendono dai bianchi le qualità onde esse hanno difetto.

Dinanzi infatti alla fioritura di tanti intrighi e al giuoco di tante cupidigie qualsiasi nostro intervento avrebbe per effetto di comprometterci senza offrirei probabilità alcuna di vantaggio. Di qui la assoluta necessità di quel contegno che, tenuto, come VS. fece, con tatto e dignità, ci hanno valso fiducia e rispetto.

Nel momento attuale pertanto, essendo nostro grande interesse che la integrità della Etiopia sia mantenuta, conviene adoperarsi a salvaguardare il futuro, profittando della presente favorevole situazione per far convergere l'opera nostra nel campo economico a vantaggio delle due nostre Colonie.

533 l Cfr. n. 448.

534

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2245/964. Vienna, 28 ottobre 1910 (per. il 4 novembre).

Mi riferisco al mio rapporto del 17 corrente numero 2152/9391. La commissione per gli affari esteri della delegazione austriaca si è riunita ieri per continuare la discussione del bilancio degli affari esteri. Venne innanzi tutto approvata la relazione del marchese di Bacquehem, che era stata distribuita anteriormente ai delegati. Questo documento parafrasa punto per punto i due discorsi fatti dal conte di Aehrenthal. Ritengo riferire testualmente il passo concernente l'Italia che è del seguente tenore: «L'Italia ha conservato durante la crisi un contegno leale e fedele ali 'alleanza, cooperando amichevolmente alla soluzione della crisi, soprattutto per quanto concerneva i nostri rapporti col Montenegro. Nel discorso del trono che definisce come molto soddisfacente i rapporti con tutte le Potenze, si accenna con speciale calore alle relazioni con l'Italia. Il ministro fece, nella sua esposizione, interessanti comunicazioni alla commissione circa i suoi colloqui col marchese di San Giuliano2 ed egli procurò di mettere in rilievo la crescente intimità fra i Gabinetti di Vienna e di Roma. La commissione ha preso conoscenza con soddisfazione di queste comunicazioni ed ha apprezzato in tutta la sua importanza il riavvicinamento fra la Monarchia e l'Italia. Deve qui essere ricordato con compiacenza che autorevoli giornali italiani scrissero, in occasione del viaggio di S.M. l'Imperatore in Bosnia-Erzegovina, che l'Austria-Ungheria aveva esercitato con l'annessione un diritto riconosciutole tacitamente dall'Europa già da molto tempo. L'Italia non ha alcuna ragione di dubitare dell'assicurazione che l'Austria-Ungheria ha raggiunto con l'annessione tutto ciò cui poteva aspirare e

534 ' Non pubblicato. 2 Cfr. nn. 433, 436, 489.

quindi può salutare con sincero compiacimento l'accoglienza calorosa preparata in Bosnia-Erzegovina al cavalleresco e venerato sovrano».

La commissione passò quindi a discutere la mozione Seitz colla quale il Governo è invitato ad intavolare trattative col Governo italiano circa la limitazione degli armamenti navali.

Il delegato Schwegel, membro della Camera dei signori, ritiene impossibile una tale convenzione fra due Stati soli, senza l'adesione delle altre Potenze. Si vuoi sostenere che gli interessi politico-commerciali della Monarchia non riecheggono il rinforzo della sua marina da guerra, ma ciò è errato. Rileva come una proposta di limitare gli armamenti possa solamente venir fatta -siccome fu provato negli ultimi anni -da una Potenza assai più potentemente armata delle altre: tale era il caso dell'Inghilterra quando alcuni anni or sono propose alla Germania di limitare i reciproci armamenti navali. Ad evitare i malintesi che il rigetto della mozione Seitz potrebbe originare, ritiene utile che il relatore rilevi nella motivazione orale delle singole mozioni che la commissione è convinta dell'adesione eventuale dei Governi austriaco ed ungherese alle trattative che potessero iniziarsi per un tal disarmo e dell'accoglienza simpatica che essi faranno a tutte le iniziative tendenti alla diminuzione degli aggravi provocati dagli armamenti navali e di quelli per l'esercito in genere, purché in pari tempo si procurino maggiori garanzie per la conservazione della pace.

Il delegato socialista Renner combatté invece in favore della mozione Seitz, dicendo che per l'Italia circondata completamente dal mare una marina forte è una necessità, mentre l'Austria, forte per terra, non ha bisogno di tanti armamenti navali. Ritiene che gli armamenti stessi siena determinati da influenze personali fra le Corti di Vienna e Berlino e domandò che lo Stato si sottragga all'influenza di fattori irresponsabili. Chiese che l'intesa con l'Italia abbia luogo e si proceda al progressivo disarmo nell'Adriatico.

Posta ai voti la mozione Seitz essa è respinta ed è invece accolta quella del delegato Schwegel. Il delegato Renner dichiara di ripresentare la mozione Seitz in forma di un voto della minoranza.

535

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA E PARIGI

T. 2979'. Roma, 29 ottobre 1910, ore 14.

R. ambasciatore in Pietroburgo telegrafa che Sazonow gli disse essere ancora possibile un terreno di conciliazione a Parigi pel prestito ottomano mentre banche

germaniche non sarebbero in grado concedere un prestito neppure di centocinquanta milioni; essere inesatto quanto credesi a Berlino intorno ad insistenze della Russia a Parigi per far fallire il prestito; aver il ministro delle finanze ottomano detto a Tscharikoff che la Turchia si vedrebbe obbligata di venire colla Germania ad accordi che potrebbero avere carattere politico, ma secondo Sazonow queste parole avere soltanto scopo di indurre Russia ad adoperarsi a Parigi per la riuscita del prestito. D'altro canto, A varna telegrafa che Aehrenthallo informò di aver avuto da finanzieri austriaci domanda se potevano partecipare al prestito e di aver dato risposta favorevole e di prevedere che la Turchia si rivolgerebbe alla Germania.

535 1 Trasmesso anche all'ambasciata a Vienna con T. 2978 con l'eccezione dell'ultimo paragrafo.

536

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 2984. Roma, 29 ottobre 1910, ore 16.

Comandante «Aretusa» telegrafa da Hodeida quanto segue: «Autorità ottomane ordinato illegalmente sequestro sambuco Eritrea' accusandolo contrabbando. Console italiano opponendosi, autorità locale ordinava assalto sambuco per impossessarsene. Tale fatto venne impedito dal console Italia che personalmente imbarcavasi sul sambuco alzandovi bandiera da guerra. Attualmente situazione migliorata essendo in corso proposte per arbitrato. Console ritornato suo posto. Ho preso sambuco sotto mia protezione, terrovvi guardia sino fine incidente. Mi risulta che autorità loro piacimento impediscono trasmissione telegrammi».

Prego V.E. protestare nel modo più efficace contro arbitraria sospensione invio telegrammi segnalata dal comandante «Aretusa» e chiedere invio ordini Hodeida perché grave infrazione non si ripeta.

537

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO .. ./374. Vienna, 31 ottobre 1910 1.

Conte d'Aehrenthal mi ha detto che desiderava parlarmi del movimento esistente nel Veneto per Cima Dodici e delle ricerche che facevansi ora colà per

riunione documenti alcuni dei quali risalivano ad epoca molto remota nell'intento accampare pretese non solo sopra quelle località ma anche sopra altre località facenti parte del territorio austriaco. Tale movimento era provocato dagli irredentisti i quali vedendo che relazioni tra Italia e Austria-Ungheria erano diventate vieppiù cordiali cercavano con ogni mezzo in loro potere di sollevare questioni ed incidenti inopportuni per far nascere possibilmente un 'agitazione contro Monarchia. Conte d'Aehrenthal mi ha pregato attirare particolare attenzione V.E. sopra tale movimento che avrebbe potuto a lungo andare essere nocivo a nostri reciproci rapporti. Credeva che unico modo tagliarvi corto fosse di non tardare far conoscere chiaramente opinione pubblica italiana conclusioni commissione 1905. E tanto più necessario credeva che ciò si facesse da parte del R. Governo che nella risposta del Governo Imperiale e Reale, che sperava rimettermi in breve, al promemoria consegnatogli dall'E.V. in Torino si accennava a vari punti della frontiera comune i quali dovevano essere ancora determinati. Se per tali punti un'agitazione simile a quella per Cima Dodici fosse sorta in Italia la cosa avrebbe potuto divenire forse grave. Conveniva quindi fare cessare fin d'ora agitazione ora esistente giacché ove avesse perdurato quando determinazione punti suddetti frontiera fosse venuta sul tappeto essa avrebbe potuto assumere proporzioni tali da dar luogo a serie difficoltà ed intorbidare conseguentemente nostri rapporti.

536 l Si intenda «dell'Eritrea», «eritreo». Si tratta, in tutta evidenza dell'incidente determinato dalla cattura del sambuco «Genova» (cfr. nn. 527-530).

537 l Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo.

538

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3858/469. Costantinopoli, [2] novembre 1910, ore 2,30 (per. ore 18,45).

Mesopotamia. Preghiamo Theodoli ed io sollecitare risposta precedenti telegrammi. Gli affari di Persia rendono i Giovani Turchi ed il gran visir vieppiù ansiosi avere nostra cooperazione. Trattasi per ora metterli semplicemente in grado di resistere insistenti pressioni inglesi e per ciò occorre e basta pronto invio ingegnere capace, volenteroso, il quale avrà, qui e sui luoghi, ogni facilitazione, nonché dall'ingegnere Caprioli le necessarie istruzioni. Spese sua missione qui, e Mesopotamia per tempo occorrente largamente calcolate in l O mila franchi. Non comprendonsi le esitazioni. Impresa non presenta rischio di capitale, il clima è ottimo, i pagamenti garantiti sulle eccedenze del debito pubblico; abbiamo appaltatori sempre pronti recarsi nelle più lontane regioni, giovani ingegneri che non domanderebbero meglio e, quando anche i capitalisti non riuscissero poi ad intendersi, avremmo dato prova di buon volere ai Giovani Turchi nel momento in cui ci richiedono di un servizio e smentito il concetto adombrato da Hakki a Theodoli che gli italiani non mostrino attività se non in Tripolitania. Ad ogni modo, Theodoli non può più a lungo tenere a bada gran visir e Comitato e converrebbe che almeno io personalmente conoscessi pensiero del Governo di Sua Maestà, sia per norma, sia per fame parte a Theodoli secondo che V.E. ordinerà!.

539

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 3023. Roma, 2 novembre 1910, ore 22.

Ambasciatore di Turchia, venuto oggi a vedermi, mi ha confermato in sostanza, circa incidente di Hodeida, informazioni riprodotte nel telegramma di V.E. n. 4581. Aggiunse soltanto che lo sbarco aMidi aveva avuto luogo di notte, che il sambuco era stato condotto a Hodeida in conformità del regolamento doganale del 17 aprile 1863, che fu a suo tempo ammesso da tutte le Potenze; e che giusta intese italo-turche del 1902 sambuchi con bandiera italiana sono riconosciuti sotto protezione italiana ma senza beneficiare delle capitolazioni e conformemente principi diritto internazionale generale. Ambasciatore Turchia ha anche domandato richiamo «Aretusa». Ho rifiutato richiamo r. nave aggiungendo che «Staffetta» non sarà mandata Hodeida se incidente non si aggraverà. Quanto trattamento sambuchi eritrei ricordo a V.E. che, secondo intese 1902, essi dovevano essere trattati «en tout cas sur le pied de tout autre pavillon qui dans des circostances analogues serait le plus favorisé». Ricordo all'E.V. soluzioni soddisfacenti ottenute 1905, 1906 nei casi sambuco «Assab» con carico dura, rapporto codesta ambasciata 19 giugno 1906, e sambuco «Teresa» con carico tabacco che, sebbene destinato Aden e sequestrato lungo costa Yemen, fu restituito. In questi casi fu riconosciuto principio in virtù ordini imperiali che intervento autorità per sequestro merce sbarcata poteva essere ammesso unicamente quando sambuco si disponesse trafugarla.

540

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 3026. Roma, 3 novembre 1910, ore 12, 15.

Rispondo al suo telegramma n. 4691. Ho tardato a rispondere al precedente telegramma perché di giorno in giorno speravo darle una risposta concreta. Fino

539 l Cfr. n. 528. 540 l Cfr. n. 538.

ra non si è trovato alcun capitalista disposto tentare impresa così ingente e di cui non son ben determinate le condizioni. Non ho fondi sul mio bilancio per invio ingegnere. Cercherò altro modo, ma, se codesto Governo è disposto a pagarli, potremo probabilmente mandargli tecnici valentissimi.

538 1 Per la risposta cfr. n. 540.

541

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 3046. Roma, 4 novembre 1910, ore 20,45.

Giornali riproducono notizia seguente da Costantinopoli: « È tornata in questi giorni dalla Tripolitania una commissione di tre impiegati della Sublime Porta e del Ministero de li'interno, incaricato di studiare le condizioni politiche di quei vilaiet. La relazione che questa commissione ha presentato al gran visir dice che in Tripolitania gli italiani vanno acquistando terre così largamente come fecero già i francesi in Tunisia, e che questa tendenza è pericolosa per la Turchia, giacché coll'andar del tempo gli italiani si troveranno di fatto padroni della regione. La commissione propone quindi di proibire la vendita di terre agli stranieri e di consolidare l'autorità e l'influenza governative con la cessione di larghe zone agli indigeni e specialmente ai turchi anche non residenti in Tripolitania». Prego V.E. di appurare e riferirmi se queste informazioni sono fondate l.

542

Il MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 3893/131. Cettigne, 5 novembre 1910, ore 5,30 (per. ore 9,50 del 6).

È mia impressione condivisa dai miei colleghi d'Austria-Ungheria e di Francia che il re Nicola siasi diretto al re di Bulgaria in gran segretezza per indurlo ad agire contro la Turchia alla prima occasione favorevole che potrebbe non essere lontana. Ha fatto rinascere questo pensiero la questione degli emigrati albanesi ed il malcontento che regnerebbe in tutta l'Albania in seguito introduzione nuovo regime. Un collega generalmente bene informato mi ha assicurato che i capi più autorevoli dell'esercito montenegrino consigliano il re passare senz'altro il confine ed entrare Albania considerando momento propizio rapido colpo di ma

no fino a Scutari, ma non mi pare possibile che, allo stato attuale delle cose, siffatto consiglio sia ascoltato. Segue rapporto.

541 l Per la risposta cfr. n. 565.

543

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3901/382. Vienna, 6 novembre 1910, ore 14,39 (per. ore 17,35).

Dispaccio riservatissimo, Gabinetto, n. 131. Aehrenthal mi ha fatto rimettere dal signor Mtiller risposta Governo Imperiale e Reale ultimo promemoria consegnatogli da V.E. circa incidenti frontiera e che trasmetto oggi per posta. In questa risposta, Aehrenthal propone cominciare senza indugio delimitazione punti contestati, procedendo dapprima verificazione confini alla foce Aussa e nelle vicinanze Cormons che potranno essere intrapresi senza inconvenienti in inverno e rinviando in primavera continuazione delimitazione altri punti in litigio nell'ordine seguente: l) confine Val di Porcile-Porta Incudine; 2) confine Lago di Garda a Tione; 3) confine colle detto Hilfserilch; rileva che Cima Dodici non è compresa lista perché vetta montagna è territorio austriaco e che linea frontiera in tal punto non è stata contestata nel 1905 dai delegati italiani commissione mista di Borgo. Nell'accettare proposta di V.E. che commissione delimitazione sia composta funzionari grado superiore muniti pieni poteri e a cui crede doversi aggiungere cartografi ed ingegneri civili, accenna regola da seguire per determinare corso frontiera nonché forma e dimensioni nuovi cippi di frontiera ecc. Constata infine con soddisfazione intenzione R. Governo dare truppe italiane frontiera istruzioni impartite dal Governo Imperiale e Reale proprie truppe, e ricorda sua proposta restringere misura possibile, riservandola casi bisogno assoluto, facoltà passare frontiera ad una distanza alcuni metri per acquistare viveri.

544

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 3068. Roma, 6 novembre 1910, ore 18,50.

Incidente «Genova». Mi riferisco rapporto Sola 20 ottobre 511 diretto V.E. Per ulteriore trattazione costà, chiamo attenzione V.E. su seguenti punti che dal

544 l Non rinvenuto.

detto rapporto e annesso risultano accertati. l) Una dichiarazione ufficiale del facente funzioni mudir di Midi accerta che un ufficiale perizia ha constatata l'avaria del «Genova» che per ripararla approdò rada Midi e sbarcò parte carico. 2) Contrariamente affermazioni questo ambasciatore Turchia e gran visir, atto intimazione comparire innanzi dogana Hodeida fu dal r. console regolarmente notificato nacuda e proprietario carico. 3) Sentenza commissione doganale 20 ottobre 1910 fu emanata per ordine espresso del valì Yemen come risulta dai considerando. R. console si rifiutò notificarla agli interessati essendo evidente non solo il diniego di giustizia ma anche la pressione ed indebita ingerenza dell'autorità politica coll'amministrazione della giustizia. 4) Il 31 ottobre vi fu tentativo assalto mano armata da parte autorità locali contro sambuco. 5) Dalle carte di bordo risulta regolare in modo assoluto la spedizione della merce da Massaua a Gizan. Credo opportuno aggiungere che il sambuco «Genova» appartiene ad uno dei più stimati commercianti della Colonia El Gal decorato croce cavaliere corona d'Italia.

543 l D. del 6 novembre, non pubblicato.

545

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. RISERVATO 219. Roma, 6 novembre 1910.

Avendo il commendatore Fernandez telegrafato al cavalier Bresciani di far presentare subito da ben Zikri al valì di Tripoli l'istanza per inviare una missione tecnica a riconoscere i giacimenti di fosfati, aderendo al desiderio manifestatomi, telegrafai al reggente il consolato di Tripoli di comunicare il testo al signor Gutowski affinché agisse in conseguenza.

Con rapporto 26 ottobre! il signor Spanò riferisce che ben Zikri dapprima esitante finì poi col cedere alle insistenze del signor Gutowski e il giorno 23 ottobre u.s. si presentò al governatore in compagnia di Hassuna pascià presidente del municipio.

Copiare rapporto 26 ottobre n. 11872.

Prego la S.V. di voler indagare per quale ragione sia richiesta ora una nuova domanda, se come viene affermata, una identica fu già da tempo presentata al Ministero dell'interno. Ma evidentemente questa nuova domanda che ora si esige non è che un pretesto per far rimandare e possibilmente far naufragare tutta l'impresa. Ed il contegno così recisamente ostile del valì ne è una prova. Occorre quindi che la S.V. richiami l 'attenzione di codesto Governo su quanto precede e

poiché ogni ulteriore azione a Tripoli sarebbe ora vana, procuri che siano da Costantinopoli emanati degli ordini perché cessi questa ingiustificata ed ingiustificabile diffidenza verso di noi, e la questione dei fosfati non sia più oltre ostacolata.

545 l Cfr. n. 531. 2 Da «L'intervento di Hassuna pascià ...» a «Il Gutowski pure ... nuova domanda», con l'omissione del periodo «L'articolo mi era stato segnalato ...».

546

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 3925/385. Vienna, 7 novembre 1910, ore 10,30 (per. ore 6,50 dell '8).

Telegramma riservatissimo di V.E. n. 3070'. Aehrenthal mi ha detto che anche il ministro d'Austria-Ungheria a Cettigne avevalo informato di aver avuto da alcuni sintomi impressione che esistesse una certa intelligenza tra re Nicola e re Ferdinando. Quantunque generale di Giesl non fosse entrato in particolari al riguardo, era da supporre che tale intelligenza non avesse altro scopo che una azione comune in determinate eventualità nei Balcani.

Ministro imperiale reale non avevagli però fatto cenno alcuno delle disposizioni che si avvertirebbero nei capi esercito montenegrino per un passaggio di esso in Albania.

A questo proposito, Aehrenthal mi ha informato che il re Nicola, avendogli chiesto alcuni giorni fa consiglio sul da farsi di fronte emigrazione di albanesi nel Montenegro, avevagli fatto dire che avrebbe dovuto mettersi in rapporti con la Turchia per regolare questione direttamente con essa. Egli non aveva mancato, in pari tempo, di consigliare Sublime Porta abbandonare politica poco opportuna che seguiva verso le popolazioni albanesi, la quale non mirava che a disgustarle, e cercare intanto di attirare di nuovo nei loro Paesi quelli che avevano emigrato nel Montenegro.

Gli risultava, però, che queste, che a quanto si affermava, erano sussidiate dal Governo montenegrino, rifiutavano di tornare in Albania nel timore autorità ottomane non mantenessero promesse che facevano loro per indurii a farvi ritorno.

Dalle ultime notizie pervenutegli sembrava che il Governo ottomano cominciasse a modificare il suo contegno verso quelle popolazioni. Per cui aveva fatto consigliare Nicola agevolare il loro ritorno in Albania. Ignoro cosa Sua Maestà avrebbe fatto, giacché l'avere quelle popolazioni sul proprio territorio avrebbe potuto essere in ogni eventualità una carta nel giuoco che avesse creduto di fare.

546 I T. riservatissimo 3070 del 6 novembre, non pubblicato, ma cfr. n. 542.

547

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2228/204. Bucarest, 7 novembre 1910 (per. il 24).

Nel mio rapporto n. 70 del 15 aprile scorso', riferendo all'E.V. sulla situazione politica interna in Rumania, accennai alle condizioni precarie del Gabinetto Bratiano. Ora, a quanto apprendo a titolo confidenziale da autorevole sorgente, la sua sorte sarebbe decisa ed esso si ritirerebbe poco dopo l'apertura della sessione parlamentare, che avrà luogo come al solito il 28 corrente, oppure verso il Natale ortodosso. Il re avvertì anzi già Bratiano che, malgrado egli possegga sempre una forte maggioranza nelle Camere, l'opinione pubblica non sorreggendo più l'amministrazione attuale bisogna che i liberali cedano il posto ad altri. La Maestà Sua gli ricordò in pari tempo di non avergli mai promesso di !asciargli fare le elezioni generali politiche al termine della presente legislatura, cioè nella prossima primavera. Aggiungerò che, secondo notai a varie riprese nel mio carteggio con codesto ministero, sonvi nel partito due correnti opposte corrispondenti agli elementi diversi che lo compongono, vale a dire l'estrema sinistra (antico gruppo parlamentare socialista fusosi col partito liberale) ed i vecchi liberali, fra i quali il presidente del Consiglio creò grave malcontento subendo troppo l'influenza dell'estrema e lasciandosi spesso guidare da essa. D'onde frequenti attriti che tolsero forza al ministero.

Bratiano sembra rassegnato, ma si mostra abbastanza depresso.

Stando sempre al mio informatore, il sovrano non avrebbe ancora preso una decisione definitiva riguardo il successore di Bratiano. È però assai probabile venga incaricato della formazione del nuovo Gabinetto il signor P.P. Carp, capo del vecchio partito conservatore storico. La Maestà Sua stima infatti più corretto ed opportuno di chiamare prima al potere quest'ultimo piuttosto che il neo partito conservatore-democratico creato e capitanato dal Take Ionesco, partito che non ha ancora fatto prova di sé al governo ed il cui stato maggiore, essendo composto in massima parte di uomini nuovi e di parecchi avventurieri politici, non affida molto per la formazione d'un Gabinetto serio, malgrado la grande intelligenza e la esperienza degli affari del Take Ionesco, che negli ultimi venti anni tenne portafogli nei varii Gabinetti dei conservatori prima di staccarsi da loro in principio del 1908 per formarsi un partito a sé. Re Carlo intende tuttavia di porre al signor Carp due condizioni; vale a dire di non disfare l'opera di riforme agrarie e sociali dei liberali e di astenersi da atti e manifestazioni aggressive verso gli Stati slavi e lo slavismo. Il signor Carp, ben noto come grande germanofilo e caldo fautore d'una stretta intimità della Rumania colla Triplice Alleanza, ha infatti il torto

grave per un uomo di Stato aspirante alla direzione degli affari del proprio paese di non saper porre una sordina ai suoi sentimenti di diffidenza e d'antipatia verso tutto ciò che è slavo. Motivo per cui il mio collega di Russia, che si loda molto di Bratiano, non vedrebbe naturalmente con piacere il di lui avvento al potere. La condizione in parola appare quindi tanto più savia e giustificata nel momento attuale di diffidenze reciproche tra la Rumania e la Bulgaria in seguito alla notizia della conclusione d'una convenzione militare turco-rumena, alla quale pare si presti fede a Sofia, e tenuto conto della condotta poco prudente del Gabinetto presieduto dallo stesso P.P. Carp nella vertenza bulgaro-rumena del 1900 (vedi tra gli altri i miei rapporti n. 160 del 30 agosto e n. 165 del 12 settembre 1900), nonché delle dichiarazioni anti-slaviste da lui fatte nel dicembre 1909 alla Camera dei deputati nel corso della discussione della risposta al messaggio reale d'apertura della sessione (mio rapporto n. 423 del 23 dicembre)2.

È però opinione di molti qui che se i liberali, dai quali sembra egli speri da principio almeno la neutralità, si uniranno ai conservatori-democratici per combatterlo nelle elezioni generali alle quali sarà costretto di procedere appena insediato, non essendo da aspettarsi che le Camere liberali gli votino neppure i bilanci, il signor Carp riuscirà a formarsi una ben piccola maggioranza e non potrà mantenersi a lungo al potere3.

547 l R. 770/70, non pubblicato.

548

IL CONSOLE GENERALE A TREBISONDA, GORRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 314/79. Trebisonda, 7 novembre 1910 (per. il 25).

Durante il mio non breve viaggio per recarrni in residenza, a Costantinopoli durante la fermata colà fatta, e qui nel periodo trascorso dal mio arrivo ad oggi, ho avuto manifestazioni da parte di molti greci, che credo mio dovere di recare a cognizione di V.E.

In case private, in negozii, uffici, e anche in qualche consolato sono stato baciato e abbracciato, con effusione che mi parve sincera e spontanea, nella mia qualità di cittadino italiano e di r. console. La frase ripetuta come una parola d'ordine: «L'Italia è l'unica nostra amica: tutti ci abbandonarono, meno voi» risuonò spesso al mio orecchio, e non mancò di farmi una certa impressione.

A Patrasso, al Pireo, e a Costantinopoli fui colpito dalla quantità del minuto commercio italiano in Grecia, certamente superiore a quanto rivelano le statistiche doganali, e in potenzialità di sensibile aumento. A Inebolu, a Samsun, a Kerassunda e

3 Per il seguito della questione cfr. n. 616.

qui, stante l'assenza della bandiera mercantile greca, rappresentata prima da due linee di navigazione settimanali, in causa del boicottaggio che perdura rigorosissimo, forti negozianti dissero e ripeterono ai rr. agenti consolari, a quelli marittimi e a me che sarebbero disposti a fare tutte le loro operazioni coi vapori italiani.

lo non voglio trarre illazioni, e sono disposto, anzi, a fare la tara e a porre dei dubbi sovra la consistenza di siffatte manifestazioni, conoscendo la mobilità e la volubilità del carattere ellenico, che non permettono ad alcuno di fare sopra di essa alcun sicuro assegnamento e fondamento. Ma, infine, vedendo quanta e quale parte hanno nei traffici e nella vita d'Oriente i greci, che vi si sono resi indispensabili e padroni, a me sembra savia politica quella di trarre vantaggio da questa situazione, che ci permette di essere buoni amici, ad un tempo, dei greci e dei turchi, che restano fino a questo momento in così gravi, generali e inconciliabili antipatie, dissidii e rivalità, da far temere lo scoppio di una guerra.

I greci, che secondo le più recenti e accreditate statistiche sono entro i confini del loro Regno in numero di due milioni e quattrocentomila, salgono a circa sei milioni (cinque milioni e mezzo secondo il Trietsch) comprendendovi quelli sparsi in tutto il mondo, soprattutto nel Levante e in Africa. Un milione di essi vive nell'Asia minore, soprattutto nelle città del litorale. Qui in Trebisonda sono un numero di diecimila, levantini, sudditi ottomani: solo duecentocinquanta circa risultano veri sudditi ellenici. Hanno il monopolio del rifornimento delle materie alimentari della città, degli scali maggiori e minori del Mar Nero, oltre a molti altri commerci di vario genere. Sono di una attività e parsimonia straordinarie: fra essi se ne annoverano non pochi ricchissimi, molti agiatissimi, quasi tutti benestanti: sentono fortemente il patriottismo, e morendo fanno legati cospicui per istituzioni in patria o a favore delle colonie. Qui appunto, per esempio, come effetto un lascito pio, c'è un ospedale greco appena finito di costruire, degno, quale fabbricato, di una grande città.

Il boicottaggio ha danneggiato molto il commercio locale e la navigazione dei greci, per quanto essi, agili sempre di ingegno e di risorse, si siano industriati ed abbiano trovato nuovi sbocchi ai loro prodotti, soprattutto in Bulgaria, e se ne siano così indennizzati. Chi ha sofferto di più sono i turchi, sono le popolazioni delle città; e siamo noi stranieri che scontiamo maggiormente gli effetti del boicottaggio, perché, essendo mancato il rifornimento e il cabotaggio dei greci, tutti i generi di prima necessità hanno subito un forte rincaro ed elevazione rapida di prezzi, e molti non si trovano più o non si trovano in sufficiente quantità sul mercato. La marina turca non può supplire né tenere il posto della greca: le altre linee estere, essendo dedite al grande traffico internazionale, trascurano quello locale.

Il mantenere -con molto tatto -buoni rapporti con i greci senza offendere la suscettibilità e l'amor proprio dei turchi, diventati ora tanto più difficili e pretenziosi di un tempo, può giovare ai fini della nostra politica, soprattutto di quella commerciale.

E perciò, pur senza fare alcuna conclusione, ho creduto di riferire quanto sopra a titolo di notizia e quale manifestazione dello spirito dominante nel presente momento in queste regioni.

N.B. Del presente rapporto invio copia alla r. ambasciata a Costantinopoli.

547 2 In realtà si tratta del R. 243 (cfr. n. 22).

549

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 3949/152. Addis Abeba, 8 novembre 1910 (per. ore 22,15) 1.

Riferimento telegramma n. 30442. Faccio osservare: l) che consiglio governatore del Benadir far coincidere lavori delimitazione con nostra avanzata in alcune regioni oltre Balad risponde perfettamente a quanto ho ripetutamente esposto e dimostrato nei miei rapporti sulla necessità di fare precedere invio missione dalla occupazione effettiva nostri territori ove nostra autorità non è ancora riconosciuta e rispettata; 2) che, una volta iniziati lavori da parte della missione mista, sarà difficile poterli arrestare proprio nel punto che segna limite tra regione sicura e regione pericolosa; 3) che per le condizioni territori prossimi Scebeli e per la responsabilità che incombono al Governo etiopico per sicurezza missione, questo farà certo accompagnare suoi delegati da forte scorte che dovrà necessariamente vivere sul paese e che moltiplicherà per conseguenza probabilità conflitti. Quindi, pur confermando capitano Citerni categoriche istruzioni per carattere pacifico missione, non posso escludere eventualità che essa debba incontrare difficoltà e pericoli derivanti dalla situazione in Somalia e della nostra deficienza preparazione3.

550

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 966/303. Pietroburgo, 8 novembre 1910 (per. il 18).

Da alcuni giorni trovasi colla famiglia a Pietroburgo, per presenziare allo sgombero della sua istallazione, il signor Iswolsky, il quale tra una quindicina di giorni si propone di partire per la sua nuova residenza di Parigi. Ebbi occasione di avvicinare a diverse riprese l'ex ministro degli affari esteri e dai nostri colloqui ho avuta l' impressione che, per quanto grande sia in lui il sollievo di essersi finalmente liberato di un fardello che la sua nervosità e la sua non troppo buona salute si rifiutavano a sopportare più a lungo, permaneva tuttavia in fondo al cuor suo un sentimento di profonda amarezza per le ingiustizie e gli attacchi subiti.

5491 Il telegramma fu trasmesso ad Asmara, pari data, ore 18,45.

2 Con T. 3044 del 4 novembre, non pubblicato, di San Giuliano, oltre a riferire l'opinione del governatore del Benadir in merito ai lavori di delimitazione, confermava categoricamente il carattere non militare della missione Citemi.

3 Per la risposta cfr. n. 611.

Il poco benevolo commiato datogli in generale dalla stampa sia russa che estera non poteva che riescire sommamente penoso a chi, come lui, è particolarmente accessibile ai giudizi dei giornali. Ma ciò che più sembra averlo addolorato si è la campagna di malevolenze e di insinuazioni intrapresa contro di lui in Germania. Ultimamente ancora in occasione della visita dello czar a Postdam' i giornali tedeschi che al suo successore prodigavano le frasi più adulatrici, non trovavano per lui e per l'opera sua che espressioni improntate alla massima ostilità. Il signor lswolsky non sapeva bene spiegarsi la ragione di un tale contegno. Nei 4 anni del suo ministero egli non poteva ricordarsi di un solo fatto che anco da lontano potesse avere qualche sembianza di ostilità verso la Germania, mentre al contrario egli poteva annoverare molti ma molti atti della Germania, in Persia, in Turchia ed altrove, che erano palesemente diretti contro di lui. In tutta la sua opera diplomatica, assicuravami il signor lswolsky, egli non si lasciò mai guidare da sentimenti di animosità verso la Germania con cui volle anzi sempre mantenere quei tradizionali rapporti di amicizia e di buon vicinato così impellentemente richiesti dagli interessi dinastici politici ed economici delle due Potenze. Tutta la sua azione si indirizzò, egli è vero, principalmente all'obbiettivo di garantire nel miglior modo possibile gli interessi della Russia, ma chi può asserire a colpa di un ministro degli affari esteri di difendere anzitutto la causa del proprio Paese? Al signor Sassonoffvanno ora tutte le lodi e le lusinghe dei governanti germanici, aspiranti anzitutto a far mutare rotta alla Russia, ma egli teme che questa luna di miele sarà di breve durata, giacché il suo successore non potrà seguire altra politica della sua.

Il signor lswolsky non ha tutti i torti di dolersi dell'attitudine a suo riguardo della stampa germanica e fino ad un certo punto pure di quella dei ministri germanici che si sono spesse volte mostrati verso di lui particolarmente duri e severi. Egli non dovrebbe dimenticare però che fu lui l'iniziatore del riavvicinamento co Il' Inghilterra e ciò al momento appunto in cui sotto l'impulso del defunto re Edoardo, la politica britannica si faceva specialmente ostile contro la Germania. Sarebbe ora troppo contare sulla magnanimità del Governo e dell'opinione pubblica tedesca esigendo da loro riconoscenza per questo fatto. Così pure all'epoca della grave crisi internazionale, suscitata dall'annessione della Bosnia ed Erzegovina, il signor Iswolsky mise nei suoi diverbi col Gabinetto di Vienna una nota così intensa di animosità personale quale non si riscontra l'eguale nella storia delle relazioni delle due cancellerie. Le manifestazioni di questa ostilità di cui il signor Iswolsky era soverchiamente prodigo dovevano naturalmente ottenere una perniciosa ripercussione anche a Berlino, dopodiché il Governo germanico si era in tale questione apertamente dichiarato solidale col suo alleato austro-ungarico. Di tali animosità personali va scevro il suo successore il quale nei suoi rapporti con Berlino e Vienna, si lascierà certamente guidare da criteri più obbiettivi. Anche poi, se continuatore della politica di intesa con l'Inghilterra a lui non anderanno però in egual misura le rampogne destate contro chi di questa politica si era fatto l'ideatore e l'artefice.

550 l Cfr. n. 551.

551

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3950/219. Berlino, 9 novembre 1910, ore 14,10 (per. ore 16,40).

Parlandomi dei risultati della visita dello czar, Kiderlen Waechter mi disse non essersi concluso nessun accordo formale né trattata veruna modificazione della situazione politica esistente. Bensì furono messi in chiaro con reciproca soddisfazione i lievi malintesi verificatisi fra i due Governi in questi ultimi tempi. Egli si dichiarò assai compiaciuto del linguaggio e dell'attitudine di Sazonoff, col quale sarà facile, anche in avvenire, mantenere uno scambio fiducioso di idee, il che non poteva sempre farsi con Iswolsky. Circa la questione di Persia compresi essere state scambiate dichiarazioni rassicuranti avendomi Kiderlen Waechter confermata la sua convinzione che né Russia né Inghilterra pensano ad una qualsiasi spartizione territoriale, la quale avrebbe per effetto di creare fra le due Potenze gravissimi contrasti. Mi riservo di indagare se venne preparata una ripresa dei negoziati rimasti sospesi circa la questione della futura ferrovia di penetrazione, questione troppo complicata per aver potuto essere trattata nell'attuale circostanza, altrimenti che in via generica e preliminare. Kiderlen Waechter aggiunse in via confidenziale, autorizzandomi ad informare VE., che essendosi accorto non essere nell'animo di Sazonoff dissipato ogni sospetto circa i progetti del Gabinetto di Vienna riguardo ai Balcani, egli lo aveva rassicurato colla dichiarazione che, non solo gli risultava non avere quel Governo alcuna velleità di estensione territoriale, ma che nessuna simile eventualità era contemplata negli accordi colla Triplice Alleanza e che, anzi, qualora essa si producesse in più o meno lontano avvenire, né Germania, né Italia non sarebbero né impegnate né disposte prestarvi il loro appoggio. Queste formali dichiarazioni, egli concluse, sembravano aver pienamente tranquillizzato Sazonoff.

552

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2558/1019. Vienna, 9 novembre 1910 (per. il 14).

Mi riferisco al mio rapporto del 28 ottobre scorso numero 2245/964'.

La delegazione austriaca tenne ieri la sua seconda riunione plenaria, cominciando ad esaminare il bilancio degli affari esteri.

Prese per primo la parola il delegato slavo meridionale Sustersié che lamentò che la convocazione delle delegazioni possa essere ritardata per opera di un avvenimento come è, ad esempio, l'opposizione di una minoranza all'attività del Parlamento di Budapest. Deplora quindi che alle delegazioni non partecipino rappresentanti di Bosnia ed Erzegovina. Quanto alla crisi felicemente trascorsa, osserva che essa fu, se non altro, utile a far rilevare il patriottismo esistente nella Monarchia. Gli slavi che pure erano all'opposizione votarono fino all'ultimo centesimo le spese militari, giudicando essere la patria superiore a qualsiasi lotta di parte. Venendo a parlare dell'aiuto dato dalla Germania all'Austria-Ungheria, l'oratore esprime l 'avviso che con la politica di intima alleanza alla Germania, la Monarchia finisca col dipendere troppo da quello Stato, mentre, se non militarmente, almeno politicamente, è più forte della Germania che è circondata da numerosi nemici. In queste condizioni l'alleanza riesce assai più utile alla Germania che all'Austria-Ungheria. Opina che sarebbe necessaria maggiore dignità negli uomini di Governo per impedire che una Potenza straniera avesse ad occuparsi degli affari interni della Monarchia, siccome accada facciano gli uomini di Stato italiani.

Circa i rapporti itala-austro-ungarici crede siano caratterizzati in due modi diversi: da un lato vi sono le solenni dichiarazioni dei rispettivi uomini di Governo constatanti identità di vedute in tutte le varie questioni; dall'altro si scorge in Italia del nervosismo allorché l'Austria-Ungheria si arma. Questa contraddizione ha un carattere paradossale. Un uomo di Stato italiano disse che le relazioni fra l 'Italia e l'Austria-Ungheria sono tali che queste due Nazioni possono solamente essere alleate o nemiche. L'oratore ritiene che il solo modo per garantirsi l'alleanza dell'Italia sia quello di essere forti. In Italia ognuno sa che l'Austria-Ungheria non pretende nulla e quindi non si comprende il nervosismo esistente verso la sua alleata.

Il delegato passa quindi a trattare dello scarso numero di slavi che vi sono nella diplomazia austro-ungarica domandando che essi siano in avvenire ammessi con maggiore larghezza. È indispensabile che la politica austro-ungarica nei Balcani muti indirizzo in modo da far acquistare alla Monarchia una forte posizione in quella regione.

In conclusione l'oratore approva la politica estera seguita negli ultimi due anni, ma non il sistema delle alleanze vigente, che ritiene deleterio per l'indipendenza e la dignità dell'Austria-Ungheria.

Parlò quindi il delegato barone di Gautsch, ex-presidente del Consiglio dei ministri austriaco, che pronunciò un forte discorso di lode ed approvazione incondizionata alla politica del conte di Aehrenthal, dimostrando come l'annessione fosse indispensabile e non potesse avvenire che nel momento prescelto dal ministro imperiale e reale. L'autorevole oratore, ascoltatissimo, espresse in fine l'augurio che per il benessere della patria più numerosi giovani di famiglie facoltose si dedichino per l'innanzi alle carriere governative.

Il delegato serbo dottor Balyak dice che tutta la politica degli ultimi anni può essere denominata come una politica anti-serba. E in tale politica si continua cosicché sono frasi prive di significato quelle pronunziate dal ministro imperiale e reale circa la simpatia colla quale la Monarchia accompagna gli sforzi dei vari popoli balcanici verso un maggiore sviluppo economico e politico.

Prese quindi la parola il delegato tedesco dottore di Grabmayr che, dopo aver approvato la politica del conte di Aehrenthal durante l'annessione, si compiacque della comunicazione contenuta nel discorso della Corona e nelle dichiarazioni del conte d'Aehrenthal circa la saldezza delle alleanze dell' Austria-Ungheria. Venendo a parlare specialmente dell'Italia riconobbe che questa ha diritto al riconoscimento del leale suo contegno, naturalmente però i servizi resi dalla Germania alla Monarchia sono indubbiamente assai maggiori. È lieto che i rapporti ufficiali fra i Governi italiano ed austro-ungarico siano così cordiali; riconosce che le interviste dei ministri degli affari esteri rispettivi contribuiscono a rafforzare le buone relazioni oltre che a far constatare una perfetta identità di vedute; anche l'altissima onoreficenza italiana concessa al conte d'Aehrenthal è un sintomo felice. Però vi è pure il rovescio della medaglia costituito dai continui armamenti, dai forti concentramenti di truppe e dalle fortificazioni che l 'Italia fa al confine orientale, dalle grandi navi che l'Austria-Ungheria è costretta a costruire non certo per difendersi dalla flotta inglese o da quella francese. Tutto ciò è anormale e costituisce un paradosso storico. Purtroppo manca la simpatia fra i due popoli. In Italia non ci si è ancora abituati ad immaginare l'Austria come uno Stato liberale, moderno, democratico. Inoltre non bisogna scordare i legami che vincolano gli italiani ai loro fratelli dell'Austria. Più spesso ingiustamente, talvolta però giustamente, si ritiene nel Regno che agli italiani d eli' Austria sia fatto un trattamento differente che alle altre nazionalità. Da ciò sorge quel malcontento che produce le aspirazioni degli irredentisti. Non è quindi strano che si guardi con un certo scetticismo all'alleanza coll'Italia. L'oratore constata quindi gli errori del Governo Imperiale e Reale di fronte all'Italia, soprattutto quello commesso col non istituire l'università italiana. Circa la propaganda contro l'irredentismo non vi è che un solo mezzo e cioè quello di trattare meglio gli italiani soggetti ali' Austria, accordando loro quanto è necessario per lo sviluppo della loro cultura, della loro lingua e della loro nazionalità. Soggiunge che l'Austria tende volonterosa la mano all'Italia cui è unita da tanti vincoli di cultura ed essa le domanda però in cambio la fedeltà ed una leale buona vicinanza nonché il ricambio di sentimenti di simpatia. Però sarebbe desiderabile che anche in Austria non fossero tenuti discorsi della natura di quello del dottor Porzer, primo viceborgomastro di Vienna. Conchiuse affermando che fra l'Austria-Ungheria e l 'Italia deve tenersi sempre presente la divisa: patti chiari, amicizia lunga.

Nel discorso pronunciato dal delegato Masaryk, concernente specialmente i rapporti austro-russi, si accenna all'azione dell'Italia di fronte al Montenegro durante la crisi dell'annessione, designandola siccome temporeggiante e si nota come negli ultimi anni il commercio italiano, specialmente in Oriente, abbia fatto una seria concorrenza a quello austro-ungarico.

Dopo altri discorsi dei delegati Herzmansky e Simionovici, senza speciale importanza, prese la parola il conte d'Aehrenthal per rispondere subito ali 'interpellanza rivoltagli dal dottor Seitz e compagni circa il discorso pronunziato dal vice-borgomastro di Vienna dottor Porzer.

L'interpellanza era concepita nei termini seguenti.

Il vice-borgomastro designò l'occupazione di Roma come «una macchia scandalosa» e come un «ignominia». «È chiaro che simili espressioni sconvenienti e contrarie al vero sono atte ad intorbidare i rapporti fra due alleate». Ma queste offese a Nazione amica necessitano pertanto di essere seriamente respinte giacché potrebbe in Italia, non senza fondamento, farsi strada il sospetto che circoli responsabili politici austriaci abbiano forse desiderato simili attacchi e li abbiano ad ogni modo approvati nell'intimo loro. Al comizio partecipavano anche due ex-ministri austriaci, capi di un partito col quale così il Governo austriaco come il Ministero degli affari esteri mantengono intimi rapporti e che viene considerato come il partito dell'arciduca ereditario, cosicché potrebbe credersi ali' estero che questi attacchi ali' indipendenza dell'Italia rispecchino l'intimo pensiero dei circoli competenti in Austria-Ungheria. Il Ministero degli affari esteri deve tanto più evitare che si formi una tale credenza che nella riunione venne direttamente chiesto il ristabilimento della effettiva sovranità del pontefice, ciò che non significa altro se non che l'Austria-Ungheria dovrebbe partecipare alla distruzione de li 'unità italiana. Pertanto si domanda al ministro degli affari esteri: «È egli disposto di affermare innanzi alle delegazioni che l'Austria-Ungheria vuole astenersi da ogni immistione negli affari interni dell'Italia e specialmente che essa riconosce l'unità costituzionale del Regno d'Italia e non pensa in alcun caso di attentarvi? È egli disposto a comunicare alle delegazioni che cosa abbia fatto di fronte alla protesta del Sommo Pontefice contro il discorso del sindaco di Roma?».

La risposta del ministro imperiale e reale fu del seguente tenore: «È un principio fondamentale noto ed universalmente riconosciuto non essere ammissibile l 'intervento negli affari interni di uno Stato. L'Austria-Ungheria si attiene irrevocabilmente ad un tale principio e lo osserverà naturalmente anche di fronte all'Italia colla quale si trova dal 1881 in uno stretto legame di amicizia.

Circa il discorso del sindaco di Roma si deve osservare che Nathan non è un funzionario governativo. Coi suoi discorsi, colle sue critiche, egli impegna solamente sé personalmente, non il Governo italiano. A tale proposito vorrei rilevare che gli attacchi contro il Santo Padre provocarono ovunque una grande agitazione e che questa agitazione e la deplorazione furono specialmente grandi ed intense in Italia.

Un analogo punto di vista può essere assunto di fronte al discorso del viceborgomastro Porzer all'adunanza di avant'ieri. Esso pure non è un funzionario governativo e con quanto dice impegna la sua persona e non già il Governo austriaco».

Dopo di che la seduta venne tolta e rinviata ad oggi.

552 l Cfr. n. 534.

553

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 2392/1039. Vienna, 9 novembre 1910 (per. il 23).

Mi pervenne il primo corrente il dispaccio segnato in margine t col quale l'E.V. nel trasmettermi copia di un telegramma della r. ambasciata in Londra e di un dispaccio da lei diretto al r. ambasciatore in Berlino intorno agli affari di Persia, richiamava la mia attenzione sull'ultimo alinea di quel dispaccio invitandomi a conformarmi, ove lo credessi opportuno, alle istruzioni ivi contenute per ciò che concerne questa r. ambasciata, intrattenendo il conte d'Aehrenthal nel senso delle istruzioni stesse.

Ricevetti poi il 3 corrente il telegramma dell'E.V. n. 30212 con cui, nel riferirsi ad altro telegramma del r. ambasciatore in Berlino circa la quistione, ella mi faceva conoscere che, condividendo le considerazioni svolte in proposito dal commendator Pansa, la comunicazione da lei fattami col dispaccio suddetto doveva intendersi per informazione e norma di linguaggio e non per parlame adesso al conte d' Aehrenthal e mi ingiungeva quindi di astenermi dall 'intrattenerlo per ora dell'argomento.

Per ciò che mi riguarda non posso che consentire pienamente nelle considerazioni che circa la quistione furono sottomesse all'E. V. dal commendator Pansa che non avrei mancato io pure di sottometterle, se nel frattempo non fossi stato da lei informato della interpretazione da darsi alle sue istruzioni.

In appoggio delle considerazioni da lei svolte il r. ambasciatore in Berlino ha ricordato con ragione quanto avvenne a proposito del Marocco.

E dal mio lato mi permetto di ricordare ali 'E.V. l'impressione men che favorevole prodotta sul conte d' Aehrenthal dall'esitazione a cui fu impresso il nostro contegno nella prima fase dell'ultima crisi balcanica e che venne qui considerata da lui e da questa opinione pubblica come poco conforme ai principi sui quali si basa la nostra alleanza (mie lettere particolari del 17 febbraio e 14 aprile 1909).

Le oscillazioni, che furono allora notate nella nostra linea di condotta, generarono qui malumori e diffidenze e dettero occasione al conte d' Aehrenthal di farmi intendere come l'Austria-Ungheria non potesse fare sull'Italia lo stesso assegnamento che faceva sulla Germania, giacché essa non erasi trovata, come quella Potenza, nei momenti critici attraversati dalla Monarchia, al lato della sua alleata, sebbene avesse ripreso, trascorsi quei momenti, il filo d eli' antica sua politica.

553 I D. 527 del 28 ottobre, non pubblicato. 2 T. del 2 novembre, non pubblicato.

E dopo che fu liquidata del tutto la quistione dell'annessione della Bosnia Erzegovina, il conte d'Aehrenthal mi pregò di far conoscere a S.E. l'onorevole Tittoni che non credeva si potesse ammettere che nelle questioni internazionali, nelle quali gli interessi di uno dei suoi alleati erano implicati, l'Italia si trovasse o facesse supporre di trovarsi in un campo diverso da quello dei suoi alleati stessi, siccome era avvenuto nel periodo suddetto, e che se una tale eventualità si fosse prodotta in altre circostanze, ciò non avrebbe potuto certo giovare ai nostri rapporti d'alleanza.

L'onorevole Tittoni avendo abbandonato poco dopo la Consulta, io feci cenno, dietro desiderio dello stesso conte d'Aehrenthal, delle cose da lui dettemi al suo successore conte Guicciardini, con lettera particolare del 20 dicembre 19093, riservandomi di confermargliele a voce, con maggiori particolari, al mio giungere in Roma, ciò che feci nel mese di dicembre stesso e credetti inoltre di tenerne pure parola all'E. V. nel marzo scorso nel primo incontro ch'ebbi l'onore di avere con lei in Senato, al momento in cui ella assunse il portafogli degli affari esteri.

Se quindi noi intendessimo tenere per la terza volta, durante, cioè, lo svolgimento della quistione di Persia, di fronte ai nostri alleati, un contegno vacillante o riservato, non dissimile da quello seguito a proposito del Marocco e dell'annessione della Bosnia Erzegovina, ciò, oltre a produrre in essi una sgradevole impressione, potrebbe forse avere conseguenze non del tutto confacenti ai nostri interessi.

Qui si comprende che per le sue relazioni colla Francia e coll'Inghilterra e per gli interessi speciali che a queste relazioni si collegano, l'Italia debba nuancer la sua linea di condotta in modo tale da evitare, da un lato, di mettersi in urto con esse per non danneggiare quelle relazioni, perché ciò non potrebbe non essere di nocumento al!' alleanza e di non venir meno, dali' altro, agli obblighi che l'alleanza stessa le impone.

Ma se devesi tener conto delle dichiarazioni del conte d' Aehrenthal, a cui sopra accennai, non è da supporre che egli possa ammettere, da parte dell'Italia, una linea di condotta, la quale, astenendosi dali 'interloquire in modo generico ed assoluto in una questione internazionale in cui sono implicati gli interessi dei suoi alleati, potesse far generare quei malumori e quelle diffidenze stesse che avvennero nelle circostanze surriferite e far dubitare quindi della consistenza dei patti da noi conclusi con loro.

Tale linea di condotta non sarebbe certo conforme ai nostri interessi immediati, perché potrebbe es porci a non avere, in caso di difficoltà, quell 'appoggio da parte dei nostri alleati, che, in analoghi frangenti, noi non ci saremmo mostrati disposti di prestar loro.

553 3 Non rinvenuta.

554

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, NANI MOCENIGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1210/345. Sofia, 9 novembre 1910 (per. il 15).

La discussione sull'indirizzo del Sobranie in risposta al discorso della Corona è avvenuta anche quest'anno, come di consueto, in forma piuttosto ampia, essendo forse questa la principale circostanza di cui i varii partiti si valgono per discutere a fondo la politica del Ministero. Negli ultimi giorni hanno pertanto preso la parola i capi dei partiti nazionale, liberale, progressista e stambulovista: a tutti ha risposto il signor Malinoff con un lungo discorso di cui invierò a giorni la traduzione del testo ufficiale che mi è stato promesso da questo Ministero degli affari esteri. Credo però conveniente di anticipare, almeno in modo riassuntivo, quella parte delle dichiarazioni del presidente del Consiglio che si riferisce alla politica estera del Paese.

Il signor Malinoff ha innanzitutto constatato la cordialità dei rapporti esistenti fra le varie Potenze e la Bulgaria. Circa le relazioni di questa cogli Stati confinanti e l'annunziata convenzione turco rumena, egli ha detto: «Le nostre relazioni colla Turchia sono buone e tali devono mantenersi magari a costo, talvolta, di reciproche concessioni. Le relazioni colla Romania sono sempre state buone e tali si conserveranno per l'avvenire. La notizia della conclusione di una convenzione turco-rumena, che io credo non esista, non modificherà per nulla le nostre relazioni colla Turchia e colla Romania».

Questo linguaggio è stato in generale qui interpretato nel senso che i governanti bulgari dimostrano di aver fatto tesoro della lezione che è stata loro data colla minaccia della conclusione di una convenzione militare turco-rumena, e sono pertanto entrati in un ordine di idee pacifico e conciliante. D'altra parte però, della minacciata convenzione, il signor Malinoff non si mostra eccessivamente allarmato in quanto sa benissimo che essa, in ogni caso, non avrebbe carattere aggressivo. Se la Romania invero ha tutto l'interesse che la Bulgaria, in causa delle sue segrete mire sulla Dobrugia, non diventi troppo forte, essa è egualmente interessata a che i diversi Stati balcanici non siano di soverchio indeboliti e vivano di un'esistenza indipendente e decorosa ad evitare eventuali spartizioni della penisola balcanica in zone d'influenze dalle quali, in causa della sua situazione geografica, la Romania stessa potrebbe essere un giorno minacciata.

Questa convinzione ha inspirato le parole remissive, ma degne e tranquille, del signor Malinoff, delle quali conviene pertanto prender atto con soddisfazione in quanto costituiscono un affidamento che, salvo circostanze imprevedibili, non partirà per qualche tempo da Sofia alcuna seria minaccia allo statu quo.

555

IL CONSOLE GENERALE A HODEIDA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 3982/18. Massaua, 10 novembre 1910 (per. ore 20,35).

Faccio seguito al mio telegramma n. 171. Primo: carico sambuco è petrolio: parte dello stesso sbarcato a Midi per forza maggiore fu considerata ingiustamente contrabbando, avendo Governo Yemen con manifesta ostilità per interessi italiani rigettato arbitrariamente certificato mudir e perito. Secondo: rifiutai notificare agli interessati sentenza contraria perché mostruosa legalmente e diretta danneggiare profondamente nostra situazione politica economica in Mar Rosso, come dimostrai nel mio rapporto a V.E. 20 ottobre, n. 822 e a r. ambasciata in varie altre comunicazioni: è dovere dei consoli servire tramite autorità locale e amministrati proprii per notificazioni normali, ma, più che deficiente indegno sarebbe il console che notificasse loro atti disonesti incivili oltreché immensamente dannosi interessi nazionali; per parte mia, ho il supremo conforto di aver combattuto coll'intelletto e la vita le mostruosità di questi governanti che annientai totalmente con immenso beneficio della nostra situazione generale contro cui essi cospiravano. Terzo: in diritto, astrazione fatta da quanto precede, cattura sambuco sulla costa, suo rimorchio Hodeida e susseguente procedimento giudiziario pel tramite console non costituiscono violazione vigente trattato di commercio con la Turchia e regolamento doganale; epperciò inviai regolarmente amministrati innanzi Commissione doganale (mio rapporto n. 83)3; in fatto, cattura fu ingiusta perché contraria ordini tassativi Sublime Porta 1905 al Governo locale (miei rapporti nn. 70 e 76 illustrano ampiamente accordo 1902 e prerogative 1905)4, per conseguenza, se tollerai cattura onde evitare incidente, protestai però molto energicamente presso valì per arbitrario, vessatorio suo contegno. Quarto: procedura regolare da adottare verso sambuco eritreo sarebbe quella sino ad ora rispettata cioè piena protezione nostri secondo diritto capitolare sui velieri stessi in base accordi 1902. Circa sudditi eritrei ai quali convenzione predetta non concede protezione italiana nel Yemen, io ottenni e esercitai codesta protezione senza eccezione alcuna durante intera mia gestione e particolarmente nei due ultimi clamorosi casi; tale diritto acquisito non dovrebbe mai abbandonarsi. In quanto vantaggi acquisiti nel 1905, essi constano puramente da provvedimenti amministrativi Sublime Porta tuttora vigenti, ma revocabili; sarebbe tuttavia desiderabile siano mantenuti. Quinto: proposi a r. ambasciata Commissione arbitrale composta in

2 Non rinvenuto.

3 R. 525/83 del 20 ottobre, non pubblicato.

4 Non rinvenuti.

numero eguale italiani turchi, affinché, procedendo revisiOne pura e semplice processo, si possano avere giudizi sereni onesti colle volute garanzie. Sentenza fu compilata conformemente intimidazione scritta mutessarif Hodeida nonché ordine scritto valì, intimidazione e ordine enunciati per colmo nella sentenza: quindi oltrecché inaccettabile codesto documento esclude altro nuovo giudizio tranne arbitrale precitato, poiché risultato secondo uguaglierebbe primo per intromissione arbitraria valì e mutessarif occupanti tuttora loro posto. Condizioni sambuco ed equipaggio essendo piuttosto critiche, sarebbe da augurarsi sollecita definizione vertenza.

555 l T. 3938/17, del1'8 novembre, non pubblicato.

556

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3980/225. Berlino, 10 novembre 1910, ore 20,30 (per. ore 22,15).

Telegramma di V.E. n. 30961. Le riferite dichiarazioni di Aehrenthal circa nuovo prestito ottomano corrispondono al concetto professato in proposito dai circoli governativi di Berlino. In realtà si era qui ritenuto, fino all'ultimo, che esso finirebbe malgrado tutto per concludersi a Parigi e si manifesta sorpresa per l'attitudine di Pichon che ha fatto perdere alla Francia i profitti dell'operazione e la sua posizione privilegiata nei rapporti finanziari colla Turchia. In presenza dell'appello della Sublime Porta, Governo Imperiale ha quindi incoraggiato formazione del consorzio tedesco-austriaco raccomandando l'abbandono di ogni condizione avente apparenza di immistione politica, ma non è dubbio che esso stesso vi si indusse a scopo indiretto d'influenza politica e di prestigio morale. Questo scopo essendosi ora ottenuto, ciò non toglie che qui si riconosca impossibile che Turchia non sia costretta per i suoi crescenti bisogni a ricorrere nuovamente al mercato francese, mentre, per il prestito attuale, si dovette procurare concorso di ben 33 istituti germanici od austriaci; ne è da escludersi che, prima del termine previsto per l'esecuzione della seconda parte dell'operazione, possa intervenire un qualche accomodamento con le banche di Parigi.

556 I T. dell'S novembre, non pubblicato, col quale si trasmetteva il T. 3922 del 7 novembre da Vienna, chiedendo un parere sulle seguenti dichiarazioni di Aehrenthal: «Non disconosceva che prestito, ove fosse concluso, avrebbe potuto avere forse certe conseguenze politiche, non già perché Germania ed Austria-Ungheria attribuissero alla sua stipulazione carattere politico, ma perché Francia aveva voluto mischiare la politica in tale questione che era puramente economica e tale veniva considerata dalle Potenze suddette».

557

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 39761145. Pietroburgo, 10 novembre 1910, ore 18,05 (per. ore 20,40).

Sazonoff si dimostrò meco assai soddisfatto dei risultati del convegno di Potsdam che aveva indubbiamente contribuito a rischiarare la situazione. Da principio gli era sembrato trovare ancora nei ministri Germania un'ombra di risentimento, tanto che il cancelliere gli aveva detto avere in questi ultimi tempi la Russia cercato di ignorare la Germania, ma egli si lusingava di essere riuscito a dissipare nei signori Bethmann-Hollweg, Kiderlen-Waechter ogni vestigio di dubbio circa la lealtà delle intenzioni della Russia. Su tutte le questioni passate in esame erasi verificata una soddisfacente conformità di vedute, senza che da una parte e dall'altra sia stato fatto il minimo tentativo per un cambiamento dell'attuale raggruppamento politico. Anche riguardo alla Persia una intesa era stata raggiunta e stava presentemente elaborandosi un progetto di nota riguardante in particolare modo la questione della ferrovia nella zona d'influenza russa ed in cui veniva tenuto conto dell'interesse economico della Germania. Questi interessi Germania, soggiungeva il signor Sazonoff, sono però per la maggior parte musica dell'avvenire, mentre per la Russia trattasi di interessi reali immediati. Nel mentre Sazonoff vivamente deplorava il contegno della stampa russa e germanica, si dimostrava invece sinceramente convinto della ferma volontà del Governo tedesco di mantenere colla Russia i tradizionali rapporti di amicizia.

558

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2364/1 021. Vienna, 10 novembre 1910 (per. il 14).

Mi riferisco al mio rapporto di ieri numero 2558/10I91. La delegazione austriaca tenne ieri la sua terza seduta plenaria, continuando la discussione sul bilancio degli affari esteri.

Parlò per primo il delegato agrario czeco Udrzal, il quale chiese l'equiparazione degli czechi ai tedeschi. Rilevò come durante la crisi de li'annessione, si siano accusati tendenzialmente gli czechi di essere anti-militaristi ed anti-patrioti. Un delegato disse persino essere difficile di simpatizzare per gli slavi di Boemia

perché questi sono un elemento sovversivo e perché al Ministero degli esteri si posseggono documenti comprovanti che a Praga si era preparata la rivoluzione per il caso che fosse scoppiata la guerra colla Serbia. Criticò infine le troppo frequenti gite dell'imperatore di Germania a Vienna.

Parlò quindi il delegato polacco conservatore cavaliere di Koslowski deplorando le tristi condizioni fatte ai polacchi così in Russia che in Prussia. Quest'ultima espelle con tutti i pretesti ogni polacco austriaco che si rechi a lavorare colà. Dopo aver fatto un quadro generale dei vari aggruppamenti politici europei, l'oratore venne a parlare dell'Italia, rilevando la contraddizione esistente fra le dichiarazioni di intima amicizia che vengono fatte ad ogni incontro di ministri ed i continui armamenti. Una tale stato di cose non può durare perché è una contraddizione inesplicabile che si viva in rapporti di alleanza con uno Stato e si armi in pari tempo contro di esso.

Pur dichiarando di non volersi intromettere nella questione della polemica sorta fra il primo vice-borgomastro di Vienna ed il sindaco Nathan, sostiene che le offese al papa non devono considerarsi come un affare interno dell'Italia giacché, secondo il principio statuito nella Legge sulle guarentigie del 1870, sebbene questa legge non sia riconosciuta dal Vaticano, si accordano al pontefice i diritti di un sovrano, e secondo le norme del diritto delle genti un sovrano non deve essere offeso. I romani dovrebbero anzi essere riconoscenti al papa per i suoi meriti di fronte alla civiltà ed all'arte. Se il papato commise degli errori questi vennero anche riconosciuti nella storia ufficiale di esso.

Il delegato socialista dottor Renner esordisce ripetendo la protesta dei socialisti già enunciata nelle sedute della commissione per gli affari esteri. Accusa la politica estera austriaca di conservare anche nel ventesimo secolo il carattere aulico e dinastico ed attacca la dinastia che in Austria, contrariamente al concetto che della Monarchia si professa nel diritto costituzionale moderno, appare come un terzo potere superiore ai popoli. Dopo aver accennato alla questione bosniaca ed al neo-slavismo, rileva come la dinastia sia legata al partito cristiano-sociale ed a questo proposito parla del discorso pronunciato il 6 corrente dal vice-borgomastro dottor Porzer ed alla risposta data all'interpellanza presentata dal delegato Seitz dal conte d' Aehrenthal. La dichiarazione del ministro imperiale e reale è bensì corretta, ma unilaterale, giacché egli credette necessario fare un'osservazione sul discorso del sindaco di Roma, tralasciando invece di fare altrettanto riguardo al vice-borgomastro di Vienna che pure avrebbe meritato biasimo. Ciò sarebbe stato tanto più necessario che il dottor Porzer appartiene al partito dominante nello Stato e che si qualifica come partito dell'arciduca ereditario. Venendo a parlare della politica interna dell'Austria, disse di ritenere che, se i popoli che formano l'Impero fossero abbandonati a sé medesimi, come accade nella Svizzera, essi avrebbero trovato da un pezzo la pace e non si preoccuperebbero più della politica estera. Circa la Triplice Alleanza disse che essa consiste nell'interesse delle tre Potenze dell'Europa centrale e che non è stata conclusa grazie alla sapienza degli uomini di Stato, ma semplicemente perché era necessaria di fronte alla civiltà ed agli interessi della Russia, differenti da quelli dell'Europa centrale.

I socialisti non vogliono affatto combattere la Triplice, che anzi essi sono in perfetta armonia con i loro compagni tedeschi. Nessuna meraviglia quindi se i socialisti tedeschi dell'Austria hanno per l 'imperatore di Germania e della sua politica lo stesso concetto che i socialisti tedeschi. Se qualcosa minaccia la Triplice, questa consiste nel modo irrequieto con cui l 'imperatore Guglielmo agisce di fronte all'Europa, ingerendosi di tutto egli mise già ripetutamente in pericolo la Triplice Alleanza. Ora i socialisti austriaci desiderosi di pace non vogliono assumersi la responsabilità di tutto quanto l'imperatore di Germania va dicendo per il mondo. Essi non vogliono esser coinvolti nei problemi politici non interessanti la Monarchia, giacché la Triplice non deve essere altro che un'alleanza difensiva dell'Europa centrale. I socialisti vogliono inoltre avere nella Triplice una garanzia riguardo ali' Italia. L'Austria arma contro l'Italia ed in pari tempo dichiara di essere con essa in buoni rapporti. Quando la Turchia era debole e pareva dovesse essere spartita poteva esistere un antagonismo fra la politica dinastica austriaca e l'imperialismo italiano, giacché l'Albania sembrava un territorio senza padrone. Rafforzatisi i turchi, venne meno questa causa di attrito fra le due alleate, né può essere sufficiente ragione di dissidio l'irredentismo, il quale non è se non un comodo pretesto per l'amministrazione della guerra austro-ungarica che se ne vale per mantenere artificialmente l'inimicizia con l'Italia. Certamente in Italia, per ragioni storiche, si è ostili all'Austria. Ma l'Austria è in migliore posizione dell'Italia avendo fortezze naturali sulle Alpi. Potrebbe così conservare un esercito agguerrito ma diminuire la propria flotta. Si parla sempre degli armamenti dell'Italia diretti esclusivamente contro l'Austria, ma si dimentica la enorme estensione delle coste italiane da difendere, mentre in Austria-Ungheria al di fuori di Trieste e di Fiume non si hanno da difendere che delle coste brulle. Dichiara inoltre che i socialisti persisteranno nel presentare sempre nuovamente delle mozioni per diminuire gli armamenti navali.

L'oratore, accennando alla questione bosniaca, nota che nel libro rosso non vi è traccia delle cose pubblicate dai giornali austriaci che provocarono tanto allarme in Austria. Egli si domanda se il ministro imperiale e reale a Belgrado ha potuto veramente lasciarsi ingannare circa i documenti comparsi nel processo Friedjung che furono una mistificazione brutale e che servirono a suscitare il patriottismo nella Monarchia calunniando uno Stato estero. L'annessione non fu in complesso che una montatura di un avvenimento poco significante per se stesso, inscenata semplicemente per procurare un successo alla dinastia ed appagare la smania degli armamenti.

Al delegato Renner che fu richiamato all'ordine dal presidente della delegazione per le espressioni da lui usate nel parlare dell'imperatore Guglielmo, seguì il delegato radicale czeco Klofac il quale lamentò che sotto l'influenza della politica estera, l 'indirizzo della politica interna austriaca sia divenuto anti-slavo. La crisi degli anni scorsi è finita felicemente; ma si giunse quasi ad una conflagrazione europea e quel pericolo causò enormi aggravi che pesano sui contribuenti. Né questo basta, perché l'Austria non ebbe mai un deficit così disastroso nella sua bilancia commerciale né un'emigrazione così grande. L'oratore parlò egli stesso delle accuse di tradimento mosse agli slavi di Boemia e rammenta di essere egli stesso stato fatto segno a persecuzioni. Allorché la polizia comprese che non si poteva trovar colpa alcuna negli czechi, fu assunto al servizio come agente provocatore un tale Mascek, più volte condannato per truffe.

Questi scrisse una lettera che venne intercettata dalla polizia colla quale si voleva far credere che esistessero delle relazioni fra il partito socialista czeco ed i circoli di Belgrado. L'oratore poté fortunatamente produrre l'originale della lettera e smascherare l'intrigo ordito dalla polizia, ma malgrado le sue proteste non riuscì a far arrestare l'agente provocatore. Egli scagionò inoltre gli czechi dall' accusa di essere anti-militaristi.

Parlò quindi il delegato clericale tedesco dottore Stumpf il quale domandò al ministro degli affari esteri che vi fosse di vero nell'annuncio corso che l'AustriaUngheria intendesse rinunciare al protettorato dei cattolici in Albania e disse che non si dovrebbe rinunciare ad un'arma economica così importante. Parlando delle relazioni coll'Italia disse che il delegato Grabmayr le ha lumeggiate molto esattamente, come possono farlo coloro che abitano presso il confine. Succede spesso di notare certe punture di spillo dell'Austria contro l'Italia, malgrado sia evidente che l'Austria non farà mai una politica aggressiva contro la sua alleata. Gli uomini di Stato italiani sono certamente buoni amici della Triplice Alleanza ed è da sperare che anche il marchese di San Giuliano sarà uno strenuo difensore della Triplice. La base fondamentale della politica austro-ungarica non è peraltro la Triplice ma la duplice austro-germanica. Tanto meglio se il terzo alleato aiuterà la duplice, ma l'essenziale è che continui l'intimità e la forza dell'unione austrotedesca. Parlando del discorso del vice-borgomastro dottor Porzer osservò come in occasione della pubblicazione dell'enciclica di San Carlo Borromeo il ministro austriaco del culto si sia affrettato a rassicurare il supremo consiglio della Chiesa evangelica, spiegando molto energia nel respingere la pretesa offesa alla Chiesa riformata. Oggi invece che si tratta non di un'offesa supposta ma di una reale accusa contro una comunità riconosciuta dallo Stato quale è la Chiesa cattolica e di una irrisione delle istituzioni di essa, il Governo non ha dimostrato fretta di difendere la Chiesa e non si può nemmeno pretendere adunque che esso si sdegni quando l'ebreo e massone Nathan che per caso è sindaco di Roma, scaglia invettive contro la Chiesa romana. Il ministro degli esteri, per motivi comprensibili, si è imposto un certo riserbo, ma tuttavia ha accennato alla grande agitazione suscitata anche in Italia dal discorso di Nathan. Conchiuse dicendo che i cattolici domandano che il papa sia sovrano libero ed indipendente.

Parlò quindi il conte d'Aehrenthal, il quale premesso di assumere tutta la responsabilità per il ritardo nella convocazione delle delegazioni, resa impossibile dagli avvenimenti esterni ed interni dello scorso anno, accennò alle alleanze nei seguenti termini:

«Particolarmente importante e soddisfacente mi appare la concordia circa la questione delle alleanze. La relazione presentata dal relatore constata che, giusta le dichiarazioni della maggioranza dei delegati, le alleanze furono riconosciute perfettamente rispondenti ai nostri interessi. Queste alleanze avranno però per noi e per i nostri alleati tanto maggior valore quanto maggior cura porremo nello sviluppare ed elevare la nostra potenza militare di terra e di mare. Appoggiati così sopra la nostra propria forza come su quella dei nostri alleati, possiamo guardare fiduciosi all'avvenire, anche se questo, contrariamente alle aspettative, dovesse arrecare nuove tempeste. Lavoriamo innanzi per la pace, cioè per il consolidamento delle relazioni dove ciò è necessario e per il mantenimento di fiduciosi rapporti con tutte le Potenze».

Il ministro constatò poscia che tutte le Potenze nutrono sincero desiderio di conservare la pace e dichiarò di non vedere in Europa nessuna questione tale da poter provocare una conflagrazione.

«Coll'annessione la Monarchia è satura territorialmente. La prova più manifesta ne fu data da Sua Maestà che ordinò il ritiro delle truppe che si trovavano dal 1879 nel Sangiaccato. Con ciò la Monarchia ha chiaramente manifestato di non voler tutelare i propri interessi politici ed economici per mezzo dell' espansione. Ciò che giova al suo bene inteso interesse è l'indipendenza ed il pacifico consolidamento della Turchia che noi procurammo sempre e procuriamo tuttora di promuovere, nonché l'indipendenza ed il pacifico sviluppo degli altri Stati balcamcm.

Constatò quindi con soddisfazione che le sue dichiarazioni circa le relazioni con l'Italia vennero salutate con soddisfazione e che gli eccellenti rapporti col R. Governo sono stati giustamente apprezzati, e proseguì in proposito testualmente così:

«Si è però e non ingiustamente rilevato che queste intime relazioni non sono del tutto all'unisono con tal une manifestazioni che appaiono qui, come in Italia, nell'opinione pubblica. Ebbi già occasione di accennare a questa circostanza e ritengo sia utile trattare lealmente di queste divergenze che non raramente appaiono, giacché credo che col fermo proposito di evitarle si può contribuire ad eliminare i preconcetti e ad illuminare l'opinione pubblica.

Mi attengo fermamente aiJa politica delle alleanze da lungo tempo esperimentata, esprimo il sincero proposito che la visione della utilità dell'alleanza basata sopra reciproci interessi possa, in Italia, come da noi, affermarsi in sempre più vasti circoli e produrre una più calda e cordiale corrente fra i popoli.

Questo scopo verrà raggiunto tanto più rapidamente quanto più presto si riconoscerà in Italia che l'ordine delle cose da noi si è fondamentalmente mutato e che la nostra politica odierna, nei rapporti coi nostri vicini meridionali, segue vie conformi ai tempi mutati, completamente diverse da quelle che si erano prefissi di seguire i nostri uomini di Stato nella prima metà del secolo scorso».

Il ministro imperiale e reale protestò quindi contro le dichiarazioni del delegato Renner che la forma costituzionale presente dell'Austria ostacola la pace fra le nazionalità ed espresse la sua indignazione per il modo col quale fu parlato della dinastia e dell'imperatore. È ingiusto per parte dei socialisti, oltre che falso storicamente, parlare in tal modo della dinastia e dell'imperatore che sanzionò il suffragio universale. Circa le cose dette a proposito dell'imperatore Guglielmo il ministro imperiale e reale protestò contro la tendenza a trascinare nella discussione sovrani esteri. E deplorò specialmente che si sia parlato in modo così sconveniente dell'imperatore Guglielmo, capo dello Stato col quale l'Austria-Ungheria si trova da decenni in stretta alleanza e che in un'ora grave è stato fedelmente al fianco dell'imperatore d'Austria. I rapporti personali tra monarchi furono un elemento decisivo per la conservazione della pace nella primavera del 1909 ed è da sperare che tali saranno anche in avvenire. È ingiusto parlare come fu fatto dell'imperatore Guglielmo, mentre è nota la cura che egli ripose fin dal suo avvento al trono pel mantenimento della pace.

Ripetute quindi le dichiarazioni già fatte alla commissione degli esteri circa la ferrovia del Sangiaccato e lodato il ministro imperiale e reale a Belgrado, conte Forgach, scagionandolo dalle accuse mossegli, ricordò di avere già dato spiegazioni circa le espulsioni di sudditi austriaci dalla Prussia.

Quanto alla questione del protettorato dei cattolici in Albania, il Governo Imperiale e Reale esercita questo diritto in base ad antichi trattati tenendo conto dello sviluppo della legislazione turca particolarmente ora nell'era costituzionale.

La seduta venne quindi rimandata a domani2.

558 l Cfr. n. 552.

559

IL CONSOLE A FIUME, CACCIA DOMINIONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 2576/101. Fiume, 10 novembre 1910 (per. il 14).

Ho l'onore di trasmettere l 'unita copia di rapporto responsivo ad un dispaccio con cui S.E. il r. ambasciatore a Vienna mi richiedeva di sommarie informazioni riassuntive circa il trattamento fatto dal R. Ungarico Governo n eli 'ultimo triennio alle diverse nazionalità che essenzialmente costituiscono la popolazione di questo distretto consolare.

ALLEGATO

IL CONSOLE GENERALE A FIUME, CACCIA DOMINION!, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

R. RISERVATO 2555. Fiume, 7 novembre 191 O.

In obbedienza al riverito dispaccio del 29 scorso mese n. 238, mi onoro sottoporre alla E.V. brevi informazioni riassuntive della situazione politica in questo distretto consolare durante l'ultimo triennio.

La data del 12 ottobre 1907 segna un nuovo orientamento della politica ungherese nei riguardi di Fiume. In quel giorno, in occasione dell'insediamento a podestà, per la seconda volta, del dottor Francesco Vio, il governatore conte Nakò faceva esplicite dichiarazioni circa l'intenzione del Governo ungarico di appoggiare sinceramente ed efficacemente l'amministrazione municipale che aveva per bandiera la tutela della autonomia sulla base dell'italianità di Fiume, e tali affermazioni, venute dopo un periodo di conflitto tra il Comune e lo Stato, interrotto solo da breve tregua l'anno precedente, ebbero piena conferma dei fatti, né restarono, come altre volte, una semplice retorica declamazione. Lo Statuto fiumano, che forma un proprio contratto bilaterale del Comune col Governo per la durata del «provvisorio» fu infatti da quel giorno rispettato lealmente e senza ulteriori usurpazioni da parte dello Stato, e le istituzioni cittadine furono favorite nel loro sviluppo, quali i diversi servizi pubblici, che, riuniti in un ente speciale ebbero, auspice il Governo, novella vita, -quali le fondazioni spedalizie e di beneficenza, -quali, e soprattutto, gli ordinamenti scolastici.

In quest'ultimo ramo si è infatti notato un progressivo miglioramento, e per l'ampliamento delle sedi, e per la creazione di nuove sezioni, e pel maggior numero di docenti, che compiuti gli studi didattici a Firenze, pei quali sono fissate speciali borse, vengono, dopo la formalità di un esame di «nostrificazione», addetti ai locali istituti. E poi in istudio ancora presso il Governo un progetto di scuola media con lingua d'istruzione italiana: tale progetto, approvato in massima dal precedente ministro dell'istruzione conte Apponyi, avrebbe forse già avuta pratica attuazione senza la crisi, che travolse il Gabinetto Wekerle. E questa scuola soddisferà un ripetuto voto della cittadinanza fiumana, la quale non dimostra soverchia simpatia all'attuale ginnasio ungherese, pur riconoscendolo, in teoria, una necessità per chi debba proseguire gli studi accademici nelle Università del Paese. D'altra parte, la fondazione, continuata anche negli ultimi anni, di scuole elementari ungheresi, non potrà qualificarsi, come parve a taluno, per un tentativo di magiarizzazionc ad oltranza, perché tali scuole, create nei quartieri, dove predominano gli impiegati ungheresi, soprattutto ferroviari, e nelle quali, del resto, è fatta larga parte alla lingua italiana, e non minore al dialetto locale, non possono, almeno per ora, far seria concorrenza a nessuna delle municipali.

Tutelare l'italianità a Fiume implica opposizione alle correnti slave, né dal partito italiano può certo farsi appunto al Governo ungherese di non averlo assecondato nella sua diuturna lotta contro i croati: che se non sempre i risultati della stessa sono pari all'ardore con cui si combatte da parte autonoma, ciò deve attribuirsi a fatale forza di cose, ad ineluttabili leggi etniche ed economiche.

In ogni modo è positivo che il Governo ungherese ha ancora negli ultimi tempi cercato di ostacolare il movimento croato a Fiume. Tra le diverse prove di questa tendenza ricorderò il recente divieto di una riunione di notabili croati, decisi a porre le basi di un'azione per creare in qualche sobborgo classi elementari di lingua croata. Con ciò si continuava il concetto, che aveva indotto gli ungheresi ad escludere or sono pochi anni, dalla cosiddetta «risoluzione di Fiume» qualunque accenno alla questione scolastica. Ricorderò pure le pratiche iniziate di concerto col municipio pel distacco di Fiume dalla Diocesi croata di Segna c per la creazione di un Vicariato, annesso ad una diocesi ungherese e forse del tutto indipendente. Le pratiche in parola, avendo trovato gravi difficoltà presso l'autorità ecclesiastica, furono sospese, ma non è detto che non abbiano ad essere riprese e con maggior probabilità di successo.

Sintomatiche testimonianze infine del miglior trattamento fatto agli italiani in confronto dei croati sono le continue accuse di parzialità rivolte al Governo ungherese dalla stampa croata, la quale non lascia passare occasione senza lamentare la tolleranza ormai tradizionale a Fiume delle più clamorose manifestazioni di italianità: occorre invero che queste passino il limite di ogni convenienza per essere represse, come lo furono nelle circostanze a suo tempo riferite, delle rappresentazioni dell'Emani e del Romanticismo.

Pure, chi leggesse in questi giorni gli articoli del principale giornale fiumano la Voce del Popolo e dei quali si fa eco anche il Piccolo di Trieste, potrebbe ritrarre la impressione che i rapporti del Governo ungherese verso il Comune abbiano assunto da qualche tempo un aspetto ostile e potrebbe argomentare minacce serie contro l'integrità del civico Statuto. Alludo con ciò alla situazione formatasi dopo che il professar Zanella, leader degli autonomi e già deputato al Parlamento di Budapest, fu sconfitto nelle ultime elezioni politiche e fu sostituito dal dottor Maylender, antico podestà e membro del nuovo partito governativo del lavoro. In seguito alle circostanze che accompagnarono quella elezione, il podestà Vio diede le sue dimissioni, ritenendo ingiustificata e dannosa agli interessi cittadini l'opposizione della maggioranza de' suoi aderenti al nuovo deputato ed al Governo locale, che lo aveva sostenuto. La crisi non fu peranco risolta ed è possibile che si venga allo scioglimento del Consiglio ed alla scissione del partito autonomo, ma un osservatore imparziale devo riconoscere in tutto questo armeggio una lotta di persone anziché di idee e di principi, né può certo dedursi né il proposito nel Governo ungarico di mutare la sua benevola linea di condotta verso l'elemento italiano in genere, pur mostrandosi avverso a qualcuno che dell'italianità ha voluto farsi un monopolio. Un dissenso, del resto, recente scoppiato fra il Governo locale ed il Consiglio municipale circa l'interpretazione d'un articolo dello Statuto sarà quanto prima risolto nella sua sede naturale: il tribunale amministrativo di Budapest.

Ben diverso è stato in questi ultimi anni l'atteggiamento del Governo ungherese verso la Croazia e soprattutto verso quel partito che, alle antiche e spesso cruente rivalità fra il popolo croato e quello serbo, volle far succedere un blocco slavo, pronto alla difesa contro lo chauvinisme magiaro. Rotto il «patto di Fiume», scoppiato il conflitto per la prammatica ferroviaria, rovesciato il Governo nazionale della Croazia, incominciò un regime autoritario e di persecuzioni, di inattività della Dieta e di sospensione delle guarentigie costituzionali, che in parte cessò solo alcuni mesi sono coli 'avvento del bano Tomasié.

Scopo di quel sistema era di rompere la coesione dei due popoli, che si volevano deboli e disuniti di fronte agli avvenimenti che maturavano nella penisola balcanica. L'episodio più notevole di siffatta politica fu il processo per la cosiddetta «congiura panserba», processo che fu definito una sfida portata alla civiltà europea del XX secolo! L'istruttoria del medesimo fu contraddistinta da metodi polizieschi di altri tempi, innumerevoli ed a dispetto di ogni legalità furono le perquisizioni ordinate in tale occasione, arbitrari i sequestri di tutto ciò che potevasi considerare simbolo di adesione alla nazione serba, inumano risultò il trattamento degli accusati, limitata la libertà di difesa nello scandaloso dibattimento. E poiché quel clamoroso processo non sortì l'effetto sperato, appunto per l'esagerazione che lo aveva inspirato e per la reazione che suscitò, fu ordito un nuovo attacco contro la coalizione mercé le sensazionali rivelazioni del professar Friedjung. E nel processo che ne seguì a Vienna, apparve a quali metodi si fosse ricorso pur di mettere in cattiva luce coloro che avevano tentato una politica non conforme alle vedute dei Gabinetti di Vienna e di Budapest. La realizzazione del programma balcanico di questi trova sempre un pericolo ed un ostacolo nella coscienza nazionale slava, che si sviluppa specialmente coll'unione dei serbi e dei croati; niuna meraviglia quindi che ora in un modo, ora in un altro quella unione venga minata, anche quando (ammoniva recentemente un patriota croato) essa forma la base di un programma di pacificazione, se non di blando asservimento, siccome è nelle viste dell'attuale bano, fedele esecutore di ordini superiori.

Né infine è da dimenticare, tra le circostanze che contribuiscono a formare l'attuale situazione politica in Croazia Slavonia, specialmente sul delicato terreno religioso, da un lato i provvedimenti presi contro l'autonomia del Patriarcato serbo di Karlowitz e la guer

ra mossa all'uso dei caratteri cirillici, -dall'altro le disposizioni liturgiche emanate negli ultimi tempi dal Vaticano contro il glagolito, in opposizione alla larga tolleranza di cui questo rito particolarmente godé sotto il pontificato di papa Leone XIII.

558 2 Per il seguito cfr. n. 561.

560

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 3129. Roma, 11 novembre 1910, ore 15.

Suo telegramma n. 3931. Sciolgo riserva di cui mio telegramma di questa mane2. Nella seduta di ieri Aehrenthal fece dichiarazioni sui rapporti austro-italiani, le quali, se esattamente riprodotte, sono per se stesse molto soddisfacenti ed hanno fatto ottima impressione. Parmi opportuno che V.E. si esprima con lui in questo senso. Ben diverso, però, è il caso per la risposta data alla interpellanza sul discorso Porzer. A me pare che V.E. potrebbe dire francamente ad Aehrenthal che il discorso di Porzer conteneva ingiurie contro l'Italia ed attentato alla sua integrità territoriale, tali da non poter non provocare da parte di Aehrenthal severe parole di biasimo che egli non pronunziò. Parmi tanto più necessario dirgli ciò in quanto che continuamente Austria ci fa reclami per discorsi di autorità elettive ad anche di privati, che sono meno gravi di quelli di Porzer. Sono meno gravi perché raramente contengono ingiurie, perché, pur essendo rivolti contro l 'integrità dell'Austria non attentano al possesso della sua capitale ed alla sua stessa esistenza come Stato e perché emanano da personaggi meno importanti che il vice-borgomastro di Vienna e da partiti più o meno avversari al Governo italiano e non amici del Governo come quello cui appartiene il Porzer. Così stando le cose, per logica conseguenza, il Governo italiano si troverà nella necessità di non usare verso le manifestazioni anti-austriache e irredentiste italiane un linguaggio, più severo di quello adoperato da Aehrenthal verso Porzer. Se lo adoperasse, verrebbe accusato di mancare di dignità e di non mantenere rapporti italo-austriaci sul piede di parità e tali accuse troverebbero eco così nel Parlamento come nel Paese, con grave danno per lo scopo, che entrambi i Governi si propongono, di migliorare sempre più i reciproci rapporti tra i due Stati. Me ne duole perché la mia intenzione era di biasimare in forma molto severa le diverse manifestazioni irredentiste ed anti-austriache verso le quali invece sarò costretto di usare un linguaggio analogo a quello di Aehrenthal verso Porzer. Naturalmente noi teniamo a mantenere e stringere sempre più i legami di reciproca amicizia e prego V.E. di insistere su questo punto essenziale ed esprimere ad Aehrenthal insieme alle mie

2 T. 3124, non pubblicato.

sincere impressioni sulla insufficienza della sua risposta a Porzer anche i miei ringraziamenti ed il mio plauso cordiale pel discorso del giorno successivo. Aggiungo a tutto questo che prego V.E. di ricordare che io non posso da Roma giudicare interamente come V.E. debba esprimersi affinché dalla sua conversazione con Aehrenthal pur tutelando la nostra dignità esca rafforzata e non indebolita la reciproca amicizia e perciò mi rimetto a V.E. autorizzandola ad allontanarsi dalle mie istruzioni nella misura in cui lo giudicherà opportuno. V.E. mi ha telegrafato che al comizio non intervennero autorità con che naturalmente intendeva dire funzionari in attività di servizio ma la prego farmi sapere senza parlarne a codesto Governo se vi erano personaggi di Corte ed altri notoriamente amici e frequentatori della Corte e del Governo.

Gradirei ricevere possibilmente l'elenco nominativo dei principali intervenuti con titoli e qualità così di Corte come di Stato.

560 1 T. 3981/393 del l O novembre, non pubblicato, ma cfr. nn. 552, 553.

561

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2368/1025. Vienna, 11 novembre 1910 (per. il 16).

Mi riferisco al mio rapporto di ieri, n. 2364/10211. La delegazione austriaca tenne ieri pure una seduta, continuando ad occuparsi della discussione del bilancio degli affari esteri.

Parlò per primo il delegato socialista czeco, Nèmec, che attaccò il ministro degli affari esteri per le dichiarazioni da lui fatte nella seduta precedente circa i socialisti austriaci, sostenendo non essere lecito ad un ministro di parlare in tal modo dei rappresentanti del popolo. Accusò il conte d'Aehrenthal di aver scordato eh'egli non è più solamente un ministro aulico, ma un ministro di uno Stato parlamentare, in cui vige il suffragio universale. Circa la difesa della politica dell' imperatore di Germania, fatta dal conte d'Aehrenthal, dichiarò che i socialisti persistono a ritenere, contrariamente all'opinione del ministro, che l'imperatore Guglielmo, con i suoi troppo frequenti discorsi, costituisce un perpetuo pericolo per la pace nel mondo. Se il sovrano tedesco si è così fortemente attaccato all'Austria-Ungheria, lo fece soltanto perché si accorse che era completamente isolato e che doveva tenere testa ad una generale ostilità. L'oratore, continuando nella sua critica, accusa il ministro di aver, colla sua politica, fatto spendere molte centinaia di milioni alla Monarchia, senza che questa ritraesse vantaggi reali.

Passando poscia a polemizzare col delegato cattolico dottore Stumpf che aveva nella seduta precedente preso la difesa del papato, dichiarò che i socialisti hanno presentato la loro interpellanza sopra il discorso pronunciato dal vice-borgomastro Porzer, perché questi aveva invitato, non solo il Governo, ma anche tutti i delegati a protestare contro il discorso del sindaco Nathan. L'infallibilità del papa è un argomento che può essere messo in dubbio: protestarono infatti contro di essa, a suo tempo, principi della chiesa e membri dell'alta nobiltà. Se il dottor Stumpf dichiara che l'occupazione di Roma è stata un atto illegale e l'annessione della Bosnia-Erzegovina invece una legalità, allora è chiaramente dimostrato che non si può più oltre discutere con lui sopra simili argomenti. Si vuole che il papa sia indipendente e sovrano; se si trova uno Stato che voglia riconoscere il papa come sovrano, i socialisti non hanno nulla da obiettare. Ma poiché in Italia non si vuol sapeme della sovranità del pontefice, non sarà l'Austria che costringerà la sua alleata a mutar d'avviso. È del resto ridicolo di parlare al giorno d'oggi di simili argomenti.

Il delegato, continua poi a parlare in difesa dei socialisti czechi accusati di alto tradimento e contro la troppo grande suggezione dell'Austria-Ungheria verso la Germania.

Il delegato conservatore polacco cavaliere di Jedrzejowich ringrazia il ministro imperiale e reale per la sua politica e dichiara che le provincie annesse appartengono alla Monarchia come tale e non già ali'Austria oppure ali'Ungheria. Venendo a parlare dell'accordo fra gli slavi della Monarchia dichiarò che i polacchi videro sempre con simpatia un 'intesa fra questi vari popoli, ma dichiararono come una utopia il neo-slavismo.

Parlò poscia il delegato giovane czeco dottore Kramarz il quale ritorna ad affermare la inutilità del!'annessione, giacché in Bosnia regnava la pace ed in Serbia non si aspirava ad alcuna occupazione. Dice di avere trovate per nulla soddisfacenti le dichiarazioni del ministro circa il contegno del conte Forgach, a proposito dei documenti falsi presentati al processo Frjedjung. Per conto suo ritiene che il conte Forgach sia stato ingannato egli stesso non dimostrando in ciò molto acume. Quanto al modo con cui avrebbe dovuto compiersi l'annessione egli persiste nel ritenere che la conferenza sarebbe stata opportuna. La Russia e l'Italia avrebbero serbato un atteggiamento favorevole all'annessione e la Turchia non avrebbe potuto chiedere più di quanto ottenne. È una fola che la Turchia e la Russia avrebbero dichiarato la guerra ali'Austria. Quanto ali 'alleanza con la Germania, egli non la ritiene così solida come si suole affermare. In Germania non si è ancora soddisfatti de li' Austria-Ungheria; malgrado tutte le bassezze di questa verso la sua alleata e l'imperatore Guglielmo. A Berlino si parla troppo dei servigi resi all'Austria-Ungheria che fu salvata per opera della Germania. E l'oratore dichiara che una tale salvazione non era proprio necessaria, giacché per combattere la Serbia bastava l'esercito austro-ungarico, e quanto alla Russia essa è così depressa e vi regna una tale avversione per le avventure belliche, che nessuno pensò mai a Piertroburgo di fare veramente la guerra ali' Austria. L'oratore si scagiona poi dall'accusa mossagli di fare una politica contraria agli interessi della Monarchia e ligia agli ideali che si caldeggiano a Pietroburgo ed a Sofia.

Il delegato tedesco popolare Dobernig polemizza innanzi tutto col precedente oratore circa il neo-slavismo e dopo essersi occupato dei rapporti fra l'AustriaUngheria, la Germania e la Russia viene a parlare anche di quelli coll'Italia, ripetendo egli pure che le relazioni ufficiali fra la Monarchia e l'Italia possono bensì essere eccellenti, ma che le opinioni pubbliche dei due Paesi e dei circoli militari sono ostili ad una reale amicizia. L'oratore, come rappresentante di un paese di frontiera (Lubiana), desidera vivamente il mantenimento di buoni rapporti coli 'Italia e perciò non approva il discorso tenuto recentemente dal vice-borgomastro di Vienna. Dal punto di vista dei cattolici austriaci una sola cosa dovrebbe essere desiderata, vale a dire la conciliazione fra il papa e il re d'Italia. A questo scopo potrebbe agire utilmente il Governo austro-ungarico decidendosi una buona volta a far restituire al re d'Italia, sopra suolo italiano, la visita da questi fatta a Vienna.

Il delegato clericale czeco Horsky pronuncia quindi un violento discorso contro l'alleanza con l'Italia che sostiene non esistere di fatto giacché il nostro Paese procura ovunque ed in tutti i campi di opporsi ali'Austria. Egli dichiara che la tendenza rivoluzionaria va facendosi strada ovunque e che se in Italia esiste ancora la Monarchia lo si deve al fatto che essa si appoggia sopra persone come il sindaco Nathan. Circa le parole da questi pronunziate contro il Santo Padre osserva che il papa è un sovrano effettivo benché non possegga territorio, eh'egli fu offeso dal signor N athan e che il Governo italiano nulla ha fatto di fronte a tale offesa. Il Santo Padre ha diretto in proposito una protesta alle Potenze, alla quale il conte d'Aehrenthal sembra non abbia risposto. L'oratore comprende che il ministro imperiale e reale abbia ritenuto umiliante rispondere al signor Nathan ma non sa spiegarsi perché non abbia risposto alla protesta del papa. Il delegato agrario czeco Kzarzvorka protesta contro l'accusa di alto tradimento mossa agli czechi e dice che il ministro degli affari esteri ha ricordato come in Italia non si dimentichi ancora il sistema poliziesco de li'Austria. U guai cosa potrebbe dirsi, riferendola ai tempi presenti, parlando della Boemia che è tuttora terrorizzata da quei deplorevoli sistemi.

Dopo un discorso in favore alla politica commerciale del conte d'Aehrenthal pronunciato dal delegato progressista tedesco dottor Necher, parlò il delegato socialista italiano Pittoni dicendo che il discorso del dottor Grabmayr farà certamente buona impressione in Italia e presso gli italiani de li'Austria. Egli ritiene che le varie nazionalità della Monarchia potrebbero servire di anello di congiungimento fra l'Austria-Ungheria e gli altri Stati. Ma per ottenere un simile risultato occorrerebbe innanzi tutto che il Governo Imperiale e Reale facesse una politica ragionevole verso tutte le nazionalità. I socialisti si oppongono alla tendenza di allargare i confini con avventure guerresche sia al mezzogiorno che altrove. I circoli militari sia austriaci che italiani cercano però di cogliere ogni pretesto per sfruttarlo nell'interesse dell'aumento degli armamenti. Esempi ne sono gli articoli del generale Fadda in Italia e dell'ammiraglio Chiari in Austria. L'Austria non ha del resto fatto nulla per dimostrare all'Italia che i suoi metodi sono mutati dal 1848 ad oggi. Inscenò anzi il processo Friedjung, il processo contro i serbi di Zagabria ed ora quello di Graz dove alcuni giovanotti italiani giacciono in carcere da sei mesi imputati di alto tradimento ed accusati di avere organizzato battaglioni di volontari in caso d'una guerra fra l'Austria e l 'Italia. È vero che in Austria esiste il suffragio universale, ma è pur vero che lo Stato maggiore dell'esercito serve ad indagare i sentimenti politici delle popolazioni, che esiste ancora la patente di polizia del 1854, che la libertà di stampa è assai limitata. Mentre tutti gli Stati cercano di svincolarsi dalla soggezione alla Chiesa, in Austria pare che si voglia camminare verso un altro concordato. L'impressione prodotta dal discorso del vice-borgomastro Porzer avrebbe potuto essere quasi nulla in Italia se non si sapesse con quali personaggi sia in stretti rapporti il partito cristiano-sociale. Se l'università italiana non venne ancora accordata la colpa non è solo degli sloveni ma anche degli altri partiti e dei Governi austriaci succedutisi al potere. Quanto all'irredentismo esso non attecchisce nelle classi lavoratrici, ma nei circoli intellettuali, in persone, le quali non potendosi istruire in altro per mancanza di istituti appropriati devono recarsi nel Regno. In Italia nessun uomo politico serio è irredentista né l'irredentismo mette radice nell'animo del popolo italiano. Quanto all'affermazione del delegato Sustercich che la pace coll'Italia può essere mantenuta solo a costo di potenti armamenti, l'oratore dice che questa asserzione nasconde la tendenza degli slavi di esagerare il pericolo italiano per poter estorcere vantaggi politico-nazionali a loro utile.

All'oratore italiano socialista successe il delegato clericale Bugatto il quale parlò esclusivamente della dimostrazione clericale al municipio di Vienna dichiarando che la protesta contro di esso votata dalla Dieta di Trieste non corrisponde ai sentimenti della maggior parte della popolazione italiana di fronte al discorso del sindaco Nathan, inopportuno ed ingeneroso per il Santo Padre. Deplora la protesta di Trieste che dichiara escire dalla competenza della Dieta ed osserva come coloro che approvarono le parole pronunciate contro il pontefice, o non appartengono alla religione cattolica, o ne sono usciti. Nazionalmente parlando però così il sindaco Nathan come taluni fra i più influenti capi del partito liberale di Trieste sono italiani soltanto di adozione ma non di origine. I veri italiani amano la loro religione, il papa e soprattutto il papa Sarto, nobilissimo figlio di Venezia.

Il delegato socialista tedesco Seitz si occupa nuovamente della proposta da lui presentata, già respinta dalla commissione, e ripresentata come voto di minoranza, invitante il Governo austro-ungarico a mettersi d'accordo con quello italiano per limitare gli armamenti navali. Riconosce gli antagonismi esistenti fra le due alleate: in Italia esiste come conseguenza del progresso economico, un bisogno di espansione nei Balcani; in Austria l'antagonismo contro l'Italia è alimentato continuamente dal clericalismo, protetto da un alto personaggio che influisce grandemente anche sulla politica estera. Egli domanda quindi al ministro perché non abbia stabilito coll'Italia quei rapporti personali che aveva dichiarato essere un elemento decisivo a favore della pace. Chiese inoltre perché non si cerca di stabilire amichevoli relazioni fra i personaggi influenti dei due Paesi, perché si evita la visita a Roma e perché non si cercano i contatti personali necessari nell'interesse della politica estera. Un altro pericolo per la pace sta nel contegno dell'Austria verso gli italiani del Trentino ai quali si nega l 'autonomia cui hanno diritto. Quanto all'università italiana ricorda le parole del delegato Renner che disse essere la gara delle nazionalità tedesca e slava una sorgente di conflitti nazionali. Il ministro degli esteri protestò contro questa affermazione ritenendo che essa contenesse un rimprovero all'imperatore di aizzare una nazionalità contro l 'altra. Ora, il delegato Renner non disse questo. Se avesse detto che spesso gli interessi dinastici ostacolano il ristabilimento della pace fra le Nazioni, si potrebbe affermare che così nella questione dell'autonomia del Trentino, come in quella dell'università italiana, si sono precisamente imposte le influenze degli interessi dinastici. La politica dinastica distrusse l'autonomia già pronta e gli influssi dinastici impedirono l 'erezione de li'università italiana. Altra causa di discordia coll'Italia fu l'annessione della Bosnia-Erzegovina. Malgrado ciò l'oratore esprime la speranza che l'opera di pacificazione possa sortire buoni frutti.

Dopo un discorso del delegato cristiano-sociale Axmann in favore di un avvicinamento fra gli slavi ed i tedeschi venne chiusa la discussione generale e la seduta fu tolta2.

561 l Cfr. n. 558.

562

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T.3151. Roma, I 2 novembre 1910, ore 2 I.

Faccio seguito mio telegramma odierno n. 31481. Secondo attendibili riservate informazioni, valì di Tripoli avrebbe assunto contegno di assoluta opposizione contro tutte le iniziative del Banco di Roma. Precedente valì sarebbe stato richiamato appunto perché reputato troppo favorevole al Banco ed egual sorte è riservata agli altri funzionari locali che godono della stessa fama. Questa opposizione sistematica si manifesterebbe specialmente contro la progettata società italo-franco-egiziano-tripolina per le miniere, i porti, ecc. Valì avrebbe fatto chiamare i componenti indigeni della società stessa, li avrebbe minacciati ed avrebbe sequestrato i documenti da cui risultano gli impegni da loro assunti col Banco di Roma a tale riguardo. Nello stesso tempo codesto Governo, col concorso della Banca Nazionale e con speranza di interessarvi anche capitalisti germanici, starebbe cercando di organizzare un'altra società allo stesso scopo, ma escludendone gli

562 I Non pubblicato, col quale si dava istruzione di richiamare l 'attenzione della Turchia sulla «persistente sistematica ostilità delle autorità ottomane in Tripolitania per tutte le iniziative italiane».

italiani. Se ciò si verificasse, ne deriverebbero incalcolabili danni per noi, giacché risulta da ricerche fatte nel modo il più coscienzioso e riservato da un nostro ingegnere che in Tripolitania esistono importanti giacimenti zolfiferi, che la nuova società si proporrebbe di sfruttare e che rappresenterebbero una possibile gravissima concorrenza per la Sicilia. Non ho bisogno di richiamare la particolare attenzione dell'E.V. sulle conseguenze, così d'ordine interno come in rapporto alle nostre relazioni colla Turchia, di tale eventualità. Comunque sia, noi dobbiamo esigere, verso il Banco di Roma e gli altri istituti e cittadini italiani in Tripolitania e Cirenaica, da parte del Governo ottomano un trattamento conforme ai vigenti trattati ed ai buoni rapporti esistenti tra i due Stati, salvo ad adottare in caso contrario quel contegno che la tutela dei nostri diritti, interessi e dignità ci consiglieranno. Sarà opportuno che V.E. interessi a queste nostre lagnanze, oltreché codesto Governo, anche qualche autorevole membro del Comitato e del partito militare.

561 2 Per il seguito cfr. n. 564.

563

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

D. 841. Roma, 12 novembre 1910.

Mi pregio rispondere al rapporto dell'E.V. in data 26 settembre u.s. n. 97 riservato politico'·

Questo ministero ha, forse, dato una interpretazione troppo ottimista ad alcune espressioni contenute nel telegramma n. 142 del 27 agosto da Lugh2, nel quale ella riferiva che le notizie relative alla tranquillità della regione sulla frontiera abissina erano, a quella data, ad eccezione di alcune razzie che le cabile tra Revai e Lugh commettevano tra loro, buonissime che tali erano pure le notizie relative ali'Alto Scebeli. Ad ogni modo le istruzioni che sono state impartite al capitano Ci terni, a lei ben note, collimano con la situazione riferita dali 'E.V. Dette istruzioni sono state confermate nei telegrammi n. 26993 e 30444 del 7 ottobre e del 4 corrente da me diretti al conte Colli e qui uniti in copia.

Il lavoro della commissione, di carattere puramente tecnico, deve limitarsi alla sola regione nella quale essa potrà compierlo con piena sicurezza e non oltre. Ogni azione di guerra, ogni conflitto, sarà quindi completamente escluso.

563 I Non pubblicato.

2 T. 2819/142, non pubblicato.

3 T. non pubblicato, col quale si dava istruzione alla missione Citerni di avanzare solo fino alle zone in cui si poteva giungere con «piena sicurezza».

4 Cfr. n. 549, nota 2.

Trattandosi di provvedimenti derivanti da una convenzione tra Italia ed Etiopia, approvata per legge, e cioè di provvedimenti di Governo, era naturale che fosse questo ministero a prenderli direttamente, tanto più che la spesa grava su uno speciale stanziamento del bilancio di questo ministero.

Fu messo a capo della missione, come la persona che appariva più indicata, il capitano Citerni, che l'E.V. riconosce ottimo.

Codesto Governo è stato fin dall'inizio informato della questione della delimitazione, e qualsiasi sua proposta, qualsiasi suo desiderio sarebbe stato apprezzato e accolto, come sempre, con benevola considerazione.

Quanto alla cooperazione del capitano Ferrandi, io la considero acquisita, essendo egli capo della zona di Lugh e i lavori della delimitazione svolgendosi, si può dire, nella sua giurisdizione. Pur dovendo, per ovvie ragioni, rimanere a capo della missione italiana il capitano Citerni con pieni poteri tecnici e con piena responsabilità, io sarò ben lieto di accogliere quelle proposte concrete che codesto Governo volesse fare per la partecipazione del bravo capitano Ferrandi allo studio della regione che sarà percorsa dalla Commissione mista di delimitazione.

Quanto infine alla cooperazione di codesto Governo nell'impresa, essa sarà preziosa e dovrà svolgersi nel facilitarla in ogni modo con aiuti, informazioni e consigli, comunque le circostanze lo richiedano, in modo che la missione possa agire con piena sicurezza e solamente nella regione in cui tale sicurezza sia effettiva.

564

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2382/1030. Vienna, 12 novembre 1910 (per. il 19).

Mi riferisco al mio rapporto di ieri, n. 2368/10251.

La prima parte della seduta di ieri della delegazione austriaca fu occupata dal discorso del delegato marchese Bacquehem, relatore del bilancio degli affari esteri. Dopo aver ricordato nuovamente le cose già dette nella sua relazione distribuita ai delegati intorno alla crisi dell'annessione, il marchese Bacquehem polemizzò col delegato dottor Kramarz, dimostrando come manchino di fondamento le recriminazioni di lui per l'alleanza dell'Austria-Ungheria colla Germania, giacché non è affatto vero che la Monarchia subisca l'influenza della sua alleata e che quest'influenza appaia soprattutto nell'indirizzo della sua politica estera. L'oratore osservò in proposito che da più di un decennio la politica estera dell'Austria-Ungheria non ha subito mutamenti di sorta ed è stata coerente. Ugual cosa desidererebbe potesse dirsi anche per

564 I Cfr. n. 561.

ciò che concerne la politica interna, purtroppo così mutevole. La riconoscenza verso la Germania è stata del resto espressa da vari delegati e non vale quindi la pena di continuare in una polemica di questa natura.

Quanto alle relazioni coll'Italia, l'oratore trova lodevolissimo il modo franco col quale ne parlò il delegato Grabmayr. È certamente assai deplorevole che l'alleanza coll'Italia non sia ancora apprezzata dalle popolazioni con quella sincerità colla quale vien considerata quella con la Germania. Nessuno pensa seriamente in Austria ed in Ungheria a voler riandare il processo storico in base al quale venne compiuta l'unità d'Italia. Sono invece molto grandi le simpatie per la coltura dell'Italia e pel suo popolo. Si è visto da noi con simpatia e senza invidia come l'Italia sotto l'egida della Triplice Alleanza abbia potuto rialzarsi finanziariamente, rafforzarsi economicamente e raggiungere un grande benessere. Soggiunse che credeva non si dovesse muovere nessun appunto all'Italia per il fatto che prepara un forte esercito ed una potente marina, giacché questo fanno o dovrebbero fare anche altre Grandi Potenze. Quanto non si può invece ammettere è che l'Austria-Ungheria sia sempre invocata come la Nazione che spinge a questi armamenti; una tale affermazione è tanto più inutile che in Italia è il Parlamento quello che spinge il Governo a pensare agli armamenti e che il Governo, per ragioni finanziarie, non può colla rapidità desiderata dal Parlamento tenere conto dei voti di qnesto. I pensieri degli uomini di Governo sono pertanto rivolti come fu detto molto giustamente, ai piccolo dissidi alle manifestazioni ed agli incidenti di frontiera. La delegazione ha appreso con vivo compiacimento che i rapporti coll'Italia sono diventati, se ciò è possibile, ancora più intimi e cordiali ed il ministro degli affari esteri ha potuto dichiarare ciò sotto l'impressione d eli' intervista di Racconigi2.

Dopo aver passati in rassegna gli altri argomenti discussi durante la presente sessione, il relatore ha raccomandato alla delegazione di votare il bilancio degli affari esteri.

Approvato il bilancio stesso si procedette all'esame dei vari capitoli di esso. Il delegato socialista Renner deplorò il processo Friedjung ed espresse la speranza che la politica estera della monarchia cessi dali' essere dinastica.

Il delegato sloveno clericale Sustersich parlò quindi dichiarando di non voler trattare della questione universitaria italiana giacché essa appartiene ali politica interna dell'Austria si augura nell'interesse della Monarchia che la politica estera sia inspirata non già alle inclinazioni del cuore ma ai reali interessi dell'Austria-Ungheria.

Occupandosi del discorso pronunciato dal signor Nathan dice che da cattolico convinto non può non deplorarlo. Ciò che il signor Nathan dice o fa non è che una questione interna italiana, ma si deve recisamente contestare che il Santo Padre, capo della chiesa cattolica, riguardi pure solamente l'Italia. Ciò fu riconosciuto persino dal Governo italiano il quale notificò con una circolare alle Potenze nel 1870 che Roma sarebbe stata una onorifica residenza per il Santo Padre. In nessun Paese le parole pronunciate dal signor Nathan furono deplorate tanto

quanto in Italia dove la stampa liberale stessa le tacciò siccome prive di tatto. Al pensiero di «Roma intangibile» va unito, nella grande maggioranza degli italiani l 'altro di «papa intangibile». Ed è appunto perciò che è sgradevole che la questione stessa sia stata trattata da parte non italiana in un modo che non può certo essere piaciuto agli italiani.

Parlò quindi il delegato progressista czeco Masaryk che trattò dei documenti falsi apparsi nel processo Friedjung, accusando nuovamente il ministro imperiale e reale a Belgrado, conte Forgach, di essere stato in rapporti con un agente provocatore il quale avrebbe falsificato i documenti stessi.

Quindi prese la parola il delegato dottor Kramarz che, polemizzando col marchese di Bacquehem disse che se l'Italia ha fatto effettivamente dei grandi progressi economici e finanziari, ciò non si deve solamente alla Triplice Alleanza, bensì al desiderio della Francia che il nostro Paese non fosse troppo ligio alla Triplice ed alla conseguente generosità nell'accordare dei denari ali 'Italia quando essa ne aveva bisogno. Soprattutto però il risveglio economico italiano, si deve al patriottismo del suo Parlamento che contrariamente a quanto avviene in Austria, non conosce limiti nel fare sacrifici per lo Stato e per la sua forza armata e votò tutti i crediti necessari.

Si alzò quindi a parlare il conte d'Aehrenthal. Rispondendo alla interrogazione mossagli dal delegato Horsky disse di non avere ricevuto alcuna nota di protesta dal Vaticano circa il discorso del sindaco Nathan. L'incaricato d'affari della Santa Sede erasi bensì recato da lui, ma semplicemente per richiamare la sua attenzione sopra uno scritto indirizzato dal papa in proposito al cardinale vicario.

Circa le cose dette dal delegato Masaryk a proposito dei documenti falsi presentati al processo Friedjung, difese nuovamente il conte Forgach, dicendo che il suddito serbo che avrebbe dovuto essere l 'autore dei documenti falsi, certo Vasieh, è noto come un calunniatore che ha già fatto parecchi tentativi di ricatto. Quanto alla sua osservazione che il delegato Masaryk ha fatto la maggior parte della sua inchiesta ali' estero, lesse un telegramma da questi diretto il giorno innanzi al giornale di Pietroburgo Riec col quale egli annunciava al foglio russo di aver presentato alla delegazione vari documenti riferentisi al processo Friedjung ed in cui annunciava che la partecipazione del conte Forgach alle falsificazioni era provata. Il ministro imperiale e reale soggiunse che un simile procedimento gli sembrava rivesta il carattere di aizzamento contro i rappresentanti della Monarchia, con l'aiuto di organi esteri. La conseguenza di ciò è che l'opinione pubblica serba che si era già calmata, torna ora ad essere eccitata contro la Monarchia. Però i due Governi sono fermamente d'accordo di mantenere i buoni rapporti ora esistenti.

Il delegato Masaryk protestò con grande vivacità contro l'accusa mossagli dal conte d' Aehrenthal, insistè sopra l'esattezza delle sue affermazioni e ripetè che il conte Forgach era stato complice della falsificazione dei documenti ed aveva rapporti diretti col Vasich.

Il conte d'Aehrenthal, fra la grande concitazione della delegazione prese la parola e dichiarò, in risposta al delegato Masaryk, che il conte Forgach non è mai stato a contatto con il Vasich.

Dopo di che la delegazione respinse la mozione presentata dal delegato socialista Seitz, perché vengano avviate trattative coli 'Italia onde ottenere la limitazione degli armamenti navali.

Con ciò è terminata la discussione sopra il bilancio degli affari esteri e si è incominciato ad esaminare il credito per la Bosnia-Erzegovina.

Parlò per primo il delegato principe Schwarzenberg che dichiarò di essere sempre stato favorevole all'amicizia colla Russia, ma che doveva riconoscere che la lealtà della Germania durante la crisi dello scorso anno era stata veramente mirabile. Quanto alla politica balcanica, bisognava farla in modo che fosse indipendente così dalla Russia che dalla Germania. Occorreva inoltre far in modo che il centro delle popolazioni slavo-meridionali venga a trovarsi entro i confini della Monarchia, ma non peraltro a Sarajevo.

Dopo di che la seduta venne rinviata ad oggi3.

564 2 Sui colloqui di Torino cfr. n. 489.

565

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4019/490. Pera, 13 novembre 1910, ore 14 (per. ore 18,40).

Telegramma di V.E. n. 30461 . La notizia sarebbe stata da questi giornali greci presa dal Corriere della Sera. Non risulta che Governo ottomano abbia inviato alcuna commissione in Tripolitania, né, di conseguenza, che qui esista la relazione cui accennava notizia. Nulla è innovato nelle istruzioni confidenziali impartite da molto tempo alle autorità provinciali riguardo vendita di terre agli stranieri, istruzioni note a codesto Ministero.

566

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LUZZATTI

L. Roma, 13 novembre 1910.

Le notizie che mi giungono da Tripoli mi costringono a ritornare alla carica per la questione della Banca.

565 l Cfr. n. 541.

Come sai, il valì di Tripoli, ritenuto troppo favorevole al Banco di Roma in particolare ed agli italiani in generale, è stato richiamato e sostituito dal maresciallo Ibrahim con formali istruzioni di opporsi a tutto ciò che sa d'italiano.

U gua l sorte è toccata e toccherà a tutti gli altri funzionari dell'Africa ottomana i quali siano ritenuti favorevoli verso di noi od anche semplicemente giusti.

Di pari passo a questa politica d'ostilità in Tripolitania e Cirenaica, il Governo ottomano conduce a Costantinopoli attivi negoziati allo scopo di costituire, col concorso della Banca Nazionale, fondata dal noto finanziere anglo-germanico Casse!, e colla speranza di interessarvi dei capitalisti tedeschi, una società per lo sfruttamento delle ricchezze minerarie dei suoi possedimenti d'Africa, la costruzione dei porti ecc. ecc.

Prevedendo una simile iniziativa, noi avevamo incoraggiato il Banco di Roma a costituire, insieme a dei gruppi francese, egiziano e tripolino, una società anonima ottomana allo stesso scopo, ed in questa opera eravamo stati incoraggiati e sostenuti dallo stesso antico valì.

Il Banco aveva ricevuto le adesioni dei principali cittadini indigeni di Tripoli e, coll'appoggio della Casa Khediviale, sembrava che le cose fossero ormai bene avviate.

Ora, invece, nel mentre si cerca di costituire a Costantinopoli una società concorrente, da cui gli italiani sarebbero esclusi, il valì chiama a sè gli aderenti indigeni della società organizzata dal Banco di Roma, li intimorisce con minacce, ritira i documenti da cui risultano gli impegni da essi assunti col Banco e demolisce quindi la paziente opera del Governo e del Banco. Ma il danno che da questa azione combinata del Governo centrale e del valì deriva per noi non si limita all'annientamento di quell'opera di penetrazione in Cirenaica e Tripolitania, che pure è uno dei capisaldi della politica estera italiana, ma minaccia pur anche gravissimi interessi interni del nostro Paese.

Ebbi già a tenerti parola della missione riservata che, col concorso del Banco di Roma, questo ministero affidò all'ingegner Sanfilippo, il quale è considerato come uno dei teorici e pratici più competenti in fatto di miniere di zolfo.

L'ingegner Sanfilippo si recò, adunque, nel Golfo sirtico e, come rileverai dalla relazione qui acclusa con preghiera di restituzione constatò la presenza dello zolfo in misura ed in condizioni tali da ritener probabile che esso possa esser sfruttato con successo. Ora la nuova società da costituirsi sotto gli auspici della Banca Nazionale, avrebbe, tra gli altri scopi, quello di sfruttare non solo i giacimenti fosfatieri ma anche quelli zolfiferi.

E se questa iniziativa avesse seguito, quali ne sarebbero le conseguenze per l'industria zolfifera siciliana, che pur già trovasi così a mal partito, malgrado le provvidenze escogitate dal R. Governo per venirle in aiuto?

Sopra questo gravissimo stato di cose io ho di nuovo oggi stesso chiamato telegraficamente l'attenzione del r. ambasciatore a Costantinopoli l, invitandolo ad

l 566 Cfr. n. 562.

adoperarsi, così presso il Governo ottomano, come presso i più autorevoli membri del comitato e del partito militare, allo scopo di tutelare i nostri diritti ed interessi, nonché la stessa nostra dignità nell'Africa ottomana.

Ma a nulla varrà l'azione diplomatica se non sarà sorretta e coadiuvata dall'azione bancaria, la quale sola può dimostrare ai turchi, col fatto che ci spingiamo in tutte o quasi le regioni dell'Impero, che non abbiamo mire di conquista sulla Tripolitania, come lo lascerebbe supporre il fatto che solo in quest'ultima regione svolgiamo la nostra attività.

È, adunque, indispensabile (lascia che io insista su questo mio delenda Carthago) che venga sollecitamente impiantata a Costantinopoli una banca italiana, che sia il centro e il sostegno degli interessi nostri in Oriente.

Io non starò a ripeterti qui gli argomenti che ti ho tante volte enunziati circa l'utilità e necessità di questo istituto di Credito italiano. Né ti dimostrerò ancora una volta come falliti ormai tutti gli altri tentativi non rimanga a rivolgersi ad altri che non sia il Banco di Roma.

Osserverò solo che il Banco è fermamente deciso a non andare a Costantinopoli se non è sostenuto dallo Stato italiano e che -anzi -esso -per consiglio dello stesso suo direttore della sede di Tripoli -pensa a cedere a capitalisti esteri le sue imprese in Tripolitania e Cirenaica se non si trova modo di superare le enormi difficoltà che gli si oppongono colà.

Quale sia l'appoggio che il Governo può dare al Banco non sta a me il dire.

Se non è possibile assecondare il suo desiderio di essere ascritto tra i rappresentanti del Tesoro a Parigi, forse lo si potrebbe contentare con opportune concessioni nella questione dei Telefoni di Roma e con un efficace appoggio da parte della Banca d'Italia.

Comunque sia, la necessità di fare, e di far presto s'impone -e non solo per la tutela della nostra influenza e per l'espansione dei nostri interessi e delle nostre industrie in Oriente, ma anche -come ho più sopra dimostrato -per la difesa di vitali interessi interni della Patria nostra.

Di fronte all'appoggio che tutti i Governi accordano -pur non avendo così essenziali interessi da difendere -agli istituti di credito che svolgono la loro azione nell'Impero ottomano, il R. Governo non può -senza incorrere in una grave responsabilità -rimanere inattivo.

Né posso far a meno di dirti ancora una volta che la situazione della Società commerciale italiana d'Oriente, impegnata in Turchia, con un capitale di soli tre milioni, per circa quattordici milioni, è incerta e pericolante, che la Compagnia d'Antivari è in condizioni disperate ed è destinata a sicura rovina se il R. Governo non troverà modo di venirle in aiuto, che -infine -la Banca commerciale tunisina vive di vita stentata, che -insomma tutta l'opera finanziaria italiana in Oriente di questi ultimi anni, fondata su fragili basi finanziarie, corre pericolo.

Io faccio il compito mio, segnalando il pericolo ed indicando il rimedio -a te che ne hai l'autorità e la capacità, l'applicarlo con sollecitudine pari all'urgenza del bisogno.

Escogita tu -che sei così ricco di risorse -il modo per porre in grado Pacelli (giacché è ormai inutile di ricorrere ad altri) di impiantare una sede del Banco a Costantinopoli, e specialmente convocalo il più presto possibile presso di te, allo scopo di evitare che egli -disgustato dalle difficoltà che incontra qui col Governo italiano ed a Tripoli coi turchi -faccia qualche colpo di testa.

564 3 Per il seguito cfr. n. 574.

567

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 3173. Roma, 14 novembre 1910, ore 21,30.

Incidente «Genova». Al mio telegramma comunicato V.E. 5 corrente col mio

n. 30571. Sola risponde quanto segue: «Primo: carico sambuco(... etc. etc. come nel telegramma in arrivo n. 39822 salvo le indicate modificazioni)». Nel secondo punto si confonde notificazione agli interessati comparire innanzi commissione doganale, regolarmente eseguita dal console, con notificazione sentenza giustamente da lui non eseguita.

Non occorre più che ella si procuri informazioni di cui mio telegramma 3057. Secondo risulta da telegrammi questo ministero 7 e 10 novembre n. 1784 e 1804 e da rapporto 3 novembre 1902 n. 404 e telegrammi 8 e lO novembre 1902 nn. 93 e 95 codesta ambasciata, non essendo stato possibile nel 1902 intesa per applicazione diritto capitolare sambuchi eritrei, questione trattamento di essi fu allora regolata verbalmente in via di fatto e di esperimento, senza impegni dall'una e dall'altra parte, in modo che sambuchi eritrei fossero di fatto trattati sul piede di ogni altra nave straniera più favorita in analoghe circostanze. Sta di fatto, però, che dopo il 1902 e fino a questi ultimi incidenti, sambuchi eritrei, per ordini imperiali alle autorità del Yemen, furono sempre trattati secondo diritto capitolare e questione principio viene ora, dopo il 1902, sollevata per la prima volta nel caso sambuco «Genova». Stando così le cose, non ci conviene !asciarci portare sul campo sterile discussioni diritto internazionale, né adottare modus precedenti che potesse in qualsiasi maniera dare occasione a discussioni su stato di diritto e di fatto per trattamento sambuchi eritrei. È anche da evitare soluzione che conduca revisione sentenza la quale sarebbe, sia pure con diversa motivazione, riconfermata sostanzialmente. Credo quindi convenga far valere per soluzione equa incidente i seguenti tre fatti:

2 Cfr. n. 555.

3 Non pubblicati nel vol. VII della serie III con l'eccezione del T. 1784 del 7 novembre 1902 (cfr. n. 170).

l) Dichiarazione 25 agosto 191 O vice-governatore M idi constatante avaria sambuco e quindi forza maggiore per sbarco parte carico, escludendo così implicitamente contrabbando. Data e non concessa affermata incompetenza vice-mudir a rilasciarla, rimane sempre valore di essa come prova morale e constatazione di fatto.

2) Diniego di giustizia derivante da sentenza 2 ottobre 191 O per motivazione e contenuto.

3) Assalto mano armata sambuco per ordine autorità locali.

Ciò premesso, parmi soluzione potrebbe essere seguente:

l) Rilascio immediato sambuco, carico, equipaggio.

2) Riconoscimento che sia dovuta indennità per ingiusto sequestro sambuco carico. Entità risarcimento da determinarsi da commissione mista presieduta da console estero, e composta funzionario turco e funzionario italiano. 3) Punizione mutessarif Hodeida per violenza usata sambuco con bandiera italiana.

Avuto riguardo altri precedenti incidenti e gravi circostanze attuale incidente, soluzione si presenta non solo giusta ma equa. Prego telegrafarmi se ella sia mio avviso, o se creda vi sia altra più utile opportuna soluzione che insieme con nostro prestigio salvaguardi diritti interessi nostri Mar Rosso, tenendo anche conto del complesso dei nostri rapporti colla Turchia, della situazione politica internazionale, dei nostri interessi di vario ordine in varie parti dell'Impero ottomano.

Lascio V.E. decidere se convenga chiedere insieme con recente incidente anche soluzione dei precedenti relativi sambuco «Sahlan», e arresto arbitrario sudditi eritrei, nel qual caso indennità in massima riconosciute potrebbero essere determinate da unica commissione mista.

Avverto infine V.E. che se ella credesse utile per efficacia azione diplomatica costà, presenza altra nave, oltre «Aretusa», in rada Hodeida, «Piemonte» a nostro cenno potrebbe recarvisi da Aden in un giomo4.

567 l Non pubblicato.

568

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 974/310. Pietro burga, 14 novembre 1910 (per. il 18).

Col mio telegramma n. 145' ho riferito all'E.V. le cose dettemi dal signor Sassonoff sui felici risultati politici del convegno di Potsdam e, col mio rapporto

568 l Cfr. n. 557.

n. 3082 ebbi cura di trasmetterle l'importante intervista qui concessa dal reggente del ministero degli affari esteri ad un redattore del Novoe Vremia in cui lo stesso argomento veniva ancora più dettagliatamente trattato.

Da queste e da altre manifestazioni ufficiali del pensiero del signor Sassonoff risulta abbastanza chiaramente che il rimedio ch'egli si propone di applicare d'ora innanzi per conservare indisturbate le relazioni fra i due Paesi consista principalmente in ciò: che ogni qual volta si manifestino attriti su tale o tal altro punto di politica internazionale venga francamente abbordata la questione fra i due Governi per trovar modo di risolverla in modo amichevole3.

La ricetta ha certamente del buono e il tentativo del signor Sassonoff, come ebbi a dichiararglielo io pure non può che riscuotere l'intera approvazione di tutte quelle Potenze che, come l'Italia, hanno grandemente a cuore il mantenimento delle cordiali relazioni fra Russia e Germania. È tuttavia assai dubbio che esso sia suscettibile per tutti i casi di pratica applicazione.

Fintanto che trattasi di questioni o ve, come in quella persiana, gl'interessi della Germania sono relativamente assai scarsi e di lontano eseguimento, il compito non può essere difficile, e fu certamente atto di saggia politica per parte del futuro ministro degli affari esteri l'eliminare, mediante qualche concessione di ordine economico, l 'importuna ostilità della Germania sopra un terreno per la Russia già abbastanza sdrucciolevole. Ma cosa dire invece quando le ragioni dell'attrito si riferissero alle questioni orientali, come fu il caso l'anno passato e toccassero direttamente alla lotta d'influenza che Russia ed Austria combattono nei Balcani? La Germania si è in tali questioni troppo immedesimata colla politica dell'Austria, per volere recedere di un solo palmo di terreno dalle posizioni così penosamente conquistate da entrambe. E come potrebbe dal canto suo il Governo russo acconsentire a nuove dedizioni e rinunzie che scuoterebbero ancora di più la sua posizione già così compromessa nei Balcani e troverebbero poi nell'opinione pubblica russa una insormontabile ostilità? La Russia ripugna da ogni ritorno alla politica di Murzsteg. Se essa vi acconsentì, un po' suo malgrado, 8 anni fa, ciò fu anzitutto per garantirsi le spalle per il proseguimento delle grandiose sue avventure nell'estremo Oriente. Ora che questa politica è stata definitivamente abbandonata e che si è a sua volta, mediante gli accordi coll'Inghilterra e col Giappone, guarentito le spalle in Asia, essa si rivolge nuovamente verso l 'Oriente ed è su questo terreno che deve combattere.

È poi lecito domandarsi quale sarebbe alla lunga il contegno delle due Potenze occidentali, Francia ed Inghilterra alle quali questo Impero si è così intimamente legato, di fronte a troppo soverchie arrendevolezze della Russia

alla Germania riguardo a questiom m cui gli interessi politici delle due predette Potenze sarebbero direttamente in giuoco. Il signor Sassonoff ha dichiarato che lo scambio di vedute e le intese verificatesi durante il convegno di Potsdam avevano avuto come base di pieno consenso da ambo le parti, il mantenimento degli attuali raggruppamenti politici. Ora in vista della sempre crescente tensione fra Inghilterra e Germania vi è motivo di temere che ad un dato momento non si manifesti un'assoluta incompatibilità fra la continuazione degli intimi rapporti col Regno Unito e la nuova politica che il signor Sassonoff intende seguire verso il vicino Impero.

La Russia ha sempre il più vitale interesse -interesse dinastico anzitutto ma pur anche interesse politico ed economico -a conservare alla Germania rapporti di amicizia e di buon vicinato. Essa ha poi bisogno della pace ad ogni costo, e questo fatto, ormai da tutti conosciuto, costituisce indubbiamente il punto più debole della sua posizione internazionale e la costringe ad una politica timida e remissiva, così contraria alle sue tradizioni ed ai suoi gusti. D'altra parte non si può disconoscere che fra Russia e Germania si fa ogni giorno più palese un antagonismo che ha le sue profonde radici in una antipatia di razza, che è più forte di ogni ragione di Stato e di tutti i propositi dei governanti, e che costrinse i sovrani autocrati russi a staccarsi poco a poco dai due Imperi centrali per cercare un punto di appoggio prima in Francia e poscia in Inghilterra. Di questo fenomeno devesi anzitutto tener conto nello scrutare l'avvenire delle relazioni russo-germaniche.

Malgrado tutta la sua buona volontà non potrà il signor Sassonoff arrestare e nemmeno sensibilmente attenuare la perniciosa campagna antitedesca da tempo intrapresa dalla stampa russa contro la Germania e che fu sempre fin d'ora una delle cause determinanti dei lamentati attriti giacché questa campagna trova il suo punto di appoggio nella pubblica opinione. Se quindi i metodi escogitati dal signor Sassonoff potranno qualche volta produrre favorevoli effetti, essi non mi sembrano però tali da rischiarare definitivamente l'orizzonte politico fra Pietroburga e Berlino.

567 4 Per il seguito cfr. n. 569.

568 2 R. 972/308 del 13 novembre, non pubblicato. 3 Annotazione a margine: «Morale: la Germania accampa ogni tanto nuove pretese e poi transigerà per cavarne qualcosa -Insegni la Persia».

569

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 2951. Roma, 15 novembre 1910, ore 9.

Potendo essere richiesta presenza r. nave «Piemonte» in rada di Hodeida appoggiare azione quel r. console generale soluzione incidente sambuco «Genova», prego VE. disporre che quella r. nave attenda ordini Aden.

570

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4040/400. Vienna, 15 novembre 1910, ore 20,20 (per. ore 23,15).

Nel confermarmi cose dette da Sazonoff all'incaricato d'affari imperiale e reale in Pietroburgo, di cui telegramma di VE. n. 3124 1 , questa mattina Aehrenthal ha rilevato che ministro imperiale era persona pratica ed obiettiva che desiderava consolidare situazione Russia e mantenere buone relazioni con tutte le Potenze. Non dubitava che avrebbe quindi considerato d'ora in poi relazioni colla Germania e quelle con Austria-Ungheria in modo simpatico e sperava che quest'ultime sarebbero andate man mano migliorando, ciò che era nell'interesse generale.

571

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE 1942/689. Londra, 15 novembre 1910 (per. il 29).

Ho l'onore di rispondere al telegramma n. 3096'.

In tre rapporti recenti nn. 556, 576, 6462, ho riferito ali 'E.V. tutto quello che mi pareva degno di meritare l'attenzione di lei circa il concluso prestito ottomano per quanto concerneva l 'Inghilterra. Le ho pure sottoposto alcune mie osservazioni circa il sentimento di disillusione e di dispetto che mi è parso qui intravedere sia per il nuovo successo germanico a Costantinopoli, sia soprattutto per la nuova propizia occasione perduta di consolidare quivi l'influenza britannica.

A quanto ho scritto posso ora aggiungere che, dal linguaggio tenutomi due volte da sir A. Nicolson, sarei indotto a ritenere che qui, malgrado l'avvenuto, non si prevede un mutamento nella politica estera della Turchia, la quale -si opina -ci penserà due volte prima di alienare la sua libertà d'azione ed aggregarsi sul serio all'uno o all'altro dei due gruppi delle Grandi Potenze europee. Del resto -come è facile intuire -la questione ha per il momento perduto il carattere di attualità in questo Paese di cui l'attenzione e l'interesse sono ora precipuamente assorbite dalla grave piega presa dalle controversie interne.

Ciò premesso non essendo io in grado di riferire alcunché da Londra, di concreto e di positivo, a riguardo delle dichiarazioni del conte Aehrenthal al duca Avarna, circa le quali V.E. mi fa l'onore di chiedere la mia impressione, debbo !imitarmi a manifestare solo ipotesi e congetture, basate, piuttosto, su ricordi ed osservazioni del passato anziché su rilievi e constatazioni del presente per tentare di dare una interpretazione all'accenno del conte di Aehrenthal.

Mi parrebbe ciò stante che nell'accennare alle conseguenze politiche del prestito concluso dalla Turchia grazie alla premurosa cooperazione della finanza germano-austriaca vi sarebbe forse luogo a supporre che egli abbia potuto volere lasciare intravedere o l'intenzione o il desiderio suo di addivenire, profittando della ripresa influenza germanica a Costantinopoli, e sotto gli auspici dell'Impero alleato, ad un qualche accordo con scopo politico. Dato che questa supposizione sia esatta quale potrebbe essere la natura e la portata di tale accordo? La semplice garanzia del Sangiaccato contro gli appetiti della Serbia o del Montenegro? Mi parrebbe troppo poco; in tutti i casi il tornaconto sarebbe minimo per la Turchia. La quale, non può certo ignorare che, con o senza accordo, alle prime velleità aggressive di quei due Stati le truppe austro-ungariche rioccuperebbero senza indugio il Sangiaccato. Su tale punto non mi sembra possa più sussistere dubbio. Or sono due anni, al momento della firma del protocollo con l'Austria-Ungheria si manifestò nel comitato ed anche tra alcuni membri del Governo, una marcata tendenza a profittare della occasione per intendersi col Gabinetto di Vienna, che sembrava allora non domandar di meglio, per ottenere una dichiarazione impegnativa implicante una garanzia del Sangiaccato. Successivamente i Giovani Turchi si calmarono e in seguito a consiglio ricevuto da questo Governo riconobbero, che la garanzia austriaca sarebbe stata piuttosto nociva anziché vantaggiosa per la Turchia. In tal senso del resto si pronunziò esplicitamente Rifaat pacha, in risposta ad una interrogazione precisa rivoltagli, a Roma da S.E. il senatore Tittoni. Se, dopo ciò, vi ha luogo di dubitare che un eventuale accordo austro-turco possa limitarsi alla semplice garanzia del Sangiaccato, si dovrebbe per conseguenza logica dedurre che la portata e l'entità di un accordo fatto, in fieri o in votis, dovrebbe essere più ampia, avere cioè lo scopo incontestabilmente più pratico e più vantaggioso per la Turchia, di assicurarle il mantenimento dello statu quo e dell'integrità dell'Impero, contro ogni minaccia da parte della Bulgaria, sia che essa agisca da sola, sia che venga spalleggiata da altri Stati balcanici.

L'accordo dovrebbe in altri termini mirare a proteggere la Turchia contro lo slavismo e per tanto sarebbe nel fondo diretto contro la Russia. La quale resta oggi come e quanto prima, agli occhi della grandissima maggioranza dei turchi, vecchi e Giovani, la nemica secolare e tradizionale. A distruggere questa tanto, solidamente radicata convinzione a poco anzi a nulla hanno servito, come io l'ho sempre scritto, tutte le smancerie e le blandizie, prodigate inutilmente dal mio ex collega signor Tcharikoff.

A giustificare queste che, ripeto sono semplici congetture nelle quali mi sono avventurato unicamente per obbedire agli ordini di V.E., mi occorre ricordare che il mio collega ed amico il barone Marschall nei nostri quasi quotidiani colloqui, ebbe, l'anno scorso, più di una volta a manifestarmi le vedute sue personali assai favorevoli ad una intesa tra la Turchia e l'Austria-Ungheria. A siffatta intesa desiderava egli fosse stata se non partecipante almeno consenziente anche l'Italia. La quale, a parer di lui, avrebbe trovato in tali accordi la migliore assicurazione contro qualsiasi velleità espansionistica della Duale monarchia. E ciò avrebbe avuto il benefico risultato di dissipare e in Italia ed in Austria-Ungheria sospetti e diffidenze, rendendo sempre più stretti e più cordiali i legami fra i due Paesi con vantaggio manifesto della solidità e dell'efficienza della Triplice Alleanza.

Delle vedute del barone Marschall io non mancai di rendere a suo tempo consapevole il senatore Tittoni, con due telegrammi inviatigli qualche tempo prima che egli abbandonasse la Consulta.

Poiché io non esprimo apprezzamenti ma unicamente congetture mi sento obbligato a fare in certo modo l'avvocato del diavolo menzionando anche gli argomenti che potrebbero infirmarne il fondamento. Al primo cioè alla riluttanza della Turchia a violare la sua politica estera, e per tanto ad una possibile e verosimile resistenza sua ad eventuali più o meno dolci pressioni germano-austriache ho già accennato dianzi.

Il secondo argomento mi viene fornito dall'avvenuto mutamento nella direzione della politica estera russa mutamento di natura a rendere possibile se non probabile, una modificazione del contegno ostile della Germania e della Russia. E se ciò fosse, non vi sarebbe da escludere a priori, l'eventualità che la Germania invece di favorire una intesa implicitamente anti-russa e destinata quindi ad aizzare anche la Russia contro l'Austria, preferisca rinunziarvi e tornando alla antica politica si adoperi per facilitare gli affari di Oriente un novello terreno d'interesse fra i due Imperi rivali.

Ho esposto fin qui le mie congetturali impressioni con i loro pro ed i loro contro, non mi resta ora che pregare V.E. di esaminarle con benevolente indulgenza. Circa il loro maggiore e minore fondamento, le informazioni fornitele da altri miei colleghi porranno poi V.E. in grado di farsi un concetto più esatto e preciso.

570 l T. 3124 dellO novembre, col quale si comunicava il T. 3959 del9 novembre, non pubblicato. 571 l Cfr. n. 556, nota l. 2 RR. 1619/566 e 1644/576 rispettivamente del 22 e 29 settembre e R. confidenziale 1838/646 del 29 ottobre, non pubblicati.

572

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 1941/688. Londra, 17 novembre 1910 (per. il 21).

Il recente incontro di Potsdam tra le Loro Maestà di Germania e di Russia, è stato qui seguito con attenzione, ma non ha dato luogo ad alcun commento che meriti speciale nota, da parte di questa stampa. La quale, rassicurata dalle dichiarazioni del signor Sazonoff e dai comunicati ufficiosi pubblicati nei giornali di Russia e di Germania, circa il significato e la portata del convegno, in nessun modo implicante una modificazione della politica estera della Russia, vi ha saggiamente ravvisato una garanzia di più per il mantenimento della pace, e pertanto se ne è mostrata in sostanza piuttosto compiaciuta.

Del resto i commenti sono stati assai scarsi, la grandissima maggioranza dei giornali essendosi limitata a registrare le molto particolareggiate notizie trasmesse dalle agenzie telegrafiche e dai rispettivi corrispondenti.

Questa nota equanime nell'apprezzare l'importante avvenimento, ho potuto constatare anche nel linguaggio tenutomi da sir Arthur Nicolson, col quale, in recenti colloqui mi è occorso di parlame incidentalmente.

Sir Arthur mi disse che sulle prime aveva provata una curiosa impressione, pel fatto della omissione dei soliti brindisi al banchetto di gala. Ripensandovi però meglio, si era detto che dal momento in cui i sovrani avevano taciuto, voleva dire che non avevano niente di veramente importante da dirsi ed in tali condizioni il silenzio era di gran lunga preferibile. Sir Arthur osservava, in generale, che il convegno di Potsdam aveva sempre la sua importanza, come quello che era manifestamente destinato a rimuovere frizioni e risentimenti per i passati avvenimenti. E se tale intento sarà stato, come è sperabile, raggiunto, vi è motivo di rallegrarsene per tutti coloro che desiderano sinceramente la pace e la tranquillità nelle relazioni tra le grandi Potenze.

Il sotto-segretario di Stato aggiunse ritenere egli, per la conoscenza che ha del signor Sazonoff, personaggio di intelligenza non comune, che, ad onta dei suoi innegabili sentimenti panslavistici, il nuovo ministro degli affari esteri di Russia troverà il modo di dare alla politica dell'Impero una impronta tale, da permettergli, pure conservando intatte le attuali linee direttive, di mantenere le buone relazioni con i due Imperi vicini. E qui, osservò sir Arthur che la tensione irrimediabile tra il signor Iswolsky e il conte d'Aehrenthal era divenuta alla lunga noiosa, imbarazzante e disaggradevole per tutti.

Ad una mia domanda sulla attendibilità della notizia comparsa nei giornali, di un prossimo viaggio del signor Sazonoff a Vi enna, replicò sir Arthur, nessuna informazione positiva possedere egli al riguardo, sembrargli tuttavia verosimile che, comunque, il signor Sazonoff, prima di andare a Vienna si recherebbe a Parigi.

573

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, NANI MOCENIGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1235/254. Sofia, 17 novembre 1910 (per. il 23).

Dopo un'assenza di qualche mese, ha fatto giorni or sono ritorno a Sofia questo ministro di Romania, signor Diamandy. Profittando di una sua visita gli ho chiesto ieri se ed in quali termini egli fosse stato autorizzato ad esprimersi qui coi suoi colleghi che l'avessero eventualmente interrogato sulle voci corse di una convenzione turco-rumena. Il signor Diamandy, che mi è parso si aspettasse la domanda, si è affrettato a farmi le seguenti dichiarazioni:

«Le relazioni della Romania colla Turchia sono in questo momento eccellenti: i due Paesi stanno spingendo alacremente le trattative per una soddisfacente soluzione delle questioni fra loro pendenti, della convenzione commerciale cioè, accettata dall'antico regime e lasciata finora in sospeso dal nuovo, del regolamento definitivo della questione dei vacuf di Dobrugia ed infine dei privilegi religiosi alle popolazioni valacche di Macedonia. Nessuna altra trattativa o negoziato di eguale o maggiore portata è attualmente pendente fra Romania e Turchia: né se ne vede la necessità. La politica della Romania è essenzialmente pacifica e mira al mantenimento dello statu quo nei Balcani; siccome essa è convinta che la Triplice Alleanza è una sincera sostenitrice di questo stesso principio, i suoi rapporti sono naturalmente assai cordiali coi Gabinetti di Vienna, di Berlino e di Roma, del pari che con quello di Costantinopoli che da qualche tempo ha dimostrato di entrare nello stesso ordine di idee. Ma la politica della Romania non deve intendersi pacifica ad ogni costo: se infatti un Paese qualunque volesse violare lo statu quo nei Balcani, essa si riserverebbe la facoltà di agire secondo le congiunture del momento e di provvedere a difendere i suoi interessi nel modo che reputasse più conveniente. Sino al verificarsi però di una tale eventualità la Romania preferisce conservare le mani libere. Col legarsi ora, in un momento cioè di pace e di tranquillità, essa commetterebbe un atto contrario alla sua politica; e per converso, il giorno in cui l'esistenza di una convenzione fra la Romania ed un Paese balcanico qualunque risultasse provata, vorrebbe dire che la situazione sarebbe gravissima ed un conflitto inevitabile. Di ciò sono talmente convinti i conoscitori della Romania che quando cominciarono a circolare le prime voci di una pretesa convenzione turco-rumena nessuno dei varii ministri accreditati a Bucarest si era recato a quel Ministero degli affari esteri per sollecitare delle smentite: nessuno cioè, ad eccezione di un solo, che vi aveva particolarmente insistito, ed era stato il ministro d'America».

Ho voluto riferire quasi testualmente le parole del signor Diamandy, che in causa di un suo prolungato soggiorno a Bucarest ove diresse per circa quattro anni l 'Ufficio Politico del Ministero degli esteri può parlare con una certa competenza della politica del suo Paese, perché alla fine di esse egli mi dichiarò che erano il frutto di suoi recenti abboccamenti coi governanti rumeni e di una conversazione collo stesso re Carlo. Le sue dichiarazioni, sfrondate dalle formule e dalle riserve diplomatiche, possono contenere qualche interessante ammonimento.

Mi consta che il signor Diamandy si è espresso in termini analoghi coi varii capi-missione qui accreditati ed altresì, in base a tassative istruzioni del suo Governo, con questo ministro degli affari esteri: il linguaggio tenuto dal signor Malinoff al Sobranie, sul quale ebbi a riferire all'E.V. col mio rapporto n. 345 del 9 corrente', mi sembra del resto, nel suo complesso, essersi a quelle dichiarazioni inspirato.

573 l Cfr. n. 554.

574

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2451/1070. Vienna, 18 novembre 1910 (per. il 24).

Mi riferisco al mio rapporto di ieri n. 2433/10601.

Discutendosi ieri innanzi alla delegazione austriaca il bilancio dell'esercito parlò per primo il delegato polacco dottore Petelenz, il quale disse che l'unità dell'esercito deve esser superiore a tutti i desideri delle varie nazionalità. Prese quindi la parola il ministro imperiale e reale della guerra il quale dopo aver dato spiegazioni e risposto a varie domande rivoltegli dai delegati, dichiarò che l'esercito austro-ungarico è animato dal maggiore sentimento del dovere e che non vi è in esso alcuna tendenza al pretorianismo. Il generale di Schonaich venne quindi a spiegare la frase relativa ai preparativi bellici che l'Austria-Ungheria deve fare sopra varie fronti. La storia, e specialmente quella delle ultime dieci campagne austriache, dimostra l'esattezza del suo asserto. Di queste dieci guerre, sette vennero infatti combattute verso varie fronti. Si deve ancora tener presente che nelle ultime cinque guerre l'Austria fu completamente isolata. La Monarchia deve contare esclusivamente sopra le proprie forze giacché può accadere che, avvenendo complicazioni internazionali, le Potenze alleate possano dedicare le proprie forze soltanto a degli scopi che le interessano particolarmente. Non deve ancora dimenticarsi che le alleanza vengano tanto più considerate quanto maggior valore hanno effettivamente. Innanzi tutto deve curarsi la sicurezza degli Stati all'interno ed all'estero; soltanto dopo può esservi campo per la cura degli interessi culturali. Malgrado il maggior desiderio di pace, la monarchia non deve dimenticare la necessità di avere un esercito agguerrito. Se una tale dichiarazione fosse fatta dal ministro degli affari esteri essa avrebbe certo un significato completamente diverso di quello che ha essendo fatta per bocca del ministro della guerra, il quale ha il dovere di fare la politica anche con la spada. Il ministro della guerra continuò dicendo che le forze di terra devono venire rafforzate, malgrado l'aumento di quelle di mare. Egli promise quindi di presentare alle prossime delegazioni un prospetto delle maggiori spese complessive che si dovranno fare per l'esercito e che andranno probabilmente ripartite in vari bilanci.

Dopo alcune dichiarazioni del relatore, cavaliere di Kotzlowski, il bilancio della guerra venne approvato, e si procedette alla discussione di quello della marina. Parlò per primo il relatore conte Latour esponendo le necessità della marina austro-ungarica e domandando alla delegazione i suffragi pel bilancio stesso. Il delegato italiano cattolico dottore Bugatto disse che la Triplice Alleanza potrebbe forse indurre l'Austria-Ungheria e l'Italia a diminuire le fortificazioni al confine,

574 I Non pubblicato.

ma non è possibile di diminuire gli armamenti navali. Egli domandò quindi che venga ridotta l'attuale ferma dei marinai e che le reclute del litorale vengano destinate alla Marina piuttosto che all'Esercito.

Il comandante della Marina ripeté in complesso le cose già note concernenti la costruzione dei dreadnoughts austro-ungarici nonché il suo proposito di presentare alle delegazioni del 1911 il programma navale completo della Monarchia per il prossimo avvenire.

Il delegato socialista Seitz espresse ancora una volta la riprovazione del suo partito pel modo anticostituzionale col quale si procedette alla costruzione dei dreadnoughts, dopo di che in seguito ad un breve discorso del relatore dottor Schlegel, anche il bilancio ordinario e straordinario della marina venne approvato.

S'incominciò quindi ad esaminare la relazione della sotto-commissione appositamente nominata per studiare le ragioni del caro prezzo delle forniture per l'esercito e la flotta.

575

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1323/521. Tripoli di Barberia, 19 novembre 1910 (per. il 24).

Ringrazio l'E.V. del suo dispaccio segnato a margine 1•

In riguardo ai fosfati della Tripolitania ed alla probabilità di attenerne la conçessione, debbo purtroppo emettere dubbj fondati quando, dopo l'attitudine favorevole del suo predecessore, il nuovo valì Ibrahim pascià non si perita di dichiarare pubblicamente in pieno Consiglio amministrativo che gli italiani ed il loro capitale non devono assolutamente partecipare all'impresa e, come se non bastasse, lo ripete e fa opposizione, in quanto può, a quelle persone indigene che, formando qui la Società Ottomana, si erano appoggiati per la parte finanziaria o tecnica al sindacato franco-italo-egiziano.

Con ciò si arena ogni ulteriore mossa di questo gruppo arabo ottomano tripolino il quale, spaventato, non osa più muovere.

Ma intanto, altri si affacendano in Costantinopoli per soppiantare chi ebbe la prima iniziativa e tanto lavorò; già ne dissi in ottobre al mio passaggio da Roma, e qui mi sia permesso di citare in via tutta confidenziale il passaggio di una lettera che persona, molto in relazione con la Banque Nationale de Turquie, fondazione di sir Ernest Casse!, e parente di questo signor Gutowski, gli scriveva sin dai primi di ottobre: «Me trouvant hier chez une personne influente appartenant à la Cour impérial, il a été question des mines de phosphate de Tripoli de Barberia. Veuille donc me dire, par re

575 I D. 340 del 6 novembre, non pubblicato, col quale si comunicava un sunto del n. 545.

tour de courier, sachant que tu t'en occupes, si tu voudrais obtenir, sans long délai, du Gouvemement cette concession, et je suis aussi à mème de te trouver le groupe et !es capitaux nécessaires, et qui seraient agrées par notre Gouvemement. C'est un conseil d'ami que je me permets de te donnem. La medesima persona è ancora tornata di recente a ribattere sull'argomento.

È certo che nella capitale si lavora a nostro danno. Qualche interessato del Ministero ottomano per riservare l'affare a suoi amici e consocj, ha forse ridestato l'opposizione sistematica agli italiani in Tripolitania e conseguenti ordini; sotto questo pretesto politico, gruppi concorrenti di altre nazionalità otterranno il loro intento per i fosfati e noi saremo scartati dopo aver tutto fatto e preparato.

Sarebbe doloroso e sconfortante; ma se non abbiamo mezzo di imporci al Ministero turco o di guadagnarci gli oppositori, così sarà, e dovremo in avvenire assolutamente rinunciare a qualsiasi altra pretesa di pacifica penetrazione e lasceremo disgustati ed irritati quei capitalisti che fidenti si erano scossi ed uniti.

Il caso è tristissimo ed, oltre a quel danno immenso morale e materiale, avrà per conseguenza un altro ben maggiore ed ancora più diretto per il nostro Paese, per la nostra Sicilia, ossia la molto probabile concessione a forestieri degli zolfi della Cirenaica e del golfo della Grande Sirte.

Il R. Governo pensi seriamente a quella probabilità e veda come stanno le cose a Costantinopoli tanto per i fosfati, quanto per il concatenamento de li 'una concessione con l'altra degli zolfi.

Ignoro cosa facciano i signori Fernandez e compagni, e mi domando se non sarebbe anche il caso che in quella capitale ottomana si porti senza ritardo un accorto rappresentante del Banco di Roma per non perdere irremissibilmente il frutto di tanto lavoro.

Potrebbe anche darsi che si tratti di una montatura finanziaria e che riuscendo a soddisfare qualche ingordo gros bonnet della capitale, si possa forse ancora riparare alle minacce o per lo meno partecipare all'affare.

N.B. Di questo mio rapporto rimetto copia al r. ambasciatore in Costantinopoli in via tutta confidenziale.

576

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 391611192. Costantinopoli, 20 novembre 1910 (per. il 28).

Il marchese Theodoli m'informa che, per un caso fortuito, il ministro di Svezia in questa capitale è venuto a sapere che egli, Theodoli, s'interessava all'affare di canalizzazione e sistemazione fluviaria della Mesopotamia. Ora il signor Anckarsward s'occupa, egli stesso, di tale affare, da un anno e mezzo, per conto di banchieri e capitalisti svedesi e danesi (la legazione di Svezia è anche incaricata degli interessi della Danimarca). Il suo interessamento ebbe origine da un viaggio che un viaggiatore svedese, professore universitario ed uomo competentissimo, fece in quella regione e donde tornò entusiasta e con progetti di colonizzazione scandinava, da seguire naturalmente l'esecuzione dei lavori di bonifica.

Ora il ministro di Svezia asserisce di aver pronto il gruppo di capitalisti che fornirebbe i fondi, ma gli manca l'uomo capace di assumere tecnicamente l'impresa, l'intraprenditore col personale e con le maestranze che si richieggono. Senza confessare che si trovava nella situazione precisamente inversa, anzi lasciando credere che aveva egli stesso un gruppo finanziario, sebbene non ancora deciso a sobbarcarsi l'affare, il marchese Theodoli fece intravedere che un accordo potrebbe forse farsi tra capitali scandinavi e capitale e lavoro italiani. I Giovani Turchi non potrebbero vedere se non di buon occhio una tale alleanza e dal punto di vista dell'Inghilterra, saremo più forti in tre a resistere alle possibili pressioni che si volessero esercitare.

La combinazione appare vantaggiosa, senza che sia bisogno di spiegazioni, anche dal punto di vista italiano, dal momento che non possiamo, o non vogliamo, far tutto da noi.

Il ministro di Svezia deve aver telegrafato oggi stesso al gruppo dano-svedese per cui s'interessa all'affare. Terrò VE. a corrente del seguito che avrà la cosa'.

577

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, A LONDRA, IMPERIALI, E A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 3248. Roma, 21 novembre 1910, ore 12, 15.

Avarna comunica che tanto l'imperatore Francesco Giuseppe, quanto i circoli di Corte ed il Governo Imperiale e Reale si adoperano attivamente per giungere ad un deciso riavvicinamento colla Russia. In questo senso si sarebbe espresso lo stesso imperatore col principe Uroussoff in occasione dell'udienza di congedo di quest'ultimo. Gradirò conoscere che cosa risulti ali 'E.V. in proposito ben inteso senza parlarne con codesto Governo'.

577 l Per le risposte cfr. nn. 578, 583, 584.

576 l Per il seguito cfr. n. 588.

578

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4119/229. Berlino, 21 novembre 1910, ore 18,22 (per. ore 20,50).

Telegramma di V.E. n. 32481. Ho avuto una conversazione, in questo momento, con Szogyeny, tornato ierisera da Vienna. Egli conferma, in generale, il desiderio dell'imperatore e di Aehrenthal di coltivare corretti e amichevoli rapporti con Pietroburgo, il che sarà agevolato dalle disposizioni de li'attuale ministro degli affari esteri russo. Szogyeny esclude, però, che quei limiti possano essere oltrepassati, e che si tratti ora di stabilire fra i due Governi alcuni vincoli di particolare intimità. Tale è pure impressione di Kiderlen-Waechter, col quale ebbi, giorni or sono, occasione di accennare a quell'argomento ed è lecito ritenere che a Vienna si comprende come un troppo diretto accordo di quel Governo colla Russia non sarebbe veduto qui senza qualche diffidenza.

579

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4120/508. Pera, 21 novembre 1910, ore 22,20 (per. ore 22,55).

Tripolitania. Ho parlato a lungo con Rifaat delle prevenzioni che si nutrono contro noi in Tripolitania, citandogli avvenuto trasloco di funzionari, la poca cortesia del nuovo valì, le sue minacce ai membri arabi del Sindacato dei fosfati la ripulsa agli ingegneri concorrenti per strade ecc. Il ministro degli affari esteri prodiga proteste ed assicurazioni, scusa il valì che è un soldato, ha telegrafato agli ingegneri, nega il partito preso. Ho replicato richiamando attenzione del Governo sul pericolo che tanti fatti susseguenti, rivelatori di uno stato di animo ingiustificatamente ostile a nostro riguardo, finiscano per avere incresciose conseguenze.

580

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 4117/511. Pera, 21 novembre 1910, ore 22,20 (per. ore 22,25).

Telegramma 32281. Rifaat pascià sa che si vuole reprimere contrabbando sulle coste Arabia: contrabbando che si copre ora con una bandiera, ora con un'altra, ma

580 l T. del 19 novembre, non pubblicato.

esclude assolutamente che sambuchi eritrei siano specialmente presi di mira. Però, per tranquillarci, farà impartire ordini immediati dal ministro dell'interno e da quello della marina perché si eviti tutto ciò che possa nuocere al nostro commercio e darci ragione di lagnanze.

578 l Cfr. n. 577.

581

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4128/416. Vienna, 22 novembre 1910, ore 8,16 (per. ore 22, l 0).

Telegramma n. 3246'. Muller mi ha detto che alcuni giorni fa questo ministro di Grecia era venuto informarlo, incarico proprio Governo, che notizia pubblicata da giornali viennesi che boicottaggio contro merci elleniche in Turchia fosse cessato non aveva alcun fondamento, giacché boicottaggio continuava come prima. In pari tempo signor Streit, nel manifestare preoccupazione proprio Governo per atteggiamento Sublime Porta contro Grecia, avevagli domandato se, a notizia Governo imperiale e reale, Governo ottomano fosse animato da sentimenti bellicosi. Al che Mullcr avevalo rassicurato facendogli conoscere che non risultava affatto al Governo imperiale e reale che Governo ottomano avesse disposizioni simili e cercasse provocare conflitti contro Grecia.

582

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA

D. 321. Roma, 22 novembre 1910.

Mi è regolarmente pervenuto il rapporto 8 novembre corrente n. 507' col quale la S.V. passando in rassegna le difficoltà che, in Tripolitania, hanno dal 1907 incontrato i nostri interessi per sistematica opposizione delle autorità ottomane, conclude mostrando come l'atteggiamento ostile del nuovo valì Ibrahim pascià possa peggiorare le cose e farci anche perdere quel poco che abbiamo acquistato.

582 l Non rinvenuto nel fascicolo.

Delle notizie fornitemi ringrazio la S. V. mentre ho presa buona nota degli apprezzamenti e dei timori, sui quali ella chiama la mia attenzione.

Per quanto poi si riferisce alle istruzioni che ella mi chiede per sapersi regolare di fronte alla situazione attuale, mi riservo di impartirgliele, caso per caso, a seconda delle circostanze come pel caso dell'incidente originato dai maltrattamenti subiti dal signor Arbib e dalla susseguente citazione spiccata da codesta autorità giudiziaria contro il signor Saman (mio dispaccio n. 31 ).

Intanto ho chiamato l'attenzione del r. ambasciatore a Costantinopoli sulle cose dalla S.V. riferitemi e sull'atteggiamento del nuovo valì specialmente ostile ai nostri interessi, atteggiamento che fa temere nuovi incidenti.

Al barone Mayor ho fatto rilevare, per eventuale sua norma di linguaggio, che «la situazione nostra in Tripolitania quale la dipinge codesto r. consolato generale non può non destare serie preoccupazioni presso il R. Governo, per cui m'incombe l'obbligo di fare rilevare alla r. rappresentanza presso la Sublime Porta che la continuazione di un simile stato di cose non si può tollerare». Tanto le partecipo per sua opportuna e riservata notizia, pregandola in pari tempo di vegliare, colla sua consueta diligenza, alla tutela dei nostri diritti; non ho perciò se non a rimettermi al suo tatto mentre che ella nelle sue relazioni con codesta autorità ella dovrà continuare a dar prova di tutto lo spirito di conciliazione compatibile alle circostanze. Gradirò, infine, che ella mi tenga con sollecitudine informato di quanto possa illuminarmi sul contegno di codesto valì e delle autorità Iocali a nostro riguardo.

581 l T. 3246 del 20 novembre, non pubblicato.

583

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 4135/258. Londra, 23 novembre 1910, ore 13 (per. ore 16,25).

Telegramma di V.E. n. 32481. Ieri Nicolson riprese spontaneamente a parlarmi convegno Potsdam mostrando, senza entrare in particolari, sincero compiacimento per informazioni recenti comprovanti primitiva sua impressione (mio rapporto 688)2 circa buon risultato dei colloqui ivi avvenuti nei quali sembra siano stati dissipati malintesi ed eliminati passati attriti. Dichiarazioni spontanee di Nicolson mi porsero occasione di accennare senza inconveniente alle relazioni austro-russe. Quale impressione mia personale, dissi parermi ovvio che ristabilita condialità relazioni tra Berlino e Pietroburgo possa avere per conseguenza anche

583 I Cfr. n. 577. 2 Cfr. n. 572.

un riavvicinamento austro-russo e su tale impressione chiesi opinione sotto-segretario di Stato. Replicò Nicolson riavvicinamento austro-russo apparirgli per il momento prematuro. Considerarlo però egli come avvenimento facilmente prevedibile in un futuro più o meno prossimo e comunque sotto ogni rispetto altamente desiderabile. Veduta pressoché analoga, a titolo personale e confidenziale, mi ha manifestato anche Mensdorff. Il quale è persuaso che, oramai scomparso Izwolskij, grazie agli ottimi rapporti intercedenti fra conte di Berchtold e [Sazonoff], nonché all'efficace azione che non mancherà certo di spiegare nuovo ambasciatore di Russia a Vienna, relazioni fra i due Imperi non tarderanno a ridivenire a poco a poco amichevoli.

584

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4144/338. Parigi, 23 novembre 1910, ore 20,30 (per. ore 23).

Risposta al telegramma 32481. In questi circoli diplomatici e politici si pensa che Austria cercherà riavvicinamento Russia, ma eviterà accordi speciali. Ricordo in proposito che, quando ultimamente si trattò per un riavvicinamento austro-russo, Iswolsky mandò a Aehrenthal una proposta di accordo basata sul reciproco disinteresse territoriale nei Balcani, e che Aehrenthal declinò di entrare in trattative per un accordo concreto. È vero che ora non c'è più Iswolsky, ma, malgrado ciò, un accordo speciale per l'Oriente, tra Austria e Russia non mi sembra probabile.

585

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 1383/6831. Atene, 23 novembre 1910 (per. il 29).

Questo ministro d'Inghilterra ha confidenzialmente fatto parte ai colleghi di Russia, di Francia ed a me delle sue preoccupazioni per la piega che la questione

cretese sembra prendere di nuovo e ci ha palesato il suo proposito di sottoporre al Gabinetto di Londra un progetto di provvisorie misure che, a suo avviso, eliminerebbe in parte almeno i danni ed i pericoli dell'attuale precaria situazione.

Secondo quel progetto, le Potenze Protettrici inviterebbero il signor Zaimis a ritornare nell'isola per esercitare le sue funzioni di alto commissario e, alla scadenza del suo mandato, in settembre 1911, gli rinnoverebbero tacitamente i poteri senza l'intervento del re di Grecia. Il ritorno a Creta dell'alto commissario implicherebbe fra l 'altro l 'abolizione di tutti gli emblemi greci presentemente colà usati e in genere la ricostituzione del regime esistente fino al 1907.

Siccome è noto, i desiderata della Turchia sono ben più numerosi di quelli cui verrebbe data soddisfazione con le proposte di sir Francis Elliot. Essi si estendono dall'esclusione assoluta della Grecia e del re Giorgio da ogni relazione coll'isola (giudici, ufficiali della milizia, emblemi, nomina dell'alto commissario ecc.), alle ferme esterne della «sovranità» ottomana mediante guarnigione e stazionarie. Ma sir Francis ritiene che la soppressione degli emblemi e l'espediente di mantenere il signor Zaimis come alto commissario senza la nomina regia basterebbero a tranquillizzare la Sublime Porta e l'opinione pubblica ottomana. Ma egli non si dissimula le molte altre difficoltà che possono frapporsi all'esecuzione del suo progetto e innanzi tutto il dubbio accordo tra le Potenze Protettrici a tale riguardo, l 'accettazione da parte del re e del signor Zaimis di un simile compromesso, le conseguenze che ne deriverebbero in Creta ed in Grecia.

Per quanto concerne la prima difficoltà, sir Francis ne ha già avuto un saggio nelle risposte dategli dai miei colleghi di Russia e di Francia, il primo dei quali ha dichiarato che la questione cretese è fra quelle che, a suo avviso, devono lasciarsi dormire, mentre il secondo ha contrapposto al progetto di Elliot l'antica sua idea del! 'autonomia e della nomina di un capo affidato alla popolazione dell'isola con speciali limitazioni nella scelta.

li signor Sverbeew mi ha poi confidenzialmente manifestato l'impressione che il progetto inglese sia dovuto anziché all'iniziativa di Elliot a quella di Lowther, che vorrebbe rialzare le proprie azioni a Costantinopoli ed ha soggiunto che non vede per qual motivo si dovrebbero spontaneamente favorire le esigenze della Turchia.

Il signor Deville non ha poi nascosto a sir Francis il timore che gl'indispensabili scambi di vedute fra le Quattro Potenze per l'esame del progetto non allarmino i Gabinetti di Berlino e di Vienna che, secondo il pensiero del nostro collega britannico, dovrebbero aver conoscenza delle progettate misure soltanto dopo, raggiunto l'accordo e decisane l'esecuzione, mentre alla discussione per l'autonomia, che muterebbe radicalmente gli statuti dell'isola verrebbero invitate senza misteri anche la Germania e l'Austria-Ungheria.

Per quanto concerne la seconda difficoltà, sir Francis mi ha riferito a titolo confidenzialissimo d'averne intrattenuto il presidente del Consiglio il quale avrebbe espresso l'avviso che ove il ristabilimento dell'alto commissario risultasse energicamente imposto dalle Potenze, né Sua Maestà né il signor Zaimis si sottrarrebbero all'ottemperarvi. Sir Francis aggiunse però che, evidentemente, l'adozione delle misure da lui escogitate non contribuirebbe alla popolarità della Corona e del signor Venizelos e che converrebbe trovare qualche modo per salvaguardarla. Egli mi disse infine di aver assicurato il signor Venizelos che qualora il progetto venisse accolto non se ne parlerebbe che dopo finite le prossime elezioni.

Circa le conseguenze che l'applicazione del progetto Elliot potrebbe aver in Creta ed in Grecia è difficile il far previsioni. Sir Francis mi ha detto che, comunque, il ripristinamento dell'Alto Commissariato dovrebbe essere imposto come una irreduttibile e non discutibile decisione delle Potenze ed essere eventualmente appoggiata dalla forza.

Per parte mia mi sono limitato a rispondere al mio collega d'Inghilterra che il suo progetto mi sembrava degno del più serio esame, che perciò appunto non mi sentivo in grado pel momento di pronunciarmi su di esso e che mi riservavo di esporgli più tardi le mie considerazioni in proposito.

La mia impressione si avvicina fino ad un certo segno a quella del signor Sverbeew per quanto riguarda l'origine del progetto Elliot. La devota e profonda amicizia che lega al re Giorgio il mio collega d'Inghilterra mal lo avrebbe lasciato assumere personalmente simile iniziativa, né il suo pensiero per le cose di Creta è mai stato in quella sua attuale direzione. Ma tanto più importante mi sembra perciò il suo passo, poiché non sarebbe senza l'intervento del suo Governo che egli entrerebbe nella via indicata da Lowther.

584 l Cfr. n. 577.

585 l Annotazione a margine: «Mandare copia a Londra perché ci dica quale accoglienza questo progetto avrebbe colà e ciò che (Imperiali) pensa circa l'origine di questa iniziativa di sir Francis».

586

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4156/260. Londra, 24 novembre 1910, ore 14,36 (per. ore 17,35).

Telegrammi di V.E. nn. 3222, 32551. È venuto testé a vedermi ministro di Grecia. Dopo avermi intrattenuto di argomenti indifferenti, ha trovato modo di accennare spontaneamente voci corse di un appello del re di Grecia all'imperatore d'Austria-Ungheria e di un conseguente intervento del Governo Imperiale e Reale a Costantinopoli. In base a telegramma che diceva essergli giunto da Atene, ministro ha voluto dare formale categorica smentita a tali notizie dichiarandole destituite di qualsiasi fondamento. Mi sono in risposta limitato a dire che avevo anch'io letto notizia aggiungendo che, al postutto, il fatto, qualora fosse stato esatto, non avrebbe avuto a mio avviso nulla di anormale.

Ignoro motivi che hanno indotto Governo ellenico ad incaricare questo suo rappresentante di smentire in modo così accentuato intervento austriaco a Costan

tinopoli a favore della Grecia. Debbo però rilevare che, lunedì ancora, Nicolson, nel constatare con compiacimento migliorata situazione, mi disse risultargli Austria-Ungheria avere realmente rivolto a Costantinopoli calde esortazioni in favore pacificazione greco-turca. Nel corso della conversazione ho manifestato al ministro sgradita sorpresa mia personale per telegramma odierno Times circa deliberazione di jeri nell'Assemblea cretese, osservando essa si presta a provocare nuove recriminazioni da parte della Turchia e risvegliare così con manifesto svantaggio per la Grecia questione cretese che accennava ad assopirsi. Ministro ha espresso suo rincrescimento per avvenuto, al quale ha dichiarato essere Governo ellenico completamente estraneo. Essendosi egli poi !agnato per continuazione boicottaggio, ho rilevato a mia volta procedere assemblea cretese non parermi certo di natura a facilitarne cessazione.

586 l T. 3222 del 19 novembre e T. 3255 del 21 novembre, non pubblicati.

587

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE PERSONALE 742/223. Cettigne, 24 novembre 1910.

L'altro giorno, dopo che la questione del rimpatrio degli emigrati albanesi era stata risolta mediante una intesa tra il Governo montenegrino e la Porta ottomana, questo ministro di Russia, signor Arsenieff, si è recato dal ministro degli affari esteri di qui, e gli ha fatto la seguente dichiarazione per ordine espresso ricevuto dal suo Governo.

A mezzo del signor Ciarikoff, egli disse, Rifaat pascià ha sollecitato la mediazione del Governo russo per indurre il Montenegro a consigliare il rimpatrio degli emigrati albanesi. La Russia non vuole sentire parlare di guerra in questi paraggi (sic). La presenza qui degli emigrati di Turchia è un pericolo permanente per la pace, il Montenegro è tenuto a far sapere a quella gente, nel più breve termine possibile, che deve ritornare immediatamente a casa. Se il Montenegro rifiuta di far ciò, la Russia gli sospenderà il pagamento dei sussidi che gli ha corrisposto finora.

Riferito dal ministro degli esteri al re Nicola tale discorso, questi ne fu estremamente meravigliato ed offeso, e pregò il signor Arsenieff di recarsi da lui a confermargli, se fosse stato il caso, la dichiarazione.

Avuta la conferma, e con modi ancora piuttosto bruschi, Sua Maestà ha diretto al rappresentante della Russia una lunga lettera particolare, con preghiera di trasmetterne copia al Ministero imperiale degli affari esteri a Pietroburgo.

Credo opportuno di riassumere qui appresso il contenuto di questa lettera.

Sua Maestà comincia col partecipare al ministro che la questione degli emigrati albanesi è stata già composta con soddisfazione di tutte le parti interessate, e che, pertanto, non si comprendevano punto i passi da lui fatti nel senso sopra indicato dopo la chiusura di detta questione. Poi continua dicendo che il Montenegro si è ben guardato in ogni tempo di creare imbarazzi e difficoltà alla Russia, anzi ha fatto del suo meglio per seguire la linea di condotta che da questa gli veniva tracciata. Ciò ha dimostrato in parecchie circostanze, animato sempre dal desiderio di non trascinare la Russia in complicazioni pericolose, come sarebbe successo se esso avesse profittato, per agire secondo i propri interessi, degli avvenimenti seguiti attentamente, in date diverse, nella Macedonia, in Grecia, a Creta, nella Vecchia Serbia ed in Albania.

Perché tali sentimenti della vigilia sarebbero oggi cambiati? Come conciliare la cura costante del Montenegro di salvaguardare gl'interessi russi con l'intenzione che oggi gli viene attribuita di provocare una guerra, e di trascinarvi la Russia?

«Ella, signor ministro, (testuale) col carattere e con l 'intonazione del suo intervento n eli'affare degli emigrati albanesi, ha sfondato una porta aperta, e, ciò che rende la cosa alquanto comica, l'ha sfondata con fracasso».

La Russia minaccia la sospensione dei sussidi. Ebbene, li sospenda pure, ed il Montenegro non le sarà per questo meno fedele e devoto. È il sentimento che ad essa lo lega, non il denaro; è la comunanza di razza e di religione; è la secolare tradizione. Con o senza sovvenzione pecuniaria il Montenegro sarà sempre il fratello e l'alleato della Russia.

«Conservate, esclama il re, il vostro denaro pei vili, se vi piace, pronti a vendere le loro anime e le loro braccia. I montenegrini hanno dimostrato da molto tempo, io credo, di non appartenere a codesta razza di sciagurati. Il vostro ministro degli affari esteri, col minacciarci la sospensione dei sussidi, ha forse creduto di parlare a gente che si può comperare. Egli si è ingannato».

Senza dubbio se la sovvenzione russa gli mancasse il Montenegro si troverebbe a mal partito, e lo stesso sovrano, per sopperire ai suoi personali bisogni, ne soffrirebbe. La sovvenzione che viene dalla Russia non è vergognosa, perché è l'aiuto del fratello maggiore ricco al minore bisognoso.

Il re prosegue col rammentare al signor Arsenieff che da oltre un quarto di secolo egli fu solennemente proclamato il solo amico cd alleato dello tzar di Russia, e che ancora ieri è stato elevato al grado di feldmaresciallo degli eserciti russi; supremo onore, di cui è profondamente riconoscente all'imperatore. Basterebbero, dice, questi due soli titoli a rassicurare la Russia che il re ha coscienza dei riguardi che le deve, e dei suoi doveri verso di essa.

La lettera finisce così: «Anche senza ricevere più un kopec, né un fucile, né una cartuccia dalla Russia, io sarò sempre lì, alla guardia della bandiera slava in queste regioni, sempre pronto, nella mia qualità di feldmaresciallo, a mettere centomila combattenti ad ogni istante, e senza contare l'eventuale nemico, a disposizione della santa Russia e del suo imperatore».

Ho motivo di credere che questa lettera andrà pure, per un tramite speciale, nelle mani dello tzar.

Il re Nicola è indignato contro questo ministro di Russia, il quale ha effettivamente mostrato nella circostanza poco giudizio e nessun tatto.

Una preghiera oso dirigere ora a V.E. Della lettera in discorso nessuno qui ha conoscenza, all'infuori di me: né gli altri ministri miei colleghi, né lo stesso Governo montenegrino. S.M. il re Nicola desidera che il segreto sia strettamente tenuto. La pregherei perciò caldamente, signor ministro, di non far inserire il presente mio rapporto fra i documenti diplomatici che si stampano, ma di annoverarlo fra i più confidenziali e riservati, -altrimenti la fiducia del re nella nostra riserva potrebbe venir meno, ché il segreto dei documenti diplomatici è relativo, e ciò potrebbe recar danno ai nostri interessi in questo Paese.

Chiedo scusa della licenza che mi son presa di invocare da lei tale favore, ...

588

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 398511208. Costantinopoli, 25 novembre 1910 (per. il 6 dicembre).

La combinazione italo-scandinava, a cui accennava il rapporto del 20 corrente n. 3916/11921, pare ben avviata. Sono accorsi alla chiamata del ministro di Svezia un professore danese ed un capitano del genio svedese, specialista in lavori idraulici. Il danese conosce a meraviglia la Mesopotamia, dove fu ben sei volte, e visse anche per lunghi mesi. Fu lui che si fece apostolo dell'interessamento e della partecipazione scandinavi ai lavori progettati. Entrambi hanno conferito col marchese Theodoli, ed entrambi partono domani per Beirut, via mare, donde per ferrovia, si recheranno a Damasco e di là , a cavallo, per carovana, a Bagdad.

Essi guarantiscono, ed il ministro di Svezia si fa, a sua volta, loro garante, che quattro banche di primo ordine di Copenaghen e Stoccolma sono pronte a fornire i capitali occorrenti, sorrette dalle principali Camere di Commercio danesi e svedesi. Se ho ben capito, anche la finanza norvegese parteciperebbe all'affare. Cotali istituti non si preoccupano di pagamenti a lunga scadenza, né delle imprese lontane; sono anche avvezzi ad interessi piuttosto bassi. Confidano poi che, appartenendo a Stati che non esercitano influenze politiche, né cercano di esercitarne, non desteranno sospetti, e che l 'unione loro con gli italiani, i quali sono dagli ottomani desiderati in quella impresa, non potrà se non essere ben vista.

I due rappresentanti delle banche scandinave hanno visto Halladjan effendi, ministro del lavori pubblici, ed Hakki pascià. Hanno avuto dalla loro conversazione con questi personaggi la impressione che gli ottomani non vogliono un 'impresa inglese, specie dopo i recenti avvenimenti di Persia, e che sono assai poco soddisfatti dello zelo che il Wilcocks, dimentico che è al servizio della Turchia, spiega a favore degli inglesi. Hanno avuto pure l'impressione, e più ancora, la

formale dichiarazione che la Turchia vuole in Mesopotamia una immigrazione di capitali e di forze direttive, non di coloni. Il tempo potrà mutare i suoi propositi.

Theodoli sarà fra poche settimane a Roma ove conferirà con V.E. nonché con finanzieri e intraprenditori (anche finanzieri perché bisogna che figurino anche capitali italiani, onde avere voce in capitolo). Da Roma egli è pronto a recarsi a Copenaghen ed a Stoccolma, oppure si chiameranno di là persone che rappresentino gli istituti scandinavi per conferire in Italia con lui e con coloro che egli avrà interessati alla cosa. Secondo il suo parere, bisogna trovare un forte appaltatore, o un forte gruppo di appaltatori, provvisti di personale, di maestranze ecc.; Il0 che questo appaltatore, o questo gruppo, se la intenda col Governo otto mano circa i lavori da eseguire (ed avrà comunicazione di tutti gli studii fatti); IIJO che se e quando il Governo ottomano gli proponga pagamenti a lunga scadenza, o per altra ragione non appaganti, dichiari non poter accettare; IV0 che allora intervenga il gruppo finanziario ad offrire di prestare danaro a quello scopo specifico, contro garanzie egualmente specifiche, che potrebbero essere eccedenze di entrate del debito pubblico.

Come tutti gli affari in Turchia, anche questo andrà trattato parte ufficialmente e parte di sottomano. Si ha già la persona per il lavoro in cui i contraenti non possono personalmente figurare. Come si presenta oggidì, l'affare ha grandi probabilità di riuscire. Nella combinazione ognuno porta ciò che l'altro non ha od ha in minor misura. Il fatto che il gruppo scandinavo invii un ufficiale del Genio mostra che manca di ingegneri sperimentati nella materia. Tomo a dire che qualche po' di capitali bisognerà pure trovare in Italia, non che sia per occorrere all'impresa in se stessa, ma occorre a noi, perché nell'impresa ci spetti di diritto la parte di direzione, a cui non possiamo rinunciare.

588 l Cfr. n. 576.

589

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4210/20 l. Atene, 28 novembre 1910, ore 1,32 (per. ore 14,50).

Discorso programma pronunziato jeri dal signor Venizelos a Larissa trattò essenzialmente politica economica interna.

Circa relazioni colla Turchia presidente del Consiglio ricordò la soddisfazione con la quale il popolo ellenico accolse la costituzione ottomana e dichiarò che il Governo si adopera costantemente per dileguare ogni malinteso col finitimo Impero come con le altre Nazioni balcaniche in vista di un sempre più intimo accordo che tutte le stringe fra di loro.

Accoglienze fatte al signor Venizelos a Larissa come nelle altre città di Tessaglia furono entusiastiche nonostante le sue franche dichiarazioni circa impossibilità risolvere questione agraria con l'espropriazione forzosa delle terre.

Invierò per posta traduzione discorso.

590

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4217/430. Vienna, 28 novembre 1910, ore 7,35 (per. ore 22,35).

Telegramma di V.E. 3307'. Ho parlato in via confidenziale Aehrenthal delle dichiarazioni che, in risposta alle interrogazioni che le fossero rivolte Camera dei deputati, V.E. avrebbe intenzione fare intorno ai propositi Grandi Potenze non ingerirsi questioni interne Impero ottomano, alla politica più conciliante seguita ora dalla Sublime Porta verso varie nazionalità Impero ed alla domanda di essa modificare o abolire capitolazioni. Aehrenthal mi ha detto che trovava tali dichiarazioni interamente perfette. Esse corrispondevano circa primo punto a quanto aveva fatto conoscere V.E. recenti convegni, e, rispetto secondo punto, al contegno Governo ottomano verso emigrati albanesi, i quali secondo telegramma pervenutogli ieri avevano già fatto tutti ritorno in patria, alla recente sospensione dello stato d'assedio vilayet Monastir e della legge contro bande. Per ciò che riguardava infine terzo punto alcuna interpellanza non eragli stata rivolta nelle ultime delegazioni, ma, se fosse stato interrogato ritorno in quelle prossime, non avrebbe potuto esprimersi che nel senso stesso indicato da V.E. Ed ha aggiunto che sebbene Austria-Ungheria si sia obbligata nel protocollo per Bosnia ed Erzegovina ad appoggiare domanda Sublime Porta per abolizione capitolazioni, Governo Imperiale e Reale non avrebbe mai consentito abolizione stessa che nel caso soltanto che tutte le Potenze vi avessero aderito.

591

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 4229/538. Pera, 29 novembre 1910, ore 12,50 (per. ore 13).

Telegramma di V.E. n. 3314'. Ho la sentenza. Il punto debole è manifestamente il considerando segnalato. Ma Rifaat pascià risponde che l'ingiunzione del valì ad affrettare la sentenza non vizia questa, la prova del tentativo di contrabbando risultando da due fatti:

l) il caricamento della merce sui cammelli addosso ai quali venne sequestrata, circostanza accertata innanzi il nostro dragomanno da console taciuta;

2) la presenza aMidi, nella notte dell'avaria, del proprietario della merce il quale, se non vi fosse stata preparazione, l'avrebbe aspettata a Gizzan, luogo di destinazione. Pare che anche il manifesto della merce fosse mancante. Rifaat osserva come il console appena ricevuta la sentenza che rifiutò di comunicare agli interessati e contro cui non fu per ciò interposto appello, avrebbe dovuto segnalare il vizio da lui rilevato e domandare istruzioni anziché pronunziare di sua autorità la sentenza nulla e lasciare così venire il termine legale per il sequestro. Questo per rispetto alla nostra bandiera non fu compiuto: ma sarebbe legale esso pure ed a torto lo si vuole qualificare di assalto. Rifaat mi ha rimesso pure il testo turco dei telegrammi inviati da Sola al valì, rimettendosene al nostro apprezzamento. Li fo tradurre.

590 1 T. del 26 novembre, non pubblicato.

591 1 T. del 27 novembre, non pubblicato col quale di San Giuliano esponeva il colloquio con l'ambasciatore di Turchia a proposito della sentenza della commissione doganale di Hodeida.

592

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 3340. Roma, 29 novembre 1910, ore 20,25.

Mio telegramma n. 32671. Vengo informato privatamente che 1o dicembre arriveranno a Tripoli altri due ingegneri, raccomandati a quel console tedesco dal gran visir per studiare miniere ed altri lavori. Pregola telegrafarmi informazioni in proposito, avvertendo che se fosse dimostrato che codesto Governo ed in particolare il gran visir cercano essi stessi di suscitarci concorrenti e rivali in Tripolitania, ciò assumerebbe un carattere specialmente grave2.

593

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DJ SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI 1

T. 3344. Roma, 29 novembre 1910, ore 21,30.

Creta. Incaricato d'affari d'Inghilterra mi ha fatto oggi comunicazione annunziata dal telegramma di V.E. n. 2632. La proposta britannica per la rispo

592 t T. del 23 novembre, non pubblicato, col quale si trasmetteva il T. 4133/94, pari data, da T ripoli relativo ali 'arrivo di un «dottore di scienze chimiche ... polacco tedesco» per «concertare con valì» iniziative riguardanti fosfati o zolfi. Cfr. anche n. 594.

2 Per la risposta cfr. n. 595.

2 T. 4225/263 del 28 novembre, non pubblicato.

sta a darsi alla nota ottomana è così concepita: «La Sublime Porta sa bene che i diritti sovrani del sultano sull'isola sono stati e sono sempre riconosciuti dalle Potenze protettrici; e che non bisogna prestare attenzione a quanto è avvenuto nella assemblea cretese, la quale, in precedenti occasioni, ha già fatto analoghe manifestazioni, che non ebbero alcun effetto sulle determinazioni della Quattro Potenze circa quei diritti sovrani. Quanto alla futura amministrazione dell'isola, le Potenze prenderebbero la questione in seria considerazione, non appena un'occasione favorevole se ne presentasse». Ho risposto al signor Wyndham, che, per parte mia, sono disposto ad accettare questa formula. Converrebbe ora sapere se, nel pensiero di codesto Governo, la risposta deve essere data dai quattro ministri degli affari esteri agli ambasciatori ottomani nelle quattro capitali, oppure dai quattro ambasciatori a Costantinopoli alla Sublime Porta. In ogni modo, sembrami sarebbe bene agire con sollecitudine, essendo già state pubblicate versioni inesatte circa la risposta delle Potenze protettrici.

593 l Ed. con varianti ed indirizzato anche alle ambasciate a Parigi e Pietroburgo, in LV l 06, p. 192.

594

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOL! DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4244/98. Gerba, 30 novembre 1910, ore 9 (per. ore 16,30).

Dottore svizzero-polacco, oggetto del telegramma n. 94', raccomandato caldamente a questo console tedesco dall'ambasciatore di Germania in Costantinopoli, partirà per Gadames, visitando Gebel appena sarà qui arrivato.

Due altri austriaci, l'uno ufficiale l'altro diplomatico che dicesi ingegnere, sono anche aspettati ugualmente raccomandati console di Germania; essi andrebbero ad Oriente verso Bengasi.

Console di Germania in ottimo accordo col valì.

Stante nuovo progetto di legge ottomano per concessione fosfati della Tripolitania, Bresciani teme intrighi per sostituire nuovo probabile gruppo germanico al gruppo tripolino già appoggiato dal sindacato italiano-franco-ezigiano.

Bresciani crede che, considerato notorio appoggio del R. Governo e del precedente valì e conseguente favorevole accoglienza del competente Ministero ottomano, il quale non ignorava partecipazione sindacato, sarebbe opportuno r. ambasciata intervenga ufficialmente per salvaguardare interessi italiani ed assicurare precedenza domanda gruppo ottomano-tripolino col sindacato suddetto2.

2 Per il seguito cfr. n. 596 e nota l.

594 l Cfr. n. 592 nota l.

595

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4260/545. Pera, l o dicembre 1910, ore 15 (per. ore 15,40).

Telegramma 33401. Usuali informatori ignorano, ma la notizia è probabilmente esatta. Siffatto modo di agire è qui consuetudine. Si ostacolano italiani in Tripolitania, come tedeschi in Siria, inglesi in Mesopotamia. Ci si susciterà tedeschi in Tripolitania per affare miniere, come si è cercato suscitare noi contro inglesi in Mesopotamia per affare della canalizzazione.

596

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 3360. Roma, 10 dicembre 1910, ore 19,25.

Mio telegramma n. 33501. Da Tripoli giungono notizie sempre più allarmanti circa azione capitalisti esteri, spalleggiati da codesto Governo, per accaparrare affari minerari. Se riuscissero in questo intento, conseguenze, già da me segnalate a VE., sarebbero gravissime, giacché trattasi non dei soli fosfati, ma anche degli zolfi della Sirt. Sono quindi in giuoco non i soli nostri interessi e la nostra influenza in Tripolitania e Cirenaica, ma anche gli interessi della produzione zolfifera sicula.

597

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE 203 7. Londra, 3 dicembre 1910.

Circa una settimana fa venne a vedermi l'incaricato d'affari del Montenegro a Costantinopoli. Mi disse essersi recato a Londra per eseguire una missione confidenziale affidatagli dal suo sovrano allo scopo di ottenere la destinazione a Cet

tigne di un agente diplomatico rivestito del grado di ministro. Aggiunse che avendo ottenuto dal Foreign Office il desiderato affidamento se ne sarebbe ripartito l'indomani. Della missione affidatagli S.M. il Re Nicola si era degnato prescrivergli di tenermi confidenzialmente informato, e di richiedere, se necessario, il mio appoggio. Nel corso del colloquio il signor Popowich mi parlò a lungo della situazione interna della Turchia e delle condizioni attuali della penisola balcanica l'una e l'altra dipingendo con tinte foschissime.

A Costantinopoli, disse, le cose non potrebbero andare peggio. Il dissidio, nel comitato Unione e Progresso tra l'elemento civile ed il militare va di giorno in giorno accentuandosi ed aggravandosi. Mahmoud Chewket pacha che è, a quanto pare riuscito, valendosi dell'influenza del generale von der Goltz e degli altri ufficiali tedeschi, a distaccare dal comitato stesso un nucleo molto importante di giovani ufficiali, voleva un mese fa tentare un colpo di Stato per stabilire un Governo forte, equivalente ad una vera dittatura militare. Non dette seguito però al suo piano per consiglio instante dell'ora ridi venuto influentissimo barone Marschall che considerò la mossa imprudente perché tuttora prematura.

D'altra parte, lo scontento e l'irritazione contro il sistema di Governo quale lo intende e lo vuole applicare il comitato, a base cioè di oppressione, di spionaggio e soprattutto di corruzione, uguale se non peggiore a quello dell'antico regime, solleva sempre più il malcontento e l'irritazione generale. Questa incerta e precaria situazione con il fuoco che cova sotto la cenere, non può durare più molto a lungo, ed il Popowich prevede ad una scadenza più o meno breve un qualche nuovo moto rivoluzionario del genere di quello dell'aprile 1909. Non migliore è la situazione nelle province specie in Albania. Quivi la pacificazione di cui il Governo ha menato tanto vanto l'estate scorsa è solo apparente mentre in realtà si prepara una grave sollevazione che non tarderà a scoppiare.

Questa pericolosissima situazione proseguiva il signor Popowich è cagionata più ancora che dagli errori del Governo ottomano dagli intrighi attivissimi della vostra alleata l'Austria Ungheria, la quale sta svolgendo in Albania un programma di intensa, abilissima agitazione, con lo scopo di trovare, a rivoluzione scoppiata, un plausibile pretesto per strappare, forte dell'appoggio della Germania, il mandato delle Potenze d'intervenire e rimettere ordine, con quel che segue.

La riuscita di tale diabolico piano non potrà essere contestato dalla Triplice Intesa impotente ad osteggiarla sul serio.

Sulla Russia sulla quale noi abbiamo tanto sperato non vi è da fare alcun affidamento. Essa non si trova, e per la situazione interna, e per quella militare in grado di correre il rischio di una guerra contro la Germania e l'Austria Ungheria. E se ne è avuta la prova tangibile nel 1908. D'altronde la Russia, per le condizioni in cui versa, sarà presto o tardi costretta ad intendersi con la Germania che, col !asciarle campo libero in Persia e magari anche in qualche regione della Turchia asiatica, troverà, a poco a poco, modo di spingerla a concludere con l' Austria Ungheria un nuovo accordo di natura a permettere alla Duale Monarchia di procedere più franca e senza ostacoli alla attuazione dei suoi piani nella penisola balcanica.

In Russia, è inutile farsi illusioni, i ministri e l'opinione pubblica malgrado le apparenze, contano pochissimo, quasi nulla, nelle questioni di politica estera, della quale arbitro principale e fattore dirimente resta sempre l'imperatore. E le tendenze dell'imperatore, che subisce in grado non indifferente l'influenza dei circoli di corte e segnatamente del ministro della casa imperiale, barone Fredericks, creatura asservita agli interessi tedeschi, sono in questo momento, decisamente favorevoli all'intesa col potentissimo impero vicino, e magari se necessario, anche con l'Austria Ungheria. La Germania in altri termini mira a preparare il terreno per giungere se le circostanze future gliene mostrassero la necessità o la semplice convenienza ad un eventuale nuovo «Drei Kaiser Bund».

Messa fuori causa, disinteressata la Russia, è chiaro che poco anzi nulla vi è da aspettarsi dalla Francia e dall'Inghilterra, Potenze aventi al postutto nei Balcani interessi solo secondari. In Francia, me ne sono convinto dopo lunghi colloqui avuto col signor Deschanel ed altri uomini politici, non si vogliono soprattutto complicazioni internazionali di nessuna sorta. La Francia moderna vuole fare della vera politica il meno possibile; si vogliono per contro concludere affari molti e buoni. In tale ordine di idee si è benissimo disposti, checché si voglia dare ad intendere al pubblico, a fornire alla Turchia, beninteso con le debite garanzie, quanti quattrini essa vorrà, senza stare a preoccuparsi del fatto che i quattrini serviranno principalmente ad accrescere la efficienza militare dell'Impero ottomano. E questa esorbitante forza sarà in futuro la rovina della Turchia che, con la imprudente politica iniziata verso la Persia va incontro ad un serio conflitto con la Russia, conflitto che i tedeschi se non favoriscono addirittura contemplano fin d'ora con occhio benevolo, come quello che mentre da un lato potrebbe facilitare la riuscita dei piani dell'Austria Ungheria in Europa, si presterebbe dall'altro in Asia a procacciare, quel largo compenso che pur è necessario offrire alla Russia come corrispettivo delle sue eventuali rinunzie in Europa.

Di questa situazione tristissima e minacciosa all'eccesso ci rendiamo tutti noi stati balcanici perfettamente conto. Essa preoccupa in modo anche più intenso il re di Bulgaria, contro il quale serpeggia fra i bulgari entro e fuori il Regno vivissimo malcontento e risentimento.

Della Serbia e della Grecia non mette conto nemmeno parlarle. Entrambe si trovano in condizioni da non potersi muovere senza correre ad una sicura catastrofe. L'avvenire in conclusione si presenta per gli Stati balcanici molto scuro, e chi sa quale sarà la nostra sorte! ! !

Ho riferito fin qui quasi testualmente il discorso del signor Popowich. Al quale per ovvii motivi di prudenza mi limitai, senza entrare in particolari, a replicare, in linea generale, che le sue apprensioni mi sembravano sensibilmente esagerate.

Sul maggiore o minore fondamento di quelle apprensioni nonché delle pessimistiche impressioni del signor Popowich circa la situazione interna della Turchia, non mi è permesso per difetto di elementi sufficienti di giudizio, esprimere un avviso. Del pari mi riesce impossibile di affermare se l 'incaricato d'affari del Montenegro mi ha manifestato soltanto vedute sue personali ovvero se esse sono condivise dal suo sovrano o da quello di Bulgaria o da altri.

Mi proponevo ciò stante di riferirle sic et sempliciter quanto avevo udito, aggiungendo soltanto che il signor Popowich a quanto ho capito dal linguaggio di Nicolson non è stato preso molto sul serio al Foreign Office dove, pare che in colloqui col signor Mallet avrebbe comunicato, se non tutte, alcune delle pessimistiche impressioni dinanzi narrate. Senonché ieri nel percorrere le riviste del mese sono stato colpito dalla sostanziale coincidenza di talune vedute enunciate dal Popowich, specie, quelle circa le aspirazioni germano austriache in Turchia, il non introvabile terreno d'intesa tra Germania e Russia in Persia e nella Turchia asiatica, e finalmente circa la debolezza organica della Triplice "Entente" e la conseguente incapacità sua di esercitare la parte di fattore efficiente nella politica europea e di costituire un adeguato contrappeso alla Triplice Alleanza, con alcuni concetti esposti in due articoli pubblicati con scopi e tendenze divergenti, rispettivamente nella Nineteenth Century e nella Contemporany Rewiew del l o corrente. Il primo articolo è firmato da sir Harry Johnston ex console generale a Tunisi ed ex governatore dell'Uganda, e porta il titolo German Vzews ofan Anglo-German understanding. Il' secondo articolo intitolato Foreign Affairs: The Chief hindrance to a European war, New naval programmes and unproductive loans; Persia and the Powers, è del signor Dillon, appartenente al Dai!y Telegraph e noto per la speciale conoscenza acquistata per lungo soggiorno nel paese, degli affari e degli ambienti politici russi.

Non intendo su tale coincidenza fare commenti e tanto meno dedurre conseguenze. Non posso però esimermi dall'attirare su di essa l'attenzione di V.E. non fosse altro, a titolo di curiosità.

Suppongo che ai due periodici anzidetti sia abbonata la biblioteca di codesto

R. Ministero. In caso diverso e qualora V.E. me ne esprimesse il desiderio mi affretterei ad inviare le puntate del l 0 dicembre.

595 l Cfr. n. 592.

596 l T. del 30 novembre, non pubblicato, col quale si trasmetteva il n. 594 e si dava istruzione di adoperarsi in favore della Società dei fosfati appoggiata dagli italiani.

598

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2051/871. Berlino, 5 dicembre 1910 (per. il 9).

Un comitato composto di deputati al Reichstag di ufficiali dell'esercito e di capitalisti ha lanciato un progetto per una costituenda Società Commerciale tedescoabissina. La memoria che accompagna la pubblicazione di quel progetto dice che per cominciare basterebbe alla Società un capitale di un milione il quale potrebbe subito essere utilmente impiegato nel commercio di carbone a Djibuti, nella costruzione di sbarcatoi e di altre opere destinate a facilitare materialmente lo scambio di merci.

Questo appello rivolto al capitale tedesco non incontra però né il favore né tanto meno la fiducia dei maggiori circoli bancari di questa capitale. È degna d'essere rilevata la critica che ne fanno i più importanti organi di quei circoli critica che finisce col mettere in rilievo la poca serietà del progetto e a mettere il pubblico in guardia contro il medesimo. Viene infatti osservato che, pur essendo desiderabile una maggiore partecipazione del capitale tedesco nelle imprese e nei lavori in Abissinia, il progetto non è certo destinato per la sua indeterminatezza a richiamare su di sé l'attenzione dei capitalisti seri. La memoria non contiene che vaghe affermazioni senza riprove e giustificazioni, invece si dilunga a parlare del negus Menelik, del suo testamento, sulla cultura in Abissinia, ecc. -argomenti che interessano ben poco chi deve metter fuori del denaro. Non accenna nemmeno alle difficoltà che si presentano contro l'impresa sia per la condizione delle cose nell'Impero del negus sia per la condizione delle altre ditte, specie francesi a Djibuti. Anche le persone costituenti il comitato promotore, fra le quali è segnato il medico privato del negus Menelik, non sono tali per la esperienza loro negli affari da migliorare in questi circoli bancari l'impressione non favorevole prodotta dalla memoria. Si nota fra l'altro che, quale persona atta a fornire spiegazioni sullo scopo dell'impresa, viene indicato certo signor G. K. Rein: ora questo signore è qui conosciuto per la sua collaborazione quale mente dirigente in una società commerciale che ha fatto cattivi affari: la Ostafrikanische Bergwerks und Plantagengesellschaft.

Tuttavia siccome è sempre possibile trovare gente che abbocca all'amo di supposti rosei e facili guadagni, non è detto che al comitato non riesca di mettere assieme il desiderato milione di marchi. In ogni modo la r. ambasciata non mancherà di riferire, se sarà del caso, a codesto R. Ministero sul seguito di questa iniziativa l.

599

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 4167/1260. Costantinopoli, 5 dicembre 1910 (per. il 13).

Il signor Tcharykoff mi ha espresso tutta la soddisfazione che egli ha provato, e che proverà certamente il suo Governo, per la formola da V.E. adoperata nel suo discorso del 2 corrente. «Le tre Potenze alleate sono d'accordo per mantenere la pace e lo statu quo, una cui parte essenziale è l'integrità dell'Impero ottomano e degli altri Stati balcanici».

Egli considera le parole «e degli altri Stati balcanici» come una solida garanzia di pace, poiché, a suo credere, l'integrità del Montenegro sarebbe già stata insidiata dall'Austria-Ungheria e, due anni sono, questa medesima Potenza fu in procinto di occupare Belgrado. Le parole di V.E. daranno un sentimento di sicurezza a Belgrado ed a Cettigne e rispondono appieno agli intenti ed al modo di vedere del Governo imperiale.

598 l Cfr. n. 619.

600

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 4209/1265. Costantinopoli, 5 dicembre 1910 (per. il 19).

Nella sua esposizione della politica seguita dal Gabinetto (esposizione che il Tanin non approva, dichiarandola non motivata) il gran vizir, parlando delle relazioni della Turchia con le Potenze estere, ha principalmente tenuto a dissipare la impressione che l'imprestito, mancato in Francia e concluso in Germania, avesse alterato i rapporti della Turchia con la prima delle due Potenze. Ha contestato pure che siano diminuite le disposizioni favorevoli dell'Inghilterra riguardo all'Impero. I rapporti con quel Paese, sono buoni e il Governo turco ha, con esso, molteplici questioni pendenti. Né esiste indizio di raffreddamento. Anche l'amicizia dell'Inghilterra è una vecchia amicizia; non vi è alcun motivo perché si possa credere turbata. Circa alle altre Potenze, Hakki pascià ha confermato essere base della politica ottomana mantenere buoni rapporti uniformi con tutte, segnatamente coi due gruppi europei, la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa, la quale ultima prende, essa stessa, sovente le apparenze di alleanza. Egli tiene a smentire le invenzioni che pretendono, a scopi interessati, che la Turchia propenda per gli uni, anziché per gli altri. La linea di condotta della Turchia non ha variato da lungo tempo. La Turchia è amica di tutti, senza aver tendenza verso alcuno. Nessuno le ha mostrato ostilità; perché, allora, si riavvicinerebbe all'uno, piuttosto che all'altro? Né la Turchia si ingerisce nelle questioni che turbano le altre Potenze. Esse non la riguardano; una sola questione è comune ad altre Potenze ed alla Turchia: la questione d'Oriente. Ora, in questa, il Governo imperiale non desidera se non il rispetto della propria integrità ed il mantenimento dello statu quo, desiderio che è pur quello delle Potenze.

Appunto per imporre il rispetto della propria integrità, la Turchia ha d'uopo di essere forte, per tenere il suo posto nel mondo, ma i suoi armamenti non nascondono intenzioni ostili vero chicchessia. I suoi rapporti sono altrettanto amichevoli coi vicini più prossimi, quanto con le Grandi Potenze. Possono sorgere contestazioni, e qualcuno, anzi, ha forse lavorato contro lo Stato ottomano; ma la Turchia non pensa a vendicarsi e non ambisce se non conservare ciò che possiede. Tra i paesi vicini ve n 'ha, naturalmente, con cui l'amicizia è più stretta, la Rumania ad esempio, verso cui è tradizionale. Codesta amicizia ha dato occasione a varie voci, fra cui quella dell'esistenza di una convenzione militare. La Turchia l'ha smentita. Ma la perfetta comunanza di vedute con la Rumania costituisce un solido legame tra la Turchia e quello Stato, come tra la Turchia e la Serbia. Con la Bulgaria pure la Turchia vuole vivere in termini amichevoli, non nutrendo, a di lei riguardo, alcun proposito ostile. Si promuoveranno i rapporti economici, già importanti, e si procederà ad una rettificazione di frontiere. Con la Grecia, le relazioni non sono molto normali, e ciò perché si è accreditata l'opinione che, nella questione cretese, che non è una questione ellenica, la Grecia non agisca in modo tutt'affatto disinteressato. «Basta che ci si convinca del contrario e ridiventeremo i buoni amici di prima».

601

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4315/557. Pera, 6 dicembre 1910, ore 13 (per. ore 14,40).

Nuovo articolo del Giovane turco insiste sull'azione ostile spiegata dall'«Aretusa» per la quale invoca, in mancanza di scuse dall'Italia, il ritiro dell'ambasciatore e la proclamazione del boicottaggio. Rileva il brano del discorso di V.E. in cui accenna alla collaborazione italiana nello sviluppo della Tripolitania come ad una nuova applicazione, lesiva dei diritti della Turchia, della teoria delle sfere d'influenza. Finisce con allusione offensiva a mio riguardo per incidente di Tophané. Ho protestato energicamente presso Rifaat pascià e presso il gran visir di cui attendo ora la visita e da cui domanderò dovuta riparazione.

602

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4322/558. Pera, 6 dicembre 1910, ore 19,34 (per. ore 21,10).

Seguito al telegramma n. 5571. Gran vizir, dovendo presiedere Consiglio dei ministri, la conversazione seguì con Rifaat. Questi, dapprima, finse ignorare articolo Giovane Turco; ammise poi avere già incaricato Yeni Gazzett di rispondergli. Gli osservai tale risposta non serve se non ad aizzare nuove polemiche, il Governo avere in mano un'arma, la legge marziale; se ne valesse. Dopo lungo contrasto, Rifaat promise che, domani o posdomani il Giovane Turco sarebbe soppresso, senonché, conosco ormai valore delle sue promesse e lo ho colto oggi in fla

. grante mendacio. Essendosi il discorso allargato, Rifaat si disse dolente delle dichiarazioni da V.E. fatte a Kiazim, non avere Italia alcun motivo serio di lagnanze contro la Turchia. Citai i vari casi pendenti. Riferisco in singoli telegrammi le cose dette sui singoli argomenti. Su ciascuno Governo ottomano crede aver ragione. Comincia manifestamente un periodo di tensione tra noi e Sublime Porta a

6021 Cfr. n. 601.

cui non abbiamo più ragione di usare riguardi. Perciò, salvo ordini contrari di V.E., riprenderò le pratiche per la punizione degli uccisori di Benzoni e solleverò la questione dei reclami, per isolarla, come ha fatto la Francia, e scioglierla dalla questione del! 'aumento del 4%, con cui avevamo il torto di collegarla. E dico il torto, perché reclamiamo il dovuto e, da parte della Sublime Porta, il pagamento di ciò che deve non può essere raccomandabile corrispettivo del favore che eventualmente le useremmo2.

603

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. RISERVATO 3413. Roma, 7 dicembre 1910, ore 13.

Potendo situazione colla Turchia divenire tesa, ho creduto mio dovere informare confidenzialmente gli ambasciatori delle due Potenze nostre alleate della dolorosa necessità, in cui potremmo trovarci, di un'azione energica, di cui non ci nascondiamo tutti i gravi inconvenienti dal punto di vista dei fini e degli interessi della Triplice Alleanza. I due ambasciatori informeranno subito i rispettivi Governi. L'ambasciatore di Germania mi ha detto che, se V.E. ne intratterrà costì Marschall, questi, che gode grandissima influenza, sarà probabilmente lieto ed in grado di dare alla Porta saggi consigli e di prestare l'opera sua per una amichevole e dignitoso componimento.

604

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 3415. Roma, 7 dicembre 1910, ore 22,30.

Telegramma di V.E. n. 558'. Mentre sto in attesa degli ulteriori telegrammi da lei preannunciati, che potrebbero modificare gli elementi in base a cui sono concepite le istruzioni contenute in questo mio telegramma, credo opportuno traeciarle fin d'ora nelle sue linee fondamentali la linea di condotta che ella deve seguire nelle contingenze presenti, qualora ella non abbia obiezione da sollevare, nel qual caso la prego di telegrafarmelo colla massima urgenza. In primo luogo

604 l Cfr. n. 602.

attendere che venga attuato, nel termine prefisso di domani 8 dicembre il provvedimento promessole da Rifaat, cioè la soppressione del giornale Giovane Turco. Dopo di che, chiedere senz'altro soddisfazione formale in quelle questioni pendenti fra l 'Italia e la Turchia, che presentano un interesse attuale ed immediato, nelle quali il nostro diritto risulta assoluto ed incontestabile e per le quali la soddisfazione può tradursi in atti concreti e positivi. Tali questioni sono le seguenti:

l) incidente di Hodeida. Insistere sulle tre domande enumerate nel mio telegramma n. 326 J2 e cioè: a) rilascio immediato sambuco; b) riconoscimento di una indennità da determinarsi; c) punizione mutessarif Hodeida, qualora V.E. creda che nello stato attuale delle cose, convenga mantenere anche questa domanda, salvo a cedere poi come prova di speciale amicizia ove le circostanze lo consigliassero o in cambio di altre concessioni da parte del Governo turco su di altre questioni.

2) Incidente Saman. Insistere per la revoca immediata del processo contro il

r. interprete, intentato in contraddizione alle capitolazioni e alle norme costantemente seguite. 3) Incidente Arbib. Chiedere che venga tenuto ben distinto dall'incidente Saman, e che i due processi Arbib abbiano il loro corso regolare secondo le capitolazioni.

4) Volture terreni. Chiedere il compimento sollecito e definitivo di tutte le pratiche relative all'acquisto di terreni in Tripolitania e Cirenaica da parte di Pacelli e di altri sudditi italiani.

Oltre a ciò insistere per la nota concessione dei giacimenti di fosfati.

Tutto ciò, ben inteso, mantenendo riservate ed impregiudicate le ulteriori pratiche per la punizione degli uccisori di Benzoni e per la soluzione dei reclami precedenti, cui V.E. accenna nel sovracitato telegramma, e mantenendo parimenti le nostre proteste, in generale, contro l'attitudine evidentemente e sistematicamente ostile delle autorità ottomane in Tripolitania verso qualsiasi iniziativa italiana, attitudine tanto più ingiustificata dopo le franche ed amichevoli dichiarazioni da me ripetute in Parlamento.

Ignoro se Kiazim abbia riferito esattamente a Rifaat la mia conversazione con lui. Essa fu amichevole e non ufficiale. lo gli dissi che il contegno ostile della Camera dei deputati verso di me quando feci le dichiarazioni sui rapporti colla Turchia aveva sorpassato le previsioni che qualche giorno prima gli avevo fatto ed aveva dimostrato che la convinzione che la Turchia si conduce con noi in modo poco amichevole e l'irritazione che ne deriva sono più diffuse e profonde in Italia di quello che io stesso credevo. Gli feci notare che questo sentimento si era prodotto in seguito ad alcuni atti del Governo ottomano che avevano mutato in risentimento la simpatia calorosa che si aveva prima per la Turchia costituzionale e che si era manifestata anche nella cordiale accoglienza fatta pochi mesi prima alla comitiva ottomana che percorse tanta parte d'Italia.

Sarebbe bene che prima di fare un passo presso codesto Governo V.E. informasse verbalmente ed in via non ufficiale gli ambasciatori di Germania ed Austria-Ungheria affinché essi si convincano che noi chiediamo solamente ciò che è giusto ed equo e che mentre la nostra politica al pari di quella dei nostri alleati mira al consolidamento della Turchia non possiamo però permettere che essa abusi dei nostri amichevoli propositi per offendere i nostri legittimi interessi e la nostra dignità.

602 2 Per la risposta cfr. n. 604.

604 2 T. del 22 novembre, non pubblicato.

605

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 4336/564. Pera, 8 dicembre 1910, ore 14 (per. ore 15).

Hodeida. Ho pronta nota da rimettere, appena ministri, impegnati in lotta parlamentare vitale, saranno afferrabili, forse domenica. Nota espone nostra versione, con prove confuta la versione ottomana e conclude nel modo prescrittomi nel telegramma di V.E. 32611. Prevedo che il ministro degli affari esteri, per non cedere e per guadagnar tempo, obietterà che la nostra inchiesta è stata unilaterale e domanderà una inchiesta mista. V.E. vorrà favorirmi istruzioni in proposito. In mancanza prenderò tempo a domandarle. Mi permetto far presente che, mentre, sotto l'antico regime, bastava persuadere o intimorire un uomo, che, a sua volta, intimoriva l'Impero, abbiamo ora di fronte Governo, Comitato, Parlamento, stampa, opinione pubblica, plebaglia, tutti pieni di sé e ostili a noi. Conviene pertanto che proceda sicuro e preparato a rispondere energicamente a qualunque forma di manifestazione anti-italiana, boicottaggio o altro. Rimarrò conciliante nelle forme sino a che mi si ordini altro contegno. Vedrò, quindi, barone Marscha!J2.

606

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 3431. Roma, 8 dicembre 1910, ore 21,45.

Telegramma di V.E. n. 5641. Cerchi di evitare che le sia domandata per incidente di Hodeida un'inchiesta mista. Pregola nuovamente esaminare se non con

2 Per la risposta cfr. n. 606.

venga chiedere soltanto restituzione sambuco e indennità senza punizione mutessarif; e se i suoi colleghi d'Austria-Ungheria e di Germania, e specialmente Marschall, possono facilitare su queste basi equa e dignitosa soluzione incidente.

605 l Presumibilmente si tratta del T. 3262 del 22 novembre, non pubblicato.

606 l Cfr. n. 605.

607

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO l 083/261. Belgrado, 8 dicembre 1910 (per. il 17).

N o n o stante lo stato di tensione provocato fra la Serbi a e l'Austria dalle rivelazioni del Masaryk, le quali non hanno certamente servito a migliorare una situazione già in se stessa molto delicata, questo ministro di Austria-Ungheria ha ancora la speranza di riuscire ad ottenere che abbia luogo la visita del re di Serbia a Vienna, nella prima metà del prossimo febbraio, nel viaggio di andata o di ritorno di re Pietro a Roma.

Dopo l'imminente approvazione del trattato di commercio, la visita del re costituirebbe la sanzione definitiva della ripresa delle relazioni normali fra i due Paesi e, da quanto ho potuto capire, potrebbe, secondo il mio collega, aprire l'era ad una politica di conciliazione intesa a contrapporsi al lavorio del Governo di Pietroburgo negli Stati balcanici in generale e, principalmente, in Serbia dove la Russia, favorita dalle circostanze, ha saputo prendere un'influenza preponderante.

È possibile che da qui al mese di febbraio l'eccitazione prodotta dalle rivelazioni circa i documenti del processo Friedjung sia calmata od affievolita e che il conte Forgach possa quindi, con probabilità di successo, riprendere le pratiche per raggiungere l 'intento che desidera. Devo però constatare che per il momento la cosa mi sembra assai difficile, né credo che, qualora lo stato d'animo attuale della popolazione perdurasse, il Governo serbo potrebbe consigliare al re d'intraprendere un viaggio a Vienna.

608

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 632/241. Teheran, 8 dicembre 1910 (per. il 5 gennaio 1911).

Non pur i particolari, ma le linee generali dell'accordo che sarebbe intervenuto a Potsdam, ultimamente, fra la Germania e la Russia circa la questione persiana rimangono qui tuttavia sconosciuti. Alcuni prestando fede ai comunicati della stampa russa, ne desumono ormai immolata al tornaconto delle due Potenze l'indipendenza di questo paese, altri, e sono i meno, ritengono ciò esagerato e presumono trattarsi piuttosto di una détente passeggera abilmente sfruttata dalla Russia. I colleghi -in generale -non sembrano saperne di più. Il ministro di Germania continua a confermare, nelle conversazioni riservate, la notizia che si ebbe da Berlino. Il rappresentante russo trincerandosi in uno stretto riserbo dice di non essere stato ragguagliato sufficientemente dal suo Governo. Il ministro degli affari esteri persiano il quale in vero non dispone -malgrado la presenza delle legazioni dello scià nelle più importanti capitali di Europa -di un buon servizio d'informazione politica, è tuttora al buio della situazione e sembra prestar fede -in preda ad evidente contrarietà -con la maggior parte dei proprii concittadini non esclusi i colleghi, alla versione pessimista fra le due enunciate.

Ciò malgrado il molto che ho udito io stesso su l'argomento e certi indizi in stretto rapporto con la questione e soventi non trascurabili come elementi di prova, credo mi permettano di formulare un avviso che non si discosta troppo dalla verità.

Ritengo che a Potsdam più che intervenire un vero e proprio accordo sia corsa un'intesa preliminare circa le basi su cui intendersi, intesa che ha certamente costituito un progresso soddisfacente nella controversia che da tempo si agita fra Germania e Russia circa la questione persiana. Probabilmente è vero che la Germania ha riconosciuto la posizione prevalente della Russia nel nord della Persia e si è impegnata non solo a non crearle nessuna difficoltà nello svolgimento del suo programma economico politico, ma si è vincolata a non assicurarsi concessioni di alcun genere in quella parte del Paese. La Russia in compenso ha promesso -sempre secondo le mie supposizioni -di non opporsi al congiungimento della ferrovia di Bagdad con le future reti ferroviarie persiane. Se l'intesa fosse effettivamente in questi termini od ad un di presso, la posizione fra le due Potenze resterebbe così delineata: la Russia si sarebbe assicurata qualche cosa di concreto nell'ottenere il disinteressamento della Germania il cui contegno poco benevolo le era stato sempre causa di timori e di apprensioni sia in Persia che nel! 'ambito più vasto delle questioni internazionali europee, la Germania si sarebbe accontentata di una promessa che per la forza stessa delle circostanze (in fatto il noto collegamento ferroviario non potrà aver luogo che fra otto o dieci anni al più presto) esige una lunga attesa prima di poter essere soddisfatta.

La diplomazia russa, intanto, avrebbe, per tal modo, conseguito un vero successo. Essa non avrà momentaneamente nessun impaccio nello svolgimento del suo programma il quale, ad onta delle assicurazioni in contrario del Governo di Pietroburgo, mira soprattutto a chiudere la porta del mercato persiano al commercio internazionale riducendolo ad un campo riservato solo al collocamento dei prodotti delle proprie industrie. Che cosa vogliono se non questo i raggiri, gl'intrighi, le difficoltà che caratterizzano l 'azione politica russa in Persia visto che non sembra imminente la preconizzata spartizione del disordinato Impero e se come ultima ratio sarà dato piuttosto di vedere stabilito su di esso un protettorato sul tipo di quello che esiste in Egitto? Di tutto ciò la Germania non sembra aver ragione di preoccuparsi, resterà tranquilla perché sa che nel giorno in cui i prodotti delle sue industrie potranno liberamente entrare in Persia a mezzo dei suoi sistemi ferroviarii, la porta, momentaneamente chiusa sarà abbattuta ed il commercio russo se bene consolidato non potrà resistere alla loro concorrenza e dovrà indietreggiare. Come ho accennato, però, parecchi anni ci dividono ancora dalla effettiva esecuzione deli'allacciamento ferroviario. Dovranno correre negoziati che la Russia avrà tutto l'interesse di tirare in lungo, nei quali la medesima potrà, all'occorrenza, valersi anche dei persiani per creare degli imbarazzi. Ed essa non cederà se non quando vi sia forzata perché non si può ammettere che si adatti a concedere spontaneamente il frutto di tanto suo lavoro e di tanti suoi sacrifici all'ambizione di un'altra Potenza. Ritengo adunque che il dissidio non sia risolto, ma solo rinviato. Intanto la Russia trarrà i maggiori profitti dalla tregua conseguita, mentre non è da escludersi che durante questa parentesi di quieta ed attiva sua aspettativa la posizione interna ed internazionale della medesima non si muti in guisa da permetterle più tardi di assumere un atteggiamento diverso da quello che nell'eventuale rischio di un dissenso con la Germania sarebbe stata costretta di osservare ora nelle presenti sue critiche condizioni.

609

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 3439. Roma, 9 dicembre 1910, ore 19.

Rispondo ai suoi telegrammi nn. 566, 567, 569, 570, 571, 572 e 5731. Credo anch'io che non convenga spingere colla Turchia le cose all'estremo e desidero un componimento dignitoso, giusto ed equo. Le lascio a questo scopo tutta la necessaria latitudine e tutto il tempo che V.E. crede opportuno e specialmente reputo indispensabile che V. E. lasci ai suoi colleghi di Germania e d'Austria-Ungheria il tempo di agire e, in qualunque ipotesi, non presenti domanda che poi si corra il rischio di dover ritirare. Io non do molta importanza all'incidente del giornale Giovane Turco e credo che non se ne dia molta neanche dall'opinione pubblica italiana, avvezza ad una piena libertà di stampa e a non dar peso alle escandescenze dei giornali. Paese e Parlamento, invece, qui danno molta importanza all'incidente di Hodeida, ma io credo che giudicheranno sufficienti rilascio sambuco, restituzione merce ed equa indennità, di cui

V.E. potrebbe concordare costì la cifra, senza insistere per le punizioni ove si ottenga il resto. Per gli incidenti Saman e Arbib, mi rimetto a V. E. Per le volture console a Bengasi telegrafa in data di jeri che solo un quarto dei terreni acquistati da Pace Ili so

6091 TT. 4342/566, 4343/567, 4346/569, 4347/570, 4348/572, 4350/573, 4353/571, dell'8 dicembre, non pubblicati.

no stati volturati in favore di lui. In quanto ai fosfati ed in generale a tutte le imprese in Tripolitania e Cirenaica comunico a V.E. per sua opportuna notizia che a noi, pel momento almeno, preme non tanto di ottenere le relative concessioni, quanto che esse non siano concesse ad altri. Quindi non ci saremmo lamentati se il Governo ottomano si fosse limitato a rifiutare la concessione alla società in cui siamo interessati e non avesse invece cercato di trovare altri concorrenti da opporre alla società stessa. D'altro lato non comprendo come si concili il desiderio di codesto Governo, dall'E.V. segnalatomi, di porre in aggiudicazione le concessioni fosfatiere col rifiuto del preventivo indispensabile permesso di esplorazione dei terreni ove si reputa esistano dei giacimenti. Così stando le cose e premesso che la questione dei fosfati, in considerazione anche del fatto che è connessa con quella degli zolfi, è per noi di gran lunga la più importante, prego l'E.V. di volermi telegrafare in qual modo, pur tenendo conto della situazione presente della Turchia, si possano più efficacemente tutelare i nostri interessi in questo campo e la nostra influenza, che non potrebbe non essere gravemente menomata da concessioni fatte a cittadini e società estere2.

610

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 4368/577. Pera, 10 dicembre 1910, ore 14,40 (per. ore 15).

Mi si informa che ambasciatore di Turchia a Berlino avrebbe istruzioni [indagare (?)] 1 se nei patti della Triplice Alleanza vi sia qualche clausola riguardante Tripoli e di quale spirito2.

611

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. UFF. COLONIALE 34541. Roma, l0 dicembre 1910, ore 20,10.

Suo telegramma 1522. l) Non era possibile far dipendere lavoro delimitazione da occupazione nostra oltre Balad poiché quando V.S. firmava convenzione 16

61 Ol Integrazione del decifratore.

2 Con T. 4475 del 18 dicembre, non pubblicato, Orsini smentì la notizia.

2 Cfr. n. 549.

maggio 1908 con obbligo delimitazione nel più breve termine era appena decisa e non ancora effettuata occupazione di alcuni punti Scebeli fino Afgoi. Non era possibile allora come non è possibile ora determinare quando avrà luogo nostra occupazione linea Dolo, Baracaba, Dafet, Scidlo.

2) Non vedo difficoltà arrestare lavori delimitazione quando nell'avanzare si preveda un pericolo. Non si tratta di spedizione militare, ma di pacifica missione di determinazione confine.

3) Credo che molto difficilmente potrebbe rinunciarsi ad una forte scorta, anche se situazione fosse migliore; sicché probabilità conflitti per requisizioni nel paese dovevano sempre essere prevedibili.

Ciò premesso, è ferma intenzione R. Governo che missione Citerni non debba esporsi alcun pericolo ancorché dovesse di molto ritardare suo lavoro o, se necessario, non iniziarlo, rimandando a tempo migliore delimitazione. Se missione inizierà lavori dovrà arrestarli prima di giungere al limite tra regione sicura e regione pericolosa.

Se questo limite è, come ella crede, difficile a determinare, bisognerà arrestare i lavori prima del punto dove il dubbio incomincia.

Riferendomi pertanto suo rapporto 15 novembre scorso l 083, prego rassicurarmi su quanto ho esposto prima di prendere qualsiasi determinazione per la partenza missione, facendomi anche pervenire per telegrafo parere tecnico Citerni, quale capo della missione, in base direttive politiche da lei comunicategli4.

609 2 Per il seguito cfr. n. 613.

611 l Il telegramma fu trasmesso via Asmara.

612

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2103/899. Berlino, 11 dicembre 1910 (per. il 15).

Discutendosi ieri in prima lettura il bilancio dell'Impero, il signor von Bethmann-Hollweg, provocato da alcune frasi dette dal capo del partito nazionale liberale in ordine alla politica estera della Germania, pronunziò un breve discorso sul quale credo conveniente richiamare l'attenzione di V.E. come quello che in pochi tratti segna le linee direttive della politica imperiale intorno alle principali questioni internazionali attualmente aperte. V.E. troverà qui annesso il testo di quel discorso l.

6113 R. 557/108, non pubblicato. col quale Colli comunicava l'arrivo ad Addis Abeba della missione Citemi, senza alcun incidente. 4 Con T. 4430 del 13 dicembre, non pubblicato, Colli rispose che era sua convinzione che non ci sarebbero stati inconvenienti fino all'Uebi Scebeli. 612 I Non si pubblica.

Avendo il deputato Bassermann osservato che la Germania nelle questioni balcaniche non vorrà mancare di continuare a star fedelmente a fianco dell' Austria-Ungheria e riconosciuto esser le reciproche relazioni tra le Potenze della Triplice sensibilmente migliorate anche perché agli occhi degli italiani è apparsa tutta l'importanza di quella più stretta unione tra la Germania e l'Austria-Ungheria, il cancelliere dell'Impero tenne a manifestare pubblicamente la gratitudine ai due ministri degli esteri delle Potenze alleate per le calde parole che nei rispettivi Parlamenti avevano dedicato ai rapporti con la Germania. «Quelle parole -aggiungeva il signor von Bethmann-Hollweg -alle quali io pienamente faccio adesione sono per me una conferma di quanto mi fu detto da quei due ministri in amichevoli conversazioni qui e in Firenze».

Avendo poi il deputato Bassermann aggiunto che la politica della Germania nel Marocco non è stata certo brillante (anzi dalla stampa francese viene rappresentata come un insuccesso) in quanto che non è stato raggiunto lo scopo dell'a tto di Algesiras poiché i francesi continuano ad arrecare offesa alla sovranità di quel sultano, il cancelliere rispose che non essendo ancora state date spiegazioni ufficiali sulla visita dell'incrociatore francese nel porto di Agadir, egli non credeva opportuno per il momento di parlare della politica tedesca nel Marocco: di questa avrebbe parlato nei prossimi giorni il segretario di Stato per gli esteri -intanto il Reichstag non vorrà dubitare che il Governo imperiale saprà con energia tutelare gli interessi tedeschi in quelle regioni.

Per quanto concerne il prestito turco assunto ultimamente da un consorzio di banche germaniche e austro-ungariche, il signor von Bethmann-Hollweg assicurò che il Governo imperiale aveva seguito con simpatia e favorito il negoziato relativo. Con questo impiego del proprio capitale la Germania aveva anche reso praticamente un servizio al principio tradizionale della propria politica estera, al mantenimento cioè dello statu quo in Oriente. Nulla perciò è più indicato che un forte Governo in Turchia capace all'interno di mantenere l'ordine e la tranquillità, ali' estero di ispirare rispetto.

Parlando delle relazioni tra l'Impero e l'Inghilterra il cancelliere disse essere vero che il Governo inglese a più riprese ebbe a far rilevare quanto una fissazione, per mezzo di accordi internazionali, delle varie flotte da guerra gioverebbe al miglioramento dei rapporti tra le Potenze, ma essere altrettanto vero che l 'Inghilterra non ha mai fatto di ciò una vera e propria proposta che offrisse occasione alla Germania o di accettarla o di rifiutarla positivamente. «Anche noi -continuava il cancelliere -ci incontriamo con l'Inghilterra nel desiderare di evitare rivalità in ordine agli armamenti, ma nelle conversazioni non ufficiali, ma confidenziali, animati da reciproco sentimento di amicizia che abbiamo avuto mettemmo sempre in prima linea l'idea che una leale e fiduciosa esposizione da una parte e dali' altra e la conseguente intesa sugli interessi economici e politici di ciascuno dei due Paesi sia il mezzo più sicuro per eliminare ogni equivoco sopra gli armamenti navali e terrestri dei due Stati. Già il fatto stesso che queste conversazioni amichevoli e fiduciose vanno continuando è una garanzia delle pacifiche intenzioni d'ambo le parti e finirà a togliere di mezzo quel sospetto che di tanto in tanto

si manifesta disgraziatamente non già presso i due Governi, ma nella opinione pubblica dei due Paesi.

Alla fine del suo discorso, ascoltato sempre con grande attenzione e sovente applaudito, il cancelliere venne a parlare dei rapporti russo-tedeschi e del recente incontro dei due sovrani a Potsdam. Risultato di questo incontro egli disse essere stato la nuova conferma che nessuno dei due Governi si è lasciato prendere in combinazioni che possono avere una punta aggressiva contro l'altro. In questo senso è stato constatato che la Germania e la Russia hanno uguale interesse al mantenimento dello statu quo nei Balcani e nel vicino Oriente e che quindi non hanno intenzione di aiutare, da qualunque parte venga, una politica destinata a turbare il presente stato di cose.

Quanto alla Persia, la Germania e la Russia si sono incontrate nel pensiero esser loro comune interesse il mantenimento e rispettivamente il ristabilimento della tranquillità e dell'ordine in quel Paese. «Noi dobbiamo desiderare che il nostro commercio con la Persia non sia turbato e si sviluppi. La Russia ha lo stesso interesse per il suo commercio, per di più anche, come stato finitimo, ha speciale legittimo interesse alla sicurezza nelle regioni persiane che toccano i suoi confini. Noi abbiamo acconsentito volentieri che la Russia abbisogna per quello scopo di una speciale influenza nel nord della Persia e spontaneamente abbiamo riconosciuto le sue pretese su tutte le concessioni per ferrovie, strade, telegrafi in quella zona, per lasciare la possibilità di provvedere al compito speciale che le spetta, data la sua vicinanza. La Russia da parte sua non solo non intende opporre ostacolo al nostro commercio, ma favorirà la costruzione di una linea di allacciamento Bagdad-Hanckin per le importazioni germaniche in Persia». Questa avvenuta intesa, secondo l'avviso del Governo imperiale, renderà possibile (senza che in nulla venga modificata l'orientazione generale internazionale) di concordare e armonizzare la politica dei due Imperi sopra qualunque questione che sia per sorgere. Le conversazioni che ebbero luogo a Potsdam hanno tolto di mezzo gli equivoci che qua e là si erano manifestati e hanno rafforzati gli antichi e fiduciosi rapporti fra i due Paesi.

613

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 4417/585. Pera, 13 dicembre 1910, ore 16,30 (per. ore 18,15).

Tanto ambasciatore di Germania quanto ambasciatore d'Austria-Ungheria ritengono che gli incidenti, dei quali sono stati dai rispettivi Governi invitati occuparsi d'accordo con ambasciatore d'Italia, sono spiacevoli, ma non escono dal comune e non meritano una rottura. La soppressione del Giovane Turco è già una soddisfazione morale accordataci che non ebbe né Francia né Russia, ugualmente e peggio ancora da quel foglio attaccate. Le violazioni delle capitolazioni sono, dall'avvento del nuovo regime, il «pane quotidiano» degli ambasciatori. Barone Marschall aspettò due anni le promesse trasferte di immobili tedeschi in Palestina. Le ottenne pochi giorni sono in conseguenza prestito. Di una rottura diplomatica non si possono calcolare conseguenze. Essi consigliano la paziente insistenza, perché minaccia valida con antico regime è spuntata con questo. Non si ha più da fare con uomo solo, ma con popolo ignorante, presuntuoso, pieno di sé, pronto eccessi.

614

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 2126/766. Londra, 15 dicembre 1910 (per. il 21).

Dai vari colloqui finora avuti con sir A. Nicolson circa gli affari cretesi, non ho riportato l'impressione che qui si pensi in oggi a prendere l'iniziativa di negoziati per nuovi provvedimenti, provvisorii o definitivi, a riguardo della situazione dell'isola. Mi è sembrato invece d'intravedere il desiderio e la speranza di sentire parlare il meno possibile della tanto vessata questione.

Analoga impressione ha prodotto in me il linguaggio tenutomi da sir Gerard Lowther, col quale mi sono intrattenuto a lungo avantieri, e che non ha fatto la benché menoma allusione ad un qualsiasi progetto di nuove misure per Creta.

Questa mia impressione è perfettamente condivisa dall'ambasciata di Francia. A tutto ieri, del resto, il signor Cambon non aveva ancora ricevuto da Parigi alcuna comunicazione circa i colloqui tra i ministri di Francia e d'Inghilterra in Atene. Avendogli io dato un cenno sommario del progetto di sir Francis Elliot, S.E. lo dichiarò puramente e semplicemente assurdo, ed aggiunse che, se interrogato dal suo Governo, non esiterebbe un momento solo ad esprimere un parere decisamente contrario.

Per quanto concerne l'accoglienza eventuale del segretario di Stato per gli affari esteri ai suggerimenti di sir Francis Elliot, mi sarebbe difficile esprimere una opinione. Sir Edward Grey è stato praticamente assente da Londra dalla fine di luglio al 15 novembre. Da quell'epoca in poi, l'attività sua è assorbita completamente dalle questioni interne.

Gli ambasciatori lo hanno veduto pochissimo. Io ho potuto parlare con lui una sola volta, appunto sugli affari cretesi, e da tutto quanto egli mi disse, non potrei certo trarre argomento per attribuirgli l'intenzione di riprendere in esame la questione cretese.

Debbo però ricordare che nel precedente colloquio del mese di agosto, sir Edward, secondo che io ebbi a riferirle col mio telegramma n. 1761 accennò alla de

6141 Cfr. n. 424.

siderabilità di escogitare una soluzione definitiva della questione cretese, della quale mi disse testualmente: l am sick and tired. Potrebbe ciò stante darsi pure che sir Edward abbia manifestato queste sue vedute a sir Francis Elliot, il quale poi si sarebbe studiato di tradurle in atto, mediante il progetto elaborato e comunicato ai suoi colleghi. Si tratta comunque di semplici ipotesi e congetture, delle quali il maggiore

o minore fondamento potrebbe essere solo accertato facendone oggetto di una conversazione al Foreign Office. Una siffatta conversazione, che io non ho creduto di intraprendere, in omaggio alle istruzioni di V.E., non mi pare, se ristretta nei limiti richiesti dalla delicatezza del caso, possa presentare alcun inconveniente.

Tanto più poi, in quanto il rapporto del marchese Carlotti portando la data del 23 novembre2, è da presumersi che il progetto del quale sir Francis Elliot ha dato comunicazione ai suoi colleghi, non può a quest'ora non essere venuto a conoscenza del Foreign Office.

Attenderò quindi l'autorizzazione di V. E. per accennare alla questione, in uno dei miei prossimi colloquii col segretario o col sotto-segretario di Stato.

Intanto però non posso esimermi dal manifestare all'E.V. il mio pensiero circa il progetto di sir Francis Elliot, progetto che a me, non meno che al signor Cambon, appare inopportuno e pericoloso, e per tanto nullamente raccomandabile. A prescindere, in linea generale, dalla manifesta imprudenza di «svegliare un cane che dorme» ridando attualità alla questione cretese, proprio al momento in cui essa, per circostanze di varia indole, accenna ad entrare in un periodo di relativa tranquillità, è da osservare che con l'adottare il progetto di sir Francis Elliot, mentre non si da alcuna vera soddisfazione ai desiderata della Turchia, si rischia di provocare gravi complicazioni, ed in Creta ed in Grecia.

Dato, e fino a prova contraria non concesso, che il signor Zaimis si decidesse a tornare a Creta, in seguito ad un più o meno tacito accordo tra le Potenze ed il re di Grecia -verso il quale, è bene tenerlo sempre a mente -le Potenze stesse hanno assunto, con la nota del 14 agosto 1906, impegni formali circa la designazione dell'alto commissario -sorgono naturali alcune domande, cui non sembra agevole la risposta:

l) Vorrà accontentarsi di tale soluzione empirica la Turchia, che non ha cessato e non cessa di manifestare nel modo più categorico la sua irreduttibile avversione contro ogni immistione del re di Grecia, o dei cittadini ellenici negli affari dell'isola, o non profitterà essa di tale propizia occasione offertale, per reclamare con maggiore energia la soluzione definitiva -nelle condizioni volute dall'opinione pubblica ottomana-ponendo con ciò in grave imbarazzo le Potenze?

2) Vorrà e potrà il signor Zaimis, che sebbene mandatario delle Potenze, non resta meno un cittadino ellenico, adoperarsi sul serio a far sparire le bandiere e tutti gli altri emblemi greci presentemente usati a Creta: contribuire personalmente, in altri termini, a che il suo ritorno nel! 'isola equivalga a porre una pietra sepolcrale alle aspirazioni annessionistiche dei cretesi?

6142 Cfr. n. 585.

Ma a parte queste considerazioni, l'obiezione più seria contro il progetto io la ravviso nella necessità, ammessa dallo stesso sir Francis, di imporre con la forza l'applicazione delle nuove misure eventualmente deliberate dalle Potenze. Sulla assoluta inespedienza di un ricorso alla forza che non sia ampiamente giustificato da nuove e più gravi violazioni, da parte dei cretesi, dell'attuale statu quo se non formalmente riconosciuto, certo finora tacitamente tollerato dalle Potenze protettrici, io ho gia avuto l'onore di manifestare il mio remissivo parere all'E.V. col mio telegramma n. 176, del 25 agosto scorso.

Quel parere oggi confermo e mantengo, più che mai convinto come sono, che l'esporre le vite dei soldati o marinai delle Potenze protettrici per soffocare nel sangue legittime aspirazioni patriottiche, per tanti anni -è vano il negarlo -incoraggiate e favorite dalle Potenze stesse, solleverebbe vivissime recriminazioni nei parlamenti ed in generale nell'opinione pubblica, in Francia, in Inghilterra e, soprattutto, in Italia.

Avendole fino qui rispettosamente sottoposte le mie vedute, io le sarei assai grato, signor ministro, di volermi fare conoscere al riguardo il suo pensiero. Ché, se le osservazioni mie avessero la fortuna d'incontrare l'alta approvazione dell'E.V. io potrei -e riterrei opportuno il farlo -valermene (avendone il destro), beninteso a titolo strettamente personale, in una eventuale mia conversazione, sia con sir Edward Grey, sia con sir A. Nicolson.

615

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RUSPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 3196/1400. Parigi, 15 dicembre 1910 (per. il 20).

Le frasi relative al Marocco pronunziate al Reichstag dal signor BethmannHollewg nel suo discorso di sabato scorso, hanno sollevato non pochi commenti nella stampa francese, che però ha accolto con evidente soddisfazione gli schiarìmenti dati in seguito dal segretario di Stato per gli affari esteri, signor KiderlenWaechter, per quanto specialmente si riferisce al diritto che la Germania non sembra contestare alla Francia ed alla Spagna di estendere anche ai porti marocchini «non aperti» il controllo pel contrabbando delle armi.

Le dichiarazioni fatte dal segretario imperiale sulla questione Mannesmann sono pure apparse improntate ad un vero spirito di conciliazione. Ciò nonostante qualche giornale parigino ha trovato non giustificate dalla situazione le parole del cancelliere germanico ed ha voluto vedere ragioni segrete nella discussione sul Marocco avvenuta al Reichstag, nella quale si è scorto da alcuni un effetto del riavvicinamento russo-tedesco, da altri una ripercussione del malumore che provocano a Berlino gli incidenti doganali che si ripetono frequentemente alla frontiera franco-tedesca per la vessatoria applicazione della nuova tariffa doganale, incidenti che mi furono confermati da questa ambasciata di Germania.

Ma assai più delle dichiarazioni sul Marocco, sono state qui commentate quelle in riguardo alle relazioni russo-tedesche ed al convegno di Potsdam. Queste hanno vivamente contrariato la maggioranza della stampa francese, che attribuisce il riavvicinamento russo-tedesco ad un indebolimento dell'alleanza francorussa e della triplice Cordiale Entente.

Ho l'onore di trasmettere, qui uniti, a V.E., due articoli del Temps e del Siècle sull'incidente di Agadir e sulle relazioni franco-russe l.

616

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2488/229. Bucarest, 15 dicembre 1910 (per. il 21).

L'ultima volta che ebbi l 'onore di vedere questo sovrano, cioè pochi giorni fa, egli mi parlò, tra le altre cose, nei termini più elogiosi della recente esposizione della politica estera italiana fatta dali 'E.V. alla nostra Camera dei deputati; esposizione che, dissemi, produsse ottima impressione tanto a Berlino quanto a Vienna e contribuirà certamente a rinsaldare la Triplice Alleanza, da lui considerata come la migliore garanzia del mantenimento della pace europea. La Maestà Sua aggiunse di constatare con sincero compiacimento essere ormai penetrato nella coscienza della maggioranza degli italiani il convincimento che quell'alleanza è conforme agli interessi del Paese.

Discorrendo poi della interview del signor Carp di cui nel mio rapporto n. 219 del 1° corrente!, il re dissemi di non averlo più visto dopo la medesima, ma d'avergli fatto esprimere il proprio malcontento per mezzo d'amici e seguaci suoi. Le direttive della mia politica estera, proseguì il sovrano, rimangono immutate ed immutabili. Ciò non toglie però che le relazioni tra la RuP1ania e la Russia siano attualmente ottime, ed intendo restino tali e non vengano turbate da manifestazioni inopportune. E, come parlando a se stesso, re Carlo mormorò a mezza voce: «Peccato che i liberali non possano fare le elezioni generali». Avendo io posto il quesito se, affidando la formazione del futuro Gabinetto al Carp, la Maestà Sua non temerebbe da parte di lui qualche nuova sortita infelice come l'ultima a Vienna e quella dell'anno scorso alla Camera contro gli slavi (v. mio rapporto n. 204 del 7 novembre scorso )2, che assumerebbe allora un carattere assai più grave, la risposta fu: «Non, j 'y veillerai, je le tiendrai».

2 Cfr. n. 547.

Secondo mi risulta confidenzialmente da buona fonte, dopo la interview cui accennò sopra il re avrebbe avuto un istante d'esitazione a chiamare il Carp a succedere a Bratiano e di pentimento d'avergli dato un affidamento al riguardo. La impressione da me riportata dal colloquio su esposto è che, se questo sovrano fosse persuaso che, concedendo all'attuale Governo di fare le prossime elezioni generali, queste verrebbero lasciate realmente libere, aspetterebbe il verdetto della Nazione prima di prendere una decisione; ma che, troppo ben conoscendo i costumi politici del Paese, non ha fiducia che, malgrado le promesse più formali ed anche volendolo sinceramente, Bratiano possa impedire ai suoi prefetti, sotto-prefetti, seguaci politici, agenti elettorali etc., tutti più o meno interessati alla continuazione del regime attuale, di esercitare pressioni e magari violenze di natura a falsare l'espressione della volontà degli elettori. D'altra parte il re, secondo mi disse esplicitamente, sia perché non vuole assolutamente incoraggiare il frazionamento dei partiti e le dissidenze -e la Maestà Sua considera come tale l' aggruppamento conservatore-democratico -, sia perché non le sembra presentare attualmente garanzie sufficienti la composizione dello stato maggiore di quell' aggruppamento comprendente non pochi avventurieri politici e uomini di riputazione più che dubbia, non crede opportuno di chiamare a capo del Governo il Take Ionesco, sebbene ne apprezzi il grande ingegno.

Per i motivi indicati nel mio rapporto n. 226 del 12 corrente3, la stampa rumena riportò bensì ampi riassunti dell'esposizione dell'E.V. alla Camera sulla politica estera italiana, ma senza aggiungervi commenti, all'eccezione della Roumanie, organo personale del signor Take Ionesco, dalla quale stacco l 'articolo qui unito4 in cui viene stabilito tra l'E.V. ed il signor Carp un confronto non certo ad onore di quest'ultimos.

615 l Non si pubblicano.

616 l R. 2381/219, non pubblicato.

617

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 663/252. Teheran, 16 dicembre 1910 (per il 24 gennaio 1911).

Qualsivoglia possano essere stati gli accordi intervenuti a Potsdam fra la Russia e la Germania in merito alla questione persiana l'incontro fra i due imperatori ha avuto in questo Paese una sensibile eco di profondo scoraggiamento in quasi tutti i partiti tranne nel reazionario ed ha provocato due fatti di particolare importanza.

6163 Non rinvenuto nel fascicolo relativo.

4 Non si pubblicano gli allegati.

5 Per il seguito cfr. n. 631.

La diplomazia russa sembra essersi spogliata interamente di quel po' di riserva e di esitazione con cui talvolta procurava di circondare i suoi atti, come frenata dal contegno poco amichevole della Germania, ed è divenuta più aggressiva ed audace stringendo da ogni lato il Governo ed il popolo di Persia. Ed in vero in queste ultime settimane gli incidenti fra quella e questi si sono andati moltiplicando e risolvendo continuamente in sconfitte ed umiliazioni per il più debole fra i contendenti.

D'altro canto se bene in apparenza la rappresentanza diplomatica germanica non abbia mutato atteggiamento verso il Governo dello scià e siasi anzi provata, con ogni mezzo, ad attenuare gli effetti delle notizie e dei commenti della stampa russa ad arte propagati in Persia, alle simpatie, alla fiducia, alle speranze che le classi dirigenti e l'opinione pubblica avevano verso l'Impero tedesco sono subentrati animosità, sfiducia, scoraggiamento come se tutta la Nazione persiana sia stata tradita dalla perfidia teutonica. I periodici indigeni si sono affrettati, in lunghi scritti, a rendersi interpreti di questa nuova situazione e, come si rileva dall'articolo dell'Iran Nov, il più diffuso dei giornali persiani, di cui trasmetto, qui unito, la traduzione!, si sono espressi in termini netti ed acri.

In varii colloquii avuti ultimamente con questo ministro degli affari esteri e con altri uomini di Stato mi è occorso di convincermi che oggimai la Germania non è più nel cuore dei persiani, malgrado essi continuino ad averne il timoroso rispetto che su genti come queste sa incutere una grande e forte potenza.

La legazione di Russia pare abbia per non poca parte spinto a creare questa atmosfera pregiudizievole alla rivale di ieri e -si comprende -per ragioni personali non ancora benevola amica di oggi. Il passato non si può cancellare in un sol giorno.

Gli è pertanto certo che il signor Poklewsky è ora contento e raggiante del nuovo stato di cose. Egli presumibilmente sa di non avere nulla da temere perché il suo collega non può divincolarsi dai freni stretti da Berlino, mentre il conte de Quadt mi diceva in una recente conversazione che la sua posizione si è fatta difficile e che certamente il suo Governo non avrebbe potuto !asciarlo più a lungo in questo posto. Il congedo da lui chiesto ed ottenuto per la prossima primavera sarebbe, con ogni probabilità, per far capo al movimento che egli reputa opportuno e desidera.

618

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 3528. Roma, 17 dicembre 1910, ore 11,40.

Telegramma di VE. n. 5961. Sono, in massima, d'accordo con VE. Ora, che la proposta dell'arbitrato ci è stata ufficialmente presentata, occorre riflettere se a

618 l T. 4445/596 del 16 dicembre, non pubblicato.

noi conviene accettarla come una concessione fatta alla Turchia oppure farla comparire quale ideata primitivamente da noi, potendo citare infatti tanto la prima proposta di Sola per una commissione arbitrale mista, quanto la nostra domanda, a lei telegrafata il 14 novembre (n. 3173)2, di una commissione mista presieduta da console estero, per quanto col mandato limitato alla determinazione dell'entità del risarcimento. Non sarebbe però il caso, come chiede la Turchia, di sottoporre la vertenza alla Corte permanente d eli'Aj a: prima, perché l'importanza di essa non è tale da giustificare l'apparato e la spesa; poi, perché trattasi non già di una questione di interpretazione giuridica, bensì essenzialmente di versioni diverse di fatto, da potersi verificare e risolvere soltanto sui luoghi. Soggiungo infine che, accettando l'arbitrato, si potrebbe forse cogliere occasione per ripetere la nostra domanda analoga relativa ai nostri antichi reclami verso la Turchia, domanda che la Sublime Porta ha lasciato cadere, non avendo accettato la nomina del quinto membro della commissione con voto dirimente. Su tutti questi punti, mi sarà grato conoscere sollecitamente avviso di V.E.3.

617 l Non pubblicata.

619

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2132/912. Berlino, 17 dicembre 1910 (per. il 20).

Facendo seguito al mio rapporto in data del 5 dicembre corrente (n. 20511871)1 ho l'onore di informare la E. V. che presentemente si sta promovendo su questo mercato finanziario la creazione di una nuova società avente di mira lo sfruttamento economico dell'Abissinia e più specialmente lo stabilimento di nuovi mezzi di comunicazione in quelle regioni. La nuova società si chiamerebbe Deutsche Abissinische Transport und Lager Aktien gesellschaft: suo scopo sarebbe di istituire comunicazioni regolari sulla strada carovaniera Dirè-Dauah-Addis Abeba mediante treni di trasporto sulla strada normale, cioè senza rotaie: treni che si stanno sperimentando sopra piccoli percorsi in Germania. A quanto si assicura, la costituenda società sarebbe già in possesso della relativa concessione da parte del Governo abissino.

Senonché presso i capitalisti e gli istituti serii anche contro questa società vengono sollevate critiche per lo meno altrettanto gravi quanto quelle da me riferite contro la Deutsche Abissinische Handelsgesellschaft. Ambedue vengono considerate come speculazioni.

6182 Cfr. n. 567.

3 Per la risposta cfr. n. 620.

6191 Cfr. n. 598.

Dal punto di vista tecnico si osserva che dai promotori vengono singolarmente trascurate le difficoltà che la natura oppone in Abissinia a simili imprese stradali. Contro quelle difficoltà a che vale l'esperienza in corso su brevi tratti di strada in Germania?

Dal punto di vista finanziario si fa rilevare l 'assoluta insufficienza del capitale domandato per istituire simili trasporti e le limitazioni che si dicono imposte nella concessione che finora non venne pubblicata. È previsto inoltre che il servizio regolare dovrà essere effettuato solo per sette o otto mesi dell'anno.

L'accoglienza quindi finora fatta a questo nuovo progetto di impresa africana non è stata molto lusinghiera, ma essa è pur sempre un segno del crescente interesse col quale i capitalisti e gli industriali tedeschi rivolgono la loro attenzione all'Impero del negus.

620

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 4485/605. Pera, [19] dicembre 1910, ore 20,40 (per. ore 6,30 del 20).

Telegrammi nn. 3527, 3528 e 35381. Hodeida. Marschall ha proposto quanto disse a VE. codesto ambasciatore di Germania, ma gran vizir ritiene invece preferibile proposta che io ho telegrafato e Kiazim approssimativamente esposto. Hakki pascià mi ha detto aver dato istruzioni a Rifaat, col quale potrò d'altronde discutere, di proporre:

l) liberazione immediata sambuco con merce previo accertamento valore merce stessa;

2) istituzione di un arbitro che indagherebbe se siavi stato o meno contrabbando.

N eli 'affermativa, proprietario merce pagherà doppio dazio dovuto. Nella negativa, Governo ottomano pagherà danni accertati. L'arbitro non dovrebbe essere la Corte d eli' Aja, perché la scarsa importanza de li' oggetto non la comporta e non si tratta di discutere questione di diritto, ma di appurare fatti. Per quest'ultima considerazione, l'inchiesta arbitrale deve farsi sui luoghi. Stabilendo l'arbitro con tale criterio non sarebbe naturalmente il caso di pensare a sottomettergli i reclami. Qualora VE. accettasse detta proposta che poi è nostra, potrebbe, nel far conoscere al pubblico l'accettazione, far pubblicare telegramma da Hodeida annunziante revoca mutessarif. Simultaneità notizie marcherebbe correlazione che questo Governo, tacendo revoca stessa, si studia evitare.

620 l TT. del 17 dicembre, non pubblicati, con l'eccezione del n. 618.

621

IL CONSOLE GENERALE A HODEIDA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 618/94. Hodeida, 21 dicembre 1910 (per. il 13 gennaio 1911).

Ho l'onore di rispondere al dispaccio ministeriale in margine segnato, giun

tomi con gran ritardo l.

Il progetto di costruzione del tronco ferroviario Hodeida-Monaka, nell 'Ye

men, mentre pochi mesi fa, per le notizie giunte a questo consolato dall'ingegner

De Violini, sembrava sul punto di ricevere la sanzione definitiva del Governo ot

tomano, subì di poi un intoppo che perdura sino ad oggi o che non riesco a spie

gare esattamente. La causa verosimile di cotesto ritardo (o forse rifiuto definitivo)

nella concessione da parte della Sublime Porta alla Società francese del firmano

imperiale, è da attribuirsi, secondo il modesto mio parere, alle note vicende sorte

tra Francia e Turchia per l'affare del mancato prestito, nonché a quello spirito di

intolleranza e di sollecita aggressione o inconsulta rappresaglia adottato dai Gio

vani Turchi verso qualunque Nazione che accenni appena a difendere i propri in

teressi e a frenare il risorto impeto bellicoso degli antichi Osmanli.

Ad ogni modo, l 'ingegner De Violini, il quale annunziava come certo il suo

arrivo a Hodeida per lo scorso ottobre, fissando financo qui una casa, non ha più

dato segno di vita. Il collega di lui, francese, lo doveva precedere, ma anch'esso

non è arrivato; egli ha però scritto brevi righe, giunte coli 'ultimo corrier a questo

agente consolare di Francia, dalle quali risulta che il progetto ha semplicemente

subito un ritardo e si spera di ottenere fra poco la voluta sanzione del Governo

ottomano.

In quanto ad impiego di capitali italiani nella progettata impresa, seppi dal

l'ingegner De Violini in modo positivo che di capitale italiano ve ne sarà di certo nell'eventuale costruzione della ferrovia; secondo le assicurazioni date dal commendator Femandez alla r. ambasciata a Costantinopoli, il concorso nostro finanziario figurerebbe nelle proporzioni del 5%, e nel Consiglio di amministrazione ·due seggi sarebbero riservati a connazionali nostri: quest'ultima informazione mi

è stata pur data dall'ingegner De Violini.

Circa l'impiego di mano d'opera italiana, egli è certo -e l'ing. De Violini,

molto pratico in materia, me l'ha già ripetutamente detto -che una buona parte

della schiera immensa di operai nostri che da tempo va lavorando nelle imprese

ferroviarie in Oriente, troverà anche nell'Yemen da spiegare vantaggiosamente la

propria attività, qualora la linea progettata dovesse effettivamente costruirsi.

Di installazione di telegrafia senza fili, non già lungo la progettata ferrovia,

ma nell'Yemen in generale, se n'è parlato qui a varie riprese: talvolta il Governo

locale dava la cosa come di prossima attuazione; ma, in realtà, non si è accennato neanche lontanamente a un principio di esecuzione dell'impianto annunziato ed oggi non se ne sente più parlare.

621 1 D. 322 del 20 ottobre, non pubblicato.

622

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 4516/619. Pera, 22 dicembre 1910, ore 13 (per. ore 13,35).

Hodeida. Rifaat pascià domanda sia inteso che la procedura convenuta nel caso del «Genova» non formerà precedente e che nei casi futuri di supposto contrabbando si seguirà la procedura stabilita dal regolamento 17 aprile 1863 che le Potenze hanno approvato. La scelta dell'arbitro appare difficile per la scarsezza del corpo consolare a Hodeida. Un funzionario inglese di Aden forse affiderebbe, ma credo convenga consultare Solai.

623

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 3589. Roma, 23 dicembre 1910, ore 14,40.

Suo telegramma 6121. In massima non vi ha dubbio che nei casi futuri supposto contrabbando si debba seguire procedura stabilita da regolamento 17 aprile 1863 che potenze hanno approvato. Non possiamo, però, rinunciare al diritto di ricorrere ad arbitrato o altri mezzi quando siffatta procedura non è applicata con giustizia nella sostanza ancorché la forma sia salvata. Parmi perciò preferibile risolvere caso attuale senza fare formali dichiarazioni di ordine generale né da una parte né dall'altra. Ciò non esclude che V.E. possa esprimersi nel senso di questo telegramma in amichevole conversazione con Rifaat. Quanto scelta arbitro telegrafo Sola. A me personalmente piacerebbe funzionario inglese Aden purché nato ed educato in Inghilterra. Prego, però, V.E. di esaminare anche se non sia preferìbile un funzionario europeo per esempio del Cairo purché non sia levantino ma nato ed educato in Europa.

623 l Si tratta in realtà del T. 4516/619 (cfr. n. 622).

622 l Per la risposta cfr. n. 623.

624

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE GENERALE A TRIPOLJ DI BARBERIA, PESTALOZZA

D. 381. Roma, 23 dicembre 1910

Ringrazio la S.V. per avermi segnalato con rapporto n. 1413/553 del 10 dicembre!, gli inconvenienti che a nostro danno si sono verificati nelle gare per la costruzione dei sedici chilometri di strada rotabile da costruirsi tra Tripoli e Zanzur.

Prendendo occasione dai fatti che ella mi ha segnalato col detto rapporto e con quello pari datai relativo agli impediti prelievi sulle somme che il Banco di Roma ha messo a disposizione del municipio di Tripoli, ho dato istruzioni al r. ambasciatore in Costantinopoli di richiamare sui vari inconvenienti l 'attenzione del Governo imperiale in vista specialmente dei pubblici lavori che ella mi riferisce saranno intrapresi costì ed ai quali è giusto ed utile che gli italiani, al pari d'ogni altro, possano liberamente prendere parte.

Prego la S.V. di voler continuare a tenermi informato con l'abituale sollecitudine su qualunque fatto si verifichi costì che direttamente od indirettamente ci sia di nocumento o dimostri una diversità di trattamento a nostro riguardo.

In quanto al signor Amin Gargani, oggetto del precitato rapporto, per informazioni personalmente fomite dal cavalier Bresciani, risulterebbe che egli sia effettivamente in così strette relazioni d'affari col Banco di Roma da potersi quasi considerare come un vero e proprio portanome di quell'istituto.

625

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 402/114. Addis Abeba, 23 dicembre 1910 (per. il 13 gennaio 1911).

Nel confermare a V.E. l'avvenuta partenza da Addis Abeba della missione incaricata del rilievo della zona di confine tra l 'Etiopia ed il Benadir, partenza già partecipata a codesto R. Governo con telegramma n. 165 del 22 corrente I, ho l'onore di trasmettere copia delle istruzioni impartite in scritto al capo della missione suddetta, cavalier capitano Carlo Citemi2.

Mi lusingo che tali istruzioni rispondano perfettamente alle intenzioni di codesto Ministero e ne interpretino fedelmente il pensiero; esse sono d'altronde

625 1 T. 4534/165, trasmesso da Asmara il 23, non pubblicato. 2 Non pubblicate.

conformi a quanto già esposi precedentemente a V.E. nei miei rapporti sulla delimitazione dei confini tra il Benadir e l 'Etiopia e sulle modalità più opportune e necessarie da seguire per raggiungere efficacemente e senza difficoltà e pericoli lo scopo a cui tende la missione suddetta.

In conformità degli ordini trasmessi da V. E. ho specialmente richiamata l 'attenzione del capitano Citerni sulla sicurezza della missione durante lo svolgimento del suo compito, affermando lo scopo ed il carattere essenzialmente pacifico e civile che essa si propone e prescrivendogli che essa non deve esporsi né a pericoli né a cimenti, ma lasciando necessariamente a lui la responsabilità e l'iniziativa di agire in base alla situazione del luogo e del momento.

Il Governo etiopico ha perfettamente compreso ed approvato le suddette istruzioni date al capo della nostra missione e mi ha formalmente assicurato che prenderà per parte sua tutti i provvedimenti onde prevenire qualsiasi minaccia da parte delle popolazioni dipendenti dall'Etiopia, e che darà ai suoi delegati istruzioni identiche alle nostre.

Ras Tesamma mi ha anzi dichiarato che tali istruzioni saranno da lui impartite in mia presenza tanto al tenente germanico che ai delegati abissini.

Onde eliminare ogni sospetto da parte del Governo etiopico e prevenire qualunque discussione e qualunque incidente che potrebbe ritardare od in qualsiasi modo ostacolare il lavoro della missione una volta iniziato, ho creduto necessario di ben precisare, tanto col Governo etiopico che col capo della nostra missione, che essa deve avere un carattere ed uno scopo esclusivamente tecnico, ossia deve esclusivamente limitarsi a rilevare la zona di terreno sulla quale verrà tracciata la linea di frontiera definitiva in base al trattato del 16 maggio 1908 ed in base alle proposte che la missione italo-etiopica presenterà a lavoro compiuto.

Ho però stabilito d'accordo col Governo etiopico che il lavoro tecnico della missione debba aver principio a Dolo al punto di confluenza del Daua col Ganale, in quel punto cioè in cui secondo il trattato del 16 maggio si stacca la linea di confine che dirigendosi verso oriente deve raggiungere il Uebi-Scebeli, ed ho acconsentito che in quel primo tratto il lavoro di rilievo si estenda alquanto verso sud-est comprendendo quella parte del territorio dei digodia che in virtù dell'accordo del 16 maggio spetterebbe al Benadir.

Debbo riconoscere che in tutte queste trattative il Governo etiopico si è dimostrato animato delle migliori intenzioni a nostro riguardo e non dubito che ogni contestazione potrà essere facilmente risolta.

A facilitare la soluzione di ogni possibile questione relativa alla delimitazione della frontiera del Benadir ed a disporre in nostro favore il Governo etiopico, certamente valse anche il conflitto aspro e tenace sorto tra questo Governo ed il Governo britannico per la delimitazione del confine tra l'Etiopia e la colonia inglese dell'Africa Orientale.

Sui precedenti di questo conflitto ho già riferito a V.E.; esso si è però in questi ultimi tempi aggravato al punto che il Governo etiopico ha troncato ogni discussione ed ha dichiarato a questo ministro d'Inghilterra che esso non intende a nessun costo di riconoscere e di sottostare alle pretese britanniche.

Io non intendo ora di pronunciarrni in merito al conflitto anglo-etiopico, al quale mi sono naturalmente tenuto estraneo, ma credo che questa legazione d'Inghilterra nelle trattative passate e presenti riguardanti la delimitazione di quel confine non abbia agito con soverchia sincerità e giustizia né con troppo tatto e discernimento.

Mi riservo di comunicare a VE. le istruzioni precise che questo Governo vorrà dare ai suoi delegati per la delimitazione dei nostri confini. Copia del presente rapporto e copia delle istruzioni impartite al capitano Citemi ho trasmesso direttamente al Governo della colonia del Benadir.

624 l Non pubblicato.

626

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, TOMMASINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Vienna, 23 dicembre 1910.

Sulla fine del mio rapporto n. 1150 in data del 15 corrente1 , ho comunicato a VE. la mia impressione che il convegno di Potsdam ed il discorso del cancelliere al Reichstag sui rapporti russo-tedeschi abbiano provocato qua un certo malumore ed una vaga inquietudine.

Questa mia impressione si è venuta nei giorni scorsi sempre rafforzando sebbene io non possa fondarla su prove concrete e dirette.

Io ho presente tutte le suscettibilità che potemmo intravedere qui, per gli affari balcanici, durante i negoziati de !l'autunno l 909 e mi rendo perciò conto di quanto si possa esser contrariati nel veder la Germania prender d'accordo colla Russia posizione pel mantenimento dello statu quo nei Balcani.

Inoltre so l 'avversione del conte Aehrenthal per ogni tentativo di mediazione fra la Monarchia e la Russia. Ora qui la cosa sarebbe anche più grave in quanto la Germania e la Russia si sarebbero intese, all'infuori della Monarchia, per gli affari balcanici. E l 'importanza della cosa non sarebbe considerevolmente diminuita dal fatto che il programma dell'accordo russo-tedesco pei Balcani (il mantenimento dello sta tu quo) sia lo stesso di quello attuale della Monarchia.

Sebbene non se ne parli mai, qua non si dimentica l'eventualità che la Monarchia sia costretta da una catastrofe nell'Impero ottomano a prender dei provvedimenti che ella considererebbe come difensivi nei Balcani. Ma, in tal caso, la Germania aiuterebbe l'alleata, come fece nella crisi dell'annessione, o si tirerebbe in disparte per non entrare in una combinazione aggressiva verso la Russia, la quale vuole ad ogni costo il mantenimento dello statu quo? Questo è il punto oscuro della situazione presente.

626 I R. 264611150, non pubblicato.

Oltre a queste considerazioni d'ordine generale ed obbiettivo, ce ne è anche una d'ordine personale pel conte Aehrenthal. Il riavvicinamento così accentuato fra la Germania e la Russia non finirà per necessità di cose per indebolire la posizione del ministro austro-ungarico così inviso in Russia e non aumenterà le probabilità che avvenga quanto S.E. il duca Avarna accennava nella seconda parte del telegramma riservatissimo n. 413 del 20 novembre u.s.2. La Monarchia potrebbe esser spinta a sacrificare il ministro degli affari esteri per impedire all' accordo russo-tedesco di compromettere i suoi interessi nei Balcani.

Queste considerazioni e parecchi piccoli indizi che sfuggono ad una valutazione precisa, hanno formato l'impressione che mi permetto di comunicare a V.E in via privata e personale.

627

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO .. ./47. Belgrado, 24 dicembre 1910, ore 3,30 (per. ore 18).

Rappresentante Governo serbo a Roma ha ricevuto giorni or sono istruzioni di chiedere se data 15 febbraio era gradita per visita re di Serbia al Nostro Augusto Sovrano. Il ministro degli affari esteri mi prega ora di chiedere all'E.V. se il R. Governo non avrebbe obiezione a che re di Serbia, in occasione sua visita nella capitale, si recasse anche colle forme d'uso a visitare il papa. Tale visita potrebbe essere utile a questo Governo, al quale gioverebbe riprendere antiche pratiche per la conclusione di un concordato con la Santa Sede. Qualora però detta visita potesse in qualsiasi modo menomare impressione strettamente amichevole e di vivissima simpatia che si cerca d'imprimere qui al viaggio del re a Roma, ministro degli affari esteri mi disse che, idea visita al sommo pontefice sarebbe tosto abbandonata.

628

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 4539/622. Pera, 24 dicembre 1910, ore 20, 15 (per. ore 22).

Governo imperiale non ha ancora alcuna notizia intorno alla perquisizione del sambuco «Selima». Rifaat suppone abbia avuto luogo per misura precauzio

6262 T. riservatissimo personale 4109/413, non pubblicato.

naie contro contrabbando armi e munizioni che possano andare a favore insorti Yemen, Assyr. Mi ha detto desidera lunedì un abboccamento meco sull'argomento, poiché Governo imperiale invia altra cannoniera nel Mar Rosso e sorveglianza navigazione si farà più severa. Ha protestato autorità ottomana non prende di mira sambuchi sotto bandiera italiana piuttosto che sotto bandiere ottomana inglese

o di altra nazionalità. Non sono entrato in merito, ma ritengo razionale e giusto che sambuchi italiani siano trattati alla pari di sambuchi battenti bandiera inglese e, salvo ordini contrari, insisterò in quella tesi t.

629

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1143/3 76. Pietroburgo, 25 dicembre 1910 (per. il 2 gennaio 1911).

In una recente conversazione avuta con questo ministro degli affari esteri, essendo il discorso incidentalmente venuto a cadere sull'agitazione prodottasi in Francia dalle dichiarazioni del cancelliere dell'Impero dinanzi al Reichstag, in merito ai risultati politici del convegno di Potsdam, S.E. mi assicurò limitarsi essa esclusivamente alla stampa, giacché il Governo francese era perfettamente al corrente di quanto era stato detto e fatto durante la precitata intervista. Al suo ritorno da Berlino egli si era affrettato di riferire nei loro più minuti particolari, a questi rappresentanti di Francia e di Inghilterra i colloqui avuti col signor Bethmann-Hollweg ed il signor Kiderlen-Waechter, rilevando con particolare insistenza come per tutto ciò che era stato discusso e concordato in quell'occasione, crasi sempre di comune accordo presa come base gli attuali raggruppamenti politici.

L'allocuzione tenuta dal signor lswolsky nel suo ricevimento ali' Eliseo era già venuta a buon punto per attenuare quest'agitazione, ed a dissiparla del tutto, avrebbe certamente contribuito la prossima notificazione dell'accordo che si stava tuttora elaborando fra i Gabinetti di Berlino e Pietroburgo, riguardo agli affari di Persia, e che non si sapeva ancora se avverrebbe sotto forma di dichiarazione o mediante uno scambio di note fra i due Gabinetti.

Passando il signor Sassonoff poi per naturale associazione di idee, dalla nervosità francese a quella dimostrata di recente dalla Germania verso la Russia e che il convegno di Potsdam era riuscito a dissipare, nervosità che aveva assunto una forma quasi morbosa, inconcepibile per un popolo che pure dovrebbe avere intera coscienza delle proprie forze e della sua cospicua situazione internazionale, mi ripeteva nuo

vamente la frase dettagli a Berlino dal cancelliere dell'Impero: avere la Russia da tre anni a questa parte sistematicamente ignorato la Germania. A prova di questa sua asserzione, il signor Bethmann-Hollweg citava l 'attitudine assunta verso il rappresentante della Germania a Pietroburgo ed altrove. Nel mentre a Pietroburgo il ministro degli affari esteri mantenevasi in intimi e continui contatti cogli ambasciatori di Francia e di Inghilterra ed anche con quello italiano, il rappresentante germanico era invece scientemente tenuto in disparte; al suo apparire in mezzo a loro le conversazioni subito cessavano e si svolgevano ad argomenti di carattere non politico. Lo stesso fenomeno si verificava pure in altre residenze. A ciò il signor Sassonoff aveva risposto negando assolutamente l'esattezza di questa asserzione. I rappresentanti della Germania erano trattati dovunque dai rappresentanti della Russia sullo stesso piede di cordialità e di intimità degli altri colleghi esteri. Egli conveniva però che due eccezioni erano state fatte a quella regola: a Costantinopoli e a Teheran. Ma questo increscevole stato di cose era là da attribuirsi esclusivamente a colpa degli stessi rappresentanti germanici, che col loro contegno poco benevolo, anzi qualche volta addirittura ostile, verso la Russia, avevano fin dagli inizi paralizzato ogni tentativo di maggiore intimità per parte dei loro colleghi russi. Avrebbe certamente bastato per parte loro un po' più di cordialità e di ben volere per ridare alle relazioni fra i rappresentanti di Russia e di Germania quel carattere amichevole che mai non avrebbero dovuto perdere.

Queste franche dichiarazioni avevano, a quanto mi assicurava il signor Sassonoff, vivamente impressionato il suo interlocutore, ed a esse egli già attribuiva alcuni sintomi confortanti che già erano di recente manifestati tanto a Costantinopoli che a Teheran, accennanti ad un cambiamento di attitudine per parte di quei rappresentanti germanici nei riguardi delle cose russe.

628 l Per il seguito cfr. n. 632.

630

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, TOMMASINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2736/1188. Vienna, 26 dicembre 1910 (per. il 9 gennaio 1911).

Ho chiesto al signor di Tschirschky, con cui ho avuto oggi una conversazione confidenziale, se egli non avesse rilevato la persistenza di un certo senso di incertezza e di nervosità, manifestatosi qua dopo il convegno di Potsdam ed il riavvicinamento russo-tedesco.

L'ambasciatore di Germania mi ha risposto che, secondo lui, questa impressione è stata provocata ad arte dai soliti nemici dell'alleanza fra il suo Paese e la Monarchia, cioè dagli slavi del!' Austria (esclusi i polacchi) e da queste ambasciate di Francia e d'Inghilterra.

Io mi sono permesso di osservare che, in questo caso speciale, trattandosi di un riavvicinamento della Germania alla Russia, il quale poteva essere il preludio di un riavvicinamento della Monarchia stessa a questa ultima Potenza, mi pareva meno evidente la ragione che avrebbe spinto gli slavi dell'Austria a turbare l'atmosfera politica con insinuazioni. Ho soggiunto poi che, secondo me, il malumore si era manifestato anche da altre parti che dal campo slavo. Infatti giornali notoriamente favorevolissimi ali 'alleanza austro-tedesca, come la Reichspost ed il Vaterland, avevano serbato di fronte al riavvicinamento russo-tedesco un mutismo che, da precedenti esperienze, io avevo ragione di ritenere sintomo di malcontento. Eppure il Vaterland e la Reichspost sono giornali i quali rappresentano partiti politici influenti e che, in fatto di politica estera, non agiscono a caso.

A mio avviso, l'inquietudine qui dominante e che si era alimentata anche dalla presenza del cancelliere dell'Impero alle cacce neii'Hannover, dove l'arciduca Francesco Ferdinando e l 'arciduca Federico si erano recati ospiti de li'imperatore Guglielmo, e dal recente soggiorno del conte Berchtold a Berlino, doveva spiegarsi col timore che il riavvicinamento fra la Germania e la Russia, non essendo seguito da un immediato riavvicinamento fra la Monarchia e la Russia, renda imbarazzanti i rapporti fra le due Potenze alleate. Da questa situazione nascerebbe anche il dubbio se, per la monarchia non sia necessario, allo scopo di ristabilire l'armonia completa nelle sue relazioni colla Germania di affrettare il riavvicinamento colla Russia e di sacrificare ad esso la persona del conte Aehrenthal, che potrebbe sembrare un impaccio. Questa incertezza, non molto preoccupante nel momento attuale, diverrebbe molto più pericolosa ove, malgrado gli sforzi concordi di tutte le Potenze per favorire il consolidamento del nuovo regime in Turchia, una crisi dovesse sopravvenire nell'Impero ottomano.

Per ragioni di riguardo personale, io non ho creduto di ritornare sugli apprezzamenti fatti dal signor di Tschirschky circa i suoi colleghi d'Inghilterra e di Francia. Certo tanto sir Fairfax Cartwright, (un feroce germanofobo, come VE. sa) ed il signor Crozier (persona non molto seria, spesso strumento di sir Fairfax) sono capacissimi di intrighi e di insinuazioni e nel passato hanno cercato più di una volta di seminar zizzania fra il signor di Tschirschky ed il conte Aehrenthal. Ma il primo è tornato da pochissimi giorni da un lungo congedo ed il secondo è da parecchio tempo assente. Quindi è escluso che essi possano aver contribuito ad ingenerare il malumore attuale, che si manifestò immediatamente dopo le dichiarazioni del signor di Bethmann Hollweg. Né coloro che reggevano le ambasciate di Francia e d'Inghilterra durante le assenze dei titolari, sono persone da esercitare l'azione supposta dal signor di Tschirschky.

Alle mie osservazioni l 'ambasciatore di Germania ha replicato che gli slavi deli'Austria vogliono bensì il riavvicinamento colla Russia, ma lo vogliono ali 'infuori della Germania. Egli ha osservato che si accusa sempre il suo paese di influire, per ragioni di politica estera, nella politica interna de Il' Austria, mentre ciò non è vero. La Germania ha assistito senza muoversi al lungo Ministero del conte Taaffe ed ai Ministeri Hohenwart e Badeni, i quali amministravano contro i tedeschi. Mentre invece sono gli slavi de li' Austria che vanno a prendere l 'imbeccata all'estero e che confondono continuamente politica estera e politica interna. Gli slavi farebbero intrighi sopra intrighi (l'affare Masaryk non sarebbe che un episodio più espressivo di uno stesso sistema) e sarebbero essi a voler la testa del conte Aehrenthal, che rappresentano come un impedimento ai buoni rapporti fra la Russia e la Monarchia.

Il signor di Tschirschky ha riconosciuto che il riavvicinamento russo-tedesco muta effettivamente qualche cosa alla situazione internazionale, perché esso assicura che il Gabinetto di Pietroburgo che, sotto il signor Izwolskij, si muoveva n eli' orbita dell'Inghilterra, d'ora in poi, grazie al signor Stolypine ed al signor Sazonoff, farà una politica soltanto russa. Ma questo non può affatto impensierire il Governo austro-ungarico. La Russia, come la Germania, come la Monarchia, come tutte le Potenze, vuole il mantenimento dello statu quo. Nell'ipotesi, da me accennata, certo le difficoltà sarebbero molto maggiori. Ma il signor Tschirschky non ha creduto soffermarsi su questo punto.

Insomma il signor di Tschirschky mi ha detto che dovevo esser sicuro che il riavvicinamento russo-tedesco non aveva turbato e non poteva turbare in nessun modo gli ottimi rapporti esistenti fra i Gabinetti di Vienna e di Berlino e che mai a Berlino si era pensato a chiedere il ritiro del conte Aehrenthal.

Malgrado questo linguaggio esplicito, la conversazione col signor di Tschirschky non ha dissipato le mie precedenti impressioni sopra il malumore qui esistente. lo non mi ero del resto aspettato mai che l'ambasciatore di Germania, per quanto volesse esser sincero, mi confermasse l'esistenza di questo malumore nelle sfere ufficiali. Ma, in mezzo alle smentite, mi ha detto qualche cosa che a me è sembrato attenuarle.

«Noi non vogliamo in nessun modo -ha aggiunto -intervenire fra la Russia e la Monarchia. Ma io ritengo come certo che esse si riavvicineranno. Dissidi sulle cose non ne esistono. C'è soltanto qualche nube, che si dissiperà piano piano. Ma ci vuole del tempo ed a voler precipitare le cose si rischierebbe di guastarle. Ma io so che tanto l'imperatore Francesco Giuseppe quanto lo czar, anche per considerazioni d'indole monarchica, desiderano questo riavvicinamento».

Quest'ultima frase ha, secondo me, speciale importanza, sia perché non menziona il conte d'Aehrenthal sia perché, nell'accennare al riavvicinamento austrorusso, mette in evidenza la grande forza d'attrazione che, anche al di sopra di altre considerazioni di ordine politico, tende costantemente a riavvicinare le corti di Vienna, di Berlino e di Pietroburgo: la comune concezione della funzione monarchica.

Oltre che col signor di Tschirschky ho avuto occasione di parlare confidenzialmente, sull'argomento del presente rapporto, nei giorni scorsi, anche col barone Tucher, il quale a differenza della grande maggioranza dei diplomatici bavaresi, è animato da idee schiettamente prussofile ed imperialiste. Egli mi ha detto di esser stato appunto di passaggio a Berlino, l'indomani del convegno di Potsdam di aver saputo dal conte Lerchenfeld che la corte germanica ed il Gabinetto imperiale erano stati vivamente sorpresi e soddisfatti dall'atteggiamento amichevole, cordiale e fiducioso dello czar e del signor Sazonoff che si erano proprio mostrati desiderosi di ristabilire completamente le ottime relazioni tradizionali esistenti fra le due case regnanti e fra i due Governi.

Il barone Tucher ha riconosciuto, molto più apertamente del signor di Tschirschky, che «all'infuori dei circoli strettamente ufficiali» qua esiste un malumore dopo il riavvicinamento russo-tedesco e si è meravigliato della persistenza di esso. Naturalmente anch'egli ha però aggiunto che tale malumore è ingiustificato; che, subito dopo il convegno di Potsdam, il Gabinetto di Berlino ha comunicato il resoconto di esso al Gabinetto di Vienna, il quale ne è stato soddisfatto; e che è assolutamente fantastico che la Germania possa desiderare il ritiro del conte Aehrenthal per spianare la via al riavvicinamento austro-russo.

Però, su tale riavvicinamento, il barone Tucher si è espresso in modo diverso dal signor di Tschirschky. Egli lo crede ancora meno prossimo dell'ambasciatore. Ritiene che qui non lo si desideri troppo. L'imperatore, nel ricevere il signor di Giers avrebbe detto soltanto che tiene che i rapporti fra la Russia e la Monarchia siano «corretti». Ma né il sovrano né il ministro degli affari esteri vorrebbero per ora andare più in là. Il conte Aehrenthal crederebbe che i rapporti soltanto «corretti» colla Russia siano preferibili, perché lasciano all'Austria-Ungheria maggior libertà di movimenti.

Forse sarebbe voler andare troppo oltre il voler dedurre dalla contraddizione apparente fra le parole dell'ambasciatore di Germania e quelle del ministro di Baviera, la conclusione che esistono qua ora due tendenze circa la politica da seguire di fronte alla Russia: una per il riavvicinamento, piuttosto desiderata dalla Corte e favorita dalla Germania, ed una per la «correttezza e le mani libere», patrocinata dal conte d'Aehrenthal.

Senza voler arrivare a questa conclusione, mi limito a segnalare la cosa a VE., notando solo che il barone Tucher, sebbene per il suo ufficio non abbia ad occuparsi delle questioni di grande politica internazionale, è tanto per la sua personalità, quanto per la situazione che ha qui, in grado di essere bene informato.

631

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2597/240. Bucarest, 26 dicembre 1910 (per. il 2 gennaio 1911).

Riferendomi ai miei rapporti n. 204 del 7 novembre ultimo! e n. 229 del 15 corrente2, ho l'onore d'informare I'E.V. che, secondo appresi ieri da questo si

631 l Cfr. n. 547. 2 Cfr. n. 616.

gnor ministro degli affari esteri, il Gabinetto Bratiano si ritirerà tra il Natale ed il capo d'anno ortodosso, al più tardi verso il 4 gennaio stesso stile. Gli succederà un Gabinetto Carp, cui augura vita breve il mio collega di Russia, il quale rimpiange molto la partenza di Bratiano. Augurio che sembra avere molta probabilità di verificarsi per i motivi indicati nel primo dei miei rapporti sovracitati.

Per quanto concerne gli interessi italiani e me personalmente, il cambiamento non ha importanza, le disposizioni del signor Carp verso l'Italia essendo delle migliori e le mie relazioni seco lui amichevolissime. Il Carp essendo poi caldo fautore della intimità colla Triplice Alleanza anche le direttive della politica estera rumena rimarranno immutate. Di ciò è d'altronde garante il re qualunque sia il partito al potere. La sola cosa da temersi è dunque che il Carp -sebbene il re, come riferii all'E.V., m'abbia detto di volerlo sorvegliare con qualche nuova sortita infelice o atto inopportuno venga a ferire le suscettibilità slave ed a compromettere i buoni risultati dell'azione di Bratiano per cancellare i ricordi degli antichi attriti e rancori e rendere veramente cordiali le relazioni colla Russia.

632

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 3644. Roma, 30 dicembre 1910, ore 19.

Sambuco «Selima»I. Discussioni e intese 1902 per trattamento sambuchi eritrei dimostrano che noi, rimanendo impregiudicata questione regime capitale, abbiamo voluto sperimentare regime nazione più favorita.

Dopo 1902, fino a questi ultimi incidenti, sambuchi eritrei e loro equipaggi hanno goduto di fatto trattamento capitolare in virtù susseguenti ordini categorici della Porta alle autorità Yemen di non molestare né avvicinare sambuchi eritrei in mare libero o territoriale o all'ancoraggio ancorché avessero bordo merce contrabbando. Se questa fosse stata sbarcata, allora solamente avrebbe dovuto essere confiscata e nulla più. Da ciò la conseguenza che sambuchi eritrei non potessero essere né visitati, né catturati, né confiscati. Questi precedenti hanno stabilito uno stato di cose che abbiamo titolo a chiedere sia rispettato anche ora. Anche parificazione sambuchi inglesi Aden sarebbe per noi accettabile se trattamento di cui godono non è meno favorevole di quello da noi finora goduto. Temo, però, che pei sambuchi di Aden Governo ottomano possa, forse opporci tenore intese 1902 da cui risulta che clausola nazione più favorita è consentita in confronto sambuchi che si trovano in analoghe circostanze dei nostri.

Ora, per le note riserve della Porta su Massaua, che forse non esistono in Aden, la situazione degli inglesi in Aden può darsi che venga considerata da codesto Governo diversamente da quella degli italiani a Massaua.

Lasciando, pertanto, alla E.V. di sondare prima il terreno in modo da mettere questione trattamento sambuchi eritrei su basi solide e pratiche evitando in modo assoluto siano pregiudicate questioni principio riservato nel 1902, debbo conchiudere che perquisizione «Selima» costituisce, in ogni caso, violazione «status» creatosi dopo 1902, e sequestro corrispondenza costituisca un sopruso di fronte principii elementari del diritto internazionale. Se, pertanto, non sopravvenga spontanea soddisfacente soluzione secondo mio telegramma 20 corrente n. 35662, e dopo arrivo maggiori informazioni su incidente richieste Massaua e Hodeida, sarà il caso presentare reclamo per restituzione corrispondenza e eventuale risarcimento danni derivati, e chiedere ordini siano impartiti autorità Yemen impedire simili procedimenti, se non si vuole che anche nostre navi da guerra incrocino a tutela dei sambuchi eritrei. Prima, però, è necessario sia regolato incidente «Genova».

632 l Cfr. n. 628.

633

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 4616/644. Pera, 31 dicembre 1910, ore 23 (per. ore 6,30 del 1° gennaio 1911).

Progetto rivedibile protocollo incidente sambuco «Genova». Il r. ambasciatore ecc. ed il ministro affari esteri ecc., constata impossibilità di formarsi convinzione comune sui fatti e circostanze che provocarono cattura, «sont dans un esprit de conciliation et dans un but de vérité et justice, convenus que la question de savoir s'il y a eu ou non tentative de contrebande sera soumise à une commission mixte qui fera sur !es lieux enquète nécessaire». Commissione, composta Aliotti e Salih, comincerà lavori appena commissari saranno Hodeida. Lavori dovranno finire il più presto possibile, non oltre 1:ln mese dal principio. Risultato sarà consegnato in un verbale unico firmato dai due Commissari. Punti, sui quali accordo non fosse completo, formeranno oggetto verbale separato che dovrà essere sottomesso ad un arbitro da nominarsi dal Governo britannico. Arbitrato avrà luogo Costantinopoli. Spesa sarà sopportata ciascuna parte proprio commissario e dalle due parti in comune per l'arbitro. «Il est d'ores et déjà entendu que, si enquète est favorable thèse Gouvernement ottoman, proprietaire marchandise débarquée plage Midi aura à payer amende prévue par le règlement douane impériale

administration générale contributions indirectes en date du 17 avril mil huit cent soixante trois, article 5, alinéa 11. Si enquète est favorable thèse Gouvernement italien, Gouvernement impérial ottoman payera indemnité couvrant dommagesintérèts pour l'immobilisation du sambouc et de l'équipage, pour la détérioration éventuelle marchandise et pour tout autre préjudice qui serait dù à la saisie. Payments seront faits dans le délai d'un mois à dater signature acte [qui] mettra fin enquète. Aussitòt après la signature présent accord, sambouc «Gènes», actuellement détenu Hodeida, sera relàché avec son commandant et son équipage ainsi que avec cargaison telle qu'elle était consignée dans le manifest de bord. Valeur cargaison complète aura été préalablement établi d'après prix marchandise sur piace à la date de la saisie». Prego telegrafarmi eventuali mutamenti!.

632 2 Non pubblicato.

634

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 2212/804. Londra, 31 dicembre 1910 (per. il 12 gennaio 1911).

Discorrendo avantieri di varii argomenti politici con l'ambasciatore di Russia, non ha guari qui tornato dopo un lungo congedo in Patria, gli chiesi se e quale fondamento attribuisse lui alle notizie, con tanta insistenza circolate per i giornali, di una prossima riunione cinegetica, a Skiernewitze, di granduchi e arciduchi. Replicò il conte Benkendorff nulla di positivo risultargli al riguardo, parergli però il fatto poco verosimile, ed in ogni caso, mai degno di attirare l'attenzione delle persone serie, in quanto i due granduchi di cui si è parlato, non sogliono occuparsi di politica, della quale nulla conoscono, e con la quale nulla hanno da vedere.

Pur non esprimendo in modo chiaro il suo parere, il mio collega aveva l'aria di considerare, in tesi generale, un riavvicinamento austro-russo, come una eventualità né impossibile né improbabile, ma pel momento ancora alquanto prematura.

Poiché eravamo in tema di riavvicinamento, menzionai l'intervista di Potsdam e le relative dichiarazioni del cancelliere germanico, compiacendomi per le ristabilite relazioni russo-germaniche, nelle quali è permesso di ravvisare una novella garenzia del mantenimento della pace.

A questa allusione da me fatta senza alcuna enfasi, ad un avvenimento oggi tanto discusso e commentato dal pubblico, il conte Benkendorff, di solito così discorsivo ed espansivo, rispose in modo assai vago ed imbarazzato, al punto da

633 I Per la risposta cfr. n. 637.

lasciare in me l'impressione che dell'argomento gli riescisse, per un verso o per l'altro, poco gradito di parlare, sicché io mi affrettai di mutare subito di soggetto.

Si parlò poi del comune amico signor Iswolsky, a proposito del quale il mio collega si espresse in modo da farmi chiaramente capire che il ritiro di lui dalla direzione della politica russa non è stato punto volontario, né dovuto ai varii motivi personali che sono stati dati ad intendere al pubblico.

Il contegno reticente, imbarazzato, dell'ambasciatore che è stato qui uno degli esecutori più influenti ed efficaci della politica anglofila del signor Iswolsky mi fornisce un motivo in più per ritenere non infondate alcune impressioni raccolte, circa un certo tal quale sentimento di sorpresa -per non dire di più -qui prodotto dalle dichiarazioni del cancelliere germanico sui risultati del convegno di Potsdam, ed in generale sulle relazioni tra la Germania e la Russia, dichiarazioni che avrebbero alquanto modificato la prima impressione, di reale od ostentato compiacimento, manifestatami da sir A. Nicolson.

A giudicarlo almeno dalle apparenze, non sarebbe forse fuori di posto il rievocare, a proposito delle relazioni attuali fra i due Imperi, l'ormai storica frase deli'extra-tour adoperata dal principe di Biilow, quando ebbe ad intrattenere il Reichstag della ristabilita cordialità delle nostre relazioni con la Francia.

Che questa impressione non sia del tutto fallace, mi parrebbe di poterlo pure desumere dalla lettura di un articolo che qui unisco', comparso nel Daily Telegraph del 31 corrente, a firma del noto e valente pubblicista signor Dillon, specialmente competente per gli affari di Russia. Di lui sir A. Nicolson, che lo conosce molto, mi parlava tempo fa in termini molto benevoli, dichiarandolo persona seria e di solito bene informata.

L'autore dell'articolo nel passare una rivista generale della politica estera europea durante l'anno 1910, si studia principalmente di far risaltare i successi diplomatici della Germania, rilevando anche la riacquistata importanza ed efficienza della Triplice Alleanza, in seguito alla maggiore e più stretta adesione de li 'Italia alle due Potenze alleate. La parte, per me più degna di nota, dell'articolo, è, per i motivi accennati di sopra, quella che si occupa delle migliorate relazioni russogermaniche, come conseguenza del convegno di Potsdam. Circa il quale afferma, fra altro, il Dillon che l'intesa raggiunta a Potsdam fu -to put it mildZv -subitanea, che la Germania ha rinunziato a diritti mai posseduti, per ottenere concessioni reali e vantaggiose, e che questa mossa così importante della Russia è avvenuta senza previa notizia delle sue alleate.

Il signor Dillon, in complesso, conferma ed illustra ancora più la tesi già svolta n eli 'articolo pubblicato nella Contemporary Review del l o dicembre, e da me già segnalato. Queste sue vedute ritornano con maggiore insistenza in altro articolo della stessa rivista, del l o gennaio.

D'altra parte il Times in un leading artide odierno, a proposito del convegno di Potsdam, pur riconoscendo la necessità in cui travasi la Russia di conciliarsi le

buone grazie del potente vicino, esprime, in modo incidentale ed alquanto timido, la fiducia che essa non vorrà leggermente consentire a patti in contraddizione con gl'interessi della durata della Triplice Entente.

Da queste manifestazioni della stampa mi parrebbe lecito trarre la conseguenza che sul nuovo contegno assunto dalla Russia dopo la partenza del signor Iswolsky esistano qui, ed ancora più a Parigi, dubbi non disgiunti forse da qualche apprensione, e che gli uni e le altre si speri e forse si tenti al momento presente di vedere chiariti e dissipati, nella nota, che, secondo le notizie dei giornali, starebbe il Gabinetto di Pietroburgo preparando, in risposta a quella direttagli dalla Germania nel 1907, circa l'accordo anglo-russo per l'Asia Centrale.

L'estrema delicatezza dell'argomento non mi permette di farne oggetto di investigazioni dirette al Foreign Office. Non mi trovo quindi in grado di riferire a

V.E. -notizie concrete e positive, e devo perciò !imitarmi a farle parte di semplici osservazioni ipotetiche. V.E. -avrà agio di valutarne e constatarne il fondamento in base alle osservazioni che le verranno dagli altri miei colleghi, e delle quali le sarei particolarmente grato, di volermi, per mia opportuna norma, rendermi a suo tempo al corrente.

634 l Non si pubblica.

635

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, TOMMASINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2735/11871. Vienna, 31 dicembre 1910 (per. l'11 gennaio 1911).

La sessione delle delegazioni che si è inaugurata il 28 corrente a Budapest, ma che comincerà i suoi veri lavori soltanto alla ripresa delle sedute, dopo il 20 gennaio prossimo, sarà specialmente consacrata a questioni militari ed in prima linea alla discussione del programma navale dell'ammiraglio Montecuccoli.

«La grande importanza politica della sessione -ha scritto il Fremdenblatt -consisterà in questo che l'approvazione dei crediti per la marina da parte delle delegazioni proverà la ferma intenzione della Monarchia di prendere, come potenza navale, quel posto a cui non può durevolmente rinunziare per la propria sicurezza e per offrire al commercio transoceanico dei suoi due Stati quella tutela che gli permetta di prosperare tranquillamente».

A questa nota hanno più o meno risposto tutti i grandi organi della stampa austriaca e quelli della stampa ministeriale ungherese.

E non si è tralasciato nulla di ciò che può influire sull'opinione pubblica per disporla ad accettare con rassegnazione i grandi sacrifizi che chiede l'amministrazione militare comune.

La lega navale austriaca ha diretto alla delegazione cisleitana una petizione per raccomandare istantemente l'adozione del programma navale, ricordando che gia l'ammiraglio Tegetthoff aveva riconosciuto la necessità che la flotta imperiale e reale fosse costituita almeno di quattro divisioni di quattro unità ciascuna.

E uno dei più rinomati scrittori militari della Monarchia, il generale Emilio di Woinovich, direttore dell'archivio militare, ha pubblicato nella Neue Freie Presse un articolo firmato in cui, prendendo le mosse dal principio (giusto se bene applicato) che le spese militari sono il premio di assicurazione della ricchezza nazionale, cerca di dimostrare che occorre portare all'ultima perfezione gli armamenti, perché una preparazione insufficiente è del tutto inutile e che le spese militari non sono improduttive nemmeno immediatamente, perché danno lavoro a tante industrie ed a tanti operai.

Ma quello che il generale di Woinovich omette di fare è di esaminare i rapporti realmente esistenti fra l'ammontare del bilancio militare e le condizioni economiche generali dei due Stati che lo debbono pagare dall'altra.

Ora in Austria il bilancio effettivo è in disavanzo di almeno cinquanta milioni di corone all'anno. È ben vero che l'ultimo preventivo presentato recentemente dal signor di Bilinski annunzia il pareggio, ma tutti sanno che esso non è sincero. Il ministro delle finanze dimissionario sapeva già da parecchi mesi che la sua situazione era divenuta insostenibile, non fosse che pel suo conflitto col partito polacco, da cui era uscito. Egli sapeva inoltre con certezza che non sarebbe stato chiamato ad amministrare il bilancio che presentava. Quindi ha tanto falcidiato le previsioni delle spese e tanto gonfiato quelle delle entrate da arrivare a stabilire sulla carta il pareggio. Ma egli stesso aveva riconosciuto in precedenza che bisognava imporre almeno da 50 a 60 milioni di corone di nuove tasse per ristabilire l'equilibrio del bilancio. Egli aveva a tal uopo presentato un omnibus finanziario che era stato malissimo accolto dalla camera dei deputati austriaca, in parte per i suoi grandi difetti intrinseci, in parte perché le imposte, già esistenti, sono così gravi che non si sa proprio come fare per aggravarle ancora senza schiacciare i contribuenti. Intanto il costo della vita aumenta di giorno in giorno e, come conseguenza della tirannide agraria che pesa su tutta la vita economica dello Stato, i generi di prima necessità, specialmente la carne arrivano a prezzi fantastici.

Malgrado ciò lo Stato austriaco ha fatto, in questi ultimi due anni circa 700 milioni di corone di debiti e colla ultima legge, che accorda l'esercizio provvisorio per il primo trimestre dell'anno l 911, è stata autorizzata l'emissione di un nuovo prestito di circa Il O milioni di corone.

Una parte di questi 700 milioni è servita a pagare le spese dell'annessione propriamente detta (mobilitazione, indennità alla Turchia, ecc.), un 'altra a coprire tutte le straordinarie spese militari fatte in fretta ed in blocco durante la crisi dell'annessione ed una terza a tappare i buchi del bilancio ordinario.

Né più floride sono le condizioni finanziarie dell'Ungheria.

Il bilancio consuntivo del 1909 si è chiuso con un disavanzo di circa 138 milioni di corone e la situazione non si è certo migliorata nel corso dell'anno presente. Se si vuole avere un'idea dello stato desolante in cui si trova il tesoro ungherese basta leggere il discorso pronunciato dal ministro delle finanze nella seduta della Camera dei deputati del l O corrente.

Il signor Lukàcs ha ricordato che al principio del gennaio scorso c'erano nelle casse dello Stato 22 milioni di corone in tutto e che il fabbisogno della cassa era, pel primo semestre, di 421 milioni mentre il rendimento previsto per le imposte era, per lo stesso periodo, di soli 222 milioni. Al 18 gennaio, quando il Ministero Khuen-Hédervary assunse il potere, il fabbisogno della cassa pel resto del mese era di 37 milioni e mezzo e le risorse disponibili poco più di 13 milioni, di cui solo tre e mezzo in denaro contante.

In Ungheria, come in Austria, si è dovuto quindi durante questi ultimi due anni, ricorrere abbondantemente al credito per tirare innanzi alla meglio. Nel 1909 il ministero di coalizione aveva emesso un prestito di 272 milioni di corone. Nel corso dell'anno presente, il Ministero Khuen-Hedérvary ha dovuto fare oltre 600 milioni di nuovi debiti di cui la maggior parte sotto forma di emissione di buoni del tesoro. Solo 250 milioni sono rappresentati dal noto prestito, assunto da un consorzio di banche tedesche ed austriache, dopo il rifiuto della finanza francese.

Malgrado queste desolanti condizioni finanziarie, a cui non si sa proprio come metter riparo, la febbre degli armamenti non dà tregua nella Monarchia.

È ben vero che il bilancio della guerra che sarà ora sottoposto alle delegazioni non presenta un considerevole aumento su quello precedente. Ma questo (a quanto mi ha riferito l'addetto militare della r. ambasciata) si spiegherebbe da un lato col fatto che durante la crisi dell'annessione si sono fatte in via eccezionale tali spese da mettere in pieno assetto l'esercito, dali'altro con la considerazione che uno sviluppo maggiore delle forze di terra della Monarchia non sarà possibile se non quando, in conseguenza dell'introduzione della ferma biennale, si sarà ottenuto quell'aumento del contingente, che le autorità militari invocano da tanto tempo.

Però anche ora non si tralascia nulla di ciò che può, anche a prezzo di sacrifici pecuniari considerevoli, perfezionare la preparazione militare. L'addetto militare mi ha segnalato appunto in questi giorni che è stato appaltato l 'ultimo tronco per la posa del secondo binario della linea Amstetten-St.Veit a.d. Gian (linea pontebbana). Il piano stradale dovrebbe essere terminato entro il 1911 e l 'esercizio dovrebbe essere intrapreso nel 1912: nella costruzione del corpo stradale non si sarebbe badato alla grande entità della spesa, pur di compiere l'opera in tempo relativamente assai breve.

Il prossimo bilancio della marina non presenterà, nella parte ordinaria, un aumento considerevole perché si rimanderà ali'anno prossimo il pagamento di una rata di 20 milioni, dovuta per costruzioni già eseguite. Ma invece si chiederà alle delegazioni di votare il credito per le costruzioni navali straordinarie (fra cui le quattro dreadnoughts), il quale ascende a 320 milioni da ripartirsi in cinque o sei esercizi.

Anche per quel che concerne le costruzioni navali si manifesta la stessa tendenza a far presto. V.E. sa che il programma navale è già in via di esecuzione, sebbene i crediti non siano ancora votati. Una dreadnoughts è già stata impostata a Trieste ed una a Pola. La terza sarà anche costruita a Trieste nel cantiere dello stabilimento tecnico.

Quanto alla quarta, si era detto dapprima che essa si dovrebbe costruire a Fiume nel cantiere della società Danubius, il quale è ora piuttosto modesto, ma si ingrandirebbe subito all'uopo. Senonché, in seguito, l'amministrazione della marina aveva manifestato l'intenzione di far costruire anche la quarta dreadnoughts in Austria, perché altrimenti si avrebbe avuto un certo ritardo, di guisa che la nave avrebbe potuto difficilmente entrare in squadra prima del 1916. Però il Governo ungherese, spinto più che appoggiato dall'opinione pubblica e dagli interessi industriali locali, non sembra disposto a cedere. Quindi l'ammiraglio Montecuccoli avrebbe dovuto ritornare al primitivo progetto per non compromettere l'approvazione dei crediti navali da parte della delegazione ungherese. Il fatto però ha provocato una viva contrarietà nei circoli militari ed in quelli nazionalisti dell'Austria.

In conclusione: gli armamenti continuano nella Monarchia con un'alacrità che sembra non tener conto alcuno della condizione finanziaria, più che precaria, dei due Stati di essa. Ad ognuno vien fatto di domandarsi per quanto tempo sarà ancora possibile di mandare innanzi le cose su questo piede. lo non intendo affatto insinuare che possa esserci nel Governo Imperiale e Reale l'intenzione precisa di compiere una preparazione militare straordinaria a scadenza fissa per uno scopo determinato. lo inclino anzi a credere che l 'affrettamento dei preparativi militari sia piuttosto un provvedimento di precauzione in vista delle condizioni interne de li 'Impero ottomano di cui nessuno può prevedere alla lunga lo svolgimento.

Ma certo c'è sempre qualche cosa di grave nel fatto che una grande Potenza spinga innanzi i suoi armamenti con uno sforzo che non può essere continuato a lungo.

635 l Questo rapporto fu comunicato ai ministri della guerra e della marina con dispacci riservati del 3 febbraio.

636

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 412/118. Addis Abeba, 31 dicembre 1910 (per. il 27 gennaio 1911).

Dalle informazioni inviate telegraficamente in questi ultimi mesi da questa r. legazione sugli importanti acquisti di armi da fuoco e di munizioni fatti od in corso di essere fatti dal Governo etiopico presso diverse ditte europee, V.E. avrà certamente rilevato come il commercio delle armi da fuoco in Abissinia, che sembrava in una fase decrescente, abbia invece subito un nuovo ed inquietante sviluppo.

Oltre alle piccole partite di armi che vengono continuamente introdotte in Abissinia (munite, secondo quanto afferma l'autorità francese di Gibuti, della regolare richiesta e dichiarazione del Governo etiopico che esse sono a lui destinate, e che sono invece liberamente vendute dai commercianti di Harrar e di Addis Abeba e dai loro agenti nelle province) altre partite di importanza maggiore ed eccezionale vennero in questi ultimi tempi acquistate ed offerte al Governo etiopico.

Già circa due anni fa questo Governo aveva acquistato in Francia, pel tramite di questa legazione francese, che pare ne abbia avuto un discreto beneficio, ventimila fucili Lebel con relative munizioni che vennero regolarmente pagati e consegnati.

Verso la fine del corrente anno il Governo etiopico accolse l'offerta di altri ventimila fucili e di due milioni di cartucce fatta, per il tramite di un commerciante francese qui residente, il signor Savouré, da una casa giapponese che pare abbia acquistato dal suo Governo una grande quantità di armi a scopo di speculaziOne.

I suddetti fucili e le munizioni avrebbero dovuto già essere state consegnate a Gibuti al rappresentante del Governo etiopico, ma all'ultimo momento sorsero delle contestazioni fra il suddetto signor Savouré ed il signor Guignony in merito al diritto di vendita in Abissinia di tali armi, causando così un ritardo nella loro consegna.

Il Governo etiopico ne ha però già in parte pagato l 'importo, fissando a talieri undici e mezzo per ogni fucile posto a Gibuti, ed ha versato a tale scopo a questa Banca di Abissinia la somma di un milione e trecentomila lire in verghe d'oro che vennero spedite alla Banca Commerciale di Parigi.

Il signor Guignony, che ha pur sempre il titolo e le attribuzioni di agente consolare del Governo francese in Harrar, ricevette pure in questi ultimi tempi ventimila fucili con le relative munizioni, tra i quali quindicimila Wetterly dell'esercito italiano che egli acquistò in Germania e che offrì al Governo etiopico non so precisamente a quale prezzo, ma a condizione di poter introdurre in Etiopia e vendere per proprio conto al commercio gli altri cinquemila fucili.

Mi risulta ugualmente in modo sicuro che qualche altro commerciante di qui, esclusi gli italiani, ha fatto in questi ultimi tempi offerta al Governo etiopico di importanti partite di fucili Wetterly del nostro esercito, ed in questi giorni appunto sono venuto a conoscenza che l'incaricato d'affari di Germania, dottor Zechlin, ha offerto con insistenza al Governo etiopico una partita di centomila fucili di antico modello dell'esercito tedesco.

Ho creduto opportuno di richiamare specialmente l'attenzione di VE. sopra il fatto assolutamente nuovo della vendita dei nostri fucili Wetterly in Abissinia, poiché mi sembra che esso oltre alla importanza generica ne riveste una speciale e morale che merita di essere vagliata da codesto R. Governo.

Tra tutti i fucili da guerra introdotti finora in Abissinia il nostro fucile Wetterly è certamente il più apprezzato e desiderato; gli abissini e specialmente i tigrini ne posseggono un numero discreto, ma essi sono ora in gran parte fuori uso ed essenzialmente mancano completamente di munizioni, benché una casa francese, la Societé Française des Munitions, si sia incaricata di procurarle mettendo in commercio in Abissinia un tipo di cartuccia specialmente adatta per fucili Wetterly.

Fino a questi ultimi tempi un nostro fucile Wetterly in discrete condizioni veniva pagato in Abissinia tra i venti ed i venticinque talleri e le cartucce a balistite un tallero ogni cinque; e sebbene tali prezzi siano naturalmente suscettibili di una forte riduzione qualora si verificasse una maggiore importazione di tali armi e di tali munizioni, essi rimarrebbero sempre superiori a quelli di qualunque altra arma da fuoco ora in Abissinia.

Io credo utile far rilevare a VE. l'importanza dei dati su esposti, poiché qualora il Governo italiano lasciando da parte la questione morale, che è oggi questione assolutamente platonica, si decidesse a buttare sul mercato abissino, come già hanno fatto e stanno facendo le altre Potenze, lo stock di armi di antico modello che esso tuttora possiede, ne ricavasse almeno un utile diretto ed integrale.

Io non nascondo che la questione del traffico delle armi in Abissinia ed i pericoli da esso derivanti non sono mai stati considerati né valutati al loro giusto valore e nelle loro conseguenze finali dalle Potenze interessate e che qualcuna fra di esse ha anteposto un interesse meschino ed immediato ad interessi superiori e generali, ma la diffusione delle armi da fuoco ha ormai raggiunto in Abissinia un grado tale che sarebbe non solo vano ma persino ridicolo opporsi ora a tale commercio che non presenterebbe per l'avvenire un pericolo maggiore di quello che già presenta tuttora, qualora esso fosse severamente limitato all'interno dell'Impero e tra le popolazioni che costituiscono ora la vera massa della nazione abissina e che ne formerebbero l'esercito in guerra; ma purtroppo da questa pletora di armi da fuoco e dalla avidità dei commercianti europei e degli stessi capi e commercianti abissini, deriva un pericolo ben maggiore per l'Abissinia stessa e per le colonie che la circondano, che è costituito dal continuo e progressivo armamento delle popolazioni ancora barbare ed indipendenti che formano quasi un anello intorno all'Impero etiopico e rappresentano una barriera ed una doppia minaccia per la sicurezza e per l'espansione civile ed economica tanto del!'Abissinia che delle limitrofe colonie europee.

A prevenire ed a reprimere tale minaccia dovrebbe tendere oggi l'azione concorde disinteressata ed energica d eli'Abissinia e delle colonie interessate nella questione del commercio delle armi, e non basterà certo la platonica nostra astensione dal parteciparvi ad eliminare i pericoli che minacciano specialmente la nostra colonia del Benadir.

637

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE URGENTE l. Roma, 1° gennaio 1911, ore 20,15.

Suo telegramma n. 6441. Bisogna assolutamente sopprimere o modificare preambolo, e, in ogni caso, sopprimere parola «cattura» che, in caso pubblicazione, farebbe in Italia pessima impressione e che fortunatamente non risponde al vero; e sostituire alle parole «impossibilità di formarsi convinzione comune» presso a poco la formola seguente: «constatata la necessità di giungere a conclusioni identiche sopra alcuni fatti e circostanze relative alla controversia concernente il sambuco «Genova». Ripeto però che sarebbe molto preferibile sopprimere addirittura preambolo ed incominciare: «il r. ambasciatore ecc. ed il ministro affari esteri ecc. per una definitiva soluzione dell'incidente relativo al sambuco «Genova» hanno convenuto che la questione di sapere ecc.».

Dopo le parole «commissione mista che farà sui luoghi inchiesta necessaria» aggiungere «e che si recherà ovunque sia creduto opportuno». Quando si cita il regolamento doganale del 1863 aggiungere «accettato a tutte le missioni estere». Sostituire alle parole «qui serait dù à la saise» le seguenti: «cagionato al proprietario del sambuco e della merce» ed aggiungere che l'eventuale indennità sarà determinata dai commissari essendo desiderabile evitare di riaprire trattative dirette tra i due Governi.

Sopprimere le parole «actuellement détenu Hodeida» e in ogni caso, sopprimere per lo meno la parola «détenm> che farebbe cattiva impressione. Sostituire alle parole «à la date de la saisie» le parole «alla data dell'arrivo del sambuco a Hodeida».

Per dare minore solennità al protocollo e minore importanza ali' incidente parmi preferibile dire che arbitro anziché dal Governo inglese sarà nominato da ambasciatore britannico a Costantinopoli e che invece di dargli il titolo di arbitro sia sul protocollo designato come «terzo commissario con voto dirimente».

Prego V.E. firmare protocollo subito telegrafandomene intero testo definitivo firmato.

638

IL MINISTRO A TANGERI, NERAZZINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 15/1. Tangeri, 3 gennaio 1911, ore 2,30 (per. ore 18,40).

Comandante navale francese ebbe jersera ordini immediati partire con un incrociatore per Orano, imbarcarvi generale comandante della Divisione Militare

ed insieme recarsi a Melilla per assistere arrivo di S.M. il Re di Spagna. Alfonso XIII0 visiterà le zone conquistate nella guerra del Riff controllando di persona la conquista. La presenza della nave da guerra francese oltrepassa, quindi, i limiti di una consueta cortesia internazionale, acquistando, invece, il carattere di compiacenza per la conquista spagnuola, compiacenza basata sulla reciprocità ed utile ai due Governi, allo scopo finale di esser concordi per gli smembramenti passati e futuri a danno dell'Impero marocchino, smembramenti legalizzati per ora con la formala di temporanea occupazione militare a garanzia di prestito e di indennità di guerra, ma che, in sostanza, rendono illusoria quella tale integrità de li'Impero consacrata n eli'Atto generale della Conferenza d'Algeciras, atto il cui valore politico lentamente si estingue. I miei colleghi di Austria-Ungheria e di Germania, ma specialmente il primo, allo scopo di obbligare sempre più il Governo alleato, si lusingano poter risvegliare attenzione loro Governi e poter parare ancora gli eventi: ma questa azione più oculata delle Potenze firmatarie del Trattato di Algeciras, se era possibile qualche anno prima, quando tali eventi facilmente si prevedevano, mi sembra difficile oggi; per cui non è possibile fare altro che assistere come spettatori a radicali cambiamenti nella geografia politica del Marocco.

637 l Cfr. n. 633.

639

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 16/4. Pera, 3 gennaio 1911, ore 5,30 (per. ore 20,40).

Seguito al telegramma n. 3', spedito d'urgenza perché notizia potesse ancora essere oggi pubblicata. Consiglieri legisti Ministero affari esteri propongono qualche aggiunta nostro progetto protocollo:

l) poiché si consente la immediata liberazione sambuco appena operata valutazione carico, dobbiamo impegnarci che sambuco, per la constatazione affermata avaria, e suoi capitano ed equipaggio, per necessari interrogatori, ritornino Hodeida alla prima richiesta commissari inquirenti. Ciò è a favor nostro ed ho consentito.

2) Non avendosi presa su proprietario sambuco, Governo del re si impegni, qualora questi sia condannato, procurarsi da lui pagamento multa. Essendo cavalier El-Gul persona facoltosa e dabbene, ho consentito.

3) La commissione inquirente dovrebbe, secondo detti consiglieri legisti, pronunciarsi sul punto giuridico che il console non aveva il diritto di arrestare un procedimento che era conforme al regolamento doganale consentito dalle Potenze, che, se si fosse lasciato proseguire, veniva a finire in ultima istanza dinanzi al Tribunale commerciale di Costantinopoli, nel quale la presenza di due giudici italiani ci avrebbe data ogni garanzia. Ho osservato che su quel punto i due Governi potevano mettersi direttamente d'accordo senza includerlo nel protocollo.

639 1 T. 14/3, pari data, non pubblicato, col quale Mayor informava che il protocollo sarebbe stato firmato il giorno seguente.

640

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO S.N. Londra, 3 gennaio 1911.

Nel colloquio odierno con sir A. Nicolson, essendosi, a proposito delle notizie sulla salute dell'imperatore, venuti a parlare dell'Austria-Ungheria, ho chiesto a S.E. che cosa a lui risultava sulla maggiore o minore attendibilità delle notizie circolanti nei giornali di tutta l'Europa, e diffusamente commentate di recente nel Temps sulla scossa e vacillante posizione del conte d'Aehrenthal.

Ha risposto sir Arthur che per quanto era a lui noto, quelle notizie hanno un certo fondamento. Il conte d'Aehrenthal si troverebbe di fatti «dans de mauvais draps». Egli è all'interno aspramente combattuto dall'elemento slavo, che gliene vuole amorte per i fatti che hanno dato luogo ai processi Friedjung, Vasich ecc. Ha poi -(cosa che io ignoravo)-perduto interamente il favore dell'arciduca ereditario, sia per un certo rimprovero che, grazie appunto all'intervento del conte Aehrenthal, Sua Altezza Imperiale e Reale ricevette dall'imperatore, dopo un imprudente discorso pronunziato l'anno scorso durante la visita fatta al re di Rumania, sia per avere S.E., nella qualità di ministro della Casa imperiale, espresso un avviso non favorevole, in merito ad alcune aspirazioni della duchessa di Hohenberg.

Ali'estero, il conte Aehrenthal è oggetto della invincibile animadversione della Russia che, desiderandone ardentemente la caduta, a titolo di corrispettivo del ritiro più o meno volontario del signor lzwolskij, difficilmente si deciderà, finché l 'attuale ministro rimarrà a capo della politica austro-ungarica, ad un serio e duraturo riavvicinamento alla duale Monarchia.

Come se tutto ciò non bastasse, il conte d' Aehrenthal ha avuto la disgrazia di diventare persona poco gradita anche al Gabinetto di Berlino. Il quale gli rimprovera di voler seguire una politica troppo libera, troppo indipendente, di voler esercitare una parte troppo predominante nella Triplice Alleanza, a discapito di quella che la Germania intende riservarsi. Inoltre a Berlino si trova che l'AustriaUngheria non ha mostrato abbastanza riconoscenza per la preziosa assistenza ricevuta dalla Germania nella pericolosa crisi del 1908.

Di questa «leggerezza di memoria» si vuole vedere una prova manifesta nella freddezza (e se ne fa risalire la responsabilità precipua al ministro degli affari esteri) con la quale la grande maggioranza del pubblico, in Austria ed in Ungheria, accolse il famoso discorso pronunziato al Rathaus dall'imperatore Guglielmo, con la relativa allusione alla «luccicante armatura» che fa il paio col «brillante secondo» di marocchina memoria.

Malgrado tutte queste difficoltà interne ed esterne, sir Arthur non ritiene probabile una prossima caduta del conte Aehrenthal, sembrandogli poco verosimile che, salvo sempre il caso di imperiosa ed impreveduta necessità, il vecchio imperatore pensi a privarsi dei servigi di lui.

Purtroppo però l'età avanzata e le condizioni alquanto precarie della salute di Sua Maestà Apostolica non possono però permettere all'attuale ministro degli affari esteri di contare oramai su di un'ulteriore lunga permanenza al potere. E il ritiro dell'eminente uomo di Stato non appare nullamente desiderabile a sir Arthur, il quale mi diceva non potersi da nessuno contestare i valevoli servigi che egli ha reso al suo Paese, né l'azione efficace spesa in momenti critici a favore del mantenimento della pace europea.

Pur essendo sicuro che i particolari fin qui esposti sono già noti a V.E., non ho creduto meno di riferirli, nel solo intento di tenerla al corrente di quanto, al riguardo, si sa e si pensa qui.

641

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE URGENTISSIMO 12. Roma, 4 gennaio 1911, ore 15.

Hodeida. Mi sorprende il suo telegramma n. 41• La bozza di protocollo comunicatami col suo telegramma n. 6442 e da me approvata con alcune modificazioni col mio telegramma n. 13 limita espressamente il mandato della commissione mista all'esame della questione se vi sia stato o no tentativo di contrabbando. Il contrabbando può commettersi o non commettersi con o senza avaria che non vi è necessariamente collegata. L'avaria fu attestata dal comandante dell' «Aretusa» e noi non possiamo ammettere che l 'affermazione di un nostro ufficiale di marina sia posta in dubbio in un protocollo firmato dal rappresentante d'Italia. Ho telegrafato a Sola che sambuco suo comandante ed equipaggio debbono impegnarsi a tenersi pronti eventuali interrogatorii dove i commissari stimeranno

2 Cfr. n. 633.

3 Cfr. n. 637.

opportuno. Ciò sarebbe sufficiente e non era il caso di inserire questo impegno nel protocollo, ma poiché V.E. vi ha consentito capisco che ormai la cosa è forse irreparabile. Non vi ha dubbio che se El-Gul sarà condannato dovrà pagare ma non è opportuno mettere nel protocollo l'espresso impegno del Governo.

Quanto al terzo punto cioé che il mandato commissione ai estenda all'esame della condotta del console rifiuto recisamente e declino anticipatamente qualsiasi discussione in proposito4.

641 l Cfr. n. 639.

642

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, TOMMASINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3117. Vienna, 4 gennaio 1911, ore 18 (per. ore 21).

Aehrenthal mi ha detto che spera che presto si dissiperà completamente incertezza prodotta dal convegno di Potsdam, la quale viene da lui attribuita specialmente al fatto che riavvicinamento russo-tedesco è venuto un po' inatteso. Aehrenthal ritiene che, superata la prima impressione tale riavvicinamento avrà un effetto rassicurante sulle condizioni generali dell'Europa.

Aehrenthal considera riavvicinamento come conseguenza naturale della morte del re Edoardo VUO e del ritiro di Izwolskij. Crede che Sazonoff abbia tutte le qualità volute per dare alla politica russa una direzione calma e sicura conforme agli interessi del suo Paese.

Per quello che concerne Austria-Ungheria ed Italia, Aehrenthal ritiene che esse debbano compiacersi del riavvicinamento russo-tedesco nell'interesse della pace. Però non trova giustificato che si parli di un riavvicinamento austro-russo come conseguenza di quello russo-tedesco. Relazioni tra Austria-Ungheria e Russia, già normali della primavera scorsa, sono divenute buone dopo il ritiro di Izwolskij. Siccome la politica generale della Russia ha già gli stessi obiettivi di quella della Monarchia, non rimane altro da fare.

Similmente Aehrenthal crede che le apprensioni suscitate in Francia dal convegno di Potsdam siano infondate, poiché riavvicinamento russo-tedesco non infirma alleanza franco-russa, la quale è essenzialmente difensiva e perché la politica estera francese ha di per se stessa tendenze pacifiche.

Aehrenthal comprende invece che a Londra si possa essere contrariati dal riavvicinamento, specialmente perché la Russia si è accordata colla Germania circa gli affari di [Persia ]l all'infuori dell'Inghilterra, con cui fino ad ora aveva agito di conserva.

642 I Integrazione del decifratore.

641 4 Per la risposta cfr. n. 643.

643

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 36/9. Pera, 5 gennaio 1911, ore 17,45 (per. ore 17)1

Telegramma di V.E. n. 122. L'abbozzo di protocollo, di cui telegramma n. 6443, era quello dell'ambasciata a cui Governo ottomano ha poi contrapposto il suo. Ho fatto su ogni [punto] le opportune riserve e nulla è irreparabile. Posso benissimo non consentire alla constatazione dell'avaria. Osservo, però, che l'«Are tusa» non era stata mandata dal Governo, che il comandante non aveva incarico ufficiale e che, in ogni modo, la sua constatazione è uno dei parecchi atti di un'inchiesta condotta unilateralmente, cioé senza alcun valore probante per altri che per noi. Non consentirò che impegni relativi ali 'ulteriore interrogatorio capitano ed equipaggio siano inseriti nel protocollo, ma, siccome quest'interrogatorio non può essere se non a discarico del!'accusa di contrabbando, l'inserzione non sembrava dovere sollevare obiezioni. Circa terzo punto, mi conformerò istruzioni impartitemi. Avverto poi che Governo ottomano attuale pretende essere trattato come lo sarebbe Governo di qualunque altra Grande Potenza e che, se vogliamo usargli i metodi che praticavansi con l'antico regime, incontreremo le di lui resistenze non avremo con noi consenzienti nessuno dei Governi veri amici nostri, mentre se ne compiaceranno i nostri rivali4.

644

IL CONSOLE A BENGASI, BERNABEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 14/6. Bengasi, 5 gennaio 1911 (per. il 21).

In merito alla comunicazione del r. ambasciatore a Costantinopoli, di cui è cenno nel riverito dispaccio del 15 dicembre n. 5, n. 376 (Segretariato generale)!, ho l'onore di partecipare all'E.V. che, da indagine fatta, mi risulta che il ministro imperiale dei lavori pubblici ha inviato, finora, una sola missione in Tripolitania ed è quella dell'ingegnere Wahby bey per avviare studi in vista della costruzione dei porti di Bengasi e di Tripoli.

2 Cfr. n. 641.

3 Cfr. 633.

4 Per il seguito cfr. n. 645.

Al riguardo si riferivano i miei rapporti dei 29 ottobre e 13 dicembre ultimi scorsi nn. 333 e 362 l.

Quanto alla seconda missione che sarà mandata in Tripolitania sotto la presidenza di Mustafa bey, aggiunto al ministero suddetto, par fare studi e tracciati di una ferrovia destinata a collegare la Tripolitania con le ferrovie egiziane e tunisine, essa non è ancora partita da Costantinopoli, né queste autorità hanno ricevuto, fino ad oggi, alcun avviso in proposito.

Non v'ha dubbio che la costruzione di tale linea è della massima importanza per la Turchia perché oltre ai vantaggi economici e strategici derivanti dal raccordamento delle ferrovie di Bagdad ed Aleppo alle ferrovie egiziane si otterrebbe il raggruppamento degli arabi nomadi che popolano le regioni inesplorate dell'Arische e della Tripolitania assoggettandole viemeglio alla dominazione ottomana.

È, certamente, riflettendo a quest'ordine di idee ed alla possibilità di gradimento da parte del Governo ottomano di qualche progetto di concessione tendente alla loro realizzazione, che il deputato di Bengasi, onorevole Scetuan bey, mi faceva, nello autunno scorso, l'offerta della sua cooperazione per ottenere la concessione della linea ferroviaria da Solum a Bengasi unitamente a quella del porto di Derna, purché il Banco di Roma, o qualsiasi altro istituto finanziario italiano, volesse entrare in trattative con lui per gettare le basi di un accordo atto a garantire la riuscita dell'impresa.

A questo proposito si riferiva, da ultimo il mio rapporto del 13 ottobre decorso n. 3072. Uguale rapporto trasmetto alla r. ambasciata a Costantinopoli.

643 l Così nel registro.

644 l Non rinvenuto.

645

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 56. Pera, 7 gennaio 1911, ore 20,40 (per. ore 21,30).

Telegramma n. 24 l. Ministero degli affari esteri pregami di far osservare a V.E. quante modificazioni sono state introdotte per compiacerci nel suo progetto primitivo protocollo. Se egli ognora insiste per la parola «arbitro», invece di «terzo commissario», si è perché è la parola propria e più ancora perché giornali italiani hanno detto non venirsi ad arbitrati colla Turchia. Contro cotale umiliante affermazione egli deve reagire e lo si accuserebbe di non averlo fatto. Russia e Turchia hanno testé ricorso all'arbitrato dell'Aja per la

questione dell'indennità di guerra. Egli ha riconosciuto con noi che la questione del sambuco non merita così alto e costoso arbitrato, ma l'arbitrato si ammette anche per questioni minime e un arbitrato ha risolto ultimamente una questione tra Francia e Inghilterra sorta per un semplice marinaio. Quanto alla avaria, Governo ottomano ignora la perizia fatta da altri; non pensa quindi neppure lontanamente contestare conclusione. Sa soltanto che l'avaria fu invocata come ragione dell'aver il «Genova» rilasciato dinanzi a Midì. Considera di grande importanza, perché il suo commissario non sia in condizioni di assoluta ignoranza, cioè di inferiorità, che si accerti per parte di lui, prima che il sambuco s'allontani, se non l'avaria, che sarà certamente stata riparata, almeno il luogo dove essa fu constatata. Di ciò, d'altronde, non sarà parola nel protocollo. Soltanto, nelle note verbali scambiate per la anticipata liberazione del sambuco, si dirà genericamente che, prima di !asciarlo partire, si è proceduto di concerto e con assistenza del console generale ad una perizia dello stesso. Nessuno, afferma Rifaat, può ritenere che una condizione così espressa sia eccessiva ed offensiva2.

644 2 R. 952/307, non pubblicato.

645 l T. del 5 gennaio, non pubblicato, col quale di San Giuliano chiedeva di sostituire la parola «arbitro» con quella di «terzo commissario con voto dirimente».

646

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 26/8. Tripoli di Barberia, 7 gennaio 1911 (per. il 16).

Persona ben informata, ed al caso di servire presso queste autorità locali di portavoce e di intermediario, mi diceva in confidenza di essere stata indirettamente pregata da questo console di Germania di interporre qualche buona parola a favore della missione scientifica austriaca, il cui viaggio all'interno sarebbe di somma utilità alle vedute ed alle aspirazioni della Turchia sull'hinterland perduto della Tripolitania, tanto per l'esplorazione del Ti besti, quanto per quella delle altre regioni a nord del lago Tsciad. Nella foga del discorso e per volere troppo provare il dottor Tilger si lasciava sfuggire considerazioni di alto interesse politico sull'avvenire di quelle regioni circondanti quel lago e non celava che il collegamento del Camerun, a traverso quelle zone con il Mediterraneo sul litorale della Tripolitania formava uno dei sogni de li'espansione futura coloniale germanica in appoggio e d'accordo con la Turchia.

Questo accenno significativo mi rammenta quanto scrivevo orsono due o tre anni, e che del resto è per tutti evidente, a proposito del futuro ma necessario

collegamento di quel centro africano (Lago Tsciad e sue regioni) col Mediterraneo a traverso la Tripolitania, dicendo di tutto l'interesse che vi avrebbe la Germania e della possibilità o necessità di un accordo con noi su quel terreno. Il tema, con le sue probabilità deli' avvenire, sarà stato più di una volta studiato e considerato, da personalità più competenti, né tocca qui a me di riesaminarlo; mi basti l'aver riportato le velleità di un abile ed attivo agente germanico in Tripolitania.

In quanto poi alla missione austriaca anche a me non spiacerebbe di conoscere come la giudichi l'E.V. per sapere, datane l'occasione, come regolarmi verso la medesima ed i suoi effetti.

645 2 Per la risposta cfr. n. 647.

647

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 52. Roma, 8 gennaio 1911, ore 0,55.

Suo telegramma del giorno 71. Questione constatazione avaria parmi risoluta sostanzialmente in modo accettabile, restando a V.E. il compito di curarne la forma in maniera da escludere in modo assoluto qualsiasi impressione non conforme al prestigio del comandante «Aretusa».

Quanto alla parola «arbitro», codesto Governo non è stato esattamente informato sulle ragioni per cui la stampa e l'opinione pubblica italiana sono unanimi nel respingerla. Non è già per non voler considerare la Turchia degna di un arbitrato che tale parola qui non si vuole, ma per non dare all'incidente ed ai poteri dei commissari una portata eccessiva e soprattutto perché si è sparsa la credenza che la Turchia voglia imporci questa parola per puntiglio e per avere un trionfo su di noi. V.E. crede che, in tali condizioni, non è possibile accettare nel Paese un effetto gravissimo o potrebbe costituire, più che costì non si creda, un durevole ostacolo ai buoni rapporti fra i due Paesi. «Arbitro» non è del resto, la parola propria, trattandosi non di decidere una questione di diritto o di principi o di massima, ma soltanto una questione di puro fatto, cioè se vi sia o no contrabbando. Ad ogni modo, per togliere l'impressione cui accennava Rifaat, io non ho alcuna difficoltà a dichiarare a tempo opportuno pubblicamente che l 'Italia è disposta ad accettare arbitrato colla Turchia in casi analoghi a quelli nei quali altre Potenze vi hanno consentito colla Turchia stessa2.

2 Per il seguito cfr. n. 653.

647 l Cfr. n. 645.

648

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE PERSONALE S.N. Cettigne, 8 gennaio 1911 (per. il 22).

Con riferimento al rapporto che ho avuto l'onore di indirizzarle in data del 24 novembre u.s. (n. 742/223)1, strettamente confidenziale, sono in grado d'informare l'E.V. che la lettera, di cui era cenno in quel rapporto fu messa sotto gli occhi dello tzar da persona di famiglia, per incarico del re Nicola, il giorno 19 dicembre u.s., nel Palazzo d'inverno a Pietroburgo.

Dopo aver preso conoscenza del documento, S. M. l'Imperatore si mostrò indignata del procedere e del linguaggio del suo ministro a Cettigne, e chiese se fosse il caso di ordinarne il richiamo, ma fu risposto che un siffatto provvedimento non era necessario, né opportuno, né prudente, né desiderato.

L'imperatore allora ebbe parole molto benevole e lusinghiere per il re di Montenegro, riconoscendone i meriti incontestabili ed insignì, la lealtà, la fedeltà e l'affezione costante alla Russia. A prova dei suoi sentimenti Sua Maestà dispose che i sussidi al Montenegro siano aumentati, in conformità dei suoi cresciuti bisogni, fatti ultimamente presenti dagli organi autorizzati di esso, e posti a fondamento del richiesto aumento.

Così la totalità di questi sussidi che saranno d'ora in avanti corrisposti dalla Russia al Montenegro, sotto titoli differenti, raggiungerà la cifra approssimativa di due milioni di corone all'anno.

Mi consta inoltre, che il Governo russo ha promesso l'invio in Montenegro di nuovo ed abbondante materiale da guerra nel corso di quest'anno.

649

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE ] 05/3. Addis Abeba, 10 gennaio 1911 (per. ore 13,15 del 12)1.

Delegati etiopici per delimitazione frontiera Benadir sono partiti oggi per raggiungere missione italiana dopo di aver ricevuto, in presenza mia, ordini identici a quelli da me impartiti a Citerni e che comunico per lettera a VE. Confido

6491 Il telegramma fu trasmesso da Asmara l'Il gennaio, ore 9,45.

che missione potrà compiersi senza inconvenienti. Governo etiopico mi ha vivamente interessato pregare codesto Governo provvedere per trovare a Lugh sufficiente quantità granaglie anche per scorta missione etiopica, ciò che eliminerebbe in parte requisizioni bestiame ed incidenti relativi. Questo stesso telegramma viene trasmesso anche al Governo del Benadir.

648 l Cfr. n. 587.

650

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 112/30. Costantinopoli, 10 gennaio 1911 (per il 24).

Trovandosi qui il dottor Zaccaria per l'esame di abilitazione all'esercizio della medicina, l'ho interrogato sullo sviluppo del commercio tedesco e dell'influenza tedesca in Tripoli, ove risiede da nove anni.

Egli mi ha confermato che il commercio germanico va crescendo notevolmente a scapito del nostro; e così cresce pure l 'influenza germanica, mercé anche l'azione che va spiegando il console, medico praticante, il quale, con la pratica dell'arte sua, si è insinuato in famiglie eminenti, cominciando da quella del valì.

Il commercio germanico è in aumento specialmente perché i negozianti tedeschi danno le merci a miglior prezzo che i nostri. E lo possono perché i noli della Germania sono inferiori ai noli dell'Italia. La merce che giunge da Amburgo paga meno di trasporto che non quella che viene dalla vicina Sicilia. Per dodici sedie inviate da Amburgo il dottor Zaccaria pagò, personalmente, di nolo, nella proporzione di nove; per altrettante venute da Catania, nella proporzione di sedici. La revisione dei noli della nostra navigazione s'impone ed urge.

Ho citato, in altro rapporto, il fatto occorso in Costantinopoli al cavalier Nogara, che volle concorrere ad una fornitura governativa, e, sulle basi del prezzo del prodotto italiano e dei noli dell'Italia fece una offerta. Fu battuto da un competitore tedesco. Ricercatene le ragioni, constatò che questi pagava, poniamo, sedici o diciotto franchi di nolo per tonnellata da Amburgo o da Brema a Costantinopoli, egli, da Genova, ventotto.

Il commercio italiano a Tripoli reclama ancora un'altra riforma, e, cioè, l 'introduzione dei pacchi postali da dieci chilogrammi. Li ha il commercio francese; se ne avvantaggia a scapito del nostro, che reclama, a sua volta, la stessa facilitazione. L'ispettore commendator Angelini quando, la scorsa estate, visitò il nostro Ufficio Postale di Tripoli, fu vivamente interessato in quel senso, e sembra aver dato buone assicurazioni; che però non ebbero sinora alcun principio di effetto.

651

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 101/6. Parigi, Il gennaio 1911, ore 19 (per. ore 21,55).

Domani commc1a Camera discussione bilancio esteri. Pichon non interverrà nella discussione se non dopo che avranno parlato Deschanel, Étienne e Denys Cochin. Mi ha detto che non parlerà più di tre quarti d'ora, e si associerà a quanto V.E. ha detto alla Camera italiana circa i rapporti tra Francia ed Italia. Come esempio dell'identità di vedute che, senza preventiva intesa, si manifesta in tutte le questioni fra i due Governi, citerà questione cretese nella quale, fin dall'inizio, essi furono sempre d'accordo ed accennerà all'unione dei capitalisti italiani e francesi neJJe imprese economiche balcaniche.

652

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 60/24. Berlino, 11 gennaio 1911 (per. il 15).

Nel dispaccio di V.E. che segnalava lo sviluppo delle imprese commerciali tedesche nell'Impero ottomano avevo osservato l'allusione fatta aJJa concorrenza della Deutsche Bank nell'affare del tram suburbano a Costantinopoli cui aspirava la nostra Banca Commerciale. In una conversazione avuta ieri sera col direttore della Orient Bank, essendo caduto il discorso suJJa sua attività in Turchia, egli rilevava che anche la Dresdner Bank si trova con altri concorrenti in opposizione alla Deutsche Bank per la concessione di quella linea suburbana. Il signor Gutmann aggiungeva in tesi generale che il suo istituto avrebbe ora in vista parecchi altri progetti per simili imprese in Turchia (anticipazioni sui vakouf5, concessioni di miniere di manganese al monte Sinai, imprestito all'amministrazione ottomana della Marina per esercizio governativo della Mahsoussié ecc.) ma che lo stato di confusione ora più che mai regnante nelle sfere governative di Costantinopoli, rendeva oltremodo difficile qualsiasi conclusione. È da notarsi che tra i progetti citati non se ne trova alcuno che riguardi la costruzione di ferrovie. Interrogato accademicamente al riguardo, il signor Gutmann disse infatti non essere a sua notizia che di alcuna di queste si trattasse seriamente per il momento. E ciò rilevò, notando che le notizie in diverse occasioni segnalate dal r. ministero circa aggiudicazioni di nuove linee, come quella in i specie Monastir-Valona, non sembrano aver avuto seguito, nè almeno se ne ha contezza nei circoli finanziari di Berlino.

Nello stesso ordine di idee, il signor Gutmann, parlava pure degli affari in progetto per la Persia, citando tra altro quello di una succursale bancaria tedesca da crearsi a Tabriz. Il Governo imperiale, egli diceva, che fino a qualche tempo fa si era mostrato favorevole a simili tentativi, sembrava ora considerarli con una certa freddezza -ciò probabilmente per effetto di recenti accordi politici con la Russia. Prima quindi di impegnarsi più oltre, quel direttore si proponeva di accertare presso il Dipartimento imperiale degli esteri se e fino a qual punto i suoi disegni verrebbero da esso sostenuti. Se ciò dimostra come la influenza governativa possa qui esercitarsi nelle questioni interessanti la penetrazione economica della Germania nei Paesi di Oriente, è lecito rilevare, in connessione ali' argomento del mio ultimo rapporto sugli affari di Tripolitania, che l'assenza di ogni simile impresa tedesca in quella regione implica una sufficiente conferma d eli'attitudine di astensione che questo Governo intende osservare colà a nostro riguardo. Ciò beninteso si riferisce ad affari della importanza di quelli che sogliono essere iniziati da istituti come la Deutsche, Dresdner Bank con i quali il Governo trova interesse a mantenersi in relazione.

653

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE l 09/21. Pera, 12 gennaio 1911. ore ... (per. ore 18,35).

Telegramma n. 841. È avvenuto lo scambio di note verbali, in base al quale avrà luogo il rilascio sambuco. Ciò si può annunziare, come pure che telegrammi identici sono stati inviati al console generale ed al facente funzioni di mutessarif, perché, compiute di concerto alcune formalità, il sambuco sia senza più lasciato libero. Liberazione è, dunque, imminente, se non già compiuta. Ciò dovrebbe dare respiro per il protocollo, pronto da parte mia da tempo, ma al quale consiglieri legisti della Sublime Porta continuamente aggiungono e modificano. Ho veduto Rifaat ieri ed [ oggi]2. Gli ho rimproverato questo armeggio che non stancherà la mia pazienza, ma può stancare quella del mio Governo.

653 I T. dell'Il gennaio, non pubblicato, col quale di San Giuliano sollecitava la firma del protocollo per le negative ripercussioni che ogni ritardo poteva avere sull'opinione pubblica. 2 Integrazione del decifratore.

654

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 125/5. Berlino, 13 gennaio 1911, ore 14,30 (per. ore 16,20).

Telegramma di V.E. n. 82'. Da questo Dipartimento degli affari esteri non si attribuisce importanza alla attuale polemica di stampa circa il convegno di Potsdam, ritenuto effetto di qualche postuma indiscrezione commessa a Pietroburgo.

Nulla vi è da aggiungere a quanto ho a suo tempo riferito in proposito, salvo che i negoziati per l 'eventuale congiunzione della ferrovia di Bagdad alle future linee russe in Persia furono ripresi e continuano tuttora a Pietroburgo sulla base delle favorevoli promesse qui fatte da Sazonoff. Non ho finora potuto vedere Kiderlen-Waechter, rimasto assente in questi giorni da Berlino, ma il sotto-segretario di Stato per gli affari esteri mi disse confidare che quei negoziati, momentaneamente ritardati dalle feste natalizie, condurranno tra breve ad un soddisfacente risultato. Quanto alla sostanza dell'atteso accordo, egli aggiunse che il preteso testo pubblicato dall'Evening Times è una fabbricazione congetturale sulla base di dati generalmente noti, ammettendo, però, implicitamente, che esse non vanno lontano dal vero.

Quanto ai probabili effetti di questo accordo sulla questione di Bagdad tra la Germania e l'Inghilterra, può considerarsi che l'eliminazione delle difficoltà colla Russia, sulle quali si faceva probabilmente calcolo a Londra, potranno, più che altro, contribuire ad agevolare una transazione, riducendo le pretese inglesi. Riguardo al tronco verso il Golfo Persico, la posizione ora presa da questo Governo è che esso non avrebbe per proprio conto difficoltà ad ammettervi una preponderanza dell'Inghilterra, ma che ciò dipende dalle decisioni della Turchia. Questo significa che si fa assegnamento sulla resistenza della Sublime Porta, resa ora molto diffidente dall'azione inglese a Bassorah. Zimmermann concluse tuttavia col dirmi che riteneva si finirebbe coll'intendersi anche coll'Inghilterra.

655

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE l 0 l. Roma, 13 gennaio 1911, ore 21,35.

Politica Governo italiano verso Turchia è appunto quella politica amichevole cui V.E. accenna nel suo telegramma n. 25'. Non possiamo però non tener conto

655 l T. 125/25 del 13 gennaio, non pubblicato.

delle condizioni della nostra opinione pubblica e delle sue cause. Perciò sarebbe desiderabile che incidente sambuco «Selima» venisse risoluto in modo equo e dignitoso prima che lo ingigantisca la nostra stampa alla cui attenzione esso è finora fortunatamente sfuggito, ma è temibile che presto trapeli.

654 l T. 82 dell'Il gennaio, non pubblicato.

656

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 137/29. Costantinopoli, 14 gennaio 1911, ore 18,20 (per. ore 18,20) 1.

Tripolitania. È in trattativa un accordo con la Francia per la delimitazione della Tripolitania e dei possedimenti francesi del Centro Africa. Le operazioni avrebbero principio novembre, Governo ottomano prevede gravi difficoltà in conseguenza delle ambizioni territoriali dei coloni francesi che protendono al possesso, non solo di regioni indebitamente occupate, ma anche di altre non occupate ancora.

657

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RITARDATO' 261/72. Costantinopoli, 14 gennaio 1911 (per. il 31).

Ho riferito, in precedenti rapporti, in base a cose dettemi dal dottor Zaccaria, intorno allo sviluppo che va prendendo il commercio tedesco in Tripoli, accennando a qualche mezzo di lottare contro quel progresso, che va a danno del commercio italiano.

Il rapporto del r. console generale commendatore Pestalozza sul dottore Tilger (14 dicembre, n. 1434/561/2)2 parla dell'atteggiamento che potrebbe prendere la Germania nel vilayet di Tripoli.

657 l Indicazione apposta dal mittente. 2 Non rinvenuto.

L'attività tedesca può, infatti, riservarci colà la sorte che fa subire agli inglesi della Mesopotamia. A Bagdad, gli inglesi erano, sino a poco fa, con tre forti case commerciali, padroni quasi assoluti della piazza. Da più di sessanta anni, la Ditta Lynch assicurava la navigazione dell'Eufrate con due o tre battelli che facevano, sotto bandiera britannica, il viaggio a e da Bassorah. Con una missione, una scuola, un ospedale ed un dispensario, l'Irak-Arabi era diventato come una colonia inglese, in cui un piccolo gruppo di sudditi britannici, commercianti banchieri marinai e missionari, sostenuti da una certa quantità di indigeni acquisiti alla loro coltura, esercitavano una vasta regione officiosamente sottomessa al controllo anglo-indiano. Il console generale d'Inghilterra a Bagdad ha una posizione speciale, porta il titolo di residente, occupa una magnifica residenza guardata sul fiume da uno stazionario, a terra da una guarnigione di trentasei cipayes, ecc.

Senonché il monopolio britannico da un ventennio è gravemente intaccato. Contro di esso sono entrati in lotta, come contro di noi in Tripolitania, elementi di vario ordine. Nel 1892, la Banca Imperiale di Persia, istituto inglese, ha passato le sue succursali di Mesopotamia alla Banca Ottomana, la Lista civile ha riorganizzato il servizio di navigazione turco, in concorrenza coi battelli Lynch. Il console generale di Russia si è dato a rivaleggiare in magnificenza coll'inglese. In quanto alla Germania, essa che non aveva colà interessi di sorta, ha creato a Bagdad un consolato che, come quello di Tripoli è ora affidato al dottor Tilger, che non è di carriera, fu dato, nel 1890, ad un giovine scienziato orientalista, fissatosi colà per ragioni di studio e ben provvisto di mezzi. Da quel tempo ha cominciato la invasione tedesca. Si è fondata una grande casa di commercio (Berk Puttmann); missioni archeologiche si son date a studiare le rovine di Babilonia, a fare scavi a Kalat ed a Cherkat. Viaggiatori tedeschi hanno illustrato la Mesopotamia (Oppenheim, Von Mittelmeer zum Persischen Golf etc.); il singor Hemrich, console generale di Germania a Costantinopoli, vi si è recato in missione ufficiale. La linea Bagdad, della Società Ottomana delle ferrovie di Anatolia, non potrà se non giovare alla crescente influenza tedesca. Non altrimenti a Bassorah, ove la casa Robert Wenekhaus si è fortemente impiantata, come a Bahrein, Buchir, Lingah, Bender-Abbas; ove, dal 1906, la Compagnia Hamburg-Amerika fa un servizio mensile di navigazione, il cui effetto fu di ridurre i noli per Londra da 34 a 15 scellini, per Marsiglia da 42 a 15 ed anche meno. Un viaggiatore scriveva qualche anno fa, dubitando ancora dei successi dei tedeschi nell'Iran: «Pour faciliter sa pénétration, il eùt fallu au germanisme le concours certain dell'lslam». Ora colla politica personale dell'imperatore, dichiarato e proclamato il migliore amico dei musulmani, questo concorso il germanismo lo possiede. Lo possiederà fino al giorno in cui l'Inghilterra conserverà una prevalenza; lo perderà dal giorno in cui diventerà esso stesso troppo potente. Intanto il progresso dei tedeschi, come nella Mesopotamia, così nel Golfo, è in continuo aumento.

Ciò che è avvenuto in Mesopotamia agli inglesi, può avvenire a noi in Tripolitania, e più rapidamente, perché, offriamo, temo, minor resistenza.

656 l Così nel registro.

658

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO S.N. Belgrado, 15 gennaio 1911, ore 15,30 (per. ore 16,50).

Milovanovich mi ha detto confidenzialmente che per interposta persona aveva fatto tastare il terreno per conoscere accoglienza che sarebbe stata fatta in Vaticano ad una visita del re di Serbia durante il suo soggiorno a Roma: secondo la risposta che riceve ora visita del re al papa sarebbe stata gradita qualora fosse intervenuta prima che spirasse 1910: nell'anno corrente però si supponeva che il carattere delle feste che si celebreranno in Roma avrebbe imposto al pontefice di tenersi nella più grande riserva. Ministro degli affari esteri mi disse che questa risposta data persona che si era occupato di presentire le istruzioni del Vaticano non era da considerarsi come definitiva e che avrebbe cercato ottenerne una più esplicita.

659

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI

T. 135. Roma, 16 gennaio 1911, ore 21,45.

Suo telegramma n. 51. Ho dato istruzione al r. ministro a Bucarest2 di adoperarsi con ogni diligenza e sollecitudine, in base alla comunicazione di lei, e d'accordo con quel suo collega di Russia, per indurlo a procedere al più presto alla ripresa delle relazioni diplomatiche colla Grecia. Trovo abbastanza giustificati i quattro «voti» messi innanzi da codesto Governo, e penso che, salvo forse il n. 3, potranno ottenere favorevole accoglienza a Bucarest, purché, ben inteso, non figurino come condizioni preventive alla ripresa delle relazioni, ma come domande da farsi valere in seguito. Circa il desiderio di codesto Governo di essere autorizzato a dichiarare eventualmente che i ministri d'Italia e di Russia si mostrarono disposti adoperarsi per il riconoscimento amministrativo personalità giuridica istituzioni greche, stimo opportuno che ella riservi per ora la sua risposta.

659 I Con T. confidenziale 132/5 del 13 gennaio, non pubblicato, Carlotti informava che il Governo ellenico desiderava ristabilire le relazioni con la Romania. 2 Cfr. n. 660.

660

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA

T. 136. Roma, 16 gennaio 1911, ore 22,10.

VS. avrà ricevuto comunicazione dal r. ministro ad Atenei della decisione presa dal Consiglio dei ministri ellenico per la ripresa delle relazioni diplomatiche colla Grecia. Ella conosce tutto il valore che noi annettiamo all'attuazione di questo risultato, sotto gli auspici del! 'Italia, e le sarò particolarmente grato di quanto vorrà fare per attenerlo completo e sollecito. Circa le modalità menzionate nel telegramma di Carlotti, trascrivo quanto gli ho testé risposto: «Trovo abbastanza giustificati (etc. come nel te l. ad Atene n. 135)2».

661

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE RISERVATISSIMO 127. Roma, 16 gennaio 1911 1.

Dopo regolati incidenti «Genova» e «Selima», altri rimangono ancora da regolare e altri potranno ancora sorgere. Essi assumeranno sempre la forma e la sostanza di incidenti tra Italia e Turchia e avranno influenza dannosissima sia nei nostri interessi in altre parti dell'Impero sia nelle nostre relazioni di politica generale con la Porta. È comune e grande interesse evitare queste gravi conseguenze che possono derivare anche da piccole cause e ricondurre queste alle vere loro proporzioni e alla loro vera trattazione. Crederei quindi opportuno che, consenzienti i due Governi centrali, si stabilissero dirette cordiali relazioni tra il valì dell'Yemen e il governatore dell'Eritrea per evitare che sorgano incidenti negli scambi commerciali che tra le due regioni prospicienti si fanno per mezzo di sambuchi, se malauguratamente sorgessero, per evitare che diventino incidenti tra Italia e Turchia e per ottenere invece che siano regolati localmente direttamente fra valì e governatore.

Solamente in casi gravi o di impossibile soluzione sopra luogo, ne tratterebbero direttamente i due Governi.

2 Cfr. n. 659.

Il nuovo sistema dovrebbe essere preceduto da un convegno delle alte autorità locali: buona occasione sarebbe una visita del valì al governatore nella prossima inaugurazione della ferrovia eritrea in Asmara. Il governatore restituirebbe poi la visita a Hodeida, o se ciò non fosse possibile le due autorità potrebbero incontrarsi in un altro porto dell'Egitto dovendosi evitare in modo assoluto che sia il governatore il primo a recarsi in Arabia. Sono disposto ad impartire opportune istruzioni al marchese Salvago, quando sarò sicuro che analoghe istruzioni codesto Governo darà al valì. Lascio alla E.V. di scegliere il tempo e il modo di parlarne con Rifaat, quando ben inteso i recenti incidenti saranno soddisfacentemente regolati.

Non ci preoccupa la eventualità che costà non si consenta. Si sarà fatto da parte nostra quanto era in noi per evitare nuovi incidenti, e per risolverli in modo da non tenere tese le relazioni tra i due Paesi. Se non si riuscirà, dovremo dare istruzioni al governatore della Eritrea di provvedere direttamente alla tutela dei sambuchi di commercio eritrei naviganti tra la nostra Colonia e lo Yemen.

660 l Cfr. n. 659 nota l.

661 l Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

662

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 177/20. Londra, 17 gennaio 1911, ore 13,30 (per. ore 17,30).

Senza menomamente volere attenuare importanza intesa russo-germanica, circa ferrovia Bagdad, Grey mi disse jeri non essere essa di natura esercitare alcuna influenza sull'attuale orientamento politica inglese. In quell'intesa egli ravvisa un buon passo nella via tanto desiderabile accordo generale sull'importante questione. In sostanza linguaggio di Grey confermò pienamente impressione da me riferita con rapporto n. 61. Inghilterra, mi disse, non intende in alcun modo modificare le sue relazioni con Francia e Russia per cattivarsi amicizia Germania, ma non intende nemmeno che Triplice Intesa costituisca un ostacolo mantenimento relazioni cordiali con Germania, con la quale Gabinetto di Londra è dispostissimo addivenire accordo per Bagdad. Accordo, però, vuoi essere su basi di equa transazione e non già dedizione. Se, in tale ordine di idee, è pure il Gabinetto di Berlino, non sarà difficile raggiungere intesa. Grey ha motivo ritenere che da analoga conciliante disposizione sia animato anche il cancelliere, alla rettitudine e lealtà del quale rese caldo omaggio. Da queste precise dichiarazioni si può dedurre, in complesso che pur rimanendo immutato orientamento generale politica in

glese, si sono accentuate disposizioni favorevoli intesa con Germania sull'unica grossa concreta questione formante oggi oggetto grave divergenza fra i due Paesi. Dichiarazioni di Grey non tolgono, però, che qui si sia nel fondo provata sgradita sorpresa per disinvoltura colla quale Russia si è intesa con Germania in una questione, nella quale, a torto od a ragione, la si considera moralmente impegnata far causa comune con Inghilterra e Francia. Si è discretissimamente mormorato che Russia avrebbe potuto usare maggiore riguardo all'Inghilterra che con tanta lealtà ne difese interessi durante la crisi 1908, compromettendo tradizionale cordialità sue relazioni con Austria-Ungheria. Queste informazioni mi vengono da fonte sicura. Al rincrescimento inglese per mancata previa comunicazione da parte della Russia accenna, per quanto amichevolmente anche odierno articolo Times. Al riguardo mi è stato confidato da chi può saperlo che, scorso autunno, durante l'assenza di Grey e interregno fra Hardinge e Nicolson, questo incaricato d'affari di Russia parlando al Foreign Office avrebbe accennato, in via incidentale ed in termini molto precisi, possibilità che questioni ferroviarie asiatiche formassero oggetto colloquio Potsdam. A questo semplice vago accenno non si sarebbe qui attribuito dovuta importanza.

662 l R. 17/6 del 3 gennaio, non pubblicato.

663

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL SOTTOSEGRETARIO, LANZA, AL SEGRETARIO GENERALE, BOLLATI, E AL DIRETTORE DEGLI AFFARI COLONIALI, AGNESA

APPUNTO. Roma, 18 gennaio 1911.

L'imminente invio di nuove forze navali turche nel Mar Rosso, l'interesse e l'intenzione della Turchia di eludere le capitolazioni e d'impedire il rifornimento d'armi agli insorti dell'Jemen, ed altre cause fanno temere possibile un nuovo o più nuovi incidenti nel Mar Rosso di maggior gravità di quello di Hodeida e già li preannunziò Mayor in un telegramma di qualche tempo fa.

Bisogna quindi fin d'ora prevedere e provvedere l -che non accadano; 2 -ove accadano a) alla preparazione diplomatica e giuridica; b) alla preparazione militare; c) alla preparazione dell'opinione pubblica italiana onde non esageri. Parmi quindi che convenga, in risposta a telegramma di Mayor n. 301, fargli conoscere i nostri telegrammi nn. 130 e 13 P a Parigi e Londra e dirgli che

2 TT. del 16 gennaio, non pubblicati.

mentre siamo disposti ad uno scambio d'idee con Francia ed Inghilterra per vedere se e quali accordi prendere colla Turchia, dire a questa chiaramente che intanto dia ordini severi alle sue autorità coloniali nel Mar Rosso che non provochino incidenti e non tentino di creare fatti compiuti e precedenti in senso contrario allo stato di fatto invalso da tanti anni, cioè non fermare ne visitare sambuchi ecc. poiché il rinnovare incidenti renderebbe impossibili le trattative e gli accordi e ci costringerebbero ad energiche misure, visto lo stato dell'opinione pubblica in Italia. Giudichi poi Mayor se e come dire che non s'illuda la Turchia di poterlo fare perché inviando nuove navi nel Mar Rosso, per quanto ne mandi noi ne potremo sempre mandare di assi più numerose e più forti, che teniamo pronte e forse vi si recheranno prestissimo. Se, viceversa, in questo come negli altri affari pendenti colla Turchia, la sua condotta sarà verso di noi amichevole a fatti e non a parole anche noi ci condurremo con lei da amici3.

Parmi che convenga pure telegrafare a Londra e a Parigi4 col riferimento telegrammi nn. 130 e 131 informando i nostri ambasciatori del sopracitato telegramma, nonché delle forze navali turche che sono o saranno poste nel Mar Rosso e del fondato timore che la Turchia voglia colla sua azione verso i sambuchi delle tre Potenze creare fatti compiuti e precedenti mentre si fanno le trattative da essa desiderate. Il Governo italiano spera che Francia ed Inghilterra non vorranno tollerare tali abusi, e che quindi per prevenirli sia bene che anche quei due Governi facciano amichevoli passi a Costantinopoli perché il Governo turco dia istruzione ai suoi comandanti navali nel Mar Rosso di evitare tali incidenti, e che intanto i tre Governi si mettano preventivamente d'accordo sul modus procedendi, qualora l'incidente accada assicurandosi un pratico appoggio.

Sarebbe anche bene che ciascuna delle tre Potenze inviasse navi nel Mar Rosso assicurandosi la preponderanza navale sulla Turchia in quelle acque.

Di tutto ciò informare il ministro nostro della marina, riassumendogli il conto esatto delle forze navali che ha o avrà presto la Turchia nel Mar Rosso, e facendogli conoscere la necessità assoluta che si metta in grado di mandarvi e tenervi per tempo necessario forze navali indubbiamente superiori in modo da svogliare la Turchia da ogni velleità di soprusi e d'incidenti.

Inoltre conviene che Ricci o altro nostro giurista studi bene e metta in iscritto in che cosa precisamente consistono i diritti che oggi la Turchia può esercitare verso i nostri sambuchi in base alle capitolazioni, ai trattati e all'accordo di fatto del 1902 e al regolamento del 1863 approvato dalle Potenze in modo che appena sorga l'incidente, il Governo italiano sappia subito e possa subito far sapere alla opinione pubblica in che cosa e in quali limiti la Turchia è nel suo diritto e in che cosa e in quali limiti avrà offeso il nostro diritto e ci avrà dato legittimo motivo a reclamare.

4 Cfr. n. 668.

663 l T. 138/30 del 14 gennaio, non pubblicato.

663 3 Istruzioni comunicate col n. 667.

664

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE l 03/3 7. Londra, 18 gennaio 1911 (per. il 26).

Mi riferisco al mio rapporto n. 7 del 5 corrente!.

Giorni fa ho saputo che il corrispondente balcanico del Times ha recentemente inviato al suo giornale nuove corrispondenze, nelle quali la situazione in Macedonia viene dipinta a tinte foschissime: l'esasperazione delle popolazioni cristiane per i maltrattamenti e le sevizie intlittele dalle autorità ottomane in occasione del disarmo, sarebbe giunta al punto da indurre il signor Bourchier a prevedere fra non molto tempo, la poco esilarante alternativa: o di un nuovo intervento delle Potenze, ovvero di uno scoppio di ostilità tra la Bulgaria e la Turchia.

La gravità di queste informazioni ha fatto ritenere ali' editor del Tim es preferibile di sospenderne la pubblicazione.

Nel lungo colloquio di lunedì scorso chiesi al segretario di Stato per gli affari esteri, se di tutto ciò egli era informato, e lo pregai in pari tempo di manifestarmi il suo avviso in merito al peso ed all'importanza che conveniva attribuire alle fosche previsioni del signor Bourchier. Nel rilevare le gravissime conseguenze che potrebbero, contrariamente alle migliori intenzioni delle Potenze, derivare da una guerra turco-bulgara, alla quale è assai probabile parteciperebbero anche altri Stati balcanici, non dissimulai le mie preoccupazioni per l'estrema difficoltà, in cui, per svariati ovvii motivi, si troverebbero le Potenze ad esercitare un 'azione efficace in senso pacificatore. Per quella conoscenza che credo di avere delle tendenze del re di Bulgaria, fui sempre, e sono tuttora convinto, che sino a tanto che gli sarà possibile, senza esporsi a pericoli personali, Sua Maestà nulla tralascerà per evitare complicazioni bellicose. Ma . . . le pressioni dei bulgari macedoni potrebbero ad un dato momento, divenire minacciose, al punto da trionfare delle sue disposizioni pacifiche, e costringerlo obtorto collo a saltare il fosso, e rischiare la perigliosa avventura. Ed allora?

D'altra parte osservai che dati i mutamenti avvenuti nel regime interno della Turchia, e tenuto conto delle tendenze dei varii gruppi delle Grandi Potenze, un nuovo intervento, che questa volta non si potrebbe esplicare se non col ricorso alla forza, mi appariva assolutamente fuori di questione.

In tali condizioni, confessai, non riuscivo a vincere un sentimento di preoccupazione, intensificato anche di più dali 'innegabile difficoltà di trovare pratico rimedio ai paventati mali.

Rispose sir Edward Grey, della corrispondenza da me menzionata avere egli sentito parlare, non averla però letta.

Le informazioni sulle crudeltà commesse dai turchi contro le popolazioni cristiane in Macedonia, sono, purtroppo, confermate dai rapporti dei consoli britannici, !imitatisi però a narrare i fatti, a constatare lo stato degli animi, senza trame conseguenze o formulare profezie sugli avvenimenti futuri. In previsione di possibili domande che venissero a lui rivolte ali' apertura del Parlamento, tendenti ad ottenere la pubblicazione di detti rapporti, sir Edward Grey, dopo matura riflessione, è giunto alla conclusione di rispondere eventualmente con un rifiuto, dichiarando la pubblicazione non espediente, trattandosi di quistioni interne della Turchia, le quali vanno oggimai discusse nella loro sede naturale, cioè il Parlamento ottomano.

In quanto alle gravi alternative prevedute dal signor Bourchier, sir Edward Grey, premesso che da tanti mai anni gli allarmi per serie complicazioni ricorrono periodicamente in questa stagione, convenne pienamente meco sulla assoluta impossibilità di pensare anche lontanamente ad un nuovo intervento europeo, che oggi, mentre non sarebbe più giustificato in diritto, potrebbe attuarsi soltanto con l'adoperare mezzi coercitivi, dal che tutte le Potenze unanimamente rifuggono.

Circa l'altra, non meno grave alternativa, lo scoppio cioè di un conflitto armato turco-bulgaro, sir Edward mi disse non potere pronunziarsi in anticipazione sui mezzi per risolvere l 'arduo ed intricato problema. Osservò tuttavia che la Turchia, malgrado gli incontestabili progressi del suo esercito, dovrebbe bene riflettere prima di intraprendere una guerra, della quale, per la possibile partecipazione di altri Stati balcanici, per una verosimile ripresa di agitazione rivoluzionaria in Albania, e per le instabili condizioni generali dell'Impero tutto, il successo finale si presterebbe ad essere considerato come discutibile.

Concluse sir Edward, che, se alla fine dei conti l'eventualità di cotale guerra, che per il momento non gli appare probabile, avesse fatalmente a verificarsi, non vi sarebbe da escludere che l'Austria-Ungheria e la Russia si mettessero d'accordo per localizzare il conflitto, e !imitarne, nei limiti del possibile, le gravi conseguenze.

A proposito del!' Austria-Ungheria, mi disse sir Edward, avere ogni fondato motivo di ritenere il conte Aehrenthal animato da ferme intenzioni in favore di una politica pacifica e conservatrice nella penisola balcanica.

Non intendo in conclusione nemmeno io porre un momento solo in dubbio le intenzioni e disposizioni eminentemente soddisfacenti del Governo austro-ungarico. Mi pare tuttavia lecito e prudente il chiedersi -e, se del caso, il preoccuparsene in tempo utile -se esso potrebbe realmente rimanersene tranquillo ed inoperoso il giorno, speriamo sempre lontano in cui un così grave incendio avesse a divampare in regioni adiacenti ai confini della Monarchia.

664 l Non rinvenuto.

665

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 139/53. Parigi, 18 gennaio 1911 (per. il 25).

Nella discussione del bilancio degli esteri vi sono stati due discorsi notevoli: quello di Denys Cochin e quello di Jaurès. Però il successo oratorio di Cochin, che fu nel suo dire logico, ordinato, elegantemente sobrio, è stato molto superiore a quello di Jaurès, che è saltato di palo in frasca abbandonandosi volentieri a fantasie paradossali. Due cose sono risultate dalla discussione: l'affermazione di quasi tutti gli oratori che i prestiti francesi ali'estero debbano d'ora in poi servire agli interessi politici francesi e l'accusa al Governo francese di contentarsi nella Triplice Intesa di una parte subalterna. Quest'ultima accusa è stata formulata presso a poco negli stessi termini tante volte adoperati nel Parlamento italiano per accusare il Governo di tollerare che l'Italia abbia una parte secondaria nella Triplice Alleanza.

La risposta del signor Pichon fu quale si prevedeva: ottimista ed ultra pacifica. Nel suo discorso non c'è granché di nuovo. C'è una sola cosa importantissima che non è stata abbastanza rilevata ed avvertita. Nel suo discorso al Reichstag il cancelliere Bethmann-Hollweg aveva affermato che nel convegno di Potsdam Germania e Russia si erano impegnate ad astenersi da qualsiasi combinazione la quale potesse avere carattere aggressivo verso una di esse e si erano inoltre impegnate a non dare appoggio a qualsiasi politica, da chiunque venisse, la quale si proponesse di variare lo statu quo in Oriente in generale e più specialmente nei Balcani.

Queste dichiarazioni produssero in Francia una grande emozione e molti giornali gettarono dapprima un grido d'allarme; poi manifestarono il loro compiacimento quando il Governo russo si astenne dal fare dichiarazioni identiche ed il Novoie Vremia, smentendo il cancelliere germanico, pubblicò che a Potsdam si era parlato soltanto delle cose asiatiche.

Orbene il signor Pichon non ha seguito la via della stampa francese, non ha cercato di contestare le dichiarazioni di Bethmann-Hollweg o di togliere loro importanza, ma le ha ammesse senz'altro come veritiere e le ha senz'altro esplicitamente approvate. Poiché la Francia non vuole aggredire nessuno e vuole lo statu quo nei Balcani, ha detto il signor Pichon, perché dovrebbe allarmarsi o dispiacersi se Germania e Russia concordano di astenersi da combinazioni aggressive e confermano che nei Balcani lo statu quo deve essere mantenuto? Non si poteva dar prova di maggior buona volontà né accettare con maggior buona grazia il fatto compiuto e di ciò a Berlino e a Pietroburgo dovrebbero essere molto grati al signor Pichon. E devono essergli grati in generale tutti gli amici della pace poiché egli non poteva dare miglior dimostrazione del suo desiderio di pace innanzi tutto ed a qualunque costo.

Un solo pubblicista francese aveva già parlato delle dichiarazioni di Bethmann-Hollweg nello stesso modo del signor Pichon e cioè Francis Charmes nella cronaca quindicinale della Revue des deux Mondes (lo gennaio).

Egli, anzi, rilevando la frase del cancelliere germanico che i convegni sul genere di quello di Potsdam «producono rivolgimenti che cambiano l'aspetto del mondo soltanto nelle colonne dei giornali e non nella realtà» aggiunge opportunamente: «Les choses prennent un aspect très different selon qu'on les regarde à travers les préjugés et les preventions populaires, dont les journaux sont trop souvent les organes, ou qu'on les porte à cette hauteur que Guizot appelait la region des Gouvernements». Grande verità che non bisognerebbe stancarsi dal ripetere continuamente e far comprendere alla pubblica opinione!

Alla domanda di Jaurès se la Russia avesse prevenuto la Francia degli accordi che andava a stringere colla Germania, il signor Pichon rispose in modo evasivo, ed all'accusa di non aver fatto nulla per contrastare l'annessione della Bosnia-Erzegovina, rispose che non poteva fare più di quello che erano disposte a fare l'Inghilterra e la Russia. La risposta era giusta e bene il signor Pichon avrebbe potuto aggiungere che se avesse fatto di più avrebbe dovuto seguire sir Edward Grey ed il signor Iswolsky nella ritirata poco onorevole, alla quale furono costretti in assoluta contraddizione con quanto prima avevano dichiarato. Quando Denys Cochin accennò all'ultimatum presentato a Pietroburgo dall'ambasciatore germanico conte di Pourtalès e dinanzi al quale il signor Iswolsky si era arreso senza condizioni, tutti gli occhi si volsero verso il signor Iswolsky che siedeva vicino a me ed al signor Schoen nella tribuna diplomatica.

Ma il signor Pichon disse di più: egli fece esplicite dichiarazioni di amicizia per l'Austria. Queste dichiarazioni non devono meravigliare chiunque sia mediocremente al corrente della politica internazionale, poiché la tendenza della Francia a rapporti amichevoli coli' Austria è nota da un pezzo. Dovrebbero piuttosto servir di lezione a certi irredentisti e nazionalisti italiani, i quali nutrono la stolta e pericolosa illusione che la Francia seguirebbe l 'Italia in una guerra contro l'Austria.

Due concetti del discorso del signor Pichon, l 'incrociarsi di accordi speciali tra Potenze ascritte a diversi gruppi di alleanze e d'intese, e l'ostacolo crescente che allo scoppiare della guerra crea l'affermarsi sempre più di un opinione pubblica internazionale, furono già da me svolti nel mio discorso alla Camera dei deputati del 13 maggio 1904.

Sul primo punto io ebbi a dire: «Taluno, e più recisamente di tutti, l'onorevole Barzilai, ha espresso il dubbio che questa politica di pace seguita dall'Italia, per la quale essa crede di poter mantenere l'alleanza con alcune Potenze e l'amicizia con altre, non possa durare a lungo e che sia destinata a destare invidia e gelosie e malintesi negli alleati e negli amici, a far dubitare gli uni e gli altri della nostra lealtà, a naufragare !asciandoci isolati. Ebbene, io sono d'opposto avviso. Noi vediamo tutte le Grandi Potenze d'Europa non appagarsi delle loro alleanze, ma, pur rimanendo a quelle fedeli, cercare nell'amicizia con altre sempre

nuove e maggiori garanzie di pace. E di ciò tutti devono esser lieti, poiché chi se ne avvantaggia è la causa della pace e della civiltà».

E nella stessa seduta io diceva anche: «Conviene tener presente che nel mondo vi è qualche cosa di nuovo: si va compiendo un'evoluzione per cui nuovi elementi intervengono nella politica degli Stati. Questi nuovi elementi sono il progresso delle idee liberali e umanitarie, un più squisito senso della responsabilità nei governanti che li spinge a far tutti gli sforzi per rimuovere le occasioni di guerra, e l 'impossibilità per uno Stato moderno retto a libertà di impegnarsi in una guerra se non è secondata e sanzionata da una larga e sana corrente di pubblica opinione».

666

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 165/74. Vienna, 18 gennaio 1911 (per. il 25).

Dai colloqui avuti dopo il mio ritorno dal congedo coi miei colleghi di Germania e di Russia e con altre persone autorevoli, ho potuto constatare che il convegno di Potsdam ed il susseguente riavvicinamento russo-germanico non avrebbero prodotto n eli'opinione pubblica della Monarchia una certa contrarietà, siccome era stato affermato in alcuni giornali esteri.

È bensì vero che i vari partiti slavi, che sono ostili alla Germania ed ali 'alleanza della Monarchia con essa, non hanno visto di buon occhio il riavvicinamento di quella Potenza colla Russia, perché desideravano che tale riavvicinamento fosse avvenuto invece tra l'Austria-Ungheria e la Russia indipendentemente da quello colla Germania.

È vero altresì che l'impegno assunto nel convegno di Potsdam dalla Germania e dalla Russia di non appoggiare alcuna politica intesa al perturbamento dello statu quo nei Balcani avrebbe qui fatto nascere in taluni il dubbio che quell'impegno potesse contemplare direttamente l'Austria-Ungheria, che è tuttora sospettata dalla Russia di nutrire mire espansionistiche sul vicino oriente, nonostante le ripetute e formali dichiarazioni in senso contrario del conte d'Aehrenthal.

Ma tale dubbio non sorse mai in queste sfere governative, né in questi circoli politici, che riconobbero in quell'impegno una nuova sanzione data ai principi, a cui si informa la politica orientale della Monarchia.

Gli scopi infatti, cui mira questa politica, sono intesi non solo al mantenimento dello statu quo nei Balcani, bensì anche ad opporsi a qualsiasi atto che possa condurre al suo turbamento.

Mi risulta del resto in modo positivo che nei colloqui avuti col conte d'Aehrenthal dal signor di Bethmann-Hollweg, nella visita da lui fatta l'anno scorso alla Corte Imperiale e Reale, venne constatata la piena concordanza di vedute di entrambi i Governi circa il principio che ha formato ora oggetto dell'impegno assunto dalla Germania e dalla Russia. Questo impegno poi sarebbe stato preceduto dalle assicurazioni, che dopo essersi concertato col conte d' Aehrenthal, il signor Bethmann-Hollweg credette dover dare al signor Sassonoff per far dissipare i sospetti suddetti da lui manifestati contro l'Austria-Ungheria. E di tali assicurazioni, a quanto mi fece conoscere confidenzialmente il signor Tschirschky, il ministro imperiale si sarebbe mostrato soddisfatto.

Non sarebbe quindi esatto di supporre che l'impegno in discorso abbia avuto in mira un'eventuale azione dell'Austria-Ungheria nei Balcani che la Germania è fermamente convinta più che ogni altra Potenza che non potrebbe avvenire nelle presenti circostanze per ragioni troppo ovvie. Ma quell'impegno dovrebbe per contro essere considerato quale un'affermazione di un principio generale riferentesi a tutte le Potenze indistintamente, costituendo esso la base della loro politica nel vicino Oriente.

D'altra parte non si è qui mai dubitato che la Germania avesse potuto assumere nel convegno di Potsdam impegni lesivi degli interessi della Monarchia, tali da affievolire l'alleanza, tanto necessaria all'Austria-Ungheria quanto alla Germania, che è considerata come il perno della loro politica presente e futura.

E questa persuasione, la quale è fondata sul!' esperienza acquistata anche in recente occasione, che ha dimostrato la solidità dell'alleanza stessa come la perfetta comunanza degli interessi reciproci, ha fatto sì che il riavvicinamento fra la Germania e la Russia è stato visto con soddisfazione non solo nelle sfere governative, ma anche nella generalità dell'opinione pubblica, perché, oltre al far sparire quella specie di malessere che esisteva nella situazione internazionale in Europa come nei rapporti fra la Germania e la Russia informandoli ad una reciproca fiducia, esso non potrà non condurre, in progresso di tempo, coll'agevolare un miglioramento nelle relazioni tra l'Austria-Ungheria e la Russia, a quel riavvicinamento reale desiderato dall'imperatore, dall'arciduca ereditario e dallo stesso conte d'Aehrenthal.

Non conviene però all'Austria-Ungheria di sforzare ora la mano e di precipitare tale riavvicinamento, ma di manovrare con cautela in modo da eliminare dapprima le cause di dissidi ed i malintesi originati dai frequenti incidenti di frontiera sia in materia di spionaggio che di espulsioni, per definirli possibilmente con soddisfazione comune e cercare quindi di dissipare a poco a poco quella sfiducia che tuttora si riscontra in entrambi i Governi al fine di spianare il terreno al desiderato riavvicinamento.

Non a torto il conte d'Aehrenthal affermava a tale proposito al r. incaricato d'affari che non trovava giustificato che si parlasse ora di un riavvicinamento austro-russo come conseguenza del riavvicinamento russo-germanico e siccome dopo il ritiro del signor Isvolsky le relazioni tra la Monarchia e la Russia erano buone, non scorgeva che rimanesse per il momento altro da fare, la politica generale dei due Governi avendo gli stessi obbiettivi (telegramma della r. ambasciata 7 del 4 corrente)!.

Il conte d'Aehrenthal non ignora infatti che se in presenza delle dichiarazioni attuali del Governo e dell'opinione pubblica russa, in cui è tuttora vivo il ricordo degli eventi trascorsi, non si accontentasse per il momento del ristabilimento dei buoni rapporti effettuatosi col vicino Impero, ma cercasse di fare un passo innanzi per raggiungere un riavvicinamento, egli farebbe falsa strada ed invece di dissipare la sfiducia che si ha contro di lui potrebbe aumentarla facendo sospettare che desideri quel riavvicinamento per secondi fini.

L'azione quindi del conte d'Aehrenthal sarà per ora diretta innanzi tutto a convincere colla sua condotta la Russia della sua buona fede e nelle sfere governative non si è persa del tutto la speranza che se egli potesse raggiungere l'intento, ciò gli permetterebbe, ove eventi imprevisti non sopravvenissero, di effettuare il desiderato riavvicinamento pur continuando a dirigere la politica estera della Monarchia.

667

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 170. Roma, 19 gennaio, ore 22.

Telegramma di V.E. n. 30l. Già qualche tempo fa questa ambasciata di Turchia aveva qui chiesto se fosse intervenuto un accordo fra Italia e Inghilterra per estendere al Mar Rosso e al Golfo Persico il regime in vigore per l'Africa per le armi e le munizioni, accordo al quale la Turchia avrebbe eventualmente desiderato accedere. Fu risposto che accordo non v'era, non essendo stata ripresa alcuna trattativa dopo la conferenza di Bruxelles del 30 dicembre 1909.

Ho ora comunicato ai Governi francesi e inglese la apertura statale fatta da Rifaat. Da Londra non ho fino ad oggi alcuna risposta; da Parigi mi si risponde che quell'ambasciatore ottomano non ha fatto alcun passo presso il Governo della Repubblica.

Per conto nostro, siamo disposti ad addivenire ad uno scambio d'idee con Francia ed Inghilterra per vedere se e quali accordi siano da prendere colla Turchia. Questo V.E. potrà dichiarare a Rifaat pascià, dicendogli nel tempo stesso, nel modo più chiaro e reciso, che debbono subito essere impartiti ordini severi e categorici alle autorità anche navali ottomane nel Mar Rosso e sulle sue coste perché intanto non provochino incidenti e non tentino di creare fatti compiuti o precedenti in senso contrario allo stato di fatto invalso da otto anni, e basato su

667 l Non pubblicato ma cfr. n. 663.

ordini diretti dalla Sublime Porta al vilayet del Yemen. È nell'interesse stesso della Turchia, non solo che non vengano provocati, ma anche che vengano con ogni cura evitati incidenti per i sambuchi e i sudditi eritrei; poiché il rinnovarsi di essi, visto anche lo stato dell'opinione pubblica in Italia, ci costringerebbe ad energiche misure, che potrebbero dar luogo a gravi complicazioni e potrebbero anche compromettere l'inizio la prosecuzione o il risultato delle trattative a quattro desiderate dalla Porta2.

666 l Cfr. n. 642.

668

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, IMPERIALI, E A PARIGI, TITTONI

T. UFF. COLONIALE 171. Roma, 19 gennaio 1911, ore 22,30.

Facendo seguito al mio telegramma n. 1301, trascrivo il seguente che ho testé diretto al r. ambasciatore a Costantinopoli: «Ho comunicato ai Governi francese e inglese le aperture (etc. come nel telegramma in partenza n. 1702, fino alla fine).

Di queste mie istruzioni a Mayor, V.E. potrà dare amichevole comunicazione a codesto Governo. A maggior chiarimento debbo poi aggiungere che, secondo le indicazioni del r. console generale a Hodeida, si trovano attualmente nelle acque del Mar Rosso quattro cannoniere turche con due cannoni, cinquanta uomini di equipaggio ciascuna, e si afferma che sarebbero pure stati colà destinate altre due cannoniere e un incrociatore protetto. Per quanto questi provvedimenti possano apparire giustificati dalla gravità situazione nel Yemen, pure non si può escludere la supposizione che la Turchia voglia anche servirsene per una azione verso tutti i sambuchi stranieri, allo scopo di creare fatti compiuti e precedenti, per mutare lo stato di fatto esistente, appunto mentre si fanno le trattative da essa desiderate.

669

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 163/72. Vienna, 19 gennaio 1911 (per. il 25).

Nonostante le dichiarazioni fatte in senso contrario da sir A. Nicolson al r. ambasciatore a Londra e comunicatemi dall'E.V. con telegramma n. 82 delli 11

668 l Non pubblicato ma cfr. n. 663. 2 Cfr. n. 667.

corrente!, in questi circoli politici si considera che il riavvicinamento avvenuto di recente tra la Germania e la Russia, il quale sarebbe dovuto, a quanto mi affermò il signor de Tschirschky, all'iniziativa dello czar e del signor Sassonow, non potrà non avere, coli 'andar del tempo, una certa influenza sulle relazioni attualmente esistenti tra le Potenze della Triplice Intesa.

L'impegno assunto nel convegno di Potsdam tra la Russia e la Germania di non partecipare ad alcuna combinazione avente una punta aggressiva contro l'altra Potenza dimostrerebbe infatti come la Russia non sia più disposta ad associarsi a quella politica diretta ad isolare la Germania, la quale, patrocinata dal defunto re Eduardo, aveva costituito per l'addietro uno degli obbiettivi delle Potenze della Triplice Intesa.

Per cui la politica che la Russia sarà per seguire in avvenire non sarà più, in certo modo, infeudata, nella istessa misura di prima, a quella della Francia e dell 'Inghilterra.

Ma senza venir meno ai vincoli d'alleanza che la legano alla Francia ed a quelli di amicizia colla Inghilterra, la Russia farà d'ora in poi una politica prettamente russa impressa ai propri suoi interessi. In tal senso il signor Sassonow, siccome mi fece conoscere confidenzialmente il signor Tschirschky, si espresse nel convegno di Potsdam col signor di Bethmann-Hollweg, il quale l'avrebbe assicurato che la Germania non aveva alcuna obiezione contro la politica siffatta.

Il malumore quindi, a cui l'intesa concordata in quel convegno tra la Russia e la Germania, avrebbe dato luogo nell'opinione pubblica francese ed inglese non sarebbe del tutto ingiustificato. Ma tale malumore sarebbe stato originato, non tanto dalla stipulazione dell'intesa stessa, quanto dal fatto che i Gabinetti di Parigi e di Londra non sarebbero stati tenuti al corrente dal signor Sassonow degli scopi che si proponeva di raggiungere nel recarsi a Potsdam, dei quali essi non avrebbero avuto comunicazione che dopo che vennero stabilite le basi del riavvicinamento colla Germania.

Tale informazione, che mi venne data da persona autorevole, ove fosse esatta, darebbe al convegno di Potsdam una importanza maggiore di quella che gli è stata attribuita. Ma VE. avrà agio di controllare, a mezzo delle rr. ambasciate in Parigi ed in Londra, quale fondamento essa abbia.

D'altra parte è da rilevare che l'assicurazione, che forma oggetto dell'impegno sopraccennato assunto dalla Russia e dalla Germania, non sarebbe di data recente, ma essa avrebbe ricevuto ora una nuova sanzione, siccome risulta dalle dichiarazioni stesse fatte dal signor di Bethmann-Hollweg nel discorso pronunciato il IO dicembre scorso nel Reichstag2.

Nel chiamare la mia attenzione su questa circostanza il signor Tschirschky mi fece conoscere che quell'assicurazione era stata scambiata tra i Gabinetti di Pietroburgo e di Berlino or fa vari anni. Tale assicurazione, che fu resa ora sol

2 Cfr. n. 612.

tanto di notorietà pubblica, aveva confermato fin da quell'epoca il Gabinetto di Berlino nella opinione, che erasi formata, che l'alleanza, cioè, della Russia colla Francia non aveva alcun carattere offensivo contro la Germania.

667 2 Per la risposta cfr. n. 670.

669 l Cfr. n. 654 nota l.

670

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 240/51. Pera, 20 gennaio 1911, ore 18 (per. ore 20).

Telegrammi 170' e 1732. Ho diretto a Rifaat pascià in conformità con le istruzioni dell'E. V.: l) una nota dalla quale risulta il Governo del re disposto ad uno scambio di idee con i Governi francese ed inglese circa estensione al Mar Rosso ed al Golfo Persico dell'accordo esistente per l'Africa circa commercio armi e munizioni, accordo al quale la Turchia aderirebbe; 2) una nota reclamante per i battelli e sudditi italiani dell'Eritrea il trattamento fatto ai battelli e sudditi inglesi e francesi di Aden, Zeila e Gibuti e ciò in virtù della clausola della Nazione più favorita e dell'iradè imperiale che ci garantì tale trattamento dal 1902 a questi ultimi tempi. Questa seconda nota si chiude con queste parole: <de prie VE., d'ordre de mon Gouvernement, de vouloir bien donner sans retard aux autorités ottomanes de terre et de merde la Mer Rouge et de ses còtes des instructions formelles et catégoriques pour qu'elles ne provoquent aucun incident et n'essayent pas de créer des faits accomplis ou invocables comme précédents en sens contra ire à l'état de fai t qui dure depuis huit ans et se base sur d es ordres de la Sublime Porte au vilayet de Yemen. Tout incident de ce genre obligerait le Gouvernement du roi à des mesures qui pourraient amener des complications et entraver les négociations en vue d'un accord concernant le commerce des armes auquel se réfère note et caetera».

671

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

T. UFF. COLONIALE URGENTE RISERVATO 153. Roma, 20 gennaio 1911, ore 20,15.

Come risulta da miei precedenti telegrammi, trovansi attualmente sulle coste d eli 'Yemen quattro cannoniere turche e r. console generale in Hodeida è stato

2 T. del 19 gennaio, non pubblicato, col quale si trasmetteva la risposta di Sola sul trattamento riservato dalla Turchia ai sambuchi francesi ed inglesi nel Golfo di Aden (T. 206 del 18 gennaio, non pubblicato).

informato che altre due cannoniere e un incrociatore protetto saranno destinate Mar Rosso. Gli incidenti finora avvenuti contro sambuchi eritrei e l'atteggiamento delle autorità navali e amministrative Yemen e questo aumento di forze navali fanno fondatamente temere che la Turchia voglia creare fatti compiuti e precedenti tali da mutare lo statu quo di fatto che dura da molti anni circa il trattamento dei sambuchi eritrei. È necessario di mettersi in grado, in modo assoluto, di mandare e tenere nel Mar Rosso pel tempo necessario forze navali indubbiamente superiori e tali da svogliare la Turchia da ogni velleità di incidenti o di soprusi. Non ho bisogno di indugiarmi a spiegare la necessità e la importanza del provvedimento che domando alla E.V. e del quale, quando V.E. creda, si potrà parlare in uno dei prossimi Consigli dei ministri. Intanto, la prego di prendere le opportune predisposizioni. Ciò senza pregiudizio di predisposizioni maggiori che formeranno oggetto di una mia lettera questa sera in seguito a un nuovo grave sopruso accaduto a Tripoli di Barberia.

670 l Cfr. n. 667.

672

IL CONSOLE GENERALE A ZANZIBAR, CORSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 62/3. Zanzibar, 21 gennaio 1911 (per. il 13 febbraio).

Nella mia escursione nel Kenia ho potuto raccogliere informazioni circa la progettata, e in piccola parte già iniziata, costruzione di una nuova linea ferroviaria fra Nairobi e quella provincia. Sebbene, anche per espediente amministrativo, sia stata battezzata col modesto nome di linea tranviaria e sia destinata ad avere sul principio un esercizio ridotto ed economico, tuttavia la nuova linea ha il medesimo scartamento dell'Uganda Railway, in maniera da doversi considerare come una vera diramazione della linea principale.

La costruzione della nuova linea fu ideata ed è vivamente caldeggiata dal nuovo governatore del protettorato sir P. Girouard -specialista in materia ferroviaria, il quale, eludendo con ripieghi le difficoltà e gli indugi di indole amministrativa, ha, con ammirevole prontezza, fatto por mano senz'altro ai lavori, iniziando da Nairobi la costruzione della sede stradale su un tratto di circa sei miglia, nell'idea forse di pregiudicare così favorevolmente le cose da ottenere, fra gli altri provvedimenti che egli si è recato a sollecitare dal Governo centrale, anche i mezzi necessari per il compimento dell'opera.

Prima meta della nuova linea è di collegare la capitale del protettorato col capoluogo della provincia del Kenya. Attualmente Nairobi è congiunta a Fort Hall da una sommaria strada rotabile su cui è esercitato da una Società privata un servizio di automobili, che però mal risponde allo scopo, avendo scarsa poten

zialità e subendo frequenti interruzioni, oltre a riuscire costoso e nemmeno profittevole agli assuntori.

Quanto agli ultimi scopi della nuova linea, si afferma ufficialmente che essa debba spingersi verso le falde del monte Kenya, onde permettere lo sfruttamento delle foreste esistenti in quella zona. Se non che, non sembrano tali foreste di tale importanza da meritare la costruzione di una ferrovia, mentre nel protettorato ne esistono parecchie altre che meriterebbero forse maggiore attenzione, vien fatto di credere, come ne corre la voce, che la nuova linea si proponga di raggiungere scopi più vasti e remoti. Si comincia già infatti a pensare che essa sia destinata a raggiungere il Lago Baringo per spingersi poi sino all'estremità meridionale del Lago Rodolfo.

Contro tale supposizione potrebbe stare il fatto che volendo spingere una diramazione della ferrovia dell 'Uganda verso quei laghi, essa potrebbe più direttamente staccarsi anzi che da Nairobi, da una stazione più a nord, e precisamente da quella di Nakuru situata a circa 120 miglia al di là di Nairobi. Se non che un tale tracciato, seppure assolutamente rettilineo e più breve perciò di quello in diagonale di Nairobi, avrebbe lo svantaggio di svolgersi tutto nel gran fossato equatoriale, dove fra gli altri si allineano appunto i laghi Nakuru, Baringo e Rodolfo, e cioè in una regione assai calda, priva di alcune stagioni di acqua, e di poche risorse, mentre il tracciato da Nairobi, oltre a rispondere meglio a scopi amministrativi, attraverserebbe e metterebbe meglio in valore la ricca regione dei Kikuyu, di cui già si è iniziata la colonizzazione.

Qualora la nuova linea dovesse giungere al Lago Rodolfo, essa acquisterebbe una grande forza di penetrazione verso l'Etiopia, potendo anche prolungarsi con la navigazione a vapore sul Lago Rodolfo ed eventualmente sui tratti che risultino navigabili del corso inferiore dell'Orno. In tal caso essa potrebbe attrarre e concentrare il commercio delle ricche province sud-occidentali dell'Abissinia, facendo sentire forse la propria influenza sin verso quelle centrali. Ciò costituirebbe un gravissimo colpo all'influenza commerciale del Benaidr e potrebbe quasi annullare l'importanza di Lugh, anche se da parte nostra potessimo costruirvi una ferrovia, la quale, evidentemente, a parte anche questioni di percorso, potrebbe difficilmente competere con la nuova linea inglese che si appoggerebbe ad una importante ferrovia già floridamente avviata come quella dell'Uganda e ad un porto e ad un mercato come quello di Mombasa.

Se le cose si presentano in questi termini, non è da dubitare che presto o tardi, e più presto che tardi, il Governo inglese non mancherà di procedere alla costruzione della nuova linea, svolgentesi interamente in territorio proprio, a ciò spinto anche dalla necessità, che misi in evidenza in altri rapporti, di allargare il raggio d'azione della ferrovia dell'Uganda, per compensare le gravi perdite che subirà nel commercio di transito dalla colonia tedesca in seguito al rapido avanzamento dei lavori ferroviari in questa colonia.

Dopo aver segnalato con altro mio rapporto l'attività militare spiegata dal Governo inglese verso il Lago Rodolfo, ho creduto utile di segnalare all'E.V. anche questa nuova prospettiva, potendo anche i due fatti avere fra loro qualche connessione.

673

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 268/57. Pera, 22 gennaio 1911, ore 13,10 (per. ore 13,55).

Telegramma n. 198 I. Riservata decisione a cui accenna periodo finale2 dovendo assai probabilmente determinare scoppio boicottaggio, converrebbe dirigere dimostrazione verso punti la cui occupazione potesse eventualmente prolungarsi c essere di compenso per gli effetti di esso. La Tripolitania sarà sempre causa di dissenso tra noi ed ottomani. Essa per confessione loro non è turca. Incidente Guzman potrebbe, se colma la misura, segnare anche la via.

674

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 280/63. Pera, 22 gennaio 1911, ore 21,15 (per. ore 22).

Rifaat pascià, che avevo visto stamane indisposto, avendomi scritto avere urgente bisogno di parlarmi, mi sono recato nuovamente al suo Konak. Mi ha detto di aver ricevuto un telegramma di Kiazim, secondo cui l'Italia preparava navi e Kiazim aveva visto VE. e VE. aveva domandato per l'affare Guzman' soddisfazione entro 24 ore. Riferendosi al nostro colloquio di stamane, Rifaat osservava siffatto spazio di tempo essere insufficiente per comunicare con valì; protestava avere le migliori intenzioni, ammoniva opinione pubblica troverebbe provvedimento sproporzionato al motivo e lo giudicherebbe effetto di intenzioni segrete e precsistenti. Certamente l'Italia essere più forte sul mare, ma la Turchia non potrebbe cedere alla violenza e vi sarebbe o guerra o prolungata rottura di rapporti con danni incalcolabili per entrambe. Mi pregava di telegrafare d'urgenza a VE. che questione Guzman ed altre pendenti sarebbero risolte secondo giustizia e per quanto possibile a nostra soddisfazione, ma occorreva tempo. L'Impero essere vasto, avere nelle province molti funzionari ancora inesperti, doverglisi far credito a

cagione buon volere del Governo centrale. Ho risposto non sapere del provvedimento annunciato da Kiazim; l'opinione pubblica essere certamente da noi vivamente irritata e non a torto; il valì di Tripoli pecca, non solo di inesperienza amministrativa, ma anche di ostilità a nostro riguardo; averlo provato ad esuberanza; esservi forse anzi una parola d'ordine data a lui e ad altri, poiché altrimenti non si spiegherebbero gli incessanti incidenti in cui gli italiani sono coinvolti in tutti i punti dell'Impero. Conclusi che avrei telegrafato a V.E. quanto egli mi aveva detto ed avrei suggerito di assegnare un tempo determinato per la soluzione di ciascuna delle questioni pendenti fra i due Paesi2.

673 l T. del 20 gennaio, non pubblicato. 2 Nel telegramma menzionato si faceva riferimento ad un possibile invio di forze navali nel Mar Rosso senza escludere un'azione navale nel Mediterraneo.

674 1 Pestalozza aveva chiesto al valì la restituzione del Guzman a bordo della nave italiana sulla quale viaggiava, invocando, la violazione dell'extraterritorialità da parte di un commissario di polizia che ne aveva consentito lo sbarco. Ciò era avvenuto dopo che il console aveva invitato il Guzman a risalire sulla nave perché già espulso da T ripoli (T. 230 del 19 gennaio, non pubblicato).

675

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 296/20. Vienna, 23 gennaio 1911, ore 21,30 (per. ore 22,50).

Aehrenthal mi ha detto che credeva che intesa Russia e Germania per ferrovia Bagdad avrebbe potuto facilitare stipulazione intesa simile tra Germania e Inghilterra. Gli risultava che cancelliere dell'Impero desiderava da più di un anno addivenire ad una tale impresa. Naturalmente non era sua intenzione fare primo passo, ma aspettare proposta inglese. Se tale intesa fosse avvenuta, essa non avrebbe potuto non essere accolta con soddisfazione, specialmente dall'AustriaUngheria e dall'Italia, perché, oltre ad essere nuovo elemento pace, avrebbe eliminato possibilità che due Paesi suddetti si trovassero eventualmente in conflitto coli' Inghilterra.

676

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 315/13. Berlino, 24 gennaio 1911, ore 20,55 (per. ore 23).

Kiderlen-Waechter è venuto or ora a darmi confidenzialmente lettura di un telegramma di Marschall, il quale riferisce che Mayor gli si è mostrato molto im

pressionato per l'incidente Guzman a Tripoli, alludendo alla eventualità che il R. Governo, di fronte agli indugi della Sublime Porta nel dargli soddisfazione, si decidesse a fare colà una dimostrazione navale.

Marschall ritiene che, data la natura dell'incidente, dovrebbe esservi maniera di risolver! o pacificamente, tanto più che, se l'autorità locale di Tripoli ha agito irregolarmente, il nostro ambasciatore avrebbe riconosciuto avere anche quel r. console ecceduto nel modo con cui volle impedire lo sbarco di Guzman. Rifaat pascià avrebbe inoltre rilevato non essere questo stato espulso propriamente per le sue pubblicazioni ostili all'Italia ma per manifestazioni ritenute immorali ed anarchiche. Marschall dice che, se si accorda il tempo necessario per trattare la cosa in via diplomatica, egli confida in un equo componimento, mentre che, date soprattutto le attuali disposizioni dei turchi, una nostra azione (?)I precipitata o violenta potrebbe spingerli a qualche estremo con pericolose conseguenze sproporzionate al caso. Kiderlen, pur protestandosi alieno da qualsiasi non desiderata ingerenza in un affare che non lo concerne, mi disse che intendeva soltanto sottopormi queste considerazioni affinché io le comunicasi, se così credevo, a V.E., ed egli si esibì a confermare ali' occorrenza a Marschall istruzioni di adoperarsi nel miglior modo per una soddisfacente soluzione.

A titolo di osservazione puramente personale, Kiderlen mi accennò che, qualora vi fosse da parte nostra il proposito di procedere ad una seria azione per la Tripolitania, spetterebbe esclusivamente al Governo italiano di apprezzare se, essendo preparato ad affrontare le conseguenze, gli convenisse di fame nascere l'occasione da un incidente di tal natura. Ma egli stesso soggiunse avere ricevuto da Jagow assicurazione in contrario. Ciò io gli confermai, ricordando una recente conversazione avuta con V.E. al riguardo; non senza notare, però, che l'attuale incidente veniva ad aggiungersi a diversi altri i quali sembravano indicare, da parte della Turchia, una sistematica tendenza a noi ostile col naturale effetto di eccitare in Italia un giustificato malcontento del quale il R. Governo era pure obbligato a tener conto2.

674 2 Con T. 229 del 22 gennaio, non pubblicato, di San Giuliano rispondeva di non aver detto a Kiazim di esigere soddisfazione entro ventiquattro ore. Dava istruzione a Mayor di sottolineare presso Rifaat l'urgenza della soluzione della vertenza per la quale non si ammetteva che occorresse tempo.

677

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATO 250. Roma, 25 gennaio 1911, ore 14,30.

Suo telegramma n. 131. Non solamente noi non cerchiamo pretesti per una azione navale militare in Tripolitania od altrove, ma desideriamo evitarla. Siamo

2 Per la risposta cfr. n. 677. 677 l Cfr. n. 676.

però decisi ricorrervi se non otterremo piena e pronta soddisfazione n eli' incidente Guzman, cioè allontanamento di Guzman dalla Tripolitania e soddisfazione per la violazione delle capitolazioni e della extraterritorialità del nostro piroscafo postale. Una soluzione pronta in questo senso pare dagli ultimi telegrammi assai probabile ed è indispensabile che avvenga subito cioè prima che l'agitazione nella opinione pubblica nella stampa e nel Parlamento in Italia cresca e che presenza provocatrice a Tripoli di Guzman cagioni qualche incidente più grave. Inoltre i nostri preparativi navali essendo abbastanza segreti per poterli smentire, Turchia può oggi darci soddisfazione avendo apparenza non già di cedere a minacce ma di fare opera spontanea di giustizia e di amicizia. Se il Governo italiano non sarà fermo e risoluto in questo incidente, i turchi, incoraggiati ne provocheranno presto altri, con conseguenze più gravi. Governo tedesco farà opera egualmente utile e gradita ali 'Italia e alla Turchia, se consiglierà questa a darci subito n eli 'incidente Guzman la soddisfazione giusta e moderata che noi chiediamo. È bene far notare a Kiderlen-Waechter che il r. console non ha punto ecceduto nel modo come cercò impedire sbarco Guzmann perché il cavas si limitò a far rimostranze ma non compì alcun atto di autorità e non si oppose colla forza2.

676 l Integrazione del decifratore.

678

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 213/931. Parigi, 25 gennaio 1911 (per. il 29).

Le conversazioni che ho avuto in questi giorni cogli ambasciatori di Germania e di Russia mi pongono in grado di esporre a V.E. la storia delle trattative tra i due Paesi. Il signor Iswolsky passò da Berlino prima del convegno di Reval ed annunciò al principe di Bi.ilow che Russia ed Inghilterra si sarebbero intese a Reval circa la Persia, soggiungendo che perciò la Germania non aveva alcuna ragione di allarmarsi di quel convegno. A prova del desiderio della Russia di continuare a mantenere buoni rapporti colla Germania, il signor Iswolsky disse al principe di Biilow che voleva proporgli un uguale accordo. Il principe di Billow non si rifiutò di discutere il tema. Si parlò della ferrovia di Bagdad, ma la discussione su questo punto terminò subito, perché il signor Iswolsky disse che a questo riguardo non poteva impegnarsi a nulla, se non dopo essersi inteso coll'Inghilterra. Però fin d'allora si accennò, come ad un punto su cui si sarebbe po

tuto facilmente stabilire l'accordo, alla congiunzione di una diramazione della ferrovia di Bagdad colla rete delle ferrovie persiane presso Kanikin. Quanto alla Persia, il signor Iswolsky chiese che la Germania riconoscesse l'esclusività di qualunque concessione a favore della Russia nella Persia settentrionale e dichiarasse di non avere in Persia alcun interesse politico. Il principe di Biilow non fece grandi difficoltà alla prima domanda, ma circa la seconda osservò che, pur essendo vero che la Germania non aveva in Persia interessi politici, l'opinione pubblica germanica non sarebbe stata affatto contenta se il Governo avesse fatto una dichiarazione in questo senso. A questo punto la conversazione fu interrotta ed il signor Iswolsky promise al principe Bulow che, appena conosciute meglio le intenzioni dell'Inghilterra dopo il convegno di Reval gli avrebbe presentato un progetto concreto di accordo. Però passò Reval e nessuno si fece più vivo presso Berlino. Venne quindi la bufera per l'annessione della Bosnia-Erzegovina. Il signor Iswolsky, dopo il convegno di Buchlau si recò a Desio, alla vigilia dell'annuncio dell'annessione, e poi a Parigi, Londra e Berlino. Colà il principe di Bulow gli domandò notizie del progetto d'intesa per la Persia, ed il signor Iswolsky, un po' confuso, rispose che, appena terminata la crisi della Bosnia-Erzegovina, avrebbe ripreso con il principe di Biilow la conversazione interrotta. Di ciò in seguito tra il signor Iswolsky e il principe di Bulow non si tenne più parola, ma la conversazione fu ripresa dai signori Sazonoff e von Bethmann-Hollweg al punto preciso in cui essi l'avevano lasciata.

Le dichiarazioni che la Russia e la Germania non dovevano entrare in combinazioni aggressive contro l'una o contro l'altra e che dovevano intendersi per mantenere lo statu quo nei Balcani e che ora sono sembrate una novità in bocca a Bethmann-Hollweg furono fatte dal signor Iswolsky nel suo primo colloquio con il principe di Biilow. Quello che oggi c'è di nuovo è che Iswolsky propose soltanto di facilitare la congiunzione tra la ferrovia di Bagdad e Kanikin, mentre ora, dopo tornato Sazonoff da Berlino, il consiglio dei ministri russo, riunitosi, ha deliberato che la Russia debba costruire essa tale congiunzione. Il Consiglio dei ministri ha anche deliberato che debba essere mantenuta ferma la richiesta alla Germania di dichiarare che essa non ha interessi né mire politiche in Persia.

S'ignora che cosa risponderà su questo punto la Germania come pure s'ignorano a qual punto preciso si trovino le trattative per l'accordo. I signori Iswolsky e von Schon dichiararono di non avere al riguardo informazioni precise dai loro Governi; però ambedue esprimono la ferma convinzione che l'accordo sarà concretato.

L'ambasciatore di Turchia ha da Costantinopoli che le trattative russo-germaniche si sono arenate e che gravi difficoltà minacciano di farle naufragare. Però può essere benissimo che ciò, più che il vero stato delle cose, rappresenti un pio desiderio del Governo turco. Ad ogni modo è certo che le dichiarazioni di Rifaat pascià al suo Parlamento sono apparse poco chiare e, poiché nessuno, né da Berlino, né da Pietroburgo, si è incaricato di far luce, vuoi dire che dovremo attendere ancora un poco per sapere quali sono le sorti delle trattative in corso.

677 2 Per il seguito si veda il n. 688.

678 l L'originale non è stato trovato. Il testo che si pubblica è quello a stampa inviato per conoscenza alle rappresentanze ali 'estero (Documenti Diplomatici, serie CXII, Russia 1895-1911, Roma s.d., doc. n. 216).

679

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 126/34. Sofia, 25 gennaio 1911 (per. il 30).

Oggi dopo un soggiorno di circa due settimane è partito da Sofia il signor Tcharikoff ambasciatore di Russia a Costantinopoli. Nei primi giorni egli si tenne quasi nascosto non frequentando altro che la casa del console austro-ungarico suo cognato e inviando ai capi missione delle carte da visita dalle quali era ostentatamente soppresso il suo titolo ufficiale. Ma nell'ultimo giorno di sua dimora fu ricevuto in udienza dal re Ferdinando; e si è poscia recato a far visita a questo ministro di Francia che, a sua volta della conversazione avvenuta fra il sovrano e l'ambasciatore mi ha fatto una relazione della cui esattezza debbo naturalmente lasciar la responsabilità al mio informatore.

Secondo adunque quanto mi ha detto il signor Pale6logue, il Tcharikoff avrebbe fatto al re Ferdinando un quadro favorevole della situazione in Turchia asserendo che l'attuale Governo è saldo, e capace e volonteroso di mettere in opera le riforme necessarie. Non ha escluso che soprattutto nell'Yemen e nella Albania esistono già e più si possono produrre nell'avvenire gravi difficoltà e complicazioni; ma ha mostrato di ritenere che per ciò che concerne la Macedonia, la situazione non vi sia poi tanto grave quanto vogliono far credere i bulgari e ad ogni modo ha rivolto il suo dire alla conchiusione che lo status quo nell'Impero ottomano e per conseguenza nei Paesi balcanici non è quella assurda illusione che dicono alcuni. Ha aggiunto che la Russia nutre il deliberato proposito di mantenerlo; che di ciò si è molto parlato a Potsdam, e che anche la Germania è d'accordo a far prevalere simili idee di pace e di conservazione contro chicchessia, anche se necessario contro l'Austria: «Del resto noi non crediamo (ha conchiuso il Tcharikoff) che l'Austria abbia l'intenzione di violare nel prossimo Oriente la pace e lo status quo; ma se per caso l'avesse si troverebbe contro l'Europa intera compresa l'Italia, che ne fa condizione essenziale colla Monarchia».

Fin qui il Paleol6gue; ed io debbo aggiungere che su questa visita del Tcharikoff a Sofia si sono naturalmente fatti i commenti più varii e disparati. Per verità la suaccennata parentela, non disgiunta mi dicono da intima amicizia, con il console austro-ungarico potrebbe forse bastare a spiegarla se, non senza fondamento, a ciò non si potesse obbiettare che il Tcharikoff, oltre che a Sofia, ha fatto un soggiorno ugualmente lungo a Belgrado. Molti, e mi affermano anche il re Ferdinando, hanno voluto congiungere la venuta del Tcharikoff colla campagna antistambulovista qui agitatasi nello scorso dicembre, e da una parte della pubblica opinione persistentemente attribuita ad intrighi russi.

Io non sarei disposto ad accordare a questo viaggio scopi ben determinati o pratici risultamenti. Tenendo conto piuttosto dell'idea ormai generalmente accolta nella stampa e nei Gabinetti europei che in questi Paesi ogni influenza russa stia scomparendo a totale vantaggio dell'Austria-Ungheria, non sarei alieno dal credere che il Tcharikoff, coll'eseguire ora per conto proprio un progetto già attribuito nello scorso agosto ali 'lsvolsky, abbia ora visitato la Serbia e la Bulgaria nella speranza, più o meno fondata, di dar da intendere discretamente alla opinione pubblica in Europa ed in Russia stessa che la diplomazia russa ha ancora contatti ed aderenze intime in questi Paesi.

Insinuando poi al sovrano bulgaro la necessità di attenersi a quella linea di condotta che risulta ormai chiaro aver Sua Maestà per proprio convincimento adottata, il Tcharikoff può essersi preparato a Costantinopoli un facile successo e procurato un poco di quella popolarità che, a quanto mi si assicura, gli manca colà quasi completamente.

Accludo la traduzione di alcuni articoli di giornali bulgari concernenti la visita del Tcharikoff a Sofia!, ...

680

IL CONSOLE GENERALE A ZANZIBAR, CORSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 91/10. Zanzibar, 27 gennaio 1911 (per. il 15 febbraio).

Facendo seguito al mio precedente rapporto circa la spedizione inglese al Lago Rodolfo, ho l'onore di comunicare all'E.V. alcune nuove informazioni ora pervenutemi.

Scopo della spedizione si conferma quello di procedere ad una occupazione effettiva della regione chiamata con termine generico Karamogia, e che comprende i turcana e i dabossa. Finora questa immensa regione era considerata come campo libero alle razzie degli abissini che vi inviavano continuamente bande di predoni. Inoltre gli abissini vi importavano armi e munizioni che venivano acquistate da Suahili e Beluschi fissati nella regione.

La spedizione inglese ha già catturato una banda di abissini con circa trecento frasle di avorio femmina. Trentatré abissini sono attualmente prigionieri in Jingm.

Altro scopo della spedizione sembra quello di procedere alla sistemazione del confine con l'Abissinia e di ottenere un certo assetto delle regioni confinanti.

La forza della spedizione, pur essendo superiore a quella annunziata ufficialmente, è inferiore a quella che le asseveranti notizie datemi dapprima facevano credere, e che sembrandomi un po' esagerate raccomandai di controllare. Essa

679 I Non pubblicati.

consta di trecento ascari, divisi in tre colonne, la prima partita da Hoima al nord, la seconda da Jingia al centro, e la terza da Nakuro al sud. Procurerò di avere altre notizie sul seguito della spedizione che m'affretterò a comunicare a V.E. non sembrandomi prive di interesse.

681

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 379/29. Londra, 28 gennaio 1911, ore 14,29 (per. ore 18,45).

Anche ambasciatore di Francia ritiene esistano ora qui disposizioni favorevoli intendersi con Germania per Bagdad. Linguaggio Cambon mi ha lasciato impressione eventuale accordo su tale questione sarebbe ben veduto dal Governo francese tenutovisi fino ad ora estraneo unicamente per fare cosa gradita Inghilterra, mentre finanza francese già partecipa per conto sua alla intrapresa. Cambon teme solo difficoltà possano sorgere per carattere angoloso poco conciliante direttore Deutsche Bank. D'altra parte, mi risulta da buona fonte che al Foreign Office si nutrirebbe qualche apprensione per influenza che metodo aggressivo di Kiderlen-Waechter potrebbe esercitare su buone disposizioni cancelliere. A quanto mi disse martedì Nicolson, nessuna apertura venuta ancora da Berlino. Circa disposizioni qui prevalenti verso la Turchia, impressioni Cambon coincidono con quelle già da me riferite. Sia in vista possibili negoziati per Bagdad, sia per recenti accenni Sublime Porta voler riguadagnare amicizia franco-inglese, collega osserva questo Governo si proponga tenere contegno prudente, moderato per non irritare inutilmente opinione pubblica ottomana, pur essendo però risoluto difendere a suo tempo energicamente interessi britannici Golfo Persico.

682

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. UFF. COLONIALE 313. Roma, 28 gennaio 1911, ore 20,40.

Oggi alla Camera ho risposto ad una interrogazione sull'incidente di Hodeida. Impressione generale della Camera non è stata favorevole essendo unanime avviso deputati presenti che R. Governo sia stato troppo arrendevole.

V.E. saprà come giovarsi di questo fatto nelle trattative pendenti per gli altri incidenti.

683

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 251/116. Parigi, 29 gennaio 1911 (per. il 3 febbraio).

Tra i fenomeni che s'impongono a chi ha il dovere di osservare e studiare le cose di Francia, il più importante è, senza alcun dubbio, la costituzione di un nuovo impero, con cui la Francia si è affermata come Potenza coloniale di primissimo ordine.

Premetto che più studio il successo talvolta eccessivo, che finora ha arriso alla Francia nel mondo coloniale, più mi convinco che esso in massima parte è dovuto a fortunate coincidenze, per cui la Francia potè impadronirsi di immensi territori e cercare poi di valorizzarli. È mirabile invece il modo con cui la politica del Quai d'Orsay si è piegata e si è adattata a tutte le esigenze coloniali!

La conquista e la mise en valeur sono state le due fasi successive, per cui, a somiglianza di tutti gli altri regimi, è passato anche quello francese. La conquista in Francia, come altrove, fu l'opera di pochi grandi esploratori e di qualche soldato. In generale potrebbe osservarsi che le campagne coloniali davano sfogo alla energia della razza ed aprivano un nuovo campo ove l 'istinto etnico, che è guerresco, il fondo atavico, che è fatto di temerari ardimenti, il coraggio e l 'audacia di pochi uomini, ed in breve il valore individuale potevano liberamente affermarsi e conquistare un magnifico impero ed una gloria nuova. Ma il periodo eroico delle spedizioni coloniali francesi, potendo oramai considerarsi quasi terminato, la seconda era s'inizia, quella cioè della valorizzazione delle colonie.

In questa seconda fase ha esercitato ed esercita ancora un'azione veramente preponderante il partito coloniale, inspirato dall'onorevole Étienne e composto di pochi uomini di grande valore, come il Messimy, lo Challey, il Roume, il Bourdes e qualche altro.

Se la conquista e la valorizzazione furono e sono i due termini del programma coloniale francese, la sua base non può e non deve ricercarsi, come ho accennato, se non nella politica estera di questo Paese.

Non mi è possibile esaminare in tutti i suoi dettagli l'influenza esercitata dai problemi coloniali sull'opera della diplomazia francese: tanto varrebbe scrivere la storia della politica estera in questi ultimi trent'anni; ciò nonostante non sembrami superfluo di riassumere per sommi capi le principali forme con cui quell'influenza venne man mano esplicandosi nel campo internazionale propriamente detto. E questo appunto è l'obbiettivo del presente rapporto.

L'azione svolta dalla Francia nel campo internazionale ha avuto caratteri e forme diverse, secondo che gli obiettivi da raggiungere erano in Europa o fuori d'Europa.

Non havvi dubbio alcuno che in Europa la sua azione è stata nettamente difensiva e pacifica, imperocché la Francia prima si è sforzata di uscire dall'isolamento in cui l'avevano posta le fortunose vicende della guerra franco-germanica, e poi ha cercato con ogni mezzo di attenuare l'egemonia diplomatica tedesca, opponendo l'alleanza franco-russa alla Triplice Alleanza. Ne è risultata una situazione, in cui lo stesso equilibrio delle forze ha assicurata la pace d'Europa, ne è risultato anche che il conflitto tra la Francia e la Germania ha assunto anch'esso un altro aspetto, in modo che la Francia, senza rinunziare apertamente ai sogni dell'avvenire, ma impreparata ad una lotta per una rivincita più o meno ipotetica, ha finito non con l'accettare, ma col subire pacificamente lo stato territoriale derivato dalla guerra del 1870; mentre la Germania, da parte sua, modificava il proprio atteggiamento fino a sottoscrivere l'accordo del Marocco, che fu la prima, ma non l'ultima, delle speciali intese franco-tedesche di carattere industriale, commerciale e coloniale.

L'azione comune tra Germania e Francia al Marocco ed altrove, resa possibile dall'attenuato antagonismo franco-tedesco in Europa, mostra chiaramente l'influenza esercitata dalle questioni coloniali nella politica estera francese. So benissimo che il lungo periodo di pace di cui ha goduto l'Europa in questi ultimi quarant'anni in tanto fu possibile, in quanto esso era del tutto indispensabile sia alla Germania per svolgere e consolidare i successi della sua politica commerciale, sia alla Francia per attuare il suo programma politico, democratico e sociale. Ma è anche vero che la détente franco-tedesca è stato il legittimo corollario non tanto delle necessità politiche interne di questi due Paesi, quanto delle condizioni militari e diplomatiche di tutta Europa, dalle quali il centro di gravità della politica estera francese è stato costantemente spostato e fissato !ungi dai Vosgi, sulle rive del Mediterraneo, in Africa ed in Asia. Sicché mentre da un lato la politica difensiva e pacifica seguita dalla Francia in Europa era il migliore strumento della sua espansione coloniale, viceversa quest'ultima, non essendo possibile senza i benefici della pace, era uno dei più efficaci fattori della politica di equilibrio praticato in Europa; in altri termini l'uno era causa ed effetto dell'altra, e viceversa; confondendosi per fatale necessità di cose neli'insieme deli 'azione diplomatica francese.

Da quanto sono venuto esponendo finora, gl'intenti della politica francese appaiono logici e chiari. In Europa, senza rinunziare esplicitamente alle provincie perdute nel 1870, la Francia, tollerando ciò che neanche l 'Italia avrebbe mai consentito, la decapitazione di un suo ministro degli affari esteri, ha cooperato e coopera efficacemente ad una politica di pace, che le è indispensabile per organizzare e svolgere il suo programma nel Mediterraneo, in Africa ed in Asia. Le rivendicazioni storiche e platoniche passano in seconda linea dinanzi agli interessi concreti coloniali, i quali consciamente od inconsciamente sembrano inspirare e determinare quasi tutta l'azione diplomatica francese. La supremazia del Mediterraneo e l'espansione coloniale diventano il contenuto vero della politica estera, il cui obbiettivo ben determinato è la formazione territoriale di un impero francese neli'Africa.

Né starò qui a ripetere le vicende di una politica che, sotto il manto di difendere l'ordine all'interno del Marocco e sulle frontiere dell'Algeria, in realtà tendeva solo ad escludere dal Marocco le altre Potenze e sottometterlo alla Francia. Basta poi aprire una carta politica dell'Africa per rendersi conto degli immensi possedimenti francesi, che dal cuore dell'Africa giungono alle rive del Mediterraneo, e spiegarsi chiaramente le ragioni per cui l'impero in questo mare diventa sotto i più svariati punti di vista commerciali, industriali, finanziari, militari e politici, il punto fondamentale della politica estera e coloniale francese.

Dato questo contenuto, dati questi obbiettivi, la politica degli accordi per il Mediterraneo non fu il parto spontaneo della fantasia del signor Delcassé, ma diventò una necessità a lui imposta dalle nuove condizioni dell'ambiente politico e coloniale. Così avemmo innanzi tutto l'accordo franco-inglese dell'8 aprile 1904, che segnò la fine di tre secoli di lotte coloniali tra la Francia e l 'Inghilterra, lotte tenaci, ostinate e talvolta pericolose per la pace del mondo, come a Fashoda; lotte finite con beneficio della Francia per l'Algeria, per la Tunisia e per il Congo, e con beneficio dell'Inghilterra per il Niger, l'Egitto ed il Sudan.

Con la convenzione del 1904, l'Inghilterra quasi abbandonò il Marocco alla Francia, senza restrizione alcuna. In virtù di quell'atto il Governo della Repubblica dal punto di vista politico non era tenuto a rispettare l'integrità e l'indipendenza del Marocco: esso avrebbe potuto benissimo istituirvi un protettorato simile a quello della Tunisia, ed a quello dell'Egitto, mentre dal punto di vista economico non era obbligato se non a rispettare per trent'anni l'uguaglianza doganale tra Francia ed Inghilterra. Ma che sono trent'anni nella vita dei popoli? E chi non vede che nel 1904 la Francia in virtù dell'accordo franco-inglese del 1904, avrebbe avuta piena libertà al Marocco non solo politicamente, ma anche economicamente? Risulta quindi evidente che dal punto di vista francese il merito precipuo dell'accordo sovracitato consiste nella libertà di azione riconosciuta alla Francia, perché con essa si veniva a rafforzare l'azione e la politica francese nel Mediterraneo ed in Africa.

Vero è che l'accordo franco-inglese, divenuto poi Entente Cordiale, per necessità di cose più che per virtù proprie, dové affermarsi anche in Europa in diverse contingenze, ma con poca fortuna, perché nel 1905 non riuscì a salvare il Delcassé, che pure lo aveva tenuto a battesimo, pochi anni dopo non riusciva a salvare I'Iswolski, che vi aveva aderito per altri scopi, per altre vie e con diverse forme.

In Europa quell'accordo risultò di scarso valore politico, perché di nessun valore militare; né poteva essere altrimenti, perché esso non fu se non lo strumento indispensabile della politica francese in un mare di cui l'Inghilterra possiede ambo le porte: Gibilterra e Suez; in realtà ebbe carattere e valore coloniale importantissimo imperocché, ripeto, rafforzò la supremazia francese nel Mediterraneo e diede un nuovo assetto all'espansione coloniale francese nell'Africa occidentale.

Venne in seguito l'accordo franco-italiano, in cui ci disinteressammo completamente del Marocco e ci contentammo di un compenso ipotetico, dapprima limitato dalla stessa Francia e dall'Inghilterra, ed il seguito reso vano dal risorgimen

to nazionale turco. E con ciò nel Mediterraneo il cerchio di ferro si stringeva sempre più, e sempre più fortemente intorno a noi.

Vennero da ultimo gli accordi franco-spagnuoli del 6 ottobre 1904 e settembre 1905, che sotto altra veste serviranno altrettanto bene i fini della politica francese nel Mediterraneo ed in Africa.

Dali 'insieme di questi accordi sono portato a constatare che la politica del Quai d'Orsay, puramente difensiva e pacifica, direi quasi negativa, verso la Germania in Europa, sulle sponde dell'Africa invece si dimostrò positiva, fattiva, intraprendente: a poco a poco essa riuscì a toglierei il primato del Mediterraneo, trasformò il «mare latino» in un «lago francese»; installò la Francia in Algeria, in Tunisia, al Marocco, e non solo si adattò alle esigenze dell'espansione coloniale francese, ma quasi non dette altri scopi alla sua azione. E così appare chiaro che gl'interessi coloniali passarono in prima linea e regolarono gli atteggiamenti della politica francese anche negli affari europei.

Ho accennato finora all'influenza pacifica esercitata dagl'interessi coloniali della politica estera della Francia, specialmente nei suoi rapporti con la Germania: ho pure ricordato brevemente il sistema delle ententes con cui la Francia si è venuta assicurando la realizzazione del suo programma di supremazia nel Mediterraneo e la sua espansione coloniale in Africa; non mi resta ora che gettare un rapido sguardo sui legami esistenti tra la politica generale francese e la sua politica coloniale in Asia.

Gli avvenimenti più importanti, di cui l'Asia fu il teatro in questi ultimi anni (la guerra cino-giapponese, il trattato di Pechino del 21 luglio 1895, gl'interventi europei in Cina, il trattato anglo-giapponese del 6 febbraio 1902, la guerra russogiapponese, il trattato di Portsmouth del 29 agosto 1905) furono tutti avvenimenti, che direttamente od indirettamente interessarono la Francia. Nessuno di essi ebbe però per la Francia, neppure lontanamente, l'importanza della guerra russogiapponese, da cui la situazione francese venne doppiamente scossa, in Europa ed in Asia: in Europa, perché l 'indebolimento della diplomazia franco-russa ruppe l'equilibrio delle forze contrapposte l'una all'altra, e mise in pericolo la pace del mondo; in Asia, perché i risultati della guerra crearono una situazione non scevra di pericoli tra la Francia ed il Giappone, tanto che la stampa francese apertamente in quei giorni accennò alla possibilità di un'invasione giapponese nell'Indocina. Ed invero, quei possedimenti così lontani dai porti francesi non sono in condizioni di poter essere efficacemente difesi dalla metropoli, a cui d'altra parte non conviene mettere in pericolo i propri interessi, e la propria situazione nel Mediterraneo, in Africa ed in Europa per difendere l' Indocina. È chiaro dunque che la politica coloniale francese in Asia suppone come conditio sine qua non il consenso ed il concorso delle Potenze maggiormente interessate in quelle regioni, donde risulta anche la necessità di speciali intese tra esse e la Francia. Ed infatti agli accordi precedentemente negoziati dal Delcassé per l 'Estremo Oriente, il l O giugno 1907, venne ad aggiungersi la convenzione franco-giapponese, con cui, tra le altre clausole, il Gabinetto di Tokio garantì alla Francia la sua situazione in Indocina. A questo negoziato dettero e danno una base più larga e più solida l'al

leanza franco-russa, la convenzione russo-giapponese, del 1907, l'alleanza anglogiapponese, rinnovata nel 1905, e la convenzione anglo-russa del 31 agosto 1907, che tutte per diverse vie mirano a conservare lo statu quo in Asia.

Queste garanzie certo non valgono i cannoni e le dreadnougths, ma pur tuttavia danno maggior sicurezza ai possedimenti francesi in Asia; ad ogni modo la sorte dell'Indocina in un avvenire molto lontano, qualunque esse siano, non diminuiscono il valore politico dell'opera compiuta dalla diplomazia francese, la quale senza chiedere alla nazione né uno sforzo straordinario né dei sacrifici eccezionali, ha per il presente assicurato alla Francia il godimento incontestato di una delle più grandi colonie del mondo.

Questi sono, secondo me, i servizi veramente vitali resi dalla politica estera all'espansione coloniale francese, ma per apprezzarne il valore giusto occorrerà riassumere brevemente l'importanza e la ricchezza delle colonie e dei possedimenti francesi, ciò che sarà obbietto di un altro mio rapporto.

Per ora mi basti di aver accennato alle idee fondamentali alle linee direttrici, al contenuto veramente sostanziale della politica estera francese in questi ultimi trent'anni, contenuto, che a me pare essenzialmente coloniale, utilitario e pacifico.

684

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE S.N. Vienna, 31 gennaio 1911 (per. il 9 febbraio).

Al mio ritorno dal congedo ho potuto constatare che persiste tuttora in una parte dell'opinione pubblica il sentimento che il conte d'Aehrenthal non sia destinato a fare lunga permanenza al Ballplatz.

Questo sentimento è originato, da un lato, dagli attacchi piuttosto vivaci che non cessano di essergli rivolti dagli organi dei vari partiti slavi e da altri organi importanti, ai quali fanno eco alcuni periodici germanici del partito agrario conservatore e, dali 'altro, da un certo malumore che si avverte in alcuni circoli militari, che accusano il conte d'Aehrenthal di non seguire una politica prettamente ligia alla Germania, ciò che impedirebbe la realizzazione delle loro aspirazioni di render ancor più stretti i legami che uniscono l'esercito austro-ungarico a quello germanico in vista delle eventualità future.

Ma dalle ripetute ed accurate indagini da me fatte a varie fonti non mi fu dato di raccogliere finora alcun indizio positivo, che faccia supporre che la situazione del conte d'Aehrenthal sia in questo momento veramente scossa.

È da rilevare anzitutto che le idee dei circoli militari suddetti non sarebbero condivise dall'imperatore, né dall'arciduca ereditario.

Per ciò che riguarda l'imperatore, Sua Maestà continua ad avere nel conte d'Aehrenthal la maggior fiducia. Al pranzo di corte, che ebbe luogo sabato scorso al castello di SchOnbrunn, Sua Maestà, alla cui destra io sedeva, nell'accennare al ritorno del conte d'Aehrenthal in Vienna, mi parlò di lui col maggior interesse dicendomi che sperava ch'egli si sarebbe rimesso del tutto in salute e che avrebbe potuto quindi continuare a dirigere la politica estera della Monarchia, a cui aveva reso così segnalati servizi.

Quanto ai rapporti del conte d'Aehrenthal coli 'arciduca ereditario, essi sembrano per ora buoni. In prova di ciò il mio collega di Germania mi riferì che, al banchetto dato dallo imperatore il 26 gennaio scorso in occasione della festa dell'imperatore Guglielmo, l'arciduca Francesco Ferdinando, che sedeva presso il ministro imperiale e reale, si sarebbe intrattenuto durante tutto il tempo con lui in modo tale da non far dubitare delle sue buone disposizioni a suo riguardo.

Non mi consta d'altra parte che a Berlino, siccome si è voluto far inteder da tal uni, si desideri che il conte d'Aehrenthal abbandoni il Ballplatz.

È bensì vero che l'atteggiamento alquanto indipendente e più indipendente del suo predecessore assunto fin dai primi tempi che si trovava al Ballplatz ed il modo di procedere adottato per addivenire, l'anno scorso, alla ripresa di relazioni normali colla Russia provocarono verso di lui sospetti nel Governo germanico come nello stesso imperatore Guglielmo.

Ma dopo la visita che il conte d' Aehrenthal fece a Berlino nel febbraio 191 O, nella quale poté rendersi conto del giudizio portato dal Governo germanico sul suo contegno nelle circostanze suddette, egli ha modificato la sua linea di condotta e non è più ricaduto negli errori trascorsi. Tal che, siccome mi affermava il signor Tschirschky, egli avrebbe riacquistato l'intera fiducia del Gabinetto di Berlino, col quale intrattiene presentemente rapporti impressi alla maggiore cordialità ed in ciò ha contribuito e contribuirà anche in avvenire l 'antica amicizia che lo lega al sottosegretario di Stato, signor di Kiderlen-Waechter.

Sussiste però sempre il dubbio che la permanenza del conte d'Aehrenthal al Ballplatz possa essere d'impedimento ad un miglioramento reale nei rapporti tra l'Austria-Ungheria e la Russia e ad un susseguente riavvicinamento. La sfiducia infatti che si ha tuttora verso il conte d'Aehrenthal nel Governo e nella opinione pubblica russa, in cui non sarebbe svanito del tutto il ricordo degli eventi passati, farebbe supporre a taluni che l'imperatore Francesco Giuseppe non potrà non essere indotto col tempo a seguire l'esempio dello czar col dargli un successore che sia più accetto di lui alla corte ed al Governo imperiale.

Sarebbe prematuro di portare un giudizio sulle disposizioni che si attribuirebbero al Governo russo verso la persona del conte d'Aehrenthal e valutare se e quale peso potrebbero avere sulla situazione futura di lui.

N o n è il caso per ora di parlare di un miglioramento nei rapporti tra l'Austria-Ungheria e la Russia. Questi sono divenuti buoni dopo il ritiro del signor Izwolzki, ma non mi risulta che alcun passo innanzi sia stato fatto finora per renderli migliori.

Un miglioramento nei rapporti rispettivi non potrebbe avvenire, siccome feci conoscere a VE. col mio rapporto n. 165174 del 18 gennaio scorsoi, che dopo che saranno eliminati i vari incidenti che avvengono di recente, da una parte e dall'altra, alla rispettive frontiere in seguito ad arresti o ad espulsioni provocate per causa di spionaggio e per altre cause e dopo che, mediante il buon volere reciproco, si sarà creata una atmosfera atta a ricondurre le relazioni comuni sopra un piede realmente normale in modo da renderli quindi amichevoli.

È intenzione del conte d' Aehrenthal di adoperarsi in tal senso seguendo la tattica indicata nel mio rapporto suddetto, che mi venne confermata nel colloquio avuto con lui al suo ritorno dal congedo (mio telegramma n. 23 del 23 gennaio)2 per dimostrare così le sue buone disposizioni come la lealtà dei suoi propositi.

E da eguali sentimenti, a quanto mi riferì il mio collega di Russia, sarebbe animato pure il Governo russo, che giudica non potersi parlare di un miglioramento nei rapporti fra i due Governi che dopo che il terreno sarà interamente sbarazzato degli incidenti suddetti, ciò che richiederà tempo non poco.

Il certo si è che tale miglioramento è desiderato tanto dali 'imperatore Francesco Giuseppe, quanto dallo czar. Ed a questo proposito il signor de Giers mi fece intendere che il Governo russo nell'adoperarsi per raggiungere l'intento faceva astrazione della persona che dirigeva attualmente la politica estera della Monarchia, la quale non credeva potesse essere di impedimento al miglioramento stesso.

Da tali parole non si potrebbe certo arguire che si sia già dissipato nello czar e nel Governo russo quella sfiducia che si nutre verso il conte d' Aehrenthal e che non si desidera conseguentemente il suo allontanamento dal Ballplatz. Ma esse potrebbero far supporre forse che si voglia vedere il conte d' Aehrenthal all'opera per constatare se il credito che si crede dovergli fare per il momento sarà giustificato dal suo contegno ulteriore. Quanto accadde infatti durante l 'ultima crisi balcanica non può invero consigliare il Gabinetto di Pietroburgo ad accontentarsi di buone parole, ma di esigere che queste siano confermate da fatti positivi e di ottenere quindi garanzie tali che l'assicurino che i suoi interessi nei Balcani non saranno per essere più manomessi in avvenire.

L'indole conciliante del signor de Giers ed i vincoli di amicizia che l'uniscono fino alla sua gioventù al conte d' Aehrenthal e che datano da quando questi faceva parte in qualità di segretario della missione imperiale e reale in Pietroburgo, non potranno non giovare in una certa misura, ove non avvengano nel frattempo eventi imprevisti, ai rapporti tra i due Governi e rendere più facile l'azione comune per ricondurli sopra un terreno possibilmente amichevole.

2 T. 292/23, non pubblicato.

684 l Cfr. n. 666.

685

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE CONFIDENZIALE S.N. Vienna, 31 gennaio 1911.

Nella visita fatta al conte d'Aehrenthal, dopo il mio ritorno dal congedo, il discorso essendo caduto sulla nostra situazione parlamentare e sulle disposizioni dell'opinione pubblica verso l'Austria-Ungheria io gli chiesi il permesso di fargli conoscere francamente, in via privata ed amichevole, le impressioni da me tratte dalle osservazioni fatte durante la mia recente dimora in Roma e dalle conversazioni avute in proposito con varie personalità politiche.

Dissi che generale era da noi il desiderio di intrattenere coll' Austria-Ungheria i migliori rapporti per renderli sempre più intimi e fiduciosi e che il mantenimento dell'alleanza era ora riconosciuto dagli stessi partiti estremi, i quali vi erano dapprima poco favorevoli, come necessario e conforme ai nostri veri interessi.

Rilevai che la politica orientale dell'Austria-Ungheria non formava per il momento, salvo alcune eccezioni, oggetto principale delle discussioni della nostra stampa. Le esplicite e ripetute dichiarazioni da lui fatte nell'ultima sessione delle delegazioni avevano dato agio di constatare come l'Austria-Ungheria non nutrisse per ora mire espansionistiche nei Balcani e che queste non corrispondevano nelle presenti circostanze ai suoi interessi, i quali la portavano a fare ogni sforzo per mantenere e consolidare il nuovo regime in Turchia ed impedire che lo statu quo potesse essere turbato in qualche modo.

Ma la questione che ora primeggiava sopra tutte altre era quella del trattamento fatto all'elemento italiano nella Monarchia. Era su questo punto che concentravasi tutta l'attenzione degli uomini politici e dell'opinione pubblica in generale.

Si constatava con rincrescimento che quel trattamento era differente da quello adottato verso le altre nazionalità de li'Austria, alle quali era stato concesso quanto si rifiutava all'elemento italiano le cui giuste domande erano trascurate dal Governo Imperiale e Reale.

Per cui la questione relativa all'istituzione della facoltà italiana, come le altre questioni intese a garantire i diritti dell'elemento italiano, rimaste insolute da più tempo, erano considerate come le vere cause del malessere che si riscontrava tuttora nella nostra opinione pubblica per ciò che riguardava i rapporti coll'AustriaUngheria.

Si riconosceva quindi che finché queste questioni importanti non fossero state definite col!' accordare all'elemento italiano in Austria l'esercizio incontrastato dei suoi interessi amministrativi ed economici, non che i mezzi per la piena espansione della propria coltura nazionale non si avrebbe potuto conseguire una vera e salda pacificazione degli animi, né dare all'alleanza un significato decisivo in modo da farvi partecipare l'opinione pubblica non soltanto colla ragione, ma anche col cuore.

D'altra parte vari recenti fatti, come il processo svoltosi a Graz contro alcuni giovani triestini accusati di cospirare contro l'integrità della Monarchia, quello per spionaggio contro Colpi e per le dimostrazioni antislaviste avvenute in Trieste, nonché le aggressioni da cui gli italiani sia regnicoli che sudditi italiani erano fatti segno di frequente nelle provincie del littorale, da parte delle popolazioni slovene e serbo-croate, e la parzialità infine che sembravano dimostrare le autorità imperiali e reali verso questi elementi a danno di quello italiano, producevano da noi un'impressione spiacevolissima.

Si osservava poi che questi fatti erano in opposizione alle dichiarazioni di schietta amicizia fatte ufficialmente dai due Governi alleati e coi rapporti intimi che intrattenevano fra loro. Onde l'opinione pubblica si domandava se quei fatti stessi corrispondessero veramente alla realtà delle cose.

Era ben vero che tali questioni non erano che questioni interne della Monarchia, nelle quali la nostra opinione pubblica non avrebbe dovuto ingerirsi in massima. Ma non poteva negarsi che esse avevano una manifesta e naturale ripercussione sulla nostra opinione pubblica e contribuivano a mantenere uno stato di spirito, che, a torto, qui si prendeva per irredentismo, mentre non era che una legittima simpatia e sollecitudine per gli interessi dei nostri connazionali nella Monarchia.

Di questa specie di sentimentalità, che portava la nostra opinione pubblica ad occuparsi delle questioni suddette, non poteva non tenere il debito conto il R. Governo, come mi sembrava che da essa non potesse fare del tutto astrazione il Governo Imperiale e Reale.

Del resto tale sentimentalità, la quale si avvertiva nella nostra opinione pubblica erasi riscontrata pure in Germania, quando all'elemento tedesco della Monarchia si era tentati di fare un trattamento differente da quello dell'elemento czeco. Ed a questo proposito ricordai come i provvedimenti presi nel tempo dal Ministero presieduto dal conte Francesco di Thun a danno dell'elemento tedesco ed a profitto di quello czeco in Bosnia avessero provocato le giuste suscettibilità deli'opinione pubblica per fargli conoscere i sentimenti di cui era ora animata, sapendo la cura colla quale si adoperava a coltivare i migliori rapporti con noi, come vivo suo desiderio di contribuire a renderli sempre più intimi.

Il conte d'Aehrenthal mi rispose che non poteva naturalmente parlare meco delle quistioni in discorso in via del tutto accademica. E dopo avermi ringraziato delle cose riferitegli, mi disse che comprendeva l 'interesse che da noi si portava alle popolazioni italiane dell'Austria, ma che non era esatto che il Governo Imperiale e Reale non si fosse occupato di esse ed usasse a loro riguardo di un trattamento differente da quello adottato verso le altre nazionalità.

Non gli sembrava che da noi si tenesse abbastanza conto delle difficoltà non lievi che esistevano per risolvere la delicata questione della facoltà italiana, la quale si collegava con altre quistioni per le pretese simili che si accampavano con altre nazionalità, quale la slovena, la rutena e la czeca. Il Governo doveva adoperarsi a mantenere tra di esse un giusto equilibrio, pur cercando di soddisfare le loro domande nella misura del possibile ed in tempo opportuno. Ed in tal senso esso agiva ora per definire la questione suddetta col trattare coi vari partiti parlamentari per convincerli di coadiuvarlo ad eliminare l'opposizione che alla istituzione della facoltà italiana persistevano a fare i deputati sloveni.

Ammetteva che tale questione fosse stata trascurata in certo modo dal precedente Gabinetto e che il barone di Beck, nonostante le promesse fatte, non erasi occupato di essa come avrebbe dovuto, dando la preferenza ad altre quistioni da lui ritenute più urgenti. Ma poteva assicurarmi che il barone di Bienerth era animato dalle migliori disposizioni verso le popolazioni italiane dell'Austria e che aveva il fermo proposito di riuscire nell'intento che erasi prefisso dando soddisfazione alle loro dimande.

Sebbene fosse presidente del consiglio dei ministri per gli affari comuni all'Austria ed ali 'Ungheria, egli non poteva esercitare, contrariamente a quanto da noi si supponeva, alcuna azione in quistioni riguardanti l'organizzazione interna delle due parti della Monarchia. Onde non era in grado di usare delle sua influenza in favore dell'istituzione della facoltà italiana, questa essendo di esclusiva competenza del Governo austriaco. Ogni sua ingerenza in tal senso avrebbe potuto far credere che egli volesse attribuirsi un autorità, che non aveva ad essere più nociva che utile a quella istituzione.

Non poteva negare che sotto la presidenza del conte Francesco di Thun erasi notato nell'opinione pubblica della Germania una certa suscettibilità per alcuni provvedimenti presi dal Governo austriaco, i quali erano stati giudicati come poco conformi agli interessi delle popolazioni tedesche della Boemia. Ma in tale circostanza la stampa germanica non erasi occupata di quei provvedimenti interni della monarchia con quella insistenza colla quale era trattata dalla nostra stampa l 'istituzione della facoltà italiana.

Credeva che sarebbe stato più opportuno che la nostra opinione pubblica, siccome a più riprese mi aveva fatto notare per l'addietro, non si occupasse troppo come faceva di questioni riguardanti le popolazioni italiane d eli' Austria, perché ciò, oltre a non giovare alla soluzione favorevole di quella questione, avrebbe potuto essere considerato dalla opinione pubblica austriaca e dai vari partiti parlamentari quale un'indebita ingerenza negli affari interni della Monarchia.

Venendo poi a parlare dei processi, a cui io aveva accennato, il conte d'Aehrenthal, pur lamentando ch'essi fossero stati iniziati, osservò che, per le ragioni già espostemi, non poteva intromettersi in quistioni siffatte, queste esorbitando dalla sua competenza. E a tale proposito mi fece intendere alla sfuggita come in tali processi si dovesse ricercare più tosto la mano dell'autorità militare, alla cui azione egli non poteva opporsi.

li conte d'Aehrenthal manifestò quindi la fiducia che i voti d eli' elemento italiano potessero essere in breve soddisfatti coli' istituzione della facoltà italiana in Austria.

Dal modo col quale il conte d'Aehrenthal si espresse m eco e dali' interesse da lui dimostrato per la questione suddetta, appare chiaramente che egli si è occupato e si occupa più di quello che non vuoi fare credere della quistione stessa, quantunque dichiari che non sia di sua competenza, giacché è convinto, al pari di noi, che la soluzione di quella questione potrebbe influire molto favorevolmente sulle nostre relazioni e facilitare così il compito cui mirano entrambi i Governi. Ma naturalmente egli non può intromettersi in essa che colla maggior riserva per non compromettere, da un lato la sua situazione e non dar luogo, dall'altro, ad abiezioni da parte del Governo austriaco e dei partiti parlamentari, che potrebbero accusarlo di interessarsi ad una questione che non lo riguarda direttamente.

Quanto ali' allusione fatta dal conte d'Aehrenthal relativa ali' azione di queste autorità militari nelle quistioni che concernono l'elemento italiano in Austria, essa viene a confermare ciò che ebbi a far conoscere verbalmente ali 'E.V. durante la mia dimora a Roma.

686

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 454/11. Pietroburgo, 10 febbraio 1911, ore 19,17 (per. ore 20,50).

Signor Sazonoff, dopo avermi chiesto se avessi ricevuto notizie sulle cose di Albania, mi disse testé essere alquanto preoccupato per quelle a lui pervenute. Secondo le sue informazioni, risulterebbe che presentemente in Albania esiste grave agitazione e che vi si eserciterebbe su vasta scala contrabbando armi e munizioni. Non ne conosce, però, la causa e lo scopo. Ad aumentare sua preoccupazione veniva l'altra notizia del probabile ritiro delle truppe ottomane dall'Albania per essere mandate nello Yemen. Egli soggiunse che la Russia non ha interesse speciale nella detta regione, ma che, però, non poteva restare indifferente a tutto ciò per un ordine di cose generali e per la vicinanza Albania con Macedonia. Mi promise comunicarmi le ulteriori notizie che riceverà in proposito, esprimendomi in pari tempo desiderio che io facessi altrettanto da parte mia accennando come si interessi in simile questione.

687

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4561124. Pera, 2 febbraio 1911, ore 2,02 (per. ore 6,05).

Ambasciatore di Francia, parlando oggi con giornalista italiano si dimostrò preoccupato della tensione esistente fra noi e Turchia. Come amico dell'Italia la quale assumerebbe gravi responsabilità e potrebbe trovarsi isolata, lo pregò di telegrafare ai suoi giornali consigli di prudenza e di moderazione, non potendosi prevedere quali conseguenze, cominciando da massacri, potrebbe avere nelle presenti condizioni dell'Impero una nostra mossa che esacerbasse il sentimento nazionalista ed islamico della Turchia.

688

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, Dl SAN GIULIANO, AL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI Dl BARBERIA, PESTALOZZA

T. 378. Roma, 2 febbraio 1911, ore 23,55.

Sono state rivolte a codesto valì dal Governo ottomano vive raccomandazioni di mostrarsi con lei conciliante. Analoghe raccomandazioni rivolgo a V. S., specialmente in seguito alla soddisfazione avuta colla partenza del Guzman e tenendo conto della non facile situazione del Governo turco. R. Governo intende tutelare energicamente prestigio propri rappresentanti e nostri interessi costì, ma perché questa tutela sia efficace occorre non sia disgiunta da necessaria moderazione.

689

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 490/128. Costantinopoli, 2 febbraio 1911 (per. il 15).

Con dispaccio del 3 gennaio n. 3/P 171, V. E. approva i frequenti scambi di idee da me avuti coi miei colleghi di Germania e di Austria-Ungheria, a proposito delle nostre vertenze con la Turchia, nelle quali essi avevano, dai rispettivi Governi, istruzioni di prestarmi, occorrendo, appoggio e di manifestarmi, in ogni caso, il loro avviso. Soggiunge che, data la politica di perfetto accordo coi nostri alleati, nella quale il Governo di Sua Maestà si propone di perseverare in Oriente, siffatti scambi sono grandemente opportuni e non possono se non riescire di molta reciproca utilità. Esprime, pertanto, il desiderio che siano regolarmente continuati anche in avvenire, tanto più che, con l'accrescimento personale, essendosi provveduto a dare all'ambasciata un assetto normale, avrò tempo di vedere anche più di frequente detti miei colleghi.

Mi fo doverosa premura di assicurare VE. che non mancherò di corrispondere al desiderio che mi esprime. Sono, tanto col barone Marschall, quanto col

,

marchese Pallavicini, nei migliori termini personali ed ho ragione di credere che vengo da essi ripagato dei medesimi sentimenti di fiducia e di stima che professo a loro riguardo. Mi riesce, dunque, facile e piacevole ad un tempo mantenermi con essi in quel costante ed intimo contatto che, per il meglio degli interessi nazionali, V.E. desidera esistente tra me e loro. La grande esperienza che entrambi, ed il barone Marschall specialmente, hanno della Turchia rende i loro consigli od anche semplici loro pareri singolarmente preziosi. Il contegno che essi suggeriscono come l 'unico che giovi con i turchi, così ora coi Giovani come in addietro coi Vecchi, si riassume nelle due parole: paziente fermezza.

689 l Non pubblicato.

690

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 472/33. Londra, 3 febbraio 1911, ore 14,35 (per. ore 17,50).

Parlando mi jeri nostri recenti incidenti con Turchia, Grey mi ha confidato in gran segreto che notizia movimento nostre navi aveva reso oltremodo nervoso il Governo ottomano. Il quale ha fatto qui pratiche confidenziali invocando buoni uffici Inghilterra, ma per appianare difficoltà e distoglierci da eventuali provvedimenti di rigore. Grey ha risposto che in presenza [atteggiamento ]l così poco amichevole, fino ad ora tenuto dalla Turchia verso Inghilterra, egli non credeva di fare alcun passo per cavare i turchi dagli imbarazzi in cui si mettono coi loro procedimenti arbitrari a danno di sudditi esteri. Grey mi ha chiesto poi natura nostre doglianze contro la Turchia. Ho menzionato, in risposta, incidente di Hodeida ora in via di soluzione, nonché vessazioni, soprusi autorità Tripoli. Osservò egli che in situazione presso che identica trovansi sudditi britannici vilayet Bagdad, dove soprusi non meno gravi e frequenti vengono commessi a loro danno da quel valì.

691

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 473/34. Londra, 3 febbraio 1911, ore 14,35 (per. ore 17,50).

Regime armi. Mio telegramma 26'. Foreign Office mi ha comunicato risposta che si propone di dare eventualmente al momento opportuno Turchia. Ne in

691 l T. 305/26, non pubblicato.

vierò domani testo per posta2. Risposta sembrandomi piuttosto evasiva, ho chiesto oggi Grey se ero nel vero interpretando come indizio ripugnanza questo Governo iniziare negoziati proposti dalla Turchia. Rispose Grey mia interpretazione essere giusta. Negoziati sembrano a lui inopportuni, sia perché, nel corso di essi, potrebbero essere sollevate questioni delicate che non conviene discutere con Turchia, sia e soprattutto perché in questo momento Inghilterra ha speciale interesse risolvere anzitutto d'accordo con Francia complicata questione Mascate, a proposito della quale sarei indotto ritenere che intesa con Governo francese continua tuttora presentare qualche difficoltà.

690 l Integrazione del decifratore.

692

L'ADDETTO MILITARE A SOFIA, MERRONE, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO 1

R. RISERVATISSIMO l. Sofia, 3 febbraio 1911 (per. l'8).

Ieri -2 febbraio, festa per il diciassettesimo anniversario della nascita di Boris -il ministro conte de Bosdari consegnò il collare dell'Annunziata, inviato da

S.M. il Re d'Italia, a S.A. il Principe ereditario di Bulgaria.

Iersera al pranzo di palazzo -con intervento delle sole autorità politiche e militari della Bulgaria e dei dignitari di Corte -furono invitati anche il personale della legazione russa (lo czar di Russia è padrino di Boris) il ministro e l'addetto militare d'Italia.

Dopo pranzo, ebbi l'onore di essere trattenuto in lunga udienza prima da

S.M. -il Re e subito dopo dai principi Boris e Cirillo. l. -Del discorso di Sua Maestà, i punti principali furono: -suo grande attaccamento a Casa Savoia, a cui un altro legame oggi lo avvince, pel collare de li'Annunziata dato al principe ereditario diciassettenne;

-riconoscenza della Bulgaria per l'Italia, dove noti studenti bulgari e numerosa schiera dei più intelligenti ufficiali dell'esercito bulgaro hanno ottenuta valevole istruzione ed hanno seriamente potuto compiere o perfezionare i propri studi professionali;

-suo interessamento e compiacimento per la marcia di reale progresso della forza militare d'Italia; e suo occhio vigile nei Balcani, perché sente che la Bulgaria -pur non toccando l'Adriatico, ove sono molti interessi -potrebbe avere una missione da compiere nel corso di tali interessi.

692 I Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

2. S.A. il Principe ereditario volle ancora una volta gli parlassi dell'Italia ed ancora più lungamente della prima udienza. Toccò di sfuggita la questione degli armamenti navali d'Austria e d'Italia.

Di quanto sopra ho data comunicazione al ministro d'Italia conte Bosdari.

691 2 Cfr. n. 694.

693

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

D. 103. Roma, 4 febbraio 1911.

Mi pregio, ad ogni buon fine, di comunicare le qui unite copie di dispaccio 22 ottobre p.p. n. 7861 dirette al reggente del Governo dell'Eritrea sul traffico delle armi, e di rapporto che sullo stesso argomento mi indirizzò il colonnello Salazar in data li novembre u.s.I.

È ormai giunto il momento di prendere una formale decisione circa la via che ci convien seguire per il regime del commercio delle armi in Eritrea: se cioè alle misure attuali che ne vietano il traffico in modo assoluto non convenga sostituire altri temperamenti che, pur mantenendo in modo assoluto le misure proibitive entro i confini della colonia, non ci impediscano di introdurre con vantaggio pecuniario il nostro vecchio armamento in Etiopia.

La nostra presente attitudine non ha impedito finora e non impedirà per certo a quest'ultima di provvedersi d'armi e munizioni a suo piacimento. Che anzi alla Francia, finora quasi esclusiva fornitrice, stanno per fare concorrenza in questo traffico Germania e Giappone. Come dato di fatto poi, a meno che il Ministero della guerra non rinunci interamente con grave suo danno alla vendita dei vecchi Wetterly 70-87, questi finiranno per penetrare in Etiopia non o stante ogni nostra precauzione, seguendo la via di Gibuti: con che però il lucro di tali transazioni, anziché andare all'Erario dello Stato, andrà a mediatori stranieri: e di ciò si è fatto recente esperimento.

Il pensiero del Ministero della guerra è chiaramente illustrato nel foglio 23 gennaio a.c. n. 1245, qui unito in copiai.

Prescindendo da considerazioni astratte di scarsa pratica utilità, si tratta ormai di decidere se noi dobbiamo rinunciare a questo traffico perché si rischia di armare le popolazioni della Eritrea e quelle ad essa finitime in Etiopia. Ma conviene da un lato osservare che per la nostra colonia abbiamo modo di impedire ciò direttamente e per il Tigré e l'Agamé queste regioni si armeranno lo stesso sia che vi penetrino i nostri vecchi Wetterly o che vi penetrino vecchi Mauser te

693 I Non pubblicato.

deschi. Nel primo caso, potremo almeno fino a un certo punto controllare il munizionamento dei Wetterly, mentre non potremo farlo per un fucile estero. D'altronde poi ci sembra che non dovrebbe essere impossibile di escogitare pratici temperamenti per ridurre al minimo possibile i danni prevedibili: e VE. potrà utilmente portare la sua attenzione su questi particolari. Si tratta, però, di grave delicato provvedimento che ha il suo lato morale, ed io non mi accingerei a sottoporlo ali' esame del Consiglio coloniale e del Consiglio dei ministri, se non avessi in modo esplicito e categorico il parere di VE. Quello del conte Colli fu già da tempo richiesto e si può indirettamente dedurlo favorevole dal suo rapporto 31 dicembre 1910 n. 1182, qui unito in copia3.

694

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 187/68. Londra, 4 febbraio 1911 (per. il 9).

Facendo seguito al mio telegramma n. 341, ho l'onore di trasmettere all'E.V. la qui acchiusa copia della nota che mi è stata inviata dal Foreign Office circa la questione dell'intesa tra Turchia, Inghilterra, Francia ed Italia per la repressione del contrabbando nel Mar Rosso.

ALLEGATO

L'ASSISTENTE SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI BRITANNICO, LANGLEY, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

NOTA. Londra. 30 gennaio 1911.

On the 18th instant you enquired whether the Ottoman Govemement had approached His Majesty's Govemement as to their willingness to conclude an arrangement to which Italy and France should be parties for the purpose of settling the question of the treatement of dhows and other coasting vessels in the Red Sea, the Gulf of Oman, etc.

I have the honour to inform Your Excellency in reply that I have received no communication from the ottoman ambassador on the subject, but that when approached I propose to reply that His Majesty's Governement are anxious to do what they can to assist in preventing the smuggling of arms from ports under their contro! into Turkish territory and to enquire in what way they can afford help to the Ottoman Governement.

693 2 Cfr. n. 636. 3 Con R. riservato 3178 del l 7 marzo, non pubblicato, Salvago Raggi rispose che non si doveva cambiare condotta ed anzi vigilare rigidamente sul commercio delle cartucce. 694 I Cfr. n. 691.

695

IL VICE CONSOLE A TRIESTE, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 866/95. Trieste, 4 febbraio 1911 (per. l'8).

È tuttora viva la impressione destata dal discorso pronunciato il 31 scorso mese dall'on. Bartoli, deputato istriano, alla discussione sulla politica estera alla delegazione austriaca, impressione di compiacimento fra gli italiani, e di dispetto fra le autorità.

Specialmente indignato si è con me mostrato il luogotenente principe Hohenlohe attaccato in modo particolare nel discorso del Bartoli, la cui tesi, confortata da fatti noti a V.E., era certamente !egalitaria, poiché così la si potrebbe riassumere: nell'alleanza fra l'Italia e l'Austria-Ungheria le questioni sorte per le condizioni fatte alle popolazioni italiane dell'Austria sono assurte ad una singolare importanza, ed hanno spesso in tal modo turbato l'opinione pubblica si da rendere difficile ai due Governi di dominarla: per di più l'autorità militare esercita tale una influenza sul Governo centrale che ogni migliore sforzo del ministro degli esteri è paralizzato; perciò mostrando in che penosa situazione si trovino questi italiani il Bartoli invitava il Governo a stabilire un equilibrio fra le dichiarazioni sulla politica estera e la effettiva azione nella politica interna, indicando che col migliorare la situazione degli italiani che vivono in queste province si contribuirebbe a rendere più utile e fattiva anche di fronte alla opinione pubblica l'alleanza fra i due stati.

Unisco estratto del Piccolo del quale è contenuto il ricordato discorso!, e trasmetto alla r. ambasciata copia della presente comunicazione che ho avuto l'onore di fare all'E.V.

696

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 217/72. Il Cairo, 5 febbraio 1911 (per. il 20).

Come è noto a V.E. non potetti a suo tempo dar seguito al telegramma ministeriale n. 2767 del 12 ottobre scorso I, causa la mia improvvisa partenza dali 'Egitto per grave lutto domestico.

Del resto i rapporti fra il khedive e l'attuale Governo di Costantinopoli sono, per il momento, tutt'altro che amichevoli, per cui non era il caso di farlo agire a favore dei nostri progetti, circa le miniere di fosfati in Tripolitania.

Giorni or sono fui in udienza dal khedive e S.E. mi consigliò di discorrere della questione dei fosfati col principe Mohammed Aly Halim che da non molto è tornato da Costantinopoli e questi, il giorno appresso, per invito del khedive stesso, venne a trovarmi.

Il principe Mohammed Aly Halim, che gode di larghissimo censo, è un fervido aderente al regime giovane turco. Si assicura, anzi, che faccia parte del comitato Unione e Progresso, e, a Costantinopoli, dispone pure di notevole influenza.

Come è noto il principe Mohammed Alì Halim rappresenta il gruppo egiziano nel sindacato dei fosfati.

Senza esporre in dettaglio lo svolgimento dell'interessante colloquio che ne seguì, riferirò, qui appresso, la sostanza delle cose, comunicatemi dal mio interlocutore.

Il principe Mohammed Aly Halim mi disse che trovò a Costantinopoli, l'affare dei fosfati, completamente arenato, che il commendator Fernandez non è l'uomo indicato per trattarne, perché è sospettato dal Comitato di essere in relazione con lzzet El Abd; che il gruppo arabo, di Tripoli, non conta niente e uno dei componenti di esso è un noto hamidiano; che egli, il principe, fece premure presso il ministro dell'interno Talaat; questi, in tutta confidenza, gli fece sapere che la questione era stata avocata dal gran vizir Hakky pascià, il quale sosteneva un gruppo tedesco che aveva richiesto la concessione, allora il principe Halim si recò dal gran vizir a protestare, e la sua protesta ebbe effetto, poiché i tedeschi, sino ad ora almeno, non hanno ottenuto nulla; fra breve sarà presentata alla camera ottomana una legge sulle miniere la quale prescrive che le concessioni siano messe all'incanto; ma il principe ottenne la promessa che le miniere che saranno trovate dal sindacato non siano messe all'incanto; occorre ora attendere l'approvazione di questa legge; occorre soprattutto (affermò ripetutamente) che la

r. ambasciata a Costantinopoli si astenga da qualsiasi intromissione altrimenti l'affare trascinerà ancora per lungo tempo; se fra sei o sette settimane si vedesse che gli sforzi di Fernandez non approdano, sarà bene che Bresciani desista dalla sua domanda e che il principe stesso ne presenti una lui.

Osservai al principe che questa nuova eventuale domanda dovrà, ad ogni modo, esser fatta d'accordo col Banco di Roma. Al che S.A. replicò «certamente, perché siamo legati» e aggiunse, sorridendo, «malheureusement». A mia volta gli risposi che senza il Banco di Roma nessun affare avrebbe avuto probabilità di concludersi.

Il principe mi espresse quindi il desiderio di esser tenuto al corrente delle pratiche del commendator Fernandez, e manifestò la ferma speranza che tutto finirà bene.

La conversazione prese poi un carattere più generale e il principe Halim mi disse che il Governo ottomano diffida del Banco di Roma, dubitando che dietro di esso sia il Governo italiano; e i turchi, soggiunse, hanno ragione di temere che le Potenze vogliano aprire le porte economiche per entrare colla politica. Al gran vizir e a Talaat egli, però, aveva detto: «siate forti, armatevi e nulla avete da temere». E, soggiunse: «Vi dico francamente che non si è mandato un esercito in Tripolitania, ma si sono armate le popolazioni locali e creati depositi d'armi: duecentocinquantamila fucili».

Naturalmente ebbi cura di confutare queste opinioni del principe Halim. Gli dissi che il Governo italiano non ha alcuna aspirazione politica in Tripolitania, che il mantenimento dello statu quo e l'integrità dell'Impero ottomano costituiscono il caposaldo della politica italiana, che il R. Governo ha dato ripetute prove della sincera sua amicizia verso l 'attuale Governo ottomano, che tutta la nazione italiana è attratta da cordiale simpatia per il regime liberale dei Giovani Turchi, che la diffidenza da questi ultimi dimostrata contro di noi è segno di poca sapienza politica, che supponevo il R. Governo poco disposto a tollerare più oltre la sistematica opposizione alle iniziative economiche degli italiani e che, quanto ai fosfati, essi costituiscono soprattutto un interesse de li'agricoltura in Italia, la quale ha necessità di quel fertilizzante, e deve emanciparsi dalle miniere tunisine.

Aggiungo che il principe Halim si lamentò anche perché il Banco di Roma avrebbe comprato in Tripolitania per conto suo, terreni sui quali si suppone si trovino fosfati. Quei terreni, disse, sono stati venduti da individui che non ne sono proprietari e soggiunse che di ciò si sarebbe parlato in seguito.

Sarei di subordinato avviso che il commendator Pacelli debba, in via confidenziale, rendersi edotto di quanto precede, attirando specialmente la sua attenzione sulla eventualità accennata dal principe Halim di far desistere Bresciani dalla sua domanda e sulla allusione alla compera di terreni contenenti fosfati.

695 l Non si pubblica.

696 l T. non pubblicato, col quale si dava istruzione di far valere l'influenza del kedivè a Costantinopoli in favore della Società dci fosfati.

697

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 515/140. Pera, 6 febbraio 1911, ore 14,30 (per. ore 14,45).

Telegrammi dell'E.V. n. 393 e n. 4071.

Malcontento degli albanesi certamente grave. Se riusciranno a procurarsi armi, nuova insurrezione probabile Giovani turchi la paventano, riconoscendo errore commesso nel procedere coi modi violenti. Su tale previsione tollerano o favoreggiano riarmamento elemento musulmano.

697 I T. 393 del 3 febbraio e T. 407 del 4 febbraio, non pubblicati ma cfr. n. 686.

Ai cristiani giungerebbero fucili dal Montenegro e dicesi anche dall'Italia. Si sospetta poi delle intenzioni del re del Montenegro, che dicesi vorrebbe ingrandimento territoriale verso Scutari Albania e cercherebbe, con concedere ospitalità, con dare soccorsi e fornire armi, guadagnarsi popolazioni limitrofe in caso avvenga temporanea rioccupazione austriaca Sangiaccato, assai probabile date le ottime relazioni attuali fra la Monarchia e l 'Impero ottomano, nonché ripetute dichiarazioni di Aehrenthal per le quali Governo imperiale non teme, né sospetta presentemente dell'Austria-Ungheria.

698

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 67/23. Cettigne, 6 febbraio 1911 (per. il 16).

Col rapporto del 5 gennaio u.s. n. 1116', ebbi l'onore di comunicare all'E.V. le intenzioni del re Nicola circa la restituzione di alcune delle visite che aveva ricevuto da sovrani esteri o da loro speciali rappresentanti, in occasione del suo giubileo.

Successivamente nacquero a questo riguardo delle difficoltà. Si fece sapere da Pietroburgo che la precedenza data a Vienna non sarebbe stata ben vista dalla Corte russa, la quale reclamava per sé la prima visita.

Al re dispiacque siffatta esigenza, anzitutto perché gli pareva di fare atto troppo visibile di vassallaggio verso la Russia, cominciando, senza un particolare motivo, il suo giro di visite da essa, e poi perché non voleva mancare di riguardo al vecchio monarca dell'Impero confinante, per i cui Stati doveva passare, andando in Russia.

Sua Maestà ebbe l'idea per un momento di fare la prima visita ai nostri sovrani in Roma; così nessuno, per ovvie ed evidenti ragioni, avrebbe potuto lagnarsi. Ha poi mutato parere, e ieri mi ha detto in confidenza che era risoluto a rimandare le visite a più tardi, forse anche all'autunno, indotto in parte da motivi particolari e di famiglia, in parte da considerazioni d'indole politica.

Se realmente l'Albania avesse ad insorgere, come si va dicendo, prossimamente contro il regime turco, il Montenegro non potrebbe rimanere di fronte ad un fatto simile indifferente. Perciò il re Nicola crede non essere questo per lui il momento di assentarsi dal Paese, quando, cioè, gravi avvenimenti potrebbero da un giorno all'altro seguire alla frontiera.

Non garantirei che Sua Maestà sarà certamente per attenersi a cotale sua ultima disposizione. Potrà nuovamente mutarla e ritornare al primitivo proposito dei viaggi ali'estero nella imminente primavera. N o n mancherò, in tal caso, di informare V.E.

698 l R. riservato 11/6 del 5 gennaio, non pubblicato.

699

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO PERSONALE 68/24. Cettigne, 6 febbraio 1911 (per il 16).

Ho avuto ieri l'altro un lungo colloquio col re Nicola, il quale cominciò col dirmi che non intendeva parlare al rappresentante ufficiale dell'Italia ma all'amico personale, e che, perciò, non avrei dovuto ripetere a chicchessia quello che egli mi avrebbe confidato.

Riassumo qui appresso il suo discorso.

A giudicare dalle notizie che giungono dali' Albania, nonché da altri elementi di giudizio, l'astio degli albanesi contro i turchi, nato e cresciuto di recente per l'applicazione della legge comune a quella regione sta per scoppiare in aperta rivolta.

Gli albanesi rifiuteranno di sottostare alle esigenze del Governo ottomano, e questo vorrà ridursi ali'obbedienza con la forza, donde nasceranno sanguinosi conflitti ed atti di barbara violenza dei soldati turchi in più località. Questo sarà il segnale di una generale insurrezione, o, per lo meno, di una estesissima rivolta di tutta l'Albania.

Le misere popolazioni che abitano in vicinanza della frontiera montenegrina cercheranno senza dubbio un rifugio sul territorio di questo Stato, e lo cercheranno del pari i perseguitati cristiani di fede ortodossa e di razza serba dei distretti circostanti. Il Montenegro sarà allora trascinato dall'onda dei fuggiaschi e dagli incidenti che sorgeranno, a varcare il confine e marciare direttamente su Scutari da una via e su Ipek dall'altra. Non troverebbe sul suo cammino seria resistenza di truppe ottomane, poiché, dopo il ritiro dei battaglioni inviati al Yemen, poca forza è rimasta in Albania e dislocata a distanze relativamente grandi. Quando anche giungessero dei rinforzi al nemico dopo l'occupazione dei punti strategici più importanti, esso non riuscirebbe a sloggiarne i montenegrini, poiché, la orografia di quei luoghi è somigliante a quella del Montenegro, dove ogni picco è una fortezza naturale.

Se il Montenegro lasciasse sfuggire l'occasione tanto favorevole per raggiungere un ingrandimento territoriale che gli è necessario, non ne incontrerebbe un'altra mai più, e dovrebbe rassegnarsi a considerare come definitivi i limiti attuali rinunciando a qualunque speranza di un prospero avvenire. Quali condizioni concomitanti si potranno presentare un'altra volta migliori delle seguenti? La Turchia obbligata a far fronte, nel medesimo tempo, agli arabi del Yemen, alle bande macedoni, agli insorti albanesi ed al Montenegro, forse anche alla Grecia, certamente alla Serbia.

Riguardo a quest'ultima, Sua Maestà mi ha confermato in tutto e per tutto quanto ebbi l'onore di riferire all'E.V. col rapporto del 27 gennaio, n. 17', aggiungendo che la controproposta del Governo di Belgrado non fu, né poteva essere, accettata. È molto probabile che d'intesa più non s'abbia da parlare. Gettare le basi di essa al passaggio del re Pietro da Venezia in viaggio per Roma sarebbe stato leggerezza e sconvenienza ad un tempo. Argomenti di tanta importanza non si trattano così alla sfuggita, quasi furtivamente, fra un treno e l'altro, né sarebbe stato corretto di farlo in casa altrui. Nel re Nicola è sorto anche il dubbio che la bizzarra idea messa avanti da Belgrado possa larvare un rifiuto di prendere in considerazione la proposta montenegrina.

Del resto, egli ritiene che la Serbia, con o senza accordi col Montenegro, non potrà astenersi dall'intervenire colle sue forze il giorno in cui vedrà il Montenegro occupare territori turchi. Allora l'intesa verrà da sé.

Quali sarebbero -secondo Sua Maestà -le conseguenze di un'invasione montenegrina, delle province limitrofe? Non è difficile prevederle. La Turchia si troverebbe nella impossibilità di resistere efficacemente con l'impedire prima o respingere dopo l'occupazione.

Forse l'Austria-Ungheria entrerebbe nel Sangiaccato di Novi Bazar, e questo sarebbe il minor male. Ma essa potrebbe, inoltre, imporre al Montenegro di sgombrare i territori occupati, e rientrare nei suoi confini. Ciò sarebbe assai grave, ma i montenegrini non cederebbero, se non costretti con la forza delle armi. È mai supponibile che l'Austria volesse arrivare a tale estremità e che il mondo civile la lasciasse fare, ed assistere impassibile allo sterminio di un esercito cristiano per restituire al turco terre liberate?

La Russia si mostrerebbe indignata della campagna montenegrina ideata e condotta all'infuori del suo consiglio e contro la sua volontà. Ma poscia, meglio riflettendo, vedrebbe due cose, entrambe di natura da calmarla e riconciliarsi col vecchio e fedele alleato. La prima cosa sarebbe il successo di uno Stato slavo di strappare dal dominio ottomano contrade abitate da cristiani in massima parte, fra cui non pochi ortodossi. La seconda la sicurezza dei sentimenti del Montenegro, al quale, dopo il suo ingrandimento territoriale, non sarebbe certamente meno di prima devoto alla Russia. Per che motivo, dunque, dovrebbe essere contrariata ed offesa? È suo evidente interesse di tenersi stretta al Montenegro per ogni possibile eventualità dell'avvenire, e perciò non le conviene di guastarsi con lui.

Io mi sono permesso di contraddire in parecchi punti il mio augusto interlocutore, non potendo convenire né nella opportunità della vagheggiata impresa, né nella ammissione di certe ipotesi tutt'altro che probabili, né nella semplicità ed agevolezza di una conquista, la quale, toccando a svariati e molteplici interessi,

699 I R. confidenziale 42/17, non pubblicato.

di natura delicata, cui l 'Italia non è estranea, solleverebbe ardue questioni internazionali e potrebbe provocare complicazioni dannose anche per il Montenegro.

Contro il desiderio delle Potenze unanimi e concordi nel volere la conservazione della pace e dello statu quo nei Balcani -gli dissi -come potrebbe il Montenegro solo avventurarsi in un 'impresa tanto rischiosa ed audace con la fiducia di giungere ad un risultato felice e duraturo? Giuocare il tutto per tutto sopra una sola carta può una privata persona, rovinando, se perde, se stessa, ma non può chi rappresenta un popolo intero esporlo così alla estrema jattura.

Sua Maestà mi rispose che avevo ragione, ma che, ciò malgrado, vi sono momenti nella politica, in cui bisogna profittare, senza star tanto a riflettere; che se Garibaldi avesse pesato le sue imprese l'Italia oggi non esisterebbe; che io non avevo abbastanza calcolato la forza morale e l'effetto vantaggioso, per chi lo compie, del fatto compiuto.

Lo contraddissi anche su questo, e con la consueta sua bontà non se l'ebbe a male. Ho riferito esattamente all'E.V. le cose dettemi dal re Nicola, ma non posso dar termine al presente rapporto senza manifestarle su di esse la mia impressione.

Non escludo in modo assoluto la possibilità di prossimi avvenimenti più o meno conformi a quelli, onde mi fu tenuta parola: non sarei però affatto meravigliato se il buon senso e la prudenza prendessero il disopra nell'animo del re Nicola e lo consigliassero ad astenersi da atti inconsulti di carattere così pericoloso e di esito incerto.

Io non mancherò, per quanto starà in me, di perorare nei colloqui familiari, poiché Sua Maestà di queste cose solo familiarmente mi parla, e domanda pareri, la causa della pace, perché essa unicamente a noi conviene. E ciò facendo credo di esattamente interpretare il pensiero di VE.

700

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 184/47. Sofia, 6 febbraio 1911 (per. il 14).

Ha passato alcuni giorni a Sofia il signor Noel Buxon presidente del Balcan Committee. Affidatosi alle mani del ben noto corrispondente balcanico del Times Mr Bourchier, egli fu posto in relazione con quegli uomini di Stato bulgari (fra cui primeggia il Danefl) che son noti come meno avversi a qualche intesa coi Giovani turchi.

Poiché, a quanto mi afferma il Bourchier, è in questo unico senso che si esplica ormai l 'azione di quel famoso Comitato, la cui influenza nel mondo politico inglese è stata in altri tempi indiscutibile. Oggi la sua importanza è minore sia perché, in generale, l'influenza inglese nei Balcani, per complessi motivi che sarebbe troppo lungo l'esporre qui, è andata scemando in questi ultimi anni; sia perché il Comitato ha voluto ostinarsi in idee che se potevano avere illuso alcuni quando avvenne due anni or sono quel sembiante di rigenerazione della Turchia, hanno poi dovuto, per ogni spirito pratico ed osservatore, essere radicalmente modificate.

Quindi è che l'azione del Buxton in Bulgaria è stata ora (a quanto mi si afferma) assolutamente nulla. E difatti se si può pretendere, ed anche ottenere, che la Bulgaria si tenga tranquilla e non turbi con moti inconsulti la pace europea, sembra esagerato il volerla spingere nella via di una intima intesa colla sua nemica secolare. Soprattutto quando le notizie che ogni giorno qui giungono dalla Macedonia, accennano a nuove prepotenze e a nuovi orrori, tali che, al dir di molti, non potranno tardare a metter quelle popolazioni in uno stato di eccitazione irrepremibile.

Il Bourchier si lagna che il Times sopprima il meglio delle sue corrispondenze dalla Macedonia, e lamenta la cospirazione del silenzio che la stampa europea continua a mantenere, per tutto ciò che concerne gli orrori che hanno presentemente luogo in quei disgraziati Paesi. Egli attribuisce tale attitudine alle relazioni dei Giovani turchi cogli elementi israeliti e massonici dell'Europa, e deplora che il suo giornale, in altri tempi campione della verità e della libertà, si sia ridotto a far la parte di un giornale officioso che prende la imbeccata dal Foreign Ojfice come una qualsiasi Neue Freie Presse.

Ma, a suo credere, questo silenzio voluto non potrà a lungo nascondere la verità, né, ad ogni modo, bastare a reprimere il tuono d'ire e di rancori che si va formando in Macedonia.

Noto che questo linguaggio del giornalista inglese coincide con quanto si ode sull'argomento, dal tono dei membri del Governo bulgaro.

PS. Pare che le lamentanze del Bourchier contro il suo giornale non sieno del tutto giustificate, visto che al momento di spedire il presente rapporto trovo nel Times l'acclusa corrispondenza sugli affari macedoni, la quale riassume quanto il Bourchier mi ha detto sugli avvenimenti di colà.

701

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 240/31. Budapest, 7 febbraio 1911 (per. il 14).

Faccio seguito al rapporto n. 29 di ieri t.

A quest'ora V.E. ha avuto completa notizia del discorso con cui il conte d'Aehrenthal ha replicato ieri ai vari oratori in seno alla commissione per gli esteri della delegazione ungherese.

Tre punti essenziali conteneva il discorso: nuova assicurazione che il convegno di Potsdam non porta seco la menoma variazione negli aggruppamenti europei, riconferma della inanità delle voci che l'aumento della flotta si voglia sia per compiacere la Germania sia per tenersi in guardia dall'Italia, e finalmente solenne dichiarazione che la politica austro-ungarica in Oriente mira al «pacifico indipendente sviluppo della Turchia e degli Stati balcanici». Tali tre punti sono, secondo il solito, ripresi e sviluppati da questa stampa che, come rispondendo a una parola d'ordine, non aggiunge di proprio né riflessioni né commenti alle argomentazioni del ministro. Pur si sente che vi è nell'aria come una diffusa incertezza per quel che possa significare e portar seco in futuro il riavvicinamento russo-germanico.

Dopo il conte d'Aehrenthal, parlò nuovamente il re latore conte Wickenburg per rilevare con soddisfazione che, come si scorgeva dalle parole del ministro, la Triplice Alleanza è oggi più salda che mai. L'oratore ricordò e volle far proprie le parole dette da V.E. nel nostro Parlamento circa il punto di vista dal quale van guardati i reciproci armamenti navali, perché -così citò il conte Wickenburg-le misure destinate ad aumentare la potenza militare dello Stato non solo servono al mantenimento della pace ma rafforzano l'insieme dell'alleanza.

La commissione approvò il bilancio degli esteri. Questo, che era già stato approvato giorni sono dalla commissione austriaca, non ha ora da subire la parata delle riunioni plenarie le quali da molti decenni non hanno fatto che ratificare il voto delle commissioni.

Si può dire quindi che il conte d'Aehrenthal abbia superato la prova delle delegazioni attuali, se pur prova può chiamarsi. Nel suo discorso di ieri il ministro ricordava la politica orientale di Kalnoky e del vecchio Tisza, della quale affermavasi continuatore. Questi nomi richiamano alla memoria una ben altra epoca del parlamentarismo ungherese, quando, sia alla Camera sia alla delegazione magiara, le discussioni di politica estera costituivano il pensiero dirigente nella Monarchia.

L'attuale delegazione ungherese non si è rilevata superiore al Parlamento da cui è uscita; questo si mostra ogni giorno più impotente nella trattazione dei problemi di amministrazione interna; quella non ha fornito né un criterio né un apologista il cui pensiero valesse la pena di essere raccolto.

70 l l R. 233/29, non pubblicato.

702

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 554/37. Londra, 8 febbraio 1911, ore 15,31 (per. ore 18,10).

Nicolson mi ha detto in via confidenziale non essere esatta notizia giornali francesi di iniziati negoziati tra Inghilterra e Turchia partecipante Francia circa ferrovia Bagdad. Rifaat pascià ha, è vero, due volte accennato proposte concrete che Turchia avrebbe presentate, ma poi né lui, né Tewfik pascià hanno più aperto bocca. Inghilterra, dispostissima intendersi non solo con Turchia, ma anche con Germania, attende con calma conoscere rispettive intenzioni. Tutto ciò mi è stato confermato da Tewfik pascià. Sua Altezza aveva aria piuttosto annoiata per infondate notizie francesi rivelanti secondo lui tendenze Governo francese intromettersi in eventuali negoziati anglo-turchi prendendo «a priori» posizione per preparare realizzazione sue aspirazioni a riguardo avvenire rete ferroviaria in Siria. Circa Mascate Nicolson mi disse aver dichiarato a Cambon essere qui pronto iniziare conversazione.

703

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 561/15. Belgrado, 8 febbraio 1911, ore 18,30 (per. ore 20,25).

Credo, ad ogni buon fine, portare a notizia della E.V. che, secondo informazioni pervenute a questo Governo, sarebbe credenza a Costantinopoli che l'Italia incoraggia Montenegro nel favorire insurrezione albanese. Ministro degli affari esteri è sempre dello stesso avviso circa cause attitudine Montenegro. Egli è assai preoccupato avvenimenti che dovrebbero svolgersi prossima primavera, poiché, se Montenegro entra in azione, sarà difficile impedire che Serbia ed altri Stati balcanici non seguano stessa linea di condotta. Mi disse che re Nicola avrebbe desiderato re di Serbia lo visitasse al suo ritorno da Roma ed avrebbe espresso desiderio che Milovanovié in ogni modo si rechi Cettigne. Ministro degli affari esteri, però, non crede opportuno sua visita Montenegro data importanza che, nella situazione presente, sarebbe ad essa attribuita. Nonostante energiche raccomandazioni del Governo russo per calma e moderazione, ritengo infatti difficile che, qualora Montenegro cominci ostilità, Serbia possa restare indifferente senza pregiudicare sue aspirazioni nella questione nazionale.

704

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CIFRATO RISERVATISSIMO 212/72. Londra, 8 febbraio 1911.

Vari recenti colloqui con eminenti personalità politiche, hanno confermato mia impressione circa ottima disposizione qui ora prevalente per giungere con Germania ad una intesa completa circa Bagdad e altre controversie pendenti, lasciando all'infuori questione limitazione armamenti, della quale si potrebbe tutto al più eventualmente discorrere in futuro come naturale conseguenza ristabilita cordialità fra i due Paesi. Uno dei membri più autorevoli del Gabinetto, mi ha detto essere ferma intenzione del Governo mantenere, consolidare intimità relazioni con Francia, ma nulla trascurare profittando manifesta accentuata tendenza opinione pubblica liberale per intendersi con Germania «con la quale» disse « è nostro vivo desiderio di stabilire relazioni cordiali equivalenti a quelle di due privati che si invitano reciprocamente a pranzo». Le formale per raggiungere lo scopo non sono difficili a trovarsi se da ambo le parti si è animati da buon volere e sincerità di intenti. Risultato favorevole dovrebbe essere salutato con gioia di tutte le Potenze come quello che, dirandando nuvole che costituiscono ora malsani incubi su tutti, offrirebbe migliore e più sicura garanzia mantenimento pace europea. A proposito dei recenti articoli del giornale Daily News, personaggio ha spontaneamente dichiarato, e Nicolson successivamente confermato, non esistere fra Londra e Parigi accordo di indole militare.

Senza, ben inteso, citare nomi né particolari, ho creduto comunicare queste mie impressioni a Metternich. Egli mi ha molto ringraziato osservando aver anche lui constatato migliorate disposizioni. Ha aggiunto che suo Governo animato com'è da disposizioni egualmente amichevoli e concilianti, non vuole agire con soverchia precipitazione, ma non lascerebbe certo passare una propizia occasione che si presentasse per iniziare proficue conversazioni con Inghilterra. Impressioni analoghe alle mie, ha ricevuto conte Mensdorff il quale ne ha prevenuto Metternich e ne ha scritto anche ad Aehrenthal per il caso in cui creda renderne informato Berlino. A me però Metternich ha fatto effetto di essere incerto, esitante, e tuttora dominato da quello scetticismo che VE. ben conosce. Ho notato che mentre tutti indistintamente miei interlocutori inglesi hanno accentuata intenzione cattivarsi sempre più amicizia Francia, nessuno ha nemmeno lontanamente accennato alla Russia. Del sentimento di esitazione, incertezza già da me segnalati non disgiunti nemmeno da qualche preoccupazione circa situazione generale europea e politica inglese, mi pare si scorga chiara indicazione nelle poche parole pronunziate avantieri da Lord Crewe e del quale non sarà nemmeno fuggito a VE. accenno al punto di vista politico macedone.

705

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 498. Roma, 10 febbraio 1911, ore 14,30.

Il r. ministro a Belgrado mi telegrafai che, secondo informazioni giunte a quel Gabinetto, sarebbe credenza a Costantinopoli che l'Italia incoraggia il

Montenegro, nel favorire insurrezione albanese. Comunico questa not1z1a, in relazione a quella riferita nel telegramma di V.E. n. 1402, perché ella vede se non sia il caso di farle entrambe oggetto di smentita formale, assicurando una volta di più che nostra mira e nostro interesse è di mantenere la pace e lo statu quo nei Balcani.

705 l Cfr. n. 703.

706

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 606/157. Pera, 11 febbraio 1911, ore 2,30 (per. ore 15,10).

Il barone Marschall mi ha detto che questi circoli governativi, coi quali si trova attualmente in stretti rapporti, sono assai irritati contro l 'Inghilterra per le note dichiarazioni governative alla Camera dei lords a riguardo della Macedonia. Egli non nega che vi possano essere stati atti deplorevoli commessi da soldati turchi, ma ritiene che tali atti sono generalmente provocati dai bulgari stessi. Non sa se contro tali provocazioni non reagirebbero gli stessi soldati tedeschi pur così disciplinati. Un altro motivo di irritazione, non ancora dimenticato, contro il Governo inglese è il divieto che impose a sir Ernesto Casse] di intervenire finanziariamente per mezzo della Banca Nazionale a favore della Turchia nel più recente 1 imbarazzo. Nonostante il divieto stesso fosse stato domandato dai francesi, l'odiosità ne grava sul Governo britannico. I francesi invece vanno riguadagnando rapidamente terreno ed è bene che sia così: perché le finanze ottomane, secondo Marschall, migliorino, il risparmio francese non deve abbandonare le vie della Turchia. La stampa nazionalista continua a inveire contro l'Inghilterra e critica aspramente i giornali ministro esteri (?) 1 che tendevano a riconoscere gli errori del Governo ottomano in Macedonia. Il Tanin, sebbene, violentissimo, accenna ad un possibile malinteso, per il quale l 'Inghilterra supporrebbe i Giovani Turchi fautori di una lega islamica nelle Indie ed in altri paesi soggetti al dominio britannico ed augura che i due Governi si spieghino e si intendano. Il Governo otto mano accusa l 'Inghilterra di avere destata e di favorire l 'insurrezione dell'Yemen.

706 l Così nel documento.

705 2 Cfr. n. 697.

707

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. UFF. COLONIALE 513. Roma, 11 febbraio 1911, ore 11.

Colli telegrafa imminente designazione missione etiopica che si recherà Londra per incoronazione. Effettuandosi così eventualità prevista codesto ministro esteri e riferita telegramma V.E. n. 170 del 24 agosto 1910 1 , ho telegrafato Colli2 fare passi opportuni d'accordo suoi colleghi Francia Inghilterra perché missione visiti anche Roma Parigi. Voglia informarne codesto ministro affari esteri. Ho analogamente telegrafato Parigi3.

708

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 618/44. Vienna, 11 febbraio 1911, ore 19,10 (per. ore 20,40).

Telegramma di V.E. confidenziale n. 4521. Per affermare che rioccupazione Sangiaccato Novi-Bazar per parte dell'Austria-Ungheria sarebbe in questo momento «assai probabile» qualora il Montenegro realizzasse sue intenzioni ingrandimento territoriale verso Scutari d'Albania ed una nuova insurrezione scoppiasse in Albania, converrebbe, mi pare, darne la prova con dati positivi non forniti da Mayor. Per ciò che mi riguarda, posso dichiarare a V.E. che non rilevai finora indizio qualsiasi che potrebbe far constatare che quella rioccupazione sia veramente probabile in questo momento, nè in vista di essa venne qui preso finora alcun speciale provvedimento militare, a quanto mi ha assicurato questo addetto militare. Nello stato attuale delle cose, Austria-Ungheria non sembra avere intenzione di modificare politica, calma, prudente, basata sul principio del non intervento che segue nel vicino Oriente e che le è dettata dai vitali interessi della Monarchia, i quali la inducono, sia per ragioni interne che è ovvio qui ripetere, sia per ragioni internazionali, a mantenere lo statu quo in Turchia consolidando il nuovo regime e a non intraprendere qualsiasi azione espansivista nei Balcani. Né è da

2 T. 516, pari data, non pubblicato.

3 T. 514, pari data, non pubblicato. Per la risposta cfr. n. 728.

supporre che l'Austria-Ungheria sarebbe disposta a dipartirsi da tale politica, qualora un intervento armato del Montenegro in Scutari Albania si producesse in seguito ad un moto insurrezionale in Albania.

Aehrenthal ha dichiarato, infatti, a più riprese, se ufficialmente a S.E. Tittoni ed a me stesso che, nel caso che complicazioni o conflitti avvenissero nei Balcani, l'Austria-Ungheria non interverrebbe, ma seguirebbe stessa linea di condotta adottata durante la guerra greco-turca e si concerterebbe anche al riguardo colle altre Potenze. L'Austria-Ungheria, infatti, non ignora che un suo intervento, col sollevare questione d'oriente, potrebbe provocare gravi complicazioni di cui essa per la prima risentirebbe le conseguenze. Ma, prescindendo dalle dichiarazioni suddette, non è da presumersi che Aehrenthal possa maturare ora proposito accingersi, senza ragioni plausibili, ad una avventura simile al momento in cui fa ogni maggiore sforzo per dissipare sospetti che si nutrono tuttora in Russia per mire espansionistiche che si attribuiscono alla Monarchia nei Balcani al fine di rendere più tàcile il riavvicinamento con quella Potenza. Supposizioni, quindi, che Austria-Ungheria possa avere in questo momento velleità rioccupare Sangiaccato e che la Turchia abbia consentito tale rioccupazione non potrebbero non essere considerate: la prima come infondata, la seconda come del tutto immaginaria.

Rioccupazione Sangiaccato per parte dell'Austria-Ungheria potrebbe forse avvenire qualora complicazioni in Oriente coli'estendersi rendessero impossibile mantenere lo statu quo e facesse prevedere imminente disfacimento dell'Impero ottomano. In tal caso, o ve Serbia tentasse di minacciare Sangiaccato, l'AustriaUngheria sarebbe costretta dalla forza delle circostanze ad occuparlo, contrariamente alle sue dichiarazioni, perché non potrebbe permettere che la sua frontiera orientale fosse chiusa in seguito alla formazione di un gran regno serbo, il quale per attrazione che eserciterebbe sulle numerose popolazioni serbe della Monarchia costituirebbe un pericolo permanente per essa.

Tale eventualità, però, non è da prevedersi per ora. Ma, ove si effettuasse in avvenire, sarebbe allora venuto il momento di scandagliare qui terreno sulla questione di eventuali compensi contemplata dai nostri accordi.

707 1 T. 2755/170, non pubblicato.

708 1 T. del 7 febbraio, non pubblicato.

709

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Berlino, 12 febbraio 1911.

Nel corso di una visita da me fatta ieri a von Kiderlen, questi tornò sulla questione che evidentemente lo preoccupa dei nostri incidenti colla Turchia. Al quale proposito egli mi diede lettura di un lungo rapporto di Marschall, dicendo che questo non era per essere comunicato al mio Governo, ma per esclusiva informazione mia personale. Questa raccomandazione non può naturalmente impedirmi di riferirne a lei. Ho quindi cercato di ricostruire di memoria i termini di quel rapporto e qui unito le comunico un sunto che ne ho fatto e che credo sia sostanzialmente esatto, se pure posso aver dimenticato qualche dettaglio. Anche per questo motivo, la prego perciò a mia volta di voler tenere per se la presente comunicazione, dovendosi evitare di mettere in giro ciò che può sembrare un testo e che non è, e che passando per altre mani potrebbe dar occasione ad increscevoli malintesi.

Il contenuto del rapporto non è del resto cosa nuova e può esser da lei considerato come una semplice conferma un po' più dettagliata di quanto le è già noto per la mia corrispondenza ufficiale, del modo in cui quei nostri affari vengono apprezzati dal Governo tedesco e dal suo ambasciatore in Costantinopoli. Spogliati dalle circonlocuzioni che impone la politica e l'amicizia per noi, si vede che il suo parere è in sostanza: che negli incidenti considerati in se stessi, i maggiori torti stanno dalla parte del nostro console; e che la loro importanza complessiva non è tale da giustificare l'attitudine da noi adottata. Non ho mancato dal canto mio di far valere come meglio potei il punto di vista indicato dalle mie istruzioni (per quanto queste non mi avessero fornito elementi di risposta su certi dettagli) ma ben mi sono accorto che von Kiderlen ne rimaneva poco persuaso. Sarebbe inutile dissimularsi del resto che incidenti a parte -l'idea qui predominante è sempre quella di proteggere la nuova come già la vecchia Turchia, nella quale si vede una eccellente «vache à traire». Si può discutere su quell'idea, ma non si può fare a meno di tener conto del fatto che essa continua a formare un cardine della politica tedesca; né essa sarà certamente abbandonata in questo momento nel quale sta forse per decidersi l'affare di Bagdad.

Passando ad altro e precisamente a quest'ultimo affare, devo dirle che mi trovo ora un poco at sea circa la fase che esso sta attraversando. A sentire i giornali sarebbero aperti o per aprirsi negoziati fra Londra e Costantinopoli, ma non mi rendo conto di ciò cui possono attualmente mirare. Qui pretendono nulla saperne ma è d'altra parte evidente che l'Inghilterra nulla potrà ottenere dalla Sublime Porta se non per la via di Berlino. Così per i negoziati ferroviari francoturchi di cui tanto si parla, non mi è finora riuscito saper nulla di un po' positivo. Su questi argomenti attenderò per scriverne di avere in mano qualcosa di concreto; ma ho l'impressione che in tutti quei discorsi dei giornali vi sia una gran parte di stuffing.

A proposito di discorsi, avrà veduto nella Konische Zeitung la rettificazione di quello tenuto da Tittoni al municipio di Parigi. È una rettificazione che feci io inserire per mezzo di questo Dipartimento esteri, in seguito a pressanti telegrammi che mi giunsero da Tittoni stesso. In buona regola la cosa avrebbe dovuto passare pel tramite del R. Ministero. Ma tutto considerato, ho pensato di potervi dar corso senz'altro, tanto più non avendo trovato qui alcuna difficoltà. Mi sono anche astenuto d'informarvela d'ufficio, ma mi limito a darlene ora questo cenno, e scarico dalla mia coscienza professionale di vecchia scuola. A questo Dipartimento esteri furono a loro volta un po' seccati di dover rettificare il discorso di Muhlberg sui rapporti colla Santa Sede. Ma giacché i diplomatici ali' estero hanno il diritto, per non dire il dovere, di tacere, perché rinunciare alla libertà del silenzio? Uno, per esempio, che non ne approfittò abbastanza fu il Bernstorff coi suoi discorsi a getto continuo nei banchetti americani. Ella non avrà forse avuto occasione di osservare che la sua eloquenza si è inaridita ad un tratto. Ciò fu davanti a Kiderlen il quale, in seguito a non so quale noja procuratagli da una di quelle effusioni inter pocula, gli fece dire: «Wenn diese Sauf und Rede Politik nicht aufhort, dann wird Er selbst bald aufhoren»! Questo segretario di Stato è un po' brutale, ma almeno con lui si sa sempre quel che vuole dire se mi riuscirà di attirarlo a Roma per la prossima Pasqua, sono sicuro che le interesserà di conoscerlo personalmente!

L'imperatore e l 'imperatrice sono entrambi a letto con raffreddore. Spero però che saranno guariti pel 23, avendo essi accettato di assistere ad una cenaballo all'ambasciata insieme ad una ventina fra principi e principesse, per quella seral.

710

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 394/198. Vienna, 12 febbraio 1911 (per. il 25).

Il Vaterland ha pubblicato ieri un articolo (che V. E. troverà qui unito )1 sulla tensione dei nostri rapporti colla Turchia.

Il giornale conservatore riassume la situazione creata in seguito agli ostacoli messi dal Governo ottomano alla nostra penetrazione pacifica in Tripolitania e riconosce che, se a Costantinopoli non si diventa più ragionevoli, può seguirne una crisi.

«In ogni caso», conclude, «i rapporti italo-turchi sono ora tali da non fare intravedere come probabile una pronta soluzione amichevole. Del resto anche la Francia e l 'Inghilterra preferirebbero di avere per vicini gli italiani, anziché i turchi, poiché in tal guisa un nuovo cuneo europeo si conficcherebbe nel mondo mussulmano d eli' Africa settentrionale e quindi la coesione maomettiana sarebbe spezzata definitivamente».

710 l Non pubblicato.

709 l Per la risposta cfr. n. 723.

711

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 640/49. Vienna, 13fèbbraio 1911, ore 20,15 (per. ore 22,30).

Nel colloquio avuto oggi col conte Aehrenthal, discorso essendo caduto sulla situazione in Macedonia e Albania, egli mi ha detto che non giudicava situazione stessa in modo molto ottimista, ma non era, a suo avviso, tale da poter dar luogo a preoccupazioni. Sebbene esistesse tra tribù albanesi certo malcontento, non gli constava che vi fosse tra esse viva agitazione. Gli era stato riferito che si importavano ora in Albania armi. Però non credeva che queste sarebbero state sufficienti indurre quelle popolazioni promuovere movimento insurrezionale, autorità turche avendo potuto già ritirare nelle ultime loro operazioni numerose armi. Non gli risultava, d'altra parte, che Montenegro avesse, in questo momento, intenzione muoversi e che tra quel Governo e Governo bulgaro esistesse intesa per un' azione comune nei Balcani, quantunque si avvertisse tra loro un certa in .fil. Però se avvenimenti nel Yemen si aggravassero e Turchia fosse stata quindi costretta ritirare numero considerevole truppe dalla penisola balcanica, ciò avrebbe potuto fornire, forse, occasione a torbidi in Macedonia e Albania. Nello stesso senso, egli erasi espresso col Giers che mi disse considerare situazione attuale Balcani al pari di lui con molta calma.

712

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 14/57. Sofia, 14 febbraio 1911 (per. il 21).

Ho l'onore di accusare ricevimento a V. E. del dispaccio in data 7 corrente Direzione generale degli affari politici -div. 3° sez. -pos. 75/11, in cui V.E. mi fa l'onore di chiedermi il mio modo di vedere circa le cose esposte da S.E. il marchese Imperiali in suo rapporto in data 18 gennaio n. l 03/3 72.

Su molti dei punti ivi accennati ho già implicitamente risposto in alcune delle più recenti comunicazioni che ho avuto l'onore di fare a V.E., e mi permetto soprattutto di ricordar! e il mio telegramma n. 12 dell' 8 corrente3, il mio rapporto

n. 4 7 del 6 corrente4 e quello del 18 gennaio n. 295.

2 Cfr. n. 664.

3 T. 547/12, non pubblicato.

4 Cfr. n. 700.

s Non pubblicato.

Confesso che mi cagiona una certa sorpresa di leggere in una comunicazione da Londra che si possa discutere, come di una evenienza probabile e di cui il mondo politico possa fin d'ora preoccuparsi, di una guerra turco-bulgara; questa frase non oserei io scrivere da qui; tanto mi par di scorgere nella Bulgaria un Paese poco preparato e, nel complesso, poco volonteroso di scendere in campagna.

Ricordi V.E. gli avvenimenti della scorsa estate, i profughi macedoni invitati (e fra parentesi lasciati poi pressoché morti di fame) sul territorio bulgaro, le dimostrazioni clamorose davanti alle legazioni estere, e ricordi soprattutto l'immobilità stupefacente della Bulgaria in un momento in cui la crisi costituzionale dell'Impero ottomano poteva rendere facile l'impresa di una passeggiata militare dell'esercito bulgaro a Costantinopoli.

Se la Bulgaria non si mosse in quelle circostanze, non vedo perché dovrebbe muoversi ora coll'esercito indebolito dalla finanza democratica del Gabinetto Malinoff, coi mercati finanziari esteri praticamente chiusile, colla situazione interna turbata e compromessa dalla sciagurata mania delle persecuzioni politiche.

Del resto vedo che sir Edward Grey, oggi non più informato dalla Bulgaria da un ministro agitato ed allarmista (il Findlay testé trasferito a Cristiania -rapporto di questa legazione 5 dicembre u.s. n. 369)5 ma da uno spirito calmo e riflessivo quale è l'attuale incaricato d'affari britannico mister Lindley, ha considerato con grande freddezza l'ipotesi presentatagli del r. ambasciatore.

E lo stesso mister Bourchier, le cui corrispondenze al Times sembrano essere state l'origine dei timori espressi dal marchese Imperiali a sir Edward Grey, nella lunga e minuta conversazione che egli ebbe con me (mio rapporto n. 47 precitato) si guardò bene dal pronunziare la frase guerra turco bulgara, e si limitò ad accennare alle sevizie usate dalle autorità turche in Macedonia come a probabile motivo di futuri disordini e sollevazioni nell'Impero ottomano.

Se egli diversamente scrisse a Londra io non so: in ogni caso ben fece il Times a sopprimere le frasi che eventualmente alludessero a possibili complicazioni derivanti da mosse bulgare.

Credo di averlo già detto a V.E., ma non voglio astenermi dal ripeterlo qui: se quistione bulgara vi è essa risiede a Costantinopoli e non a Sofia. E debbo aggiungere che dovranno essere ben gravi, e ben diverso e diversamente importanti dagli usuali, quegli avvenimenti che potranno distogliere la Bulgaria dalla sua attitudine essenzialmente pacifica come Monarchia e come Governo. Dico come Monarchia e come Governo ricordando e confermando quanto già accennai nel mio precitato telegramma n. 12, che cioè elementi di disordine e di rivoluzione non mancano qui in seno dello stesso Gabinetto. Ma non saranno certo quelli che prevarranno mai qui, finché duri la presente maniera di vivere dello Stato bulgaro, in tutto ciò che concerne le cose della guerra e della politica internazionale.

Se altri poi (secondo quanto sembra volere accennare il marchese Imperiali sulla fine del proprio rapporto) alla mia frase che la quistione bulgara risieda a Costantinopoli volesse aggiungere che essa può risiedere anche a Vienna, e ciò non in forza di avvenimenti sottraentesi al controllo dei governanti ma di ben ponderato e ben calcolato svolgimento di un programma di politica imperialista, questi altro non farebbe che dare corpo e fondamento ai sospetti che la politica austriaca non cessa di sollevare qui e che io ho sempre avuto cura di segnalare a VE: anche ultimamente col mio rapporto 6 febbraio n. 50.

Oltrepasserebbe però la mia competenza ed i mezzi di informazione di cui qui dispongo lo stabilire se chi volesse fare una simile aggiunta alla mia formula, potrebbe trovarsi nel vero.

712 l Non pubblicato.

713

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 685/16. Addis Abeba, 15 febbraio 1911 (per. ore 15 del 16) 1.

A rappresentare questo Governo per incoronazione sovrano Inghilterra è stata destinato certo degiac Cassa, nipote defunto ras Darghiè, parente dell'imperatore e cugino del Gugsa Darghiè. Degiac Cassa è persona insignificante e sua scelta esclude ogni carattere politico alla missione. Governo etiopico è desideroso che missione si rechi pure costì, ma, prima di iniziare pratiche in proposito, mi è necessario sapere se codesto Governo intende che visita abbia carattere ufficiale2.

714

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, GUICCIOLI

D. 2. Roma, 15 febbraio 1911.

Rispondo ai rapporti n. l, 7, 24 del 3, 6, 16 gennaio p.p.I, circa spedizioni di armi dal Giappone.

2 Non è stata rinvenuta la risposta nei registri dei telegrammi in partenza. Nel comunicare questo telegramma a Parigi (T. 655 del 20 febbraio, non pubblicato) di San Giuliano commentava: «A me non par dubbio che visita non possa avere se non carattere ufficiale».

Approvo il suo operato e la prego di continuare ad agire d'accordo col suo collega d'Inghilterra.

In relazione a quanto ella osserva nel rapporto n. l, mi pregio comunicarle che il mio telegramma del 12 dicembre2 si riferiva alla probabilità del concorso dell'ambasciatore britannico per passi diretti e specifici e non per semplici schiarimenti quali erano ricordati nel telegramma di V.E. del 24 novembre3; passi diretti e specifici quali, del resto, V.E. mi dava conto nel rapporto del 27 novembre4, giunto qui il 14 successivo dicembre, cioè dopo il mio telegramma del 12 di questo mese.

Parmi ora assai opportuno che tale azione concorrente seguiti a svolgersi ulteriormente. Le promesse di codesto Governo variano già nella formula verbale riferitami nel rapporto n. 7 ed in quella scritta comunicatami nel rapporto n. 24, redatta, come V.E. osserva, in termini un poco vaghi. Mentre infatti verbalmente codesto ministro degli affari esteri le aveva promesso di informarci, ogni qual volta si presenti il caso di una spedizione di armi, della data delle partenze e del nome del bastimento sul quale le armi sono state imbarcate, nel promemoria del 14 gennaio il Ministero Imperiale promette di darci notizia tutte le volte che le spedizioni di armi del Giappone per l'estero sieno considerate di natura tale da interessare il R. Governo dal punto di vista della loro importanza e della loro destinazione.

Ad ogni modo, anche se queste promesse fossero eseguite nella loro forma più precisa, noi non potremmo ritrarne utili risultati.

Si è perciò che mentre apprezzo l'intenzione di codesto ministro degli esteri per il solo spirito amichevole, ritengo sarebbe veramente giovevole se codesto Governo, in armonia alle dichiarazioni fatte all'ambasciatore d'Inghilterra e annunciatemi da V.E. nel rapporto n. 228 del 2 dicembre 19105, allo scopo di provvedere effettivamente nel miglior modo ad evitare i danni che potrebbero derivare dal commercio delle armi ad uno Stato alleato e ad uno Stato amico, volesse comprendere, negli eventuali suoi contratti di vendita, la clausola vincolante gli acquirenti a non introdurre i materiali bellici nella nota zona di proibizione specificata nell'art. 8 dell'Atto generale di Bruxelles. Sebbene il Giappone non abbia aderito all'anzidetto Atto del 1890, darebbe così prova di quei sentimenti di comitas gentium, ai quali, già accennati da V.E. nel suo promemoria del 6 gennaio, parve accostarsi il Governo del Mixado nella sovraindicata risposta del 14 seguente.

Ella vorrà di ciò tener parola al suo collega d'Inghilterra e agire d'accordo con lui presso codesto Governo.

3 T. 4151, non pubblicato.

4 R. riservato 515/226, non pubblicato.

s R. urgente riservato, non pubblicato.

713 l Il telegramma fu trasmesso via Asmara il 16 febbraio, ore 9,45.

714 l RR. 8/1 del 3 gennaio, 15/7 del 6, 44/24 del 16, non pubblicati.

714 2 Non presente nei registri dei telegrammi in partenza.

715

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO

D. RISERVATO PERSONALE 21. Roma, 15 febbraio 1911.

Mi pregio di accusare ricevuta alla S.V. e ringraziarla del suo rapporto n. 198/66, in data l 0 corrente', relativo alla questione della chiesa di S. Giuseppe.

Come alla S.V. è noto, noi non intendiamo porre in discussione la questione del protettorato francese sulla Custodia di Terra Santa e dei privilegi ad essa inerenti.

In particolare, poi, nelle circostanze presenti non desideriamo sollevare un conflitto colla Francia.

Tuttavia, la chiesa di S. Giuseppe non appartenendo al novero delle antiche chiese della Custodia e non essendovi, perciò, un diritto acquisito in favore della Francia, sono stati fatti subito, in via indiretta e colla massima circospezione, i passi desiderati dal padre Bernardino2.

Desidero, tuttavia, che sui passi stessi, ai quali il R. Governo com'è naturale, si tiene completamente estraneo, sia mantenuto il massimo riserbo.

716

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 294/41. Budapest, 15febbraio 1911 (per. il 21).

Sono state distribuite oggi ai delegati le relazioni che sul bilancio degli esteri hanno compilato per la commissione ungherese il conte Wickenburg e per l'austriaca il marchese Bacquehem. Credo opportuno di riassumere a V.E. le parti essenziali e di tradurre integralmente quelle che direttamente ci riguardano.

II relatore ungherese ricapitolando i principali avvenimenti politici dall'ultima sessione delle delegazioni ali' odierna, accenna assai lungamente al riavvicina

2 Il parroco aveva chiesto di appoggiare in Vaticano il principio da lui sostenuto, secondo il quale la protezione francese non poteva estendersi alle chiese di nuova fondazione.

mento russo-germanico eh'egli saluta con piacere «perché i principii di politica di statu quo pel vicino Oriente confermati a Potsdam e a Berlino collimano con quelli della Monarchia.

Il fatto che il nostro alleato tedesco -così continua la relazione -è ora in strette relazioni di amicizia colla nostra potente vicina, ci interessa non solo come una nuova garanzia di pace ma anche dal punto di vista del nostro alleato e del nostro proprio. La cosa ha grande importanza anche perché fa scomparire ogni traccia di una situazione che si voleva far apparire come un accerchiamento (Einkreisung) della Germania».

Ricordata l'assicurazione del conte d'Aehrenthal che le relazioni della Monarchia coi due alleati son oggi, se possibile, ancor più intime, la relazione continua: «La formula del marchese di San Giuliano sugli scopi della Triplice Alleanza concorda perfettamente con quella del Governo austro-ungarico. Anche l 'assicurazione del ministro italiano che non v'è in oriente nulla all'orizzonte che possa portare a un contrasto fra noi corrisponde al nostro pieno convincimento. Delle cose dette nella Camera italiana vogliamo anche ricordar l'affermazione che gli armamenti che giusta lo spirito del tempo si fanno qui e in Italia, non possono creare la menoma preoccupazione fra alleati».

La relazione prosegue poi a parlare, senza accenni degni di particolare menzione, dei rapporti colla Russia, l'Inghilterra e la Francia. Venendo alla Turchia esprime la piena simpatia con cui qui si accompagna lo sviluppo e la consolidazione dello Stato ottomano.

Nella relazione austriaca il marchese Bacquehem si diffonde più lungamente a parlar delle relazioni coll'Italia.

Traduco il passaggio più caratteristico:

«Nella Camera italiana parecchi oratori autorevoli si espressero per il mantenimento e la rinnovazione della Triplice, designandola garanzia di pace. È bensì vero che venne anche espresso il concetto che quest'alleanza equivale ad una politica di rinuncia e che, nella preoccupazione di dispiacere ora agli alleati, ora agli amici, alla Consulta si trascura di approfittare di quei vantaggi che all'Italia potrebbero derivare dalla pace garantita dalle alleanze.

È stato anche detto che la Germania e l'Austria-Ungheria si sarebbero assicurate in Turchia una influenza economica decisiva, mentre l 'Italia non avrebbe sofferto che danni. In generale gli oratori però conclusero le loro argomentazioni dichiarando che la Triplice ha mantenuto la pace e che perciò la si deve rinnovare. L'idea del disarmo non trovò buona accoglienza alla Camera italiana. Da noi furono apprese con molto interesse le dichiarazioni del marchese di San Giuliano, il quale rilevò che la Triplice è la salda base della politica estera dell'Italia, la quale non conosce secondi fini. Finora si era parlato tanto di antagonismi, che poté davvero sorgere l'opinione l'alleanza non essere se non il risultato della reciproca diffidenza ed una assicurazione contro lo scoppio di ostilità. Lo stesso principe Biilow aveva questa impressione quando disse che l'alleanza fra l'Austria-Ungheria e l'Italia è il mezzo per impedire fra loro due la guerra. Il marchese di San Giuliano confutò questo

concetto dicendo che è addirittura nell'interesse dell'Italia che l'Austria-Ungheria sia forte. Queste chiare ed esplicite dichiarazioni vanno accolte con compiacenza come risposta a quanto disse il nostro ministro degli esteri ed ai discorsi intonati a simpatia per l'Italia che si tennero nell'ultima sessione della delegazione. Infatti le due Potenze convengono nella necessità del mantenimento dell'integrità dell'Impero turco. Il marchese di San Giuliano dichiarò a questo proposito essere compito comune delle due grandi Potenze di fare il possibile per assicurare lo sviluppo indisturbato della Turchia, poiché dallo sfacelo dell'edificio ottomano potrebbero sorgere pericolose conseguenze. Le Potenze della Triplice debbon considerare come una buona ventura che lo spirito nazionale turco siasi ridestato e sia scomparsa quella fase in cui si doveva sempre pensare ai pericoli di spartizione dell'Impero ottomano. II discorso del ministro italiano degli esteri è atto a dissipare le nubi che in certi periodi si erano andate addensando sull'orizzonte delle relazioni austro-italiane.

Non si deve passare poi sotto silenzio il fatto che la Camera italiana ha espresso senza alcuna riserva la sua adesione ai principi di politica estera esposti in forma sì netta e perspicua dal ministro San Giuliano».

La relazione continua deplorando il modo con cui in una parte della stampa austro-ungarica e italiana si commentarono alcuni episodi recenti, come la vertenza per la navigazione sul Garda e riferendosi ai giornalisti austriaci dice: «Ii trattare questioni di questo genere in modo così poco assennato non può giovare a secondare gli intenti del ministro che mira a coltivare colla massima cura buoni rapporti coll'Italia».

Passando alle altre Potenze la relazione si occupa particolarmente delle dichiarazioni del cancelliere tedesco riferentisi al convegno di Potsdam, e dice che l'accordo della Russia con la Germania si presenta come un completamento della intesa russa coll'Inghilterra. Tale accordo non significa però affatto l'uscita della Russia dall' attuale sistema delle sue alleanze politiche.

«Nelle due grandi coalizioni europee»-continua la relazione «nulla è mutato. II convegno dei diplomatici russi e tedeschi ha creato piuttosto alcuni punti di contatto che consolidano la nostra politica di pace. La commissione poté quindi associarsi ben volentieri alle previsioni del ministro degli esteri, che cioè l'accordo delle nostre vedute con quelle della Russia manterrà anche in avvenire soddisfacenti le nostre buone relazioni con quella Potenza.

La Commissione non condivise le preoccupazioni che furono espresse dopo il convegno di Potsdam per l 'indipendenza economica e per i suoi interessi commerciali. Essa fu piuttosto dell'opinione che il riavvicinamento della Russia alla Germania contribuirà al consolidamento della situazione politica in Europa.

Il fatto che la Germania e la Russia hanno ambedue interesse al mantenimento dello statu-quo nei Balcani, corrisponde, pienamente al programma che l'AustriaUngheria da lungo tempo persegue. È naturale quindi che anche nella Monarchia si sia salutato con piacere il riavvicinamento russo-tedesco».

La relazione esprime poi a sua volta caldi voti di simpatia per il rafforzamento della Turchia, e chiudesi affermando la piena fiducia della commissione per gli esteri della delegazione austriaca nella politica e nell'opera del conte d'Aehrenthal.

715 l Non pubblicato. De Martino riferiva sull'incidente sorto tra il parroco di S. Giuseppe ed il rappresentante diplomatico francese (ordine del custode di terra Santa di mettere un genuflessorio a destra per il rappresentante di Francia ed a sinistra un banco per gli altri rappresentanti esteri).

717

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BUCAREST, CETTIGNE E SOFIA

T. 591. Roma, l6 febbraio 1911, ore l 5, 15.

Per uso personale di VE. e per eventuale norma di linguaggio le comunico il sunto del mio odierno colloquio con Milovanovitch l. Il ministro degli esteri di Serbia mi ha stamane espresso i suoi timori di complicazioni balcaniche in primavera e mi ha confermato il desiderio della Serbia che la pace e lo statu quo siano mantenuti. Mi risulta da varie fonti che tale desiderio è presentemente sincero, Milovanovitch è convinto che il Montenegro desidera prendere qualche iniziativa bellicosa e che soltanto la Russia, la quale tiene i cordoni della borsa, potrebbe impedirgliela, esercitando la sua influenza con energia e senza ritardo. Anche in questo, ciò che dice Milovanovitch concorda colle informazioni pervenutemi da varie fonti. Milovanovitch espresse pure il dubbio che il Montenegro sia sobillato dali' Austria, ma, avendogli io assicurato essere indubitato che oggi l'Austria desidera la pace e lo sta tu quo, Milovanovitch ha finito col riconoscere che questa è oggi la verità. Egli mi ha ricordato di aver declinato l'invito di re Nicola di recarsi a Cettigne per prendere accordi: ha aggiunto che forse per non offendere l'amor proprio di quel sovrano dovrà finire per recarvisi, nel qual caso insisterà per dissuaderlo da qualsiasi impresa bellicosa.

Egli spera che la Turchia favorirà in Macedonia lo elemento serbo a danno di quello bulgaro e che consentirà al collegamento della ferrovia Medua-Prischtin colla rete serba. Egli crede che la Bulgaria non potrà prendere iniziative bellicose perché sa che la Rumenia è decisa ad impedirglielo ma che intanto mantiene viva l'agitazione di Macedonia e che mentre la politica della Serbia è diretta a ritardare l 'inevitabile dissoluzione della Turchia quella della Bulgaria al pari di quella del Montenegro è diretta ad effettuarla.

Naturalmente io gli ho dato consigli di pace e di prudenza che del resto rispondono perfettamente alle intenzioni attuali del Governo serbo.

717 l Su questi colloqui si veda anche OeUA, vol. IJI, n. 2456.

718

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BUCAREST, CETTIGNE E SOFIA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 598. Roma, 17 febbraio 1911, ore 0,50.

Faccio seguito mio telegramma n. 591'. In un secondo colloquio Milovanovitch mi ha detto che, se truppe austriache entreranno nel Sangiaccato di Novi Bazar, le truppe serbe faranno altrettanto. Da ciò, egli soggiunse, scaturirà la guerra. Gli risposi di non illudersi. In tal caso né la Russia, né alcuna altra Potenza farebbe la guerra e la Serbia rimarrebbe schiacciata. Egli replicò che ne è convinto, ma che, ciò non astante, popolo serbo forzerebbe la mano al Governo.

Malgrado queste dichiarazioni, da tutto il complesso delle mie conversazioni con Milovanovitch e più tardi con re Pietro mi confermo nel convincimento che la Serbia desidera non avvengano quest'anno insurrezioni in Albania od altrove, né complicazioni, né guerra.

719

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 713/51. Parigi, 17 febbraio 1911. ore 14,35 (per. ore 17,40).

Risposta al telegramma n. 549'. Dichiarazioni fatte a V.E. da Barrère furono cagionate dalla sua imperfetta conoscenza della questione, non avendolo Pichon tenuto al corrente di quanto è avvenuto qui tra me e Auboyneau col pieno assenso del signor Pichon. Barrère è stato mosso da intenzioni benevole per noi; infatti egli apprese dai giornali o dalle sue notizie private notizia offerta fatta da Turchia a Francia per costruzione ferrovia; ha scritto a Pichon che gli pareva dovere capitale francese rimanere associato al capitale italiano, russo e serbo in conformità dei precedenti accordi. Pichon gli ha risposto che ciò è appunto ciò che egli vuole e col prossimo corriere lo informerà di tutto ciò che a Parigi si è fatto di

718' Cfr. n. 717.

7191 Con questo telegramma del 13 febbraio di San Giuliano aveva comunicato tra l'altro: «Barrère è venuto a dirmi che la Turchia ha offerto alla Francia la costruzione di varie ferrovie in Albania, ma che la Francia, per amicizia verso l'Italia, non è disposta ad accettare».

pieno accordo con me. In conclusione, se Governo ottomano affiderà costruzione ferrovia a Banca Imperiale Ottomana, questa, pur figurando in apparenza verso il Governo ottomano come sola contraente, rimarrà di fatto associata a noi. Se, invece, Governo ottomano, al momento di dare le concessioni, eliminerà Banca Imperiale Ottomana, allora, come è naturale, noi saremo eliminati con essa. Quanto a proposito del Governo ottomano, Pichon mi ha detto che ve ne sono state due: la proposta concreta e precisa fatta alla Banca Imperiale Ottomana per la ferrovia Danubio-Adriatico e della quale io ho intrattenuto V.E. con tutti i maggiori dettagli ed un discorso in termini generali per le ferrovie ottomane fatto da Giavid bey a Bompard, discorso che ora non ha avuto altro seguito. Avendo domandato a Pichon se, tra le ferrovie ottomane menzionate da Giavid bey, vi fosse la Valona-Monastir, Pichon mi ha risposto di sì. Ora, ove ciò fosse esatto, significherebbe che il Governo ottomano non riconosce più alla Deutsche-Bank un diritto di priorità su quella linea. Mi parrebbe opportuno che V.E. chiedesse al r. ambasciatore a Costantinopoli di chiarire riservatamente questo punto.

720

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO, CETTIGNE E SOFIA

T. 614. Roma, 17febbraio 1911, ore 20,25.

Per sua informazione personale e per eventuale norma di linguaggio, le comunico quanto segue.

Oggi sono stato ricevuto da S.M. il Re di Serbia. Egli mi ha detto essere dolente che i suoi sforzi di venire ad un cordiale accordo colla Bulgaria non siano ancora riusciti. Egli teme che il re di Montenegro, impaziente di agire, abbia stipulato un accordo segreto coll'Austria, secondo il quale questa occuperebbe il Sangiaccato ed il Montenegro occuperebbe Scutari e parte de li'Albania, nel qual caso la Serbi a sarebbe costretta a fare la guerra ali' Austria. Ha, al pari di Milovanovitch, accennato alla necessità per la Serbia di uno sbocco sull'Adriatico sia mercé future combinazioni d'accordo cogli albanesi, sia, intanto, colla ferrovia Danubio-Adriatico. Sa che la Turchia si oppone a questa ferrovia con partecipazione dei capitali serbo-russo-italiano e francese e coll'immediato raccordo a Mardaré, ma crede che tale opposizione potrebbe venire rimossa se la Francia ne facesse una condizione sine qua non, quando la Turchia le chiederà un nuovo prestito. Desidera che Italia e Russia premano sul re del Montenegro per indurlo a non rompere la pace.

Gli ho risposto: l) che tutte le dichiarazioni e tutta l'azione dell'Austria mirano oggi a mantenere lo statu quo e la pace; 2) che una guerra della Serbia all'Austria sarebbe un suicidio e che niuna grande Potenza la salverebbe colle armi; 3) che continueremo a dar consigli di pace al re del Montenegro, ma che credo che più efficacemente di noi potrebbe influire sul re Nicola la Russia; 4) che darò istruzioni al r. ambasciatore in Parigi di sondare il terreno nel senso desiderato da Sua Maestà, che sarebbe pure graditissimo al Governo italiano; 5) che, se ciò non si può ottenere, anche la costruzione per ora del solo tronco S. Giovanni di Medua-Frischtina sarebbe già un passo verso la realizzazione dell'intera ferrovia Danubio-Adriatico poiché, presto o tardi, al primo momento politico opportuno, il raccordamento alla ferrovia serba ne sarebbe conseguen

za necessana. Riassumendo, dal colloquio col re Pietro mi risulta nuovamente confermato: l) la persistente diffidenza ed il persistente risentimento della Serbia verso

l'Austria; 2) il vivo desiderio della Serbia che per due anni almeno non avvengano insurrezioni, guerre, complicazioni e mutamenti dello statu quo territoriale.

(per Parigi solamente) Giudichi V.E. se sia il caso di parlare ora costì della ferrovia Danubio-Adriatico nel senso desiderato dal re o se non sia meglio attendere a tal uopo un momento più opportuno!.

721

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 91/22. Addis Abeba, 17 febbraio 1911 (per. il 9 marzo).

Ho l'onore di rispondere in merito ai dispacci n. 128 e n. 4 del 18 dicembre 1910 e del 13 gennaio del corrente annoi riguardanti l'invio di una spedizione militare inglese dall 'Uganda verso i confini etiopici nella regione del Lago Rodolfo.

Il mio collega di Inghilterra al quale ho chiesto informazioni in proposito mi ha assicurato che la spedizione suddetta non ha affatto l'importanza segnalata dal nostro console generale di Zanzibar e che il suo scopo è unicamente informato a ragioni di ordine interno essendo ancora tutto il paese dei Turcana, ad occidente del lago Rodolfo, in uno stato di dipendenza solo nominale dal Governo dell'Oganda che intende ora affermarvi la sua autorità effettiva.

Mi permetto però di richiamare l'attenzione di V.E. su quanto ho già riferito a codesto Governo sulle gravi difficoltà in cui si dibatte questa legazione d'Inghilterra per la sistemazione dei confini fra i suoi possedimenti dell'Africa Orientale dell'Uganda e dell'alto Sudan e le province dell'Impero etiopico, e sugli incidenti occorsi in questi ultimi tempi che hanno inasprito tale questione al punto da renderne assai problematica e difficile qualche attinenza coll'invio della spedizione segnalata dal console generale di Zanzibar.

Tale spedizione militare non può però avere che un carattere ed uno scopo puramente difensivo, ossia quello di impedire le incursioni abissine già verificate in questi ultimi tempi ed affermare i diritti del Governo dell'Uganda sul territorio che il Governo abissino vorrebbe contendergli.

720 l Tittoni rispondeva il 18 febbraio con il T. 724/57, di cui si pubblica il seguente brano: «. .. parmi non ci sia da far altro se non attendere che Banca imperiale ottomana stipuli accordo con Governo ottomano per studi e li eseguisca. Solo dopo eseguiti studi, se Governo ottomano mostrerà di non essere disposto a dare la concessione alla Banca Imperiale ottomana, potrà aver luogo intervento Governo francese. Un intervento anticipato potrebbe aver luogo solo quando la Turchia si rivolgesse nuovamente alla Francia per un prestito e, in tal caso, io non mancherei di prendere in tempo utile, opportuni accordi con Pichon».

721 l Non pubblicati.

722

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 92/23. Addis Abeba, 17 febbraio 1911 (per. il 17 marzo).

Ho l'onore di confermare a V.E. che la spedizione abissina di cui è oggetto il mio telegramma n. 4 in data l O gennaiol è effettivamente partita da Harrar nei primi giorni del mese corrente.

La suddetta spedizione è diretta al medio Scebeli ed è comandata da fitaurari Banti, vecchio soldato di ras Maconnen che prese parte a tutte le precedenti spedizioni in Ogaden, ed è costituita da circa quattromila soldati.

Scopo della spedizione è quello di ristabilire l'autorità ed il prestigio del Governo etiopico tra quelle popolazioni dell'Ogaden che in questi ultimi anni se ne erano sottratte rifiutando di pagare il tributo alle autorità abissine di Harrar.

Causa determinante all'invio della spedizione è la necessità di proteggere e di garantire la missione italo-etiopica per la delimitazione dei confini in Somalia. Obbiettivo della spedizione è specialmente la tribù degli sciaveli e le tribù ad essa limitrofe sulla sinistra dell'Uebi-Scebeli.

Non è però da escludersi che il Governo etiopico coll'invio delle due spedizioni sui confini della Somalia abbia voluto affermare la sua autorità effettiva in quei territori in vista di possibili contestazioni in merito alla frontiera stabilita coli'Accordo del 16 maggio 1908.

Ho però avuto dal Governo etiopico la più formale assicurazione che lo scopo delle spedizioni suddette è essenzialmente pacifico anche nei riguardi delle tribù dipendenti dall'Etiopia, e mentre la spedizione inviata da Baie accompagnerà la missione italo-etiopica per i confini, quella inviata da Harrar ha parimenti ordine di agire nel più perfetto accordo con essa.

A tale scopo ho chiesto al Governo che quest'ultima spedizione abbia ordine tassativo di non oltrepassare per nessuna ragione il territorio degli sciaveli prima del giungere della missione italo-etiopica sul Uebi-Scebeli e di prendere da essa tutte le istruzioni opportune onde non oltrepassare la presumibile linea di frontiera.

Malgrado tutte le disposizioni suddette non v 'ha dubbio che, ali'annunzio deli'avvicinarsi delle spedizioni abissine, le tribù limitrofe alla frontiera cercheranno di sottrarsi alle immancabili imposizioni ed alle angherie che esse non mancheranno di esercitare, rifugiandosi nel nostro territorio.

Di tutto questo ho informato il capitano Citerni e non tralascio dal rappresentare al Governo etiopico la necessità di dare effettivamente al governatore di Harrar ed al capo della spedizione fitaurari Santi ordini precisi e rigorosissimi affinché la spedizione abissina anziché rappresentare una garanzia di sicurezza per la missione dei confini, non abbia invece a turbare maggiormente la situazione in quella regione ed a rendere ancora più difficile il suo compito.

Copia del presente rapporto trasmetto al Governo del Benadir ed al capitano Ci terni.

722 l T. 11114, trasmesso da Asmara, l' 11 gennaio, non pubblicato.

723

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

L. Roma, 16-18 febbraio 1911.

Mille grazie dell'interessante sua del 121. Rispondo punto per punto nell'ordine stesso da lei tenuto.

Anzitutto, bisogna pure che costì capiscano che l'Italia è un Paese democratico, liberale e parlamentare e che, in una misura maggiore o minore, bisogna che il Governo uniformi la sua azione ai sentimenti prevalenti nel Paese e nel Parlamento. Io sono accusato (ed è bene che costì lo sappiano) d'aver seguito verso la Turchia una politica troppo debole e remissiva; che vada via io e venga un altro al mio posto non

723 t Cfr. n. 709.

ha importanza, ma la persistenza d'un tal sentimento nel Paese e nel Parlamento, se non riceve alcuna soddisfazione, può avere conseguenze gravissime.

L'incidente Guzman, più che in se stesso, va giudicato in rapporto a questi sentimenti e come conseguenza di tutta un'ostruzione sistematica turca ad ogni nostra attività economica in Tripolitania, ostruzione che il presente valì fa anche in modo altezzoso e villano. Se i turchi non trovano un modo (sia pure en sauvant la face) di traslocare il valì, io non posso traslocare Pestalozza (perché tutta l'Italia insorgerebbe) e la presenza di quei due uomini, che si odiano a Tripoli può da un momento all'altro cagionare un fatto gravissimo. Se dobbiamo agire, sarebbe errore esporsi al boicottaggio ed altro per una platonica dimostrazione navale e converrebbe senz'altro occupare la Tripolitania con forze preponderanti. Tutto è pronto, ove occorra, ma noi desideriamo evitare tale estremità, e la eviteremo, purché la Turchia non continui ad ostacolare ogni nostra più innocua impresa economica e non sorgano a Tripoli o altrove incidenti, che, dato lo stato dell'opinione pubblica italiana, forzino la mano al Governo. Può darsi che Pestalozza abbia fatto male in agosto a chiedere l'espulsione di Guzman, ma una volta chiesta, ottenuta ed eseguita, il ritorno di Guzman, contro la volontà del console, voluta e compiuta dal Governo turco e dal valì, era un colpo al nostro prestigio, che non si poteva ammettere, e la presenza provocatrice del Guzman nel piccolo ed eccitato ambiente di Tripoli poteva da un momento all'altro esser cagione di gravi fatti. Perciò fu necessario apprestare la flotta per un'eventuale azione, e, senza far minacce in via ufficiale alla Turchia, fu necessario far in modo che sapesse la nostra ferma risoluzione d'esigere l'allontanamento definitivo del Guzman. Ora è necessario che questi non tomi più a Tripoli, che la Turchia tratti le imprese italiane in Tripolitania senza diffidenza e con imparzialità e giustizia e che il valì prima e Pestalozza poi lascino Tripoli. Se questo avviene i rapporti italo-turchi, già in questi giorni divenuti normali, diverranno ottimi; se non avviene, le conseguenze saranno gravi. Questa è la vera situazione, superiore alla volontà mia e di chiunque venga alla Consulta in mia vece. Intanto, io ho dato in questi giorni alcune prove d'amicizia alla Turchia: per es. ordini severi si sono dati ai prefetti del Regno per impedire i pazzeschi arruolamenti di Ricciotti Garibaldi, e ordini non meno severi alle autorità di Massaua e Assab per vigilare onde i nostri sambuchi non introducano armi e munizioni pei ribelli dello Yemen. Il nostro Stato Maggiore conosce perfettamente le forze di cui dispone la Turchia in Tripolitania e la spedizione si farebbe con forze preponderanti.

Pestalozza (lo ripeto) non è idoneo per Tripoli, son deciso a rimuoverlo, urge rimuoverlo, ma non posso farlo se prima non è partito il valì.

Quanto alle volture o registrazioni, di cui parla Marschall, più volte Rifaat ha ripetuto quelle promesse ma non le ha mai mantenute, o meglio le autorità locali non le hanno eseguite, in seguito pare ad istruzioni segrete della Porta o del Comitato Unione e Progresso.

Roma, 18 febbraio 1911.

Jagow oggi è venuto a parlarmi di Pestalozza, criticandone la condotta e dicendo che è un pericolo la sua permanenza a Tripoli. Gli ho risposto che son ben deciso a rimuoverlo dopo che sarà stato traslocato il valì: prima che questo avvenga non è possibile, quali che ne possano essere le conseguenze.

La prego di telegrafarmi i maggiori particolari possibili sull'intervento dei sovrani al ballo dell'ambasciata il 23 e di far sì (mentre poi qui me ne occuperò an c h 'io) che vengano telegrafati in Italia dal corrispondente della Stefani. È necessario dar in Italia la massima pubblicità a tutti gli atti di cortesia de Il' imperatore verso di lei e l 'Italia per attenuare la pessima impressione, assai dovuta alla solidità dell'alleanza, che farà il fatto della sua non venuta a Roma, massime dopo il comunicato ufficioso della Kolnische Zeitung che è stato qui da tutti interpretato e salutato con gioia come preludio della visita.

724

L'ADDETTO MILITARE A SOFIA, MERRONE, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO 1

R. RISERVATISSIMO PERSONALE 2. Sofia, 18 febbraio 1911 (per. il 24).

Il conte de Bosdari, stamane -in privato colloquio -, mi ha riferite alcune notizie provenienti dal nostro ministro degli esteri: notizie che io credo opportuno inviare alla E.V.

Il ministro degli esteri di Serbia -signor Milovanovitch, attualmente a Roma in accompagnamento del re Pietro -ha dichiarato al ministro degli esteri d'Italia: -essere dolente che fino ad ora non si sia potuto stringere alcun accordo fra la Serbia e la Bulgaria; -suppone che re Nicola di Montenegro, insofferente di indugi ed ansioso di agire, abbia stretto accordo con l'Austria-Ungheria.

Ad opportunità riconosciuta, l'Austria invaderebbe il Sangiaccato di Novi Bazar ed il Montenegro occuperebbe Scutari ed invaderebbe l 'alta Albania. Allora, la Serbia dovrebbe anch'essa invadere il Sangiaccato (parte delle vecchia Serbia) e sarebbe così trascinata ineluttabilmente alla guerra.

-La Serbi a desidererebbe che la Russia e l'Italia si occupassero di far mantenere lo statu quo nei Balcani (pare che le intenzioni della Serbia siano effettivamente quelle di evitare complicazioni, almeno per due anni ancora).

-La Serbi a deve trovare, in un modo qualunque, uno sbocco sull'Adriatico, sia pure con la ferrovia Danubio-Adriatico, ora pare che la Turchia si opponga alla realizzazione di tale ferrovia, la quale deve essere fatta con capitali russi serbi italiani e francesi. Sarebbe quindi opportuno che l'Italia si occupasse nel senso

724 I Da Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

di indurre la Francia -per un prestito ad essa richiesto dalla Turchia -a mettere, come condizione sine qua non, la costruzione di quella ferrovia. Il ministro degli esteri d'Italia ha risposto: -a lui consta che l'Austria-Ungheria desidera mantenere lo sta tu quo nei Balcani; -una guerra della Serbia contro l'Austria sarebbe un suicidio per la Serbia. Quale Potenza la aiuterebbe? -La Russia, più che l 'Italia, potrebbe in maggior grado influire sul Montenegro perché questi eviti complicazioni. -Si occuperà nel miglior modo per la questione della ferrovia balcanica con accesso sull'Adriatico.

Io soggiungo:

È un periodo in cui la Serbia si mostra paurosa -e non poco -delle supposte mene del Montenegro, dell'Albania e dell'Austria. Vi sarebbero molte riflessioni da fare in proposito; sia sugli effetti delle concessioni che la Turchia ha fatte all'Albania dopo la insurrezione dello scorso anno, sia sugli interessi non sopiti dei bulgari, dei serbi e dei greci sulla Macedonia, sia sul movimento attuale degli albanesi e sulle voci che in questi giorni corrono perfino circa una propaganda fatta dal comitato «Pro Albania» sulle colonne di un giornale La terza Italia stampato in Italia.

Ma, ad ogni modo, i bene informati dicono che tutti i sintomi positivi dimostrano come nulla vi sia da temere, almeno per ora: e per ora sono paure e supposizioni della Serbia inquieta per la supposta politica dei popoli che la circondano, ed -anche un po' fiera pel viaggio in Italia del suo re.

Ho l'obbligo però di dichiarare che credo più conveniente -come ho già detto al conte Bosdari -io non scriva di politica, ma studi questa a fondo, giorno per giorno, solo allo scopo di rintracciarvi, a tempo opportuno e bene in tempo, i sintomi davvero allarmanti e pericolosi da riferire a V.E.: sintomi che potrebbero, se del caso, indurre a qualsiasi preventiva disposizione negli eserciti.

E dicevo «crederei più conveniente non scrivere di politica» perché ciò frutta, io credo, un migliore accordo fra ministro ed addetto militare, e frutta -come lo vedo già nel breve periodo di mia permanenza presso questa legazione -una maggiore possibilità di arrivare a conoscere giorno per giorno, e senza ambagi e senza reticenze, tutte le vie, sia pure tortuose, della politica positiva e giudicata attraverso la mente di uomini intelligenti in materia; preparandomi così ad idee giuste per gli eventuali momenti in cui la politica potesse cominciare realmente ad agganciarsi alle armi.

Con quella dichiarazione fatta, ho avuta la possibilità di discorrere molto sovente col conte de Bosdari -ed egli è di una profonda cultura e di una ben nota e forte intelligenza -delle questioni balcaniche attuali; ed egli mi ha anche concesso di leggere tutta la raccolta di rapporti giornalieri che ambasciatori, ministri plenipotenziari e consoli della penisola balcanica trasmettono al Ministero degli esteri a Roma. Vi è -in quella raccolta -larga messe di riflessioni poderose ed è tale da rendersi ragione, con documenti positivi, degli avvenimenti.

Pensavo che dei brevi sunti su varie questioni, le più interessanti, avrebbero potuto servire a me per rapporti a V.E. ed anche costituire valevoli documenti al nostro ufficio storico per rintracciarvi, nello avvenire, le cause efficienti o le nascoste ragioni delle cause occasionali di eventuali conflitti nella penisola balcanica; ad ogni modo documenti che rappresenterebbero abbastanza sicure pietre miliari per la più retta e precisa interpretazione della storia di Paesi balcanici a cui noi ci interessiamo.

Ma la persuasione mia sulla vantaggiosa convenienza di non invadere il campo della politica quand'essa non ha assoluta ed immediata attinenza a disposizioni militari prese o da prendersi da parte dello esercito che studio, come pure -e più -il fatto che i documenti riservatissimi del Ministero degli esteri mi furono concessi confidenzialmente e con somma cortesia dal de Bosdari, mi ha distolto dal cominciare a redigere rapporti in quel senso.

Ad ogni modo, ho colta ben volentieri la occasione presente per aver l'onore di chiedere il consentimento -se la E.V. lo crede -alla regola che mi ero proposta, ovvero ottenere l 'autorizzazione di inviare volta a volta dei rapporti riservatissimi personali a V.E. su quello che vado conoscendo della politica positiva desunta dai rapporti riservatissimi più volte accennati2.

725

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 122/54. Teheran, 19 febbraio 1911 (per. il 14 marzo).

A richiesta del reggente il ministro di Germania ha redatto e consegnato al ministro degli affari esteri dello scià uno schema di risposta ad una interrogazione che pare sarà rivolta nel Medjiless al Governo circa i risultati dell'incontro di Potsdam nei riguardi della Persia.

Ho potuto ottenere, a titolo strettamente confidenziale, visione di quel documento. In esso è affermato che nel convegno di Potsdam la questione persiana fu oggetto di discussione, che fra i Governi russo e germanico vi fu mutuamente riconosciuto il principio dell'indipendenza e dell'integrità della Persia, che la Russia ha manifestato formalmente di non pretendere, dal punto di vista economico,

una posizione privilegiata nel nord della Persia bensì di volere rispettato il principio della «porta aperta» per tutti gli Stati indistintamente.

In quanto alla questione delle ferrovie, il documento riconosce che se ne è parlato e dice che le trattative già corse e quelle che seguono avendo per fine il collegamento della ferrovia di Bagdad con le future reti persiane, esse non possono in alcun modo considerarsi pregiudizievoli alla Persia perché questa dalla realizzazione di quel progetto non trarrà che sensibili beneficii economici. Lo schema in parola finisce facendo presente che in tali condizioni l'incontro di Potsdam !ungi dall'essere riguardato sfavorevolmente dalla Persia risulta un avvenimento vantaggioso per essa.

Evidentemente il ministro di Germania nello schema fornito che non può dirsi neppure -a causa della forma -una dichiarazione ufficiosa dei risultati del convegno, ha avuto cura di omettere, senza porsi in contraddizione con quello che si è detto o scritto altrove ufficiosamente od ufficialmente in proposito, i punti che sarebbero tornati meno graditi ai persiani. Il che si spiega con il vivo desiderio del Governo tedesco e di questa sua rappresentanza di sforzarsi a cancellare -in quanto possibile -la cattiva impressione qui provocata dalle notizie, in specie dalla stampa russa, circa l'incontro ad a conservarsi, almeno in parte, le vecchie simpatie dell'opinione pubblica persiana e del Governo dello scià.

724 2 Annotazione di Pollio: «Scrivergli che è impossibile dar norme. È questione di tatto. Io desidero essere informato anche della situazione politico-militare. D'altra parte, per ciò che è pura politica, si attenga alle norme e cerchi di non dar ombra a nessuno».

726

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. RISERVATISSIMO 652. Roma, 20 jèbbraio 19Jl, ore 18,30.

Dal complesso delle impressioni ricevute durante il soggiorno a Roma del re di Serbia (miei telegrammi nn. 591, 598, 614)1 e da informazioni pervenutemi da altre parti, risulta che il punto più minaccioso nell'attuale situazione dell'Oriente europeo è costituito dall'attitudine del Montenegro di fronte all'agitazione albanese. In un recente colloquio confidenzialissimo con Squittì, re Nicola disse senza ambagi che nell'eventualità, da lui considerata imminente ed inevitabile, di una rivolta degli albanesi, egli non potrebbe fare a meno di varcare il confine e marciare su Scutari e su Ipek. Nessuna occasione mai si presenterebbe, a suo avviso, altrettanto propizia per raggiungere un ingrandimento territoriale che è indispensabile al Montenegro.

Certo, per chi rammenta la condotta tenuta dal re Nicola dopo l 'annessione della Bosnia Erzegovina, quando gli stessi propositi minacciosi erano da lui pro

7261 Cfr. nn. 717, 718 e 720.

feriti, siffatte dichiarazioni non dovrebbero essere prese alla lettera. Occorre però non dimenticare che le condizioni sono ora notevolmente mutate; poiché si tratterebbe questa volta di attaccare non più l'Austria, ma la Turchia impegnata in grosse difficoltà altrove; poiché la situazione interna del Montenegro si è fatta in questi tre anni più difficile, tanto da far apparire desiderabile uno sfogo al di là delle frontiere; e poiché, infine, hanno subito una radicale trasformazione i sentimenti degli albanesi i quali, mentre prima odiavano e disprezzavano i montenegrini, sembrano ora essere stati spinti, dagli errori dei Giovani turchi, a cercare nel Montenegro un aiuto e un'alleanza. Anche senza esagerarne la portata, il pericolo dunque esiste. Ed è indubbio che la sola Potenza che potrebbe esercitare sul Montenegro un'influenza efficace e decisiva in senso pacifico, è la Russia. Re Nicola affetta bensì di essere convinto che la Russia, pur mostrandosi dapprima indignata per la campagna del suo protetto, finirebbe poi coll'acconciarvisi e non vi susciterebbe ostacoli. Ma è appunto questa convinzione che dovrebbe essere in lui sradicata; ed è evidente che un monito severo e reciso venuto da Pietroburgo varrebbe ad arrestarlo sulla china pericolosa, nella quale egli dice di volersi mettere. Prego esprimersi in questo senso confidenzialmente con Sazonow.

727

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 98/39. Cettigne, 21 febbraio 1911 (per. il 4 marzo).

Reduce da Scutari dove è andato ad abboccarsi con quel governatore generale, Bedry pascià, è venuto a vedermi l'altro giorno il mio collega di Turchia, Sadreddin bey, e mi ha detto di avere riportato l'impressione di una perfetta tranquillità in Albania.

Gliene ho espresso il mio vivo compiacimento, tanto più che, come egli ben sapeva, qui correvano voci allarmanti sul malcontento degli albanesi e sull'agitazione che era nata da questo, ma dal momento che le voci erano infondate, secondo la sua personale conoscenza sopra luogo acquistata, riusciva vana ogni preoccupazione al riguardo.

Al collega non piacque questa risposta, e riprese il discorso, sorridendo, per dirmi che vi è del malcontento in qualche tribù di poca importanza, alimentato dagli intrighi del Montenegro, ma che esso non ha carattere pericoloso. Il Governo, mi disse, farà il possibile per persuadere i ricalcitranti a sottomettersi alla legge, e sarà rigoroso soltanto con coloro che non vorranno ascoltare la voce della ragione, obbligandolo a ricorrere alla forza.

Poi mi chiese quale fosse la mia impressione sulla situazione, e se sapessi dell'esistenza di accordi fra il Montenegro ed alcuni capi albanesi per attaccare la Turchia.

Gli risposi presso a poco così: «Non è a mia conoscenza che esistono di simili accordi se esistessero, ella sarebbe senza dubbio in grado di saperlo prima e meglio di me, pei contatti e le relazioni che ha tanto qui, quanto in Albania. Io so quello che san tutti, vale a dire che non pochi albanesi e non pochi serbi-ortodossi sono passati dalle loro sedi in questo reame per non essere sottoposti all'obbligo del servizio militare, al pagamento delle tasse, onde godevano franchigia, al disarmamento, e ad altre imposizioni, che di ciò è nata una questione in parte oggi risolta, e che si teme altre emigrazioni possano dar luogo a nuove difficoltà fra i due Stati confinanti. Ora, in vista di tale eventualità, a me sembra che sarebbe interesse della Turchia, sia per conservare le sue buone relazioni di amicizia e di vicinato col Montenegro, sia per pacificare e rassicurare gli animi della popolazione albanese, di adottare verso di questa una politica di tolleranza e di longanimità. Così verrebbe ad assopirsi il malcontento, e ad eliminarsi la causa prima della pericolosa emigrazione. Questa è una mia personale opinione, il mio Governo, non essendo direttamente interessato in questa faccenda, non mi ha dato alcuna istruzione al riguardo, ma so, in linea generale, che esso desidera di vedere rimosso qualunque fatto si presentasse di natura da mettere in pericolo il mantenimento dello statu quo e della pace comune, e perciò vede di malocchio le inconsulte agitazioni, dovunque si manifestino».

Sadreddin bey mi ringraziò di avergli comunicato il mio pensiero, e mi disse che ne era egli stesso partecipe. Tanto vero che, d'accordo col valì di Scutari, aveva già fatto presente alla Porta la convenienza e l'opportunità di usare grande condiscendenza verso gli albanesi. Non sapeva ancora se i suoi consigli sarebbero stati seguiti, ma lo sperava.

Il motivo che m 'indusse ad usare quel linguaggio col collega di Turchia fu di dissipare dall'animo suo qualche sospetto se ne avesse avuti, come è probabile, che il R. Governo favorisse l'insurrezione albanese a pro' del Montenegro.

728

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 797/56. Londra, 2 3 febbraio 1911, ore 12, 3 5 (per. ore 15, 15).

Telegramma di V.E. n. 5131. Ministro d'Inghilterra Addis Abeba ha ricevuto istruzioni telegrafiche appoggiare passi colleghi Italia e Francia perché missione etiopica visiti, oltre che Berlino2, anche Roma Parigi.

728 J Cfr. n. 707. 2 Presumibilmente sta per «Londra».

729

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, IMPERIALI, E A PARIGI, TITTONI

T. UFF. COLONIALE 689. Roma, 23 febbraio 1911, ore 22,30.

Questo ambasciatore ottomano mi ha comunicato ufficialmente che allo scopo di mettere le autorità dell'Yemen in grado di esercitare efficace sorveglianza su quelle coste, il Governo imperiale ha loro impartito l'ordine di considerare le navi straniere che toccano località sprovviste di uffici doganali come dedite al contrabbando e di procedere alla visita del carico e alla confisca degli articoli proibiti trovantisi a bordo. Questo ambasciatore di Turchia comunica lista delle località del vilaiet aventi uffici doganali pregando di voler provvedere affinché i sambuchi con bandiera italiana facciano scali in quelle località. Esaminerò in merito comunicazione, ma prima facie non la credo in alcun modo accettabile per ovvie ragioni. Prego VE. di farmi conoscere se codesto Governo abbia ricevuto identica comunicazione; e, in caso affermativo, di comunicare la mia prima impressione col desiderio di procedere d'accordo in una questione così delicata 1 .

730

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 824/24. Belgrado, 24 febbraio 1911, ore 9,30 (per. ore 23,55).

Mi riferisco telegramma n. 151. Prima della partenza del re di Serbia per Roma, questo ministro degli affari esteri aveva proposto, invece di recarsi a Cettigne, di avere colloquio con delegato re del Montenegro a Venezia. Re Nicola non giudicò opportuna tale proposta e suggerì mandare inviato a Belgrado dopo ritorno di re Pietro. Egli ha però di nuovo cambiato d'avviso. Per mezzo del generale Marcovic, ha fatto ora sapere al ministro di Serbia a Cettigne che sarebbe stato bene stabilire previamente un accordo circa divisione delle sfere d'interesse in Albania. Cioè divisione in parti uguali del Sangiaccato Scutari d'Albania alla influenza Montenegro: Uskub, Dibra e Durazzo all'influenza serba. Tale proposta non è qui considerata come seria e, secondo un telegramma del quale mi è stata

730 l Cfr. n. 703.

data lettura, si è risposto al rappresentante serbo a Cettigne nel modo seguente. Riguardo divisione sfere d'interesse Governo serbo non considera questione essere urgente, dovendosi piuttosto esaminare i pericoli che dalla situazione potrebbero derivarne alla causa serba e cercare porvi riparo. Era inoltre di tutta importanza ponderare attentamente se dal complesso circostanze potevano tirarsi auspici favorevoli all'apertura ostilità. Qualora in avvenire si fosse riusciti liberare dal giogo popolazioni di nazionalità serba, re del Montenegro poteva essere sicuro che, per quanto riguarda Governo di Belgrado, sarebbe stata fatta equa parte alle aspirazioni di ciascuno dei due Paesi serbi. Il rappresentante serbo a [Cettigne(?)]2 ha ricevuto infine istruzioni domandare al re Nicola se egli intendeva realmente appoggiare insurrezione albanese e se, in questo caso, aveva considerato i pericoli che alla causa serba avrebbero potuto derivare dalla situazione generale europea ed in particolare all'attitudine dell'Austria-Ungheria.

729 l Per il seguito cfr. n. 753.

731

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE A BAGDAD, ZUNINI

D. RISERVATO 62. Roma, 24 febbraio 1911.

Nella scorsa estate monsignor B. Khayalt corepiscopo siro e vicario generale a Mossoul, trovandosi in Roma, aveva direttamente ed indirettamente espresso a questo Ministero molte delle considerazioni formulate da P. Tomaso e da lei diligentemente riferite nel rapporto n. 6/3 del 16 gennaio u.s.I. Ed era in quest'ordine di idee che io avevo chiesto il giudizio della S.V. sulla opportunità o meno di concedere un sussidio al clero siriano cattolico di Mossoul per la fondazione di scuole in cui si sarebbe insegnato l'italiano (dispaccio 20 luglio 191 O di v. lll)2.

Senonché un più maturo esame della questione e le favorevoli disposizioni dimostrate dai salesiani hanno condotto questo ministero ad iniziare la nostra attività sotto una forma più diretta e concreta. Le pratiche hanno avuto esito favorevole, ed a giorni partirà dall'Italia un religioso salesiano a nome don Pouddu il quale si recherà a Mossoul accompagnato da un laico per impiantarvi una scuola d'arti e mestieri e d'insegnamento della nostra lingua. Se l'esperimento riesce, come si ha ragione di credere, la scuola stessa potrà svilupparsi ed affermarsi anche sotto altre forme ed esercitando indirettamente un'utile e notevole influenza italiana. L'azione diretta ed intesa ad un sicuro mezzo di informazioni, che consenta al capitale italiano di scuotersi dall'attuale inerzia ed interessarsi a proficue

2 Non rinvenuto.

imprese industriali, sarà esercitata dal r. vice console che intendo di istituire a Mossoul e per il quale furono stanziati appositi fondi nell'esercizio 1911-12.

Certo è vano sperare, come osservava anche la S.V., che il commercio italiano possa rivolgersi attivamente verso codeste regioni finché non si potrà stabilire una linea diretta di navigazione dall'Italia. Nel momento attuale non sembra opportuno di entrare in trattative con una delle due linee di navigazione estere (Hamburg America Linie e British India Nav. & Co.) che fanno attualmente capo a Bassora ma mi riservo di ritornare sulla questione non appena saranno aggiudicati i nuovi servizi marittimi contemplati in un disegno di legge che è attualmente in esame alla Camera dei deputati. Sarà forse allora possibile che le migliorate condizioni della linea italiana Genova Bombay consentano alla società assuntrice, di istituire un servizio proprio tra Bombay e Bassora con bandiera italiana.

L'opera richiede tempo e tenacia e per quanto riguarda l'azione dei salesiani anche molto tatto e circospezione. Svolgendosi infatti la loro attività in concomitanza con quella analoga svolta dai domenicani che sono sotto la protezione della Francia, potrebbe nascere il sospetto che i religiosi italiani vogliano fare della concorrenza ai religiosi francesi.

Ma se da un lato è incontestabile il nostro diritto di avere a Mossoul un centro religioso di istruzione italiana, noi, affermandolo, non vogliamo per altro né escludere i domenicani protetti francesi né fare cosa che possa turbare le amichevoli relazioni intercorrenti3 tra l'Italia e la Francia. Ho quindi chiaramente significato al Governo francese il vero nostro intendimento e rivolto ai salesiani formali raccomandazioni di conservare buoni rapporti coi domenicani, di stabilirsi possibilmente in un quartiere diverso da quello ove i domenicani risiedono e di evitare ogni e qualsiasi ragione di attrito. Nutro fiducia che gli affidamenti ricevuti in proposito saranno mantenuti e che noi potremo iniziare a svolgere anche su questo punto, una tranquilla utile e notevole azione di influenza prettamente italiana.

730 2 Integrazione del decifratore.

731 l Non pubblicato.

732

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATA PERSONALE. Madrid, 25 febbraio 1911.

Le previsioni ch'io facevo nella mia lettera particolare del 201 circa le difficoltà che avrebbe incontrate la missione dell'infante Ferdinando malgrado che mi

732 I Non rinvenuta.

fosse stata spontaneamente annunziata così dal ministro di Stato come da re Alfonso, accennano a verificarsi. Ieri in occasione del ricevimento ebdomadario del marchese d' Alhucemas misi la conversazione sulle parole dettemi da Sua Maestà sulla questione dei titoli italiani (vedi rapporto n. 164/78)2 e su quella della visita dell'infante. Sul primo punto il ministro mi si mostrò in pieno accordo con il sovrano, ma sul secondo mi disse che quella era appunto l 'intenzione di re Alfonso, che la cosa però si presentava assai delicata e, assumendo carattere politico, doveva ancor essere esaminata in Consiglio dei ministri. Senza appoggiar troppo, ricordai al mio interlocutore come, prima ancora che il re, me ne avesse parlato egli medesimo, ed egli rispose che egli mi aveva espresso in quell'occasione semplicemente l'intenzione del Re. Avrei potuto osservargli che quando un ministro soprattutto in simili argomenti esprime spontaneamente un'intenzione del suo sovrano al rappresentante d 'un Governo estero, questi ha il diritto di ritenere che l'intenzione del principe sia stata già ratificata dai suoi ministri responsabili. Ma non credetti dare al colloquio un simile indirizzo, ritenendo io (subordinatamente s'intende alle istruzioni che potrei ricevere in proposito) che in questa delicata questione delle visite di principi esteri noi dobbiamo mostrare di gradire ma non di sollecitare. Mi limitai quindi a rispondere al ministro di Stato che la visita dell'infante sarebbe stata graditissima a Roma e avrebbe costituito un nuovo argomento di cordiali relazioni fra i due Stati.

Il marchese di Alhucemas proseguì dicendo che il Ministero liberale del quale egli fa parte non potrebbe che veder con piacere il viaggio a Roma dell'infante, ma che l'opposizione di destra se ne farebbe certo un'arma per attaccare il Governo, e che nella pendenza delle negoziazioni con la Santa Sede quel progetto il quale potrebbe avere una ripercussione sulla politica interna della Spagna doveva esser attentamente esaminato in Consiglio dei ministri. Se ne parlerebbe in una prossima riunione dovendosi attendere il ritorno del ministro delle finanze signor Cobian che si è recato per alcuni giorni nel sud della Spagna. In tutti i casi conchiuse il ministro di Stato, si manderebbe a presentare a Sua Maestà le insegne del suo reggimento un personaggio di molta importanza, come per esempio un capitano generale insignito del Toson d'Oro.

Inspirandomi al concetto che ho più sopra espresso all'E.V. non ho creduto di prolungare più oltre, la conversazione, e mi limitai a ripetere al marchese di Alhucemas che la visita dell'infante produrrebbe in Italia la migliore impressione e darebbe nuovo alimento alle simpatie naturali dei due popoli.

Evidentemente il ministro di Stato, quando mi parlò la prima volta di sua assoluta iniziativa del viaggio dell'infante, lo considerava come quasi assicurato, e il suo linguaggio più riservato di ieri mostra che nell'intervallo si posero in azione alcuni degli elementi interessati ad evitare anche nella situazione presente di far cosa sgradita al Vaticano, elementi che nello stesso Ministero Canalejas non mancano di rappresentanti. Le mie previsioni devono essere che questi elementi

prevarranno, e appunto perciò credo (salvo diverse istruzioni che dopo la mia lettera del 20 e il mio telegramma di ieri l'E.V. è in grado di darmi con piena cognizione di causa) che a me s'imponga ora un atteggiamento d'aspettativa. Per quanto infatti la visita dell'infante sia per molte ragioni da desiderarsi, pure credo non convenga a noi, cercando di promuoverla senza serie probabilità di riuscita, procurare ai nostri avversari la facile soddisfazione di proclamare l'abbandono di quel progetto come un loro trionfo. Qualunque sia poi la decisione definitiva del Governo spagnuolo, noi doviamo notare con compiacimento le tendenze personali di re Alfonso quali si sono manifestate in questa occasione.

731 3 «Intercedenti» nel documento per errore materiale del copista.

732 2 Non rinvenuto.

733

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO, CETTIGNE E SOFIA

T. 721. Roma, 26 febbraio 1911, ore 12,25.

Da informazioni raccolte sui luoghi dal r. consolato di Uskub risulta essere infondate le voci corse recentemente di un ritiro delle truppe turche dal Sangiaccato. Vi fu soltanto un cambiamento di guarnigione; ma vi permangono cinque battaglioni di fanteria e 14 cannoni da montagna, con un effettivo totale di appena mille uomini circa. Del pari è insussistente notizia di ufficiali e pattuglie austriache circolanti nel Sangiaccato. La popolazione però sembra aspettare e desiderare la rioccupazione austriaca, cui la Turchia non si opporrebbe. D'altra parte nelle regioni di Jaceva e di lpek si è convinti che gli albanesi rifugiati al Montenegro cominceranno fra poco a rimpatriare e formare bande. Tutto ciò, in relazione a corrispondenza precedente, e per informazione di VE.

734

IL MINISTRO A LISBONA, PAULUCCI DI CALBOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 183/96. Lisbona, 26febbraio 1911 (per. il 4 marzo).

Le dichiarazioni ebdomadarie che questo ministro degli affari esteri serve gelosamente, qual prelibate primizie, ai giornalisti, svelano sovente, in maniera più aperta che nei colloqui col corpo diplomatico, il pensiero del nuovo Governo.

Nel discorso tenuto jeri dal signor Bernardino Machado ai rappresentanti della stampa (discorso che durò un paio d'ore!) vi è una frase che ci tocca più da vicino, e che credo quindi dover segnalare all'attenzione di V.E.

Parlando dei rapporti attuali del Portogallo cogli altri Paesi, il ministro degli affari esteri, dopo aver citato la firma del modus vivendi colla Francia per dimostrare come questi legami divengano sempre più stretti, fece pure cenno degli inviti che «il Governo portoghese avrebbe avuto e dalla Francia, e dall'Inghilterra e dall'Italia perché il Portogallo si faccia rappresentare in differenti congressi e gare che devono aver luogo in quei Paesi» l.

Vi è, mi sembra, in questo grido di soddisfazione, anche una leggiera punta d'ironia che ha certo la sua ragion d'essere. Le Potenze estere pare dimentichino a poco a poco che il Governo provvisorio fu riconosciuto dall'Europa solamente come di fatto e il signor Bernardino Machado non ha forse torto di notare che il Governo provvisorio gode oggidì, nei suoi rapporti internazionali, di una personalità ed un'autorità quasi complete2.

735

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI

T. 744. Roma, 27 febbraio 1911, ore 11,50.

Prego V.E. di indagare riservatamente e farmi conoscere quanto vi sia di vero nella notizia pubblicata dai giornali di una visita del re di Grecia a Roma per portare le sue felicitazioni al re d'Italia nell'occasione delle feste cinquantenarie. Naturalmente, la visita sarebbe gradita, per quanto, come ella sa, .non sia stato fatto invito a nessuno.

736

L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, LEGRAND, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Roma, 2 marzo 1911.

L'ambassadeur absent pour la journée m'a chargé de vous donner connaissance des renseignements qu'il a reçus de M. Pichon sur certains points de la convention de Tripoli du 19 mai 191 O don t vous lui avez récemment parlé.

2 Annotazione a margine: «Sempre così.».

En ce qui concerne le tracé de la frontière tuniso-tripolitaine, la convention dont il s'agiti l'a fixé de telle sorte que l'oasis de Ghadamès conserve, sur toute la frontière tunisienne, une banlieue d 'un rayon d'environ 15 kilomètres, par conséquent suffisante pour assurer le développement de la ville au nord et à l'ouest.

M. Pichon ajoute que !es informations qui attribuent à la France la ma'ìtrise des sources et d es bois nécessaires à l'oasis, so n t purement fantaisistes. L es points d'eau de Zar et de Mechignis que nous ne possedons qu'en partie (puisque la ligne frontière !es coupe en deux) sont très éloignés de Ghadamès. Nous n'avons d'intéret à !es posséder que parce qu'ils sont situés sur la route carovanière conduisant du sud de la Tunisie à Ghadamès.

Le ministre nous annonce d'ailleurs l'envoi très prochain du texte de la convention de Tripole et M. Barrère n'aura certainement aucune objection à nous communiquer le texte intégral de cet instrument.

734 l Annotazione a margine: «Quali?».

737

L'ADDETTO MILITARE A SOFIA, MERRONE, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO 1

R. RISERVATISSIMO 3. Sofia, 2 marzo 1911 (per. il 6).

A seguito del rapporto n. 2 riservatissimo del 18 febbraio a.c.2 credo mio dovere -anche in considerazione che in questi giorni la stampa si occupa molto di politica orientale -di riferire alla E.V. quanto il conte Bosdari mi confidò in successivi colloqui.

I. Sono insussistenti le voci che la Turchia abbia abbandonato il Sangiaccato, come insistentemente si asseriva (veggasi dichiarazione del ministro di Serbia circa presunta azione austro-montenegrina).

Nel Sangiaccato di Novi Bazar vi sono ancora 5 battaglioni e 14 batterie da montagna, con forza totale di l 000 uomini e più. Certo però che nel Sangiaccato vi è un forte nucleo di abitanti, il quale desidererebbe ancora la rioccupazione dell'Austria.

IL Il Governo bulgaro:

-chiama politica da caffè e da giornali tutto ciò che si dice in merito a con

venzioni fra Bulgaria ed altri Stati (pare anzi sia caduta definitivamente l 'idea del viaggio di re Ferdinando a Vienna3. Al sottoscritto, da persona che è alla Corte, venne dichiarato -in via molto confidenziale -che molto probabilmente il viag

2 Cfr. n. 724.

3 Annotazione a margine: «Ho letto che c'è andato!».

gio di re Ferdinando in Italia si farà in maggio. Ciò concorda con quanto già il conte de Bosdari conosceva); -delle paure per un'azione del Montenegro non è da tener conto: il Montenegro è più che mai impoverito, ed è a mani legate nelle braccia di chi lo paga; -sarebbe sconfortevole un'eventuale dittatura militare a Costantinopoli, la quale potrebbe portare recrudescenza nei dolori dei macedoni; -la Bulgaria ama di restare in pace e di svilupparsi economicamente (è da ritenere vero per molte ragioni: finanze -esercito -politica estera ed interna).

III. Pare che il re Pietro, tornando da Roma in Serbia, dovesse avere un colloquio con delegati montenegrini a Venezia, per accordarsi sulle sfere d'influenza in Albania. Il re Pietro non trovò conveniente tale colloquio a Venezia. Fece invece, per mezzo del suo rappresentante a Cettigne, chiedere al re Nicola se questi fosse persuaso della grande responsabilità di movimenti insurrezionali in tali momenti. Ad ogni modo -data una liberazione dei popoli serbi dal giogo turco -re Nicola doveva essere persuaso che la Serbia avrebbe riconosciuti i diritti del Montenegro.

IV. In Montenegro, pare vi siano ancora 1800 rifugiati albanesi -700 albanesi cattolici -200 musulmani -300 serbi (forse la cifra è esagerata). Ad ogni modo è sicuro che re Nicola ha indirizzato un memorandum ai diversi Governi dichiarando:

«In caso che i rifugiati ritornino in Albania, il Governo turco si impegna di lasciare completamente liberi tutti, fuorché pochissimi capi che sarebbero internati nell'Asia Minore. l rifugiati non accetterebbero queste condizioni. Il Montenegro non è più nella possibilità di sopperire alle spese pei rifugiati oltre il mese. I rifugiati dovrebbero quindi o essere accolti altrove o ritornare in Albania: comunque potrebbero portare le loro armi contro la Turchia.

Il Montenegro vuole la pace e la tranquillità: quindi far comprendere alla Turchia di assolvere tutti senza distinzione».

V. In sintesi: solite lagnanze -solite paure; ma tutti i sintomi positivi non sono per nulla -almeno fino ad ora -allarmanti.

Ad ogni modo, la politica dei Balcani si fa e si farà a Costantinopoli ed a Vienna.

736 l Annotazione nelrinterlinea: « 19/5/191 0».

737 l Da Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

738

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 112/30. Addis Abeba, 3 marzo 1911 (per. il 30).

Mi stavo accingendo a compilare per VE. un quadro riassuntivo degli avvenimenti svoltisi in Abissinia in questi ultimi mesi e della situazione derivante da

essi sia nelle questioni di ordine puramente interno che in quelle riguardanti le relazioni esteriori de li 'Impero etiopico, quando un fatto nuovo è sopraggiunto a porre un altro punto interrogativo ed a rendere ancora più problematiche le previsioni che si possono fare suli'avvenire politico di questo Paese già turbato da tante inquietudini e da tante incertezze.

Ho informato telegraficamente V.E. 1 che il dottore De Castro, chiamato circa quindici giorni or sono da ras Tesamma, ha riscontrato in lui sintomi ben palesi di paralisi circoscritta, accompagnati da notevole indebolimento delle facoltà fisiche ed intellettuali.

Già da qualche tempo lo stato di salute di ras Tesamma lasciava alquanto a desiderare ed era palese ai suoi famigliari, ed io stesso mi ero accorto di questo suo precipitoso deperimento, che nello scorso mese giunse ad un punto da sollevare serie inquietudini.

Attualmente ras Tesamma si è affidato alle cure del dottore De Castro e questi spera, con un rigoroso regime e coli'assoluto riposo, di ottenere un risultato soddisfacente.

La malattia di ras Tesamma pur non presentando un pericolo immediato è però tale da giustificare le inquietudini che essa ha fatto nascere, e purtroppo sembra che si debba ripetere in lui la triste odissea de li'imperatore.

A V.E. non sfuggirà la gravità di questa minaccia che viene a troncare, o per lo meno a sospendere, l'opera del Governo presieduto da ras Tesamma, proprio quando esso pareva incominciasse ad essere conscio della sua missione e della sua responsabilità.

Nei miei precedenti rapporti sulla situazione politica in Abissinia, e specialmente in quello del 5 settembre 191 O (n. 87)2, ho espresso su ras Tesamma un giudizio assai severo; ma debbo riconoscere ora che egli, benché avidissimo di denaro e di potere, e di carattere debole ed impulsivo, ha però saputo in questi mesi consolidare efficacemente il governo del quale egli è capo, e superare abilmente difficoltà gravi e minacciose, come fu quella del conflitto con ras Oliè.

Né posso tacere a V.E. la simpatia, l'attaccamento e la fiducia che egli in tutto questo tempo ha dimostrato a me personalmente, richiedendo constantemente il mio consiglio sulle questioni interne d'Abissinia e dimostrando la più grande arrendevolezza nelle questioni riguardanti i nostri interessi.

Io non intendo ostentare presso V.E. una mia pretesa influenza personale su ras Tesamma, ma ho la convinzione di avere in diverse circostanze influito beneficamente sopra di lui e modificato tendenze e combattuto consigli che potevano essere dannosi agli interessi nostri ed agli interessi di altri; ed avevo piena fiducia di poter condurre a termine col governo da lui presieduto gli affari in corso che maggiormente ci interessano, e primo fra di essi la delimitazione delle nostre frontiere.

738 I T. 836/17 del 25 febbraio, non pubblicato. 2 Cfr. n. 448.

lo non credo, anzi escludo assolutamente, che la malattia di ras Tesamma debba avere, anche qualora essa perdurasse, conseguenze immediate sul Governo e sul paese: essa però disorganizzerebbe necessariamente l'andamento degli affari già così lento e difficile, pur non mutandone il corso.

Ho in questi giorni conferito su tale soggetto con fitaurari Aptegorghis che continua ad essere la mente direttiva del Governo etiopico, ed a lui ho espresso il mio parere sui provvedimenti che il Governo dovrebbe prendere per assicurare la sua continuità ed autorità, qualora la malattia di ras Tesamma li rendesse necessan.

Tali provvedimenti consisterebbero specialmente nel chiamare ad Addis Abeba ras Uoldegorghis, la cui presenza ed autorità basterebbe a far tacere altre ambizioni ed altre pretese, e senza conferirgli il titolo e la dignità di reggente, della quale l 'imperatore ha insignito ras Tesamma e che sarebbe prudente per ora di conservargli, incaricarlo di esercitarne le funzioni unitamente agli altri membri dell'attuale Governo, che non hanno sufficiente autorità personale per governare da soli.

L'assunzione di ras Uoldegorghis alla direzione degli affari dello Stato soddisferrebbe tutte le esigenze presenti, ma non sarebbe priva di pericoli per l 'avvenire, poiché egli fra i grandi capi etiopici fu quello che accolse con minor entusiasmo e con mal celato dispiacere la proclamazione di ligg Jasu alla successione del trono di Menelik e su di lui convergono tutt'ora le speranze del partito scioano ortodosso che non vorrebbe vedere la corona etiopica sul capo di un figlio di Maometto.

Anche su ras Tesamma del resto grava lo stesso sospetto, che io ritengo però meno fondato, ma i diritti di ligg Jasu sono stati proclamati troppo solennemente da Menelik per poter essere contestati, e la loro difesa è stata affidata a mani troppo forti ed interessate e fedeli per permettere che essi siano calpestati.

Fitaurari Aptegorghis divide pienamente le mie idee ed egli stesso mi disse in questi giorni di non avere personalmente alcuna ambizione per il governo, di avere anzi bisogno e desiderio di riposo, ma di essere legato all'imperatore Menelik oltreché dal giuramento solenne pronunciato da tutti i capi, da un debito di riconoscenza eterna per averlo elevato dal nulla alla dignità attuale, e che malgrado tutti e contro di tutti egli difenderà fino ad ogni estremo la volontà di Menelik ed i diritti di ligg Jasu.

Anche ras Tesamma, al quale fitaurari Aptegorghis ha comunicato il mio consiglio, mi ha espresso il desiderio di vedermi appena gli sarà possibile ed all'insaputa degli altri ministri e capi abissini.

Scopo invero del presente rapporto era quello di tratteggiare a VE. la situazione attuale in Abissinia, ma mi sono dilungato alquanto sugli effetti e le conseguenze che potrebbe avere la malattia di ras Tesamma poiché esse, oltreché coll 'andamento degli affari, hanno una stretta attinenza col problema maggiore che grava sull'Abissinia, ossia, quello della successione di Menelik, che la proclamazione di ligg Jasu ha solo risolto in parte, ma che è pur sempre in balia di circostanze imprevedibili e minacciato da tanti intrighi e da tante ambizioni.

Il Paese in generale è tranquillo e lo spirito pubblico pur non essendo molto contento e favorevole all'attuale Governo non dimostra però alcuna velleità di cambiamento.

La situazione nelle province settentrionali dell'Abissinia che è quella che maggiormente ci interessa e ci preoccupa, è soddistàcente e non presenta per noi alcuna ragione di inquietudine.

Colla venuta di ras Oliè ad Addis Abeba e colla imminente sua pacificazione con ras Micael ha avuto fine, come ho segnalato a V.E. fino dal 6 novembre col telegramma n. 1503, il conflitto che minacciava di scoppiare violentemente fra ras Oli è ed il Governo centrale e che pareva dover essere l'epilogo necessario della lotta combattuta fra il nuovo Governo e l'imperatrice.

Il conflitto fra ras Oliè e ras Micael, che sembrava dovesse degenerare in una aperta ribellione di ras Oliè contro il Governo etiopico, e durato dalla primavera dell'autunno dell'anno scorso e si è pacificamente risolto per la prudenza e la longanimità di questo Governo che ha indotto ras Olié a sottomettersi al suo consiglio ed alla sua autorità, e sta ora inducendo ras Micael a pacificarsi col fratello dell'imperatrice eliminando ogni causa di ulteriori conflitti fra di loro.

Non è improbabile che dopo l'avvenuta pacificazione dei due ras anche ras Oliè faccia nuovamente ritorno al suo paese, e che il Governo intende compensarlo della sua sottomissione estendendo i suoi confini verso il nord a detrimento di capi meno importanti come degiacc Abarrà Uahadù e degiacc Sejum Uoldemangascià.

Ras Uoldegorghis, che nel maggio 1910 era stato tolto dal Caffa ed inviato nel Beghemeder in sostituzione di ras Gugsa con giurisdizione sul Dembeà, sul Semien e sul Tigrè ha impiegato questo tempo nello stabilire la sua autorità nei paesi affidati al suo governo, e più ancora a trarre da essi per sé e per i suoi dipendenti tutti quei vantaggi e quelle risorse che il paese era suscettibile di dare.

Pare che il governo di ras Uoldegorghis non abbia incontrato il favore di quelle popolazioni che già replicatamente inviarono ad Addis Abeba le loro lagnanze.

Tutti i governatori delle province più vicine ai nostri confini dell'Eritrea, ossia degiacc Garasellassè, deggiac Sejum Mangascià e ras Sebhat sono attualmente ad Addis Abeba e credo che qualcuno di loro non farà più ritorno al suo paese.

Degiacc Garasellassè, che è senza dubbio il migliore fra di essi e che è maggiormente tenuto in conto anche da questo Governo, continua a lottare contro il sospetto della nostra amicizia e contro l'accusa di intese segrete che egli avrebbe col Governo ad Asmara.

Degiacc Sejum Mangascià, senza aver dato ora speciali motivi a sospetti ed a lagnanze, sconta però sempre il ricordo lasciato dalle gesta del padre e le aspirazioni ereditarie della sua famiglia e non mi stupirebbe che egli venisse sacrificato a beneficio di ras Oliè o di ras Uoldegorghis; ciò che sarebbe per noi un

lieve danno perché ritengo degiacc Sejum il capo più infido, più abietto e più pusillamine di tutto il Tigrè.

Ras Sebhat ebbe la fortuna di cooperare efficacemente alla vittoria di ras Abate su degiacc Abrahà, ciò che gli valse la riconoscenza del Governo, che non si aspettava certamente da lui una condotta così leale e brillante.

Ras Micael è stato gravemente pregiudicato nella opinione e nella fiducia del Governo e dei capi scioani dal suo recente conflitto con ras Oliè, nel quale è parso che egli volesse anteporre l'autorità e gli interessi proprii all'autorità del Governo ed agli interessi generali, e da quanto ebbe a riferirmi il nostro agente a Dessiè, conte Marazzini, l'energia e l'autorità di ras Micael sarebbe del resto grandemente diminuita nel suo stesso paese.

Egli rimane però sempre uno dei capisaldi del Governo attuale e dell'avvenire politico in Abissinia.

Ras Abate, il vincitore di Quoram, che sembrava dovesse diventare uno degli esponenti e dei fattori maggiori della nuova vita pubblica, si è invece ritirato nella sua provincia di Cambata, ma egli è troppo forte, troppo giovane e troppo ambizioso per rinunciare alle aspirazioni che la voce pubblica gli attribuisce, e che senza essere quelle di salire sul trono d'Etiopia, non lo renderebbero però certamente pago di continuare ad esercitare una parte secondaria nel governo del suo paese.

Nelle altre province d'Abissinia nulla o quasi nulla di mutato: ad Harrar degiace Tafari segue le tradizioni paterne e già si è acquistata la stima e l'affezione dei suoi sudditi; nelle regioni confinanti col Benadir governate da degiacc Nado regna sufficiente tranquillità tanto da permettere alla missione per la delimitazione dei confini di compiere il suo mandato senza eccessivo pericolo; nel Sidamo, nei Borana e nelle altre regioni galla contornanti il bacino del Margherita la tranquillità è perfetta.

Più inquietante è invece la situazione nelle province comprese fra il bacino deJI'Omo e quello dell'alto Nilo, dove si verificarono diversi tentativi di ribellione.

Le relazioni del Governo etiopico colle Potenze europee rappresentate in Abissinia e specialmente coll'Italia, colla Francia e colla Germania sono ottime.

La Francia prosegue nella sua opera per la costruzione della ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba, che gli dà indubbiamente una preponderanza di interessi su tutte le altre Nazioni.

L'accordo tra il Governo francese ed il Governo etiopico per la suddetta ferrovia è però ben lontano dall'essere così completo come il Governo francese vorrebbe far credere; poiché l'Etiopia è rimasta ferma nella sua decisione di riservare a sé la costruzione e l'esercizio del tronco di linea fra l' Auasc ed Addis Abeba, ed il Governo francese è costretto a contare sulla remissività futura di questo Governo e sulle difficoltà che esso incontrerà n eli' esecuzione dei lavori che si propone di fare, per condurre a termine il progetto che dovrebbe dare alla Francia una preponderanza assoluta in Abissinia.

I lavori della ferrovia proseguono intanto piuttosto lentamente da DireDaua, mentre ad Addis Abeba nulla è stato iniziato; ma questa legazione di Francia fa bonne mine à mauvais jeu e si disinteressa completamente di qualunque altro affare, compresa la protezione di questo Governo ed alienarsi le sue buone grazie, in vista delle concessioni e dei vantaggi che essa si ripromette per la ferrovia.

I rapporti fra la legazione di Germania ed il Governo etiopico sono parimenti buoni, ma il prestigio della Germania non ha certamente nulla da guadagnare dagli intrighi meschini e dalla condotta poco dignitosa dello attuale incaricato d'affari, dottor Zechlin, ed è da augurarsi che il titolare della legazione germanica, dottore Scheller Steinwartz, faccia presto ritorno al suo posto o sia definitivamente sostituito da altra persona.

Dei rapporti tra questa r. legazione d'Italia ed il Governo etiopico credo superfluo parlare in questo rapporto.

l rapporti invece tra la legazione britannica ed il Governo etiopico sono un poco tesi e ciò in causa specialmente della contesa vivace sorta per la delimitazione dei confini tra l'Abissinia meridionale ed i possedimenti inglesi dell'Africa Orientale e dell'Uganda, di cui è oggetto un mio speciale rapporto.

Ma io confido che la calma la fermezza e l 'abilità dell'attuale ministro britannico, on. W. Thesiger, finirà per avere ragione della ostinazione abissina e trovare un componimento conveniente per i due Governi.

Copia del presente rapporto trasmetto direttamente ai Governi della Colonia Eritrea e della Somalia Italiana.

738 3 T. 3900/150, non pubblicato.

739

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 996/95. Parigi, 4 marzo 1911. ore 14,40 (per. ore 18,30).

Giornali pubblicano seguente telegramma Agenzia Havas da Costantinopo

li: il ministro degli affari esteri smentisce che il valì di Tripoli Barberia sia stato trasferito. L'Italia non ha fatto alcuna domanda a tale riguardo. Si danno, d'altra parte, le informazioni seguenti da fonte officiosa sulle difficoltà tra l 'Italia e la Turchia. L'Italia ha semplicemente richiamato l'attenzione del Governo ottomano sulle difficoltà che presenta la ripresa delle relazioni normali tra il valì ed il console d'Italia in seguito incidente Guzman. La Sublime Porta ha risposto che, lasciava all'Italia giudicare se, in seguito a quell'incidente, sia possibile la permanenza del console. La Sublime Porta ha presentato inoltre essa stessa un reclamo, relativamente all'atteggiamento dei consoli di Hodeida e Bengasi. La forma corretta dell'inciso, in cui è detto che la Sublime Porta lascia all'Italia di giudicare se deve o non mantenere il suo console a Tripoli, dopo l'incidente col valì, è qui generalmente rilevata.

740

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 853. Roma, 6 marzo 1911, ore 15.

Suo telegramma n. 2351. Per uso personale di V.E. e per eventuale norma di linguaggio qualora lo creda utile, ecco come stanno veramente le cose. Opinione pubblica italiana, Parlamento, stampa, credono che condotta Governo italiano verso Turchia sia stata finora troppo remissiva, e se tale stato d'animo perdura, e la Turchia non fa qualche atto prontamente e palesemente amichevole, può accadere che Ministero attuale o successore sia costretto ad atti coercitivi. Siccome questi si farebbero in modo efficace e decisivo, non vi ha dubbio che incoraggerebbero tutti i nemici interni ed esterni del Governo turco, e ne potrebbero derivare conseguenze gravi. Il Governo italiano fa e farà tutti gli sforzi compatibili col decoro e l 'interesse del paese per evitare che ciò avvenga, ma bisogna che il Governo ottomano si affretti a facilitargli il non facile compito. Abbiamo intanto cercato, finora invano, e continueremo a cercare di moderare il linguaggio della stampa. Abbiamo dato ordini severi contro l'eventuale contrabbando di armi e munizioni nello Yemen. Abbiamo dato ordini severi a prefetti di impedire gli arruolamenti annunziati da Ricciotti Garibaldi. Tutti i prefetti senza distinzione hanno finora risposto che non una sola persona si è arruolata. Ha fatto pessima impressione, e mi ha reso più difficile di tenere attitudine conciliante, la pubblicazione ufficiosa, in parte non veridica, fatta dalla Porta, in cui dice aver fatto sentire al Governo italiano che sarebbe desiderabile il trasloco dei consoli a Hodeida, Bengasi e Tripoli. È superfluo aggiungere che ciò rende impossibile il loro trasloco nelle presenti circostanze. Credo sarebbe pericoloso e dannoso se la Turchia si illudesse che Governo italiano non agirà militarmente all'occorrenza, ma non bisogna certo fare minacce, ed è profondamente sincero il nostro proposito di rendere sempre più cordiali i reciproci rapporti, se la Turchia, di cui vivamente desideriamo la integrità e prosperità, ci facilita il compito con eguale sincerità e con prontezza.

l 740 T. 1004/235 del 5 marzo, non pubblicato, col quale Mayor riferiva di aver rassicurato Pallavicini sulle intenzioni italiane nei riguardi della Turchia.

741

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1111/278. Pera, 6 marzo 1911 (per. il 20).

Gli ottomani sembrano avere ubbidito, da qualche mese, al concetto enunciato da un giornale giovane turco, più degli altri imprudente di linguaggio, secondo il quale, pretendendo gli italiani ad una posizione superiore a quella degli altri in Tripolitania, occorreva mostrare loro, coi fatti, che non avevano a tale posizione alcun diritto. Donde le difficoltà affacciatesi, con nuova recrudescenza, in tutti i campi della nostra attività.

Sia in conseguenza di ciò, sia perché ora non trattasi più di semplice esplorazione, ma di veri e propri scavi, è parso al commendatore Halbherr che l'accoglienza fatta da S.E. il direttore dei Musei Imperiali alle proposte della nostra missione archeologica in Cirenaica fosse meno incoraggiante che la scorsa estate, come se la missione cominciasse a dare sospetti. L'Halbherr crede che, nei riguardi degli americani, la legge archeologica sia applicata con un'interpretazione più larga; con noi invece, alla lettera e con riserve. Notizie dei nostri consoli in Cirenaica e Tripolitania sul trattamento attuale degli americani, sebbene richieste da vari giorni, non si sono però potute avere, causa forse, il non funzionamento del telegrafo.

Il direttore dei Musei Imperiali, Halil bey, col quale, in considerazione delle domande che dovevamo avere da rivolgergli, mi sono sempre tenuto in ottimi rapporti, invitandolo, fornendolo di pubblicazioni, ecc. ha promesso di appoggiare la domanda della missione per gli scavi di Tolmeta e di fame sollecitare le pratiche, ma ha insistito sulla lunghezza inevitabile delle medesime ed ha avuto qualche allusione a difficoltà possibili da parte del Ministero degli interni o delle autorità locali, aggiungendo che in altre regioni dell'Impero tali difficoltà o non vi sarebbero state, od essendovi, egli ce le avrebbe fatte vincere agevolmente. Naturalmente si insisterà a Costantinopoli dalla r. ambasciata e a Bengasi dal consolato e dall 'Halbherr, perché la domanda abbia esito, ed al più presto. E presenterò quanto prima il commendator Halbherr al ministro della pubblica istruzione, Ismail Hakki bey, ed al ministro dell'interno, Halil bey, ai quali, sempre in vista del bisogno che avremmo di loro, ho già fatto una visita, senza aspettare, sebbene sarebbe stata doverosa e regolare, la loro.

Ma è nostra opinione che per appoggiare e coprire l'opera di una missione archeologica italiana, che voglia lavorare a lungo e penetrare sempre più nella Cirenaica e Tripolitania, come per facilitare qualsiasi altra eventuale impresa d'esplorazione in Turchia, bisognerebbe potere esercitare un influsso continuato sulla Direzione dei Musei Imperiali e trovare il modo di deviare l'attenzione dal nostro lavoro scientifico nella reggenza col fare qualche cosa di simile in altre regioni dello Impero, dove non si dia luogo a sospetti. A tale intento di divergere i sospetti, mi permisi appoggiare la domanda che fece, a suo tempo, il cavaliere Zunini, di intraprendere scavi presso Bagdad.

Al primo scopo servirebbe benissimo l'istituzione del posto di addetto scientifico a Costantinopoli, già proposta da questa r. ambasciata. Il direttore dei Musei Imperiali, Halil bey, ha fatto capire ripetutamente che gradirebbe vedere anche qualche italiano fra i cooperatori dello studio e dell'ordinamento del suo Museo. Un archeologo italiano che si guadagnasse le di lui simpatie, che lo legasse con qualche obbligazione e contemporaneamente lo sorvegliasse, farebbe molto al nostro interesse. Anche un'onorificenza ad Halil bey aiuterebbe ad amicarlo. Se le pratiche per il permesso degli scavi a Tolmeta giungesse presto a buon fine, sarebbe il caso di dargliela.

Al secondo scopo contribuirebbe qualche esplorazione da organizzarsi dalla nostra scuola archeologica di Atene o dalla missione di Creta, nell'Asia Minore,

o la fondazione di un piccolo pied-à-terre in un centro storico od archeologico della medesima, per esempio, come già propose l'Halbherr, a Gerusalemme, od altrove.

Per il posto di addetto a Costantinopoli, se si trovassero i fondi, crede l'Halbherr che, per l'estate o per l'autunno entrante, si potrebbe trovare anche la persona adatta. A Gerusalemme od in altra parte dell'Asia ottomana, lo Halbherr potrebbe avviare ed installare qualcheduno dei giovani della missione di Creta o della Cirenaica.

742

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 871. Roma, 7 marzo 1911, ore 15.

Suo telegramma n. 2321. La visita di codesto principe ereditario sarà graditissima a Sua Maestà il Re. Per la forma dell'accenno di tale gradimento che il principe desidera, è necessario premettere che il R. Governo ha dichiarato che, in quest'anno giubilare della unità italiana, esso non invita alcun sovrano e principe estero, ma chi verrà spontaneamente, sia per le feste, sia indipendentemente da esse, sarà gradito. L'accenno, dunque, non può essere fatto che in forma compatibile con questo principio. Il principe ereditario e codesto Governo comprenderanno che non possiamo dipartircene per riguardo verso gli altri Stati. Siccome il principe ereditario ha, non solo a V. E. e in altri modo, ma anche in una intervista pubblicata in un giornale, espresso la sua spontanea intenzione di venire in Italia, così io potrei domandare a Kiazim

e VE. a Rifaat, se il principe mantiene quel proponimento e aggiungere che la spontanea sua visita sarebbe molto gradita a Sua maestà il Re. Per esprimermi, però, in questo senso, dobbiamo essere certi che:

l) subito dopo sarà ufficialmente pubblicato che il principe imperiale verrà a Roma dopo Londra. 2) Che il nostro accenno al gradimento della visita o non si pubblichi, o si pubblichi come conseguenza della spontanea intenzione del principe a noi nota.

Tale forma è indispensabile non già pei nostri rapporti colla Turchia, ma per riguardo verso gli altri sovrani e principi esteri pel motivo indicato più sopra. Sarebbe desiderabile, pei rapporti italo-turchi, che l'annunzio della visita venisse pubblicato presto od in forma ufficiale. Secondo il programma ufficiale inglese i principi esteri presenti alla incoronazione di re Giorgio partiranno dall'Inghilterra il 28 giugno, così che codesto principe ereditario potrebbe essere a Roma alla fine di giugno o nei primi di luglio. Trascorsa la prima settimana di luglio i nostri sovrani non sarebbero più a Roma e, in tal caso, bisognerebbe entrare in trattative complicate per il luogo, il tempo e le modalità della visita. Sarebbe, perciò, molto desiderabile che il principe ereditario si trovasse a Roma non più tardi del 2 o 3 luglio all'incirca e possibilmente prima. Aggiungo che, per parte mia, sarò lietissimo di rivedere Rifaat.

742 l T. 1002/232 del 5 marzo, non pubblicato.

743

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Sofia, 7 marzo 1911.

A senso di quanto le preannunziai nel mio telegramma n. 191, mi permetto di scriverle, in questa forma particolare, qualche parola relativamente alla visita del re Ferdinando a Roma.

Dal complesso delle comunicazioni sia ufficiali che private giuntemi su questo argomento, mi sembra di dover dedurre che tanto Sua Maestà che V.E. non intendono che venga espresso al re Ferdinando nessun desiderio in proposito, ma, allo stesso tempo, che amerebbero di conoscere quali sieno le intenzioni di lui. Mi pare altresì di comprendere che il re Ferdinando si trovi in un simile stato di spirito, giacché nelle frequenti occasioni che, in queste ultime settimane, ho avuto di incontrarlo, egli ha più volte avuto, per così dire, la parola sulle labbra, che però gli è morta davanti all'imperturbabile mutismo che ho creduto di dovere osservare. Da parte mia è evidente che questo mutismo rappresenta un dovere, sia perché in argomento di tanta importanza non potrei menomamente sbilanciarmi

senza positive istruzioni, sia perché, davanti alle dolorose e vergognose polemiche dei giornali italiani sulle visite di sovrani a Roma, ho per conto mio da lungo tempo adottato le idee che ultimamente ho visto espresse in una nobilissima lettera al Corriere della Sera del prof. Catellani.

Da parte del re Ferdinando il mutismo è forse invece meno spiegabile. Il desiderio di andare prossimamente a Roma è in lui evidente. Lo ha espresso alla Camera nel suo discorso della Corona (mio rapporto 16 ottobre 1910 n. 367)2 e le sue attitudini con me cui alludevo qui sopra, non possono che confermarmelo. Ho raccolte quasi senza volerlo, e riprodotte nei miei telegrammi 7 e 193, le voci qui correnti che l'incertezza delle decisioni del re debba attribuirsi ad intrighi del clero ed a difficoltà con Vienna, ma al momento di pormi a scrivere questa lettera, ho letto nei telegrammi della Agence télégraphique bulgare, che il re Ferdinado ha in forma pressoché privata visitato ieri l'imperatore a Schoenbrunn. Suppongo che questa visita inaspettata, in forma anche più inaspettata, rappresenti una soluzione almeno momentanea di una situazione inestricabile, visto che il re Ferdinando non voleva fare una visita ufficiale senza la garanzia del conferimento del Toson d'oro e che l'imperatore non intende a nessun costo di conferirglielo. Con questa soluzione, provvisoria o definitiva che si voglia considerare, dovrebbe restar sbarazzato il terreno, per la visita a Roma in quest'anno, dalla difficoltà di Vienna. Se non che resta la difficoltà clericale, e questa credo sia abbastanza grave.

È difatti noto che il re Ferdinando nutre il vivissimo desiderio di riconciliarsi colla Santa Sede e di farsi togliere di dosso quella censura ecclesiastica che gli incombe. Dacchè convertì alla ortodossia il giovane principe di Tirnovo. E' ben chiaro che lo andare a Roma quest'anno in forma ufficiale non potrebbe costituire il mezzo migliore per raggiungere il qui indicato intento. Vi è poi qui un intrigante della più bella acqua monsignor Menini arcivescovo di Filippopoli, suddito austriaco il quale, mi si assicura, si fa trasmettitore delle idee del Vaticano su questo punto. Ed il re Ferdinando è una di quelle nature complesse su cui le parole e le insinuazioni di qualsiasi genere e provenienza hanno facile presa, soprattutto quando si tratta della sua propria personalità.

Non dubiterei però che questa difficoltà clericale sarebbe facilmente superata ove il re Ferdinando si sentisse sinceramente e vivamente desiderato a Roma. Ma, detto in assoluta confidenza, fra V. E. e me, io non credo affatto che sia così. Che anzi, fondato o non fondato, esiste nell'animo del re Ferdinando il timore di non essere personalmente troppo accetto al nostro sovrano. Lo ha detto più volte abbastanza chiaramente al Rubin, quando questi era qui addetto militare; il quale stesso Rubin mi narrava nello scorso autunno esser stati notati da tutti gli intervenuti alle feste di Cettigne, gli sforzi del re Ferdinando di porre sul terreno politico il discorso col nostro sovrano, e l'evidente schermirsene di Sua Maestà lo stesso poi, negli ormai nu

3 T. 323/7 del 25 gennaio, non pubblicato.

merosi colloqui che ho avuto col re Ferdinando, ho dovuto convincermi che egli evita i discorsi che troppo personalmente concernono il nostro sovrano.

Ella mi dirà che se nell'animo del re Ferdinando esisteva una simile idea, essa avrebbe dovuto esser dissipata dal così cortese conferimento del Collare della SS. Annunziata al principe Bori s. Or bene io debbo dirle che la soddisfazione caldamente espressa, e forse caldamente sentita dal re Ferdinando per questo atto del nostro sovrano, non è stata una soddisfazione senza qualche miscuglio di gelosia pel figlio e senza una specie di impressione che, dopo tutto, il fatto che un così giovane principe Io possedesse, scemava alquanto il valore del collare dell'Annunziata già a lui concesso dal re Umberto I. A tale proposito mi è stato narrato che in occasione del suo viaggio in Francia, re Ferdinando si oppose energicamente a che fosse dato al principe Boris il gran cordone della Legione d'onore e costrinse, contro ogni precedente e regola di etichetta, il presidente della Repubblica a dargli soltanto la croce di cavaliere, che Sua Altezza Reale effettivamente porta tuttora.

Con ciò credo di averle detto, caro signor marchese, tutto quel pochissimo che so ed ho osservato sull'argomento di questa mia troppo lunga lettera. A lei ed alla sua acuta mente, il tirar le conseguenze logiche (è vero che ella non crede alla logica!) sulla probabilità o meno che il re Ferdinando si dichiari prossimamente pronto ad andare a Roma quest'anno. Io crederei piuttosto di sì; ma il no non mi stupirebbe soverchiamente.

Io sto bene e cerco di sopportare con pazienza questo triste soggiorno in cui la politica è l 'unico pane e companatico della mattina del giorno e della sera. Quando Aristotele definì l'uomo animale politico, oltrechè la nativa Grecia doveva aver certo visitato uno Stato balcanico. Fra pochi giorni rivedrò il Malinov, e le scriverò o telegraferò di nuovo se ne sarà il caso. Ma nei pochi rapporti e telegrammi da me mandatile dopo il mio ritorno qui, credo di aver fedelmente descritto il détachement attuale della Bulgaria nelle questioni internazionali, e soprattutto il poco o nessun conto che qui si fa deiie mene serbe e montenegrine.

Questa casa è ora abitabile, e se mi lasciano spendere a mio modo i 65.000 franchi estorti al Ministero del tesoro credo che diventerà beiia del tutto. Ma fino all'inverno prossimo, fino a tanto cioè che non avrò potuto sbarazzare la casa dalla Cancelleria, non mi sarà possibile credo di invitare i sovrani, i quali viceversa hanno gran voglia di venire.

743 l T. 872/19 del 27 febbraio, non pubblicato.

743 2 Non rinvenuto.

744

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 198/79. Teheran, 9 marzo 1911 (per. il 3 aprile).

Anche qui si è avuto sentore del linguaggio assunto nelle conversazioni occasionali o volute, dali' atteggiamento preso verso questa legazione tedesca da parte dei membri dell'ambasciata ottomana, del malcontento che si è manifestato nelle sfere ufficiali e nella pubblica opinione turca contro la Germania in seguito al convegno di Potsdam ed in previsione dell'accordo che è per derivarne fra quella e la Russia. Non sembra che motivo di tale risentimento e delle relative apprensioni siano tanto le conseguenze che l'intesa è per provocare nelle questioni che hanno per campo il territorio ottomano quanto per i pregiudizi ed i pericoli che se ne prevedono riguardo agli interessi vitali che la Sublime Porta riconnette all'andamento del problema persiano. Per le prime l'abile azione svolta dall'ambasciatore germanico a Costantinopoli, le riaffermate assicurazioni ufficiali ed ufficiose germaniche che dall'incontro di Potsdam nulla è risultato o potrà risultare di dannoso alla Turchia sarebbero valse a calmare gli animi dei turchi, ma è appunto la parte dello scambio di vedute e dei negoziati fra i Governi di Berlino e di Pietroburgo -su i quali, sino ad ora, né il cancelliere tedesco né altri, hanno fatto dichiarazioni esplicite e soddisfacenti, che concernono la Persia e che appaiono non riguardare la Turchia se non in via indiretta, che formerebbe il maggiore oggetto di risentimento o di protesta.

Una lunga conversazione avuta, giorni addietro, con il primo segretario di questa ambasciata ottomana che è il braccio destro di S.E. Hassik bey e che evidentemente si è recato a vedermi per incarico del suo capo, mi ha procurato su l'argomento ragguagli interessanti che mi faccio un dovere di qui riassumere a V.E.

Rechid bey -tale è il nome del mio interlocutore -mi ha detto che la Germania riconoscendo -punto sul quale non pare esservi dubbio -alla Russia una posizione politica e strategica prevalente, direbbesi anzi assoluta, che a quanto dire ]asciarle mano libera, nel nord della Persia, ha ignorato gli interessi della Turchia, ne ha calpestato le aspirazioni, le ha aggravato un serio pericolo, ha commesso atto di tradimento verso il suo paese. La formale dichiarazione circa il rispetto dell'indipendenza e dell'integrità della Persia, risultante dal convegno di Potsdam, essere un'effimera e temporanea garanzia della conservazione dello statu quo iranico, distrutto -per quanto riguarda gli interessi turchi -dalla libertà d 'azione accordata alla Russia n eli' Azerbaidjan. Questa Potenza potere ora, senza ostacoli, ottenere dai persiani -che non avranno la forza di resistere -la concessione di qualsiasi linea ferroviaria nella regione. E, come risultare da informazioni segrete, i primi tronchi del sistema saranno quello che staccandosi da Giulfa andrà a Tauris e l 'altro da Tauris allago d 'Urmia, formando un angolo ottuso. Tale linea non avrebbe che uno scopo strategico diretto contro la Turchia e questa, ove il progetto fosse eseguito, riguarderebbe l 'impresa come una provocazione o perfino un casus belli. Ad essa l'Impero ottomano avrebbe il diritto di rispondere, in ogni caso, con la esecuzione di un disegno equipollente e contrario a mezzo di una linea ferroviaria che staccandosi da un grande centro dell'Asia Minore Orientale -ad esempio Diakebir -si dirigesse verticalmente verso la frontiera persiana. Intanto il suo Governo desideroso anche di curare i proprii interessi commerciali essersi deciso a frustrare il veto russo consacrato nella Convenzione segreta stipulata fra l'ex-sultano Abdul-Hamid e l'ambasciatore russo Nelidoffnel 1900 a Costantinopoli contro le concessioni ferroviarie nella sezione nord-est dell'Asia Minore, assumendo esso stesso l'iniziativa e procurandosi capitali e collaborazione tecnica in Francia. Mi aggiunse essere i negoziati, a tal fine, con il Governo della Repubblica a buon cammino. Delle tre linee Angora-Sivaz-Erzignan, Samsoon-Sivaz

o Trebisonda-Erserum-Bayazid quest'ultima essere la più urgente e che perciò se ne sarebbe, a partire dali' imminente primavera, cominciato la costruzione del primo braccio, sino ad Erzerum, impiegando la mano d'opera militare. In seguito si provvederà al prolungamento Erzerum-Bayazid. A questo progetto non potersi assolutamente attribuire carattere strategico perché la linea correndo, non lontana e quasi parallela alla frontiera russa essere esposta ad attacchi ed interruzioni in molteplici punti. Se però la Russia impotente ad impedirne la costruzione la considerasse come tale e volesse rispondere -sotto l'apparenza di scopi commerciaii -con il progettato tronco Giulfa-Tauris-Lago d'Urmia, di natura ben differente, la Turchia sarebbe pronta a scendere in armi disposta anche a sacrificare «vendendo magari ad una Potenza straniera una sua provincia europea» -sono sue parole testuali -per difendersi e per sostenere i suoi interessi. Essere dovere della Sublime Porta preoccuparsi della conservazione dei territori d'occidente, ma con maggiore cura e decisione tenere essa rivolto lo sguardo ad oriente perché in Asia, nelle regioni che già le appartengono ed in quelle limitrofe-per motivi di razza e di religione-risiedere la salute e l 'avvenire dell'Impero. Guidata da tale spirito apprestarsi ora ad occuparsi, con raddoppiata attività di tutte le questioni e di tutti i progetti che si riconnettono al problema per essa supremamente vitale. Essere per la Turchia dal punto di vista economico di grande interesse che la linea Trebisonda-Erzerum-Bayazid, abbia uno sbocco sul mercato persiano con un prolungamento sino a Tauris. Questione alla quale la Germania si sarebbe -in virtù di Potsdam -implicitamente disinteressata, ma che essendo di un sensibile vantaggio commerciale per gli altri paesi che vogliono aumentare i proprii scambi con la Persia, dovrebbe incontrare, per la sua soluzione, l'appoggio morale, e magari materiale, delle altre potenze cui il monopolio economico preteso dalla Russia nello Impero degli scià è ad esse pregiudizievole. Augurarsi perciò la Turchia di ottenere il consenso e l'aiuto dei Governi interessati.

Intanto al malcontento ed al risentimento generale in Turchia contro la Germania fare bordone riguardo ali' atteggiamento ed i propositi della Russia una seria preparazione militare-strategica nell'Armenia e nel Kurdistan.

La Russia aveva, fino a poco tempo addietro, nel Caucaso due corpi d'Armata con cinque divisioni di fanteria e due divisioni cavalleria, ma da circa un mese e mezzo il suo stato maggiore generale ha portato quel contingente a tre corpi d'armata, con sette divisioni di fanteria e cinque di cavalleria, disponendole nel modo seguente: due corpi d'armata hanno per centro Tiflis da cui s'irradiano; in forma di tre ali che hanno per apici Bateum, Kars ed Erivan che è quanto dire tre frecce dirette verso la frontiera turca. L'altro corpo d'armata ha per centro se ben rammento -Alexandronow al nord della catena del Caucaso con due ali che si protendono l'una ad occidente l'altra ad oriente su Derbent e Baku sul Caspio le quali possono in breve tempo, a mezzo delle linee ferroviarie, andare ad accrescere il contingente di Tiflis. La Turchia avrebbe portato le sue forze in Armenia e nel Kurdistan a quattro corpi d'armata con circa 90.000 uomini per controbilanciare la nuova circoscrizione strategica russa nel Caucaso che ne comprenderebbe dai 75 agli 80.000. Tornando alle conseguenze deli'intesa corsa e dell'imminente accordo fra Russia e Germania, Rechid bey ha rilevato che questa, senza curarsi affatto degli effetti ha scoperto un fianco della Nazione amica e divota, la Turchia, alle minacce russe perché la mano libera del vicino Impero in Azerbaidjan è un colpo diritto agli interessi ed alla salvaguardia del pacifico sviluppo economico e politico dell'Impero ottomano in Asia. Ma essa si avvedrà tosto dell'errore commesso. L'opinione pubblica ed i governanti del suo paese essere rimasti tristemente sorpresi del voltafaccia che si risolverà per la Germania in una grande perdita d'influenza politica ed economica in Turchia e della quale la Francia e l'Inghilterra saranno incoraggiate a profittare.

745

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 925. Roma, I I marzo 1911, ore 16,10.

Giunge notizia da Tripoli che quei giornali locali in occasione feste religiose pubblicano violenti articoli contro gli italiani e in particolare contro Pestalozza ingiuriandolo nel modo il più volgare ed eccitando opinione pubblica contro di noi. Giornale d'Italia e Corriere d'Italia pubblicheranno stasera lunghi telegrammi dei loro corrispondenti da Tripoli a tale riguardo aggiungendo che nella nostra colonia di Tripoli nutronsi serie apprensioni. Anche da altre fonti che non sia Pestalozza si assicura che questi articoli antiitaliani siano ispirati dal valì. Se anche ciò non fosse, non deve mancar modo al Governo ottomano di far cessare una così violenta campagna di stampa in senso antiitaliano, la quale ha una grave ripercussione da noi, inducendo la nostra stampa a replicare. Prego VE. di tener parola di ciò amichevolmente a Rifaat, facendogli notare che in tal modo si rende molto difficile l'opera pacificatrice del R. Governo e si andrà inevitabilmente incontro a nuovi c gravi incidenti.

746

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1129/29. Belgrado, I2 marzo 1911, ore 12 (per. ore 6,50 del 13).

Mio telegramma n. 28l. Ministro di Serbia a Cettigne arrivato avantieri. Nessuna comunicazione è stata fatta per suo mezzo circa delimitazione sfera d'interessi,

746 t Con T. l 036/28 del 7 marzo, non pubblicato, Baroli comunicava che in seguito alle insistcnze del re Nicola al Governo serbo aveva telegrafato al suo rappresentante a cettignc di recarsi a Belgrado.

perché, come precedentemente riferii, questo Governo aveva già fatto conoscere a Cettigne di considerare tale questione come inopportuna e prematura. Ministro di Serbia è latore di una comunicazione dettagli dal re Nicola, nella quale, da quanto mi è stato detto egli, insistendo sulla fratellanza dei due popoli [disse Governo del Montenegro]2 non avere intese di sorta né colla Bulgaria né colla Grecia. Aggiunge non potere più tenere in freno albanesi che per pochi giorni ancora e considera momento attuale singolarmente propizio ad un'azione contro Turchia. Sostiene che Austria e Russia finiranno per acconciarsi al fatto compiuto ed invoca infine cooperazione della Serbia. Tali dichiarazioni, giudicate qui vaghe e non precise, vengono ad aumentare abituale diffidenza verso Montenegro, ritenendosi siano fatte nell'intento di celare vere intenzioni del re, il quale potrebbe essere d'accordo con Vienna e tentare di compromettere Governo serbo davanti alle future aspirazioni nazionali. Ministro degli affari esteri mi disse che risponderà collo stesso mezzo, non affidando, però, nulla di scritto all'intermediario. Risposta sarebbe tenore seguente: Serbia non potrebbe associarsi ad alcuna azione contraria statu quo e ricuserà di prendere iniziativa di qualsiasi natura intesa a provocare turbamenti situazione attuale: intesa sarebbe possibile qualora, per fatto di altri, avvenimenti prendessero tale piega da rendere necessario intervento, ma, anche in questo caso, Serbia si riserverebbe di prendere decisioni le più conformi suo interesse.

In sostanza, se Montenegro non è spalleggiato dall'Austria, questo ministro degli affari esteri non crede serie intenzioni bellicose di re Nicola. Inoltre, per ragioni che mi disse avere fatto note a V.E. e che gli sono state confermate dallo stesso re di Rumania, la Bulgaria non si muoverà e certo re Nicola non vorrebbe da solo correre rischio di mettersi in avventure, che finirebbero per lui in inevitabile scacco. Tanto più che visita sultano potrà influire in senso favorevole sulle disposizioni degli albanesi verso Governo ottomano. Dello stesso avviso è questo mio collega di Russia, il quale, confermandomi cosa già nota, mi disse che, in questa come in ogni altra occasione, Serbia seguiterà condotta consigliata da Pietroburgo.

747

L'ADDETTO MILITARE A SOFIA, MERRONE, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO 1

R. RISERVATISSIMO 4. Sofia, 12 marzo 1911 (per. il 20).

Ogni nuova primavera porta con sé nuovi allarmi per la penisola balcanica. Anche quest'anno l'occhio è vigile e pauroso verso l'Albania, ove si prevedono sollevazioni facilitate dal gran numero di armi giornalmente e segretamente

747' Da Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

distribuite in sostituzione di quelle confiscate dalle autorità turche durante i mesi del disarmo.

Le autorità turche (e specialmente a Mitrovitza ed a Pristina, come da rapporti dei nostri consoli) ritengono che fucili e munizioni abbiano provenienza non bosniaca ma sicuramente italiana: fucili e munizioni passano l'Adriatico, sono ricevuti al Montenegro, e di là fatti passare sul territorio turco, specialmente nel territorio d'Ipek e nella regione di Sciala (vilayet di Scutari). Tale opinione si collega a quella circa volontari italiani pronti a partire per l'altra sponda dell'Adriatico.

Ma, oltrechè nell'Albania settentrionale -ove, come vedremo, è più vivo l'orgasmo per i rifugiati in Montenegro -anche nei territori di Goritza, di Elbassan e di Dibra ferve profondo malcontento per l'opposizione che le autorità locali fanno per l'apertura delle scuole, pur contrariamente alle disposizioni impartite dal Governo centrale; ed i nazionalisti hanno ripresa la loro agitazione irruente in prò della lingua albanese e dell'adozione dell'alfabeto latino. Molti si provvedono di nuovi fucili; inoltre segrete riunioni hanno luogo; molti capi (fra cui il famoso Bahtiar Doda) restano in armi, nell'attesa.

Si guarda anche, diffidenti, alla Bulgaria: questa -si dice -scossa dalla convenzione turco -rumena, ha già trovate alleanze per equiparare i due nemici che la serrano, e pensa che può ancora correre verso la grande sua aspirazione, ora che la Turchia è in progresso militare sì, ma non completo, e l'Yemen è in fiamme, e l'Albania si riprepara alla riscossa, e la Macedonia è sempre potenzialmente pronta, e troppi sintomi dell'attuale travaglio turco si vedono: truppe non mai sufficienti in via verso l 'Yemen, inusitata conciliazione ed arrendevolezza alle richieste degli albanesi profughi, il viaggio di un sultano nella Romelia occidentale dopo tanti anni di lunghe assenze, due milioni di piastre concesse con tezkéré grand-véziriel allo scopo di ricostruire le case distrutte in Albania durante le operazioni militari.

Di questa tendenza bulgara così forte era la opinione, specialmente poco tempo addietro -altrove però, non qui ove, come diremo, non esistono, al momento attuale, ansie di aspirazioni per l'al di là dei propri confini -che a me stesso da Costantinopoli fu scritto di indagare la situazione dell'esercito, e l'addetto militare greco (di residenza abituale a Costantinopoli) scriveva la identica cosa al proprio ministro in Sofia: si parlava già di rinforzi di truppe bulgare alla frontiera.

Ma indagini mie, assicurazioni datemi dal ministro di Grecia, notizie portate da qualche addetto militare che era stato in escursioni sportive in località prossime alla frontiera turco-bulgara, ogni positivo sintomo fece rilevare che l'orgasmo era per creazioni di fantasia.

Qui la stampa è nervosa, gli animi sono in eccitazione e quindi si ha bisogno di grande calma negli apprezzamenti per chi ha per mandato di osservare e giudicare.

Ad ogni modo, prima che primavera qui fiorisca, forse è utile di lumeggiare rapidamente la situazione dei Paesi balcanici che più -nell'attuale momento -si

guardano con trepidazione in attesa di loro sommosse o di loro levata in armi: i bulgari mordenti il freno, per una supposta alleanza fra rumeni e turchi, i bulgari in intesa coi montenegrini e coi greci; i montenegrini in accordo cogli albanesi (delle supposte mene d eli'Austria col Montenegro, e degli accordi serbi-montenegrini, riferii in altri rapporti).

E così vedremo che sono i soliti mali e le solite aspirazioni che travagliano questi Paesi e ne fanno un vulcano, dal cui cratere non può uscire -ancora -che qualche pennacchio di fumo o qualche getto di lapillo. I filoni di lava, o non più pel momento, o non ancora hanno troppo alimento dal focolare che li sostiene, ovvero sono ancora troppo sotterra, vari e in diverse direzioni; e quindi ancora son potuti tener lontani l'uno dall'altro, lontani dal cratere e rigirati talvolta indietro uno alla volta.

I. Turchi -rumeni -bulgari. Uomini politici della Rumania hanno dichiarato: «La Rumania è assolutamente pacifica e mira al mantenimento dello statu quo

nei Balcani. Siccome essa è convinta essere la Triplice Alleanza una sicura sostenitrice di questo stesso principio, i suoi rapporti sono naturalmente assai cordiali coi Gabinetti di Vienna, Berlino e Roma del pari che con quello di Costantinopoli, ove da qualche tempo si è dimostrato di entrare nello stesso ordine di idee.

Ma, la politica della Rumania non deve intendersi pacifica ad ogni costo: se infatti un Paese qualunque volesse violare lo statu quo nei Balcani, essa si riserverebbe la facoltà di agire secondo le circostanze del momento e di provvedere a difendere i suoi interessi nel modo più conveniente. Sino al verificarsi però di una tale eventualità, la Rumania preferisce conservare le mani libere. Col legarsi ora, in un momento di pace e di tranquillità, essa commetterebbe un atto contrario alla sua politica; e per converso il giorno in cui l'esistenza di una convenzione fra la Rumania ed un Paese balcanico qualunque risultasse provata, vorrebbe dire che la situazione sarebbe gravissima ed un conflitto inevitabile».

Anche in Bulgaria del resto -non appena passato il primo momento di agitazione e di risentimento destato dalla notizia di una convenzione turco-rumena -la stampa sembra prestare sempre più maggior fede alle smentite di un tale accordo: smentite venute da ogni parte. E quindi non si parla nemmeno più dei milioni che -secondo un progetto segreto dello Stato Maggiore bulgaro -dovevano essere destinati ad un armamento della frontiera rumena.

L'attenzione del mondo parlamentare e politico bulgaro è attualmente attratta da importanti questioni finanziarie c di politica interna (processo della gestione dcii 'ultimo ministero stambulovista -riunione del grande Sobranje -prestito necessario per le strade ferrate, per le strade ordinarie e per l'escrcito ... 2 ) problemi tutti complessi e che assorbiranno per lungo tempo ancora l'attività intera del Paese.

La Bulgaria segue col massimo interesse gli avvenimenti di Turchia; ma conscia della sua presente inferiorità militare di fronte allo Impero ottomano e più che mai tormentata dal cocente rimorso di essersi lasciata sfuggire l'occasione favorevole -ora stima che per molto tempo ancora gli conviene ritardare la soluzione a suo vantaggio della questione di Macedonia.

Da quando cadde il partito stambulovista, che, con tutte le sue grandi pecche, resta sempre quello che maggiormente ha lavorato per la realizzazione delle aspirazioni nazionali, ha emancipato la Bulgaria da soverchianti influenze straniere, ha cooperato alla diffusione dell'idea nazionale in Macedonia, dato all'esercito la sua massima efficienza -la Bulgaria, oggi, si è arrestata nel suo meraviglioso ascendente.

Il partito democratico attualmente al Governo ha trascurata la propaganda in Macedonia, non ha concesso maggiori somme al bilancio della guerra, si è alienata la simpatia della Serbia e si è resa la Rumania diffidente.

E quindi: ora come ora, la realizzazione del sogno di una grande Bulgaria appare più lontana di quello che non fosse pochi anni addietro.

II. Bulgari e montenegrini.

Si prestava fede ad un accordo fra Bulgaria e Montenegro, perché -nello isolamento in cui la Bulgaria si trova -il Montenegro poteva forse rappresentare il punto luminoso di re Ferdinando. Ma uomini politici hanno dichiarato che nulla nell'attitudine presente della Bulgaria permette di giustificare tale intesa, e forse solamente ad arte se ne è talvolta parlato per intimorire la Sublime Porta col !asciarle credere che la Bulgaria, in fondo, poteva contare su qualche appoggio.

III. Greci e bulgari. Da uomini politici si dichiara l 'assenza di qualsivolgia intesa segreta fra la Bulgaria e la Grecia.

Fra i Governi dei due Stati nulla vi è. Forse i greci ed i bulgari dell'Impero turco -i due elementi cristiani più forti in Macedonia -in seguito agli incorreggibili sistemi di intolleranza e di persecuzione adottati anche dal nuovo regime, hanno tentato di sospendere momentaneamente le loro ostilità per cercare di ottenere, in una lotta comune, che siano messe in pratica la libertà, la giustizia e le altre garanzie promesse dalla costituzione ottomana.

Data questa intesa di razze, era naturale che le due istituzioni che le rappresentano -il patriarcato cioè e l'esarcato -abbiano altresì pensato ad un ravvicinamento fra loro ed eventualmente ad un accordo sulla base del diritto canonico.

I greci ed i bulgari della Macedonia, cercando di mettersi d'accordo sul punto che più li ha divisi -cioè la lotta delle propagande religiose (lotta del resto apparentemente alimentata dal vecchio regime turco) -avrebbero questa volta scelta la via più giusta e la più atta ad un 'intesa politica. Senonché, conviene riconoscere che ad un ristabilimento della unità della chiesa ortodossa si oppongono ostacoli non indifferenti. La Bulgaria infatti non rinunzierà mai tanto facilmente all'esercato, che costituisce un'arma preziosa nelle sue mani per agire secondo le sue mire sulle popolazioni bulgare dell'Impero turco.

La unità della chiesa ortodossa dovrebbe comportare, da parte della Bulgaria, delle rinunzie alle proprie aspirazioni nazionali, alle quali difficilmente essa si acconcerebbe. Se infatti -effettuata l'unione -un'eventuale attribuzione di diocesi a vescovi di nazionalità bulgara o greca (attribuzione che si farebbe unicamente secondo il criterio della maggioranza della popolazione) dovesse altresì interpretarsi come una ripartizione in zone d'influenza da servir di base ad una futura intesa politica, la Bulgaria guadagnerebbe, sì, qualche diocesi nella parte settentrionale del vilayet di Salonicco e nel Sangiaccato di Uskub, ma resterebbe completamente esclusa dalla parte meridionale del vilayet di Salonicco e dali 'intero vilayet di Adrianopoli, nelle quali ultime località la popolazione greca supera la bulgara in proporzioni schiaccianti. Alla Bulgaria sarebbe in tal modo non solo tagliata la via di Costantinopoli, ma anche precluso quello sbocco al Mare Egeo che le era stato concesso dal Trattato di Santo Stefano. E questo costituisce il punto debole di tutte le attuali trattative che si dicono correre tra patriarcato ed esercato.

Bisogna aggiungere che i bulgari in questo momento temono già di perdere terreno in Macedonia per varie altre ragioni:

a) il Governo democratico di Sofia ha, se non tralasciata del tutto, per lo meno trascurata la propaganda in Macedonia avendo -come notai -altre preoccupazwm;

b) la propaganda bulgara in Macedonia non ha avuto tempo e modo di riaversi dal fierissimo colpo datogli con la condanna dei suoi principali notabili; ed in questo suo momentaneo sconcerto i serbi si sono avvantaggiati un po' nella loro situazione aprendo anche parecchie loro scuole elementari;

c) i comitati turchi macedoni dell'Unione e Progresso lavorano indefessamente in base al più intransigente nazionalismo, per cui non solo non intendono di lasciar sviluppare in Macedonia le varie nazionalità non ottomane, ma si propongono anzi di soffocarle, cominciando con lo escludere gli elementi cristiani dai posti più importanti d eli' amministrazione, e finendo all'applicazione dei mezzi violenti.

Halil bey -deputato e presidente del congresso dei comitati Unione e Progresso, nella seduta del 15 novembre 191 O a Salonicco, dichiarò:

«Solo la forza delle armi potrà far cadere nelle varie nazionalità l'illusione della loro indipendenza, tenuta ora desta dalla Bulgaria e dalla Grecia. Il compito della Turchia è facilitato in questo da un lato dalla rivalità delle Potenze e dall'altro dalle ottime condizioni in cui è attualmente l'esercito turco. Il disarmo dei cristiani, lo annientamento delle bande, l'espulsione graduale di patriarchisti ed esarchisti, il boicottaggio ad oltranza, l'immigrazione musulmana in mezzo a villaggi cristiani toglieranno a queste nazionalità ogni illusione di una grande Bulgaria, di una vecchia Serbia, di una grande Serbia e di un'Albania indipendente. Per tutto questo, il bilancio del Ministero della guerra non andrà perduto, perché la giovane Turchia fonda sull'esercito la sua conservazione».

d) La propaganda bulgara ha una grave ragione di apprensione per la forte immigrazione in Macedonia di musulmani bosniaci, che sono stati dal Governo ottomano stabiliti nei maggiori centri bulgari e provvisti di terreni appartenenti allo Stato ovvero espropriati a cristiani.

Secondo informazioni dei nostri consoli: al mese di novembre 191O, nel vilayet di Uskub vi erano già 7000 bosniaci (1500 famiglie) e nel vilayet di Salonicco 6657 bosniaci (21 07 famiglie) ed ancora altri 6000 si attendevano.

Nelle località ove le case mancavano, si sono costruite piccole abitazioni ad un piano. Oltre l'alloggio, ogni immigrato riceve in proprietà un pezzo di terreno da 50 a 100 denum (l denum=lOOO mq.), semenza, aratro ed un paio di buoi se l'emigrato ha famiglia; altrimenti un paio di buoi ed un aratro ogni due emigrati. (E' bene soggiungere che gli immigrati in Macedonia trovano che il Governo non fa abbastanza per loro. Alcune famiglie ridotte alla miseria hanno già fatto ritorno in Bosnia. Altre famiglie, temendo violenze da parte dei bulgari, si rifugiano nelle città).

Riprendendo la questione: dato pure che la politica d'intolleranza e di persecuzioni in Macedonia ha indotto i due elementi cristiani più forti in quella regione -il bulgaro ed il greco -a tentare un accordo fra esarcato e patriarcato, resta sempre il fatto che una vera intesa fra greci e bulgari, che voglia prescindere dal problema politico, non può avere molta sincerità né quindi molta consistenza. I bulgari, come si disse, avrebbero molte difficoltà, ed i greci si opporrebbero ad ogni delimitazione di zona d'influenza che non riconoscesse i loro diritti di rivendicazioni territoriali almeno fino alla città di Monastir e ciò non potrebbe mai esser consentito dai bulgari che hanno più giù -a Florina e Kastorìa nuclei considerevoli.

Il turco non si impressiona di questa tregua e di questo superficiale amore fra i greci ed i bulgari: sia per le ragioni dette, sia anche perché -pur quando giungesse a buon fine -difficilmente resisterebbe ad un trattamento di favore che venisse dal Governo turco opportunamente praticato verso l'una o verso l'altra delle due nazionalità.

In fondo, più che di un'intesa greco-bulgara, le autorità turche avrebbero ragione di preoccuparsi della possibilità di un'intesa bulgaro-albanese che potrebbe avere, in pratica, conseguenze assai più rilevanti, poiché si tratta di due elementi veramente forti ed energici, ben distinti di razza, con interessi ben definiti ed in genere non opposti, talché il loro buon accordo non sarebbe facilmente turbato dalla reciproca diffidenza, né dal sospetto che l'uno di essi possa col tempo avere predominanza sull'altro od addirittura assorbirlo.

Ma ... sarebbe difficile -almeno per ora -un movimento concorde fra le due popolazioni, giacché l'una (l'albanese) con tuttoché sempre in ebollizione manca di seria organizzazione e l'altra (bulgara di Macedonia) è ancora tutta scompigliata dai rudi attacchi ultimamente subiti e non certo è sostenuta con grandi sforzi dalla Bulgaria sotto il regime del Governo democratico.

IV. Montenegrini ed albanesi.

Fin dal novembre scorso vi furono trattative fra il Governo montenegrino ed il governatore generale di Scutari allo scopo di intendersi sulla soluzione della doppia questione: dei conflitti di confine e degli emigrati albanesi.

a) Conflitti di confine. Gli incidenti di frontiera che hanno luogo tutto l'anno, ad eccezione della stagione invernale, su vari punti, sono conseguenza di una difettosa ed irregolare delimitazione del confine e non potrebbero cessare che con una rettificazione della frontiera stessa.

Fu costituita una commissione mista turco-montenegrina, ma questa interruppe subito i suoi lavori, specialmente pei dissensi sorti fra il generale Yanko Vukotié e Bedry pascià, valì di Scutari.

Fu oggetto principale del dissenso il possesso di quel picco -Yezerski Vrch -di cui si parlò molto tre o quattro anni or sono (nel 1906 fu riconosciuto in massima il dritto del Montenegro, ma con tutto ciò il fortino turco che era eretto sull'altura non fu demolito e la questione rimase insoluta). Ma la discussione si era ripresa, ed il generale Yanko Vukotié, vedendo che non si poteva accordare con Bedry pascià, si recò, prima a Scutari per attendere una proposta accettabile; ma non ricevendone alcuna ritornò a Cettigne. E già il Governo montenegrino riteneva la sua causa perduta e si preparava ad indirizzare un memorandum alle Potenze, quando giunse a Cettigne Bedry pascià con l 'autorizzazione della Sublime Porta di riconoscere al Montenegro il possesso del punto contestato. Il fortino turco sarà demolito. Così furono ripresi i lavori della commissione mista. Sarà, pure per questa frontiera turco-montenegrina, studiato il progetto (come riferì per la frontiera turco-bulgara) di creare fra i territori dei due Stati finitimi una zona neutra di 200 e più metri sia da una parte che, dali 'altra, cioè di 4 a 500 metri complessivamente. In questa zona sarà convenuto di proibire alle persone di portare le armi, obbligandosi i due Stati a non costruire alcun punto fortificato.

b) Emigrati albanesi. Il Governo ottomano consentì di inviare al Governo montenegrino una comunicazione scritta del seguente tenore:

«Siccome i fuggiaschi del vilayet d'Albania hanno abbandonate le loro case per rifugiarsi nel Montenegro, e ciò in seguito alle false dicerie di alcuni malcontenti, cedendo così al sentimento di una infonda paura -il Governo imperiale, ispirato da suprema cura per loro e per proteggerli da miserie e danni, decide:

l) prorogare la scadenza fissata dalla Corte marziale per il loro rimpatrio; 2) il pagamento della imposta sui montoni sia rinviato al tempo in cui le loro condizioni finanziarie permetteranno loro di pagare tale imposta; 3) non tener responsabili della emigrazione coloro che ritorneranno in patria. Essi potranno liberamente disporre dei loro averi e di tutto ciò che hanno lasciato nelle loro case;

4) i giovani chiamati alle armi resteranno un solo anno fuori del vilayet.

Il 17 novembre 1910, il re Nicola ricevette quattordici capi albanesi, e dopo di aver comunicato loro le condizioni del Governo ottomano, consigliò il ritorno dei profughi alle loro case. I capi albanesi risposero con un rifiuto, a meno che la Sublime Porta non accettasse queste altre condizioni: l) amnistia generale, per iradè imperiale; 2) servizio militare da farsi tutto nel vilayet, salvo consenso delle reclute di

andare a Costantinopoli; 3) i mudir dovranno essere tutti fra gli albanesi; 4) i kaimakan dovranno essere cristiani, e conoscere la lingua albanese;

5) il Governo dovrà pagare, agli albanesi che furono disarmati per suo ordine, il prezzo delle armi confiscate. Inoltre, se i musulmani saranno autorizzati a portare armi, anche i cristiani dovranno avere la medesima autorizzazione;

6) i beni sequestrati e le case incendiate dovranno essere pagate; 7) tali condizioni dovrebbero estendersi a tutte le tribù dei malissori, vale a dire agli hotti, ai grudi, ai kastrati, agli skreli ed agli sciala.

Il Governo ottomano accettò -sebbene con qualche restrizione -le condizioni. Gli emigrati albanesi consentirono allora al rimpatrio; ma non tutti invece presero la via del ritorno. Gli ortodossi di razza serba ed i musulmani emigrati del

vilayet di Djakova -non esplicitamente compresi nello accordo tra la Turchia ed il Montenegro -ed anche molti dei cristiani (per paura di persecuzioni) restarono in Montenegro attendendo altre trattative, e queste trattative si prolungano ancora perché (come già in precedenti rapporti riferii) il Governo ottomano vorrebbe concedere sanatoria a tutti fuorché a pochi capi che vorrebbe invece internare nell'Asia Minore. Ed allora i profughi desidererebbero al contrario amnistia completa per tutti, senza eccezione alcuna.

Così, il noto albanese Hisza Boletinaz si trova sempre in Montenegro, donde si mantiene in continua attivissima corrispondenza con gli influenti albanesi. Anche nel Sangiaccato di Ipek si trovano attualmente centocinquanta albanesi che hanno formate bande le quali si mantengono in contatto continuo con i rifugiati del Montenegro, dando luogo a diuturni conflitti con la truppa. Le guarnigioni alla frontiera furono aumentate; furono costrutti ventisette caracol di gendarmeria ed altri quindici sono in costruzione. In tal modo le autorità sperano di poter sorvegliare tutte le strade e di impedire ogni accordo fra i rifugiati ed i renitenti di leva -serbi ed albanesi -che pullulano nella campagna.

Re Nicola, negli ultimi giorni, indirizzò alle Potenze un memorandum (rapporto

n. 3 riservatissimo del2 marzo)3 per far consigliare la Turchia a concedere l'amnistia senza restrizioni ai profughi del Montenegro. E la Russia ha consigliato di agire in tal modo -in via affatto particolare fra ministri e ministri -per togliere al più presto a re Nicola questa specie di oramai lungo protettorato sugli albanesi.

Certo è che re Nicola vuole figurare quale protettore unico di quelle popolazioni malcontente, e si sobbarca di continuo, fra l'altro, a sacrifizi pecuniari superiori alla potenzialità finanziaria dello Stato, per affermare e tener alto il suo prestigio fra esse. Così:

a) al momento della partenza degli emigrati albanesi, fu dato loro in regalo a ciascun uomo una moneta d'oro da 20 corone di conio montenegrino, a ciascuna donna ed a ciascun bambino una moneta d'argento da 5 corone del conio stesso.

b) Il Montenegro si oppone a concludere con la Turchia un trattato di estradizione ed anche un accordo provvisorio -per la consegna reciproca degli accusati di reati comuni. Il Governo turco fa osservare che, senza tale trattato o ac

cordo, il reame montenegrino diventa un rifugio sicuro per delinquenti delle finitime province turche; il Governo montenegrino ritiene invece che il Governo ottomano sarebbe capace di far confondere facilmente il reato politico col comune, e così servirsi del dritto che gli darebbe il patto di estradizione, per reclamare dal Montenegro la consegna dei refugiati.

Il fatto è che re Nicola non vuole a qualunque costo alienarsi le simpatie dei popoli vicini di razza serba ed albanese, alle quali simpatie egli dà grande valore ed importanza. E perché?

E' da escludere per ora-in questo momento di politica internazionale-un attacco improvviso del Montenegro contro la Turchia: re Nicola non è uomo da spiacere a tutte le Potenze e particolarmente alla Russia, gettandosi a corpo sperduto in una politica di avventure. Ma per lo avvenire, a due fatti bisogna tener mente:

a) come osserva il nostro ministro a Cettigne, il re Nicola ha sessantanove anni ma non è vecchio di spirito di energia e di aspirazione, e se alle volte minaccia di turbare la pace senza vera intenzione di farlo, altre volte il suo pensiero è effettivamente diretto ad imprese conformi alle tradizioni del suo popolo ed agli eroismi della sua gioventù. Egli ha la ferma convinzione che un tranquillo graduale ed ordinato progresso civile ed economico del Montenegro è impossibile, tanto quanto la prosperità delle sue finanze; e ciò per lo squilibrio permanente, insanabile, tra i bisogni e le esigenze di un siffatto progresso ed i mezzi e le risorse del Paese. Il Montenegro non ha nulla: né industrie, né commerci, né popolazioni e territorio sufficienti alla vita di uno Stato moderno. E' un paese di soldati. Alle armi deve la sua esistenza, alle armi il suo ingrandimento territoriale, alle armi il conto in cui -malgrado la sua piccolezza -è tenuto. Solo alle armi può domandare un avvenire. Tale è il sentimento del sovrano, tale il sentimento collettivo del popolo.

Di un'altra cosa è parimenti persuaso il re Nicola: ritiene che le Potenze messe rapidamente e bruscamente di fronte ad un suo audace colpo di mano -rimarrebbero sbalordite ed interdette, e non si accorderebbero contro di lui. Scambierebbero fra loro innocue note diplomatiche e finirebbero di riconoscere il fatto compiuto per evitare mali maggiori.

b) al principe ereditario si attribuiscono simpatie austriache, le quali -dato che effettivamente vi fossero ed avessero da prevalere -ne potrebbero nascere conseguenze meritevoli di essere attentamente notate.

Il principe Danilo si tiene -in apparenza -lontano dai pubblici negozi e pare poco propenso ad occuparsene; ma in realtà ne segue con sollecita cura il corso ed indirettamente vi partecipa mediante la grande influenza che ha su re Nicola, il quale negli affari di importanza sempre ne ascolta e spesso ne segue il consiglio.

Delle tendenze austrofile di S.A.R. molti sono persuasi, ma esse non hanno, forse, presa finora una forma concreta tale da impensierire seriamente la Russia od altri cui la cosa non convenisse.

Il Montenegro -prima di decidersi a scontentare la Russia e peggio ancora a perderne il potente ausilio materiale e morale da così lungo tempo goduto -il Montenegro rifletterà bene ai casi suoi.

E così, rapidamente furono rilevati i mali e le aspirazioni che in questo momento travagliano i popoli balcanici. Ma -come fu detto in principio e come man mano si andò dimostrando -sono i soliti mali e le solite aspirazioni: mali ed aspirazioni che -per le rilevate forze interiori disgreganti una lotta comune e per le forze esteriori comprimenti o ritardanti ciascuna singola lotta -fanno di questi Paesi un vulcano sì, ma un vulcano dal cui cratere, pel momento, non può uscire che qualche picco di fumo o qualche breve fiammata soltanto.

Le lave -per finire come cominciai -o non più o non ancora hanno bastevole alimento, ovvero sono ancora troppo sotterra, troppo varie, in troppe direzioni divise; ed in tal modo esse lave possono essere tenute lontane l'una dall'altra, lontane dal cratere, rigirate talvolta indietro una dopo l'altra.

E così: null'altro per momento.

746 2 Parole di incerta decifrazione.

747 2 Nota del documento: «Caserme -cavalli -trasformazioni di materiali di artiglieria -obici da campo -mitragliatrici -munizionamento -istituzione di una scuola di guerra -trasformazione della scuola militare -etc. Delle prime questioni già riferì in particolareggiati rapporti; parlerò fra breve dello insufficiente munizionamento e dei progetti per fabbriche di polvere e proietti».

747 3 Cfr. n. 737.

748

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1147/90. Vzenna, l 3 marzo 1911, ore 19,3 O (per. ore 23).

Dopo avere accennato situazione in Turchia, Pallavicini mi ha parlato dei vari incidenti sorti tra noi e la Sublime Porta, rilevando che, durante la sua dimora a Costantinopoli, aveva tratto impressione che essi avrebbero potuto prendere una piega cattiva e tale era pure impressione dei suoi colleghi. Certi fatti, come linguaggio alcuni nostri giornali avevano fatto nascere nel Governo ottomano sospetto che da noi si avessero mire sulla Tripolitania.

Onde Aehrenthal aveva creduto opportuno incaricare, prima sua partenza in congedo, Miiller adoperarsi al suo giungere a Costantinopoli dissipare tali sospetti e convincere la Sublime Porta che il R. Governo non aveva mire siffatte. N eli 'esprimermi con Pallavicini nel senso del telegramma di V.E. n. 8541, gli ho fatto noto che il R. Governo era animato dal fermo e sincero desiderio di rendere sempre più cordiali rapporti con Turchia, di cui desiderava vivamente integrità e prosperità, ma che conveniva che essa gli facilitasse compito con eguale sincerità mediante qualche atto palesemente amichevole.

Nel premettere che mi parlava in via del tutto personale e non come gerente Ministero affari esteri, Pallavicini mi disse che non scorgeva quali addebiti Italia potesse fare Turchia. Forse Turchia aveva avuto qualche torto nel modo di procedere. Ma essa aveva definito vari incidenti, quali quelli di Hodeida e Guzman, a

seconda nostri desideri. Gli sembrava che sarebbe stato più opportuno non trattare incidente Hodeida in via diplomatica, ma deferirlo appena avvenuto esame commissione mista, come era stato proposto, se ben ricordava, dalla Sublime Porta.

Incidenti simili, del resto, si producevano di frequente in Turchia con tutte le altre Potenze e si protraevano talvolta per lungo periodo di tempo. Ma Potenze cercavano trattarli con pazienza, procurando definirli possibilmente in modo soddisfacente, senza darvi troppa importanza o almeno quella importanza che erasi data da noi incidenti suddetti.

Quanto solfare Tripolitania, gli risultava essere intenzione Sublime Porta, dopo aver emanato legge sulle aggiudicazioni, concederle maggior offerente, per cui esse avrebbero potuto essere attribuite a sudditi italiani, se avessero fatto migliori proposte.

D'altra parte, eragli stato riferito che nostro rappresentante consolare Tripoli non fosse, per la sua indole, la persona più adatta trattare e definire amichevolmente questioni che sorgevano colà colle autorità locali. Quanto pubblicazione relativa trasloco nostri consoli Hodeida, Bengasi e Tripoli, essa era stata fatta dal Tanin, il quale non poteva essere considerato come organo ufficioso del Governo ottomano. Tale giornale, che era redatto da un membro Comitato Giovani Turchi, rappresentava bensì idee alcuni membri di esso ma non quelle del Governo ottomano.

Credeva, poi, che sarebbe stato pericoloso se R. Governo si fosse indotto usare eventualmente contro Turchia mezzi coercitivi, giacché ciò non avrebbe potuto che produrre forse gravi conseguenze nei Balcani.

A tali mezzi coercitivi Governo ottomano avrebbe risposto col boicottaggio generale merci italiane in tutto l 'Impero con un vero danno nostro commercio e contro tale fatto non vi sarebbe stato modo di reagire.

Pallavicini mi ha informato infine avere già parlato, su per giù nello stesso senso, al barone Mayor, durante sua dimora a Costantinopoli2.

748 l T. col quale si trasmetteva il n. 740.

749

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 1156/21. Atene, 14 marzo 1911, ore 2,30 (per. ore 18,05).

Ieri sera Loro Maestà Re Giorgio e Regina Olga coi principi Alice, Andrea, Cristoforo si sono degnati recarsi a pranzo alla r. legazione. Al ricevimento seguitavi sono intervenuti LL. AA. RR. principe e principessa ereditari e principe Nicola.

S.M. il Re mi ha detto essere sua intenzione visitare nostro augusto sovrano in occasione feste cinquantenarie, ma non essere per ora in grado di stabilire epoca di questo come degli altri suoi viaggi, la quale dipende dalla chiusura Camera di revisione. Ho risposto a Sua Maestà essere sempre sommamente gradite in Italia le visite di un sovrano amico del nostro Paese quale è la Maestà Sua e tanto maggiore valore assume quella che la Maestà Sua farà quest'anno per l'altra parte che con essa dimostrerà di prendere alla commemorazione del più grande e del più fausto avvenimento della nostra patria.

Stante attuale incertezza data viaggio di S.M. Re Giorgio e stante motivo di tale incertezza, riterrei opportuno mantenere riservata notizia che precede.

748 2 Per la risposta cfr. n. 751.

750

IL CONSOLE GENERALE A HODEIDA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO I 183/24. Hodeida, 14 marzo 1911 (per. ore 15,35 del 16)1.

Chiedo rispettosamente perdono se mi permetto interloquire per imperioso dovere nella vertenza «Genova». È inutile, oltre che immensamente dannoso alla nostra posizione politica morale economica in Mar Rosso, proseguire lavori commissione mista. Governo ottomano e specialmente autorità locali si sono mostrati scorretti al massimo grado, terrorizzando a tal punto loro amministrati da rendere totalmente impossibile scoperta verità e applicazione giustizia. Secondo il mio parere, occorre troncare senz'altro lavori commissione c trattare vcrtenza in via diplomatica entro quei confini che VE. reputerà convenienti nei riflessi situazione politica nostra in Turchia. Ho ferma convinzione che, se contrabbando vi fu, lo si deve a incoraggiamento e venale complicità autorità Midi non sufficientemente saziate. Di fronte a questa popolazione figuriamo oggi inferiori alla Turchia e da questa umiliati dopo ritorno (?)2 ottomani da Midi; se un simile apprezzamento dovesse radicarsi, ci tornerebbe fatale, diminuendo moltissimo situazione nostra generale sino a ieri brillante in Eritrea e Mar Rosso. Il fervido lavoro attuale del Governo locale istruito dalla Sublime Porta è inteso in buona parte ad arrecare danni al nostro prestigio e alla nostra posizione politica, economica. Veglierò con tutte le mie forze alla difesa dei nostri interessi generali e spero che danni non ne avremo. Non sollecito per questo che l'alta fiducia di V.E.

2 Il punto interrogativo è del decifratore.

750 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 16, ore 8.

751

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. PERSONALE 992. Roma, 16 marzo 1911, ore 10,55.

Suo telegramma n. 90'. Approvo il linguaggio da lei tenuto con Pallavicini e le confermo il vivo nostro desiderio di vivere d'accordo colla Turchia in Tripolitania come altrove.

Sarebbe tuttavia pericoloso che a Costantinopoli non ci si rendesse esatto conto dello stato reale dell'opinione pubblica italiana per quanto riguarda la Tripolitania e temo che né costì né a Berlino non si conosca tale stato o non vi si annetta l'importanza che merita.

L'opinione pubblica italiana è unanime-ed è appunto questa unanimità che è impressionante -nel chiedere che la Turchia non ostacoli le iniziative economiche italiane in Tripolitania e Cirenaica e le consideri anzi con uno spirito amichevole. Essa accusa di debolezza il Governo ed in particolare il ministro degli affari esteri ogni qualvolta un nuovo incidente prova persistente ostilità delle autorità tripoline contro tutto ciò che è italiano. La situazione speciale dell'Italia nel Mediterraneo, la vicinanza della Tripolitania e la facilità e frequenza di comunicazioni tra questa regione e l'Italia fanno sì che incidenti i quali, come Pallavicini osserva, altri Stati possono forse agevolmente tollerare in Turchia, abbiano, invece, da noi una tale ripercussione da non consentire al R. Governo di adattarvisi specialmente quando essi siano troppo frequenti.

Nessun Governo può in un paese costituzionale e liberale come il nostro opporsi a lungo all'opinione pubblica, la quale, del resto, in questa come nella maggior parte delle questioni, ha l'intuito degli interessi fondamentali del paese, ed è quindi per noi indispensabile che la Turchia accetti fiduciosa la collaborazione leale del capitale, dell'intelligenza e della mano d'opera italiana per il progresso e lo sviluppo economico delle sue province d'Africa, evitando in pari tempo di destare da noi apprensioni pel mantenimento della nostra situazione economica e politica nelle province stesse.

752

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELL'AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO, RAINERI

NOTA 11. Roma, 17 marzo 1911.

Mi viene riferito che si è costituito a Vienna un comitato all'intento di studiare il maggiore sviluppo degli interessi economici dell'Austria nei Balcani. Or

751 I Cfr. n. 748.

ganizzatori di questo comitato sarebbero il signor Lohustein direttore generale della Banque des Pays Autrichiens ed il signor Spitzmiiller direttore del Crédit Foncier d'Autriche. Vi parteciperebbero poi il ministro austriaco del commercio e buon numero di alti funzionari dei ministri, i quali darebbero veste ufficiale ed importanza all'iniziativa.

La notizia è degna della massima considerazione ed io te la segnalo perché essa dovrebbe trovare utile applicazione anche da noi, anzi specialmente da noi ove il capitale italiano si avventura molto difficilmente all'estero e quasi non esistono ditte dell'importanza di quelle straniere che possano concorrere a grandiose iniziative.

Ti prego di v o l ermi far conoscere il tuo avviso ...

753

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 1290/298. Pera, 21 marzo 1911, ore 10,20 (per. ore 23,45).

Sambuchi Eritrea. Ambasciatore d'Inghilterra mi ha chiesto quale posizione avevamo assunto dinanzi domanda ottomana circa visita sambuchi sospetti contrabbando armi e loro traduzione nel porto di residenza del più vicino console. Ho risposto che mantenevamo il diritto derivante dagli impegni ottomani del 1904 che i sambuchi italiani non possono essere visitati. Ambasciatore d'Inghilterra ha replicato che simile dichiarazione era stata fatta a Grey da Imperiali, ma che Grey riteneva che domandassimo troppo. Ho risposto che, in corrispettivo, ci impegnavamo a visitare noi stessi i nostri sambuchi e ad impedire così ogni contrabbando di armi da parte loro. Se uguale impegno prendevano Inghilterra e Francia, la Turchia non aveva bisogno di procedere essa a visite che possono sempre essere causa e occasione di abusi.

754

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 1335/27. Addis Abeba, 23 marzo 1911 (per. ore 14,15 del 24)1.

Condizioni ras Tesamma in seguito progresso paralisi sono alquanto aggravate e malattia non lascia ormai speranza guarigione. Incertezza situazione politica

ritorna ogni giorno più grande col rinascere intrighi per parte specie imperatrice e dei suoi fautori e di altri capi malcontenti governo attuale. Legittimità successore ligg Jasu è nuovamente discussa e attribuiscesi ad un notevole nucleo capi scioani intenzione sostenere successione Uizerò Zeiditu essendo ricchissimo. Tutto ciò genera considerevole inquietudine nel paese che, però, non ha finora manifestato alcun turbamento. Governo attuale è riluttante chiamare Adis Abeba ras Uold Ghiorghis, al quale si attribuiscono aspirazioni regali ma che pure sarebbe la sola persona idonea assumere reggenza in sostituzione ras Tesamma, e conta invece continuare colla sola cooperazione attuali ministri disbrigo di tutti gli affari di Stato.

754 l Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore 19,30.

755

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1355/371. Costantinopoli, 24 marzo 1911 (per. il 5 aprile).

In risposta al dispaccio a margine segnato!, mi onoro informare V.E. che non risulta vi sia ancora un impegno da parte del Governo ottomano di affidare le costruzioni di tutti i porti dell'Im pero alle Ditte Hersen e Schneider. Anzi alcuni giornali turchi avevano ultimamente data la notizia che la Commissione tecnica del Ministero dei lavori pubblici aveva respinto le costoro proposte.

Se non che, da altre informazioni più attendibili, appare che le proposte stese, sottomesse al gran vizir, che ha l 'interim dei lavori pubblici, da esso trasmesse, per più diretta competenza, al sottosegretario di Stato di detto Dipartimento, non sono state ancora esaminate.

Il signor Georges Herscn venne in persona a Costantinopoli ad esporre il progetto e lo discusse col cessato ministro Haladjan, nonché coi funzionari del Ministero dei lavori pubblici ottomani. Nei circoli francesi si crede che il Governo si gioverà delle due potenti Case che desiderano di mettere i loro capitali, e l'esperienza dei loro tecnici a servizio della Giovane Turchia. Ciò tanto più in quanto che, essendo la formola corrente, «il denaro francese non desta sospetti in Turchia».

Circa ad interessare in tali imprese qualche ditta italiana sembrerebbe che debba spettare alla ditta italiana di offrire alle Case Hersen e Schneider la propria cointeressenza e collaborazione in quei modi che credesse e per quei porti che avesse già studiati. Per qualche specialità la Ditta Ansaldo ha già colla Ditta Schneider degli accordi.

Quanto a «far conoscere quali siano esattamente le proposte formulate dalle dette case francesi, in relazione specialmente a certi lavori», la cosa presenta evidentemente grosse difficoltà, non comunicandosi siffatte proposte a terzi. Il r. addetto commerciale potrebbe tentare di avere i dati che a noi maggiormente interessano, ma oltre che ciò presenta rischi, involge pure spese che sinora egli non è stato autorizzato a sopportare.

755 l D. 76 dell'Il marzo, non pubblicato.

756

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 3556. Asmara, 24 marzo 1911 (per. il 7 aprile).

Il barone Aliotti ha creduto comunicare copia dei telegrammi diretti in questi giorni all'E.V. e mi ha messo al corrente di quanto accade in Hodeida ed in Midi durante il suo soggiorno sulla costa araba.

Benché non richiesto, mi è sembrato doveroso esprimere col telegramma n. 33671 il mio pensiero sulla situazion,e attuale, anche perché l'E.V., durante il mio soggiorno in Italia, mi aveva fatto l'onore di consultarmi sulla nomina del commissario italiano alla commissione d'inchiesta per il sambuco eritreo Genova.

Credo ora dover spiegare brevemente il già citato mio telegramma.

Ho telegrafato all'E.V. che concordavo col barone Aliotti nel considerare inopportuno il suo ritorno sulla costa araba, perché ritengo che la presenza del commissario italiano a Hodeida o a Midi sarebbe ormai inutile e contraria al nostro decoro.

Inutile, perché basta conoscere anche superficialmente i funzionari turchi (giovani o vecchi che siano) per esser convinti che ormai ogni inchiesta è impossibile (i testimoni sentiti dalla commissione sono a quest'ora scomparsi da Midi

o dal mondo ... se non hanno cambiato avviso).

Contraria al nostro decoro, perché il commissario italiano ha dichiarato che, date le pressioni e le intimidazioni delle quali i testimoni erano fatti segno, non era possibile accertare la verità dei fatti. Il suo ritorno equivarrebbe ora dinanzi alle autorità turche ed alle popolazioni eritrea e araba (le quali più o meno conosceranno certamente la situazione) ad una sua ritrattazione.

Ho telegrafato che ritenevo sconsigliabile accettare la proposta fatta dal Governo turco di firmare un processo verbale constatante le divergenze fra i due commissari per due ragioni.

La prima, che leggendo il verbale dell'ultima seduta della commissione non appare vi siano divergenze. Il commissario italiano afferma siano state fatte intimidazioni e minacce ai testimoni, per cui conclude impossibile continuare l 'inchiesta. Il commissario ottomano dichiara associarsi all'avviso del suo collega italiano nel ritenere impossibile continuare i lavori della Commissione in quelle condizioni, pur aggiungendo che non intendeva tale sua dichiarazione implicasse adesione alle considerazioni del suo collega.

Posso sbagliarmi, ma non mi pare risultino divergenze fra i due commissari: esiste anzi accordo completo sulle conclusioni e v'è solo una prudente e vaga riserva di Salih bey che non si associa alle considerazioni sulle quali si appoggia il barone Aliotti per venire ad una conclusione, sul merito della quale però Salih bey concorda pienamente.

Né questo punto parmi privo d'importanza pratica. Infatti non credo errare pensando che la proposta turca di firmare un verbale constatante le divergenze, ha il solo scopo di rendere necessario l'arbitrato, questo essendo il risultato al quale il Governo ottomano deve necessariamente mirare perché, indipendentemente dalla decisione dell'arbitro, costituirebbe un precedente importante e quindi un notevole successo morale e pratico per la diplomazia ottomana.

La convenienza per noi di evitare questo arbitrato costituisce la seconda ragione per la quale io mi permettevo di sconsigliare la accettazione della proposta turca di constatare con un nuovo verbale le divergenze fra i due commissari.

Ho telegrafato pure che credevo indispensabile l'E.V. conferisse col barone Aliotti prima di assumere impegni sulla procedura da seguire, giacché io credo che la Turchia si è resa perfettamente conto della infelice situazione in cui attualmente si trova e cerca, con quell'abilità che non fa difetto ai funzionari turchi, di rimediare ali 'ingenuità del suo commissario il quale si è lasciato sorprendere mentre si corrompevano e minacciavano i testimoni.

La situazione attuale non è più quella dello scorso febbraio. Due mesi or sono la commissione d'inchiesta doveva accertare se un sambuco eritreo aveva commesso atti di contrabbando e se le autorità turche avevano avuto ragione di agire come hanno agito contro di esso; ora invece ci troviamo ad avere un verbale, firmato dai commissari delle due Potenze, nel quale si dichiara impossibile accertare i fatti secondo verità perché le autorità turche minacciano, cercano corrompere e fanno violenze ai testimoni.

L'accusatore è divenuto accusato ed è assai naturale che adoperi l'astuzia di cui è certamente dotato per uscire da una situazione difficile nella quale è stato posto dall'imprudenza o dalla ingenuità del suo commissario.

Dato ciò mi pare opportuno che il R. Governo sia esattamente e minutamente informato prima di procedere in negoziati dai quali dipendono interessi importanti, giacché (mi permetto ripeterlo ancora) non è la questione del misero sambuco eritreo che si discute, ma è quella della Turchia rispetto ali 'Italia e cioè se la prima ha verso la seconda diritto di esser trattata come qualunque altra Potenza civile ed onesta.

Ho creduto dover semplicemente chiarire il mio telegramma, non certo permettermi di dare consigli su argomenti dei quali non sono chiamato ad occuparmi per le funzioni qui attribuitemi dal R. Governo.

756 l T. 1283/3367 del 21 marzo, non pubblicato.

757

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 1139. Roma, 25 marzo 1911, ore 0,30.

Giornali italiani ricevono telegrammi da Tripoli secondo i quali giornale ufficiale del valì, Tamin Hurriet, pubblica violenti articoli contro azione economica italiana in Tripolitania, eccitando popolazione locale con ridicole minaccie di un'azione navale turca contro l'Italia e con offensivi ricordi. Inoltre verrebbe sparsa ad arte voce che Pestalozza dovrebbe fare una visita di scuse al valì. Reputo opportuno che V.E. richiami particolare attenzione di codesto Governo su questo stato di cose, facendo notare che naturalmente visita di Pestalozza al valì è impossibile finché non vengano recisamente smentite queste voci di scuse. Consideri codesto Governo se non sia il caso di dar formali istruzioni al valì di far cessare una così violenta campagna antiitaliana almeno da parte dell'organo ufficioso del valì stesso. Altrimenti riusciranno vani tutti i nostri tentativi di pacificazione. Avverto poi che queste continue eccitazioni dei giornali ufficiosi possono provocare gravi incidenti tra tripolini ed italiani, con quali conseguenze l 'E. V. può facilmente immaginare. Suo telegramma n. 3081 giunto adesso non modifica necessità di differire visita Pestalozza finché non sia modificata situazione Tripoli.

758

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1363/30. Belgrado, 25 marzo 1911, ore 5,30 (per. ore 20,30).

Questo Governo non ha alcuna recente notizia circa situazione Albania. Ministro degli affari esteri ritiene che Montenegro colla sua attitudine verso rifugiati si sia forse lasciato trascinare più in là di quello che voleva. Ministro crede pro

7571 T. 1348 del 24 marzo, non pubblicato, col quale Mayor riferiva che tutti i giornali davano notizia della ripresa delle relazioni tra il console d'Italia a Tripoli ed il valì.

babile torbidi insurrezionali in Albania, ma circa localizzazione di essi tutto dipenderà dalle intenzioni e dalla attitudine dell'Austria-Ungheria, la quale è sola arbitra situazione nei Balcani, potendo forzare Serbia e Montenegro alla tranquillità e tenere in freno Bulgaria per mezzo Rumania. Ministro di Serbia a Cettigne partirà probabilmente dopo domani. Consiglio del Ministri ha approvato iersera risposta che si dovrà fare proposta re Nicola e spero avere domani comunicazione confidenziale del testo.

759

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 1365/30. Addis Abeba, 25 marzo 1911 (per. ore 21,15)1.

Rispondo suo telegramma l Ol 72. Missione etiopica sarà Londra verso il 20 giugno e si tratterrà Inghilterra circa venti giorni. Visiterà in seguito, sul suo passaggio, Governo francese e sarà presumibilmente in Italia verso metà luglio. Durata suo soggiorno in Italia dipende da intenzione codesto Governo. Questo ministro di Francia mi ha intrattenuto e si è accordato con me per visita missione etiopica. Informo V.E. che Governo inglese ha comunicato questo Governo che spese viaggio andata sono a carico Inghilterra come pure ritorno, nel caso missione rientri direttamente Gibuti.

760

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 481 bis/187. Berlino, 26 marzo 1911 (per. il 31).

Nella conversazione col signor von Gwinner menzionata nel mio precedente rapporto, si venne tra noi a parlare dei progetti ferroviari che, secondo le notizie dei giornali, si starebbero preparando in diverse provincie della Turchia d'Europa e d'Asia; ed approfittando dell'occasione, domandai al mio interlocutore che cosa gli risultasse della probabilità che l'uno o l'altro di quei progetti fosse per realizzarsi.

7591 Il telegramma fu trasmesso da Asmara, pari data, ore 11,45. 2 T. del 17 marzo, non pubblicato.

Quanto all'Asia il signor von Gwinner mi disse che infatti erano nell'aria molti progetti. Di effettivo però secondo le sue informazioni, non vi era che un principio di esecuzione della linea Samsun-Sivas, la cui aggiudicazione, aperta nello scorso novembre, andò deserta per causa delle postevi troppo gravose condizioni. Le autorità locali avrebbero ora incominciati i lavori coll'opera di soldati, come fu fatto anni sono dal sultano Abdul-Hamid per la ferrovia dell'Hedjaz -la quale, del resto, si troverebbe ora in condizioni deplorevoli. Il signor von Gwinner crede perciò che dopo questa inaugurazione dei lavori fatta a Samsun in economia, per riguardo ai noti impegni con la Russia, il Governo ottomano finirà col doverli affidare a qualche società privata. Per le altre linee che si diramerebbero da Sivas verso Trebisonda e verso Van ed Erzerum, si tratterebbe di darle a società francesi. Ciò mi fu pure confermato in genere da quanto mi accennò questo mio collega ottomano Nizami Pascià.

Più interessante riuscirà forse per V.E. quanto il direttore della Deutsche Bank mi disse circa le ferrovie della Turchia d'Europa. Egli mi espresse l'opinione che ben scarse sarebbero le probabilità tanto di una costruzione della linea austriaca di Mitrovitza quanto di quella trasversale Danubio-Adriatica secondo l'antico progetto serbo. Non riprodurrò gli argomenti da lui addotti a spiegazione di questo suo parere, essendo essi identici a quelli esposti più volte nella mia corrispondenza al riguardo. Per i motivi stessi, il signor von Gwinner aggiunse che, secondo lui, l 'unico progetto che offrirebbe con favore delle circostanze, qualche speranza di riuscita, sarebbe il prolungamento dell'attuale ferrovia di Monastir verso il mare (con eventuale diramazione ad Uskub); ed anche a questo proposito egli mi confermò di propria iniziativa le considerazioni da me già sottoposte a

V.E. le quali si riducono praticamente a ciò: che nessuna costruzione ferroviaria può intraprendersi in Albania senza una congrua guarentigia chilometrica e che se la Sublime Porta troverà ora o più tardi i mezzi e la voglia di dame una, questa non potrà riferirsi che alla detta ferrovia, la sola che le offra un vantaggio strategico ed economico. Il signor von Gwinner mi confermò quindi che il diritto di preferenza per la costruzione Monastir-Durazzo è tuttora in mano alla compagnia da lui rappresentata e che egli dispone di tutte le sue azioni. Egli aggiunse che tempo fa il direttore della Banca Commerciale Italiana gli aveva fatto domandare se egli sarebbe sempre disposto ad accettare una cooperazione della Banca suddetta per un'eventuale impresa di tal genere. Mi riferisco in proposito alla recente corrispondenza da me scambiata con V.E. (dispaccio 4 gennaio n. 21 e mio rapporto 140/50 del 29 gennaio u.s.') che alludeva appunto alle offerte fatte nella primavera del 1909 per conto della Deutsche Bank alla Banca Commerciale e da questa allora declinate. Ora alle nuove aperture fattegli dal cavalier Joel, il signor von Gwinner mi disse aver risposto che qualora gli venisse presentata dalla Banca Commerciale un'effettiva proposta, egli l'avrebbe ripresa in esame, colla riser

760 I Non rinvenuto.

va però di interrogare prima in proposito il Consiglio del proprio istituto e la Wilhelmstrasse. Non so se le aperture su accennate del cavalier Joel stiano in qualche connessione con quanto V.E. mi scriveva nel suo successivo dispaccio del 5 febbraio,

n. 6'. Non avendo io istruzioni, mi sono ben inteso limitato a prendere conoscenza di quella confidenziale comunicazione, e soltanto aggiunsi che nell'occasione del mio prossimo viaggio a Roma mi riserverei di sentire in proposito le intenzioni del R. Governo.

761

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1392/32. Belgrado, 27 marzo 1911, ore 9 (per. ore 6,15 del 28).

Ministro di Serbia a Cettigne ritorna oggi al suo posto per portare risposta Governo serbo alle proposte di re Nicola. Egli è latore istruzioni delle quali trascrivo il sunto comunicatomi confidenzialmente da questo ministro degli affari esteri.

«Situazione generale in Europa non è propizia alla azione, dato che forze che sembrano favorevoli alla indipendenza dei Balcani non sono preponderanti. Inoltre, rapporti fra gli Stati balcanici non sono tali da autorizzare a credere che vi potrebbe essere eventualmente unità d'azione tra di essi. Perciò Governo serbo non crede desiderabile che si producano in questo momento complicazioni né in Albania né in generale nella Penisola e giudica che debba farsi possibile per impedirle o ritardarle.

Governo serbo è pronto intendersi col Montenegro per qualsiasi eventualità allo scopo di assicurare completa unità dei due Paesi in ogni circostanza. Per quanto concerne rapporti con gli albanesi, si dovrebbe fare possibile per conservare loro fiducia e specialmente di impedire si rivolgano ad altri per suscitare complicazioni che qui si vogliono evitare. Se movimenti albanesi non possono essere impediti, i due Paesi devono fare tutto ciò che dipende da loro perché conservino carattere locale e non giungano ad un grado di estensione e gravità da porgere occasione plausibile ad un intervento straniero.

Siccome situazione generale nei Balcani non è sicura e potrebbe darsi che possano ad ogni momento sorgere complicazioni indipendentemente dalla volontà dei due Paesi serbi, questo Governo crede necessario scambio d'idee fra Serbia e Montenegro allo scopo di tenersi pronti evenienze e sapere la parte che ciascuno deve sostenere. Ministro di Serbia a Cettigne ha avuto istruzioni sufficienti per trattare di ciò e, qualora necessità se ne presenti, sarà mandato un delegato speciale serbo».

Ministro degli affari esteri ritiene che tali istruzioni avranno effetto pacificatore. Esse sono state evidentemente sottoposte approvazione di Pietroburgo.

762

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

T. UFF. COLONIALE URGENTE 11651. Roma, 27 marzo 1911, ore 10,50.

Dopo insuccesso prima spedizione da Harrar Governo abissino ha ordinato immediata partenza altra spedizione duemila uomini che dovrebbe partire in questi giorni. Soldati abissini dimostrano, però, più grande riluttanza prendervi parte. Prego incaricare subito capitano Ferrandi di comunicare ciò al capitano Citerni, confermandogli categorica istruzione coordinare sua avanzata verso Scebeli con certezza che Commissione delimitazione sia completamente guarentita da spedizione abissina che deve partire da Harrar, e, in caso contrario, limitare operazioni Commissione a regione perfettamente sicura.

762 l Il telegramma fu trasmesso via Aden.

<
APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione dall']] dicembre 1909 al 29 marzo 19JJ)I

MINISTRO

GuiCCIARDINI conte Francesco, deputato al Parlamento, fino al 30 marzo 191 O; DI SAN GIULIANO marchese Antonino, senatore del Regno, dal 31 marzo 191 O.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

LANZA DI ScALEA principe Pietro, deputato.

GABINETTO DEL MINISTRO

Affari confidenziali -Corrispondenza riservata e particolare del ministro -Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del ministro col Parlamento e con il Corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di gabinetto: SFORZA Carlo, consigliere di legazione di seconda classe, dal 23 dicembre 1909 al 29 giugno 191 O; FASCIOTTI barone Carlo, consigliere di legazione di seconda classe, dal 30 giugno 1910.

Segretari particolari: DuRAZZO marchese Carlo, vice console di prima classe (dal 24 marzo 191 O console di seconda classe), dal 23 dicembre 1909 al 15 ottobre 191 O; VIGANOTTI GIUSTI Gianfranco, segretario di legazione di seconda classe, dal 23 dicembre 1909 al 21 aprile 191 O; AURITI Giacinto, segretario di legazione di terza classe, dal 6 marzo al 15 maggio 191 O; BIANCHERI CHIAPPORI Paolo Augusto, segretario di legazione di terza classe, dal 16 ottobre 191 O.

I L'ordinamento degli Uffici del Ministero degli Affari Esteri qui riportato è quello istituito dal R.D. I o agosto 1910, n. 607.

GABINETTO DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO

Affari confidenziali -Corrispondenza riservata e particolare del sottosegretario di Stato -Ricerche e studi in rapporto al lavoro del sottosegretario di Stato Relazioni del sottosegretario di Stato col Parlamento e col Corpo diplomatico -Udienze.

Capo di Gabinetto: CONTARINI Salvatore, consigliere di legazione di seconda classe, dal 22 aprile 191O(dal 7 luglio 191 Oconsigliere di legazione di prima classe).

Segretari particolari: CHIARAMONTE BoRDONARO Antonio, segretario di legazione di prima classe, dal 30 dicembre 1909; LAGO Mario, segretario di legazione di seconda classe, dal 30 dicembre 1909 al l 0 aprile 191O.

SEGRETARIO GENERALE

BoLLATI Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe (dal 7 luglio 191 O inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe).

UFFICI ALLA DIRETTA DIPENDENZA DEL SEGRETARIO GENERALE

DIVISIONE I

Ragioneria ed Economato.

Capo di divisione: CALVARI Lodovico.

SEZIONE I

Bilanci e contabilità -Bilancio di previsione -Conto consuntivo -Revisione di contabilità attive dei regi agenti all'estero -Liquidazione delle spese degli uffici all'estero -Competenze mensili dei funzionari e del personale di servizio.

Capo sezione: BoNAMICO Cesare.

Primi ragionieri: CASONI Enrico; DE SANCTIS Paolo.

Ragionieri: ScALZO Raffaele; Bossi Mario; CERACCHI Giuseppe; MARZIANI Luigi, fino al gennaio 191O.

SEZIONE II

Scritture -Conto corrente col Tesoro dello Stato -Conti correnti coi regi agenti ali 'estero.

Capo sezione: FANO Alberto. Primo ragioniere: VERDESI Ettore. Ragionieri: LIVINALI Alessandro; CASONI Giovanni; AGOSTEO Cesare; PAOLINI En

nio, dal novembre 1910.

SEZIONE III Tariffa consolare -Palazzi demaniali all'estero. Arredamenti -Inventario dei mobili di proprietà dell'erario all'estero -Proposte per l'acquisto di mobili ad

uso d'archivio degli uffici all'estero -Sussidi. Capo sezione: D'AVANZO Carlo. Primo ragioniere: CRIVELLAR! Quirino. Ragioniere: BONAVINO Arturo.

SEZIONE IV Inventario dei mobili del Ministero -Contratti -Spese d'ufficio -Manutenzione dei locali -Magazzino -Personale degli uscieri -Corredi dei regi uffici all'e

stero -Custodia delle successioni. Capo sezione Economo-Cassiere: VrNARDI Giuseppe. Primo ragioniere: RrNVERSI Romolo.

CIFRA

Corrispondenza telegrafica e ordinaria in cifra -Compilazione, custodia e distribuzione dei cifrari.

Capo d'ufficio: VOLTATTORNI Gabriele, consigliere di legazione di prima classe (dall'l l febbraio 1911 inviato straordinario e ministro plenipotenziario ).

STAMPA E TRADUZIONE

Spoglio e riassunto quotidiano dei giornali e periodici esteri e nazionali -Traduzioni.

Capo d'ufficio: DECIANI Vittorio Tiberio, consigliere di legazione di prima classe.

Segretari: GAZZERA Giuseppe, addetto di legazione, fino al 3 luglio 191 O; AMADORI Giovanni, addetto di legazione, dal 18 maggio 191 O.

APERTURA, DISTRIBUZIONE E REGISTRAZIONE DELLA CORRISPONDENZA E SPEDIZIONE

Registrazione e sunto della corrispondenza in arrivo e in partenza -Rubriche per ragioni di luogo, di materia, di persona -Schedari -Spedizione della corrispondenza -Corrieri di Gabinetto.

Capo d'ufficio: SAINT-MARTIN Giuseppe, console di prima classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI

Direttore generale: 8ARILARI Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, fino al 6 febbraio 191 O; BIANCHERI Cesare, console generale di prima classe, dal 27 febbraio 191 O.

DIVISIONE Il

Personale e Cerimoniale.

Capo di divisione: BIANCHERI Cesare, console generale di prima classe, fino al 26 febbraio 191 O; LANDI VITTORJ Vittorio, console generale di seconda classe, dal 15 ottobre 1910.

SEZIONE I

Personale d'ogni categoria dipendente dal Ministero degli affari esteri (eccetto il personale delle scuole al! 'estero e quello di servizio) -Uffici diplomatici e consolari d'Italia all'estero, loro istituzione e soppressione-Servizio d'ispezione degli stessi uffici -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Consiglio del Ministero -Concorsi -Ammissioni -Annuario del Ministero -Elenchi del personale del Ministero -Atti pubblici -Libretti e richieste ferroviarie per il personale.

Capo sezione: LANDI VITTORJ Vittorio, console generale di seconda classe, fino al 14 ottobre 191 O; DI MoNTAGLIARI marchese Paolo, consigliere di legazione di seconda classe, dal 15 ottobre 191 O.

Segretari: RANDACCIO Ignazio, console di prima classe; CHIOSTRI Giuseppe, console di prima classe, fino al 16 febbraio 191 O; GRIMANI conte Pier Luigi, segretario di legazione di prima classe, dal marzo al 30 dicembre 191 O; LAGO Mario, segretario di legazione di seconda classe, dal l o aprile 191 O; GUARIGLIA Raffaele, addetto consolare (dal l o agosto 191 O vice console di seconda classe) fino al 3 febbraio 1911; MAZZIN! Ferdinando, console di seconda classe, dal 5 gennaio 1911.

SEZIONE II

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di sovrani e principi -Decorazioni nazionali ed estere.

Capo sezione: VALENTINI Claudio, console generale di seconda classe.

Segretari: NEGRI Vittorio, vice console di seconda classe, dal 22 dicembre 1910; MARSANICH Alberto, addetto consolare (dal 13 febbraio 191 O vice console di seconda classe), fino all' 11 novembre 1910; Rossi Pier Filippo, addetto consolare (dal 13 febbraio 1910 vice console di seconda classe); MACARIO Nicola, addetto di legazione, dal 16 marzo 1911.

ARCHIVIO STORICO

Conservazione ed incremento delle collezioni manoscritte del Ministero e dei regi uffici al! 'estero -Conservazione degli originali degli atti internazionali conclusi dal Regno d'Italia e dagli Stati soppressi -Conservazione delle carte del Ministero riversate dagli archivi delle divisioni -Ricerche e studi preparatori pel Ministero e per gli uffici del dicastero -Memorie su materie storiche e questioni internazionali -Protocollo, inventari e schedari.

Direttore degli archivi: BEAUREGARD Felice, console di prima classe, dal 10 marzo 1910.

BIBLIOTECA

Proposte per acquisto di libri e associazioni a giornali e riviste -Conservazione ed incremento delle pubblicazioni -Scambio di pubblicazioni con altri ministeri od istituti del Regno o di Stati esteri -Collezione e custodia di carte geografiche per uso del Ministero -Cataloghi, schedari -Raccolta sistematica di pubblicazioni del Ministero -Raccolta sistematica della legislazione straniera per ciò che può riguardare le relazioni internazionali e l 'amministrazione degli affari esteri -Forniture di pubblicazioni a corredo di regi uffici diplomatici e consolari.

Bibliotecario: PASQUALUCCI Loreto.

TIPOGRAFIA

Direttore della tipografia: ALFERAZZI Giacomo Antonio.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: BOLLATI Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe (dal 7 luglio 1910 inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe).

DIVISIONE III

Capo di divisione: FASSATI DI BALZOLA Ferdinando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe.

SEZIONE I

Carteggio in materia politica per affari concernenti l 'Europa -Sunto quotidiano del carteggio -Stipulazione e interpretazione di trattati politici relativi alla stessa circoscrizione -Rettifiche ed accertamenti di frontiera -Sconfinamenti militari -Spoglio dei giornali esteri per la stessa circoscrizione.

Capo sezione: DELLA ToRRE DI LAVAGNA conte Giulio, consigliere di legazione di seconda classe.

Segretari: MEDICI Giuseppe, segretario di legazione di seconda classe; VANNUTELLI conte Luigi, segretario di legazione di seconda classe, dal 13 luglio 1910.

SEZIONE II

Carteggio in materia politica per affari concernenti il Levante e l 'Africa -Sunto quotidiano del carteggio -Stipulazione e interpretazione di trattati politici relativi alla stessa circoscrizione -Capitolazioni -Riforme giudiziarie in Egitto Spoglio dei giornali esteri per la stessa circoscrizione.

Capo sezione: FASCIOTTI barone Carlo, consigliere di legazione di seconda classe fino al 29 giugno 191 O; CAETANI Li vi o, consigliere di legazione di seconda classe (dal 12 febbraio 1911 consigliere di legazione di prima classe), dal 30 giugno 1910.

Segretari: ARRIVABENE-VALENTI-GONZAGA conte CARLO, segretario di legazione di prima classe, fino al 20 marzo 191 O; VARÈ Daniele, segretario di legazione di terza classe; AURITI Giacinto, segretario di legazione di terza classe, fino al 5 marzo 1910.

SEZIONE III

Carteggio in materia politica per affari concernenti l 'Estremo Oriente e l 'America -Sunto quotidiano del carteggio -Stipulazione e interpretazione di trattati politici relativi alla stessa circoscrizione -Spoglio dei giornali come sopra.

Capo sezione: ALIOTTI Carlo, consigliere di legazione di seconda classe (dal 21 aprile 191O consigliere di legazione di prima classe).

Segretari: MAESTRI MOLINARI marchese Francesco, segretario di legazione di prima classe, fino al giugno 1910.

DIVISIONE IV

Capo di divisione: NOBILI Aldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, fino all'8 giugno 191O; BRUNO Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, dal 9 giugno 1910.

SEZIONE I

Reclami di sudditi italiani verso Governi esteri e di sudditi esteri verso il Governo italiano.

Capo sezione: MAESTRI MOLINARI marchese Francesco, segretario di legazione di prima classe, dal luglio 1910.

Segretari: DE RISEIS Mario, segretario di legazione di terza classe (dal 7 luglio 191 O segretario di legazione di seconda classe), fino al 4 novembre 191 O; BoLOGNESI conte Giulio, vice console di prima classe, dal 18 marzo 1911.

SEZIONE II

Polizia internazionale -Istituti ecclesiastici esteri nel Regno -Ammissione di ufficiali ed allievi stranieri nei regi istituti militari e marittimi -Pubblicazioni diplomatiche e Libri Verdi.

Capo sezione: ANCILLOTTO conte Giuseppe, consigliere di legazione di seconda classe.

Segretari: CoMPANS DI BRICHANTEAU marchese Alessandro, segretario di legazione di seconda classe, fino ali' 11 ottobre 191 O; DEPRETIS Agostino, segretario di legazione di prima classe, dal 28 febbraio 1911.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI'

Direttore generale: VACCAJ Giulio, console generale di prima classe, fino al 30 luglio 191 O; LEVI Primo, console generale di prima classe, dal l o agosto 191 O.

DIVISIONE V

Capo di divisione: PELUCCHI Carlo, console generale di seconda classe.

SEZIONE I

Carteggio relativo alla stipulazione e alla interpretazione dei trattati e degli atti commerciali internazionali -Studi e indagini di politica commerciale -Pubblicazioni d'indole economica -Bollettino del Ministero.

l Sino al 30 luglio 191 O vi era un 'unica Direzione generale degli affari commerciali e privati e delle regie scuole ali 'estero di cui era direttore generale Vaccaj. Col R. D. l o agosto 191 O, n. 607, tale Direzione generale fu divisa e Vaccaj divenne direttore generale degli affari privati.

Capo sezwne: NAGAR Carlo, console generale di seconda classe, fino al 13 aprile 191O; MILAZZO Silvio, console di prima classe, dal 14 aprile 191 O all'li marzo 1911.

Segretari: CAPRARA conte Enrico, segretario di legazione di prima classe, fino al settembre 191 O; MoNZANI Riccardo, console di seconda classe, dal 30 gennaio al settembre 191 O; MANFREDI Emilio, addetto consolare (dal lo agosto 191 O vice console di seconda classe), fino al settembre 191 O; DURAZZO marchese Carlo, console di seconda classe, dal 15 ottobre 1910; BIANCHI Vittorio, vice console di prima classe, dal 16 marzo 1911; GENTILE Giuseppe, vice console di prima classe, dal 12 gennaio 1911.

SEZIONE Il

Reclami doganali -Sconfinamenti doganali -Congressi e conferenze commerciali.

Capo sezione: CAPRARA conte Enrico, segretario di legazione di prima classe, dali' ottobre 191 O al gennaio 1911.

Segretari: GRABAU Enrico, console di seconda classe, dal!' 8 dicembre 191 O; SPANÒ Pietro, addetto consolare (dal 13 febbraio 191 O vice console di seconda classe), fino al 3 agosto 191 O; Cou Guido, vice console di seconda classe, dal 6 agosto 191O; MANFREDI Emilio, vice console di seconda classe, dali' ottobre 191 O al lo marzo 1911.

DIVISIONE VI

Capo di divisione: BERTOLLA Cesare, console generale di prima classe, fino all'8 gennaio 1910; CHICCO Enrico, console generale di prima classe, dal 9 gennaio al settembre 191 O; AcTON Enrico, console generale di seconda classe, dall'ottobre 1910.

SEZIONE I

Esposizioni -Congressi internazionali di natura non politica né commerciale.

Capo sezione: SAVINA Oreste, console di prima classe (dal 26 gennaio 1911 console generale di seconda classe).

Segretari: BoRGHETTI Riccardo, segretario di legazione di prima classe, dal 15 luglio 1910; MONZANI Riccardo, console di seconda classe, dall'ottobre 1910; PELLEGRINI Giuseppe, vice console di prima classe, fino al 29 gennaio 1910; DE FACENDIS Domenico, addetto consolare (dal 13 febbraio 1910 vice console di seconda classe), fino all'8 marzo 1910.

SEZIONE II Servizi postali e marittimi -Ferrovie di interesse internazionale -Sanità pubblica. Capo sezione: SARTORI Francesco, console di seconda classe, dall'ottobre 1910. Segretari: GAVOTTI Lodovico, vice console di seconda classe, dal 12 gennaio

1911.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI PRIVATI

Direttore generale: VACCAJ Giulio, console generale di prima classe, dal l o agosto 1910.

DIVISIONE VII

Capo di divisione: MoTTA Riccardo, console generale di seconda classe, dal 15 ottobre 191 O.

SEZIONE I

Questioni giuridiche di nazionalità, di estradizione, di protezione consolare, di stato civile e di ogni altro ordine non politico né commerciale.

Capo sezione: NoTAR! Giosuè, console generale di seconda classe, dal 27 marzo 1910.

Segretari: DANEO Ferdinando, console di seconda classe; MARGOTTI Giovanni, addetto consolare (dal l o agosto vice console di seconda classe), fino al 21 novembre 1910.

SEZIONE II

Stipulazione ed interpretazione di trattati relativi alle materie anzidette.

Capo sezione: GARROU Mario, console di prima classe, dal 24 ottobre 191 O.

Segretario: DE CONSTANTIN DI CHATEAUNEUF Carlo, vice console di seconda classe, dali' ottobre 191O.

DIVISIONE VIII

Capo di divisione: CHicco Enrico, console generale di prima classe, dall'ottobre 1910.

SEZIONE I

Rogatorie -Pensionati all'estero -Atti giudiziari -Atti di stato civile -Ricerche al!' estero nel! 'interesse dei sudditi italiani.

Capo sezione: PERROD Enrico, console generale di seconda classe, dal 21 ottobre 1910.

Segretari: ANCARANO Alfredo, vice console di prima classe, fino al 20 gennaio 191O; ANFOSSO Luigi, vice console di prima classe; DE GRESTI Guido, segretario di legazione di terza classe; GROSSARDI Antonio, addetto consolare (dal l 0 agosto 191O vice console di seconda classe).

SEZIONE II

Successione di sudditi italiani morti al! 'estero.

Capo sezione: DE VELUTIIS Francesco, console di prima classe (dal 16 gennaio 191 O console generale di seconda classe).

Segretari: CROCÈ Francesco, console di seconda classe, dal 10 marzo 1910; CiANCARELLI Bonifacio, vice console di prima classe, fino al 17 luglio 191 O; CEeCHI Gino, vice console di seconda classe, dal 16 dicembre 191 O; DE CoNSTANTIN DI CHATEAUNEUF Carlo, addetto consolare (dal l o agosto 191 O vice console di seconda classe), fino al settembre 1910; SERPI Giuseppe, addetto consolare (dal l o agosto 191 O vice console di seconda classe), fino ali' 11 marzo 1911; NEGRI Vittorio, addetto consolare, dal marzo al dicembre 1910.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO E DELLA LEGISLAZIONE

Contenzioso diplomatico -Segretariato del Consiglio del contenzioso diplomatico -Convocazione, verbali delle adunanze -Nomina e conferma dei membri del Consiglio stesso -Archivio -Massimario del contenzioso.

Studi preparatori delle coriferenze di diritto internazionale privato e dei con gressi internazionali di indole giuridico-amministrativa. Raccolta ufficiale dei trattati -Pubblicazione degli atti relativi.

Capo d'ufficio: RICCI BusATTI Arturo, consigliere di legazione di prima classe.

Segretario: FoRLANI Baldo, segretario di terza classe, fino al 27 marzo 191O.

LEGALIZZAZIONE E PASSAPORTI

Legalizzazione di atti -Corrispondenza e contabilità relativa -Passaporti diplomatici -Passaporti distinti.

Capo d'ufficio: BARILARI Pompeo, console generale di seconda classe.

DIREZIONE CENTRALE DEGLI AFFARI COLONIALI

Direttore centrale: AGNESA Giacomo.

UFFICIO I

Eritrea e Somalia -Possedimenti, occupazioni, protettorati, determinazione di confini e di sfere di influenza in Africa -Misure sancite dagli Atti generali di Berlino e di Bruxelles -Tratta degli schiavi. Pubblicazione di documenti diplomatici relativi a questioni coloniali -Spedizioni geografiche ed esplorazioni in Africa.

Capo d'ufficio: MARAZZI conte Gerolamo, console di prima classe, fino al 6 febbraio 1911.

Segretari: MARTIN FRANKLIN Alberto, segretario di legazione di prima classe, dal 28 luglio 1910; ALDOVRANDI MARESCOTTI Luigi, conte di Viano, console di seconda classe, dal 5 febbraio 1911; BIANCHERI CHIAPPORI Paolo Augusto, addetto di legazione (dal 21 aprile 1910 segretario di legazione di terza classe), fino al 15 ottobre 191 O; BARBARO conte Francesco, segretario di terza classe, fino al 20 novembre 1910; DA PASSANO Filippo Gioacchino, vice console di seconda classe, dal 23 luglio 191 O; TAMBURINI Antonio, vice console di seconda classe, dal 22 marzo 1911.

Addetti all'ufficio: QuARTO Adolfo, tenente colonnello d'artiglieria; MoCHI Carlo, ufficiale coloniale.

UFFICIO Il

Eritrea e Somalia -Colonizzazione -Preparazione delle leggi e dei decreti sull'ordinamento della Colonia Eritrea -Bilanci e contabilità coloniali -Protocollo e archivio coloniale.

Capo d'ufficio: CONTARINI Salvatore, consigliere di legazione di seconda classe, fino al 20 aprile 191 O; MELI LUPI DI SoRAGNA marchese Guido, console di prima classe, dal l O novembre 1910.

Segretario: LOJACONO Vincenzo, segretario di legazione di terza classe.

Addetti all'ufficio: MANTIA Giuseppe, SALVADEI Giovanni, CHECCHI Michele, DoNATO Antonio, agenti coloniali; MARCHISIO Ernesto, ufficiale coloniale di prima categoria; GANDINI Giuseppe, GASPONI Aspromonte, ufficiali coloniali di seconda categoria; BROGGI Antonino, maggiore dei bersaglieri; CJTERNI Carlo, capitano di fanteria; LEONETTI Francesco, tenente contabile; MORI Angelo, capitano commissario di marina; CATASTINI Vito, direttore nei magazzini Deposito privative; MARCONI Annibale, tenente di fanteria.

DIREZIONE CENTRALE DELLE REGIE SCUOLE ALL'ESTERO

Istituti scolastici governativi all'estero, loro ordinamento e direzione didattico disciplinare -Istituzione e soppressione delle scuole -Locali scolastici -Materiale didattico e scientifico -Personale insegnante -Deputazioni scolastiche Concorsi -Ispezioni -Posti gratuiti e semi gratuiti dali 'estero per l 'interno Amministrazione, contabilità, bilanci delle scuole -Decreti e mandati relativi. Istituti sussidiati ali 'estero -Sussidi ordinari e straordinari a scuole coloniali, private e confessionali -Vigilanze sulle medesime, ispezioni di esse. Palestre ginnastiche -Biblioteche delle regie scuole alt 'estero -Regio istituto orientale di Napoli -Regio istituto internazionale di Torino -Annuario delle scuole alt 'estero -Statistiche -Relazioni al ministro e al Parlamento -Protocollo e archivio del! 'ufficio.

Direttore centrale: ScALABRINI Angelo.

Capo sezione: BoccoNI Luigi, console generale di prima classe (dal 22 dicembre 191O console generale di seconda classe). Segretario: GATTONI Giulio, segretario di legazione di seconda classe.

Primi ragionieri: FIORETTI Vittorio, SuGLIANI Augusto, FRANZETTI Attilio.

Ragioniere: LEONINI PIGNOTTI Augusto.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Presidente

GuiCCIARDINI conte Francesco, deputato al Parlamento, ministro degli affari esteri, fino al 30 marzo 1910; DI SAN GIULIANO marchese Antonino, senatore del Regno, ministro degli affari esteri, dal 31 marzo 1910.

Vice -presidente

FINALI Gaspare, senatore del Regno.

Consiglieri

PAGANO GUARNASCHELLI Giambattista, senatore del Regno, primo presidente della Corte di Cassazione di Roma. INGHILLERI Calcedonio, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato. GABBA Carlo Francesco, senatore del Regno, professore di diritto civile nella Regia Università di Pisa.

GREPPI conte Giuseppe, senatore del Regno, ambasciatore onorario.

FIORE Pasquale, senatore del Regno, professore di diritto internazionale nella Regia Università di Napoli. GRIPPO Pasquale, deputato al Parlamento, libero docente di diritto costituzionale nella Regia Università di Napoli.

FusiNATO Guido, deputato al Parlamento, consigliere di Stato.

MALVANO Giacomo, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato. BosELLI Paolo, deputato al Parlamento, primo segretario di S.M. il Re pel Gran magistero dell'ordine Mauriziano.

Pozzi Domenico, deputato al Parlamento.

CHIMIRRI Bruno, deputato al Parlamento.

SCIALOJA Vittorio, senatore del Regno, professore di diritto romano nella Regia Università di Roma.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione dal/' 11 dicembre l 909 al 29 marzo l 9 11)

ARGENTINA

Buenos Aires -MACCHI DI CELLERE Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RINELLA Sabino, segretario, fino al 28 febbraio 191 O; VIGANOTTI GIUSTI Gianfranco, segretario, dal 22 aprile 1910.

AUSTRIA-UNGHERIA

Vienna -AVARNA DI GuALTIERI duca Giuseppe, ambasciatore; TOMMASINI Francesco, segretario (dal 12 febbraio 1911 consigliere); CERRUTI Vittorio, segretario; NANI MocENIGO conte Lodovico, segretario, dal 2 settembre 191 O; FRESCOT Filiberto, segretario; CANCIANI Ciro, capitano di corvetta, addetto navale; SJGRAY AsiNARI DI SAN MARZANO conte Alessandro, capitano di Stato Maggiore, addetto militare, sostituito da ALBRICCJ Alberico, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

BAVIERA

Monaco -GuAsco DI BISIO Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 20 maggio 1910; NOBILI DELLA SCALA Aldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 agosto 191 O; DE GRESTI DI SAN LEONARDO Guido, segretario, fino al 24 dicembre 191 O.

BELGIO

Bruxelles -BoNIN LONGARE conte Lelio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 18 settembre 191 O; BoTTARO CosTA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 23 settembre 191 O; SERRA Attilio, segretario, fino al 12 luglio 1910; CARACCIOLO Gaetano, segretario, dal 4 luglio 191 O; GUARNERI Andrea, segretario; ZACCONE Vittorio, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Parigi), sostituito da PICCIONE Luigi, maggiore di artiglieria, addetto militare (residente a Bema).

BOLIVIA

MAZZA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al lO giugno 191O; AGNOLI Ruffillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 6 luglio 191 O (residenti a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -ROMANO AvEZZANA barone Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dali' 8 giugno 1910; BORGHETTI Riccardo, segretario, fino al 14 luglio 1910; COMPANS DI BRICHANTEAU marchese ALESSANDRO, segretario, dal 12 ottobre 191 O.

BULGARIA

Sofia -CUCCHI BOASSO Fausto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario fino al 6 giugno 191 O; DE BosoARI conte Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 23 agosto 191 O; NANI MocENIGO conte Giovanni Battista, segretario; RUBIN DE CERVIN Gustavo, maggiore di cavalleria, addetto militare, sostituito da MERRONE Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

CILE

Santiago -RANUZZI SEGNI conte Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 24 agosto 191 O.

CINA

Pechino -VINCI GIGLIUCCI conte Giulio Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 22 maggio 1910; BARILARI Federico, inviato straordinari o e mm1stro plenipotenziario, dal 23 maggio 191 O; BRAMBILLA Giuseppe, segretario; VITALE Guido, interprete, con il titolo onorario di segretariointerprete; BENSA Maurizio, interprete; CAVIGLIA Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio ), sostituito da ALLIEVI Cesare, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio).

COLOMBIA

Bogotà -MAZZA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dall'll giugno 1910.

COSTARICA

MILLELIRE Giorgio, ministro residente (residente a Guatemala).

CUBA

Avana -MoNDELLO GIACOMO, ministro residente.

DANIMARCA

Copenaghen -CALVI DI BERGOLO conte Giorgio, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario, fino al 19 maggio 191 O; BERTI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 29 giugno 191 O; MARCHETTI FERRRANTE Giulio, segretario 1•

EQUATORE

MAZZA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al lO giugno 191 O; AGNOLI Ruffillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 6 luglio 191 O (residenti a Lima).

I Durante le assenze del ministro a Stoccolma, Marchetti Ferrante veniva inviato a reggere temporaneamente la legazione.

ETIOPIA

Addis Abeba -COLLI DI FELIZZANO conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CORA Giuliano, segretario, dal 27 marzo 1910.

FRANCIA

Parigi -GALLINA conte Giovanni, ambasciatore, fino al 2 febbraio 191O; DI SAN GIULIANO marchese Antonino, ambasciatore, dal 3 febbraio al 30 marzo 191 O; TITTONI Tommaso, ambasciatore dal 22 aprile 191 O; RusPOLI principe Mario, consigliere; GARBASSO Carlo, segretario; GIANNUZZI SAVELLI Fabrizio, segretario; DANEO Giulio, segretario, dal l 0 maggio 191 O; PREZIOSI Gabriele, addetto; MANACORDA Aroldo, console, cancelliere, fino al 4 gennaio 1911; ZACCONE Vittorio, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; ALOISI Pompeo, segretario, tenente di vascello nella riserva navale, incaricato delle funzioni di addetto navale in Francia.

GERMANIA

Berlino -PANSA Alberto, ambasciatore; 0RSINI BARONI Luca, consigliere; DURIN! DI MONZA conte Ercole, segretario; LAMBERTENGHI conte Ruggero, segretario; TosTI DI VALMINUTA Mauro, addetto (dal 21 aprile 1910 segretario); MONTUORI Luca, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, sostituito da CALDERARI Luigi, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; CANCIANI Ciro, capitano di corvetta, addetto navale (residente a Vienna).

GIAPPONE

Tokio -GUICCIOLI marchese Alessandro, ambasciatore; ARRIVABENE-VALENTI-GONZAGA conte Carlo, segretario, dal 21 marzo 191 O; ROGADEO Giovanni, addetto (dal 21 aprile 191O segretario); GAsco Alfonso, interprete; CAVIGLIA Enrico, tenente colonnello, addetto militare, sostituito da ALLIEVI Cesare, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

GRAN BRETAGNA

Londra -DI SAN GIULIANO marchese Antonino, ambasciatore, fino al 2 febbraio 191 O; IMPERIALI marchese Guglielmo, ambasciatore, dal 9 maggio 191 O; SFORZA Carlo, consigliere fino al 22 dicembre 1909; MANZONI Gaetano, consigliere, dal 10 maggio 1910; MARTIN-FRANKLIN Alberto, segretario, fino al 27 luglio 1910 (incaricato d'affari dal 2 febbraio all'8 maggio 1910); VANNUTELLI Luigi, segretario, fino al 26 marzo 1910; NANI MoCENIGO conte Lodovico, segretario, fino al l o settembre 191 O; FRESCHI conte Carlo Giovanni, segretario, dal 12 dicembre 191 O; DE RISEIS Mario, segretario, dal 5 novembre 191 O; CoLONNA Ascanio, addetto (dal 7 luglio 191 O segretario), dal 24 febbraio 1910; DE PARENTE Paolo Girolamo, addetto, dal 5 luglio 1910; BAONANI Ugo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; REsio Arturo, capitano di fregata, addetto navale, sostituito da LOVATELLI Massimiliano, capitano di corvetta, addetto navale.

GRECIA

Atene -CARLOTTI Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoRINALDI Leopoldo, segretario; DE LucA Attilio Regolo, addetto, dal 2 novembre 191 O; ELIA Vittorio, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Costantinopoli), sostituito da MARRO Prospero, tenente colonnello d'artiglieria, addetto militare (residente a Costantinopoli); DI MADI Costantino, interprete.

GUATEMALA

Guatemala -MILLELIRE Giorgio, ministro residente.

HAITI

MONDELLO Giacomo, ministro residente (residente all'Avana).

HONDURAS

MILLELIRE Giorgio, ministro residente (residente a Guatemala).

LUSSEMBURGO

SALLIER DE LA TouR Giuseppe, duca di Calvello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all' Aja).

MAROCCO

Tangeri -NERAZZINI Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 18 dicembre 191 O; CARIGNANI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dali' 11 gennaio 1911; GIANATELLI GENTILE Agesilao, mterprete, con il titolo onorario di segretario-interprete.

MESSICO

Città del Messico -RAYBAUDI MASSIGLIA conte Annibale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MONTENEGRO

Cettigne -SQUITTI Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RuBIN DE CERVIN Gustavo, maggiore di cavalleria, addetto militare (residente a Sofia), sostituito da MERRONE Errico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Sofia).

NICARAGUA

MILLELIRE Giorgio, ministro residente (residente a Guatemala).

NORVEGIA

CALVI DI BERGOLO conte Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 19 maggio 191 O; BERTI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 29 giugno 1910 (residenti a Copenaghen).

PAESI BASSI

Aja -SALLIER DE LA TouR Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CATALANI Giuseppe, segretario; PICCIONE Luigi, maggiore d'artiglieria, addetto militare (residente a Bema).

PARAGUAY

Assunzione -GAZZANIGA Ettore, incaricato d'affari (dal 3 febbraio 191 O ministro residente).

PERSIA

Teheran -ROMANO AvEZZANA barone Camillo, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario, fino al 16 aprile 191O; MONTAGNA Giulio Cesare, incaricato d'affari, dal l 7 aprile 191 O.

PORTOGALLO

Lisbona -PAULUCCI DI CALBOLI conte Raniero, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario; CAMB!AGIO Silvio, segretario, fino al 19 marzo 191O; ALLIATA DI MoNTEREALE principe Giovanni, segretario, dall' 11 settembre 191 O; PoRTA Felice, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -BECCARIA INCISA Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DEPRETIS Agostino, segretario, fino al 27 febbraio 1911; CAMBIAGIO Silvio, segretario, dal 28 marzo 1911; CAMERANA conte Carlo, addetto dal 5 luglio 191 O; PAPA DI CosTIGLIOLE conte Carlo, capitano di Stato Maggiore, addetto militare; SIBILIA Donato, delegato commerciale; OuvoTTo Teodoro, archivista interprete, vice console; GRONDA Giuseppe, interprete.

RUSSIA

Pietroburgo -MELEGARI Giulio, ambasciatore; TOMASI DELLA TORRETTA Pietro, segretario; MINISCALCHI-ERIZZO conte Francesco Leopoldo, segretario, dali '8 febbraio 191 O; DE CRTSTOFARO Ippolito Luigi, addetto, fino al 28 febbraio 1910; SAVONA Giuseppe, addetto, dal 29 giugno 1910; ABATI Emilio, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; GHERSI Alessandro Arturo, archivista interprete.

SALVADOR

MILLELIRE Giorgio, ministro residente (residente a Guatemala).

S. DOMINGO

MONDELLO Giacomo, ministro residente (residente ali'Avana).

SERBIA

Belgrado -BAROLI CARLO, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario; CAMBIAGIO Silvio, segretario, dal 20 marzo 191 O al 27 febbraio 1911; RINELLA Sabino, segretario, dali' 11 marzo 1911; PAPA DI CosTIGLIOLE conte Carlo, capitano di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Bucarest); DE SARNO SAN GIORGIO Dionisio, interprete.

SIAM

Bangkok -CiccoDICOLA Federico, maggwre di artiglieria, inviato straordinario e ministro p1enipotenziario.

SPAGNA

Madrid -SILVESTRELLI Giulio, ambasciatore, fino al 20 maggio 191 O; BONIN LONGARE conte Lelio, ambasciatore, dal 19 settembre 191 O; SERRA Attilio, consigliere, dal 13 luglio 1910; MoNTAGNA Giulio Cesare, segretario, fino al 16 aprile 191 0; ALLIATA DI MONREALE E DI VILLAFRANCA principe Giovanni, segretario, fino al l O settembre 191 O; AuRITI GIACINTO, segretario, dal 16 maggio 1910; PORTA Felice, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -MAYOR DES PLANCHES barone Edmondo, ambasciatore, fino al 24 marzo 191 O; CusANI CoNFALONIERI marchese Luigi Gerolamo, ambasciatore,

dal l O ottobre 191 O; DI MoNTAGLIARI marchese Paolo, segretario (dal 21 aprile 191 O consigliere), fino al 14 luglio 191 O; CORA Giuliano, segretario, fino al 26 marzo 1910; NEGROTTO-CAMBIASO Lazzaro, segretario, dal 10 ottobre 191 O; CENTARO Roberto, segretario, fino al 22 marzo 1911; Rosso Augusto, addetto, dal 6 luglio 191 O; CAMPERO Filippo, tenente di vascello, addetto navale; RAVAJOLI Antonio, delegato commerciale.

SVEZIA

Stoccolma -BoTTARO CosTA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 15 settembre 1910; VINCI GIGLIUCCI conte Giulio Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 16 settembre 191O.

SVIZZERA

Berna -CusANI CONFALONIERI Luigi Girolamo, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario, fino all' 11 marzo 191 O; CuccHI BOASSO Fausto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 7 giugno 1910; PIGNATTI MoRANO conte Bonifacio, segretario; Gomo Cesare Alberto, segretario, fino al 12 gennaio 1910; DANEO Giulio, segretario, fino al 30 aprile 1910; FORLANI Baldo, segretario, dal 28 marzo 191 O; GAZZERA Giuseppe, addetto, dal 4 luglio 191 O fino al 3 gennaio 1911; PICCIONE Luigi, capitano di Stato Maggiore, addetto militare.

TURCHIA

Costantinopoli -IMPERIALI marchese Guglielmo, ambasciatore, fino al 29 marzo 1910; MAYOR DES PLANCHES barone Edmondo, ambasciatore, dal 30 marzo 191 O; SACERDOTI DI CARROBIO conte Vittorio, consigliere, dal 7 maggio 191 O; TACOLI marchese Arrigo, segretario; FRESCHI conte Carlo, segretario, fino ali' 11 dicembre 191 O; GRIMANI conte Pierluigi, segretario, dal l o gennaio 1911; SERPIERI Cesare, addetto; CoLONNA Ascanio, addetto, fino al 23 febbraio 191O; GAZZERA Giuseppe, addetto, dal 4 gennaio 1911; ELIA Vittorio, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, sostituito da MARRO Prospero, tenente colonnello d'artiglieria, addetto militare; MELIA Carmelo, addetto commerciale; CANGIÀ Alfredo, interprete, fino al luglio 1910; CHABERT Alberto, interprete; CROLLA Giuseppe, interprete, dali' 8 gennaio 1911.

EGITTO

Cairo -DE MARTINO Giacomo, agente diplomatico e console generale; BORGHESE Livio, segretario; MARIANI Alessandro, addetto, dal 5 luglio 191 O; CROLLA Giuseppe, interprete, fino al 7 gennaio 1911; NAcouz Roscalla, interprete, dal 5 gennaio 1911.

URUGUAY

Montevideo -COBIANCHI Vittore, inviato straordinario e ministro plenipotenziano.

VENEZUELA

Caracas -SERRA Carlo Filippo, ministro residente.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE PRESSO IL RE D'ITALIA

(Situazione dal!' Il dicembre 1909 al 29 marzo 1911)

Argentina -SAENZ PENA Roque, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 25 marzo 1911; PORTELA Epifani o, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 26 marzo 1911; LLAMBI CAMPBELL Paulo, primo segretario, fino al maggio 1910; OLIVEIRA Ricardo, primo segretario; PALACIO CoSTA, primo segretario, dal marzo 1911; CULLEN Germano, secondo segretario; RENÉ CORREA LuNA, secondo segretario, dal marzo 191 O al gennaio 1911; ROLANDONE Conrado, secondo segretario, dal gennaio 1911; ToscANO Pietro, colonnello, addetto militare, fino al settembre 191 O; FREIXÀ J. Alfredo, colonnello, addetto militare, dal settembre 1910; ZILERI Ferruccio, addetto commerciale.

Austria-Ungheria -VON LOTzow conte Heinrich, ambasciatore, fino al 20 aprile 1910; VON MÉREY VON KAPOS-MÉRE Kajetan, ambasciatore, dal 21 aprile 1910; SOMSSICH DE SAÀRD conte Josef, consigliere, fino al luglio 1910; VON VAUX barone Leon, consigliere; AMBROZY conte Ludwig, consigliere, dal 30 luglio 1910; COLLOREDO MANNSFELD conte Ferdinand, segretario; WALTERSKIRCHEN conte Josef, segretario; DUBSKY conte Adolf, addetto, fino all'aprile 1910; KOLOWRAT-KRAKOWSKY-LIEBSTEINSKY conte Johann, addetto, dall'aprile 191 O (dal gennaio 1911, segretario); MIETZL August, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; REMY BERZENKOVICH VON SZILLÀS Ladislav, capitano di corvetta, addetto navale.

Baviera -YON TANN-RATHSAMHAUSEN barone Rudolf, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VON ScHbN Hans, segretario, fino al l O aprile 191 O; voN FRAYS barone F erdinand, segretario, dali'aprile 191 O.

Belgio -MASKENS Léon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al l o novembre 1910; VAN DEN STEEN DE JEHAY conte Wemer, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal novembre 191 O; DE BoRGHRAVE Roger, consigliere; VAN DER ELST René, primo segretario, fino al giugno 191 O; DE VILLENFAGNE DE SoRINNES barone Jean, primo segretario, dal dicembre 1910.

Bolivia -SALINAS VEGA Luis, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 25 marzo 1911.

Brasile -FIALHO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LIMA Y SJLVA Luis, primo segretario; DE SouzA PEREIRA BOTAFOGO Gabriel, colonnello del genio, addetto militare.

Bulgaria -Rrzov Dimitri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STOEW Giorgij, primo segretario; TABACOW Simeon, addetto, dal marzo 191 O; BoURHOFF Christo, tenente colonnello, addetto militare, fino al gennaio 191O.

Cile -ALDUNATE BASCUNAN Santiago, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DrAz GARCES Joaquin, primo segretario, fino al gennaio 1911; DuBLÈ URRUTIA Diego, primo segretario, dal gennaio 1911; CHARLIN Raimondo, secondo segretario; GARCIA HumoBRO Guillelmo, capitano di vascello, addetto navale, fino al dicembre 1910.

Cina -Ou TsoNG-LIEN, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Yu YEW-FAN, primo segretario; TCHAO Hr-TCHIOU, secondo segretario; MAZECHI G.S., terzo segretario; WEN HouEI, terzo segretario; TcEOU PEINBAI, addetto; VAN ZUYEN, addetto; TcHEOU TCHOUEN MEAU, addetto, dal marzo 1910; Ou KouANZE, addetto, dal marzo 1910.

Colombia -HURTADO José Marcelino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 21 dicembre 191 O; MrcHELSEN Gustavo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, in missione speciale, dal 22 dicembre 191 O.

Costarica -MoNTEALEGRE Rafael, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Cuba -DE CÉSPEDES Y QuESADA Carlos Manuel, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario; CAMPA Miguel Angel, segretario, fino all'agosto 1910; IzQUIERDO José Alberto, segretario, dal l o agosto 1910.

Danimarca -BERNHOFT H. A., inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 29 novembre 191 O; DE GREVENKOP-CASTENSKIOLD Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 23 febbraio 1911; LùVENSKIOLD barone C., consigliere, fino al l 0 febbraio 191 O; KoNow Hans H., segretario, dal febbraio 191 O; DE BERTOUCH IEHN barone P. J., addetto onorario, dal marzo 1911.

Equatore -NORERO Agostino, mm1stro residente, dal 24 aprile 191 O, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia -BARRÈRE Camille, ambasciatore; LEGRAND Albert, ministro plenipotenziario di seconda classe, consigliere; LAROCHE Jules, secondo segretario; OLLÉ-LAPRUNE Joseph, terzo segretario; CoRBIN Charles, terzo segretario; RoGER Jean, addetto; JULLIAN, tenente colonnello d'artiglieria, addetto militare; DE SAINT PAIR Georges, capitano di vascello, addetto navale, fino al dicembre 1910; O'UART, barone, tenente di vascello, addetto navale, dal dicembre 1910.

Germania -VON JAGOW Gottlieb, ambasciatore; VON STOLBERG-WERNIGERODE principe Wilhelm, consigliere; VON BRESSLER, conte, secondo segretario, dal marzo 1910 al marzo 1911; VON WIED principe Victor, terzo segretario; RAuSCH, tenente, addetto; VON ZECH, addetto; VON HAMMERSTEIN EQUORD, barone, tenente colonnello, addetto militare; FucHs, capitano di fregata, addetto navale.

Giappone -HAYASHI barone Gonsukè, ambasciatore; MARUMO Naotosi, primo segretario, dali' 11 luglio 191 O; IMAI Shinooh, secondo segretario; YOSHIDA Shigeru, terzo segretario, dal l o marzo 191 O; SATOW Tadayoshi, colonnello d'artiglieria, addetto militare, fino al febbraio 1911; SHIDZOUMA Tomotsougou, maggiore del genio, addetto militare, dal febbraio 1911; SATO Hanroku, capitano di fregata, addetto navale.

Gran Bretagna -RENNELL RoDD sir James, ambasciatore; WYNDHAM Percy Charles, consigliere; ERSKINE William, primo segretario; LORAINE Percy Lyham, secondo segretario; HOARE Reginald Hervey, terzo segretario; OsBoRNE Francis d'Arcy Godolphin, addetto; DELMÈ RADCLIFFE Charles, colonnello, addetto militare; WrLLIAMSON Adolph, comandante, addetto navale, fino all'aprile 191 O; CoURTENAY STEWART Arthur, capitano, addetto navale, dali'aprile 1910; BENNET Andrew Percy, addetto commerciale.

Grecia -METAXAS Demetrios, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 20 aprile 191O; CARAPANOS Alexandros, incaricato d'affari, dal 21 aprile 1910; PALI A. E., primo segretario, fino al 31 marzo 1910.

Guatemala -DE ARCE Francisco, incaricato d'affari.

Messico -ESTEVA Gonzalo A., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ESTEVA Y CUEVAS Eduardo A., primo segretario; ORVANANOS QUINTANILLA Luis, addetto, dal maggio 1910; PEREZ José Maria, generale, addetto militare (assente).

Monaco -DE MALEVILLE conte Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -MEDINA Crisanto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANZANO TORRES T., segretario.

Norvegia -VON DITTEN Thor, inviato straordinario e mrmstro plenipotenziario; LIE Michael Stroem, consigliere, fino ali 'agosto 191 O; MICHELET Johan Wilhelm, segretario, fino al 2 ottobre 191 O; RAEDER J ack, segretario, dal 3 ottobre 1910.

Paesi Bassi -VAN WEEDE JONKEER Henrich, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CLIFFORD KocQ VAN BREUGEL, segretario di seconda classe, fino al maggio 1910; SCHULLER TOT PEURSUM C.D., addetto, dal maggio 1910.

Perù -CÀCERES Andreas A., inviato straordinario e mrmstro plenipotenziario; PoRRAS Carlos, primo segretario, fino al gennaio 1910; SwAYNE ARGOTE Enrique, segretario, dal gennaio 191 O; DE YDIAQUEZ Abele, addetto.

Persia -MIRZA IBRAHIM Khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario fino al dicembre 1909; ISAAC Khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 16 gennaio 1910; ENTEZAM-ES-SALTANÉH B., consigliere; HASSANALI Khan, addetto, fino al giugno 1910.

Portogallo -DE CARVALHO Y VASCONCELLOS Matthias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONTEVERDE Alfredo Achille, consigliere (assente), fino al gennaio 1910; LAMBERTINI PINTO José Maria, primo segretario; DO NASCIMENTO Mario, addetto; DE LANCASTRE Luis Enrique, addetto, dal gennaio 1910.

Rumania -NANU Costantino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STATESCU Eugenio, primo segretario; FILITTI Jon C. secondo segretario (dal dicembre 1910 primo segretario); VLADESCU G., maggiore, addetto militare.

Russia -DOLGORUKIJ principe Nikolaj, ambasciatore; KORFF-SCHMISING barone Modesto, consigliere; GULKEVIé Konstantin, primo segretario; URussov principe Sergej, secondo segretario; RUKAVICHNICOW Vassilij, addetto; DI SCHILLING barone Gustav, addetto; TCHERTKOFF Grigorij, addetto; KHVOSTCHINSKY Vassilij, addetto; NARYSCHKINE Kiril, addetto, fino al febbraio 1910; SoLDATENKOW Vassilij, addetto; GIULIANI Alessandro, addetto; SoLDATENKOW Aleksandr, addetto, dall'ottobre 191 O; BISTRAM barone Theodor, addetto, dal giugno 191 O; WoLKONSKY principe Aleksandr, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; DAEHN, capitano di fregata, addetto navale, fino al febbraio 1911; BoYLE Roman, capitano di corvetta, addetto navale, dal febbraio 1911.

Sa!vador -GUERRERO Gustavo, incaricato d'affari.

Serbia -Vuré Mikhail, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SUBOTié Branislav 1., primo segretario.

Siam -BovARADEJ, principe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 6 marzo 1910 (assente); CoRRAGIONI D'ORELLI Carlo, consigliere, incaricato d'affari, fino al 5 marzo 1910; LUANG MONTRI NIKARA KosA, segretario; DE RYCKMAN Fernando, segretario; PHRA SONG SURADEJ, tenente colonnello, addetto militare, dal dicembre 191 O.

Spagna -GONZALES DE OLANETA Ulpiano, marchese di Valdeterrazo, ambasciatore, dal 27 febbraio 1910; GASSEND Carlos, consigliere, incaricato d'affari, fino al 26 febbraio 1910; DrosDATO Y CORTES Manuel, secondo segretario, fino al febbraio 1911; DE ROMERO DE TEJADA, marchese, terzo segretario, dal giugno 1910; ALCALÀ GALlANO Emilio visconte del PoNTON, addetto; MuRO Y Navarro Luis, addetto, dal gennaio 1911; MANZANOS Francisco, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Stati Uniti d'America -LEISHMAN John G.A., ambasciatore; GARRETT John Work, primo segretario, fino al febbraio 1911 (incaricato d'affari, fino al 3 luglio 191 O); WILSON Charles, secondo segretario (dal febbraio 1911 consigliere); WHITE HOUSE Norman, addetto, dall'ottobre 1910; REYNOLDS LANDIS J.F., maggiore di cavalleria, addetto militare; LoNG Andrew T., comandante, addetto navale.

Svezia -DE BILDT barone Karl Nils Daniel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE STRALE Gustav, consigliere; DE KLEEN Erland William, capitano d'artiglieria, addetto militare, fino al luglio 191 O.

Svizzera -PIODA Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LARDY Carlo, consigliere; JAEGER Max, addetto.

Turchia -HAKKY Ibrahim bey, ambasciatore, fino al1'11 gennaio 1910; KIAZIM Hussein bey, ambasciatore, dal 13 marzo 191 O; SEIFFEDIN bey, consigliere; PHEDON ENOTIADIS bey, primo segretario, fino all'agosto 191 O; KADRI Mehemed bey, primo segretario, dall'agosto 1910; ZIA Ibrahim bey, secondo segretario, fino all'agosto 1910; MAVROUDI effendi Costantino, secondo segretario, dall'agosto 1910; DJEMIL bey, terzo segretario, fino al luglio 1910; MOHAMMED ALì bey ben AYAD, terzo segretario, dal luglio 1910; SERKIZ bey HAMAMDJIAN, addetto, fino al luglio 191 0; ALì FUAD bey, ufficiale di Stato Maggiore, addetto militare; RAMIZ bey, capitano di vascello, addetto navale, dal febbraio 1911.

Uruguay -AcEVEDO-DIAZ Eduardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; REQUENA BERMUDEZ Pedro, primo segretario; MINELLI GONZALES Pablo, secondo segretario; PATINO Enrique, maggiore, addetto militare, fino all'aprile 1910.

TAVOLA METODICA!

I numeri rinviano ai documenti.

I. -QUESTIONI

Armenia, 744.

Austria-Ungheria:

l) accordo itala-austriaco, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 13, 17, 21, 59, 148, 150, 185, 269, 287, 517; 2) frontiera itala-austriaca, 353, 355, 387, 388, 405, 419, 444, 483, 495, 497, 504, 507, 509, 516, 532, 537, 543, 552; 3) irredentismo, 150, 197, 314, 353, 355, 387, 388, 426, 444, 537, 552, 558, 559, 560, 561, 685; 4) riavvicinamento austro-russo, 86, 97, l 02, 111, 112, 116, 117, 118, 119, 123, 125, 129, 142, 146, 149, 154, 157, 163, 164, 169, 172, 173, 180, 186, 188, 205, 206, 233, 401, 498, 570, 577, 578, 584, 684; 5) tensione austro-russa, 55, 66, 67, 71, 77, 84; 6) università italiana in Austria, 58, 299, 310, 317, 321, 552, 561, 685.

Azerbaigian, 383, 744.

Camerun, 646.

Ciad, 646.

Colloqui Guicciardini-di San Giuliano -Bethmann-Hollweg (Roma, 21 marzoJO aprile 1910), 131, 178, 185, 190, 192, 194, 196, 197,202.

Colloqui di San Giuliano -Bethmann-Hollweg (Berlino, 2 7 maggio-l o giugno 1910), 308, 310, 317, 459.

Colloqui di San Giuliano -Aerenthal: -Salisburgo, 30 agosto-2 settembre 1910, 415, 433, 436, 438, 441, 445, 459, 483, 516; -Torino, 29 settembre 1910, 489, 492, 497, 515, 516, 518, 522, 564.

Colloqui di San Giuliano -Milovanovié (Roma, 15 gennaio 1911), 724.

Congo, 4.

Convegno di Racconigi (23-24 ottobre 1909), 20, 44, 65, 69, 82, 102, 200.

Corea, 295.

Creta, 2, 4, 19, 23, 34, 38, 40, 42, 45, 46, 47, 60, 63, 70, 73, 79, 81, 90, 91, 92, 95, 96, 99, 101, 103, 104, 106, 107, 109, 110, 113, 114, 126, 132, 143, 145, 155, 165, 226, 229, 230, 231, 234, 235, 237, 250, 275, 278, 286, 290, 296, 297, 300, 306, 307, 310, 311, 316, 318, 319, 322, 324, 326, 329, 331, 332, 333, 335, 337, 339, 347, 349, 362, 363, 368, 372, 383, 392, 406, 407, 417, 420, 421, 424, 428, 437, 445, 447, 451, 492, 508, 511, 515, 585, 586, 593, 600, 614, 651.

Entente Cordiale, 150, 332, 615, 634, 638, 683.

Eritrea, 257, 325, 382, 555, 567, 632, 661, 670.

Estremo oriente, 4.

Etiopia:

l) accordo tripartito, 16, 24, 25, 27, 171, 179, 221, 223, 242, 245, 302, 334, 338; 2) convenzione ita1o-etiopica (16 maggio 1908), 89, 288, 395, 429, 625, 722; 3) ferrovia Addis Abeba-Gibuti, 61, 122, 738; 4) Harrar, 16, 24, 25, 27; 5) problemi di confini, 89, 134, 227, 284, 288, 293, 328, 361, 395, 410, 422, 423, 429, 435, 549, 563, 611' 625, 649, 722, 762; 6) rapporti commerciali, 410, 598, 619; 7) scambio di note italo-etiopico (22-25 giugno 1908), 41 O.

Ferrovia di Bagdad, 4, 28, 183, 201, 608, 612, 654, 662, 675, 678, 681, 702, 704, 725.

Incidente di Hodeida, 527, 528, 529, 530, 536, 539, 544, 555, 567, 569, 580, 591' 601, 604, 605, 606, 609, 618, 620, 622, 623, 633, 637, 639, 641' 643, 645, 647, 653, 682, 690, 740, 748, 750, 756.

Incontro russo-tedesco di Potsdam, 550, 557, 568, 572, 583, 608, 612, 615, 617, 626, 629, 630, 634, 642, 654, 666, 669, 678, 701, 716, 725, 744.

Isole del! 'Egeo, 312.

Italia, situazione politica interna, l, 4, 44, 178, 193, 194, 195, 196, 200.

Kurdistan, 744. Manciuria, 43, 76, 94, 295.

Marocco, 4, 28, 128, 135, 184, 232, 247, 553, 612, 615, 638, 683.

Mascate, 279, 327, 482.

Missioni e missionari cattolici, 51, 341, 356, 380, 398, 715, 731.

Palazzo Farnese, 439, 443, 494.

Persia:

l) in generale, 31 O, 568, 597, 629, 642; 2) ferrovie, 183, 201, 238, 270, 294, 301, 323, 551, 557, 608, 612, 654, 678, 725, 744; 3) prestito, 183, 184, 201, 232, 233, 270, 271; 4) principio della porta aperta, 183, 184, 201, 270, 271, 725.

Problemi coloniali in Africa orientale, 3 71, 391, 672, 680, 721.

Programmi armamenti, 48, 115, 156, 299, 373, 376, 534, 552, 558, 561, 564, 574, 612, 635, 701, 716.

Questioni balcaniche:

l) in generale, 3, 4, 21, 55, 57, 59, 66, 86, 98, 111, 113, 116, 117, 130, 139, 150, 157, 163, 167, 168, 170, 178, 190, 197, 206, 236, 253, 255, 266, 273, 287, 347, 417, 436, 460, 466, 501, 508, 512, 515, 516, 522, 525, 534, 546, 552, 554, 558, 559, 564, 568, 597' 599, 607, 612, 626, 651, 665, 684, 685, 700, 701, 716, 717, 718, 720, 724, 726, 746, 747, 761;

2) eventualità di un accordo serbo-bulgaro, 15, 80, 87, 88, l 05, 111, 488, 517;

3) eventualità di una intesa balcanica, 15, 30, 36, 50, 80, 105, 165, 272;

4) possibile conflitto turco -bulgaro, 99, 100, 113, 144, 392, 447, 712;

5) Albania, 150, 237, 239, 240, 255, 258, 259, 260, 262, 264, 267, 269, 273, 278, 282, 287, 292, 310, 315, 318, 319, 329, 346, 360, 383, 445, 542, 546, 558, 587, 590, 597, 664, 679, 686, 697, 699, 703, 705, 708, 711, 720, 724, 726, 727, 730, 733, 737, 746, 747, 758, 761;

6) Bosnia-Erzegovina, 22, 315, 340,447,466, 508, 512, 516, 518, 525, 534, 552, 553, 558, 561' 564, 590;

7) Macedonia, 34, 36, 52, 55, 56, 60, 68, 72, 80, 81, 93, l 00, l 02~ 111, 144, 167, 233, 315, 318, 340, 383, 404, 406, 447, 450, 467, 517, 525, 664, 679, 700, 706, 711, 712, 717, 724, 737, 747;

8) Montenegro, 57, 121, 124, 176, 220, 224, 248, 274, 276, 281, 292, 345, 351, 352, 461, 506, 542, 546, 587, 648, 708;

9) Sangiaccato di Novi Bazar, 3, 150, 251, 253, 258, 260, 261, 263, 265, 269, 273, 277, 287, 304, 315, 447, 466, 512, 571, 708, 718, 720, 724, 733, 737.

Questione romana, 477, 552, 558, 561, 564, 627, 658, 732, 743.

Questione slava, 44, 516, 552, 558, 561, 630.

Romania (eventualità di un accordo turco-rumeno), 207, 272, 285, 406, 467, 470, 471, 473,475,476,484,488, 500, 517, 519, 525, 554, 573, 600, 747.

Somalia, 89, 191, 252, 268, 279, 280, 283, 320, 327, 328, 343, 348, 374, 377, 408, 456, 464, 482, 513, 521, 672.

Sudan:

l) istituzione di un consolato a Khartum, 31, 151, 203;

2) convenzione anglo-egiziana del 1899, 31, 151, 203, 375.

Traffico d'armi (v. anche incidente di Hodeida), 26, 29, 33, 133, 171, 256, 302, 359, 374, 396, 427, 440, 478, 520, 527, 628, 636, 655, 663, 667, 668, 670, 671, 691, 693, 694, 714, 723, 729, 753.

Triplice Alleanza, 44, 87, 98, 178, 183, 200, 207, 270, 272, 285, 294, 314, 330, 407, 459, 470, 475, 485, 487, 494, 501, 519, 547, 558, 561, 564, 571, 573, 574, 600, 603, 616, 631, 64~ 701, 716, 747.

Triplice Intesa, 460, 494, 600, 615, 634.

Tripolitania e Cirenaica:

l) in generale, 4, 26, 33, 127, 150, 305, 582, 601, 604, 609, 610, 646, 673, 690, 696, 709, 710, 723, 740, 745, 748, 751, 757;

2) ferrovia Tripolitania -Egitto -Tunisia, 644; 3) incidente Guzman, 674, 676, 677, 688, 723, 739, 748; 4) missioni archeologiche, 309, 312, 741; 5) nomina del valì di Tripoli, 289, 344; 6) penetrazione economica italiana, 18, 23, 108, 120, 136, 137, 138, 141,

158, 160, 161, 162, 177, 181, 189, 198, 228, 241, 249, 303, 312, 344, 354, 357, 360, 367, 379, 390, 393, 394, 411, 455, 465, 491, 492, 514, 523, 524, 531, 538, 541, 545, 562, 565, 566, 575, 579, 588, 592, 594, 595, 596, 604, 609, 624, 696, 723, 748;

7) penetrazione economica tedesca, 650, 652, 657; 8) problemi di confini, 35, 37, 39, 41, 53, 54, 64, 74, 140, 218, 289, 336, 370, 490, 493, 656, 736; 9) relazioni con i Senussi, 32, 120, 159, 166, 214, 418, 503.

Tunisia:

l) riconoscimento del protettorato francese, 39, 54, 7 4, 4 79.

2) scuole italiane, 439, 443.

Turchia:

l) penetrazione economica, 199, 291, 350, 358, 366, 381, 414, 430, 446, 447, 457, 469, 472, 486, 505, 523, 524, 538, 540, 566, 576, 588, 657, 719, 724, 731, 752, 755, 760;

2) prestito, 447, 463, 467, 470, 474, 476, 480, 515, 519, 535, 556, 571, 600, 612, 706, 724; 3) presunta intesa con Austria-Ungheria e Germania, 407, 412, 415, 416, 459, 463, 470, 473, 476, 571.

Vìsita a Roma del re di Serbia, Pietro l, 658, 724.

Zanzibar, 216, 279, 327, 464, 482, 513, 521.

II. -RAPPORTI DELL'ITALIA CON GLI ALTRI STATI

Austria-Ungheria, l, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 17, 19, 21, 34, 36, 42, 44, 56, 57, 58, 59, 77, 80, 86, 87, 98, 105, 113, 116, 117, 119, 121, 123, 124, 127, 139, 142, 146, 147, 148, 149, 150, 164, 167, 170, 172, 178, 180, 183, 184, 185, 188, 190, 196, 197, 200, 202, 207, 208, 209, 211, 213, 215, 222, 225, 233, 236, 251, 255, 261, 263, 264, 265, 269, 270, 271, 272, 273, 277, 287, 294, 299, 308, 310, 314, 317, 321, 329, 330, 337, 340, 346, 349, 353, 355, 387, 388, 405, 407, 412, 415, 416, 417, 419, 426,433, 436, 438, 441, 444, 445, 459, 460, 462, 470, 473, 475, 483, 485, 487, 489, 492, 494, 495, 497, 498, 499, 501, 504, 507, 508, 509, 510, 512, 516, 518, 519, 522, 525, 532, 534, 535, 537, 543, 546, 547, 551, 552, 553, 558, 559, 560, 561, 564, 570, 571, 574, 578, 583, 590, 599, 600, 603, 604, 606, 609, 610, 612, 613, 616, 631, 634, 640, 642, 665, 675, 683, 685, 689, 692, 695, 701, 708, 711, 716, 724, 748, 751.

Baviera, 196, 630.

Bulgaria, 52, 68, 72, 182, 259, 340, 462, 517, 692, 737, 743.

Cina, 94, 449.

Danimarca, 588.

Egitto, 31, 51, 75, 120, 151, 198, 203, 218, 228, 241, 243, 246, 249, 298, 375, 382, 465, 566, 696.

Etiopia, 27, 61, 89, 122, 174, 175, 179, 191, 221, 223, 242, 252, 254, 256, 257, 283, 284, 288, 293, 302, 320, 328, 334, 338, 343, 359, 361, 377, 384, 395, 397, 410, 422, 423, 427, 429, 435, 448, 478, 520, 533, 549, 563, 611, 625, 636, 649, 693, 707, 713, 722, 728, 738, 759, 762.

Francia, 4, 26, 29, 30, 33, 34, 38, 42, 44, 45, 46, 51, 53, 57, 61, 70, 74, 79, 90, 91, 95, 96, 101, 104, 106, 107, 109, 110, 114, 128, 139, 140, 148, 150, 155, 166, 169, 170, 171, 179, 194, 196, 221, 223, 229, 231, 233, 234, 237, 238, 242, 245, 247, 250, 275, 286, 296, 302, 307, 311, 324, 331, 334, 335, 336, 337, 338, 339, 341, 356, 359, 363, 368, 370, 372, 380, 384, 397, 398, 407, 417,418, 425, 433, 437,439, 441, 443, 445, 451,475, 494, 500, 522, 553, 564, 566, 585, 634, 651, 663, 667, 670, 683, 687, 694, 707, 710, 715, 719, 724, 728, 731' 736, 755, 759.

Germania, l, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 17, 21, 26, 28, 33, 42, 44, 48, 51, 63, 67, 71, 76, 87, 92, 98, 123, 130, 131, 139, 148, 150, 170, 178, 183, 184, 185, 190, 192, 194, 196, 197, 200, 201' 202, 206, 207, 232, 235, 238, 264, 269, 270, 272, 287, 294, 299, 308, 310, 314, 317, 323, 330, 342, 392, 407, 412, 415, 416, 421, 431, 434, 441, 445, 459, 460, 462, 470, 473, 475, 476, 482, 485, 487, 494, 497, 499, 501, 510, 512, 519, 525, 547, 551, 553, 558, 564, 571, 574, 578, 600, 603, 604, 605, 606, 608, 609, 610, 612, 613, 616, 617, 620, 630, 631, 634, 640, 646, 652, 654, 657, 665, 666, 676, 677, 678, 683, 684, 689, 701, 706, 709, 716, 723, 751, 760.

Giappone, 714.

Gran Bretagna, 4, 16, 24, 25, 26, 27, 29, 30, 31, 33, 34, 42, 44, 45, 46, 48, 49, 61, 70, 79, 90, 91, 95, 96, 101, 103, 104, 106, 107, 109, 110, 114, 133, 134, 143, 145, 150, 151, 155, 169, 171, 179, 183, 184, 186, 191, 203, 218, 223, 227, 230, 231, 232, 236, 237, 238, 242, 243, 246, 250, 252, 257, 270, 275, 279, 286, 296, 298, 302, 320, 323, 324, 326, 327, 330, 331, 332, 334, 335, 338, 339, 343, 359, 363, 368, 372, 374, 375, 376, 377, 382, 384, 397, 400, 407, 415, 417, 420, 424, 425, 432,437, 445, 451, 458, 464,468, 475, 482, 494, 496, 513, 521, 553, 571, 583, 585, 593, 614, 633, 634, 637, 640, 662, 663, 664, 667, 669, 670, 690, 691, 694, 707, 710, 712, 714, 721, 728, 742, 753, 759.

Grecia, 96, 101, 104, 107, 110, 113, 126, 130,132,278,290,319,324,333, 340, 342, 347, 349, 364, 365, 369, 378, 407, 428, 526, 548, 586, 735, 747,

749.

Marocco, 128, 247.

Montenegro, 57, 121, 176, 208, 210, 220, 224, 248, 267, 274, 276, 281, 282, 292, 299, 345, 351, 352, 386, 402, 506, 552, 597, 599, 698, 699, 703, 705, 720, 724, 727.

Olanda, 29, 33.

Persia, 233, 238, 271, 432, 458, 468, 553, 617.

Portogallo, 29, 399, 496, 499, 734.

Romania, 15, 50, 78, 80, 87, 88, l 05, 205, 285, 342, 364, 369, 406, 421, 475, 484, 485, 487, 547, 573, 616, 631, 659, 747.

Russia, 14, 20, 21, 29, 30, 34, 42, 44, 45, 46, 55, 65, 66, 69, 70, 76, 77, 78, 79, 82, 90, 91, 95, 96, 100, 101, 104, 106, 107, 109, 110, 112, 114, 116, 117, 125, 139, 149, 150, 154, 155, 163, 169, 170, 173, 182, 184, 200, 201, 208, 225, 231, 233, 234, 236, 237, 238, 250, 264, 269, 270, 275, 282, 285, 286, 287, 292, 294, 295, 296, 323, 324, 330, 335, 339, 362, 363, 368, 372, 401, 407, 415,417, 425, 432, 437,445, 451,454, 458,459, 468, 471,494, 501, 502, 515, 516, 522, 535, 557, 558, 568, 585, 599, 608, 629, 634, 659, 666, 678, 684, 686, 716, 720, 724.

Santa Sede, 51, 196, 314, 341, 399, 477, 552, 558, 560, 561, 564, 715.

Serbia, 72, 83, 97, 98, 266, 385, 413, 466, 488, 599, 627, 658, 717, 718, 720, 724, 726, 737.

Spagna, 33, 247, 732.

Stati Uniti d'America, 29, 43, 94, 204.

Svezia, 576, 588.

Turchia, 2, 12, 18, 19, 23, 29, 30, 33, 40, 46, 47, 52, 60, 70, 73, 74, 79, 81, 90, 92, 96, 99, 101, 102, 103, 104, 107, 108, 110, 113, 117, 120, 136, 137, 138, 141, 144, 158, 160, 161, 162, 165, 167, 169, 177, 181, 189, 190, 198, 207, 218, 226, 228, 239, 240, 249, 250, 260, 265, 266, 272, 273, 275, 289, 297, 300, 303, 305, 309, 311, 312, 315, 318, 322, 332, 335, 340, 341, 344, 347, 354, 356, 357, 358, 360, 367, 379, 380, 390, 393, 394, 396, 398, 403, 406, 411,414, 415, 418, 424, 425, 430,437, 440, 446, 447,455, 459, 460,465, 467, 469, 472, 474, 475, 486, 491, 492, 505, 514, 518, 523, 524, 527, 528, 529, 530, 531, 536, 538, 539, 540, 541, 544, 545, 548, 555, 562, 565, 566, 567, 569, 575, 576, 579, 580, 582, 590, 591, 592, 594, 595, 596, 600, 601, 602, 603, 604, 605, 606, 609, 610, 613, 618, 620, 622, 623, 624, 628, 632, 633, 637, 639, 641, 643, 645, 647, 653, 655, 661, 663, 667, 670, 671, 673, 674, 676, 677, 682, 687, 688, 689, 690, 691, 694, 696, 709, 710, 715, 719, 723, 727, 729, 731, 739, 740, 741, 742, 744, 745, 748, 750, 751, 753, 755, 756, 757, 760.

Zanzibar, 279, 327, 513, 521.

III. -ALTRI STATI: SITUAZIONE INTERNA E RAPPORTI INTERNAZIONALI

Austria-Ungheria:

l) situazione interna, 236, 558, 635; 2) rapporti con: Bulgaria, 30, 34, 36, 55, 56, 98, 99, 178, 236, 340, 407, 466, 471, 517, 737, 743; Egitto, 298; Francia, 19, 42, 57, 150, 170, 271, 441, 481, 494, 512, 516, 525, 630, 638, 665, 716; Germania, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 17, 21, 22, 42, 52, 71, 84, 98, 102, 118, 123, 131, 139, 148, 150, 157, 163, 170, 178, 183, 184, 185, 188, 190, 196, 197, 200, 202, 207, 236, 253, 270, 272, 285, 287, 294, 308, 310, 314,

317, 330, 346, 392, 415, 416, 441, 445, 459, 460, 462, 463, 466, 470, 473, 475, 476, 485, 487, 494, 497, 500, 501, 508, 510, 512, 516, 519, 525, 532, 534, 547, 550, 551, 552, 553, 556, 558, 561, 564, 568, 571, 574, 578, 597, 599, 600, 603, 610, 612, 613, 616, 626, 630, 631, 634, 638, 640, 642, 665, 666, 679, 683, 684, 685, 689, 701, 716; Gran Bretagna, 19, 42, 44, 150, 183, 236, 270, 271, 400, 407, 424, 458, 494, 512, 516, 525, 630; Grecia, 278, 407, 417, 581, 586; Marocco, 638; Montenegro, 30, 57, 121, 124, 176, 208, 212, 222, 260, 269, 287, 345, 351, 401, 461, 506, 508, 512, 534, 546, 599, 698, 717, 720, 724, 726, 737, 746, 747, 758; Persia, 233, 271, 458, 494; Portogallo, 525; Romania, 22, 80, 87, 88, 105, 148, 205, 285, 421, 470, 471, 484, 485, 487, 488, 516, 517, 547, 573, 616, 631, 640, 747; Russia, 19, 42, 55, 66, 67, 69, 71, 77, 82, 84, 86, 88, 97, 98, 102, 105, 111,112,116,117,118, 119,125,129,139,142,146,149,150,154, 157, 163, 164, 167, 169, 170, 172, 173, 178, 180, 184, 186, 187, 188, 205, 206, 222, 233, 236, 255, 270, 271, 294, 362, 401, 458, 459, 460, 466, 494, 498, 502, 512, 516, 525, 550, 551, 552, 558, 561, 564, 568, 570, 571, 572, 577, 578, 583, 584, 597, 626, 630, 634, 640, 642, 664, 666, 684, 708, 711, 716; Santa Sede, 314, 552, 561; Serbia, 30, 44, 72, 98, 111, 112, 150, 167, 236, 260, 269, 287, 385, 466, 512, 516, 525, 552, 558, 564, 607' 708, 720, 724, 758; Spagna, 638; Turchia, 15, 19, 36, 150, 165, 168, 190, 205, 206, 207, 251, 253, 255, 258, 260, 261, 263, 264, 265, 269, 272, 273, 304, 329, 337, 406, 407, 415, 416, 417, 420, 424, 445, 447, 459, 460, 463, 466, 470, 471, 473, 474, 475, 476, 479, 484, 488, 492, 500, 508, 512, 516, 517, 518, 519, 525, 535, 556, 558, 561, 571, 573, 586, 590, 597, 600, 604, 612, 613, 626, 635, 689, 697, 708, 716, 733, 748, 751.

Belgio:

rapporti con: Cina, 94; Germania, 371, 391; Gran Bretagna, 371, 391.

Bulgaria:

l) situazione interna, 404, 597, 712, 747;

2) rapporti con: Francia, 30, 743; Germania, 407; Gran Bretagna, 404, 700, 712; Grecia, 113, 340, 488, 517, 747; Montenegro, 30, 208, 292, 450, 471, 542, 546, 711, 747; Romania, 392, 421, 467, 471, 475, 488, 500, 517, 519, 547, 554, 573, 747, 758; Russia, 30, 52, 55, 56, 68, 144, 154, 157, 163, 165, 167, 182, 206, 233, 315, 466, 679, 692; Santa Sede, 743; Serbia, 15, 30, 36, 80, 83, 87, 88, 93, 98, l 05, 111, 178, 315, 385, 450, 466, 467, 471, 488, 517, 720, 724, 747; Turchia, 15, 30, 34, 36, 50, 52, 56, 60, 63, 68, 79, 81, 87, 93, 98, 99, 100, 105, 113, 144, 165, 182, 205, 233, 272, 292, 315, 326, 340, 392, 400,403,404,407,416,421,424,447,450,467,475,488,500,517, 519, 525, 542, 546, 554, 571, 600, 664, 700, 706, 712, 717, 747.

Cina:

rapporti con: Francia, 94, 449; Germania, 94, 449, 501; Gran Bretagna, 94, 449; Russia, 94, 295; Stati Uniti d'America, 94, 449.

Danimarca:

rapporti con: Turchia, 588.

Egitto:

l) situazione interna, 298; 2) rapporti con: Etiopia, 16; Francia, 51, 243, 298; Germania, 51, 298; Gran Bretagna, 31, 151, 203, 218, 243, 246, 298, 375; Grecia, 203; Stati Uniti d'America, 151, 203, 313; Turchia, 120, 218, 228, 696.

Etiopia:

l) situazione interna, 11, 25, 27, 62, 134, 152, 153, 174, 175, 217, 254, 288, 409, 442, 448, 453, 533, 738, 754; 2) rapporti con: Francia,61, 122,221,223,242,334,338,397,520,636,707,728,738, 759; Germania, 288, 384, 397, 422, 423, 434, 636, 728, 738; Giappone, 520; Gran Bretagna, 16, 24, 25, 27, 191, 223, 242, 244, 252, 283, 320, 334, 338, 343, 397, 448, 625, 707, 713, 728, 738, 759.

Francia:

rapporti con: Germania, 4, 26, 28, 42, 67, 123, 135, 150,317,449,482,494,612, 615, 638, 642, 665, 683; Giappone, 683; Gran Bretagna, 16, 24, 26, 29, 34, 38, 42, 45, 46, 70, 79, 90, 91, 95, 96, 101, 103, 104, 106, 107, 109, 110, 111, 114, 133, 143, 150, 171, 223, 229, 231' 234, 242, 275, 279, 286, 296, 302, 324, 326, 327' 331' 332, 334, 335, 339, 363, 368, 372, 374, 397, 425, 432, 437, 445, 449, 451, 458, 482, 494, 585, 600, 614, 615, 662, 665, 669, 681, 683, 691, 702, 704, 706, 728; Grecia, 96, l O l, l 04, l 07, 11 O, 113, 126, 278, 296, 306, 319, 322, 407; Marocco, 128, 135, 247, 612, 638; Montenegro, 57, 276, 281; Persia, 432, 458, 494; Portogallo, 734; Russia, 4, 34, 38, 42, 45, 46, 57, 70, 79, 90, 91, 95, 96, 101, 103, 104, 106, 107, 109, 110, 114, 229, 231, 233, 234, 275, 276, 286, 296, 319, 324, 333, 335, 339, 362, 363, 368, 372, 425, 432, 437, 445, 451, 458, 460, 481' 494, 519, 535, 568, 585, 600, 615, 629, 642, 662, 665, 669, 679, 683; Santa Sede, 51, 341, 380, 398, 715; Serbia, 72, 111; Spagna, 247, 638, 683; Stati Uniti d'America, 43, 94, 449; Svizzera, 494; Turchia, 2, 19, 29, 35, 37, 38, 39, 41, 46, 47, 53, 54, 70, 74, 79, 90, 96, 101, 103, 104, 107, 110, 113, 140, 250, 275, 289, 311, 322, 331, 332, 333, 335, 336, 341, 347, 356, 358, 362, 380, 398, 407, 424, 425, 437, 447, 463, 467, 469, 470, 479, 480, 490, 493, 515, 519, 535, 556, 600, 613, 621, 656, 667, 670, 681, 687, 694, 706, 709, 715, 719, 720, 724, 731, 753, 755, 760; Zanzibar, 279, 327, 482.

Germania:

rapporti con: Gran Bretagna, 4, 26, 28, 48, 85, 123, 156, 183, 201, 232, 238, 252, 270, 283, 294, 316, 323, 330, 332, 371, 373, 376, 391, 400, 407, 424, 449, 458, 482, 494, 501, 534, 550, 568, 571, 612, 654, 657, 662, 675, 681, 702, 704, 709; Grecia, 63, 278, 407; Marocco, 135, 612, 638; Persia, 201, 232, 233, 238, 270, 271, 294, 301, 323, 330, 458, 494, 501, 557, 568, 597, 608, 612, 617, 629, 642, 654, 678, 725, 744; Romania, 22, 87, 285, 392, 421, 470, 484, 485, 487, 488, 501, 519, 547, 573, 616, 631, 747; Russia, 42, 67, 76, 82, 84, 102, 139, 157, 184, 186, 201, 232, 236, 238, 270, 294, 301, 310, 314, 316, 323, 330, 389, 452, 458, 459, 460, 466, 494, 501, 502, 550, 551, 557, 558, 568, 570, 571, 572, 578, 583, 597, 608, 612, 615, 617, 626, 629, 630, 634, 642, 654, 662, 665, 666, 669, 675, 678, 701, 716, 725, 744; Serbia, 83, 112, 466, 512; Santa Sede, 314; Spagna, 638; Stati Uniti d'America, 43, 94, 449, 458; Svezia, 50 l; Turchia, 4, 52, 63, 81, 157, 165, 188, 190, 206, 207, 232, 235, 272, 316, 337, 358, 383, 406, 407, 416, 421, 424, 446, 459, 460, 463, 469, 470, 473, 474, 475, 476, 479, 488, 500, 501, 505, 512, 519, 535, 556, 566, 571, 573, 594, 600, 603, 604, 610, 612, 613, 620, 629, 646, 650, 652, 657, 676, 677, 689, 706, 709, 716, 74~ 760; Zanzibar, 482.

Giappone:

rapporti con: Gran Bretagna, 714; Russia, 43, 76, 236, 295, 454, 466, 502, 515, 568, 683; Stati Uniti d'America, 43, 94, 295.

Gran Bretagna:

l) situazione interna, 4; 2) rapporti con: Grecia, 45, 46, 96, 101, 104, 107, 110, 113, 126, 203, 278, 296, 318, 319, 332, 407, 585; Montenegro, 597; Olanda, 29;

Persia, 183, 184, 232, 238, 270, 271, 294, 323, 330, 383, 432, 458, 468, 494, 678; Portogallo, 29, 496, 734; Russia, 29, 34, 42, 45, 46, 70, 79, 82, 90, 91, 95, 96, 101, 103, 104, 106, 107, 109, 110, 114, 143, 150, 183, 184, 231, 232, 238, 270, 271, 275, 286, 294, 296, 323, 324, 330, 335, 339, 362, 363, 368, 372, 383, 400, 415, 425, 432, 437, 451, 458, 460, 468, 494, 501, 502, 515, 550, 551, 568, 585, 600, 629, 630, 634, 662, 665, 66~ 678, 683, 716; Serbia, 72; Stati Uniti d'America, 29, 43, 94, 151, 203, 313, 449, 494; Turchia, 2, 4, 19, 46, 47, 70, 73, 79, 90, 91, 96, 101, 103, 104, 106, 107, 110, 113, 129, 218, 230, 232, 250, 275, 311, 316, 318, 322, 331, 332, 335, 347, 349, 358, 407, 415, 424, 425, 437, 446, 447, 469, 470, 474, 479, 523, 538, 571, 588, 593, 600, 632, 633, 637, 654, 657, 667, 670, 681, 690, 691, 694, 702, 706, 709, 742, 744, 753; Zanzibar, 216, 279, 327, 482, 513, 521.

Grecia:

l) situazione interna, 73, 95, 130, 333, 420, 431, 511, 515, 526, 548, 589; 2) rapporti con: Romania, 342, 364, 369, 378, 659, 660; Russia, 96, 101, 104, 107, 110, 113, 126, 278, 319, 407, 515; Serbia, 517; Turchia, 40, 47, 60, 70, 73, 79, 81, 90, 91, 92, 96, 99, 107, 113, 126, 130, 132, 165, 237, 272, 275, 278, 290, 291, 296, 306, 318, 319, 322, 324, 331, 340, 347, 366, 400, 404, 407, 414, 417, 421, 424, 428, 431, 445, 447, 457, 488, 508, 511, 515, 526, 548, 581, 585, 586, 589, 600, 614, 747.

Marocco:

rapporti con: Spagna, 247, 638.

Montenegro:

l) situazione interna, 208, 210, 212, 219, 222, 225, 386, 402, 413, 508, 726; 2) rapporti con: Russia, 176, 208, 212, 219, 267, 276, 282, 292, 461, 587, 648, 698, 699, 703, 720, 724, 726, 747; Serbia, 30, 176, 385, 413, 450, 466, 471, 699, 703, 717, 724, 730, 737, 746, 747, 761; Turchia, 30, 262, 267, 276, 281, 282, 292, 542, 546, 587, 699, 726, 727, 737, 747.

Persia:

l) situazione interna, 432, 458; 2) rapporti con: Russia, 183, 184,201,232,238,270,271,294,301,323,330,383,432, 458,468,494,557,568,597,608,612,617,629,642,654,678,725, 744; Stati Uniti d'America, 458, 494; Svizzera, 494; Turchia, 383, 597, 744.

Portogallo:

l) situazione interna, 496, 499, 525; 2) rapporti con: Spagna, 399; Santa Sede, 399.

Romania:

l) situazione interna, 54 7, 616, 631; 2) rapporti con: Russia, 22, 78, 105, 285, 342, 488, 547, 616, 631; Serbia, 467, 475, 488, 517; Stati Uniti d'America, 573; Turchia, 50, 207, 272, 340, 392, 406, 421, 467, 470, 471, 473, 475, 476, 484, 488, 500, 515, 517, 519, 525, 554, 573, 600, 747.

Russia:

l) situazione interna, 502, 515; 2) rapporti con: Serbia, 72, 83, 97, 111, 112, 147, 157, 163, 167, 460, 466, 488, 607, 679, 724, 746, 761; Stati Uniti d'America, 43, 76, 94, 295, 458; Turchia, 2, 19, 46, 47, 70, 79, 90, 96, 101, 103, 104, 107, 110, 154, 163, 165, 168, 205, 206, 250, 269, 275, 316, 332, 335, 340, 347, 358, 383, 407, 424, 425, 437, 447, 459, 470, 479, 519, 535, 571, 587, 597, 600, 613, 645, 652, 679, 760.

Santa Sede:

rapporti con: Serbia, 627, 658; Spagna, 732; Stati Uniti d'America, 204.

Serbia:

rapporti con: Turchia, 15, 30, 50, 83, 87, 93, 105, 165, 167, 205, 266, 272, 385, 450, 467, 488, 517, 60~ 703, 717, 746.

Stati Uniti d'America:

rapporti con: Turchia, 309, 358, 741.

Svezia:

rapporti con: Turchia, 576, 588.

Turchia:

situazione interna, 60, 81, 182, 235, 322, 326, 332, 436, 466, 516, 679.

Zanzibar:

situazione interna, 216, 279.

INDICE DEI NOMII

t I numeri rinviano ai documenti.

ABARRÀ UAHADÙ, degiac etiopico,

738.

ABATÈ, degiac etiopico, luogotenente generale del Tigrè fino al 191 O, 62, 152, 217.

ABATÈ, ras etiopico, 738.

ABBAS Il, HILMI, kedivè d'Egitto, 120, 151, 198, 228, 241, 243, 246, 249, 298, 393, 465, 696.

ABD AL HAFIZ, sultano del Marocco, 135, 612.

ABDALLAH USSEN BARIO, sceiCCO somalo, 89.

ABDI NuR, sceicco somalo, cadi, 89.

ABD UL HAMID II, sultano ottomano, 81' 120, 182, 272, 332, 488, 744,

760.

ABDU'L KASSIM KHAN NASSIR EL MULK, reggente il Regno di Persia dall'8 febbraio 1911, 725.

ABRAHÀ, degiac etiopico, 738.

AEHRENTHAL, ALOIS LEXA, conte von, ministro della Casa imperiale e reale e degli esteri austro-ungarica, l, 3, 5, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 17, 21, 30, 34, 36, 56, 57, 58, 59, 66, 67, 71, 72, 77, 80, 84, 86, 87, 88, 97, 99, 102, 105, 111, 113, 116, 118, 119, 121, 123, 124, 129, 139, 142, 146, 147, 148, 149, 150, 154, 157, 163, 167, 168, 169, 170, 172, 173, 180, 186, 187, 188, 202, 206, 209, 211, 213, 215, 222, 233, 236, 253, 255, 261, 263, 264, 269, 271, 273, 287, 299, 310, 317, 337, 355, 362, 385, 387, 388, 392, 400, 401, 405, 406, 407, 415, 416, 417, 419, 420, 424, 426, 433, 436, 438, 445, 447, 459, 463, 466, 471' 473, 483, 484, 489, 492, 495, 497, 498, 500, 501, 502, 504, 507, 508, 509, 510, 512, 515, 516, 517, 518, 522, 525, 532, 534, 535, 537, 543, 546, 552, 553, 556, 558, 560, 561, 564, 570, 57 I, 572, 578, 584, 590, 612, 626, 630, 640, 642, 664, 666, 675, 684, 685, 695, 697, 701, 704, 708, 711, 716, 748.

AGNESA, GIACOMO, direttore degli affari coloniali al Ministero degli esteri, 75, 279, 663.

AHMED ASH-SHERIF, capo dei Senussi, 32, 120, 159, 166, 503.

AHMED Fu' AD, principe, 151, 503.

ALBRICCI, ALBERICO, maggiore, addetto militare a Vienna, 708.

ALESSANDRA FEODOROVNA, zarina di Russia, 389, 452, 460.

ALFONSO XIII, re di Spagna, 399, 638, 732.

ALì BEN SAIO, sultano di Zanzibar,

482.

ALIOTTI, CARLO, barone, capo sezione, m serv1z10 presso il Ministero degli esteri, 633, 756.

ALIPRINDI, FLORENZIO, tenente generale, comandante in seconda il Corpo di Stato Maggiore dell'Esercito, 371, 391.

ALLIATA DI MONTEREALE, GIOVANNI, principe, segretario dell'ambasciata a Madrid, dall'Il settembre 191 O della legazione a Lisbona, 496, 499.

ALMAGIÀ, VITTORIO, ingegnere, 249.

ALOISI, POMPEO, tenente di vascello nella riserva navale, segretario dell' ambasciata a Parigi, incaricato delle funzioni di addetto navale in Francia, 115.

AMBRON, ALDo, ingegnere, rappresentante della Ditta Almagià ad Alessandria d'Egitto, 249.

AMERO o'ASTE STELLA, MARCELLO, contrammiraglio, comandante della Divisione navale, 312.

ANCKARSVARO, PER GUSTAV-AUGUSTCOSSWA, conte von, ministro plenipotenziario di Svezia a Costantinopoli, 576, 588.

ANORASSY, GJULA, conte, ex ministro della Casa imperiale e reale e degli esteri austro-ungarica, 67, 150, 525.

APPONYI, ALBERT, conte, ministro dell'educazione nazionale ungherese fino al 17 gennaio 1910, 44, 525,

559.

ARSENIEV, SERGEJ VASILIEVIC, mm1stro plenipotenziario di Russia a Cettigne dal l 0 ottobre 1910, 587, 648.

ASBURGO, FRANZ FERDINANO, arciduca ereditario d'Austria-Ungheria, 58, 67, 98, 236, 314, 321, 552, 630, 640, 666, 684.

ASBURGO, FRIEORICH, arciduca, duca di Teschen, 630.

ASBURGO, KARL-FRANZ-JOSEF, arciduca, 236.

ASBURGO, OTTO, arciduca, 236.

AsBURGO, SOFIA, arciduchessa, principessa di Hohenberg, nata CHOTEK,

236.

ASQUITH, HERBERT HENRY, primo ministro britannico, 313, 332, 3 73,

376.

ASSIA, ERNST LUOWIG, granduca d',

452.

ASSIM, MUSTAFÀ, bey, ministro plenipotenziario di Turchia a Sofia, 83, 99, 167, 403.

AuBOYNEAU, direttore generale della Banca ottomana a Parigi, 719.

AUGUSTA VITTORIA, imperatrice di Germania, 308, 392, 709.

AVARNA DI GUALTIERI, GIUSEPPE, duca, ambasciatore a Vienna, l, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 21, 56, 57, 58, 59, 67, 71, 80, 86, 87, 88, 111, 113, 116, 118, 119, 121, 123, 124, 142, 146, 147, 148, 149, 150, 164, 167, 168, 172, 187, 202, 206, 209, 211, 213, 215, 222, 236, 251, 253, 255, 261, 263, 264, 265, 269, 271, 273, 277, 287, 318, 321, 337, 355, 385, 387, 388, 405, 416, 417, 426, 466, 470, 473, 481, 483, 484, 495, 497, 498, 504, 507, 508, 509, 512, 516, 525, 532, 534, 535, 537, 543, 546, 552, 553, 558, 559, 560, 561, 564, 570, 571, 574, 577, 581, 590, 626, 666, 669, 675, 684, 685, 708, 710, 711, 748, 751.

AXMANN, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 516, 561.

BACQUEHEM, OLIVIER, marchese von, primo presidente della Corte di giustizia amministrativa presso il Tribunale imperiale austro-ungarico, membro delle Delegazioni austroungariche, 512, 534, 564, 716.

BADENI, KAZIMIERZ, conte von, ex presidente del Consiglio austriaco,

630.

BALCIÀ, degiac etiopico, governatore generale dell'Harrar e dell'Ogaden fino al febbraio 1910, 27, 62, 288,

456.

BALDARI, DANTE, ingegnere, 411.

BALFOUR, ÀRTHUR JAMES, conte di, ex pnmo ministro britannico, 48,

332.

BALYAK, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 552.

BANTI, fitautari etiopico, 722.

BAPST, CONSTANT-VALENTIN-EDMOND, ministro plenipotenziario, direttore degli affari politici e commerciali al Ministero degli esteri francese,

46.

BARCLAY, sir GEORGE HEAD, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Teheran, 330, 432.

BARGHASH IBN SAIO, sultano di Zanzibar, 482.

BARILARI, FEDERICO, direttore generale degli affari generali al Ministero degli esteri, dal 23 maggio 191 O ministro plenipotenziario a Pechino,

449.

BARNREITHER, JOSEF MARIA, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 512, 516.

BAROLI, CARLO, mtmstro plenipotenziario a Belgrado, 72, 83, 97, 112, 413, 607, 627, 658, 703, 705, 730, 746, 758, 761.

BARRÈRE, CAMILLE, ambasciatore di Francia a Roma, 101, 104, 107, 128, 286, 307, 317, 326, 439, 522, 719, 736.

BARTOLI, deputato austriaco, 695.

BARTOLUCCI GODOLINI, GIOVANNI BATTISTA, marchese di Castelletta, reggente il consolato (dal l 0 agosto 1910 console) a La Canea, 38, 114, 143, 145, 155, 229, 234, 237, 324, 333, 363, 372, 451.

BARZILAI, SALVATORE, avvocato, deputato, 665.

BASSERMANN, ERNST, membro del Reichstag, capo del partito nazional-liberale, 612.

BATTENBERG, LUDWIG, principe von, viceammiraglio britannico, comandante la flotta dell'Atlantico, 156.

BATTHYÀNY, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 525.

BEAU, JEAN-BAPTISTE-PAUL, ministro plenipotenziario di Francia a Bruxelles, 29, 33.

BECCARIA INCISA, EMANUELE, conte, ministro plenipotenziario a Bucarest, 15, 22, 50, 78, 88, 105, 205, 207, 272, 285, 342, 364, 369, 485, 487, 500, 547, 616, 631, 659, 660.

BECK, MAX VLADIMIR, barone von, ex presidente del Consiglio austriaco, 685.

BEDRY, pascià, valì di Scutari d'Albania, 727.

BELDIMAN, ALECSANDRU, ministro plenipotenziario di Romania a Berlino, 148.

BELLOC, deputato inglese, 376.

BENCKERDORFF, ALEKSANDR KOSTANTINOVIC\ conte, ambasciatore di Russia a Londra, 324, 326, 368, 415,

634.

BERCIITOLD VON UNO ZU UNGARSCHITZ, LEOPOLD, conte, ambasciatore d'Austria-Ungheria a Pietroburga, 52, 66, 71, 84, 86, l 02, 117, 118, 119, 123, 163, 172, 184, 401, 583, 630.

BERCKHEIM, THÉODORE-SIGISMOND, de, barone, primo segretario dell'ambasciata di Francia a Berlino, 140.

BERESFORD, CHARLES WILLIAM, lord de la Poer, viceammiraglio britannico, 376.

BERNABEI, VINCENZO, console a Bengasi, 108, 158, 161, 162, 166, 249, 309, 418, 503, 609, 644, 739, 740, 741' 748.

BERNSTORFF, JOHANN HEINRICH, conte von, ambasciatore di Germania a Washington, 43, 709.

BERTIE, sir FRANCIS LEVESON, ambasciatore di Gran Bretagna a Parigi, 46, 49, 326.

BERTRAND, E., console generale di Francia a La Canea, 38, 42, 103, 114, 155, 229, 234, 363, 451.

BETHMANN HOLLWEG, THEOBALD, von, cancelliere dell'Impero tedesco, 4, 5, 6, 7, 48, 86, 123, 131, 135, 144, 148, 150, 154, 156, 170, 178, 185, 190, 192, 194, 196, 197, 202, 299, 308, 310, 314, 392, 433, 445, 459, 508, 557, 612, 615, 626, 629, 630, 634, 662, 665, 666, 669, 675, 678, 681, 716, 744.

BETTOLO, GIOVANNI, conte, viceammiraglio, capo di Stato maggiore della marina, ministro della marina fino al 30 marzo 1910, 94, 98, 115.

BIENERTH, RICHARD, barone von, presidente del Consiglio austriaco, 170, 321, 507, 512, 685.

BILINSKI, KONSTANTIN, reggente il consolato d'Austria-Ungheria a Giannina, 346.

BILINSKI, LEON RITTER VON, ministro delle finanze austriaco fino al1'8 gennaio 1911,510,635.

BISMARCK-SCHONHAUSEN, Ono EDUARD, principe von, ex cancelliere dell 'Impero tedesco, 236.

BLATCHFORD, ROBERT, direttore dei Clarion, 48.

BLONDEL, JEAN-CAMILLE, ministro plenipotenziario di Francia a Bucarest, 500.

BLUNTSCHILI, JOHANN KASPAR, gmnsta, storico e uomo politico svizzero, 525.

BoDMAN, HANS, barone von, ministro plenipotenziario di Germania a Santiago, dal 22 agosto 191O a Lisbona, 499.

BOLLATI, RICCARDO, segretario generale e direttore generale degli affari politici al Ministero degli esteri, 75, 94, 345, 364, 369, 375, 530, 663.

BOMPARD, Lours-MAURICE, ambasciatore di Francia a Costantinopoli, 322, 331, 341, 479, 687, 719.

BONGIOVANNI, SIMONE, capitano, 395.

BONIN LONGARE, LELIO, conte, mlmstro plenipotenziario a Bruxelles, dal 19 settembre 191 O ambasciatore a Madrid, 26, 29, 33, 133, 732.

BOPPE, JULES-AUGUSTE, primo segretario dell'ambasciata di Francia a Costantinopoli, 275.

BORGHESE, Livro, principe, segretario dell'agenzia e consolato generale al Cairo, 503.

BOTTEGO, VITTORIO, capitano, esploratore, 395.

BOTTESINI, ARCHIMEDE, console generale a Tunisi, 35, 64, 74.

BouÉ DE LAPEYTÈRE, AuGUSTE, viceammiraglio, ministro della marina francese fino al 23 febbraio 1911,

115.

BOURCHIER, JAMES DAVID, corrispondente del Times dai Balcani, 664, 700, 712.

BRAGA, JOAQU!M THEOFILO, presidente della Repubblica portoghese dal 15 ottobre 1910, 499.

BRATIANU, JoN C., ex presidente del Consiglio rumeno, 105, 616.

BRATIANU, JoN junior, presidente del Consiglio rumeno fino al 9 gennaio 1911, 15, 22, 50, 78, 80, 87, 88, 105, 272, 285, 342, 487, 500, 547, 631.

BRESCIANI, ENRICO, direttore della succursale del Banco di Roma a Tripoli, 18, 108, 141, 177, 181, 198, 228, 241, 289, 390, 411, 545, 566, 594, 624, 696.

BRIANO, ARISTIDE, presidente del Consiglio francese fino al 3 marzo 1911, 439, 447.

BRICE, CHARLES-ÉDOUARD, mm1stro plenipotenziario di Francia ad Addis Abeba, 61, 122, 179, 221, 223, 245, 334, 338, 384, 397, 707, 728,

759.

BRIELLI, DOMENICO, ufficiale di complemento, assistente dell'ufficiale sanitario presso la legazione ad Addis Abeba, 288.

BRIGANTE COLONNA, membro della missione di delimitazione del confine somalo-etiopico, 435.

BRUSATI, UGo, tenente generale, primo aiutante di campo generale della Casa Reale, 298.

BUCHANAN, sir GEORGE WILLIAM, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a L' Aja, dal 23 novembre 191 O ambasciatore a Pietroburgo,

629.

BuGATTO, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 561, 574.

BùLOW, BERNHARD, principe von, ex cancelliere dell'Impero tedesco, 190, 236, 285, 314, 392, 634, 678,

716.

BURIÀN VON RAmcz, STEPHAN, barone, ministro delle finanze austroungarico, 512, 525.

BUXTON, NOEL, pubblicista inglese, presidente del Comitato Balcanico a Londra, 700.

CACCIA DOMINION!, CARLO, conte, console a Fiume, 559.

CALDERARI, LUIGI, colonnello, addetto militare a Berlino, 371, 391.

CALERGHIS, DEMETRIOS, ministro degli esteri greco, 126, 369, 378.

CALICE, HEINRICH, barone von, ex ambasciatore d'Austria-Ungheria a Costantinopoli, l 02.

CALLENBERG, LUDWIG, von, mm1stro plenipotenziario di Austria-Ungheria a Tangeri, 638.

CAMBIAGIO, SILVIO, segretario della legazione a Lisbona, dal 20 marzo 191 O a Belgrado, dal 28 marzo 1911 a Bucarest, 266, 488.

CAMBON, JULES-MARTIN, ambasciatore di Francia a Berlino, 123, 139, 140, 148, 170.

CAMBON, PAUL-PIERRE, ambasciatore di Francia a Londra, l 03, 311, 322, 324, 326, 331, 332, 335, 337, 339, 368, 420, 614, 681' 702.

CAMICIA, MARIO, console generale ad Alessandria d'Egitto, 198.

CAMPBELL, sir FRANCIS ALEXANDER, assistente sottosegretario di Stato agli esteri britannico, 242.

CANALEJAS Y MÉNDEZ, JosÉ, presidente del Consiglio spagnolo dal 9 febbraio 1910, 732.

CANGIÀ, ALFREDO, interprete dell'ambasciata a Costantinopoli fino al luglio 1910, 162.

CAPELLE, L., ministro plenipotenziario, direttore generale del commercio e dei consolati al Ministero degli esteri belga, 29, 133.

CAPPELLO, EuGENIO, tenente di vascello, ispettore commerciale presso l'Agenzia commerciale negli Arussi, 284, 288, 293, 320, 361.

CAPRIOLI, ingegnere, 523, 538.

CARAPANOS, ALEXANDROS, incaricato d'affari di Grecia a Roma dal 21 aprile 1910, 250, 364, 369, 428.

CARLO I, re di Romania, 15, 22, 205, 207, 222, 272, 285, 392, 406, 421, 470, 484, 487, 488, 500, 519, 547, 573, 616, 631, 640, 746.

CARLOTTI, ANDREA, barone, ministro plenipotenziario ad Atene, 45, 47, 70, 73, 126, 132, 165, 290, 296, 319, 342, 364, 369, 378, 585, 589, 614, 659, 660, 735, 749.

CARP, PETRU, capo del partito conservatore rumeno, ex presidente del Consiglio, 22, 547, 616, 631.

CARTER, JOHN-RIDGELY, ministro plenipotenziario degli Stati Uniti d'America a Sofia, 573.

CARTWRIGHT, sir FARFAIX-LEIGHTON, ambasciatore di Gran Bretagna a Vienna, 30, 111, 123, 149, 236, 460, 630.

CASALE, Uoo, capitano, residente ad Afgoi, 280.

CASHA, degiac etiopico, 713.

CASSEL, sir ERNEST JOSEPH, finanziere anglo-tedesco, 4, 28, 481, 524, 566, 575, 706.

CASTELLO BRANCO, consigliere, in servizio presso il Ministero degli esteri portoghese, 399.

CAVASSA, ARTURO, capitano di fregata, comandante la «Piemonte», 456.

CAVE, BASIL SHILLITO, console generale di Gran Bretagna ad Algeri,

482.

CAVOUR, CAMILLO BENSO, conte di,

513.

CEGLINSKY, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 516.

CERRUTI, VITTORIO, segretario dell'ambasciata a Vi enna, 187.

CHARMES, FRANCIS, direttore della Revue des deux Mondes, 665.

CHIARI, ARTUR, viceammiraglio, presidente della Lega Navale austriaca,

561.

CHIOSSI, maggiore, 280.

CHIROL, VALENTINE, direttore della sezione esteri del Times, 49.

CIAMARRA, GUGLIELMO, giudice coloniale e consulente legale a Mogadiscio, 18, 141.

CIANCIO, GIUSEPPE, maggior generale, comandante la brigata Re, 353.

CICCODICOLA, FEDERICO, maggiore, mtmstro plenipotenziario a Bangkok, 395.

CITERNI, CARLO, capitano, capo della missione di delimitazione del confine somalo-etiopico, 288, 395, 410, 429, 435, 549, 563, 611, 625, 649, 722, 762.

CLARKE, EowARD A.W., agente e console generale di Gran Bretagna a Zanzibar, 216, 327, 482.

CLÉMENCEAU, GEORGES, ex presidente del Consiglio francese, 111, 332.

COBIAN REFFIGNAC, EDUARDO, ministro delle finanze spagnolo dal 9 febbraio 191O, 732.

COCHERY, GEORGES, ministro delle finanze francese fino al l o novembre 1910, 115.

COCHIN, DENYS, deputato francese, 651, 665.

COLLI DI FELIZZANO, GIUSEPPE, conte, ministro plenipotenziario ad Addis Abeba, 11, 25, 27, 61, 62, 89, 122, 152, 153, 174, 175, 179, 217, 221, 223, 244, 245, 252, 254, 256,

283, 284, 288, 293, 302, 320, 328, 334, 338, 348, 361, 384, 395, 397, 409, 422, 423, 429, 442, 448, 453, 520, 533, 549, 563, 611, 625, 636, 649, 693, 707, 713, 721, 722, 738, 754, 759.

CONSTANS, JEAN-ANTOINE-ERNEST, ex ministro degli interni francese ed ex ambasciatore a Costantinopoli, 447.

CORINALDI, LEOPOLDO, conte, segretario della legazione ad Atene, 451,

457.

CoRSI, ALBERTO, console generale a Zanzibar, 216, 327, 482, 513, 521, 672, 680, 721.

COSTINESCU, EMILIO, ministro delle finanze rumeno fino al 9 gennaio 1911, 50.

CRAINICIANU, GR., generale, mm1stro della guerra rumeno fino al 9 gennaio 1911, 50, 272.

CREDARO, LUIGI, ministro della pubblica istruzione dal 31 marzo 1910, 196.

CREWE, ROBERT CREWE-MILNES, marchese di, segretario di Stato alle colonie britannico, dal 7 novembre 1910 segretario di Stato per l' India, 232, 704.

CROLLA, GIUSEPPE, interprete dell'agenzia e consolato generale al Cairo, dall' 8 gennaio 1911 dell'ambasciata a Costantinopoli, 159, 166, 503.

CROMER, sir EvELYN BARING, conte di, ex agente e console generale di Gran Bretagna in Egitto, 151, 298.

CROZIER, PHILIPPE-MARIUS, ambasciatore di Francia a Vienna, 30, 72, 111, 123, 149, 170, 271, 460, 630.

CucCHI BoAsso, FAUSTO, ministro plenipotenziario a Sofia, dal 7 giugno 1910 a Berna, 52, 68, 98, 167, 259.

CURZON OF KEDLESTON, GEORGE NATHANIEL, lord, ex vicerè e governatore generale dell'India britannica, 279.

DADITARRÈ, fitautari etiopico, 89, 284, 288, 423.

DAESCHNER, NOSKY-GEORGES-HENRIÉMILE, consigliere dell'ambasciata di Francia a Londra, 169.

DANEV, STOJAN, ex presidente del Consiglio e ministro degli esteri bulgaro, 52, 60, 65, 68, 517, 700.

DARGHIÈ, ras etiopico, 713.

DASCALOGIANNIS, deputato cretese,

296.

DE BOSDARI, ALESSANDRO, conte, console generale a Budapest, dal 23 agosto 191 O ministro plenipotenziario a Sofia, 44, 98, 127, 178, 299, 450, 462, 475, 517, 679, 692, 700, 712, 724, 737, 743.

DE BRATH, ERNEST, maggior generale, residente politico britannico ad Aden fino al 1910, 24.

DE CASTRO, LINCOLN, ufficiale sanitario presso la legazione ad Addis Abeba, 288, 738.

DEFRANCE, JULES-ALBERT, ministro plenipotenziario di Francia a Stoccolma, dal l o giugno 191 O agente e console generale al Cairo, 715.

DELCASSÉ, THÉOPHILE, ministro della marina francese dal 4 marzo 1911, 67, 111, 232, 317, 683.

DELENDA, console di Frà'ncia ad Alessandretta, 398.

DE MARTINO, GIACOMO, agente e console generale al Cairo, 31, 32, 51, 75, 120, 134, 151, 159, 166, 191, 198, 203, 214, 227, 228, 241, 243, 246, 249, 298, 375, 465, 503, 696, 715.

DE MARTINO, GIACOMO, senatore, governatore della Somalia dal febbraio 1910, 191, 268, 280, 288, 293, 320, 327, 343, 348, 361, 374, 377, 408, 423, 429, 456, 464, 482, 513, 521, 549, 563, 762.

DE 0RESTIS DI CASTELNUOVO, ALBERTO, viceammiraglio, comandante in capo della forza navale del Mediterraneo, 274, 345.

DEPRETIS, AGOSTINO, segretario della legazione a Bucarest, dal 28 febbraio 1911 in servizio presso il Ministero degli esteri, 342, 405.

DESCHANEL, PAUL, deputato francese, 597, 651.

DEYILLE, GABRIEL-PIERRE, ministro plenipotenziario di Francia ad Atene, 126, 585, 614.

DE VIOLINI, ingegnere, 621.

DEVOTI, BERNARDINO, parrocco della chiesa di San Giuseppe al Cairo,

715.

DIAMANDY, CONSTANTIN, miniStro plenipotenziario di Romania a Sofia,

573.

DILLON, EMIL-JOSEPH, corrispondente del Daily Telegraph da San Pietroburga, 597, 634.

DILLON, JOHN, deputato inglese, 376.

DIMSDALE, sir J., baronetto, ciambellano della città di Londra, 313.

DJAVID, bey, ministro delle finanze ottomano, 50, 52, 406, 424, 446, 447, 474, 479, 719.

DJEVAD, HussEIN, bey, consigliere dell'ambasciata di Turchia a Londra, 169.

DJEVAL NouRY, direttore del Giovane Turco, 300.

DJEVDET, bey, mutassarif di Bengasi, 108, 141, 158, 162.

DJUVARA, ALECSANDRU, ministro degli esteri rumeno, 22, 50, 205, 406, 484, 485, 487, 500, 631.

DoBERNIG, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 561.

DOLGORUKIJ, NIKOLAJ, principe, ambasciatore di Russia a Roma, 11 7, 142, 149, 233.

DRAGOUMES, STEFANOS, presidente del Consiglio greco dal l 0 febbraio al 18 ottobre 1910,91,95, 113,511.

DucA, J.G., deputato rumeno, capo del partito liberale, 22.

EDOARDO VII, re di Gran Bretagna e d'Irlanda, 4, 49, 67, 111, 123, 190, 298, 313, 550, 642, 669.

ELENA, regina d'Italia, 461, 698, 742.

ELEONORA, regina di Bulgaria, 163,

743.

ELISABETTA l, regina d'Inghilterra, 4.

ELLIOT, sir FRANCIS EDMUND HUGH, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna ad Atene, 45, 73, 126, 585, 614.

EMIN, MEHMED, bey, direttore generale degli affari politici al Ministero degli esteri ottomano, 528.

ENGALICEV, PAVEL NIKOLAEVIC, principe, maggior generale, ex addetto militare di Russia a Berlino, 502.

ENVER, bey, maggiore, addetto militare di Turchia a Berlino, 81, 93.

ESTERHAZY VON GALANTHA FORCHTENSTEIN, PAUL, conte, capo sezione, in servizio presso la Casa imperiale e reale e degli esteri austro-ungarica, 525.

ÉTIENNE, EuGÈNE, vicepresidente della Camera dei deputati francese, 651,

683.

ETTER, NrKOLAJ SEBASTIANOVIC, de, consigliere dell'ambasciata di Russia a Londra, 169, 662.

EUAN SMITH, sir CHARLES, colonnello, ex console generale di Gran Bretagna a Zanzibar, 482.

FABBRI, CESARE, agente consolare a Sfax, 35.

FABIAN, ARTHUR GOULSTONE WARE, direttore del Morning Post, 49.

FACTA, LUIGI, ministro delle finanze dal 31 marzo 1910, 405.

FALCONIO, DIOMEDE, monsignore, delegato apostolico a Washington,

204.

FALLIÈRES, ARMANO, presidente della Repubblica francese, 298, 385,

743.

FANO, RoBERTO, ingegnere, consulente tecnico per le opere pubbliche a Mogadiscio, 320.

FASCIOTTI, CARLO, barone, capo di Gabinetto al Ministero degli esteri dal 30 giugno 1910, 419, 428,

503.

FERDINANDO I, re di Bulgaria, 15, 30, 34, 36, 52, 55, 56, 60, 83, 88, 93, 98, 99, 100, 111, 144, 154, 157, 163, 165, 167, 182, 205, 208, 222, 233, 236, 259, 315, 340, 421, 447, 450, 462, 466, 471, 542, 546, 597, 664, 679, 692, 737, 743, 747.

FERID, MEHMED, pascià, ex gran V!Slr ottomano, 60.

FERIN AFLoo, capo somalo, 89.

FERNANDEZ, !SACCO, agente assicuratiVO a Costantinopoli, 18, 189, 303, 312, 357, 393, 531, 545, 575, 621,

696.

FERRANDI, UGo, capitano, commissario regionale dell'Alto Giuba e residente a Lugh dal giugno 191 O, 284, 293, 320, 429, 563, 762.

FINDLAY, sir MANSFELDT DE CARDONNEL, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Sofia, dal l o febbraio 1911 a Cristiana, 404, 712.

FLEVA, NICOLAE, deputato rumeno,

22.

FLOTOW, HANS, von, consigliere relatore, in servizio presso il Ministero degli esteri tedesco, dal 17 marzo 191 O ministro plenipotenziario a Bruxelles, 371, 391.

FoNTENAY, Lours-GABRIEL-ANTOINEJosEPH, visconte de, console generale di Francia a Budapest, 44.

FORGACH VON GHYNES UNO GACS, JOHANN, conte, ministro plenipotenziario d'Austria-Ungheria a Belgrado, lll, 525, 558, 561, 564, 607.

FOSCARI, PIERO, conte, deputato, presidente della sezione veneta della Lega Navale, 433, 489, 495, 497.

FRANCESCO GIUSEPPE l, imperatore d'Austria-Ungheria, 30, 67, 80, 88, 98, 121' 123, 182, 205, 236, 298, 299, 321, 340, 385, 426, 436, 466, 497, 500, 510, 525, 534, 558, 577, 578, 630, 640, 666, 684, 698, 743.

FRANZIS, A., capitano, addetto militare di Grecia a Costantinopoli e Sofia, 747.

FREDERICKS, VLADIMIR BORISSOVIC' barone, generale, ministro della Corte dello zar di Russia, 597.

FRIEDJUNG, HEINRICH, storico e pubblicista austriaco, 111, 559, 561, 564, 607, 640.

GALANTI, VINCENZO, viceconsole a Prizren, dal l7 luglio 191O reggente il consolato a Uskub, 52, 239.

GALLI, CARLO, viceconsole a Trieste,

695.

GALLI, ROBERTO, deputato, avvocato, 132, 347.

GALLINA, GIOVANNI, conte, ambasciatore a Parigi fino al 2 febbraio 1910, 38, 39, 42, 53, 96.

GAMBETTA, LÉON, ex presidente del Consiglio francese, 515.

GARASELLASIÈ, degiac etiopico, 174, 256, 302, 448, 738.

GARCIA PRIETO, MANUEL, marchese d' Alhucemas, ministro di Stato spagnolo dal 9 febbraio 191O, 732.

GARELLI, ARNALDO, capitano, residente a Lugh fino al maggio 1910, 89.

GARIBALDI, GIUSEPPE, 699.

GARIBALDI, R!CCIOTTI, 723, 740.

GATIN, LucrEN-JACQUES-MARIE, segretario della legazione di Francia a Cettigne, dal 18 marzo 1911 in servizio presso il Ministero degli esteri, 276, 281.

GAUTSCH VON FRANKENTHURN, PAUL, barone, ex presidente del Consiglio austriaco, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 552.

GELLINEK, Ono, capitano, addetto militare d'Austria-Ungheria a Belgrado, 111.

GENNADIUS, IOANNES, ministro plenipotenziario di Grecia a Londra dal 14 ottobre 191 O, 586.

GENTILI, deputato austriaco, 321.

GIBBONS JAMES, cardinale, arcivescovo di Baltimora, 204.

GIERS, MIKHAIL NIKOLAEVIC, di, ministro plenipotenziario di Russia a Bucarest, 22, 105, 285, 342, 471, 547, 631, 659.

GIERS, NIKOLAJ NIKOLAEVIC, di, ambasciatore di Russia a Vienna dal 5 dicembre 1910, 583, 630, 666, 684, 711.

GIESL VON GIESLINGEN, WLADIMIR, barone, maggior generale, ministro plenipotenziario d'Austria-Ungheria a Cettigne dal 15 febbraio 191 O, 208, 212, 222, 225, 281, 461, 542,

546.

GIOLITTI, GIOVANNI, ex presidente del Consiglio, 196, 358.

GIORGIO I, re degli Elleni, 34, 40, 45, 92, 130, 143, 145, 226, 229, 230, 235, 237, 275, 278, 296, 306, 318, 319, 347, 421, 428, 585, 735,

749.

GIORGIO V, principe di Galles, dal 6 maggio 191 O re di Gran Bretagna e d'Irlanda, 4, 298, 452, 713, 742.

GIROUARD, sir PERCY, tenente colonnello, governatore e comandante in capo dell'Africa orientale britannica, 320, 464, 513, 672.

GISKRA, KARL, barone von, ministro plenipotenziario d'Austria-Ungheria a Sofia, 517.

GIUKANOVIC, presidente della Camera e del Consiglio di Stato del Montenegro, dal 14 settembre 1910 ministro dell'interno, agricoltura, poste e telegrafi, 224.

GIUPELLI, topografo, membro della missione di delimitazione del confine somalo-etiopico, 435.

GOLTZ, KOLMAR, barone von der, feldmaresciallo tedesco, vicepresidente del consiglio superiore di guerra ottomano, 81, 157, 597.

GOLUCHOWSKI VON GOLUCHOWO, AGENOR junior, conte von, ex ministro della Casa reale e imperiale e degli esteri austro-ungarica, l02, 150, 236, 253, 525.

GOREMYKIN, IVAN LONGINOVIC, ex presidente del Consiglio russo, 82.

GORRINI, GIACOMO, console generale a Trebisonda, 548.

GORST, sir ELDON, agente e console generale di Gran. Bretagna al Cairo, 31, 151, 243, 298, 313, 375.

GOSCHEN, sir WILLIAM EDWARD, ambasciatore di Gran Bretagna a Berlino, 48, 157, 236, 400, 404, 415, 424.

GoTTI, GIROLAMO MARIA, cardinale, prefetto della Sacra Congregazione di Propaganda Fide e di quella di Propaganda per gli affari di rito orientale, 342.

GRABMAYR, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 552, 558, 561,

564.

GREY, sir EDWARD, segretario di Stato agli esteri britannico, 4, 16, 24, 26, 45, 46, 49, 96, 106, 109, 169, 223, 233, 242, 296, 324, 326, 332, 339, 368, 376, 384, 407, 415, 420, 424, 437, 614, 662, 664, 665, 690, 691, 707, 712, 753.

GRIMANI, PIER LUIGI, conte, segretario di legazione, in servizio presso il Ministero degli esteri, dal l o gennaio 1911 segretario dell'ambasciata a Costantinopoli, 94.

GRuié, SLAVKO, incaricato d'affari ad interim di Serbia a Londra, 72.

GRYPARIS, lOANNES, ministro plenipotenziario di Grecia a Costantinopoli, dal 19 ottobre 191 O ministro degli esteri, 278, 526.

GUASCO DI BISIO, ALESSANDRO, ministro plenipotenziario a Monaco di Baviera fino al 20 maggio 191 O, 84, 196.

GUGLIELMO II, imperatore di Germania, 28, 49, 63, 85, 92, 123, 135, 156, 182, 190, 236, 298, 308, 31 o, 314, 389, 392, 452, 458, 459, 460, 512, 519, 558, 561, 572, 612, 617, 630, 640, 657, 684, 709, 723.

GuGSA, ras etiopico, governatore generale del Beghemeder fino al 1910, 448, 738.

GurcciARDINI, FRANCESCO, conte, ministro degli esteri fino al 30 marzo 1910, passim; 233, 248, 257, 270, 287, 315, 358, 553.

GuiCCIOLI, ALESSANDRO, marchese, ambasciatore a Tokio, 714.

GuiGNONY, agente consolare di Francia ad Harrar, 636.

GULLINI, ARRIGO, ingegnere, capo divisione nelle Ferrovie dello Stato, poi consigliere d'amministrazione della Compagnia di Antivari, 248, 274, 352.

GUTMANN, EUGEN, capo e fondatore della Dresdner Bank, 505.

GUTMANN, HUBERT, direttore generale della Deutsche Orient Bank, 81, 486, 652.

GuTOWSKI, direttore della regia ottomana dei tabacchi a Tripoli, 177, 354, 360, 367, 390, 393, 455, 531' 545, 575.

GuzMAN, cittadino argentino, 673, 674, 676, 677, 688, 723, 739, 748.

GWINNER, ARTUR, von, direttore generale della Deutsche Bank, 505, 681, 760.

HABTA GIYORGIS, fitautari, mmtstro della guerra etiopico, 89, 174, 175, 288, 738.

HAERDTL, GUIDO, barone von, ministro degli interni austriaco fino all'8 gennaio 1911, 405, 507.

HAKKY, IBRAHIM, pascià, ambasciatore di Turchia a Roma, dal 12 gennaio 1910 gran visir, 23, 30, 34, 47, 52, 60, 70, 79, 81, 83, 90, 93, 96, 99, 100, 108, 136, 137, 141, 160, 162, 167, 177, 181, 189, 272, 304, 305, 309, 311, 312, 319, 322, 340, 357, 360, 367, 379, 390, 394, 406, 415, 416, 420, 421, 424, 447, 463, 467, 470, 471, 480, 484, 500, 514, 519, 523, 526, 528, 538, 541' 544, 588, 592, 600, 601, 602, 620, 696, 755.

HAKKY, lSMAIL, bey, ministro della pubblica istruzione ottomano, 741.

HALBHERR, FEDERICO, filolologo, archeologo ed epigrafista, 309, 741.

HALDANE, R!CHARD BURTON, visconte, segretario di Stato alla guerra britannico, 376.

HALIL, bey, deputato ottomano, presidente dei Comitati Unione e Progresso, 747.

HALIL, bey, direttore dei Musei imperiali del Ministero dell'istruzione pubblica ottomano, 741.

HALIL, bey, ministro d eli'interno ottomano nel 1911, 741.

HALIL, bey, valì di Monastir, 315.

HALLADJIAN, effendi, ministro del commercio e dei lavori pubblici ottomano, 588, 644, 755.

HAMED, EL GuL, effendi, commerciante eritreo, 639, 642.

HARDINGE, sir ARTHUR HENRY, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Bruxelles, 26, 29, 33, 133, 371, 391.

HARDINGE OF PENSHURST, CHARLES, lord, sottosegretario di Stato permanente agli esteri britannico, dal 23 novembre 1911 vicerè e governatore generale dell'India, 24, 46, 49, 91, 103, 109, 129, 169, 183, 186,230,232, 250,311,324,326,331,332,335, 368,415, 662.

HARRINGTON, JOHN LANE, maggiore, ex ministro plenipotenziario di Gran Bretagna ad Addis Abeba, 244, 625.

HARTWIG, NIKOLAJ, de, mmistro plenipotenziario di Russia a Belgrado, 111, 112, 294, 746.

HASSIB, HUSSEIN, bey, ambasciatore di Turchia a Teheran, 744.

HASSUNA, KARAMLI, pascià, sindaco di Tripoli, 531, 545.

HASTINGS, WARREN, ex governatore generale de li 'India britannica, 232.

HAZAI, SAMUEL, barone von, ministro delle difesa nazionale ungherese,

525.

HEDEMANN, redattore capo per la politica estera del Matin, 467.

HERZMANSKY, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 552.

HILMI, HUSSEIN, pascià, gran visir ottomano fino ali' 11 gennaio 191 O, 2, 12, 18, 34, 52, 60.

HOHENLOHE-SCHILLINGSFÙRST, KONRAD, principe zu, governatore di Trieste,

695.

HoHENWART, KARL SrEGMUND, conte von, ex presidente del Consiglio austriaco, 630.

HOHENZOLLERN, CACILIE, principessa von, nata MECKLENBURG, 156.

HOHENZOLLERN, EITEL FRIEDRICH, principe von, 235.

HOHENZOLLERN, FERDINAND, von, principe di Romania, 163.

HOHENZOLLERN, HEINRICH, pnnc1pe von, 156.

HOHENZOLLERN, WILHELM, von, principe imperiale di Germania, 156.

HORSKY, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 561.

HUSNI, HUSAIN, pascià, valì di Tripoli fino al 1910, 37, 54, 136, 141, 160, 177, 181, 198, 354, 367, 390, 393, 455, 465, 562, 566, 575.

IBRAHIM, bey, valì di Salonicco, 315.

IBRAHIM, EDHEM, pascià, maresciallo, valì di Tripoli dal 1910, 455, 465, 490, 491' 531' 545, 562, 566, 575, 579, 582, 592, 594, 650, 674, 688, 723, 739, 745, 757.

lLMA, degiac etiopico, 288.

IMPERIALI, GUGLIELMO, marchese, ambasciatore a Costantinopoli, dal 9 maggio 191 O ambasciatore a Londra, 2, 12, 18, 23, 41, 49, 50, 52, 60, 79, 90, 92, 96, 99, 100, 102, 136, 137, 144, 154, 158, 160, 161, 162, 167, 169, 177, 181, 182, 188, 189, 199, 311, 313, 322, 324, 326, 327, 330, 331, 332, 335, 337, 338, 339, 368, 376, 384, 407, 412, 415, 417, 420, 424, 437, 571, 572, 577, 583, 585, 586, 593, 597, 614, 634, 640, 662, 663, 664, 668, 669, 681, 690, 691, 694, 702, 704, 707, 712, 728, 729, 753.

INSABATO, ENRICO, emissario del Governo, 32, 74, 159, 166, 214, 418,

503.

IONESCU, TAKE, capo del partito conservatore democratico rumeno, 547,

616.

lRELAND, JoHN, monsignore, arcivescovo di S. Paolo di Minnesota,

204.

Iro, HIROBUMI, principe, ex presidente del Consiglio giapponese, 295.

IzvoLSKIJ, ALEKSANDR PETROVIC, ministro degli esteri russo, dal 17 dicembre 191 O ambasciatore a Parigi, 20, 30, 55, 65, 66, 67, 69, 71, 76, 77, 82, 84, 86, 95, 96, 97, 100, 102, 103, 106, 111, 114, 117, 118, 119, 123, 125, 129, 142, 146, 149, 154, 157, 163, 167, 168, 169, 170, 172, 173, 184, 186, 187, 188, 200, 201, 206, 232, 233, 234, 236, 270, 282, 286, 287, 292, 294, 295, 323, 362, 368, 401' 452, 454, 460, 466, 498, 502, 512, 515, 516, 522, 550, 551, 572, 583, 58~ 629, 630, 63~ 640, 642, 665, 666, 678, 679, 683,

684.

JACOMONI, ENRICO, direttore generale del Banco di Roma, l 08.

JAGOW, GorrLIEB, von, ambasciatore di Germania a Roma, 185, 459, 603, 620, 676, 723.

JASU, ligg, erede al trono d'Etiopia, 152, 174, 217, 442, 448, 738, 754.

JAURÈS, JEAN, deputato francese, 665.

JEDRZEJEWICZ, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 516, 561.

JOEL, ALESSANDRO, presidente della Banca Commerciale Italiana, 358,

760.

JOHNSTON, sir HENRY HAMILTON, ex commissario speciale, comandante in capo e console generale di Gran Bretagna per l'Uganda, 597.

JoNNART, CÉLESTIN, governatore generale dell'Algeria, 493.

JORDAN, sir ]OHN NEWELL, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Pechino, 94.

JusuF ALì, sultano di Obbia, 343, 377, 408, 456.

KALNOKY, GUSTAV, conte, ex ministro della Casa imperiale e reale e degli esteri austro-ungarica, 70 l.

KANITZ, G., conte von, direttore del Ministero della Casa reale di Prussia, 190.

KARAGEORGEVIC, ALEXANDER, principe ereditario di Serbia, 15, 83, 385,

413.

KARAJovov, ex presidente del Comitato bulgaro di Salonicco e direttore de La Patria, 315.

KETTELER, KLEMENS, barone von, ex ministro plenipotenziario di Germania a Pechino, 94.

KHUEN-HÉDERV ARY VON HÉDERV AR, KARL, conte, presidente del Consiglio dei ministri ungherese dal 17 gennaio 191 O, 438, 481, 525,

635.

KIAMIL, MEHMED, pascià, ex gran Vlsir ottomano, 60.

KIAZIM, HUSSE!N, bey, ambasciatore di Turchia a Washington, dal 13 marzo l 91 O ambasciatore a Roma, 226, 240, 265, 340, 539, 544, 591, 602, 604, 620, 674, 729, 742.

KIDERLEN-WÀCHTER, ALFRED, von, ministro plenipotenziario di Germania a Bucarest, dal 29 giugno 191 O segretario di Stato agli esteri, 28, 342, 392, 400, 406, 407' 421' 445, 459, 460, 466, 476, 500, 505, 519, 551, 557, 578, 612, 615, 629, 654, 676, 677, 681, 684, 709.

KITCHENER, HORATIO HERBERT, conte, feldmaresciallo britannico, 332.

KLOBUKOWSKI, ANTONY-WLADISLAS, governatore generale de li'Indocina francese, 61, 122, 334.

KLOFAC, VACLAV, redattore del Ceské Slavo, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 558.

KNOX, PHILANDER CHASE, segretario di Stato americano, 43.

KOLUCEV, M.N., incaricato d'affari (dal 22 agosto 191 O ministro plenipotenziario) di Bulgaria a Cettigne, 208, 292.

KoMURA, conte, ministro degli esteri giapponese, 714.

KORFF-SCHMISING, MODESTO, barone von, consigliere dell'ambasciata di Russia a Roma, 292.

KOSLOWSKY, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 558, 574.

KossuTH, FERENC LAJOS ÀKos, ministro del commercio ungherese fino al 16 gennaio 1910, 481, 525.

KRAMARZ, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 512, 516, 561,

564.

KOHLMANN, RICHARD, von, consigliere de li 'ambasciata di Germania a Londra, 232.

KUHN VON KUHNENFELD, OTTO, barone von, ministro plenipotenziario d'Austria-Ungheria a Cettigne, dal 15 febbraio 1910 a Lisbona, 499.

KULI, HASSEIN, KHAN NAVAB, ministro degli esteri persiano dal 6 ottobre 1910, 608, 617, 725.

KUNDUROS, uomo politico cretese, 333, 437.

KZARZVORKA, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 561.

LAMBERMONT, F. A., barone de, ex segretario generale agli esteri belga, 133.

LAMINGTON, CHARLES WALLACE ALEXANDER NAPIER COCHRANE BAILLIE, barone di, ex governatore del Queensland e di Bombay, 232.

LANESSAN, ANTOINE, de, ex ministro della marina francese, 115.

LANGLEY, sir WALTER LOUIS FREDERICK GoLTz, assistente sottosegretario di Stato agli esteri britannico, 338, 694.

LANSDOWNE, HENRY-CHARLES-KEITHPETTY-FITZMAURICE, marchese K.G. di, capo del Partito unionista, 232.

LANZA, PIETRO, principe DI SCALEA, deputato, sottosegretario di Stato agli esteri, 303, 325, 397, 440,

663.

LAPERRINE, FRANçOIS HENRI, colonnello francese, 493.

LATOUR, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 516, 574.

LAUNAY, EDOARDO, conte de, ex ambasciatore a Berlino, 150.

LECHER, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 516.

LECOMTE, RENÉ, ministro plenipotenziario di Francia, delegato alla Conferenza di Bruxelles sul traffico d'armi, 33.

LEGRAND, ALBERT-LOUIS-HUBERT, consigliere dell'ambasciata di Francia a Roma, 736.

LEISHMAN, JoHN G.A., ambasciatore degli Stati Uniti d'America a Roma, 43.

LEONARDI, FRANCESCO, direttore generale della Pubblica Sicurezza fino al 24 febbraio 1911, 353.

LEONARDI CATTOLICA, PASQUALE, contr 'ammiraglio, senatore, ministro della marina dal 31 marzo 191 O, 231, 345, 351, 375, 530, 569, 635, 663, 671.

LEONE Xlii, papa, 560.

LERCHENFELD, HUGO, conte von und zu, ministro plenipotenziario di Baviera a Berlino, 630.

LEVI, PRIMO, console generale a Salonicco, dal l o agosto 191 O direttore generale degli affari commerciali al Ministero degli esteri, 98, 315, 340, 341.

LEVIOIS, SPIRIDIONE, primo segretario della legazione di Grecia a Parigi, dal 191 O direttore generale degli affari politici al Ministero degli esteri, l 04.

LIAPCEV, ministro delle finanze bulgaro, 466.

LINDLEY, FRANCIS 0SWALD, primo segretario della legazione di Gran Bretagna a Sofia, 712.

LOUIS, GEORGES, ambasciatore di Francia a Pietroburgo, 286, 447,

629.

LOWTHER, sir GERARD AUGUSTUS, ambasciatore di Gran Bretagna a Costantinopoli, 73, 79, 91, 182, 230, 275, 322, 420, 479, 585, 614,

753.

LuKAcs, LASZLO, von, ministro delle finanze ungherese dal l 7 gennaiO 1910, 481, 510, 525, 635.

LUL SEGHED, degiac etiopico, 288, 488, 453.

LUMBROSO, ACHILLE, agente consolare a Gabes, 35, 74, 336.

LUSENA, UGo, bey, professore, presidente del Comitato della Dante Alighieri al Cairo, 166.

LùTZOW, HEINRICH, conte von, ambasciatore d'Austria-Ungheria a Roma fino al 20 aprile 1910, 3, 13, 21, 57, 119, 142, 150, 164, 236.

LUZZATTI, LUIGI, ministro dell'agricoltura, industria e commercio, dal 31 marzo 191 O presidente del Consiglio e ministro dell'interno, 194, 257, 299, 358, 405, 430, 433, 436, 439, 443, 474, 489, 505, 524, 566.

MACCHIORO, GINO, console generale ad Aden e commissario civile della Somalia del Nord (reggente il governo della Somalia fino al gennaio 191 0), dal 26 febbraio 1911 console generale a Salonicco, 89,

280.

MACDONALD, sir CLAUDE, ambasciatore di Gran Bretagna a Tokio, 714.

MACHADO GUIMÀRAES, BERNARDINO LUIS, ministro degli esteri portoghese dal 5 ottobre 1910, 734.

MACHKOW, console generale di Russia a Bagdad, 657.

MAD MULLAH, vedi MUHAMMED IBN ABD ALLAH IBN HASAN.

MAGIO IBN SAIO, sultano di Zanzibar, 279, 482.

MAHDI DEL YEMEN, vedi MOHAMMED BEN ALÌ ED lDRISSI.

MAKONNEN, ras etiopico, 153, 423,

722.

MALFATTI, VALERIANO, barone, deputato austriaco, 321.

MALINOV, ALEKSANDER, presidente del Consiglio e ministro dei lavori pubblici bulgaro, poi presidente del Consiglio e ministro degli esteri, 517, 554, 573, 712, 743.

MALLET, LouiS, assistente sottosegretario di Stato agli esteri britannico, 415, 420, 597.

MALMUSI, GIULIO, ex agente e console generale al Cairo, 151.

MALPERTUY, console di Francia a Casablanca, poi ad Aleppo, 398.

MANAEVILLE, GUSTAVE-HENRI-BENOIST, de, consigliere della legazione di Francia ad Atene, dal 15 novembre 191 O primo segretario della legazione a Bruxelles, 451.

MANCINELLI-SCOTTI, CARLO, conte di San Vito, console generale a Scutari, 366.

MANGASCIÀ, ras etiopico, 448.

MANNESMANN, MAX e REINHOLD, imprenditori tedeschi, 28, 615.

MANNING, sir WILLIAM HENRY, generale, commissario e comandante in capo del Somaliland britannico, dal 9 novembre 191 O del Nyasaland, 191, 343, 374, 456.

MARAZZANI VISCONTI TERZI, FILIPPO, conte, agente commerciale a Dessiè nel Wollo-Galla, 448, 738.

MARCHETTI FERRANTE, GIULIO, segretario della legazione a Copenaghen,

314.

MARCovré, generale montenegrino,

730.

MARGHERITA, regina madre d'Italia,

462.

MARLING, sir CHARLES MuRRAY, consigliere deli' ambasciata di Gran Bretagna a Costantinopoli, dal 21 aprile 191 O incaricato d'affari a Teheran, dal 12 novembre 191 O a Costantinopoli, 330.

MARSCHALL VON BIEBERSTEIN, ADOLF, barone, ambasciatore di Germania a Costantinopoli, 81, 102, 154, 182, 188, 206, 235, 415, 479, 505, 571, 594, 597, 603, 604, 605, 606, 609, 613, 620, 629, 676, 689, 706, 709, 723, 744.

MARTIN FRANKLIN, ALBERTO, segretario dell'ambasciata a Londra (incaricato d'affari dal 2 febbraio all'8 maggio 1910), dal 28 luglio 191 O in servizio presso il Ministero degli esteri, 103, 106, 109, 114, 129, 135, 169, 183, 186, 195, 223, 226, 230, 232, 242, 250, 270, 271, 323,

338.

MARTINI, FERDINANDO, deputato, ex commissario civile straordinario per l 'Eritrea, 302.

MARTINOVIé, MITAR, generale, mtmstro della guerra montenegrino fino al 13 settembre 191 O, 224, 282,

292.

MASARYK, TOMÀS GARRIGUE, professore all'Università di Praga, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 552, 564, 607, 630.

MASI, TULLO, tenente generale, comandante generale delle Guardie di Finanza, 388, 405, 483.

MATTEWOS, abuna della Chiesa d'Etiopia, 174, 175.

MAVROMICHALIS, KoNSTANTINOS, presidente del Consiglio greco fino al 31 gennaio 1910, 126.

MAXIMOW, ministro residente di Russia a Cettigne fino al 1910, 282, 292.

MAYLENDER, deputato ungherese e capo del partito autonomo, 559.

MAYOR DES PLANCHES, EDMONDO, barone, ambasciatore a Washington, dal 30 marzo 191 O ambasciatore a Costantinopoli, 43, 226, 235, 239,

240, 249, 251, 258, 260, 261, 265, 266, 269, 275, 278, 297, 300, 303, 304, 305, 309, 312, 316, 322, 324, 329, 340, 341, 344, 354, 356, 357, 358, 360, 365, 367, 379, 380, 383, 390, 393, 394, 398, 446, 451, 465, 469, 472, 474, 479, 490, 491, 492, 493, 511, 514, 515, 518, 519, 523, 526, 527, 528, 531, 536, 538, 539, 540, 541, 544, 545, 562, 565, 566, 567, 575, 576, 579, 580, 582, 588, 591' 592, 595, 596, 599, 600, 60 l' 602, 603, 604, 605, 606, 609, 610, 613, 618, 620, 622, 623, 624, 628, 632, 633, 637, 639, 641, 643, 644, 645, 647, 650, 653, 655, 656, 657, 661' 663, 667, 668, 670, 673, 674, 676, 682, 687, 689, 697, 705, 706, 708, 719, 740, 741, 742, 745, 748, 753, 755, 757.

MAYOR DES PLANCH_ES, MARIA ANTONIETTA, ambasciatrice, nata CHEVALIER, 341.

MAZHAR, bey, v alì del Kossovo, 315.

MEHMED V, sultano ottomano, 40, 162, 167, 275, 526.

MELEGARI, GIULIO, ambasciatore a Pietroburgo, 20, 40, 55, 65, 66, 67, 69, 71, 76, 77, 82, 95, 96, 106, 114, 117, 163, 164, 167, 173, 184, 200, 201, 219, 226, 233, 270, 282, 286, 292, 294, 295, 323, 330, 362, 401, 425, 454, 471, 501, 502, 535, 550, 557, 568, 629, 726.

MELIA, CARMELO, addetto commerciale a Costantinopoli, 755.

MÈMEC, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 561.

MENELIK II, imperatore d'Etiopia, Il, 16, 24, 27, 62, 89, 134, 152, 174, 175, 191, 252, 288, 348, 395, 409, 423, 429, 442, 448, 453, 533, 598, 713, 738.

MENINI, ROBERTO, monsignore, vicario apostolico a Sofia e Filippopoli, 743.

MENSDORFF-POUILLY-DIETRICHSTEIN, ALBERT, conte von, ambasciatore d' Austria-Ungheria a Londra, 183, 186, 270, 583, 704.

MERCATELLI, LUIGI, console generale a Melbourne, 482.

MÉREY VON KAPOS-MÉRE, KAJETAN, ambasciatore d'Austria-Ungheria a Roma dal 21 aprile 1910, 98, 255, 261, 263, 264, 265, 273, 277, 355, 387, 388, 603.

MERRONE, ENRICO, tenente colonnello, addetto militare a Sofia, 692, 724, 737, 747.

MERRY DEL VAL Y ZULUETA, ALFONSO, ministro plenipotenziario di Spagna a Tangeri, 247.

MESSIMY, ADOLPHE, ministro delle colonie francese dal 4 marzo 1911,

683.

METAXAS, 0EMETRIOS, ministro plenipotenziario di Grecia a Roma fino al 20 aprile 1910, 81.

METTERNICH ZUR GRACHT, PAUL, conte VON WoLFF-, ambasciatore di Germania a Londra, 85, 183, 270,

704.

MEZZADRI, CARLO, viceconsole ad Hodeida, 528.

MICHELIDACHIS, uomo politico cretese,

437.

MJJUSKOVIé, LAZAR, generale, ex presidente del Consiglio e ministro degli esteri montenegrino, 224.

MIKAEL, ras etiopico, governatore generale del Wollo-Galla, 174, 217, 409, 448, 453, 738.

MILOVANOVIé, MILOVAN, mm1stro degli esteri serbo, 83, 93, 98, 111, 112, 165, 167, 233, 266, 385, 460, 466, 488, 627, 658, 703, 717, 718, 720, 724, 730, 746, 758, 761.

MILOYEVIé, MILAN, segretario della legazione di Serbia a Sofia, 83.

Misu, NICOLAE, ministro plenipotenziario di Romania a Vienna, 484.

MOCHI, CARLO, agente consolare ad Harrar, 423, 448.

MODICA, MICHELE, viceconsole ad Algeri, 493.

MoiiAMMED ALì, scià di Persia, 294.

MOHAMMED ALì ELUI, bey, dragomanno onorario presso l'agenzia e consolato generale al Cairo, 31, 75, 159, 166, 214, 418, 503.

MOHAMMED ALÌ HALIM, principe, 393, 696.

MOHAMMED BEN ALÌ ED IDRISSI, detto il MAHDI DEL YEMEN, 31, 396.

MOHAMMED EL ABED, sidi, fratello di Ahmed ash-Sherif, 32, 120, 503.

MOHAMMED SALEH, sceicco, capo della setta islamica Salehiya, 456.

MOLINARI, ETTORE, capitano, 395.

MONTAGLIARI, PAOLO, marchese di, segretario (dal 21 aprile consigliere) dell'ambasciata a Washington,

204.

MONTAGNA, GIULIO CESARE, segretario deli' ambasciata a Madrid, dal 17 aprile 1910 incaricato d'affari a Teheran, 238, 270, 323, 330, 432, 458, 468, 608, 617, 725, 744.

MONTECUCCOLI, RUDOLF, conte, ammiraglio, comandante la Marina e capo sezione della Marina al Ministero della guerra austro-ungarico, 299, 512, 525, 574, 635.

MUHAMMED IBN 'ABD ALLAH IBN HASAN, detto MAD MULLAH, capo religioso e politico somalo, 4, 16, 25, 191' 244, 252, 268, 280, 283, 288, 343, 348, 374, 377, 408, 422, 423, 456.

MUKTAR, MAHMUD, bey, generale, governatore di Smirne, poi ministro della marina ottomano, 580.

MOLLER VON SZENTGYÙRGY, LADISLAS, barone, capo sezione, in servizio presso la Casa imperiale e reale e degli esteri austro-ungarica, 30, 387, 507, 543, 581, 748.

MUMM VON SCHWARZENSTEIN, PHILIPP ALFONS, barone, ambasciatore di Germania a Tokio, 28.

MùNZ, SIGISMUND, redattore della Neue Freie Press, 285.

NABY, MEHEMMED, bey, ministro plenipotenziario di Turchia ad Atene, 47, 70, 73, 165.

NADO, degiac etiopico, governatore generale degli Arussi, 284, 288,

738.

NAGADARAS HAILE GIORGIS, ministro degli esteri etiopico, 288, 384, 397, 422, 423, 434.

NAGY, FERENC, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 525.

NAKÒ, conte, governatore di Fiume fino al 1910, 559.

NANI MOCENIGO, GIOVANNI BATTISTA, conte, segretario della legazione a Sofia, 500, 554, 573.

NATHAN, ERNESTO, sindaco di Roma, 477, 552, 558, 561, 564.

NAUM, ABDULLAH, pascià, ambasciatore di Turchia a Parigi, 70, 667,

678.

NAZIM, bey, capo del Comitato Unione e Progresso di Salonicco, 52.

NAZIM, pascià, valì di Bagdad, 523,

690.

NECHER, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 561.

NEGRI, A. OsMONDO, ingegnere, rappresentante della Casa Ansaldo a Costantinopoli, 430.

NELIDOV, ALEKSANDR IVANOVIC, ambasciatore di Russia a Parigi fino al 1910, 233, 454, 744.

NELIDOV, DMITRI ALEKSANDROVIC, console generale di Russia a Budapest, 44.

NEMEC, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 516.

NENADOVIé, lASA, ministro pienipotenziario di Serbia a Costantinopoli, 83, 466.

NERAZZINI, CESARE, tenente colonnello medico di Marina, ministro plenipotenziario a Tangeri fino al 18 dicembre 1910, 128, 247, 395, 423, 429, 638.

NICOLA I, principe (re dal 28 agosto 1910) del Montenegro, 57, 121, 163, 176, 208, 21 o, 219, 220, 222, 224, 225, 248, 276, 281, 282, 292, 345, 352, 385, 386, 402, 413, 461, 466, 542, 546, 587, 597, 648, 697, 698, 699, 703, 717, 720, 724, 726, 730, 737, 746, 747, 758.

NICOLA Il, zar di Russia, 55, 67, 71, 82, 144, 147, 157, 167, 182, 219, 233, 282, 287, 389, 452, 454, 460, 466, 502, 515, 550, 551, 572, 587, 597, 612, 617, 630, 648, 669, 684,

692.

NICOLSON, sir ARTHUR, ambasciatore di Gran Bretagna a Pietroburgo, dal 23 novembre 191 O sottosegretario di Stato permanente agli esteri, 184, 326, 415, 571, 572, 583, 586, 597, 614, 634, 640, 662, 669, 681' 702, 704.

NIGRA, COSTANTINO, conte, ex ambasciatore a Vienna, 150, 462.

NIZAMI, OSMAN, pascià, ambasciatore di Turchia a Berlino, 63, 81, 92, 421, 610, 760.

NOGARA, BERNARDINO, ingegnere, direttore della Società Commerciale d'Oriente a Costantinopoli, 650.

NovAKOVIé, STOJAN, ex presidente del Consiglio serbo, 385.

OLGA CoSTANTINOVNA, regina di Grecia, 749.

OLIÈ, ras etiopico, governatore generale dello Jeggiù, 217, 409, 423, 448, 453, 533, 738.

OMAR DoRE, capo somalo, 456.

0PPENHEIM, MAX, barone von, addetto della legazione di Germania al Cairo, 657.

OPPERSDORF, conte, membro del Reichstag, 156.

ORSINI BARONE, LucA, consigliere dell'ambasciata a Berlino, 190, 192, 194, 197, 373, 400, 404, 415, 421, 424, 431, 434, 445, 452, 459, 460, 476, 486, 505, 598, 610, 612,

619.

0SMAN MAHMUD, sultano dei migiurtini, 343, 456.

0SMAN, ZIA EDINE, effendi, principe imperiale di Turchia, 318, 742.

OSTEN-SACKEN, NIKOLAJ DMITRJEVIC, conte de, ambasciatore di Russia a Berlino, 157.

OSTINI, GIUSEPPE, ingegnere, agente commerciale a Gondar nel Beghemeder, 257, 448.

PACELLI, ERNESTO, presidente del Banco di Roma, 108, 141, 158, 303, 358, 430, 524, 566, 604, 609,

696.

PALÉOLOGUE, GEORGES-MAURICE, ministro plenipotenziario di Francia a Sofia, 679.

PALI, A. E., segretario della legazione di Grecia a Roma fino al 31 marzo 1910, 107, 110.

PALLAVICINI, JOHANN, marchese, ambasciatore d'Austria-Ungheria a Costantinopoli, 52, 56, l 02, 154, 167, 182, 188, 206, 255, 258, 269, 304, 329, 479, 518, 525, 604, 606, 609, 613, 689, 740, 748, 751.

PANAS, DEMETRIOS, incaricato d'affari di Grecia a Sofia, 747.

PANSA, ALBERTO, ambasciatore a Berlino, l, 5, 6, 7, 17, 28, 48, 63, 81, 92, 93, 130, 131, 139, 140, 148, 149, 156, 157, 170, 263, 294, 308, 389, 391, 392, 473, 494, 519, 551, 553, 556, 577, 578, 652, 654, 676, 677, 709, 723, 760.

PAPAMASTORACHIS, uomo politico cretese, 437.

PAPRIKOV, STEFAN, generale, mmtstro degli esteri bulgaro, poi ministro plenipotenziario a Pietroburgo, 144, 167, 403, 404, 462.

PARVIS, ingegnere, 503.

PAsié, NIKOLAUS, presidente del Consiglio serbo, 83, 97, 98, 112, 176.

PATRIS, GIOVANNI, capitano di vascello, comandante superiore delle torpediniere, 363, 372.

PAULUCCI DI CALBOLI, RANIERO, conte, ministro plenipotenziario a Lisbona, 399, 734.

PECORI-GIRALDI, GUGLIELMO, conte, maggior generale, comandante la brigata Cuneo, 302.

PELLOUX, LUIGI GIROLAMO, generale, ex presidente del Consiglio, 395.

PERDUCCHI, ENRICO, ex agente politico e commerciale ad Addis Abeba,

288.

PESTALOZZA, GIULIO, console generale a Tripoli di Barberia, 37, 54, 136, 138, 160, 161, 162, 177, 198, 218, 241' 289, 354, 390, 411' 575, 582, 594, 624, 646, 657, 674, 676, 677, 688, 709, 723, 739, 740, 741, 745, 748, 757.

PETELENZ, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 574.

PETKOVIé, TEODORO, ministro p1enipotenziario di Serbia a Cettigne, 730, 737, 746, 758, 761.

PETROVIé NJEGOS, DANILO, principe ereditario del Montenegro, 208, 224, 352, 747.

PETROVIé NJEGOS, MIRKO, principe, gran voivoda di Grahovo e della Zeta, 282.

PETROVIé NJEGOS, PAOLO, pnnc1pe di Rachka, 282.

PIACENTINI, RENATO, viceconsole ad Aden, 268, 343, 374, 377, 408,

456.

PICHON, STEPHEN, ministro degli esten francese fino al 3 marzo 1911, 46, 53, 96, 101, 104, 106, 114, 115, 139, 170, 171, 221, 223, 233, 234, 245, 250, 286, 296, 306, 307, 322, 324, 331' 332, 334, 335, 336, 339, 370, 384, 397, 433, 439, 443, 447, 463, 480, 493, 522, 556, 651, 665, 719, 720, 736.

PIETRO l, re di Serbia, 15, 111, 147, 157, 163, 167, 205, 222, 233, 385, 413, 466, 607, 627, 658, 699, 703, 718, 720, 724, 726, 730, 737.

PIO X, papa, 314, 4 77, 552, 558, 561, 564, 627, 658.

PITTONI, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 561.

PLOY, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 516.

PODEWILS-DORNIZ, KLEMENS, conte, presidente del Consiglio e ministro degli esteri bavarese, 84, 196.

POKLEVSKY KOZIELL, STANISLAO, ministro plenipotenziario di Russia a Teheran, 330, 432, 458, 608, 617,

629.

PoKOTILOV, ex ministro plenipotenziario di Russia a Pechino, 94.

POLENGHI, PAOLO, industriale, presidente della Camera di commercio a Londra, 49.

POLLIO, ALBERTO, tenente generale, capo di Stato maggiore dell'esercito, 302, 343, 359, 377, 692, 724, 737, 747.

POLOGHIORGHIS, uomo politico cretese, 437, 451.

PONZA DI SAN MARTINO, CORIOLANO, conte, tenente generale, comandante il V corpo d'armata, 353.

PoPovié, incaricato d'affari del Montenegro a Costantinopoli, 597.

POPOVIé, ministro plenipotenziario di Serbia a Pietroburgo, 72, 97.

PORTAL, sir GERALD HERBERT, ex agente e console generale di Gran Bretagna a Zanzibar, 482.

PORZER, primo viceborgomastro di Vienna, 552, 558, 560, 561.

POSFAI, console d'Austria-Ungheria a Sofia, 679.

POURTALÈS, fRIEDRICH, conte von, ambasciatore di Germania a Pietroburga, 76, 157, 164, 184, 201, 460, 501, 629, 665.

POCKLER-BURGHAUSS, KARL ERDMANN HEINRICH FRIEDRICH, conte von, ministro plenipotenziario di Germania a Stoccolma fino al 1910, 314.

QUADT ZU WYKRADT UNO ISNY, ALBERT, conte von, ministro plenipotenziario di Germania a Teheran, 330, 458, 608, 617, 629, 725.

RAHMI, bey, membro del Comitato Unione e Progresso, 393.

RAIF, RAGHIB, bey, consigliere dell'ambasciata di Turchia a San Pietroburgo fino al 1910, 29, 33.

RAINERI, GIOVANNI, ministro dell'agricoltura, industria e commercio dal 31 marzo 1910, 752.

REAY, DONALO JAMES MACKAY, lord, ex sottosegretario di Stato britannico per l'India, 332.

RECHID, bey, valì di Aleppo, 398.

RECHID, MUSTAFÀ, pascià, ambasciatore di Turchia a Vienna, 30, 470.

REGEB, pascià, ex valì di Tripoli, 289, 411.

REGNAULD DE LANNOY DE BISSY, RrCHARD, de, colonnello francese, ingegnere militare e cartografo, 395, 423, 429.

REGNAULT, EUGÈNE-LOUIS-GEORGES, ministro plenipotenziario di Francia a Tangeri, 247.

RENNER, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 512, 516, 534, 558, 561' 564.

RESPIGHI, PIETRO, cardinal VlCano,

564.

REVENTLOW, ERNST, conte zu, ex ufficiale di marina tedesco, scrittore politico, 445.

RICCI BUSATTI, ARTURO, consigliere di legazione, in servizio presso il Ministero degli esteri, 663.

RIFAAT, MEHMED, pascià, ministro degli esteri ottomano, 2, 18, 34, 41, 52, 90, 102, 144, 162, 167, 188, 206, 230, 240, 275, 311' 318, 322, 332, 394, 420, 437, 514, 526, 571, 579, 580, 587, 591, 601, 602, 604, 605, 620, 622, 623, 628, 645, 647, 653, 661, 667, 670, 674, 676, 678, 702, 723, 739, 742, 745.

RrzA, ALì, bey, valì di Giannina, 346, 414.

Rrzov, DIMITRI, mm1stro plenipotenziano di Bulgaria a Roma, 68, 72,

517.

RIZZI, L., presidente della dieta del margraviato d'Istria, 321.

ROBILANT, CARLO FELICE NICOLIS, conte di, ex ministro degli esteri,

150.

ROBILANT, MARIO NICOLIS, conte di, maggior generale, a disposizione del Ministero degli esteri, 297,

300.

ROCKHILL, WILLIAM WOODVILLE, ambasciatore degli Stati Uniti d'America a Pietroburgo, 94.

RODD, sir JAMES RENNELL, ambasciatore di Gran Bretagna a Roma, 96, 107, 326.

ROMANO AVEZZANA, CAMILLO, barone, ministro p1enipotenziario a Teheran, dall'8 giugno 1910 ministro plenipotenziario a Rio de Janeiro, 183,

238.

ROOSEVELT, THEODORE, ex presidente degli Stati Uniti d'America, 204, 222, 313.

ROSEN, FRIEDRICH, m1mstro plenipotenziario di Germania a Tangeri, dal l o novembre 191 O a Bucarest,

135.

ROSSETTI, CARLO, capitano, agente coloniale in missione a Khartum, 31, 151.

Rossi, lTALO, ispettore della Banca Imperiale Ottomana, 366.

ROSSI-STOCKALPER, FRANCESCO, uditore della nunziatura apostolica a Vienna, 564.

ROSSOLINOS, SPIRIDIONE, direttore della filiale della Banca di Atene a Giannina, 199.

RUBIN DE CERVIN, GUSTAVO, maggiore, addetto militare a Sofia, 743.

RUDINÌ, ANTONIO STARRABBA, marchese di, ex presidente del Consiglio,

395.

Rusrou, MARIO, principe, consigliere dell'ambasciata a Parigi, 171, 223,

615.

SACCHI, ETTORE, m1mstro dei lavori pubblici dal 31 marzo 1910, 352.

SADDREDDIN, MEHMED, bey, ministro plenipotenziario di Turchia a Cettigne dal 1° giugno 1910, 727.

SAFER, sceicco, capo della Confraternita dei Madania, 120.

SAFVET, RECHID, bey, primo segretario dell'ambasciata di Turchia a Teheran, 744.

SAHLA SELLASIÈ, negus dello Scioa,

152.

SAID IBN SULTAN, sayyid, sultano dell'Oman e di Zanzibar, 279, 482.

SALABACEV, ministro delle finanze bulgaro, 52.

SALAZAR Y MUNATONEZ, MICHELE, colonnello, comandante il corpo delle truppe coloniali in Eritrea, 527, 529, 693.

SALEM, A., avvocato, 18, 354, 390.

SALIH, bey, capo di Gabinetto al Ministero degli esteri ottomano, 633,

756.

SALIKH BEN MOHAMMED, sottotenente turco, 74.

SALVAGO RAGGI, GIUSEPPE, marchese, ministro plenipotenziario, governatore dell'Eritrea, 227, 325, 343, 375, 382, 435, 440, 448, 661, 693,

756.

SANFILIPPO, IGNAZIO, ingegnere, 566.

SAN GIULIANO, ANTONINO PATERNÒ CASTELLO, marchese di, ambasciatore a Londra, dal 3 febbraio 191 O ambasciatore a Parigi, dal 31 marzo 191 O ministro degli esteri, 4, 16, 24, 26, 46, 49, 85, 91, 96, 104, 106, 114, 135, 139, 169, 170;

passim.

SARAFOV, MICHELE, mmtstro plenipotenztano di Bulgaria a Costantinopoli, 99, 167.

SARDI, VINCENZO, monsignore, delegato apostolico e vicario patriarcale a Costantinopoli, 341, 356.

SASSONIA COBURGO E GOTHA, BORIS, principe reale di Bulgaria, 98, 692,

743.

SASSONIA COBURGO E GOTHA, CIRILLO, principe di Preslav, 692.

SAVOURÉ, ARMANO, commerciante francese, 520, 636.

SAZONOV, SERGEJ DMITRJEVIC, reggente il Ministero degli esteri russo, dal 28 settembre 191 O ministro degli esteri, 82, 219, 250, 425, 454, 471, 501, 502, 515, 535, 550, 551, 557, 568, 570, 572, 583, 587, 629, 630, 642, 654, 666, 669, 678, 686,

726.

ScHEBOUNIN, console generale di Russia a La Canea, 114, 155, 363,

451.

SCHELLER STEINWARTZ, R., von, ministro plenipotenziario di Germania ad Addis Abeba, 423, 434, 738.

SCHIAPARELLI, ERNESTO, segretario generale dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari italiani,

51.

SCHLESWIG-HOLSTEIN-SONDERBURGGLOCKS-BURG, ALICE, principessa, nata BATTENBERG, 749.

SCHLESWIG-HOLS TEIN-SbNDERBURGGLOCKS-BURG, ANDREAS, principe,

749.

SCHLESWIG-HOLSTEIN-SONDERBURGGLOCKS-BURG, CHRISTOPHOROS, principe, 749.

SCHLESWIG-HOLSTEIN-SbNDERBURGGLOCKS-BURG, GEORGIOS, principe,

130.

SCHLESWIG-HOLSTEIN-SbNDERBURGGLOCKS-BURG, KONSTANTINOS, principe reale di Grecia, 63, 130, 749.

SCHLES WIG-HOLSTEIN-SbNDERBURGGLOCKS-BURG, NIKOLAOS, principe,

749.

SCHLESWIG-HOLSTEIN-SONDERBURGGLOCKS-BURG, SoFIA, principessa, nata HOHENZOLLERN, 63, 749.

ScH6N, WILHELM, barone von, segretario di Stato agli esteri tedesco, dal 29 ottobre 191 O ambasciatore a Parigi, l, 28, 48, 63, 81, 84, 130, 135, 139, 148, 149, 157, 170, 192, 270, 308, 31 O, 323, 392, 665, 678.

SCHONAICH, FRANZ, barone von, generale, ministro della guerra austro-ungarico, 387, 405, 507, 512, 525, 574.

SCHONBURG-HARTENSTEIN, JOHANN, principe von, ministro plenipotenziario d'Austria-Ungheria a Bucarest, 484.

SCHUBERT, tenente tedesco, 288, 422,

423.

SCHWARZENBERG, ADOLF JOSEF, principe, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 564.

SCHWEGEL, JOSEPH, barone von, membro delle Delegazioni austroungariche, 512, 534, 574.

SCOTUS VIATOR, vedi SETON-WATSON, ROBERT WILLIAM.

SEBAT, ras etiopico, 738.

SECKENDORFF, barone von, mm1stro plenipotenziario di Germania a Caracas, dal novembre 191 O a Tangeri, 638.

SEFA, bey, m1mstro plenipotenziario di Turchia a Bucarest, 15, 500,

519.

SEIFFEDIN, bey, consigliere dell'ambasciata di Turchia a Roma, 40, 96.

SEITZ, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 534, 552, 558, 561, 564, 574.

SEJUM UoLDE MANGASCIÀ, degiac etiopico, 448, 738.

SELIM I, sultano ottomano, 383.

SERBACEV, G., ministro plenipotenziario di Russia ad Atene fino al 18 ottobre 191 O, 126.

SERCEY, HIPPOLYTE-RENÉ, conte, de, ministro plenipotenziario di Francia a Cettigne, 542.

SETON-WATSON, ROBERT WILLIAM, alias Scmus VrATOR, storico inglese, 44.

SEYYED ALì BIN HAMOUD, sultano di Zanzibar, 216, 482.

SEYYED FEYSAL BEN TURKI, sultano dell'Oman, 133, 302.

SFORZA, CARLO, consigliere dell'ambasciata a Londra, dal 23 dicembre 1909 capo di Gabinetto al Ministero degli esteri, dal 21 agosto 1910 console generale a Budapest, 438, 510, 701, 716.

SHEFKET, MAHMOUD, pascià, generalissimo, ministro della guerra ottomano, 79, 91, 99, 182, 264, 272, 315, 318, 322, 329, 491, 597.

Sr MusTAFA BEN SIKRI, notabile tripolino, 354, 390, 455, 531, 545.

SIDI ALì EL EBEDIE, inviato di Ahmed ash-Sherif in missione in Arabia, 32.

SILVESTRELLI, GIULIO, ambasciatore a Madrid fino al 20 maggio 191 O,

135.

SIMié, DnoRDJE, ministro plenipotenziario di Serbia a Vienna, 72.

SIMié, SvETISLAV, ministro plenipotenziario di Serbia a Sofia, 450, 466, 517, 737.

SIMIONOVICI, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 552.

SIRRY, lsMAIL, pascià, ministro dei lavori pubblici, della guerra e della marina egiziano, 134.

SKOUZES, ALEXANDROS, ex ministro degli esteri greco, 349.

SMITH, U. GRANT, segretario della legazione degli Stati Uniti d'America a Bruxelles, 29.

SOLA, FERDINANDO, console generale a Hodeida, 396, 527, 528, 529, 536, 544, 555, 567, 569, 591, 618, 621, 622, 623, 641, 653, 668, 671, 739, 740, 748, 750.

SOLIMANO I, sultano ottomano, 383.

SoMSSICH DE SAARD, JosEF, conte, consigliere dell? ambasciata d'Austria-Ungheria a Roma fino al luglio 1910, 179, 180.

SONNINO, SIDNEY, barone, presidente del Consiglio e ministro dell'interno fino al 30 marzo 1910, l, 3, 4, 21, 44, 185, 257, 358.

SOPOV, console generale di Bulgaria a Salonicco, 315, 340.

SPALAIKOVIé, MIROSLAV, segretario generale agli esteri serbo, 83, 97.

SPANNOCCHI, LELIO, conte, maggiore, addetto militare d'Austria-Ungheria a Pietroburgo, 40 l.

SPANÒ, PIETRO, addetto consolare (dal 13 febbraio 191 O viceconsole), in servizio presso il Ministero degli esteri, dal 4 agosto 191 O a Tripoli di Barberia, 455, 465, 531, 545.

SPENDER, JOHN ALFRED, direttore del Westminster Gazette, 49.

SPINGARDI, PAOLO, tenente generale, senatore, ministro della guerra, 256, 302, 343, 359, 377, 405, 419, 427, 478, 495, 635.

SPITZMOLLER, direttore del Credito Fondiario austriaco, 752.

SQUITTI, NICOLA, ministro plenipotenziario a Cettigne, 176, 208, 21 O, 212, 220, 224, 225, 248, 262, 266, 267, 274, 276, 281, 292, 351, 352, 386, 402, 461, 506, 542, 587, 648, 698, 699, 726, 727, 747.

STEED, HENRY WICKHAM, corrispondente del Times da Vienna, 44.

STEMRICH, sottosegretario di Stato agli esteri tedesco, 431, 435, 445,

654.

STOLBERG-WERNIGERODE, FRIEDRICH WILHELM, principe zu, consigliere dell'ambasciata di Germania a Roma, 494.

STOLYPIN, PIJOTR ARKADJEVIC, presidente del Consiglio russo e ministro degli interni, 82, 452, 454, 502, 515, 630.

STRANIERI, AUGUSTO, console generale a Giannina, 199, 346, 350, 366, 381, 414.

STREIT, GIORGIOS, ministro plenipotenziario di Grecia a Vienna dal 19 settembre 191O, 581.

STRINGHER, BONALDO, direttore generale della Banca d'Italia, 358, 430,

524.

STUMPF, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 558, 561.

STURDZA, DIMITRIE, ex presidente del Consiglio rumeno, 285.

STORGKH, KARL REICHGRAF, von, ministro dei culti e deli' istruzione pubblica austriaco fino al 9 gennaio 1911, 558.

SODEKUM, ALBERT OSKAR WILHELM, membro del Reichstag, 156.

SusTERSié, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 552, 561, 564.

SVERBEIEV, SERGEJ, de, consigliere dell'ambasciata di Russia a Vi enna, dal 19 ottobre 191O ministro plenipotenziario ad Atene, 30, 149, 172, 585, 659.

SWETCHIN, A., consigliere dell'ambasciata di Russia a Costantinopoli,

471.

SzÉNERE, EDMONDO, finanziere ungherese, 299.

SZILASSY VON SziLAS, Juuus, consigliere dell'ambasciata d'Austria-Ungheria a Pietroburgo, 570.

Sz6GYENY-MARICH, LADISLAUS, conte von, ambasciatore d'Austria-Ungheria a Berlino, 5, 6, 17, 170, 310, 317, 578.

TAAFFE, EDUARD, conte von, ex presidente del Consiglio austriaco, 516, 630.

TAFARI, degiac etiopico, governatore generale dell' Harrar dal marzo 1910, 153, 288, 348, 456, 722, 738.

TAFT, WILLIAM HOWARD, presidente degli Stati Uniti d'America, 43.

TAITÙ, imperatrice d'Etiopia, 11, 62, 152, 153, 174, 175, 179, 448, 738,

754.

TAJU, fitautari etiopico, 152.

TAKCLA HAYMANOT, negus del Goggiam, 152.

TALAAT, bey, mm1stro degli interni ottomano, 52, 455, 465, 580, 696.

TCHARYKOV, NIKOLAJ, ambasciatore di Russia a Costantinopoli, 52, 67, l 00, l 02, 144, 154, 182, 206, 264, 275, 515, 535, 571, 587, 599, 629,

679.

TEDESCO, FRANCESCO, ministro del tesoro dal 31 marzo 1910, 257.

TEGETTHOFF, WILHELM von, ammuaglio austriaco, 635.

TELEKI, PAUL, conte, deputato ungherese, 44.

TESAMMA, ras etiopico, reggente l'Impero d'Etiopia, 25, 27, 61, 152, 174, 175, 179, 448, 533, 625, 738, 754.

TEWFIK, AHMED, pascià, ambasciatore di Turchia a Londra, 70, 96, 103, 129, 230, 311, 322, 331, 702.

THEODOLI, ALBERTO, marchese, consigliere d'amministrazione del Banco di Roma, 108, 367, 379, 446, 469, 472, 523, 538, 576, 588.

THEOTOKES, G!ORGIOS, conte, ex presidente del Consiglio greco, 349.

THEOTOKES, NIKOLAOS, incaricato d'affari di Grecia a Parigi, poi a Berlino, 349.

THESIGER, WILFRED GILBERT, capitano, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna ad Addis Abeba, 27, 61, 171, 179, 223, 242, 252, 283, 338, 384, 707, 721, 728, 738.

THUN UND HOHENSTEIN, FRANZ, conte von, ex presidente del Consiglio austriaco, 685.

TrLGER, ALFRED, console di Germania a Tripoli, 592, 594, 646, 650, 657.

TrszA, ISTVAN, conte, ex presidente del Consiglio ungherese, 525.

TrszA, KALMÀN, ex presidente del Consiglio ungherese, 70 l.

TITTONI, TOMMASO, senatore, ex ministro degli esteri, dal 22 aprile 191 O ambasciatore a Parigi, 3, 20, 21, 44, 49, 67, 116, 139, 141, 150, 166, 196, 211, 226, 233, 234, 236, 243, 245, 252, 264, 287, 306, 317, 322, 324, 334, 336, 339, 349, 358, 367, 370, 384, 415, 439, 441, 443, 447, 463, 467, 480, 493, 503, 522, 553, 571, 577, 584, 651, 663, 665, 668, 678, 683, 708, 709, 719, 720, 729, 739.

ToMANOvré, L., presidente del Consiglio, ministro della giustizia e degli esteri montenegrino, 208, 224, 281, 506, 587.

TOMASI DELLA TORRETTA, PIETRO, segretario deli' ambasciata a Pietroburga, 55, 125, 686.

ToMAsré, von, governatore di Croazia, Slavonia e Dalmazia dal 1910,

559.

TOMMASINI, FRANCESCO, segretario (dal 12 febbraio 1911 consigliere) deli'ambasciata a Vienna, 30, 34, 36, 626, 630, 635, 642, 666.

TONTI, Gruuo, monsignore, nunziO apostolico a Lisbona, 399.

TosEv, ANDREA, ministro p1enipotenziario di Bulgaria a Belgrado, 488.

TOSTI, GUSTAVO, console, a disposizione del Ministero, dal 20 marzo 1910 ad Aleppo, 398.

TouTÉE, generale francese, comandante la Divisione d'Orano, 638.

Tozzr, ADOLFO, direttore della succursale della Società Commerciale d'Oriente a Scutari, 350, 366, 381,

414.

TRIANTAPHYLLAKOS, NIKOLAOS, mtmstro degli interni greco fino al 18 ottobre 1910, 451.

TRITONJ, ROMOLO, console a Porto Said, 530.

TROMBI, FERRUCCIO, colonnello, comandante il corpo delle truppe coloniali in Somalia, 280.

TSCHIRSCHKY, HEINRICH, von, ambasciatore di Germania a Vienna, 67, 71, 84, 118, 123, 148,202,206, 236, 253, 264, 269, 287, 392, 630, 666, 669, 684.

TUCHER VON SIMMELSDORF, barone, ministro plenipotenziario di Baviera a Vienna, 630.

TURKHAN, pascià, ambasciatore di Turchia a Pietroburgo, 70, 144.

TYRRELL, sir WILLIAM GEORGE, segretario particolare di E. Grey, 24, 25, 169.

UDRZAL, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 558.

UMBERTO l, re d'Italia, 462.

UOLDE GABRIEL, degiac etiopico, 288,

448.

UOLDE GHIORGHIS, ras etiopico, governatore generale del Kaffa, dal 191 O del Beghemeder, del Dembea, del Semien e del Tigrè, 152, 174, 254, 448, 453, 738, 754.

URussov, LEv PAVLOVIC, principe, ambasciatore di Russia a Vienna fino al novembre 1910, 236, 264, 269, 271, 577.

VACCAJ, GIULIO, direttore generale degli affari commerciali e privati al Ministero degli esteri, dal l o agosto 191 O degli affari privati,

94.

VANNUTELLI, LUIGI, conte, segretario deli'ambasciata a Londra, dal 27 marzo 191O a disposizione, dal 13 luglio 191 O in servizio presso il Ministero degli esteri, 467.

VELICS VON LÀSZLÒFALVA, LUDWIG, ministro plenipotenziario d'AustriaUngheria a Monaco di Baviera,

84.

VENIZELOS, ELEUTHERIOS, presidente del Comitato esecutivo cretese, dal 18 ottobre 1910 presidente del Consiglio greco, 73, 96, 126, 130, 145, 155, 296, 333, 363, 372, 420, 421, 428, 431, 437, 447, 451, 511, 515, 585, 589.

VENTURI, topografo, membro della missione di delimitazione del confine somalo-etiopico, 435.

VERDINOIS, EDOARDO, prefetto di Verona, 353.

VESNié, MILENKO, mm1stro plenipotenziario di Serbia a Parigi, 72,

467.

VILAçA, ANTONIO EDUARDO, ministro degli esteri portoghese fino al 4 ottobre 1910, 399.

VILLIERS, sir FRANCIS HYDE, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Lisbona, 496.

V10, FRANCESCO, ex podestà di Fiume, 559.

VISCONTI-VENOSTA, EMILIO, marchese, ex ministro degli esteri, 395, 462.

VITTORIO EMANUELE III, re d'Italia, 3, 21, 57, 78, 82, 87, 88, 105, 121, 178, 185, 190, 204, 236, 243, 246, 298, 308, 310, 314, 349, 365, 385, 386, 399, 402, 461, 487, 522, 627, 692, 698, 735, 742, 743, 749.

VOLPI, GIUSEPPE, ammm1stratore delegato della Società Commerciale d'Oriente, 291, 352, 381.

Vuié, MIKHAIL, ministro plenipotenziario di Serbia a Roma, 72, 627.

VuKoné, JANKO, generale montenegrino, 413, 747.

WAH BY, bey, ingegnere ottomano,

644.

WEISKIRCHNER, RICHARD, ministro del commercio austriaco, 752.

WEKERLE, SANDOR, presidente del Consiglio ungherese fino al 16 gennaio 1910, 481, 559.

WESSELITSKY, de, corrispondente del Nowoje Wremja da Londra, 67,

187.

WICKENBURG, MAX, conte, ministro del lavoro austriaco, dal 9 gennaio 1911 presidente del Consiglio, 525, 701, 716.

WILCOKS, sir WILLIAM, ingegnere mglese, 446, 523, 588.

WINGATE, sir FRANCIS REGINALD, generale, comandante in capo del!'esercito egiziano e governatore generale del Sudan, 16, 24, 31, 134, 151, 191, 227, 343.

WINPFFEN, FELIX FRIEDRICH WENZEL, conte von, ex ministro plenipotenziario d'Austria-Ungheria a Roma, 150.

WoDZICKI, membro delle Delegazioni austro-ungariche, 516.

WOINOVICH, EMILIO, von, generale austriaco, direttore dell'Archivio militare, 635.

WRATISLAW, ALBERT CHARLES, console generale di Gran Bretagna a La Canea, 45, 114, 155, 363, 451.

WYNDHAM, PERCY CHARLES, consigliere de li'ambasciata di Gran Bretagna a Roma, 593.

YOUNG, CHARLES ALBAN, pnmo segretario della legazione di Gran Bretagna ad Atene, dal 22 ottobre 191O consigliere a Teheran, 420.

ZACCARIA, SEBASTIANO, dottore 1ll medicina, 650, 657.

ZAIMIS, ALEXANDROS, alto commlSSano a Creta, 45, 46, 91, 306, 585,

614.

ZANELLA, RICCARDO, professore, ex deputato ungherese, 559.

ZECHLIN, addetto della legazione di Germania ad Addis Abeba, 636,

738.

ZERVUDACHI, GIORGIO, banchiere egiziano, 198, 393.

ZIMMERMANN, ALFRED, consigliere relatore, dal 191O direttore degli affari politici al Ministero degli esteri tedesco, 404, 434, 654.

ZUNINI, LEOPOLDO, console a Bagdad, 446, 469, 518, 731.